Giustizia: carceri e tribunali in condizioni insostenibili, vietato rinviare la riforma di Danilo Paolini Avvenire, 14 febbraio 2013 Si va al voto nel pieno dell’ennesimo scontro tra politica e magistratura: serve una svolta. Viaggio nei programmi dei partiti politici, alla ricerca di possibili ricette che evitino il default giudiziario. I processi sono troppo lunghi, le carceri scoppiano di umanità dolente e di dignità negata, l’Italia ha un tasso di corruzione imbarazzante, Insomma, peggio di così ci sono soltanto: la paralisi totale dei tribunali; la legalizzazione dell’illegalità (e ci siamo vicini, con circa 400 reati prescritti al giorno); la revoca della qualità di “essere umano” ai detenuti e a coloro che nelle prigioni lavorano. Vediamo, allora, che cosa intendono fare su questo fronte le forze politiche che si presentano alle elezioni. Per l’area che fa capo al premier uscente Monti, nella “Agenda” sottoscritta dai candidati di Scelta Civica, dell’Udc e di Fli figurano due fitti capitoli dedicati a legalità, giustizia e sicurezza. La ricetta è “tolleranza zero per corruzione, evasione fiscale ed economia sommersa”, con la riforma del falso in bilancio, il completamento della legge anti-corruzione, l’introduzione di norme anti-riciclaggio e contro l’auto-riciclaggio, l’allungamento dei termini di prescrizione dei reati, la riforma delle intercettazioni e “una più robusta disciplina sulla prevenzione del conflitto d’interesse”. Per quanto riguarda, invece, le carceri, i montiani puntano su un più ampio ricorso alle pene alternative. Ricco anche il menu giudiziario del Pdl, in cui spiccano la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti, la responsabilità civile delle toghe (due punti condivisi anche da La Destra di Storace), un giro di vite sulle intercettazioni con divieto di pubblicazione, l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Per l’emergenza penitenziaria si propone la “limitazione della carcerazione preventiva” e “l’incentivazione del lavoro” per i detenuti. L’alleata Lega Nord, invece, punta sull’elezione dei giudici di pace e sull’eliminazione dei tribunali per i minorenni. I Fratelli d’Italia di Meloni, Crosetto e La Russa ipotizzano di sostituire l’obbligatorietà dell’azione penale con “indirizzi generali” in base alle emergenze del momento. Per il Pd le priorità riguardano l’attuazione reale del processo civile telematico (in teoria già vigente), la digitalizzazione completa del penale, la “revisione organica del sistema delle impugnazioni”, l’ampliamento delle misure alternative al carcere, la sospensione del processo con “messa alla prova” dell’imputato, l’abolizione del reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Spostandoci più a sinistra, Sel vorrebbe non la separazione delle carriere, ma “una più netta separazione delle funzioni” di giudice e pm, e il ribaltamento di un sistema che definisce “classista” nonché figlio delle leggi “Bossi-Fini” sull’immigrazione e “Fini-Giovanardi” sulle droghe. Alla “liberalizzazione delle droghe leggere” si dice favorevole il leader di Rivoluzione civile Ingroia, che chiede il ripristino del falso in bilancio, una “vera legge sul conflitto d’interessi e l’eliminazione delle leggi ad personali!”. Il M5S di Grillo sollecita, nella giustizia civile, l’introduzione della class action (causa di massa) all’americana. Più articolato il programma di Fare-Per fermare il declino di Giannino: disincentivare l’abuso delle cause civili agendo sulle spese processuali; allargare il ricorso ai riti alternativi nel penale; accrescere la possibilità di misure cautelari diverse dal carcere, come il braccialetto elettronico; costruzione di nuovi istituti penitenziari e gestione degli stessi (tranne la sorveglianza) affidata a privati, tramite gare d’appalto. Sulle pene alternative un’altra occasione mancata dal Parlamento Dopo quasi un ventennio di scontri sulla giustizia, con riforme per lo più annunciate, oppure avviate ma poi bloccate nell’alternarsi al governo di centrodestra e centrosinistra, in un anno circa (grazie alla larghissima maggioranza che lo ha sostenuto) l’esecutivo “tecnico” ha ridisegnato la geografia giudiziaria - una riforma attesa da mezzo secolo, come ha osservato il primo presidente della Cassazione - accorpando 31 tribunali e relative procure, sopprimendo tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale e 667 uffici del giudice di pace, per un risparmio annuo a regime stimato in 95 milioni di euro. È poi stata varata la legge anti-corruzione, da cui sono scaturiti i decreti legislativi sull’incandidabilità alle elezioni dei condannati in via definitiva a oltre 2 anni di reclusione, sull’obbligo di pubblicità patrimoniale per gli eletti e i loro parenti fino al secondo grado e sulla trasparenza della Pubblica amministrazione. Quanto alle carceri, dopo il decreto che ha alleggerito le celle di circa 3mila presenze, il ddl che avrebbe ampliato l’applicazione delle misure alternative alla detenzione e introdotto la sospensione dei procedimenti con “messa alla prova” dell’imputato (istituto già vigente nella giustizia minorile) è stato “falciato” sul traguardo al Senato, nell’ultimo giorno di attività parlamentare, per il veto dei gruppi Idv, Lega Nord e Fratelli d’Italia. Grasso (Pd): aboliamo la prescrizione dopo il rinvio a giudizio “Il sovraffollamento nei penitenziari è gravissimo. L’Ue ci chiede di risolverlo in un anno e il nuovo Parlamento dovrebbe occuparsene immediatamente, rimettendo mano al Piano carceri, approvando norme su misure alternative e depenalizzazione di alcuni reati, consentendo ai tossicodipendenti di curarsi all’esterno e non usando la custodia cautelare come anticipazione della pena. In materia di giustizia, alcune riforme sono prioritarie e realizzabili rapidamente, mentre altre andrebbero affrontate a medio e lungo termine”. L’ex procuratore antimafia, Pietro Grasso, candidato del Pd al Senato, non ha perso l’attitudine pragmatica a mettere in fila i problemi a seconda delle emergenze, acquisita in 43 anni di magistratura. Intanto però si schermisce dalle voci che lo vorrebbero futuro Guardasigilli: “Metto la mia esperienza al servizio del partito e del Parlamento”. Non sarà l’unica toga in Parlamento... Intanto sarò una ex toga, visto che mi sono dimesso prima di candidarmi. E ritengo che chi fa una scelta simile, per coerenza, non debba poi rientrare in magistratura. Quali riforme considera prioritarie? Nel penale c’è un pacchetto di norme che potrebbe limitare l’inquinamento criminale dell’economia: introdurre il reato di auto-riciclaggio; ripristinare il falso in bilancio, che permette di scoprire altri illeciti, come evasione, fondi neri o tangenti; appesantire le pene perle false fatturazioni e per la frode fiscale. E le somme confiscate dovrebbero servire ad alleggerire le tasse su imprese e lavoratori, per far crescere l’occupazione. E sui rapporti mafia-politica? Basterebbe aggiungere, nella norma sul voto di scambio, accanto alla dazione di denaro, quella di “altre utilità”. Ma si dovrebbe pure rimettere mano alla legge anti-corruzione, che il compromesso fra partiti ha annacquato, ad esempio concedendo benefici a chi denuncia e protezione per i dipendenti pubblici che smascherano il malaffare. Coi pentiti di mafia ha funzionato... Fra le urgenze, il ministro Severino include la riforma della prescrizione. La mia posizione è questa: dopo il rinvio a giudizio, come avviene in altri Paesi, non può esserci prescrizione, perché il processo deve andare a compimento. Ovviamente, con garanzie che avvenga in tempi brevi... È il tasto più dolente per cittadini e imprese: la lentezza dei processi, anche nel settore civile. Per venti anni non si è fatto nulla. Mentre si ragiona in termini alti, credo si possano fare mini-riforme. Penso alle notifiche: perché non consentire di farle tutte al difensore, come in Cassazione, anziché all’interessato, spesso introvabile? Dambruoso (Sc): punire i ricorsi inutili, l’amnistia non risolve “Rispetto il recente richiamo del presidente della Repubblica Napolitano su un possi- bile ricorso all’amnistia. Tuttavia, da tecnico, mi permetto di osservare come si tratti di un provvedimento emergenziale, inadatto a risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri, che si riproporrebbe nel giro di qualche anno. Credo che sia opportuno affrontare in modo sistematico i vari nodi, che del resto non possono essere sciolti neppure con la formula populistica “servono più carceri”. Candidato alla Camera in Lombardia nella lista montiana “Scelta civica”, il magistrato Stefano Dambruoso è uno dei maggiori esperti nel contrasto al terrorismo internazionale e conosce dall’interno il sistema giustizia. Qual è la sua ricetta per svuotare le carceri? Credo che il Parlamento debba agire senza indugi, in considerazione della richiesta che ci viene dalla Ue, investendo sui progetti di lavoro per i detenuti e su un serio sistema di pene alternative, ma anche rivedendo leggi come la Cirielli, che pongono ostacoli oggettivi all’allargamento dei benefici ad una platea maggiore di reclusi. E in materia di giustizia? Alcuni temi dibattuti sterilmente negli ultimi vent’anni - intercettazioni, separazione delle carriere, leggi ad personam - non sono priorità, né servono a restituire efficienza alla macchina giudiziaria. Come si potrebbe farlo? Senza riforme costituzionali. Basterebbero leggi ordinarie. Nel settore civile, si può alleggerire il contenzioso favorendo i riti alternativi e rivedendo l’istituto della mediazione, ma anche disincentivando i ricorsi eccessivi in appello, con provvedimenti sfavorevoli per incorrenti “temerari”. E nel settore penale? Proporrei il ripristino del falso in bilancio, l’introduzione dell’auto-riciclaggio, ma anche la depenalizzazione di alcuni reati e un’attenta rilettura dell’obbligatorietà dell’azione penale. Sui tempi di prescrizione, concordo con chi sostiene che non debbano più decorrere dopo il rinvio a giudizio, ma credo pure in forme di computo in caso d’inattività di chi amministra il processo. In futuro, pensa di rientrare in magistratura? Io credo che, salendo in politica, il magistrato perda la caratteristica della terzietà: è una scelta irreversibile. E m’impegnerò a far approvare una norma bipartisan, ispirata ai ddl depositati dai senatori Nitto Palma (Pdl) e Casson (Pd), che consenta ai magistrati di rientrare nella pubblica amministrazione, ad esempio nel Consiglio di Stato o nell’Avvocatura, ma senza esercitare più funzioni giurisdizionali. Giustizia: morire di carcere in Italia… già sei i suicidi accertati dietro le sbarre nel 2013 di Stefania Carboni www.giornalettismo.com, 14 febbraio 2013 Meno spazio, più suicidi. È questa l’assurda formula delle carceri italiane sempre sull’orlo del collasso. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone il tasso di sovraffollamento sale al 142%. Ovvero, 140 detenuti ogni 100 posti. La media europea si ferma al 99,6%. Tra le regioni più affollate la Liguria (176,8%), la Puglia (176,5%) e il Veneto (164,1%). Quelle in cui i tassi sono “bassi” l’Abruzzo (121,8%), la Sardegna (105,5%) e la Basilicata (103%). In Italia è comunque record sovraffollamento: 146 detenuti ogni 100 posti letto. Negli otto paesi studiati dall’Osservatorio europeo sulle condizioni dei detenuti il paese ad avere il più alto numero di persone dietro le sbarre è il Regno Unito con 95.161 persone. Seguono la Polonia, con 85.419 detenuti, Spagna con 69.037 e il nostro paese che ospita 65.701 unità. Il tasso di sovraffollamento più alto d’Europa lo ha la Lettonia, 297 carcerati ogni centomila abitanti. La tendenza è in crescita ma sempre nel rapporto si parla di una diminuzione dei detenuti in “Italia e Spagna” negli ultimi due anni. Una soluzione secondo il rapporto ci sarebbe: le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri. Come si vede il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100.000 abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia e Regno Unito e, più di recente, della Spagna, alla Polonia o al Portogallo, dove queste misure sono pressoché inesistenti. In base all’Osservatorio circa il 37% delle persone che si trovano nelle carceri italiane sono straniere. Il 30 per cento dei carcerati è invece composto da tossicodipendenti. Quasi la metà dei detenuti totali, secondo Antigone, è sotto i 35 anni. A confermare che la situazione non migliora affatto sono anche i rapporti mensili pubblicati dal Ministero di Grazia e Giustizia. “Secondo le nostre stime, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono ben oltre 22mila in più dei posti-letto disponibili, come puntualmente si verifica da almeno sei mesi a questa parte” precisa Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e candidato capolista al Senato per la regione Lazio nella lista Rivoluzione Civile. “I dati che ci pervengono dagli istituti penitenziari - prosegue Beneduci - conteggiano, infatti, una presenza detentiva, in data 11 Febbraio, pari a 65.853 ristretti distribuiti in locali che ne posso ospitare al massimo 43mila e, analogamente a quanto occorso negli ultimi tempi con 8 regioni su 21, in cui il rapporto tra spazi disponibili e presenze è di 1 a 3. Anche per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, inoltre, le cose vanno tutt’altro che bene, tenuto conto che dall’inizio dell’anno prestano servizio in carcere 150 poliziotti penitenziari in meno (1.080 in meno dall’inizio dello scorso anno), rispetto ad un organico nazionale che, riorganizzato nel 1992 in rapporto agli allora 40mila detenuti presenti, è già carente di 7mila unità”. Una situazione preoccupante: “Nel frattempo sono infatti peggiorate in carcere le condizioni di vivibilità (meno di 4 euro al giorno per il vitto), di lavoro (meno di 3 euro al giorno) e per il reinserimento sociale (0,22 cent. giornalieri), come la grave e perdurante emergenza suicidi va a dimostrare”. Sulla situazione è intervenuto perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando il Parlamento a stringere i tempi. Una delle possibili misure è la “amnistia” ma applicata a solo alcune particolari categorie, escludendo dai benefici i delitti più gravi e quelli di stampo mafioso. A sostenere le parole del Presidente della Repubblica anche il ministro della Giustizia Paola Severino. Il suo decreto “Svuota carceri” non ha però sortito gli effetti sperati. In base alle nuove misure, per l’arrestato in flagranza di reato è disposta in via prioritaria la custodia ai domiciliari. Non solo c’è il passaggio da 96 a 48 ore dal termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida e l’estensione da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare. Ma in Italia si continua a morire di prigione. A inizio gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza e ha imposto un risarcimento di 100 mila euro per danni morali. Nella misura la Corte invita il governo a porre immediatamente rimedio al “sovraffollamento carcerario”, anche perché la situazione attuale viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove si ha a disposizione “meno di 3 metri quadrati”. Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti sono 60 i suicidi del 2012 nei penitenziari italiani. I dati dell’associazione sono costantemente aggiornati dal 2000 ad oggi. Oggi, a due passi dalla fine di febbraio, sono già sei le persone che hanno deciso di farla finita e 23 i morti dietro le sbarre italiane. Giustizia: Casson; carcere solo per reati di allarme sociale, amnistia e indulto dopo riforma Il Velino, 14 febbraio 2013 “La macchina della giustizia penale sì trova in uno stato vergognoso e prefallimentare e va quindi profondamente riformata, ma non bisogna mettere il carro davanti ai buoi”. Lo afferma il senatore Felice Casson, vicepresidente del gruppo Pd in un intervento pubblicato oggi da Panorama. “Come Partito democratico ripresenteremo all`inizio della nuova legislatura norme adeguate per fare in modo che il carcere sia previsto solo per le situazioni di allarme sociale - aggiunge - Questo significa per esempio depenalizzare situazioni bagatellari, modificare le norme sulla custodia cautelare, prevedere misure alternative al carcere, consentire nella maniera più ampia possibile il lavoro e lo studio alle persone detenute, abrogare la legge Cirielli sulla recidiva nonché le leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi. “A completamento di questo percorso - conclude - nessun problema a valutare le proposte di amnistia e indulto”. Bonino (Radicali): l’amnistia c’è già, si chiama prescrizione “Nel nostro Paese, c’è uno spread democratico e di diritti, rispetto ai trattati e alle convenzioni, alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Vale per la giustizia, per le carceri dove ci sono 31 mila persone in attesa di giudizio”. Emma Bonino, vicepresidente del Senato e candidata nella nuova lista radicale Amnistia Giustizia e Liberta, interviene in diretta a Radio Anch’io. Per il problema delle carceri, per cui l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea di giustizia Bonino propone di partire dall’Amnistia, “per risolvere a monte gli altri problemi, come la legge sull’immigrazione che va cambiata e quella sull’uso di stupefacenti, per esempio. È il filo da tirare che si può portare dietro tutte le altre leggi. Peraltro l’Amnistia c’è già, ogni anno ci sono 200 mila prescrizioni”. La leader radicale, protagonista di molte campagne, dal divorzio all’aborto, è scettica sulla possibilità che il prossimo Parlamento in autonomia possa intervenire sui temi civili, dal carcere, al divorzio breve, alla fecondazione assistita: “O ci sarà una grande mobilitazione popolare oppure i partiti saranno incapaci di spingere verso il cambiamento. In Italia, c’è uno spread gigantesco di diritti civili che sono grandissime questioni sociali”. Giustizia: Della Vedova; più pene alternative, impegno Severino frustrato da Parlamento Agenparl, 14 febbraio 2013 Benedetto Della Vedova, candidato al Senato in Lombardia nella lista Con Monti per l’Italia, ha visitato quest’oggi il carcere milanese di Opera. “L’amministrazione e gli agenti di questa struttura - ha detto Della Vedova al termine della visita - meritano un encomio per l’impegno e l’attenzione che riservano alle condizioni di pena dei detenuti. Anche a loro, come a quanti operano in tutta Italia per rendere decenti carceri che a causa di un sovraffollamento patologico mediamente non lo sono, dobbiamo l’impegno ad affrontare con riforme legislative l’emergenza penitenziaria. Il Parlamento - ha aggiunto Della Vedova - nell’ultimo anno di legislatura ha frustrato il tentativo del ministro Severino di alleggerire sia la situazione carceraria che il carico giudiziario, estendendo l’utilizzo di pene alternative e prevedendo la sospensione con messa in prova dell’imputato nei procedimenti per reati minori. L’idea che il ricorso alle pene alternative metta a rischio la sicurezza dei cittadini è smentita dai numeri e dall’esperienza di quei Paesi in cui, come ha ricordato il Ministro, “il 75% dei colpevoli di reati minori sconta pene alternative, mentre da noi l’80% resta in carcere”. Spero che nel prossimo Parlamento - ha continuato Della Vedova - prevalga una sensibilità diversa, per ripartire lungo la linea tracciata dall’attuale esecutivo. Quanto ai provvedimenti di clemenza, quali l’indulto o l’amnistia, non ho alcuna contrarietà di principio, né preclusione politica. Temo però, realisticamente, che per queste misure sarà più difficile trovare i numeri nel prossimo Parlamento. Proprio perché non ho un’idea opportunistica e classista delle garanzie in ambito penale - ha concluso Della Vedova - penso che la cultura garantista imponga di curarsi dei diritti di tutti i detenuti anonimi e non solo di alcuni imputati o condannati eccellenti”. Impegno Severino frustrato da Parlamento Benedetto Della Vedova, candidato al Senato in Lombardia nella lista Con Monti per l’Italia, ha visitato quest’oggi il carcere milanese di Opera. “Il Parlamento nell’ultimo anno di legislatura ha frustrato il tentativo del ministro Severino di alleggerire sia la situazione carceraria che il carico giudiziario, estendendo l’utilizzo di pene alternative e prevedendo la sospensione con messa in prova dell’imputato nei procedimenti per reati minori”, ha detto Della Vedova al termine della visita. “L’idea che il ricorso alle pene alternative metta a rischio la sicurezza dei cittadini è smentita dai numeri e dall’esperienza di quei Paesi in cui, come ha ricordato il Ministro, il 75% dei colpevoli di reati minori sconta pene alternative, mentre da noi l’80% resta in carcere. Spero che nel prossimo Parlamento - ha continuato Della Vedova - prevalga una sensibilità diversa, per ripartire lungo la linea tracciata dall’attuale esecutivo. Quanto ai provvedimenti di clemenza, quali l’indulto o l’amnistia, non ho alcuna contrarietà di principio, né preclusione politica. Temo però, realisticamente, che per queste misure sarà più difficile trovare i numeri nel prossimo Parlamento. Proprio perché non ho un’idea opportunistica e classista delle garanzie in ambito penale - ha concluso Della Vedova - penso che la cultura garantista imponga di curarsi dei diritti di tutti i detenuti anonimi e non solo di alcuni imputati o condannati eccellenti”. Giustizia: Cucchi (Rc); subito una legge sulla tortura la gente in carcere continua a morire Public Policy, 14 febbraio 2013 “Una legge sulla tortura subito nel prossimo Parlamento”. È questa la priorità per la candidata capolista in Lazio di Rivoluzione civile, Ilaria Cucchi, in diretta a radio Anch’io su Radio 1. “Anche recentemente il Parlamento ha avuto la possibilità di approvarla e ancora una volta per cavilli, la legge si è arenata” commenta Cucchi, sorella del Stefano Cucchi, morto nel 2009 mentre era in custodia cautelare. “L’Italia deve vergognarsi per come ha ridotto le carceri, attualmente sono delle discariche sociali, stracolme di derelitti umani, finiti là senza avere importanti