Giustizia: la follia del carcere di Alessandro Meluzzi Ristretti Orizzonti, 13 febbraio 2013 “Il carcere può essere un’esperienza dolorosa e spesso tanto perturbante da danneggiare la salute mentale. Altera completamente la percezione del mondo e, per alcune condizioni psicologiche, è francamente totalmente intollerabile, soprattutto nelle realtà attuali carcerali in cui alla privazione della libertà fa da collaterale la pena accessoria dell’abbrutimento dell’ambiente. Con metrature di circa due metri quadrati a testa non sarebbe possibile aprire nemmeno un allevamento di maiali. È una situazione che richiede metri pro capite più numerosi”. Questa introduzione proviene da una mia risposta a una lettera proveniente da un detenuto nel carcere di Palermo che accusava squilibrio psichico. Ma non è una situazione esclusivamente italiana. Alla fine del 2012 sono state diffuse dalla New York Civil Liberties Union decine e decine di lettere che denunciano la discesa nella follia della mente umana confinata in completo isolamento. I messaggi sono stati scritti da cento detenuti del sistema penitenziario di New York. Frutto della corrispondenza intrattenuta per un anno tra carcerati e attivisti, le lettere documentano i drammatici effetti sul cervello quando una persona è costretta a guardare il soffitto di una cella per 23 ore ogni giorno. La vita nella “scatola”, come i prigionieri chiamano la cella di isolamento, porta al suicidio. La situazione newyorchese è confermata da Amnesty International in un rapporto nelle prigioni di Los Angeles: secondo l’organizzazione internazionale l’isolamento dei detenuti viola gli standard del diritto internazionale. “Temo che io stia diventando schizofrenico. Sento voci prima di addormentarmi”, scrive un prigioniero di New York. Un altro descrive la sensazione della mente “che marcisce con pensieri che non sono né comuni né naturali, e ti chiedi da dove vengono”. La “scatola” è una cella delle dimensioni di un ascensore in cui ogni contatto esterno è proibito. I detenuti hanno trasferito nelle loro lettere paranoia, rabbia, ansie e speranze di vita. Un prigioniero ha affisso sulla parete la foto di un ufficio: “Spero di lavorare in un posto così”. Ogni giorno 4.500 detenuti nello stato di New York vengono messi in isolamento. Sono circa 3.000, secondo Amnesty, nel sistema penitenziario di Los Angeles: il due per cento dell’intera popolazione carceraria ma, nel periodo 2006-2010, il 42 per cento dei suicidi. La Nyclu afferma che l’istituto dell’isolamento in molti casi rappresenta una punizione “inusuale e crudele”, pertanto interdetta dalla Costituzione. È una posizione in linea con l’ultimo rapporto del relatore dell’Onu contro la tortura Juan Mendez, secondo cui bastano 15 giorni in isolamento a provocare irreversibili danni psicologici. Facciamo un esempio italiano del Febbraio 2012 in cui, pur essendo l’isolamento ininfluente, il carcere appare inumano. Il suicidio nel carcere di San Vittore a Milano del ventenne Alessandro Gallelli rappresenta uno degli anelli di una catena di più di settecento suicidi nelle carceri italiane nell’ultimo decennio. È un rosario ininterrotto di dolori e fallimenti in un sistema detentivo che ospita quasi settanta mila detenuti in uno spazio per quattrocento mila. Ma al di là dell’evidente disumanità della condizione di detenzione emergono in questo caso elementi peculiari, meritevoli di osservazione. Voltaire diceva che la civiltà di un pase può essere misurata dall’umanità delle proprie carceri. Nonostante generosi tentativi di operatori carcerari ciò che spinge al suicidio dietro le sbarre non è solo l’orrore di un sistema dove in certe case circondariali i pazienti detenuti devono ruotare sulle brande in celle sovraffollate, in cui qualcuno deve dormire per terra. La frustrazione e il burnout derivanti fanno sì che tra gli agenti di polizia penitenziaria, che sono in prima linea in questo confronto, il tasso dei suicidi sia del doppio se confrontato con la popolazione generale. Al momento del suicidio Gallelli si trovava all’interno di un’unità di osservazione neuropsichiatrica dalla qualità incerta, visti gli esiti, occorsi per altro esattamente alla fine di un colloquio psichiatrico. Forse nessuno potrà mai sapere se si è trattato di un tentativo dimostrativo finito male o del risultato di una vera voglia di auto-annientarsi per depressione. Certo è che ci si deve chiedere se per un soggetto del genere non ci potesse essere una misura di sicurezza più appropriata del carcere. Nel mondo delle comunità terapeutiche, verso cui vengono dirottati oggi anche gli ospiti degli Opg, sarebbe stato possibile trovare un luogo e una misura più adeguata. Il carcere rimane l’ultima istituzione statale totale. Quell’entità ben descritta ai tempi di Basaglia come totalizzante e oppressiva, perché rappresenta la risposta massificata e generica, quindi banale, a una gamma complessa di situazioni e bisogni completamente diversi tra loro. Che cosa questo ragazzo avesse in comune con un mafioso della criminalità organizzata, un manager corrotto, un politico un pò stressato o uno spacciatore extracomunitario è tutto da stabilire. Certo, l’unico scatolone con sbarre che contiene tutti incivilmente e indegnamente rischia di diventare per i più fragili un orrido shaker, dal quale si può facilmente uscire morti. Dal carcere si può uscire provati dal punto di vista psicologico-psichiatrico ma ci sono anche soggetti che entrano in carcere avendo già problemi di natura psichiatrico-psicologica. Tuttavia un provvedimento legislativo ha avviato la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari, i cosiddetti OPG, meglio noti come manicomi criminali. Dopo la legge 180 del 1978 che ha chiuso i manicomi ordinari dando vita a un coraggioso cambiamento dei servizi della salute mentale, i manicomi criminali erano rimasti come ultimo retaggio di un passato remoto in cui tutta la follia del mondo veniva contenuta in luoghi più simili a carceri che a ospedali, con una umanità spesso devastata e devastante e una prassi quotidiana di segregazione ed esclusione. Ciò nonostante gli OPG hanno in questi anni risposto all’esigenza cautelare di contenere in un luogo protetto soggetti spesso pericolosi a sé e agli altri, in quanto autori di gravi reati contro la persona. Però, come spesso accade nelle cose all’italiana, la constatazione di un male non accompagna sempre la volontà di porvi fine con la sicurezza di evitare un male ancora più grande. Che sarà domani di coloro che, commettendo un reato violento, valutati in una perizia totalmente incapaci di intendere e di volere e socialmente pericolosi, non potranno più essere detenuti, né in un carcere in quanto impunibili, né in una struttura sanitaria che ancora non c’è? Infatti buona parte delle strutture psichiatriche intermedie di tipo comunitario, che oggi risponde faticosamente a esigenze di pazienti subacuti e cronici, dopo i brevissimi ricoveri ospedalieri, non è a tutt’oggi in grado di affrontare questa nuova emergenza. C’è un’esigenza in cui si deve contemperare continuamente l’umanità delle cure, la loro personalizzazione e le richieste di sicurezza degli individui e della società. Come già avvenuto per la psichiatria non giudiziaria, in Italia si formerà un sistema a macchia di leopardo con alcune regioni piuttosto avanti nella qualità e quantità di risposta come il Piemonte, la Lombardia e il Veneto. E dall’altra regioni molto arretrate e scarse in risposte appropriate e corrette. Non vogliamo fare il panegirico del vecchio manicomio. Anzi il manicomio era contenitore cieco e sordo, indifferenziato e acritico, di realtà molto diverse tra loro, però livellate e annientate fino a divenire omogenee. Infatti nei manicomi ci stavano tutti: gli schizofrenici, i depressi, gli etilisti, i disabili intellettivi e quelli motori, come pure i semplici “sfigati”. Il manicomio rappresentava l’ultimo girone dell’annichilimento sociale, l’ultimo girone dell’espulsione e della marginalità. Ed era una specie di carcere: se ne poteva uscire solo con meccanismi para giudiziari, poiché il medico che accertava la dimissione si assumeva personalmente la responsabilità di ciò che il “matto” avrebbe fatto una volta uscito. Questa è la ragione per cui, una volta entrato in manicomio, nessuno ne usciva più. Franco Basaglia, psichiatra rivoluzionario e intellettuale surrealista, fu uno dei padri dell’antipsichiatria, il promotore della famosa legge 180 che solo nel ‘78 sancì la fine dell’istituzione manicomiale. Alla follia egli riconobbe due volti: quello della malattia mentale vera e propria, e quello generato dall’istituzione psichiatrica, dalla sua contenzione. La de-istituzionalizzazione avrebbe cancellato il secondo volto della follia. Basaglia soleva dire che tra la malattia e la persona il centro di interesse non doveva essere la malattia, bensì la persona con il suo destino. L’amore per l’uomo era certamente ciò in cui Basaglia eccelleva. Cosa che bisognerebbe mettere in atto anche nella realtà del carcere. Giustizia: Associazione Nazionale Magistrati; “road map”, dal falso in bilancio alle carceri Agi, 13 febbraio 2013 Introdurre i reati di falso in bilancio e auto riciclaggio, riformare le discipline della prescrizione e delle intercettazioni, trovare soluzioni per l’emergenza carceri, investire sulla giustizia del lavoro e prevedere norme più stringenti per i magistrati che entrano in politica. È una vera e propria “road map” quella che l’Associazione Nazionale Magistrati presenta oggi alla politica, rilevando anche una “scarsa attenzione in questa campagna elettorale” alle tematiche della giustizia. Il sindacato delle toghe, rilevando la “grave crisi di efficienza e di funzionalità” e dunque di “credibilità” del sistema giudiziario, presenta dei progetti su cui ritiene necessario lavorare per restituire efficienza al settore. L’Anm chiede una “generale revisione delle fattispecie di reato, anche procedendo a una “robusta depenalizzazione”. Inoltre, bisogna rivedere la disciplina dei reati contro la Pubblica Amministrazione, a fronte del “incompleto” intervento sulla corruzione, varato dal Parlamento nello scorso autunno. Anche le intercettazioni, restano un tema da affrontare: “pensare al diritto alla riservatezza - spiega il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli - salvaguardando però lo strumento delle intercettazioni e il diritto all’informazione”. Per quanto riguarda l’emergenza sovraffollamento che si registra nei penitenziari del nostro Paese, poi, l’Anm evidenzia la necessità di una “decarcerizzazione”, con la introduzione della messa alla prova e il rafforzamento delle misure alternative. “È una situazione da affrontare in tempi brevissimi - ha rilevato Sabelli - provvedimenti di clemenza potrebbero essere utili solo a corredo di interventi strutturali, finalmente risolutivi. Se, nell’ambito del penale, l’Anm propone anche di “ampliare i confini del reato di voto di scambio politico-mafioso”, e di “introdurre più severe previsioni” per il contrasto dell’antisemitismo, del razzismo e della xenofobia”. Nel settore civile, il sindacato delle toghe ribadisce la necessità di semplificare i riti, smaltire l’arretrato, abrogare il filtro in appello e, nello specifico, per la giustizia del lavoro, chiede “un piano di investimenti in risorse materiali e personali”. “Il settore del lavoro è uno di quelli in cui si manifestano le tensioni legate a rivendicare la lesione di diritti dei lavoratori”, ha detto Sabelli, che pensando proprio al caso dei dipendenti della Fiat di Pomigliano, ha aggiunto: “La magistratura fa il suo dovere, ma spetta al datore di lavoro dare una corretta esecuzione alla sentenza e se ciò non accade l’ordinamento prevede degli strumenti per il lavoratore a vedere eseguita la sentenza”. Il presidente del sindacato delle toghe, non dimentica il caso Ilva: “Si è arrivati a un intervento necessario e inevitabile - ha osservato - perché è mancato un intervento serio da parte delle autorità amministrative. Quando si arriva all’azione penale, l’intervento non può che essere connotato dalla rigidità dell’azione penale stessa”. Sulle toghe in politica, poi, l’Associazione magistrati, nel suo dossier, chiede un “sistema di regolamentazione”, diretto a “evitare rischi di appannamento dell’immagine di imparzialità del magistrato”: “È un problema delicato, no a proposte affrettate - ha detto Sabelli - noi abbiamo sempre indicato due aspetti: quello della rottura della continuità territoriale e temporale tra la funzione in politica e quella in magistratura”. Giustizia: Berlusconi (Pdl); condizioni di carceri vergogna nazionale, ma amnistia difficile Ansa, 13 febbraio 2013 In un’intervista pubblicata oggi sul “Corriere Adriatico” Silvio Berlusconi affronta anche la questione delle carceri: “Come cristiano e come persona civile considero l’attuale stato delle carceri una vergogna nazionale. In questo Pannella ha perfettamente ragione”. “Il nostro Governo, con il ministro Alfano, aveva varato un grande piano carceri, i cui risultati, naturalmente, si vedranno solo negli anni. Per quanto riguarda l’amnistia sono convinto che sarebbe una cosa buona, ma per farla servono i due terzi dei voti del Parlamento e non so se si possono raggiungere”. “Certo la vita nelle carceri è disumana. Le probabili soluzioni sono: limitare la carcerazione preventiva, visto che le nostre carceri sono strapiene di persone non ancora condannate, e quindi presunte innocenti, ed estendere al massimo l’uso delle pene alternative al carcere, che dev’essere un’estrema ratio”. Giustizia: Rao (Udc); Berlusconi ora si accorge carceri? legislatura trascorsa inutilmente Asca, 13 febbraio 2013 “Berlusconi si accorge solo oggi delle vere emergenze della giustizia: dal clamoroso arretrato civile e penale all’abnorme durata dei processi, per non parlare delle condizioni disumane delle nostre carceri”. Lo afferma il deputato Udc Roberto Rao, che aggiunge: “Peccato che abbia impegnato tutta la precedente legislatura, assieme al suo ministro della Giustizia Angelino Alfano, a preparare norme “ad personam” e a condizionare i lavori di Aule e commissioni con provvedimenti volti da un lato ad allungare i processi che lo riguardavano e dall’altro ad accorciarne i tempi di prescrizione. Nel vortice di promesse che non ha mantenuto né mai manterrà, ci risparmi quantomeno quel riferimento a Giovanni Falcone, che prima di oggi solo Ingroia era stato capace di fare”. Giustizia: Favi (Pd); evitare altre tensioni in un sistema penitenziario già in crisi Agenparl, 13 febbraio 2013 “Siamo molto preoccupati per lo stato di agitazione proclamato da tutte le organizzazioni sindacali del mondo penitenziario per un imminente decreto del governo che tenderebbe a riorganizzare le articolazioni territoriali dell’amministrazione penitenziaria, che vorrebbe sopprimere alcuni provveditorati regionali e una direzione centrale del Dap, strategica per il governo delle risorse penitenziarie. Auspichiamo che giunga al più presto un chiarimento da parte del ministro della Giustizia, al fine di evitare, in questo momento assai difficile per le nostre carceri e per il sistema dell’esecuzione delle misure alternative, che si aggiunga ulteriore tensione fra i dirigenti e gli operatori tutti. Constatiamo, infine, che dopo sette anni ancora i direttori e i dirigenti penitenziari e dell’esecuzione penale esterna sono privi del contratto di lavoro e del loro ordinamento professionale”. Lo dice Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd. Giustizia: i neo manicomi delle regioni di Stefano Cecconi (Comitato Stop Opg) Il Manifesto, 13 febbraio 2013 Chiudono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari o riaprono i manicomi? Secondo la legge 9/2012, il 1 febbraio 2013 doveva essere concluso, da parte di governo e regioni (Asl e Dsm), il processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Al 31 marzo, la stessa legge fissa il termine entro il quale le misure di sicurezza non si eseguono più all’interno degli attuali Opg. Il 28 gennaio scorso, il Ministro della Giustizia Paola Severino scrive a ciascun presidente di regione: “Desidero sottoporre alla Sua attenzione la delicata situazione delle persone ospitate presso gli Opg, che - a partire dal prossimo 1° aprile - dovranno trovare ricovero in strutture sanitarie regionali... voglia valutare l’opportunità di assumere ogni iniziativa utile per poter accogliere e prestare le cure necessarie ai cittadini oggi ospitati presso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”. Poiché però le scadenze stabilite dalla legge 9 non sono state rispettate e nessuna proroga è stata decisa, si rischia di giocare oggi ad un pericoloso “scaricabarile” tra governo e regioni (e infatti, il 7 febbraio si è svolta una tempestosa riunione del Tavolo Opg-Stato-Regioni, aggiornata al 26 febbraio prossimo); con le possibili conseguenze che abbiamo già denunciato: proroga de facto degli Opg oppure pericolose soluzioni “improvvisate”. In più, tutta l’attenzione è rivolta alle nuove strutture (i “mini Opg” regionali), anziché alle persone e ai percorsi di dimissione: diverse regioni hanno presentato (o stanno presentando) programmi per strutture pluri-modulari (ad es. accorpando due o tre moduli da 20 posti letto, fino a 40/60 posti letto). Altro che piccole strutture di transito verso le dimissioni... così riaprono i manicomi. Per altro, non sono avvenute le dimissioni “senza indugio” delle persone per le quali è cessata la pericolosità sociale, sancite solennemente dalla stessa legge 9; e l’esecuzione del sequestro degli Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino, decisa dalla commissione presieduta dal sen. Marino, è stata rinviata a fine marzo. C’è un’altra questione, che il ministro Severino non tratta esplicitamente nella sua lettera: i magistrati, dove disporranno l’esecuzione delle misure di sicurezza per i nuovi “casi” dopo il 1 aprile? Eppure oggi ci sono a disposizione risorse aggiuntive per superare gli Opg: entro il 7 aprile ogni regione deve presentare un piano per il loro utilizzo. Sarebbe una beffa terribile se fossero utilizzate per chiudere gli Opg e riaprire manicomi. Ecco perché, ancora una volta, sollecitiamo Governo e Regioni a organizzare l’assistenza alternativa all’internamento e, dove servisse, col ricovero in piccole strutture che non riproducano la logica manicomiale. Confermiamo la nostra richiesta di costituire un’Autorità sugli Opg, dotata di poteri sostitutivi, come accadde per la chiusura dei manicomi. Giustizia: Guerini (Federsolidarietà); emergenza carceri, cambiare si può e si deve Corriere Nazionale, 