responsabilità penali - commenta Cucchi. Non si può aspettare un istante di più. Da vent’anni sento programmi ma la gente nelle carceri continua a morire”. Giustizia: Menia (Fli); interrogazione su personale della carriera dirigenziale penitenziaria Agenparl, 14 febbraio 2013 In un’interrogazione a risposta scritta presentata al Ministro della Giustizia, il deputato Roberto Menia (Fli) chiede spiegazioni in merito “allo stato di agitazione minacciato dalle Organizzazioni Sindacali del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, in quanto, il 12 febbraio u.s., esse hanno appreso che sono stati firmati i Decreti relativi alla valutazione degli incarichi, sebbene, dopo anni dalla riforma (Legge 154/2005), la categoria sia ancora priva del primo contratto; né abbia trovato applicazione, nei loro confronti, la ricostruzione di carriera prevista dall’art. 28 del D.lgs. 63/2006 con grave nocumento per gli stessi”. Inoltre il coordinatore nazionale di Futuro e Libertà chiede chiarimenti su “un Dpcm, che sarebbe in procinto di essere varato, sulla riduzione di dirigenti penitenziari generali, nonostante essi siano esclusi dalla spending review”. L’interrogante domanda, quindi, se “non si ritenga opportuno non depauperare ulteriormente un corpo di dirigenti dello Stato che si fa carico della gestione di oltre 65mila persone detenute e decine di migliaia di appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria”. E inoltre se “non si ritenga di riconsiderare l’opportunità che vengano date tempestive e nuove direttive affinché sia assicurata ai dirigenti penitenziari la corresponsione dell’una tantum per l’appunto prevista per il personale delle Forze dell’Ordine al quale essi sono equiparati, in attesa che venga definito e stipulato il loro primo contratto di categoria” Si interroga, infine, il Ministro su “quali iniziative siano assunte da parte del Dap per assicurare la necessaria e fondamentale presenza di dirigenti penitenziari nelle 206 carceri del Paese, pure in relazione alla reiterata dichiarazione dello stato d’emergenza delle carceri, proclamata con appositi e ripetuti Dpcm, dai recenti governi e quello attuale, emergenza che ha dato la stura al c.d. piano carceri. Giustizia: allarme degli psichiatri; chiusura Opg, da aprile 800 malati mentali senza cure Ansa, 14 febbraio 2013 Con la chiusura dall’1 aprile degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg), 800 malati mentali gravi saranno “a rischio cure” e “soli” perché le strutture alternative di assistenza previste “non sono ancora state approntate dalle Regioni”. È l’allarme lanciato dalla Società italiana di psichiatria (Sip), che chiede una proroga dei termini. Si potrebbero verificare, avverte il presidente eletto Emilio Sacchetti, “problemi di sicurezza per il rischio di reiterazione di reati da parte di alcuni dei pazienti”. Gli Opg chiuderanno in base a un disegno di legge voluto dai ministeri di Salute e Giustizia. Ma il nostro Paese, è l’allarme lanciato dagli psichiatri durante una conferenza stampa alla Camera, “è impreparato a gestire e collocare questi pazienti, alcuni anche pericolosi, a causa dell’assenza di strutture alternative o di finanziamenti che seppur stanziati non sono facilmente fruibili”. La mancata gradualità nella chiusura degli Opg (le Regioni avranno solo 60 giorni per trovare strutture alternative) e “l’inascoltato appello a una proroga, rischia di provocare gravi conseguenze”. La Sip denuncia, inoltre, la carenza di assistenza psichiatrica nelle carceri, dove peraltro confluiranno molti di questi malati. Malati che si sommeranno a quel 15% di detenuti (oltre 10 mila nel 2012) che risulta affetto da disturbi psichici, malattie infettive o correlate alle dipendenze. Il ddl, spiega il presidente Sip Claudio Mencacci, “è stato portato avanti senza sentire ragioni. Questo non è accettabile, così come non è accettabile che agli psichiatri, a causa di questo provvedimento, saranno gravati da ulteriori responsabilità civili e penali e verrà loro richiesta una funzione di vigilanza e custodia di questi malati invece di svolgere le funzioni di cura che loro competono”. Di fatto, chiarisce la Sip, i dipartimenti di salute mentale italiani, in quest’ultimo anno, hanno già provveduto a prendere in carico moltissimi pazienti provenienti dagli Opg, ma il problema si pone per quelli con situazioni più complesse che necessitano di una tipologia di controllo che le strutture territoriali attuali non possono dare. Prima di chiudere gli Opg, “occorre realizzare degli interventi strutturali tali da garantire, laddove necessario, la messa in sicurezza sia dei pazienti sia degli operatori e della comunità. Mentre oggi i reparti sono aperti e non preparati a gestire, in assenza di una rete coordinate alle spalle - avverte Sacchetti - situazioni di pazienti che possono reiterare un delitto”. Giustizia: Radicali; su “par condicio” la Lista Amnistia Giustizia Libertà denuncia la Rai Notizie Radicali, 14 febbraio 2013 Violazioni abnormi delle tre emittenti Radio Rai, Ballarò, Ultima parola, In Mezz’ora. Denunciate anche Radio 24 e Radio Kiss Kiss. La Lista amnistia Giustizia Libertà ha presentato tra ieri e oggi una serie di denunce all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per violazione della legge 28/2000 (cosiddetta par condicio) in periodo elettorale da parte di emittenti radiofoniche e televisive nazionali. Con riferimento alla radio, sono state denunciate le tre emittenti radiofoniche della Rai - Rai Radio 1, Rai Radio 2 e Rai Radio 3 - perché i rispettivi giornali radio dal 28 gennaio al 10 febbraio hanno concesso alla Lista amnistia Giustizia Libertà appena 36 secondi su di un totale di 13 ore e 24 minuti riservato alle altre forze politiche, mentre le trasmissioni di approfondimento politico radiofonico non hanno concesso alla Lista neanche un secondo su oltre 6 ore dedicate agli altri partiti. Analoga denuncia è stata presentata per il periodo 28 gennaio/10 febbraio nei confronti di Radio 24-Sole 24 ore, che ha dato informazioni sulla Lista amnistia Giustizia Libertà per 4 secondi su di un totale di quasi 6 ore dedicate alle forze politiche, e nei confronti di Radio Kiss Kiss, che nel medesimo periodo non ha concesso neanche un secondo alla lista nonostante abbia dedicato oltre 2 ore per informare sulle altre. Con riferimento alla televisione, la Rai è stata denunciata per le condotte tenute tra il 7 gennaio e il 12 febbraio dal ciclo di trasmissioni di Ballarò, Ultima Parola, In Mezz’ora leader. In tutte queste trasmissioni mai è stato ospite in studio un esponente della Lista amnistia Giustizia Libertà. A seguito di tale condotta, si è negata ai cittadini la possibilità di conoscere le proposte di una forza politica mentre si sono determinate situazioni di vantaggio a favore di determinate liste. Sono state favorite al di fuori di ogni legge le liste facenti parti delle coalizioni - in particolare il Pd, il Pdl e Scelta civica per Monti- e alcune delle liste che si presentano da sole, in particolare Rivoluzione civile e in misura minore Fare per fermare il declino. La Lista amnistia Giustizia Libertà ha chiesto all’Agcom un intervento urgente per ripristinare la par condicio violata a danno di tutti i cittadini prima ancora che per il soggetto politico. Giustizia: questa legge che libera Jucker… di Isabella Bossi Fedrigotti Corriere della Sera, 14 febbraio 2013 È tutto regolare, la legge è stata osservata (e sfruttata) al millimetro. Rito abbreviato, risarcimento milionario, condono, buona condotta, patteggiamento in appello consentito per qualche mese soltanto e poi di nuovo abolito, equivalenza tra attenuanti e aggravanti hanno portato la pena inflitta originariamente da 30 anni ad appena poco più di 10, di modo che Ruggero Jucker oggi è libero, con l’unico obbligo di firmare periodicamente il registro di polizia. Evitato anche quello, stabilito dalla sentenza, di un ricovero di tre anni in una casa di cura. Ma davvero è giusto che un uomo reo di aver intenzionalmente assassinato in modo barbarissimo e crudele la sua giovane fidanzata, finendola con 22 coltellate nel bagno di casa trasformato in una macelleria - senza che sia mai stato possibile individuarne un qualche motivo - torni in libertà dopo dieci anni soltanto? La legge è davvero così rigidamente ferrea, simile, quasi, a un meccanismo robotizzato, da non lasciare spazio a rinvii e ripensamenti di alcun tipo che, in questo caso specifico, sarebbero sembrati particolarmente opportuni, visto che l’omicida aveva dato segni di squilibrio e in carcere si era sottoposto a cure psichiatriche? Guarito del tutto? Risanato per sempre? - ci si chiede per forza. La rete - verace vox populi - è già in tumulto, e si grida al caso O.J. Simpson, la star di colore prima del football e poi anche del cinema americano che, anni fa, grazie ai suoi superpagati grandi avvocati, è stato, abbastanza incredibilmente assolto, nonostante l’impressionante numero di indizi, dall’accusa di aver ammazzato la bianca e bionda moglie fedifraga. Evidentemente, si afferma, anche da noi funziona una regola non tanto dissimile, in ragione della quale il sapersi muovere e i buoni mezzi possono fare la differenza tra imputato e imputato, tra ricco e povero, tra colto e ignorante. Certo, si tratta di rigurgiti, quasi sempre anonimi, della rete: fanatici a volte, populisti spesso, qualunquisti ancora più spesso, ma, non raramente, anche semplici voci del buon senso, difficili da non condividere. Quel che resta è la generale, a volte rabbiosa incomprensione di una giustizia che segue percorsi misteriosi ai più, che in occasioni come queste appare incredibilmente perdonista e in altre, invece, sorprendentemente punitiva. Inevitabile che faccia dire, non così a torto, all’uomo della strada - la rete in questo caso: ma se lasciano uscire uno Jucker dopo dieci anni, come fanno a darne sette a un Corona, che sarà pure un assoluto screanzato ma non un assassino? Severino: violenza donne, no benefici che accorcino carcere Bisognerebbe prevedere che i reati gravi di violenza contro le donne siano “esclusi dal novero dei reati che possono godere di alcuni benefici che possano accorciare la pena”. Una possibilità che il prossimo parlamento potrebbe introdurre in sede di attuazione della ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne adottata il 29 settembre 2011 e ratificata nel 2012. Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino intervenendo alla trasmissione radiofonica di Radio 24 “Nove in punto”. Pur ribadendo che il carcere deve essere una “extrema ratio” da applicare “solo per i casi che lo meritano”, interpellata sul caso di Ruggero Jucker, che uccise la fidanzata con 22 colpi di coltello e ora dopo 10 anni è stato rimesso in libertà, il ministro ha sottolineato che “se i casi lo meritano il carcere deve essere scontato con la durata che il reato merita”. “Il problema è complesso - ha specificato Severino - ma da madre, prima ancora che da ministro, sono rimasta molto colpita dalla vicenda” Jucker, e “comprendo la madre della vittima”, che ha detto che non c’è giustizia. Giustizia: quel che la vicenda Finmeccanica dice sulla carcerazione preventiva di Giuliano Ferrara Il Foglio, 14 febbraio 2013 Perché il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, è in carcere? Perché da due giorni, e non prima oppure dopo? Perché Orsi è detenuto se ancora non è giudicato in primo grado? Per rispondere a queste e altre domande occorre compiere uno sforzo preliminare, ovvero far tacere (mentalmente, si intende) il circo mediatico-giudiziario, e poi rileggere l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio. Sicuramente Orsi non è in carcere - questo lo scriviamo a uso di chi ieri si fosse limitato a una lettura rapida di titoli e sommari dei principali giornali italiani - per aver pagato tangenti alla Lega Nord o ad altri cittadini italiani, né perché “era prassi pagare mazzette” (Repubblica), né perché Orsi aveva costituito una “ragnatela” che andava “dalla Lega alla magistratura” (Corriere della Sera). Mancando il pericolo di fuga, la custodia cautelare in carcere è stata motivata con il duplice rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Sul primo punto, i giudici riferiscono di telefonate, di cui non sono fornite intercettazioni, partite da ambienti vicini a Orsi e destinate a utenze riconducibili ad ambienti del Consiglio superiore della magistratura (Csm) per esercitare pressioni e spostare il pm Eugenio Fusco. Il rischio inquinamento sarebbe dovuto anche a una campagna mediatica stabilita dallo stesso Orsi (provata dalle rimostranze rivolte al presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, editore del Sole 24 Ore, e dalla predisposizione di pagamenti per una società di comunicazione). Che poi Fusco sia rimasto al suo posto o che il Sole 24 Ore abbia chiesto le dimissioni di Orsi, questo pare non abbia importanza. Quanto alla reiterazione del reato, infine, si parla di “pratica tangentizia” che per l’indagato è diventata una “filosofia aziendale”. Eppure s’indaga ancora su un singolo caso di corruzione (per l’appalto india no), mentre tale “filosofia aziendale” non è possibile dedurla - come sembrano fare i magistrati - dall’indecisione di Orsi sulla formula “tangenti mai” da utilizzare o meno in un’intervista. Al di là di come finirà il processo per corruzione internazionale, dunque, al momento è legittimo chiedersi se la custodia cautelare in carcere sia stata utilizzata davvero, in questo caso, come “extrema ratio” per interrompere condotte criminose, come vuole il diritto. (Magari, si fa per dire, sarebbe stato sufficiente interdire Orsi dalla sua attività imprenditoriale). D’altronde a certi abusi sembriamo assuefatti: siamo pur sempre nel paese in cui il 40 per cento dei detenuti è ancora in attesa di giudizio definitivo, con una media Ue del 25 per cento. Orsi e Finmeccanica non c’entrano più: è in nome di migliaia di detenuti ignoti che questa giustizia va riformata. Lettere: carceri sovraffollate, dati indegni di un Paese civile L’Eco di Bergamo, 14 febbraio 2013 Il consigliere di Bergamo Marco Brembilla propone una riflessione sulle carceri dopo la multa dell’Ue, il monito del presidente Napolitano e l’assemblea comunale straordinaria, spezzando una lancia a favore delle misure alternative. “Egregio Direttore, dopo il Consiglio comunale straordinario di lunedì scorso e il monito del Presidente Napolitano, ritengo opportuno esporre alcune riflessioni sui temi del sovraffolamento delle carceri e delle misure alternative alla detenzione. I numeri sono devastanti, direi disumanizzanti; recentemente la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia al pagamento di 100.000 euro per trattamento degradante verso sette detenuti delle nostre carceri: avevano a disposizione meno di tre metri quadrati a testa, un primato che l’Italia condivide con la Serbia. Abbiamo, nella media, 148 detenuti per 100 posti contro i 99 della media europea. Il problema del sovraffollamento (al 31 dicembre 66.685 detenuti per una capienza di 46.795), non si risolve solo con la costruzione di nuove carceri. Purtroppo non è diventata legge la proposta di detenzione domiciliare alternativa alla reclusione per i reati di non particolare allarme sociale; inoltre i dati ci dicono che troppi sono i detenuti in attesa di sentenza. Oltre al sovraffollamento c’è tutto il capitolo delle misure alternative al carcere scarsamente utilizzate in Italia rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea; eppure la recidiva per chi espia la pena in carcere è del 68%, che si riduce al 19% per chi usufruisce di misure alternative e addirittura arriva al’1% per coloro che sono inseriti nel circuito produttivo (oggi misura difficilmente attuabile con la crisi economica); quindi anche con costi enormi per la collettività. Ho letto dati indegni per un Paese civile in termini di sovraffollamento e commenti tipo “non è obbligatorio andare in carcere, si può starne fuori” oppure che le carceri non sono alberghi. Viene così liquidato un problema che invece tocca la dignità delle persone, alle quali va data comunque la possibilità di riscatto e nessuno di noi pensa ad alberghi ma certamente a luoghi vivibili. Sul tema sovraffollamento molti puntano il dito contro gli immigrati: la percentuale è alta, inutile nasconderlo. Poi bisognerebbe sviluppare tutti i ragionamenti che non si riescono mai a fare in modo compiuto sulla cooperazione e l’aiuto allo sviluppo, azioni che ridurrebbero le masse di disperati facili prede della delinquenza organizzata, sul crinale sottile tra legalità e illegalità quando non vi sono certezze ma vi sono bisogni, senza per questo scadere nel buonismo o nel lasciar correre, ci mancherebbe! Una delle proposte è la possibilità di far scontare la pena nei paesi d’origine, ma è un metodo tutto da studiare in termini di collaborazione e ricadute sociali perché se la famiglia è in Italia si rischia di accentuare il danno e moltiplicare il disagio. Queste poche parole per dire quanto il problema sia complesso ma, proprio per questo richiede di non procrastinare oltre le possibili soluzioni, anche per il disagio del personale che deve gestire non un’emergenza, ma un’emergenza che si è fatta normalità. Come ha scritto in un recente articolo il magistrato Adriano Sansa: “la giustizia è accettabile se si muove nell’ambito delle leggi, in ogni sua fase. Il carcere, misura estrema, non può essere fuori dalla legge. Se lo è, fa perdere legittimità all’intero sistema penale, anzi allo statuto della cittadinanza e dei diritti”. Dobbiamo tener alta l’attenzione verso quell’edificio che non è altro rispetto alla società, ma è un luogo di grandi fragilità che, pur con tutte le difficoltà che è inutile sottacere, non può essere né dimenticato né lasciato “solo” a chi vi opera, per attività lavorativa o di volontariato. Qualcosa è stato fatto con la recente legge 9/2012, soprattutto per i casi di detenuti per periodi brevissimi; con maggior collaborazione tra le forze politiche si poteva fare di più. Certamente dovrà essere uno dei compiti urgenti del nuovo governo. Qualcuno dirà che in questo momento sono altre le priorità, io credo che i diritti delle persone siano sempre una priorità, anche se hanno compiuto errori, altrimenti è l’intero impianto della convivenza civile che salta; ovviamente il cammino deve essere reciproco, ma diventa difficile se le situazioni di detenzione diventano lesive dei diritti stessi”. Marco Brembilla, Consigliere comunale Partito democratico Salerno: un giudice di Pace condanna lo Stato, il carcere di Fuorni è sovraffollato Ansa, 14 febbraio 2013 Primo caso in Italia per questo tipo di ricorsi dopo le condanne dell'Ue. Risarcimento di mille euro. Le condanne contro l'Italia, per le carceri sovraffollate, fino ad ora erano arrivate dall'Unione Europea. Ma mai un giudice territoriale aveva espresso la stessa condanna in un procedimento civile. E invece, adesso, anche questo fa giurisprudenza. Perchè un giudice di pace di Salerno, su ricorso presentato dallo studio legale Sessa di Nocera Inferiore, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento danni nei confronti di un detenuto del carcere di Fuorni a Salerno per le «pessime condizioni di detenzione» delle carceri. Il ministero dell'Interno dovrà pagare un risarcimento di mille euro al detenuto. E la motivazione è proprio nel sovraffollamento della casa circondariale. "Si tratta di un traguardo importante non solo per il nostro studio dal punto di vista professionale - commentano gli avvocati Gaetano e Michele Sessa - ma soprattutto dal punto di vista etico e morale per l’intera società. Questa sentenza potrebbe infatti aprire la strada a numerosi ricorsi che, secondo quello che abbiamo potuto constatare, potrebbero trovare sempre fondamento in una situazione a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato". Bari: dalla visita alla Casa circondariale la cronaca di una “normale” illegalità di Francesco Mastroviti e Michele Fiore Notizie Radicali, 14 febbraio 2013 Ore 14.30, Bari, appena finita la presentazione della Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà!”, fa freddo e piove a dirotto. Con Maurizio Turco cominciamo la nostra visita ispettiva al carcere. Della Direzione non c’è nessuno, è sabato pomeriggio, gli agenti di Polizia penitenziaria non tardano nell’identificarci ed accompagnarci all’Ufficio matricola. Abbiamo la sensazione di essere i benvenuti, quasi avessero bisogno di denunciare le loro problematiche e veder accendersi un faro su questa realtà, scordata un po’ da tutti, dove anche loro, sembrano esserne ulteriori vittime. Ci spiegano che dovrebbero essere 394, se ci si rifacesse al Decreto Fassino del 2001 ma, a quanto pare, 376 sono in servizio, 60 distaccati, dei quali 43 destinati al Prap, 41 provenienti da altre sedi, i quali, pur avendone diritto, non possono sostare nella loro Caserma perché dichiarata inagibile. Insomma, si evince che sono sott’organico di 37 unità. Fortunatamente i loro straordinari entro le 41 ore sono regolarmente retribuiti. Di notte lavorano in 20, includendo gli addetti alla portineria, di giorno, si avvalgono dell’ausilio di Vpf (Volontari in Ferma Prefissata) con formazione diversa da quella richiesta per il tipo di servizio in una struttura penitenziaria. Iniziano a sciorinare cifre, hanno la ferma volontà di informarci di tutto. Bari ha una Casa Circondariale che è anche Cdt, Centro di Detenzione Terapeutica. Riceve, suo malgrado, tutti i detenuti di Puglia e regioni limitrofe per cui si attesti la necessità di cure. La Sanità qui è gestita dalla Regione, il Centro Clinico dispone di 28 posti letto includendo i piantoni. Circa la metà dei detenuti sono presso il Carcere di Bari proprio perché c’è il Cdt. I detenuti possono essere accolti sia come “ricoverati” sia come persone che “si avvalgono delle cure” del Ctd. L’avvalersi delle cure è formula che spesso giustificherebbe un esagerato trasferimento presso