13 febbraio 2013 Tre persone in una cella di nove metri quadrati, senza acqua a calda e non sempre con una adeguata illuminazione. É il trattamento che l’Italia ha riservato a 7 carcerati detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza, e per il quale meno di un mese fa è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani. Una sentenza “mortificante”, come l’ha definita il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che la scorsa settimana, a brevissima distanza dalla conclusione del suo mandato, ha voluto portare un saluto ai detenuti di San Vittore. “Il discorso pronunciato dal Presidente nel corso della sua visita al carcere milanese è stato molto significativo”, ha commentato per il nostro Corriere Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà e portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali: “con parole forti ha descritto una condizione drammatica che noi denunciamo da tempo. Le sentenze della Corte Europea affermano che abbiamo un sistema carcerario indegno per un Paese civile, una circostanza che nega la Costituzione, perché non è possibile orientare la funzione educativa delle pene in carceri come le nostre”. I dati raccolti e diffusi dal Ministero della Giustizia non hanno bisogno di essere commentati: ad oggi i detenuti presenti nelle strutture penitenziarie italiane sono infatti 65.905 (12.439 quelli in attesa di primo giudizio), contro una capienza regolamentare di 47.040 posti. Una situazione insostenibile e per far fronte alla quale viene periodicamente auspicata un’amnistia, provvedimento a cui lo stesso Napolitano ha più volte fatto riferimento nei giorni scorsi. “Pur avendo enorme stima del Presidente della Repubblica” - ha però voluto sottolineare Guerini - “non credo che questa sia la strada da percorrere: si tratta infatti di una soluzione che, da un punto di vista morale, contrasta con la funzione rieducativa. Sarebbe invece più coerente tentare di rendere effettivamente più agevoli i percorsi di lavoro dentro e fuori dalle carceri. Per questo mi auguro che il nuovo Parlamento e il nuovo Governo mettano mano immediatamente alla revisione delle norme sull’inserimento lavorativo, sbloccando la proposta di legge che è ferma da oltre un anno per mancanza di copertura economica”. Considerato da un lato l’abbattimento della recidiva generato dai percorsi di inserimento (dal 70% al 10%), e dall’altro il costo giornaliero di un detenuto (circa 200 Euro), è davvero difficile non pensare a questo rallentamento dell’iter legislativo come a un triste paradosso. “Accanto all’approvazione di tale norma” - ha inoltre aggiunto il presidente di Federsolidarietà - “esistono poi diverse altre possibilità. Per esempio, per alcune tipologie di reati minori potremmo anche pensare a strutture nelle quali istituire una detenzione domiciliare in forma più “leggera” e organizzata. Percorsi di questo potrebbero permettersi di essere più orientati alla rieducazione di quanto non lo sia un carcere, e, nello stesso tempo, potrebbero aiutarci ad alleggerire il peso della gestione complessiva del sistema”. La campagna elettorale in corso non facilita però un dialogo costruttivo su questi temi: “il problema è che parlare di riorganizzazione delle carceri oppure di impegno per garantire una risposta più civile ai detenuti non porta consenso, perché a prevalere sono i sentimenti “di pancia”. Molte persone credono infatti che il sistema carcerario debba essere finalizzato alla vendetta piuttosto che alla redenzione. Ora, non è detto che la rieducazione sia sempre possibile - ha concluso Guerini - ma abbiamo il dovere civile di provarci”. Giustizia: Totaro (Fdi); sovraffollamento carceri, stranieri scontino la pena nei loro paesi Ansa, 13 febbraio 2013 “Come gruppo di Fratelli d’Italia abbiamo fatto ostruzionismo al Senato, perché era già stata approvata dalla Camera una legge, con i voti di Pd, Pdl, Casini e Fini, che prevedeva che chi avesse reati fino a quattro anni di carcere, poteva chiedere al giudice l’alternativa dei domiciliari. Non si può risolvere il problema del sovraffollamento con tali interventi mentre la situazione nei penitenziari si migliorerebbe soltanto se i detenuti stranieri scontassero la pena nei loro paesi di appartenenza. Lo ha detto il senatore Fdi Achille Totaro, intervenendo a un’iniziativa elettorale. “Inoltre - ha aggiunto - si crea grande allarme sociale tra i cittadini visto che sempre più persone pensano di poter venire nel nostro paese a commettere reati contando poi sull’impunita”. Per Totaro occorre rimettere al centro della campagna elettorale il tema della sicurezza, nessuno ne parla ma è di primaria importanza. Le persone più deboli hanno molto a cuore questo problema e lo avvertono sulla propria pelle quando si verificano episodi di criminalità diffusa. Noi riteniamo che certi reati vadano perseguiti applicando la certezza della pena”. Totaro ha infine annunciato che domani Ignazio La Russa sarà in Toscana per un tour elettorale, “iniziando da Livorno e dalla caserma Vannucci dei paracadutisti della Folgore, per andare poi a Lucca e concludere la giornata a Firenze, all’hotel Mediterraneo”. Giustizia: Osapp; politica assente, sovraffollamento non cambia, 22mila detenuti di troppo Il Velino, 13 febbraio 2013 “Secondo le nostre stime, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono ben oltre 22mila in più dei posti-letto disponibili, come puntualmente si verifica da almeno sei mesi a questa parte”. Ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e candidato capolista al Senato per la regione Lazio nella lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. “I dati che ci pervengono dagli istituti penitenziari - prosegue il candidato - conteggiano, infatti, una presenza detentiva, in data di ieri 11 Febbraio, pari a 65.853 ristretti distribuiti in locali che ne posso ospitare al massimo 43mila e, analogamente a quanto occorso negli ultimi tempi con 8 regioni su 21 (Campania, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto), in cui il rapporto tra spazi disponibili e presenze è di 1 a 3. Anche per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria, inoltre, le cose vanno tutt’altro che bene, tenuto conto che dall’inizio dell’anno prestano servizio in carcere 150 poliziotti penitenziari in meno (1.080 in meno dall’inizio del 2012), rispetto ad un organico nazionale che, riorganizzato nel 1992 in rapporto agli allora 40mila detenuti presenti, è già carente di 7mila unità. Il fatto che la popolazione detenuta risulti aumentata solo di poche centinaia di unità in questi ultimi mesi non può ritenersi in alcun modo rassicurante, a riprova delle misure irrisorie assunte dal governo Monti e della sostanziale assenza del Parlamento nei confronti del disastro penitenziario italiano. Nel frattempo - conclude Beneduci -, sono infatti peggiorate in carcere le condizioni di vivibilità (meno di 4 euro al giorno per il vitto), di lavoro (meno di 3 euro al giorno) e per il reinserimento sociale (0,22 cent. giornalieri), come la grave e perdurante emergenza suicidi tentati e portati ad esito infausto va a dimostrare”. Giustizia: accordo Dap-Poste Italiane; recuperare i detenuti con collezioni di francobolli www.vaccarinews.it, 13 febbraio 2013 I ministeri della Giustizia (attraverso il vicecapo al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano) e dello Sviluppo economico (il capo dipartimento per le comunicazioni, Roberto Sambuco), Poste italiane (la responsabile per la filatelia, Marisa Giannini), la Federazione fra le società filateliche italiane (il presidente, Piero Macrelli, assente giustificato) e l’Unione stampa filatelica italiana (il presidente, Danilo Bogoni). Sono stati questi i partner alla base del protocollo d’intesa firmato questa mattina a Roma. Protocollo che riguarda il progetto “Filatelia nelle carceri” e che ha visto lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria esprimere parere favorevole, così da permettere ai detenuti di sviluppare un percorso educativo attraverso le cartevalori postali. Il punto di partenza - si legge nel documento - da una parte sono “le peculiarità del francobollo, espressione dell’arte, della storia, dell’attività economica, dello sport, della religiosità, della sensibilità ai problemi sociali e, in sostanza, della cultura di un Paese”. E dall’altra l’esperienza pilota vissuta presso il carcere di Bollate e attribuita all’Usfi (in realtà, è stata svolta a titolo di volontariato dal suo presidente). Questa, in ogni caso, ora “si impegna a continuare” l’approccio presso altre realtà analoghe. Quanto alla Fsfi, si è messa a disposizione “per coordinare, sostenere e sviluppare la comune azione di propaganda e conoscenza della filatelia”. Sette gli articoli previsti nel testo, dove i due dicasteri si obbligano a favorire l’iniziativa per quanto di loro competenza, mentre Poste gioca un ruolo di primo piano: promuovere progetti educativi, realizzare manifestazioni a taglio filatelico tra i carcerati, coinvolgere gli istituti nel realizzare collezioni e circoli interni, sostenere attività collegate rivolte al pubblico. “La formalizzazione del protocollo d’intesa - spiega a “Vaccari news” la stessa responsabile per la filatelia di Poste - ci permetterà di entrare nel pieno dell’operatività, esportando ad altre strutture di detenzione l’attività svolta a partire dal 2010 presso il carcere milanese di Bollate, che ha dato ottimi risultati. Si tratta di un importante punto di partenza per un progetto ambizioso”. Grazie alla collaborazione delle parti coinvolte, “si prefigge di diventare un nuovo fiore all’occhiello per la filatelia italiana, così come lo è stato ed è ancora l’analogo progetto nelle scuole. Attraverso la filatelia, difatti, è nostro obiettivo perseguire quel principio della rieducazione che è alla base dello stesso sistema carcerario italiano”. Durante la prima fase si procederà ad individuare gli istituti nei quali far partire il progetto. Lettera aperta a Carmelo Musumeci di Laura Arconti Notizie Radicali, 13 febbraio 2013 Mio caro “uomo ombra”, fratello di sofferenza e di attesa, col quale condivido il “fine pena” connesso all’ultimo respiro (tu rinchiuso dalle sbarre, io prigioniera di un corpo vecchio e neghittoso), mi hai scritto in privato qualcosa che mi suggerisce - invece - una pubblica risposta. Credo necessaria la pubblicità di questa risposta, da parte mia, poiché la mia bacheca Facebook ha sempre ospitato tutti i tuoi messaggi: ho sempre cercato di far risaltare i tuoi pensieri agli occhi e alle coscienze delle persone che mi leggono, e lo farò anche questa volta. Prima della mia risposta, ecco ciò che mi hai scritto: “Cara Laura, credimi, solo dopo aver diffuso la discesa in campo degli uomini ombra, tramite Rita, siamo venuti a sapere della Lista Amnistia Giustizia Libertà ed eravamo tutti disorientati che nessuno voleva unirsi con voi per raggiungere il quorum della Camera e del Senato. Poi ci ha risposto pubblicamente anche la Lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. A questo punto abbiamo deciso di lasciare libertà di scelta fra le due liste. Non solo ci condannano a morire in carcere ma ci tengono nell’ignoranza per renderci come animali, per non contare più nulla. Un affettuoso sorriso fra le sbarre. Carmelo 22.01.2013”. Caro Carmelo, questa tua lettera è vecchia, come data: ma a me è arrivata - in mail - soltanto il 6 febbraio. Ho riflettuto alcuni giorni, prima di risponderti. Mi son venute alla mente molte possibili risposte, anche quella di Seneca il Giovane. Ho pensato a Marco Pannella, ai ripetuti digiuni, a quel digiuno totale che gli ha fatto rischiare la vita una volta di più, al suo grido: “Amnistia Giustizia Libertà”. Ho ricordato quei momenti in cui tante personalità avevano protestato la loro solidarietà, il loro appoggio, financo la disponibilità a candidarsi nella lista amnistia Giustizia Libertà: salvo poi defilarsi con mille scuse non appena il pericolo di morte è stato superato. Ho “ripassato” con la mente i momenti in cui i giornali e le Tv si sono decisi a parlarne, dapprima convinti di dover preparare il “coccodrillo” sulla fine di Marco Pannella, poi per diffondere indignazione scandalizzata per l’accettazione che siamo stati costretti a dare a quell’unica proposta di collaborazione elettorale, solo perché veniva da uno che è all’altro estremo rispetto alle nostre idee. Voi non sapevate nulla di tutto questo? E quando poi vi “ha risposto pubblicamente anche la Lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia” e avete saputo dell’esistenza di queste due liste, quella del magistrato co-protagonista del discusso interrogatorio che l’11 agosto 1998 si concluse con il suicidio del giudice Luigi Lombardini e quella del Radicale che paga col proprio corpo la malagiustizia, ora la vostra decisione è stata di “lasciare libertà di scelta fra le due liste”? Carmelo, amico mio, tutti hanno libertà di scelta. Quando un capopopolo, o un partito, o un gruppo coordinato lasciano “libertà di scelta” esprimono soltanto la volontà di non scegliere, il rifiuto della responsabilità di dare una indicazione. Davanti ad una scheda elettorale ognuno é solo con la propria coscienza, ed è su questo che contano quei sognatori irriducibili che sono i Radicali: sul miracolo di una rivolta delle coscienze. Marco Pannella non chiede gratitudine per le azioni che intraprende, gli basta la speranza che ha nel cuore: che presto o tardi il grido di disperazione degli ultimi, degli ingiustamente ristretti, di coloro che sono obbligati a far soffrire ed insieme a soffrire tra le sbarre, di quelli che sono fuori col corpo ma dentro il carcere col cuore, venga finalmente ascoltato e dia luogo ad una azione risolutiva. Marco mi ha insegnato la pratica della nonviolenza: e ben sappiamo che il nonviolento agisce a proprie spese e a proprio rischio, senza mai pensare ad un assurda ipotesi di gratitudine da parte delle persone per le quali l’azione è stata pensata e vissuta. Non chiediamo il voto per la Lista Amnistia Giustizia Libertà in cambio di ciò che è stato fatto per una rivoluzione positiva nel mondo della malagiustizia, ma lo chiediamo perché sia consentito ai Radicali di avere ancora voce - anche una sola voce - nelle istituzioni, e poter continuare la lotta per una Giustizia che sia degna d’essere definita tale. “Vale la pena sperimentare anche l’ingratitudine, pur di trovare una persona grata”. (Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65) Lazio: l’Assessore Cangemi; progetto su salute psico-fisica, per agenti Polizia penitenziaria Il Velino, 13 febbraio 2013 “Abbiamo pensato ad un progetto che ponesse l’attenzione sulla centralità della persona. Per questo abbiamo inteso avviare un servizio di counseling psicologico per il personale della polizia penitenziaria, mai attivato prima in Italia, per promuovere la salute degli operatori all’interno dei nostri istituti penitenziari, favorire l’individuazione di eventuali e potenziali difficoltà di natura psicologica e offrire l’occasione di una loro possibile risoluzione. Un intervento benefico sia dal punto di vista dell’individuo-persona che dell’individuo lavoratore”. Lo ha dichiarato l’assessore enti locali e sicurezza, ambiente e sviluppo sostenibile, politiche dei rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, intervenendo oggi, nell’aula C dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma, alla presentazione del “Progetto per la Costituzione di un servizio di counseling psicologico e promozione della salute”, rivolto al personale del Corpo della polizia Penitenziaria in servizio negli Istituti penitenziari di Roma, Civitavecchia, Viterbo, Velletri e Frosinone. Presenti il Vice Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Simonetta Matone, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Maria Claudia Di Paolo e il direttore della Uoc di psichiatria dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea, Paolo Girardi, l’assessore Cangemi ha sottolineato come “sia la struttura stessa - ha detto - dell’ambiente lavorativo degli operatori di polizia penitenziaria, le carceri, a creare evidenti situazioni di disagio”. In particolare il progetto prevede una serie di incontri-colloqui degli operatori di polizia penitenziaria con specialisti della salute mentale (psicologi, psicoterapeuti, medici-psichiatri) in uno spazio individuale di ascolto e di confronto per intercettare il disagio sociale e psicologico; offrire sostegno in situazioni conflittuali; aumentare il benessere; agevolare la comunicazione; far crescere la motivazione personale e migliorare, di conseguenza, la qualità del lavoro sia in efficacia che in efficienza. Destinatari del progetto saranno gli operatori di polizia penitenziaria impiegati negli istituti di Roma, Civitavecchia, Viterbo, Velletri e Frosinone, per un totale di 2.658 unità (2.419 di sesso maschile e 239 femminile). “Così come, in questi anni - ha concluso Cangemi - abbiamo puntato moltissimo sulla formazione degli operatori di polizia penitenziaria, per qualificarne le capacità professionali, riteniamo di massima importanza la promozione della loro salute. E sono soddisfatto che il progetto sia portato avanti dagli specialisti del Sant’Andrea perché, oltre alle loro indiscusse capacità e competenze lavorative, la stessa azienda ospedaliera ha anche un valore simbolico eccezionale: il Sant’Andrea, infatti, è l’ultimo ospedale aperto nella nostra regione”. Giustizia: Ferrante (Pd); a Padova buoni progetti, ma situazione critica sovraffollamento Adnkronos, 13 febbraio 2013 “Nel carcere di Padova si sono sviluppati importanti progetti come per esempio Ristretti Orizzonti che è riuscito ad organizzare le visite di oltre 6.000 ragazzi delle scuole superiori nel corso del 2012, un esperienza fondamentale di rapporto con il territorio e che ha permesso a molti detenuti di intraprendere un vero e proprio percorso rieducativo”. Lo sottolinea il senatore Francesco Ferrante del Pd che ha effettuato oggi nell’ambito dell’impegno parlamentare, una visita ispettiva nel Carcere di Padova di via Due Palazzi, verificando che anche in un carcere in cui pur si svolgono progetti avanzati, esistono situazioni molto difficili. “Nonostante queste attività - prosegue il Senatore - anche in questo carcere si soffre del sovraffollamento: vi sono circa 900 detenuti in una struttura costruita per ospitarne 350 e quindi anche un’esperienza molto nota, come quella del lavoro in carcere, coinvolge una percentuale piuttosto bassa di detenuti, che devono vivere molto spesso in tre persone in una cella sufficiente per uno solo”. La visita, che fa seguito