questo carcere di numerosi detenuti. Sarà il primo luogo che dopo visiteremo. Qui, un detenuto si lamenta del ritardo nella ricezione dei farmaci e del fatto che debba anticipare a proprie spese i soldi per comprarsele. Il reparto dispone di una cella cosiddetta di “isolamento” per pazienti a rischio contagio ma così sterile non ci sembra e per giunta, in questo reparto lavorano normalmente gli agenti penitenziari che, sempre dall’Ufficio Matricola, ci fanno sapere di non essere oggetto di alcuna profilassi di prevenzione, sono anch’essi a rischio contagio, se si eccettua l’uso di una mascherina, e che, da tempo, non sono previste per loro delle visite mediche e che, la loro categoria, non è inclusa tra quelle considerate usuranti, privata dei benefici di legge pensati per i lavori logoranti, nessuna assistenza psicologica, nessuna forma di sanità privata convenzionata. Un agente ci parla anche della sua personale esperienza di rischio d’aver contratto Hcv da un detenuto dal quale dice d’esser stato aggredito e di pagarsi, per conto proprio, tutti gli analisi nell’anno di monitoraggio successivo all’accaduto, pur di verificare se v’è stato contagio o meno. Gli rimborseranno tutto, gli hanno assicurato, ma per ora, non ha ancora ricevuto nulla. Insomma, Bari sembra essere più un Ospedale mascherato da carcere che un carcere con un normale servizio sanitario destinato alla popolazione in essa “ospitata”. L’Ufficio Matricola è il nostro scrigno di informazioni. Da qui possiamo iniziare la nostra visita e, prima di dirigerci nella struttura, veniamo a conoscenza che il Carcere ha una sezione chiusa per ristrutturazione, al momento del nostro arrivo ospita 491 detenuti, uno è in fase di scarcerazione ed un agente, visibilmente scoraggiato, ci mostra il faldone di carte che deve compilare per procedere alla scarcerazione dello stesso. Meno di un giorno di detenzione e l’ufficio è subissato di documenti da compilare e moduli da redigere, timbri e firme da apporre. Sono quindi 490 i detenuti presenti, anteriormente alla chiusura della sezione, ne erano 700. Bè, i posti regolamentari, a sezioni funzionanti, sono 292 e, se consideriamo che la sezione attualmente chiusa, regolarmente potrebbe ospitarne un centinaio, il soprannumero è di 300 unità. Immaginiamo anche cosa sarebbe per gli agenti se, sott’organico di 37 unità, dovessero occuparsi di ulteriori 200 detenuti. Ci sono quattro Sezioni. La prima su tre piani. La seconda, la terza e la quarta su due piani. C’è una sezione A.S. (Alta Sicurezza) con al momento circa 150 detenuti. C’è la sezione Femminile con attualmente circa n.20 detenute. Nessuna con bambini costretti a convivere in carcere. Dei 490, 228 sono in attesa di giudizio, quasi la metà!! 58 sono appellanti, 23 hanno fatto ricorso in Cassazione, 123 scontano condanna definitiva, 1 con fine pena mai. Di essi, gli stranieri sono quasi sempre separati dagli italiani, i tossicodipendenti invece no. Non sono ben tollerati dagli altri detenuti e spesso vengono messi nella sezione “protetti” o “nuovi giunti”. I casi di tossicodipendenti e alcolisti sono segnalati al Sert che difficilmente prende in carico le problematiche. C’è un Servizio di Psichiatria. Vengono svolti regolarmente i colloqui anche con psicologi che segnalano i casi da tenere in osservazione. La percentuale di atti autolesionistici non è alta. Negli ultimi sei anni ci sono stati comunque tre suicidi (ultimo Carlo Saturno). Riguardo alle lavorazioni ed alla socializzazione, purtroppo a Bari c’è permanenza troppo breve per attuare un programma di lavoro o di studio. Un istituto di ragioneria barese ha richiesto che almeno n.15 detenuti partecipino alle lezioni per un tempo congruo per istituire un corso e coinvolgere i propri docenti. Invece le continue entrate-uscite non consentono tale organizzazione. C’è una biblioteca o più precisamente una certa quantità di libri gestita da volontari sono a disposizione dei detenuti che li richiedono. A livello trattamentale, la socialità è pertanto assente, le ‘ore d’arià sono 4, due al mattino e due alla sera. Il cibo è preparato all’interno del carcere. Recuperati questi dati, ci inoltriamo in un corridoio freddissimo, come il resto della struttura, in accettazione, in due cellette sprovviste di tutto, alcuni nuovi giunti, in attesa di destinazione, ci fanno vedere che dispongono di due panche e nulla più. Hanno i volti spaventati, il carcere sembra aver dato loro un poco “caloroso” benvenuto. Procediamo quindi verso il Cdt, di cui ho già riferito. Lo stato igienico ci sembra discreto. È ora di inoltrarci nella sezione femminile che, del genere, ha solo i colori. Le detenute sono 22, tanto rosa e lilla alle pareti di una struttura che sembra uscita da un film dei primi del ‘900, le finestrelle sono spioncini, tra i piani ci sono ancora le reti metalliche di protezione, i bagni sono alla turca, fa freddo anche qui, logore spugne sarebbero i materassi, il personale è gentile e le donne sembrano indaffarate nella preparazione della loro cena. Ci avviamo alla 3ª terrena, le famose celle di cui ci avevano già parlato gli agenti, quelle in cui si dovrebbe sostare tutt’al più una notte in attesa di essere valutati psicologicamente ed indirizzati ad una sezione “definitiva”. Qui invece si può rimanere anche dieci giorni. Non c’è spazio “ai piani”. In una cella di solo italiani, convivono 16 detenuti con improbabili letti a castello foderati dalle spugne già menzionate. Qualcuno di loro ci racconta di non avere alcuna privacy nell’espletamento dei bisogni fisiologici, di non disporre di asciugamani (gli agenti ci confermano di non averne). Nell’altra cella di soli stranieri, ce ne sono 12, uno di essi con una T-Shirt, e la temperatura non supera i 10 gradi, un altro non ha le scarpe, ne ha fatto richiesta ma dice di non averle ancora ricevute, un altro calza solo sandali di plastica. Dicono di non gradire il cibo, di non ricevere vestiti a sufficienza, di non essere ascoltati. Uno di loro, a onore del vero, ha preferito rimanere qui, nonostante gli abbiano offerto di esser sistemato ai piani “alti”. Forse si è già ambientato, forse sa quel che lascia e non vuol rischiare di trovare una situazione persino peggiore. Si procede, passiamo per la Cappellina che gli agenti dicono essere frequentata da una quarantina di detenuti alla domenica. Diamo uno sguardo ai corridoi all’aperto, uno per sezione, per evitare commistioni e rischio per la sicurezza e la civile convivenza. Gli spazi, come anche sottolineato dall’Onorevole Turco, sono ben ampi rispetto ad altre realtà penitenziarie da lui visitate. Ci sono anche le porte per il calcetto. Ci si dirige verso la prima sezione. Anche qui gli stranieri sono separati dagli italiani. In una cella da 10 brande, ve ne sono 7 ma, il massimo tollerabile in questa cella sarebbe di 6 detenuti, regolamentari 4, ed invece pare che al mattino ve ne fossero 10. Un detenuto napoletano loda il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria, si lamenta però del nullo spazio a disposizione e del freddo, del fatto che i riscaldamenti siano accesi un paio d’ore alla sera ed una al mattino e la cosa è evidentemente insufficiente. Arriviamo ad una cella di stranieri. Qui siamo quasi aggrediti dalle richieste di ognuno. C’è un anziano, visibilmente emaciato, ci mostra i segni della dialisi sulle sue esili braccia, i compagni di cella ci dicono che ha difficoltà a salire al terzo piano di brande e preferisce dormire a terra, ha avuto problemi di cuore e, a nostro avviso, qui non dovrebbe stare. Si chiama, ironia della sorte, Abari, ha meno di sessant’anni ma ne dimostra molti di più. Ci raggiunge nel frattempo la Vice Direttrice del carcere. È giunto il momento di conoscere Samuel, fermato alla frontiera per possesso di ingente quantitativo di droga. Samuel non parla italiano, è guardato a vista. In stretto scozzese mi racconta di sentirsi disumanizzato, trattato come un panda e non come un essere umano, di non poter parlare con nessuno, di essere fissato costantemente dalla guardia. Non se la prende con il personale del carcere ma con il tipo di reclusione a cui è condannato. Gli spieghiamo di far richiesta al proprio avvocato di ricorrere presso il Magistrato per vedere modificate queste sue condizioni di detenzione. La Vice Direttrice ci spiega che è costantemente in contatto con il Foreign Office inglese ma che, nonostante tutti gli sforzi possibili, non le è consentito, materialmente, modificare questi trattamenti anche perché la mole di lavoro è eccessiva per i mezzi di cui dispongono e che anzi, vorrebbe che tutti i detenuti potessero essere oggetto delle stesse attenzioni di cui dispone il cittadino scozzese. La visita si avvia al termine, c’è ancora il tempo per avere conferma del fatto che i detenuti baresi potranno votare nonostante non siano in molti quelli che ne abbiano fatto richiesta. All’Ufficio Matricola abbiamo lasciato i moduli da compilare per far richiesta di esercizio del diritto di voto da parte dei detenuti e per consentire all’Amministrazione penitenziaria di richiedere al Sindaco le tessere elettorali per i detenuti che ne sono sprovvisti. Il sovraffollamento è il grande problema. La cosiddetta “svuota carceri” non svuota un bel niente. C’è direttamente il “riempi carcere”. Le detenzioni, anche brevissime - uno due giorni - non vengono allocate nelle Caserme dei Carabinieri. A Bari i presidi di PS sono spesso situati in appartamenti e non attrezzati con celle per la detenzione, o con personale che possa svolgere la guardia, o con mense che possano assicurare il vitto. A Grumo Appula c’è una caserma dei Carabinieri con 20 celle ma a Bari, le celle esistenti, non possono essere utilizzate, come la caserma degli agenti di polizia penitenziaria. Qualche altro dato per finire: Gli stranieri a Bari sono quasi il 30%. Le condizioni igieniche generali sono discrete ma sicuramente non “a norma”. Le visite dei parenti vengono svolte dal lunedì al sabato, dalle ore 9.00 alle ore 12.00. La zona colloqui è stata recentemente ristrutturata. Sembrano essere carenti le forniture personali (vestiario, scarpe, carta igienica), le disponibilità adeguate di medicinali (acquistati a loro spese dai detenuti). Il riscaldamento degli ambienti è sicuramente insufficiente. Sono numerosi i casi di “Articolo 11”, detenuti che necessitano di cure urgenti trasferiti presso Ospedale esterno. Il Carcere di Bari non è un ospedale eppure lo si vuol considerare in parte così. Nessuna tutela per chi ci vive, agenti inclusi. La Vice Direttrice denuncia la carenza di fondi, ci dice che deve lottare persino per fornire un secondo rotolo di carta igienica, per detenuto, alla settimana vi chiederete? No, al mese. S’è fatto tardi. Ci diciamo che il monitoraggio proseguirà. L’On. Maurizio Turco sottolinea la disponibilità del personale e della Direzione, dice d’aver visto di peggio ma che, anche qui, c’è tanto da fare, c’è molto da denunciare e conquistare alla Legalità ed all’Umanità. Siamo infreddoliti