alle precedenti già effettuate da Ferrante nelle carceri di Caserta e Catanzaro, è stata organizzata con l’Associazione comunità Giovanni XXIII. Fondata da Don Oreste Benzi nel 1973 opera nell’ambito dell’emarginazione e della povertà, nello specifico con il Servizio Carcere promuove e sostiene percorsi rieducativi alternativi al carcere, per offrire ai detenuti la possibilità di cambiare stile di vita e smettere di delinquere. Napoli: Radicali; mobilitazione al carcere di Poggioreale, con l’On. Rita Bernardini Notizie Radicali, 13 febbraio 2013 Si è svolta a Napoli, presso la Casa Circondariale di Poggioreale, l’ennesima mobilitazione di militanti e dirigenti dell’Associazione Radicale Per La Grande Napoli alla quale ha partecipato anche la deputata radicale Rita Bernardini che ha raccontato sul suo blog la visita alla struttura carceraria: “Con i militanti radicali Per La Grande Napoli a partire dalle 7 abbiamo fatto la fila al carcere di Poggioreale insieme ai familiari per poter toccare con mano questa umanità che sta in fila per ore, alcuni anche dalla sera precedente, per poter fare il colloquio per primo in modo da poter andare a lavoro o portare i figli a scuola. La fila dura tanto e anche dopo che si viene chiamati passa molto tempo. Io ho fatto la fila come tutti e solo quando mi hanno chiesto il documento ho mostrato il tesserino da parlamentare e ho detto che volevo fare una visita, durante la quale sono stata accompagnata dalla direttrice la dottoressa Abate”. Come sottolinea Rita Bernardini, in questa struttura, “solo in 930 hanno una condanna definitiva, su 2.839 detenuti. Tutti loro però, anche i condannati in via definitiva, potrebbero presentare il ricorso alla Corte europea del diritti dell’uomo sicuri del risarcimento, così come avvenuto per i sette che lo hanno fatto a Piacenza e a Busto Arsizio”. Modena: aperto il nuovo padiglione detentivo da 200 posti, per sfollare quello preesistente Ansa, 13 febbraio 2013 È stato aperto oggi il nuovo padiglione del carcere Sant’Anna di Modena, della capienza di 200 posti letto. Si aggiunge a quello esistente, della capienza di 221 posti ma che ospitava fino ad oggi circa 350 persone. Una nota della casa circondariale precisa che la nuova struttura ospiterà 85 detenuti definitivi tra quelli che già erano in carcere al Sant’Anna, in attesa dell’assegnazione di altri detenuti provenienti dagli altri istituti della regione e tutti appartenenti al circuito della media sicurezza, con pene entro i cinque anni. Con l’apertura del nuovo stabile, le celle della vecchia struttura torneranno ad essere occupate soltanto da due persone e non da tre. Il padiglione inaugurato oggi si sviluppa su tre piani detentivi più uno per i servizi ed è stato realizzato in base alle ultime normative vigenti, con finestre più ampie e dotate di scuri, servizi dotati di doccia all’interno e di un piccolo angolo per la pulizia delle stoviglie. Quello di Modena è il primo di quattro padiglioni detentivi che si prevede di realizzare in Emilia-Romagna. Il mese scorso il sindacato di polizia penitenziaria Sappe aveva lanciato l’allarme sulla carenza di organico delle guardie carcerarie. In particolare, il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante aveva sottolineato come a Modena non fosse sufficiente il recente incremento di 37 unità in vista dell’apertura del nuovo padiglione, visto il trasferimento di nove agenti che avevano lasciato il Sant’Anna a partire da agosto. Verona: Amia; detenuti giardinieri col progetto Esodo, sostenuto da Cariverona e Comune www.tgverona.it, 13 febbraio 2013 È una sorta di seconda chances, il reinserimento sociale e lavorativo di quei detenuti del carcere di Montorio che hanno dimostrato ravvedimento e sono arrivati a fine pena. È il “Progetto Esodo” presentato ieri nella sede di Amia dal presidente Andrea Miglioranzi. Sostenuto da Fondazione Cariverona e Comune di Verona, curato dalla Caritas del Triveneto, il progetto è il frutto di un lavoro collettivo, come ha ricordato la Garante dei diritti delle persone private della libertà, Margherita Forestan, che sta impegnando il comune di Verona, il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la cooperativa sociale e diversi partner, ultimo in ordine di tempo Amia, azienda sempre attenta al sociale, che da gennaio ha iniziato un lavoro prima formazione teorica e poi di fase pratica con tre detenuti. Formazione, inclusione sociale e lavoro le tre aree d’intervento del progetto, a cui se n’è aggiunta una quarta, di sensibilizzazione delle problematiche legate al carcere. Detenuti si trasformano in giardinieri (L’Arena) Grazie al progetto Esodo e Amia alcuni carcerati vengono impiegati in lavori di pubblica utilità. Per ora sono tre ma ne arriveranno altri. Positive le reazioni nei quartieri: “C’è bisogno di interventi”. Regolano l’erba, rimuovono rami secchi e sterpaglie, ripuliscono aiuole e giardini. E, insieme ad un nuovo lavoro, imparano, o recuperano, l’importanza del rispetto delle regole. Sono le tre persone che, attraverso progetto Esodo, stanno sperimentando con Amia un percorso alternativo al carcere: un primo, fondamentale passo per piegare virtualmente le sbarre del carcere ed evitare il rischio di recidive. Il percorso fuori dal carcere per queste tre persone, ora in “esecuzione penale esterna”, è iniziato ai primi di gennaio. E a breve, ad allargare le fila di questa convenzione pilota con Amia, ne arriveranno altre due. Affiancati ai giardinieri esperti, dipendenti Amia, gli ex detenuti hanno mantenuto ordine e pulizia ai giardini Pradaval e in altre aree verdi del centro città. L’inserimento riguarda il settore Giardini. E “l’attività ha previsto una fase iniziale di orientamento con la formazione teorica della persona e la conseguente uscita sul campo per la fase pratica”, spiegano ad Amia. “Si tratta di un’iniziativa concreta per consentire a detenuti ed ex detenuti di darsi da fare impegnandosi in attività a servizio della comunità. Grazie a progetti come questo possiamo dare una possibilità in più a uomini che, in una situazione anche per loro stessi difficile da sostenere, grazie a questo progetto hanno l’opportunità di riscattarsi ed avere un’esperienza lavorativa in più”, commenta Andrea Miglioranzi, presidente di Amia. “Questo è un primo passo per scardinare il problema carcere: la situazione in Italia è drammatica, come ci fa capire la condanna dell’Unione europea. Grazie a progetti come questo, i carcerati si abituano gradualmente al rigore che impone il rispetto delle regole”, interviene Margherita Forestan, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune. Con questi nuovi giardinieri, tra detenuti ed ex e le persone in esecuzione penale esterna in forze al Comune salgono a una ventina di uomini. “Una risorsa preziosa che speriamo di implementare il prima possibile”, spiega la consigliera Antonia Pavesi. “In prima circoscrizione lottiamo quotidianamente contro l’emergenza buche a causa dei mattoncini di porfido che si sollevano di continuo. E avremmo bisogno di selciatori”, propone Giuliana Marconcini, consigliera nel parlamentino del centro e da tempo al fianco di Forestan come collaboratrice del progetto. Promosso dalla Fondazione Cariverona e grazie alle Caritas diocesane di Verona, Vicenza e Belluno che hanno assunto il ruolo di coordinatori provinciali del progetto, e al Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Triveneto, “Esodo” mette in rete istituzioni, enti pubblici e privati, mondo dell’associazionismo per promuovere iniziative di formazione, inclusione sociale e lavoro per i carcerati o per le persone che hanno da poco saldato il proprio conto con la giustizia. Castrovillari: Corbelli (Diritti Civili); detenuta chiede poter tornare col figlio di tre anni Ansa, 13 febbraio 2013 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, denuncia un nuovo caso legato al dramma dei bambini in carcere. “Una giovane donna calabrese di 35 anni - afferma Corbelli - detenuta nella Casa circondariale di Castrovillari è stato tolto il suo bambino, che ha da poco compiuto 3 anni. Questa donna, che deve ancora scontare, meno di sette mesi di detenzione si è vista revocare gli arresti domiciliari, dove si trovava dal 21 marzo 2012, nella sua città, che è molto distante da Castrovillari. La giovane donna, per il disbrigo di una necessità familiare, aveva lasciato la sua abitazione informando come sempre, afferma lei, i servizi sociali e i carabinieri. Era stata accusata di evasione e per questo era stata riportata nel carcere di Castrovillari”. La donna ha inviato una lettera a Corbelli in cui chiede di “poter ritornare insieme al suo bambino che ogni giorno piange e chiede della sua mamma”. Parma, Sappe; sicurezza a rischio per colpa dei vertici del Dap… che si devono dimettere Gazzetta di Parma, 13 febbraio 2013 “Se hanno un minimo di dignità, i responsabili dell’Amministrazione penitenziaria italiana devono andarsene a casa. È inutile cercare capri espiatori fra gli agenti, che fanno il loro dovere con grande capacità e che sono ora umiliati e scoraggiati: la colpa di quello che è successo va cercata ai vertici”. Va giù duro Donato Capece, segretario generale del Sappe, che era ieri a Parma per illustrare la posizione del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria dopo la clamorosa evasione dal carcere cittadino di due detenuti albanesi (un omicida ergastolano e un rapinatore), all’alba dello scorso 2 febbraio. La posizione è netta: il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, e il suo vice, Luigi Pagano, “devono dimettersi”. Loro la colpa, secondo Capece, se nelle carceri è stata introdotta la nuova filosofia della cosiddetta “vigilanza dinamica”, che avrebbe avuto l’effetto di “smantellare la sicurezza” a favore di una gestione più permissiva. Loro la colpa se nelle prigioni molti strumenti di controllo e di allarme sono obsoleti o non funzionanti. Per Capece i vertici romani del dipartimento “sono riusciti a sfatare un mito: quello del carcere di Parma come fiore all’occhiello. Quello che è accaduto è una criticità annunciata, ci aspettavamo che sarebbe successo qualcosa”. Secondo il segretario nazionale del sindacato, la ferita maggiore la struttura di Parma l’ha ricevuta quando a Roma, nell’estate del 2011, è stato deciso il contemporaneo trasferimento sia del direttore Silvio Di Gregorio che del comandante della Polizia Penitenziaria Augusto Zaccariello: “Erano due figure che lavoravano molto bene, in simbiosi. Non si può dalla mattina alla sera sfasciare un carcere che funziona bene trasferendone i suoi responsabili”. A causa del sovraffollamento (i detenuti sono 635 rispetto ai 429 posti regolamentari) e della carenza di personale (l’organico è di 280 agenti, a fronte dei 471 che sarebbero previsti). Della delegazione del Sappe capitanata dal segretario nazionale Donato Capece facevano parte ieri anche il segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante, quello regionale Errico Maiorisi, quello provinciale Fabio Ruffolo e quello locale Pasquale Ielapi. A tutti è stato fatto fare un sopralluogo nei punti in cui si è consumata l’evasione di dieci giorni fa. Un giro al termine del quale Capece ha descritto una situazione della sicurezza a dir poco allarmante: il sistema anti-scavalcamento non funziona, e di conseguenza neanche il sistema di puntamento automatico delle telecamere, che dovrebbero inquadrare il punto in cui scatta l’allarme; i monitor della sala di controllo in parte non funzionano, in parte sono obsoleti, rendendo difficoltoso vedere cosa succede; il servizio di vigilanza sul muro di cinta è stato ridotto da quattro a due uomini (a fronte di otto postazioni presenti); non vengono più effettuate le perquisizioni straordinarie di intere sezioni, ma soltanto perquisizioni a campione, a causa della scarsità di personale; all’ingresso del carcere il metal detector e l’apparecchiatura per il controllo ai raggi x sono entrambe guaste; non è più possibile perquisire i familiari in visita, né controllare la posta in arrivo. E poi, rivela Capece, “le sbarre del carcere di Parma, come di tanti altri penitenziari realizzati ai tempi dello scandalo delle “carceri d’oro”, sono fatte con un acciaio morbido”, non abbastanza resistente. Cosa che ha permesso - come conferma il segretario - di indebolirle congelandole con il gas delle bombolette per cucinare, e di tagliarle con dei seghetti, “portati forse dai parenti in visita”, o con il cosiddetto “capello d’angelo”, un filo molto resistente arrivato forse per posta. Intanto, emergono altri dettagli sulle circostanze della fuga dei due albanesi. In particolare, il fatto che i due si trovassero nel reparto minorati fisici, nonostante fossero in perfetta forma. Perché? Perché non c’era altro posto in cui sistemarli, a causa del sovraffollamento. E così, nonostante la loro pericolosità, si sono trovati in una sezione in cui è previsto di notte un solo agente di guardia per cento detenuti. Il che, com’è ovvio, ha agevolato la loro fuga. Chieti: progetto di pet-theray, per armonizzare il rapporto tra i detenuti e i propri figli Il Centro, 13 febbraio 2013 La pet-theray per armonizzare il rapporto tra i detenuti e i propri figli durante i giorni di visita nel carcere. Il progetto reso possibile grazie ad un finanziamento straordinario del Provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria di Pescara, è stato avviato nella casa circondariale di Madonna del Freddo. Il piano di attività assistite dagli animali, meglio note come pet-therapy, è unico nel suo genere e l’Istituto di Chieti è la prima sede ad ospitare un’esperienza non solo innovativa per la Regione, ma da considerarsi progetto pilota rispetto al panorama nazionale ed internazionale. I bambini vengono introdotti in un’area dedicata dove, insieme ai genitori detenuti, vengono coinvolti in attività di socialità con animali domestici, sotto la guida di un team di esperti. Gli obiettivi principali per cui questa iniziativa è stata proposta ed accolta sono stati quello di favorire l’aggregazione affettiva del nucleo familiare durante i colloqui, coinvolgendo i bambini, ad esempio, nel momento in cui i loro genitori sono impegnati nella discussione sui problemi quotidiani, burocratici od economici che si trovano, a distanza, ad affrontare, ma soprattutto quello di temperare l’impatto della struttura carceraria sui minori che vi fanno ingresso e di accompagnare il momento dell’uscita, ovvero del distacco dalla figura genitoriale, preservando per quanto possibile la personalità dei minori dalla traumaticità dell’impatto con l’Istituzione penitenziaria. In questo senso gli animali, durante la visita, fungono da veri e propri “mediatori familiari”, ed anche da supporto emotivo transizionale durate le entrate e le uscite. L’operatività progettuale, condotta dalla cooperativa Diapason di Pescara, con la presidente Caterina Di Michele in collaborazione con la professoressa Elisabetta Bascelli, della facoltà di Psicologia dell’Università d’Annunzio, prevede che gli interventi siano oggetto di un accurato monitoraggio che consenta di rilevarne l’efficacia sul benessere psico-fisico dei bambini e dei genitori detenuti (in termini di sostegno. Il progetto, seguito dalla dottoressa Annamaria Raciti (area educativa del carcere), è stato prontamente accolto e valorizzato da l comandante di reparto Valentino Di Bartolomeo, che ha garantito la collaborazione del Corpo di polizia penitenziaria e, nello specifico, del personale addetto ai colloqui. Buoni i risultati scaturiti dal primo mese di attività: bambini più sereni nonostante la difficoltà del distacco dal genitore. Catania: Uil-Pa replica a direttrice; all’Ipm di Acireale organico insufficiente da due anni La Sicilia, 13 febbraio 2013 “Nel rispetto di tutto il personale dell’Ipm di Acireale che da anni ha un organico insufficiente ed è sottoposto a grossi sacrifici personali e familiari ci è doveroso intervenire e chiedere delle specifiche alla dichiarazione del direttore dell’Ipm di Acireale”. Il segretario generale della Uil-Pa, Armando Algozzino non condivide le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell’Ipm di Acireale, Carmela Leo, in un articolo pubblicato ieri. Nell’articolo in questione la Leo aveva dichiarato: “Il problema della carenza di personale di polizia penitenziaria è serio. I detenuti sono 20 e gli agenti sono 17, l’organico ne prevede 27. Ma grazie agli sforzi e alla fatica del personale si riesce a garantire la soglia minima di sicurezza, senza sacrificare il trattamento dei ragazzi ristretti. Ho sentito il direttore del Centro per la Giustizia minorile di Palermo, Angelo Meli, che mi ha assicurato che tenterà di risolvere la situazione e che l’istituto non dovrebbe andare incontro a rischio chiusura”. L’organizzazione sindacale denuncia invece che lo stesso Angelo Meli, proprio ieri, ha disposto la chiusura temporanea del Centro di prima accoglienza di Messina fino al 18 febbraio per inviare due unità di Polizia penitenziaria all’Ipm di Acireale. Il segretario generale della Uil-Pa evidenzia inoltre nella nota che durante un incontro svoltosi l’8 gennaio presso la Direzione del Centro per la Giustizia Minorile di Palermo, a cui era presente lo stesso direttore dell’Ipm acese, le organizzazioni sindacali e l’Amministrazione regionale della Giustizia Minorile siano convenute sulla criticità di organico dell’istituto di Acireale, superiore a quella degli altri istituti minorili siciliani, motivo per cui le stesse organizzazioni sindacali hanno chiesto un incontro con il Dipartimento della Giustizia Minorile a Roma. Alla luce del sostegno di organico richiesto ieri agli altri istituti, la segreteria provinciale della Uil-Pa stigmatizza come “inesatta” e non corrispondente alle reali esigenze dell’istituto e del personale la dichiarazione rilasciata da Carmela Leo. Prato: Sappe, quattro poliziotti feriti da un detenuto con problemi psichiatrici Adnkronos, 13 febbraio 2013 Quattro agenti della Polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto nel carcere di Prato. Lo rende noto il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Il detenuto, particolarmente violento e con problemi psichiatrici, era nel reparto isolamento - riferisce il segretario, Donato Capece. I poliziotti sono stati proditoriamente aggrediti, prima verbalmente e poi fisicamente, tanto da rendersi necessarie le cure all’Ospedale. Nonostante tutto, i colleghi della Polizia penitenziaria sono riusciti a evitare più gravi conseguenze. A loro va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà”. “Sgomenta constatare la frequente periodicità con cui avvengono