per non dire ghiacciati. Nemmeno un cappuccino riuscirà a farci recuperare la temperatura corporea. Continua a piovere ed all’esterno della macchina ci sono appena 3 gradi. Non è fuori luogo chiedere, anche dal carcere di Bari, amnistia, Giustizia e Libertà. Anche perché, chiusesi le porte alle nostre spalle, i detenuti reclusi sono ora diventati 493. p.s.: Insieme ringraziamo Maurizio Turco per averci permesso di conoscere questa nostra realtà che, sicuramente, dovrebbe esser nota anche al nostro Sindaco, per avere idea di una Bari oscura, gelida e dimenticata, che pure esiste. Ma, a quanto pare, i sindaci, non sono ammissibili con carattere ispettivo delle Carceri delle Città da loro amministrate, nonostante una proposta radicale in merito. Busto Arsizio: nel carcere più sovraffollato d'Italia c'è un'ala chiusa per mancanza fondi Varese News, 14 febbraio 2013 Si tratta di una sezione dedicata ai detenuti disabili con tanto di piscina per la riabilitazione ma l'Asl non ha i soldi per pagare il personale. Il sindaco Farioli: "Scriverò al prossimo Consiglio dei Ministri per chiedere fondi". Nel carcere più sovraffollato d'Italia c'è una ala che è chiusa da almeno dieci anni e che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello per la casa circondariale di Busto Arsizio. E' l'area per i detenuti disabili che, però, non ci hanno mai messo piede. Il problema è la cronica mancanza di fondi dell'Asl che non può assicurare il personale per tenerla aperta. Lo ha ricordato questa mattina, giovedì, il sindaco di Busto Arsizio Gigi Farioli durante la presentazione dell'accordo tra il carcere bustocco e il Comune per la sperimentazione del reinserimento lavorativo dei detenuti. "E' dotata di tutto quello che serve - ha detto - e c'è anche una piscina per la riabilitazione", ma non è stata mai aperta mentre nel resto della struttura i detenuti sono costretti a stare in tre metri quadri ciascuno. Sia il sindaco che il direttore del carcere Orazio Sorrentini ne sono consapevoli ma di fronte all'ennesimo paradosso italiano non si può far altro che allargare le braccia. Sia l'istituto penitenziario che l'amministrazione non possono farci nulla se non protestare, attraverso una lettera al Consiglio dei Ministri e alla Regione: "Ho intenzione di scrivere al futuro Presidente del Consiglio perchè il governo faccia qualcosa per il carcere di Busto - annuncia Farioli - dopo la cancellazione da parte del governo Monti del piano per la costruzione di nuove carceri predisposto da Alfano. Noi eravamo stati i primi a presentare una richiesta di finanziamenti con un piano per ampliare la nostra struttura ma la scure della spending review si è abbattuta anche su questa voce di spesa". Ora Farioli vuole tornare alla carica con chi vincerà le elezioni e formerà il nuovo governo perchè "si presti attenzione alla situazione di Busto Arsizio". Firenze: la chiusura dell’Opg di Montelupo nel patto per la riforma del sistema carcerario www.gonews.it, 14 febbraio 2013 Il documento è stato stipulato da garanti e amministrazione penitenziaria. Il documento sancisce una serie di impegni per il 2013 come l’incremento delle misure alternative e del lavoro esterno. Il sovraffollamento e le drammatiche condizioni delle carceri italiane rappresentano ormai un’emergenza da affrontare rapidamente e con soluzioni concrete. Per questo il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e i Garanti dei diritti delle persone private della libertà attivi oggi in Toscana, sia a livello regionale che comunale, hanno stipulato un patto per la riforma del sistema carcerario. Nei giorni scorsi la firma del documento, siglata dal provveditore per la Toscana Carmelo Cantone, dal Garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara, dal Garante per il Comune di Firenze Franco Corleone, e per il comune di Livorno da Marco Solimano, per Pisa da Andrea Callaioli, per Pistoia da Antonio Sammartino, per la provincia di Massa Carrara da Umberto Moisè, per il comune di San Gimignano da Emilio Santoro. Il documento nasce da una scommessa di fondo: realizzare in Toscana un’alleanza fra tutte le parti in causa per tutelare i diritti dei detenuti, migliorare le loro condizioni di vita all’interno delle carceri e potenziare i percorsi di trattamento e reinserimento. L’obiettivo è quello di dar vita a un’esperienza pilota, e in questo senso il patto per la riforma si pone una serie di obiettivi concreti, che i firmatari si impegnano a realizzare già nel 2013. Numerosi i punti affrontati: dall’avvio di un monitoraggio al confronto con le Asl per rendere effettivo il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale; dalla promozione di percorsi di inserimento esterno, per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, alla chiusura effettiva dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino; dalla nascita delle case per le semilibertà in vari Comuni toscani all’istituzione di case per madri detenute con figli; dal potenziamento dei programmi per tossicodipendenti con affidamenti terapeutici e detenzioni domiciliari, in caso di pene sotto i 18 mesi, all’incremento dell’offerta culturale, formativa, lavorativa e sportiva all’interno del carcere. Migliorare poi le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari rappresenta una priorità assoluta, e le parti si sono impegnate ad ampliare le possibilità di lavoro interno, a migliorare le aree destinate all’incontro con i familiari, soprattutto se minori, e a incrementare le misure alternative alla detenzione. Busto Arsizio: Carcere, Comune e Consorzio Sol.Co. offrono un lavoro ai detenuti Varese News, 14 febbraio 2013 Partirà in primavera la sperimentazione con un primo detenuto che lavorerà nel palazzo comunale alle dirette dipendenze del sindaco Farioli. L'iniziativa nasce nel quadro delle opportunità di reinserimento lavorativo promosse dal consorzio Sol.Co.. Carcere e Comune di Busto Arsizio alleati per il reinserimento lavorativo dei detenuti. E' stato annunciato questa mattina, giovedì, l'accordo stretto tra l'amministrazione comunale e la dirigenza del penitenziario bustocco per avviare una sperimentazione che, se funzionerà, diventerà uno strumento in più per dare una possibilità a chi esce dal carcere per un ritorno nella società. Il sindaco di Busto Arsizio Gigi Farioli, infatti, ha molto insistito perchè questo progetto vedesse la luce, su spinta del direttore della struttura di via per Cassano Orazio Sorrentini. "Ancora una volta siamo qui a parlare dal carcere per mostrare che qui si lavora bene e che l'immeritata fama di carcere più sovraffollato d'Italia non deve coprire l'eccellenza nel campo del reinserimento sociale e lavorativo dei carcerati - ha detto Farioli commentando l'accordo - per questo abbiamo voluto partecipare a questa possibilità dando la nostra disponibilità alla realizzazione di questa sperimentazione". Ad entrare nel merito del progetto ci ha pensato Barbara Trebbi della cooperativa "Sol.co" che da anni opera all'interno della casa circondariale nell'ambito dell'area trattamentale, ovvero dove ci si occupa di dare ai detenuti opportunità per non tornare a delinquere, una volta espiata la pena: "La sperimentazione è un modo per andare in controtendenza parlando di un'opportunità di lavoro che si offre alle persone ristrette - spiega la presidente del consorzio - c'è un finanziamento per poter pagare due detenuti che lavoreranno per il Comune di Busto Arsizio". Inzialmente sarà un solo detenuto, a titolo di sperimentazione, poi se ne aggiungerà un secondo. Se questo primo tentativo darà i suoi frutti gli amministratori di Busto non lasceranno morire il progetto, come conferma Mario Cislaghi, presidente della commissione affari sociali: "Vogliamo aiutare anche a livello di piano di zona - spiega - nonostante i tagli possiamo trovare le risorse per dare continuità a questa sperimentazione". L'assessore ai Servizi Sociali Ivo Azzimonti spiega anche un'iniziativa che si intende inserire in questo progetto: "Il detenuto lavorerà e percepirà uno stipendio per il lavoro svolto - spiega - pensiamo che sia giusto che una parte (simbolica, ndr) del suo guadagno lo consegni alla vittima che ha subito il reato per il quale è stato condannato. Vogliamo, in questo modo, dare un messaggio educativo forte seppur simbolico, di riappacificazione con la società che ha danneggiato con il suo comportamento". Farioli ci ha tenuto, infine, a sottolineare che questo messaggio non deve essere letto in maniera distorta: "Qualcuno potrebbe criticare questa sperimentazione, soprattutto in un periodo di calo delle opportunità lavorative, dicendo che si favorisce chi ha sbagliato a discapito dei tanti disoccupati ma non è così - conclude - e il perchè lo spiega il direttore Sorrentini". Il direttore del carcere ritiene, infatti, che "un detenuto che esce ed è già inserito nel mondo del lavoro ha molte meno probabilità di tornare a delinquere rispetto ad un altro che non ha avuto questa opportunità". Il progetto potrebbe partire già in primavera - fanno sapere sindaco e assessore - il primo detenuto che verrà inserito sarà alle dirette dipendenze del sindaco ma le mansioni saranno da stabilire nelle prossime settimane, di certo lavorerà all'interno del palazzo comunale. Sarà uno straniero (il 60% dei detenuti in via per Cassano non sono italiani) e dovrà avere determinate caratteristiche che verranno vagliate dalla responsabile dell'area trattamentale in accordo con la comandante della Polizia Penitenziaria: "Si tratterà di un detenuto vicino alla scadenza della pena - spiega la comandante Rossella Panaro - che avrà dimostrato la volontà di reinserimento nella società e, oltre alla buona condotta, sarà fondamentale valutare in che modo avrà partecipato alle attività di recupero offerte dalla struttura". Un nuovo tassello che si aggiunge al laboratorio di cioccolateria e a quello di panificazione per dare opportunità ai detenuti nel carcere bustocco. Pordenone: dopo anni di inutile “rieducazione” espulsi due detenuti moldavi di Giacomo Miniutti Messaggero Veneto, 14 febbraio 2013 Sono 14 anni che ogni sabato mattina entro nel “Castello” di Pordenone, con l’art. 17 O.P., rilasciato agli operatori volontari. Il mio servizio si svolge con i detenuti che vivono il disturbo-disagio dell’abuso di alcol e droghe. Ciò avviene mediante la riunione di un gruppo di auto-aiuto, simile a quelli esterni che si trovano sul territorio provinciale. A questo gruppo partecipano detenuti con condanna definitiva inviati dall’Area Educativa. Da oltre due anni partecipavano anche due moldavi che sabato scorso, 9 febbraio, non ho trovato presenti, poiché, come riferitomi dagli altri membri, erano stati espulsi dall’Italia. Non è stata una sorpresa, perché il magistrato di sorveglianza aveva già notificato il visto alla “loro richiesta di espulsione”. Siamo stati contenti per loro perché, dopo quattro anni, hanno potuto ritornare alle loro radici. Comunque, si sentiva che mancava qualcosa perché, nonostante