queste aggressioni: servono provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse - denuncia Capece. Bisogna dare soluzioni concrete e certe per Prato, dove i poliziotti penitenziari sono sempre più sotto organico e da soli nella prima linea delle sezioni detentive a gestire le continue tensioni e situazioni di pericolo”. Macerata: sovraffollamento delle carceri, domani un convegno con Patrizio Gonnella Ristretti Orizzonti, 13 febbraio 2013 Chi sono i 66.000 detenuti che compongono le nostre carceri? Come mai l’Italia, che ha un tasso di criminalità tra i più bassi rispetto agli altri paesi europei, si ritrova le carceri tra le più affollate d’Europa? Domani (giovedì) alle ore 21,15 alla sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi Borgetti, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - l’associazione che a livello nazionale raccoglie e divulga le realtà carcerarie - discuterà del problema del sovraffollamento carcerario insieme a Maria Grazia Coppetta, docente di procedura penale dell’università di Urbino ed esperta di diritto penitenziario, coordina Francesca Marchetti, operatrice teatrale nel carcere Barcaglione di Ancona. Per eliminare il problema del sovraffollamento è necessario intervenire in modo drastico sulle tre leggi che hanno prodotto la carcerazione: la legge ex Cirielli, la famosa legge “Salva Previti” che prevede aumenti di pena per coloro che reiterano il reato; la legge Fini-Giovanardi che colpisce il consumo di droghe (anche leggere) e la Bossi- Fini, che criminalizza lo status di immigrato che soggiorna irregolarmente. La dichiarazione di emergenza delle carceri risale ormai al 2010, nulla è stato fatto per risolvere questa situazione di degrado complessivo e di profonda sofferenza umana. Di fronte a questo quadro viene da chiedersi quanto la mancata attuazione di provvedimenti normativi, non sia che una profonda struttura che connette il carcere alla nostra organizzazione sociale e alla crisi di un modello sociale. Il sovraffollamento non è altro che l’effetto di automatismi che rientrano nelle logiche di controllo sociale di una società in decadenza che non riesce a liberare spinte alternative ma piuttosto richiudersi su se stessa. L’evento è promosso dall’associazione Art’O e dall’Università di Urbino. Roma: venerdì un incontro-dibattito per affrontare il tema delle carceri nel VII municipio Ansa, 13 febbraio 2013 Venerdì 15 febbraio 2013, alle ore 15, presso la Sala conferenze Lucio Conte, all’interno della sede del Municipio Roma VII (Via Prenestina, 510 - angolo via Togliatti) si terrà un incontro per discutere di un tema sociale particolarmente importante per l’agenda politica nazionale: la gestione delle carceri nel nostro Paese. L’incontro promosso dalla Cooperativa “Assalto al Cielo”, in collaborazione con la Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari, è patrocinato dal Presidente del VII Municipio, Roberto Mastrantonio e dall’Assessore alle Politiche sociali Pino Pungitore. Nell’organizzazione di questo dibattito il Municipio Roma VII dimostra, ancora una volta, la sua grande attenzione per le problematiche sociali italiane, non solo quelle limitate ai confini del territorio del Municipio. Il Presidente Mastrantonio e la Cooperativa “Assalto al Cielo” desiderano dare un importante contributo alla discussione in atto sul tema del sovraffollamento delle carceri nella speranza che diventi un tema centrale per tutte le forze politiche, sia nazionali che locali, in modo da arrivare un modo nuovo e diverso di percepire il carcere. L’obiettivo è arrivare ad un’applicazione vera della legge Gozzini, approvata in Parlamento nel 1986, che afferma la prevalenza della funzione rieducativa della pena e prevede una serie di misure alternative alla detenzione in carcere per chi ha commesso alcuni tipi di reato. La legge Gozzini e la sua attuazione sono l’unica vera soluzione al sovraffollamento delle nostre carceri. Roma: il musicista-cantautore Luca Pugliese in concerto al carcere di Rebibbia www.romatoday.it, 13 febbraio 2013 Sarà Roma la seconda tappa del tour di Luca Pugliese per l’Italia carceraria. Mercoledì 13 febbraio il musicista-cantautore campano fondatore dei Fluido Ligneo si esibirà per i detenuti della casa circondariale di Rebibbia. Un’iniziativa che, oltre a mantenere alta l’attenzione sullo stato delle nostre carceri, punta il dito contro il degrado culturale del nostro paese, di cui le carceri sono emblema, e mette in gioco il ruolo sociale dell’arte. Al termine della performance acustica tenuta al carcere di Secondigliano lo scorso 19 gennaio, l’artista ha infatti dichiarato: “Organizzo un tour a mie spese nelle carceri italiane, visto che anche la musica, l’arte e la cultura in questo paese sono ormai in prigione”. E ancora: “Mai avuto pubblico così attento! La dignità dell’uomo è un diritto universale che non ammette deroghe, e l’arte è un diritto di tutti. La musica è aria dipinta. Portarne un po’ in luoghi dove tutto è troppo poco e troppo stretto mi ha reso vivo e mi ha fatto sentire utile al mondo. L’Italia attualmente non sa cosa farsene dell’arte, degli artisti e dei detenuti!”. E intanto, grazie alla collaborazione offerta dai direttori di diverse case circondariali, il progetto di un tour per l’Italia carceraria è diventato realtà. Prossime tappe, dopo quella romana, le carceri di Sant’Angelo dei Lombardi (14 febbraio) e Benevento (15 febbraio). Saranno concerti in versione solo, con un rocambolesco Luca Pugliese che, nella triplice veste di cantante, chitarrista e percussionista a pedale, offrirà al popolo carcerario le sonorità etniche della sua ultima fatica discografica, Dejà vu (dicembre 2012), e personali interpretazioni di brani della tradizione cantautorale italiana, in particolare del compianto Lucio Dalla. Il caso vuole che i tre appuntamenti si terranno proprio in concomitanza con l’evento più blasonato della canzone italiana, il Festival di Sanremo. Dunque, mentre tutta l’Italia si trastulla spalancando gli orecchi al mercato delle canzonette, c’è chi, lontano dai riflettori, cerca di restituire l’udito a un mondo costretto alla sordità. Libri: “La mia verità”… su 407 giorni in carcere, di Lele Mora Ansa, 13 febbraio 2013 Dieci capitoli e 155 pagine per raccontare i suoi 407 giorni in carcere. Lele Mora ha presentato oggi, al Circolo della stampa di Milano, il suo libro dal titolo “La mia verità”. Una sorta di instant book edito da Larus, scritto con l’aiuto del giornalista Matteo Menetti e con il contributo della figlia, Diana, che nella sua lettera-prefazione fa cenno al “prezzo altissimo” pagato dalla famiglia. “Volavo troppo alto, con ali di cera - ha ricordato l’ex agente dei vip condannato per bancarotta - e sono caduto. Il mio errore è stato apparire e non capire l’amore dei miei figli”. Mora ha raccontato i suoi “giorni terribili”, dall’arresto al tentativo di suicidio in cella. Ma nel carcere ci sono anche persone speciali, gli ‘angeli custodì come Mora ha definito gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Opera, a cui verrà devoluta una parte del ricavato del libro. Non sono mancate risposte sincere su persone che un tempo gli erano vicine. Berlusconi? “Non lo vedo dal 7 gennaio 2011, è un grande uomo, ma solo come capita ai re”. Fabrizio Corona? “Ha fatto bene a costituirsi, ma è malato, soffre di disturbo bipolare, spero lo aiutino”. Le più grandi delusioni? “Alfonso Signorini ed Emilio Fede. Alfonso lo ritenevo uno dei miei cinque migliori amici, l’ho aiutato molto nella sua ascesa. Dopo l’arresto non mi ha scritto nemmeno una lettera. Fede invece è troppo attaccato al potere e al denaro. Se non gli avessi dato quei soldi, forse avrei evitato il fallimento”. L’incontro con la stampa è stato introdotto da Maurizio Coruzzi, privo degli abiti di Platinette. “L’ho scelto come mio agente - ha ricordato - quando gli altri scappavano, dopo il primo scandalo Vallettopoli. E così siamo diventati amici. Io sono il suo assistito, ma anche Lele ora è assistito, il suo manager è don Antonio Mazzi, ovvero il sacerdote a cui l’agente dei vip è stato affidato dopo la condanna. “Mi sto specializzando nelle pecore perdute” ha confermato don Mazzi con un sorriso. “Io non l’ho beatificato, e poi Lele mi ha aiutato ancora poco. Ma sono testimone del cammino interiore che sta facendo”. Il giornalista Menetti ha parlato dello stupore provato scoprendo un Lele Mora completamente diverso. Un tratto umano forte sottolineato infine anche da un altro sacerdote, il cappellano del carcere di Opera don Antonio Loi. Grecia: Amnesty chiede un’inchiesta sul caso dei quattro anarchici arrestati e torturati di Barbara Spinelli www.blitzquotidiano.it, 13 febbraio 2013 Emergono particolari scioccanti sul caso dei quattro giovani arrestati sabato e torturati dalla polizia ellenica. Lo scandalo supera i confini nazionali e Amnesty International punta il dito contro Atene. Anche Amnesty International, in una nota diffusa ieri, ha chiesto l’apertura di una inchiesta sulle torture inflitte dalla polizia ellenica a quattro giovani arrestati lo scorso 1° febbraio 2013, perché sospettati di aver partecipato alla rapina di una banca di Kozani, nel nord della Grecia. Due dei quattro detenuti sono accusati di far parte del gruppo armato di ispirazione anarchica “Cospirazione delle cellule di