la tristezza del luogo, dimenticato, forse, anche da Dio, lì dentro, comunque, nascono e si consolidano dei rapporti umani, capaci di unire differenze e andare oltre ai cosiddetti “luoghi comuni”, che chi sta fuori manifesta verso la persona detenuta. Poi ho letto i quotidiani locali e ho sentito il bisogno di questa mia testimonianza, che ha solo l’intento di dare una visione meno cruda all’intera storia. Non entro nel merito del reato né della condanna, che non mi compete, ma rimango sul rapporto che s’instaura tra il volontario e la persona detenuta. Non è un rapporto di compassione o di giudizio, ma di ascolto, di cambiamento e, per quanto possibile, di socializzazione e rieducazione. I due moldavi frequentavano le riunioni con attiva partecipazione. Non assumevano vino da oltre un anno. Avevano terminato positivamente i 12 mesi di osservazione previsti. Da sei mesi il magistrato di sorveglianza concedeva loro quattro permessi premio al mese e uscivano, con il mio accompagnamento, per partecipare alle riunioni esterne di un gruppo per alcolisti. Negli ultimi tre mesi questi permessi si sono ampliati all’intera giornata, per andare nella mia casa natale a fare dei lavori boschivi, e la sera frequentavamo il gruppo alcolisti. Al rientro, i test di laboratorio non hanno mai riscontrato assunzione di alcol. Erano presenti al caffè letterario all’inaugurazione della mostra, “a mani libere, oltre il muro”, relativa ai lavori fatti all’interno del carcere durante l’estate. Per il mese di febbraio avevano presentato la richiesta dei permessi, perché non era così automatico che la loro “richiesta di espulsione” fosse accettata. Per il residuo di pena di due anni, c’è da considerare lo sconto di 45 giorni per ogni semestre; perciò entro l’anno avrebbero saldato il debito con la giustizia. Non so se il lettore modificherà il suo pensiero ma converrà che, tra “l’essere espulso” e “chiedere l’espulsione”, (visto che con certi Stati pare sia prevista ma non obbligatoria, e anche per ciò c’è il sovraffollamento delle carceri) un minimo di differenza, almeno come dignità umana, ci sia. Ai due amici moldavi auguro tanta serenità, e che ricordino sempre il motto del gruppo: “Dire di no, un giorno alla volta, al primo bicchiere”. Sassari: Garante dei detenuti; sui problemi del carcere coinvolte tutte le istituzioni La Nuova Sardegna, 14 febbraio 2013 Oltre tre ore di confronto con l’unico obiettivo di condividere informazioni e affrontare insieme tutte le criticità legate al mondo carcerario. La Garante dei detenuti del Comune di Sassari, Cecilia Sechi dimostra tutto il suo apprezzamento al termine dei lavori del Tavolo congiunto sulle tematiche penitenziarie, convocato questa mattina a Palazzo Ducale, al quale hanno partecipato tutte le istituzioni coinvolte a vario titolo con la realtà carceraria: in particolare Patrizia Incollu, Direttore della Casa Circondariale San Sebastiano, Maria Paola Soru dell’area trattamentale, Monica Murino dell’area sanitaria, Grazia Florenzano ed Eleonora Stiffan del Serd; Bachiso Sanna, responsabile dell’Unità Operativa per la salute in carcere dell’Asl di Sassari, Antonio Doneddu dell’area contabile, l’ispettore Lupinu, Vice comandante dell’area sicurezza, Don Gaetano Galia, cappellano di San Sebastiano; Antonia Vertaldi, Riccardo De Vito e Gaetano Cao, rispettivamente Presidente e Magistrati di Sorveglianza di Sassari; Anna Maria Paola e Anna Porcu, direttrice e capo area dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Sassari; Gabriele Satta Presidente della Camera Penale di Sassari e Giuseppe Conti Vicepresidente dell’Unione Camere Penali Italiana. I lavori sono stati aperti da un breve intervento del Sindaco, Gianfranco Ganau. Tutti i rappresentanti delle istituzioni coinvolte hanno manifestato l’esigenza di proseguire il percorso di confronto attivato con il primo incontro del tavolo che sarà aperto anche ad altre realtà del territorio, a seconda delle tematiche trattate. Tra i temi affrontati durante l’incontro, in particolare, quello legato alla necessità di impegnare in attività di socializzazione i detenuti all’interno delle carceri: la permanenza in una struttura carceraria di un detenuto inoperoso e privato di responsabilità e conseguente dignità, determina la possibilità di recidiva che oscilla dalle cinque alle sette volte maggiore, rispetto ai detenuti che invece sono impegnati in percorsi di studio, socializzazione e lavoro. Il tavolo ha voluto porre l’accento anche sulla difficile gestione e - nella maggior parte dei casi - non efficace trattamento dei tossicodipendenti all’interno del carcere. È necessario individuare comunità di cura e socializzazione che pongano sempre come condizione imprescindibile di questa particolare categoria di detenuti, il coinvolgimento in attività lavorative o formative. Così come rimane cruciale l’abuso della custodia cautelare nelle strutture penitenziarie e quello relativo all’accompagnamento dei detenuti maggiormente deprivati di risorse familiari ed economiche nel momento della loro uscita dal carcere. Nonostante le condizioni strutturali del carcere di San Sebastiano, attualmente, un gruppo di dieci detenuti segue un corso di digitalizzazione e archiviazione del materiale della vecchia colonia penale di Tramariglio, mentre un’altra decina di loro è impegnata nel lavoro esterno con rientro in carcere, presso lo stagno di Platamona. Sassari: l’unica struttura per misure alternative, senza fondi ed a un passo dalla chiusura di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 14 febbraio 2013 “In Sardegna ci sono 12 istituti detentivi, e hanno costruito altre 4 carceri. Nessuno ha pensato a una struttura per misure alternative. E io non ce la faccio più: le istituzioni, la politica, tutti ci hanno abbandonato”. Non ha il sapore della lamentela il tono di suor Maddalena Fois, ex garante dei detenuti, temprata com’è dalla fatica di costruire, dal nulla, una casa d’accoglienza. Accoglie “gli ultimi degli ultimi”, quelli che sono tra il carcere e la vita pronti a tornarvi, magari ai domiciliari, per scontare l’ultima parte della pena, e che non hanno famiglia, un posto dove stare. Da 10 anni, queste persone trovano riparo in una palazzina a venti passi dalla spiaggia di Marritza, Sorso, circondata da erba e sabbia. Non ci sono altri posti così, in Sardegna, se non la comunità Il Samaritano di Arborea, decimata dall’arresto di don Giovannino, il suo fondatore. L’esterno è grezzo, ma il cuore del caseggiato imbiancato solo nella parte bassa, è caldo, frutto della cura di questa vincenziana che da vent’anni si dedica ai detenuti. “Non ce la faccio più, sono vecchia, e da anni non riusciamo ad avere nemmeno un euro di contributi. Sono costretta a chiudere”, spiega nel lanciare un appello a chiunque possa aiutare i suoi ospiti, i reclusi del centro d’accoglienza “Giovani in cammino”, fondato e portato avanti da suor Maddalena. Ora ce ne sono 4, ma dal 2002 per Marritza sono passati almeno 250 “semi-liberi”, detenuti speciali che potevano lasciare le squallide celle di San Sebastiano o delle altre carceri dell’isola per attendere la completa libertà in questo caseggiato vista mare, sulla statale tra Sassari e Castelsardo. La suora vicina ai carcerati è sull’orlo di gettare la spugna. Energie ne ha ancora, tanto che la settimana scorsa i suoi 71 anni non le hanno impedito di andare nei bracci di via Roma a portare agli involontari inquilini frittelle di Carnevale. Ma non sono le energie fisiche quelle che vengono a mancare. È la consapevolezza di lottare da sola, senza alcun aiuto, senza risorse che diano un senso alla permanenza dei detenuti nella casa sul mare. “La Regione, anni fa, ci aveva dato finanziamenti per realizzare una bella falegnameria. E grazie alla Camera di Commercio di Sassari, era utilizzata per corsi di formazione per i detenuti, che alla fine ricevevano anche un attestato. Ma ora non abbiamo più soldi per pagare il falegname, né operatori né formatori. Anche qui, come in carcere, i reclusi dovrebbero trovare riabilitazione, non solo punizione. In queste condizioni, però, non è possibile”. Anche chi investe una vita nel donare un po’ di speranza ai disperati e alla fine si accorge di essere rimasto solo, è costretto a demordere. Soprattutto quando il sistema che si finisce col conoscere, rivela così bene le sue crepe. “È incredibile che molti in questo Paese parlino del sovraffollamento delle carceri, ma nessuno faccia qualcosa di concreto”, nota la religiosa. “Com’è possibile che non ci si renda conto di come le carceri siano un costo per tutti, mentre far lavorare i detenuti aiuta loro, gli altri e porta vantaggi all’economia?”. Ecco perché la sua comunità non chiede sussidi pubblici da elemosina, ma propone progetti. Da poco aveva chiesto alla Regione di realizzare due serre, in modo da formare agricoltori e magari, chissà, sfruttare quest’onda di ritorno ai campi che sta investendo anche molti giovani. Chiedeva poco, la suora dei carcerati: 35mila euro. Eppure Cagliari glieli ha negati. “Ho bussato a tutte le porte, tutti mi ripetono che non ci sono soldi. Finora siamo andati avanti con l’aiuto delle persone generose, e ce ne sono tante, e con la Provvidenza. Ma non si può più. Con questa crisi anche la carità diminuisce”. A chi le fa notare che forse la congiuntura economica sfortunata si riverbera sui detenuti come su chiunque altro non navighi nell’oro, quasi ha un sussulto. “Com’è possibile che queste persone stiano peggio di così? Lo sa che quando sono entrata in una cella, ho pensato che se una madre vedesse lì dentro suo figlio, morirebbe di crepacuore?”. Ci dev’essere molto di vero, se in questi 10 anni a Marritza il cancello è sempre rimasto aperto: “Nessun detenuto è mai scappato da qui”, dice concedendo l’unico sorriso. Ma pure un paradiso può chiudere per bancarotta. Terni: Dap intende aprire nuova sezione di “alta Sicurezza”, poliziotti sul piede di guerra www.umbria24.it, 14 febbraio 2013 Nuova sezione di alta sicurezza nel carcere di Terni nei progetti del Piano Carceri del Dap: sindacati della Polizia Penitenziaria sul piede di guerra. In galera. Incatenati. È quanto promettono - o minacciano, questioni di punti vista - di fare a se stessi i componenti del personale di sicurezza che lavorano all’interno del carcere di Terni. La denuncia Chiara e durissima la presa di posizione delle nove sigle che compongono la galassia sindacale di categoria. Parlano di “scorrettezza del nostro dipartimento” e denunciano: “Non bastava l’apertura - il prossimo 18 febbraio - di un piano del nuovo padiglione. Adesso si lavora per una sezione di Alta Sicurezza: in fondo - fanno notare - si parla di personcine tranquille come i terroristi. Ma chi sarà quella mente geniale? Di certo qualcuno che non ha la minima idea di cosa sia un Istituto Penitenziario. La nuova sezione è in realtà un repartino autonomo, che dovrà essere gestito da almeno 16 unità, numero che si va ad aggiungere alle 20 che sono previsti per aprire il famoso piano del nuovo complesso, esclusi i sottufficiali, naturalmente”. Le carenze Si ricorda qualcuno, chiedono i rappresentanti del personale, “che rispetto all’organico minimo mancavano circa 35 unità e che delle 41 unità assegnate a settembre abbiamo registrato 3 revoche e 9 distaccati, tra Gom ed altri istituti, e 7 unità trasferite?”. E che “dei 5 assegnati a gennaio ne è arrivato solo uno?”. E che “abbiamo registrato anche due unità riformate?”. Il messaggio è chiarissimo: “Vogliamo far capire che è facile giocare con le pedine di una scacchiera, ma la realtà è ben diversa e ricordiamo ancora una volta che la criticità non può essere la regola e che noi non siamo pedine ma esseri umani”. La protesta Il personale del carcere ricorda che “sono in aumento le aggressioni verso chi ogni giorno opera in prima linea e solo grazie all’alta professionalità sono state sventate non poche evasioni”. Ma adesso sono “stanchi di sopportare chi gioca sempre sulla nostra pelle, perché nessuno si preoccupa mai della sicurezza e non parliamo solo di quella interna all’istituto, ma anche rispetto al territorio ternano. In carenza di personale non c’è sicurezza”. C’è chi ancora si ostina, denunciano “a fare i conti su piante organiche vecchie di decenni, ma forse per qualcuno è più comodo credere alle favole”. I numeri Rispetto a quelli che “erano già stati formalizzati a suo tempo dalla direzione, sono stati assegnati meno della metà dei colleghi previsti” e quindi rinnovano “per l’ennesima volta la richiesta di integrazione del personale”, per poi lanciare l’ultimatum: “In caso di esito negativo, metteremo in atto ogni forma di protesta lecita e se questo non bastasse ribadiamo che ci incateneremo ai cancelli”. Le reazioni. La prima è quella Gianluca Rossi, candidato del Pd al senato, che definisce “inopportuno” il progetto Alta Sicurezza, “anche alla luce dell’imminente apertura di un piano del nuovo padiglione che complicherà non poco l’organizzazione interna alla stessa casa circondariale. Con un nuovo reparto di Alta Sicurezza - spiega Rossi - i problemi già presenti rischiano di acuirsi ulteriormente. Sia sul fronte del personale, a cui non possono essere chiesti altri sacrifici, che su quello più generale della sicurezza”. Lucca: il Sappe denuncia; rinvenuti escrementi di topo in forno della cucina detenuti Ansa, 14 febbraio 2013 Escrementi di topo sono stati trovati nel forno della cucina del carcere di Lucca dove vengono preparati i pasti per i detenuti. Lo denuncia in una nota il sindacato di polizia penitenziaria Sappe, che chiede all’ amministrazione penitenziaria regionale controlli in tutti i penitenziari della Toscana, per verificare il rispetto delle normative sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro. Il segretario generale del sindacato Donato Capece chiede verifiche, in particolare, “nelle cucine interne al carcere che preparano i pasti per i soli detenuti ma anche nelle cucine delle mense del personale di polizia”. “A Lucca come in tutte le carceri italiane, - aggiunge - la polizia penitenziaria è l’unica rappresentante dello Stato che sta fronteggiando l’emergenza sovraffollamento: oltre al danno c’è però la beffa di essere gli unici esposti a malattie come l’hiv, la tubercolosi, la meningite, la scabbia e altre malattie che si ritenevano debellate in Italia. Per queste ragioni il Sappe sollecita visite ispettive dell’Ufficio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’amministrazione della Giustizia (Visag) a Lucca ed in tutte le carceri toscane ed in ogni posto di servizio in cui sono impiegati poliziotti penitenziari per verificarne la salubrità”. Catania: Osapp; cinque casi di scabbia nell’istituto penale minorile Agi, 14 febbraio 2013 “Pare che 5 detenuti abbiano contratto la scabbia” nell’istituto penale minorile di Catania. A dirlo è Rosario Di Prima, vicesegretario regionale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp. “Situazioni di questo genere non possono essere considerati casi sporadici o poco significativi”, aggiunge Di Prima ma sottolinea: “Siamo fortemente preoccupati che si possa già parlare di epidemia. Se epidemia dovesse essere la nostra preoccupazione aumenta in relazione alla possibilità di contagio anche nei confronti del personale di polizia penitenziaria”. Il sindacalista sollecita l’amministrazione penitenziaria a “provvedere in tempi rapidi alla giusta profilassi”. Padova: detenuti e lavoro, domani un convegno con il ministro Severino Il Mattino di Padova, 14 febbraio 2013 Il ministro della Giustizia, Paola Severino, parteciperà domani, alle 17.30, al Centro Congressi Papa Luciani di Via Forcellini, al convegno sul tema “Lavoro-carcere-giustizia-imprese”, promosso dal ministero in collaborazione con l’Università di Padova, Confindustria Padova e il consorzio sociale Rebus. I lavori, coordinati da Nicola Boscoletto, del consorzio Rebus, saranno aperti dal Rettore Giuseppe Zaccaria, dal sindaco Flavio Zanonato, dalla componente del Consiglio superiore della magistratura Giovanna Di Rosa e dal portavoce dell’Alleanza cooperative italiane Giuseppe Guerini. Sono previsti gli interventi di Massimo Pavin, presidente di Confindustria Padova; di Piergiorgio Baiata, presidente del gruppo Mantovani; di Antonio Finotti, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Le conclusioni sono affidate a Luciano Violante, presidente dell’associazione Italiadecide, e al ministro Paola Severino. Al centro del dibattito la richiesta, di cui si fanno interpreti gli operatori del carcere, di allargare il numero dei detenuti (attualmente sono solo 800-900 su 66.000) che hanno un lavoro degno di questo nome. Altri 500 detenuti escono a lavorare, così come previsto dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, ai quali si aggiungono 800 detenuti in semilibertà. Complessivamente si tratta di 2.200 persone. Sono infine 11.000 i detenuti impiegati nei lavori domestici (“scopini”, “spesini”, portavitto); questi reclusi lavorano da due a cinque ore al giorno per un mese all’anno per 2-300 euro al mese. Torre Annunziata (Na): carceri sovraffollate, il 19 febbraio dibattito dell’Unione Forense Asca, 14 febbraio 2013 Un incontro pubblico per discutere dei temi della giustizia in vista delle imminenti elezioni politiche. È stato organizzato dall’Unione Regionale degli Ordini Forensi della Campania il convegno che si terrà il prossimo 19 febbraio alle 13:00 presso Villa De Nicola in via Tironi e che vedrà la partecipazione del Presidente dell’Unione Regionale dei Fori della Campania e tutti i Presidenti dei Consigli dell’Ordine della Campania. Le forze politiche presenti alla competizione elettorale indicheranno un proprio rappresentante. “L’incontro - afferma il segretario dell’Unione Gennaro Torrese - vuole essere una verifica delle posizioni dei partiti politici sui temi della giustizia: riduzione dei costi di accesso alla giustizia civile ed amministrativa, interventi legislativi per risolvere la drammatica situazione dell’intero settore carcerario, ripristino di presidi di giustizia indispensabili per l’intero territorio, la destinazione di maggiori risorse economiche al settore giustizia per attuare la totale informatizzazione degli uffici giudiziari, la destinazione di maggiori risorse di personale agli uffici giudiziari e, infine, la destinazione dei ricavi della giustizia alla giustizia”. Genova: detenuti attori con il Teatro Necessario onlus e la Compagnia teatrale Scatenati La Repubblica, 14 febbraio 2013 Qui non ci sono detenuti, né studenti. Solo attori. Che, in scena, raccontano la tragedia di Shakespeare come una guerra tra bande, tra partite a scacchi con il destino, fucili a canne mozze e l’amore struggente di due adolescenti che sfidano le loro famiglie. L’associazione culturale Teatro Necessario onlus e la compagnia teatrale Scatenati presentano Romeo e Giulietta al Teatro della Tosse, da domani (11 e 20.30) al 20 febbraio (ore 9, intero 15 euro). Ed è una storia nella storia, quella di una scommessa iniziata sette anni fa: abbattere le barriere tra il dentro e il fuori. Portare i detenuti del carcere di Marassi su un palcoscenico, farli recitare insieme a studenti e allievi della scuola di recitazione La Quinta Praticabile. Un’esperienza che “diventerà un libro e un video documentario”, annuncia il regista Sandro Baldacci. Dicono che lunedì 18 ci sarà anche il ministro Elsa Fornero, tra gli spettatori. Gli attori fanno spallucce. E raccontano un anno intenso, di prove fatte in carcere, tre volte alla settimana. Di impegno, di fatica. E di stupore, perché “vederli diventare padroni del palco, quando all’inizio non sapevano cosa fosse una quinta, ti sconvolge - spiega Mirella Cannata, presidente di Teatro Necessario onlus - piano piano si riappropriano di una nuova identità”. “Siamo esseri umani che hanno sbagliato - racconta Stefano Andreulli, che interpreta Frate Lorenzo - stiamo pagando, certo. Però siamo persone: spero che ora a scuola parleranno bene di noi”, ride rivolto ai due giovani protagonisti. “Sarà difficile non vedersi più - riflette Giulietta-Giordana Faggiano, che studia agli Emiliani di Nervi - col tempo sono diventati amici e confidenti”. “All’inizio in classe mi dicevano: ma non hai paura? - ricorda Romeo-Alessandro Bandini, rappresentante di istituto al liceo D’Oria - Così abbiamo organizzato anche assemblee a scuola, per parlare di carcere”. Una realtà sconosciuta, “tanti giovani hanno un’idea molto severa del concetto di pena - interviene il direttore della casa circondariale di Marassi Salvatore Mazzeo, responsabile del progetto - e questo ci fa capire che bisogna formare una cultura diversa. Già nelle classi”. Nel cortile di Marassi, intanto, un altro gruppo di detenuti sta lavorando insieme ai dipendenti dell’impresa Cosmo per costruire Arca, il primo teatro in Italia appositamente costruito dentro un carcere, con il contributo delle Fondazioni Carige e San Paolo: duecento posti che saranno pronti entro l’anno e ospiteranno compagnie e pubblico da fuori. Domani, invece, saranno i detenuti a “uscire”: sul palco, pronunciando le parole di Shakespeare. Liberi. Bahrein: appello Amnesty per rilascio prigionieri di coscienza Tm News, 14 febbraio 2013 Il 14 febbraio 2011 il popolo del Bahrein è sceso in piazza e ha iniziato a protestare per ottenere maggiori diritti civili e politici. Nei mesi successivi la nazione è precipitata in una grave crisi di diritti umani: le forze di sicurezza hanno fatto uso reiterato ed eccessivo della forza contro manifestanti pacifici, quasi 50 persone sono state assassinate e centinaia sono state ferite. Centinaia di persone sono state arrestate e processate davanti a tribunali militari; molte hanno dichiarato di essere state torturate e maltrattate durante la detenzione. Tante sono ancora in carcere, dove stanno scontando condanne solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione e riunione. Amnesty, a due anni di distanza, lancia un appello per il loro immediato rilascio.