fuoco”. “Le autorità greche non possono pensare di risolvere i loro problemi con Photoshop. Questa cultura dell’impunità dev’essere fermata. Su questa vicenda occorre indagare in modo efficace, imparziale e approfondito, in modo che i responsabili siano identificati e portati rapidamente di fronte alla giustizia” ha dichiarato Amnesty International. Le foto dei quattro giovani con i volti tumefatti per le botte e le torture ricevute hanno fatto nei giorni scorsi il giro del mondo, dopo la pubblicazione delle immagini su alcuni siti istituzionali da parte delle autorità elleniche che hanno in questo modo voluto rivendicare gli arresti. Non prima di aver tentato di ritoccare e ripulire le istantanee a colpi di Photoshop, per cercare di cancellare parte delle prove dei pestaggi che comunque sono apparsi evidenti. Il “lavoro” di ripulitura delle foto infatti è stato fatto così male e di fretta che l’operazione è diventata un vero e proprio boomerang per il governo Samaras e in particolare per il ministero degli interni di Atene. Nel tentativo maldestro di cancellare le ferite più gravi gli improvvisati tecnici della polizia hanno completamente stravolto il viso di uno dei quattro giovani, mentre ad un altro hanno schiarito i capelli biondi così tanto da farli diventare quasi bianchi. E non è quindi bastato impedire ai quattro arrestati di contattare famigliari e avvocati per 24 ore, aspettando che le ferite provocate si rimarginassero almeno un po’. Nel tentativo di salvare il salvabile la polizia ha affermato poi che i quattro sarebbero stati feriti nel corso dell’arresto e il ricorso alla forza si sarebbe limitato al necessario. Una versione poco credibile e smentita immediatamente. Medici e i familiari, infatti, hanno da subito denunciato che il brutale pestaggio è avvenuto proprio durante e subito dopo la detenzione, quando gli agenti hanno voluto punire gli arrestati per la matrice politica antisistema dei loro presunti crimini. Uno degli arrestati, il ventenne Nikos Romanós, ha dichiarato: “I miei motivi erano politici. Considero me stesso prigioniero di guerra. Non mi considero una vittima. Non voglio querelare i poliziotti che mi hanno picchiato. Desidero che il mio maltrattamento sensibilizzi le coscienze dei cittadini”. Non è la prima volta che alcuni giovani vengono torturati dalla polizia. Nell’ottobre 2012, 15 manifestanti antifascisti avevano denunciato di essere stati torturati all’interno degli uffici del quartier generale della Polizia di Atene, il Gada, dopo il loro fermo durante una manifestazione antifascista nelle vie della capitale. Israele: deputati chiedono spiegazioni a governo sul suicidio di un detenuto australiano Adnkronos, 13 febbraio 2013 Deputati del parlamento israeliano hanno chiesto oggi spiegazioni al governo sulla misteriosa vicenda di prigioniero segreto di nazionalità australiana che si sarebbe suicidato in un carcere israeliano. Il deputato arabo israeliano Ahmed Tibi si è rivolto al ministro della Giustizia uscente Yaakov Neeman per chiedere conferma della notizia pubblicata dai media australiani. Sulla vicenda è intervenuta anche Zahava Gal-On, leader del partito di opposizione Meretz, che si è scagliata contro la richiesta del governo ai giornali di mantenere il segreto. Neeman, che era in aula, ha risposto che della vicenda è competente il ministro della Pubblica Sicurezza, ma ha convenuto che la vicenda va indagata. È stato il sito di Haaretz a rivelare che il primo ministro Benyamin Netanyahu ha convocato oggi con urgenza direttori e proprietari dei principali media per chiedere di non pubblicare informazioni “relative ad un incidente che è molto imbarazzante per una certa agenzia del governo”. Intanto in Australia, l’emittente Abc ha riferito che il “prigioniero X” impiccatosi in carcere in Israele nel 2010 era un cittadino australiano che sarebbe stato reclutato dai servizi del Mossad. L’uomo era tenuto in isolamento assoluto, non riceveva visite e le sue guardie non ne conoscevano il nome. Svelato il mistero del “Prigioniero X” Svelata l’identità del detenuto più segreto d’Israele. Sono stati i giornalisti di Abc a svelare in un’inchiesta l’identità del misterioso prigioniero detenuto in assoluto segreto nelle carceri israeliane, che nel 2010 riuscì ad evadere la sua triste condizione suicidandosi. Dopo il servizio di Abc il giornale israeliano Haaretz ha riferito che l’ufficio del primo ministro ha convocato un “incontro d’emergenza del Comitato degli Editori… per chiedere ai suoi membri di collaborare con il governo e non pubblicare informazioni pertinenti a un incidente che è molto imbarazzante per una certa agenzia governativa”. In seguito Haaretz ha pubblicato un articolo sulla storia del “suicidio di un prigioniero nel 2010? con un link proprio alla notizia del meeting, lasciando ovviamente intendere come il resoconto fosse necessariamente incompleto e perché. Già in passato dal sito di Haaretz era stato rimosso un articolo dedicato alla storia. Del prigioniero non si sapeva nulla, non quando fosse cominciata la sua detenzione, quando fosse stato processato, quale la sua condanna e quale la sua identità, il governo non ha mai riconosciuto la sua esistenza e le richieste d’informazioni sono state disattese o rimandate all’infinito. Secondo Abc si trattava di Ben Zygier, un cittadino australiano all’epoca di 34 anni che usava anche il nome di Ben Alon o Ben Allen dopo essersi trasferito in Israele a seguito del matrimonio con una cittadina israeliana. Era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Ayalon e quando è morto il suo corpo è stato rispedito in Australia, rendendo così possibile la sua identificazione da parte dei giornalisti australiani. Una bruttissima storia che ora mette in imbarazzo il governo australiano, che non può certo tacere di fronte a un tale trattamento di un suo cittadino, ma soprattutto che mette in imbarazzo il governo israeliano e il Mossad, che hanno gestito in maniera discutibile una storia misteriosa e che alla fine si sono fatti cogliere con le mani nella marmellata. Risulta infatti inquietante che un governo sia disposto a far sparire in questo modo una persona, quali che siano le accuse. Si sospetta con una buona certezza che l’uomo sia stato accusato di aver tradito Israele e che collaborasse con i servizi israeliani, solo il suo coinvolgimento in storie inconfessabili o il possesso d’informazioni altrettanto imbarazzanti per lo stato d’Israele può aver giustificato un trattamento tanto irrituale da apparire in plateale violazione dei diritti che anche in Israele sono riconosciuti persino ai peggiori criminali. Ecuador: 19 detenuti pericolosi fuggiti dal carcere della città di Guayaquil Adnkronos, 13 febbraio 2013 È allarme in Ecuador dopo la fuga di 19 detenuti, ritenuti molto pericolosi, dal carcere della città di Guayaquil. Lo ha riferito il ministro degli Interni, Josè Serrano, che ha annunciato un’operazione di ricerca a livello nazionale per catturare gli evasi. Dopo aver minacciato e immobilizzato le guardie carcerarie, il gruppo di detenuti ha lasciato il centro penitenziario, e poi ha proseguito la fuga in barca lungo il fiume. I secondini, che non sono riusciti a bloccare i prigionieri in fuga, e sui quali nessuna violenza è stata praticata, sono stati trattenuti dalle autorità perché sospettati di essere complici. Il governo ha offerto ricompense che vanno dai 50mila ai 100mila dollari, a tutti coloro che forniranno informazioni utili alla cattura dei fuggiaschi. Stati Uniti: a 73 anni rapina una banca “sto meglio in cella, voglio tornarci” Corriere della Sera, 13 febbraio 2013 Capelli bianchi, un bastone a sorreggerlo e un solo pensiero in testa: farsi arrestare di nuovo. Così Walter Unbehaun sabato scorso, poco dopo le 9,30 del mattino, è entrato in una banca di Niles. Al cassiere ha subito detto chiaramente che si trattava di una rapina a mano armata: “Mi restano solo sei mesi di vita e non ho niente da perdere”. Poi gli ha mostrato una pistola argentata infilata nella cintura dei pantaloni, e ha aggiunto che però non era sua intenzione fare del male ad alcuno. Il cassiere gli ha quindi consegnato circa 4mila dollari in contanti e il vecchietto è uscito tranquillamente dalla banca. Una telecamera del vicino ristorante Dunkin’ Donuts ha ripreso l’anziano signore col bastone mentre entrava in una berlina grigia. E la caccia all’uomo è subito partita. Walter ha aspettato sereno il suo destino in un motel a nord di Chicago. Gli investigatori sono risaliti a lui domenica, dopo aver diffuso l’immagine dell’anziano rapinatore e aver parlato con un ristoratore che lo aveva rivisto ultimamente dopo 20 anni. E la sua fedina penale non è stata una gran sorpresa: il signor Unbehaun aveva già trascorso in carcere parecchio tempo. L’ultima condanna: 10 anni per un’altra rapina, era uscito nel 2011. Quando gli agenti sono entrati nella sua stanza per arrestarlo, il vecchio detenuto ha poggiato il suo bastone e non ha opposto resistenza. Nella perquisizione sono saltati fuori la refurtiva, la pistola e i proiettili. Poi l’ammissione del rapinatore: “Voglio passare quel che resta della mia vita in carcere: sto meglio lì che fuori”. “Sapeva che compiere una rapina a mano armata gli avrebbe garantito il risultato cercato”, ha commentato secco l’agente dell’Fbi Chad Piontek.