"Dal carcere si esce in fretta e facilmente"… una convinzione pericolosa e da sfatare Il Mattino di Padova, 9 dicembre 2013 Quando si parla di giustizia, sono in tanti a esprimere la convinzione che nel nostro Paese le pene siano fra le più basse in Europa, che dal carcere si esca sempre troppo in fretta e che serva invece tanta galera per farci sentire sicuri. Non è un caso che le persone giovani che finiscono arrestate, straniere ma anche italiane, molto spesso sono così poco e male informate, che nemmeno si rendono conto di quello che le aspetta. Il carcere poi rischia di diventare una scuola del crimine, e quando quel ragazzi alla fine accumulano anni su anni di condanne, si ritrovano rovinati e incapaci di reagire a tutta quella sofferenza, ecco perché è particolarmente importante il lavoro che si può fare proprio dal carcere, sensibilizzando I ragazzi delle scuole e smontando la cattiva Informazione, che fa credere che "tanto li arrestano, e il giorno dopo sono già fuori". Da ragazzo non capivo cos’era bene e cosa no Una buona parte di detenuti che affollano le carceri non immaginava neppure lontanamente la pena a cui andava incontro, non perché non fosse consapevole di quello che stava commettendo, ma per la grande diversità di condanna che si può ricevere nel nostro Paese da una procura all’altra. Io sono uno di quelli, ho un cumulo di condanne che mi ha portato a dover scontare più di trent’anni, il mio tipo di reato è sempre stato la rapina. Certo detta così posso sembrare un delinquente incallito, lo sono stato sicuramente per una scelta di vita, ma determinata anche da un contesto sociale che ha inciso sul mio percorso di peggioramento. Sono certo che questo mio crescendo di delinquenza in giovane età sfa stato causato principalmente dalla mancanza di paletti nella mia vita. Questi paletti sono i limiti che un genitore impone al proprio figlio e avendo avuto un padre carcerato dall’età di zero anni ai dieci questi limiti a me sono mancati, anzi vedere mio padre dietro a banconi e vetri nelle sale colloqui mi ha dato una grossa spinta a odiare la società in cui avrei dovuto vivere e le sue istituzioni. Ma anche crescere in un quartiere degradato incide fortemente su un bambino, essere a stretto contatto con pregiudicati, vedere da ragazzino la polizia venire ad arrestare uno zio. o il padre di un amico, contribuisce a farti identificare dei nemici in tutte le divise. Queste cose non vogliono essere alibi, ripeto il mio contributo a peggiorarmi è stato fondamentale, ma non essere in grado di capire cos’era bene e cos’era male mi ha portato a rovinarmi la vita. C’è una sorta di inconsapevolezza quando inizi a commettere i primi reati, il mio primo reato lo motivavo come un bisogno di soldi perché ero stufo di essere povero, non pensavo alla condanna che avrei dovuto scontare se mi avessero arrestato ed è proprio grazie alla mia prima carcerazione che ho capito l’odio che avevo dentro dime verso la società, ed è proprio da lì che posso affermare con sicurezza che la mia carriera delinquenziale abbia avuto una svolta. Abitando al sud, Catania, per commettere le rapine salivo al nord, non importava la regione l’importante era allontanarmi da casa. A 19 anni mi arrestarono a Milano e presi una condanna di cinque anni e dieci mesi per una rapina in banca. In questi anni di detenzione il pensiero principale era trovare l’errore commesso per non ripeterlo nelle future rapine, in più ascoltavo le strategie che i vecchi rapinatori raccontavano per cercare il colpo perfetto. Provate voi a stare in un contesto delinquenziale come è un carcere per anni meditando sempre sulla stessa cosa, l’odio, la rivalsa, la vendetta, sono questi i sentimenti di cui la mia mente si è nutrita per anni. Anno 2007 mi arrestano per rapine in giro per l’Italia, ed essendo ancora giudicabile mi vengono concessi gli arresti domiciliari in una comunità lavorativa, ma per me l’unico pensiero era scappare perché non avevo alcuna intenzione di regalare altri anni della mia vita a queste sbarre. La mia latitanza è durata poco più di sette mesi. Il 9 ottobre del 2009 torno in Italia per il funerale di mio figlio, sapevo che mi avrebbero arrestato, ma presi questa decisione perché sapevo anche che non sarei stato in grado di vivere con il rimorso di non aver partecipato al suo funerale, il caso vuole che nello stesso periodo una persona che mi era molto vicina si pente e mi accusa di diverse rapine. Non riuscivo ad avere ben chiara la mia situazione processuale. I mandati di cattura arrivavano settimanalmente e con essi tutte le date dei relativi processi in parecchie regioni. Iniziai questo calvario, e ad ogni processo gli anni mi venivano dati come se fossero noccioline. Credo che ancora oggi non ho la piena consapevolezza di tutti questi anni a cui mi hanno condannato, a volte mi ritrovo a fare progetti, poi mi riprendo e mi chiedo a cosa serve. Ho 37 anni e me ne mancano 24 da scontare. Non avrei mai pensato di arrivare a questa età e ritrovarmi rovinato. Oggi vedo molti giovani detenuti che rispecchiano quello che ero io e comunicare con loro è molto difficile perché hanno la presunzione di dire che loro saranno più furbi e che avranno la capacità di sistemarsi la vita con un colpo perfetto, questa presunzione è sempre stata la mia ed eccomi qui a fare la cosa più difficile che un uomo possa fare, trovare il coraggio di rimettere in discussione una vita intera. Lorenzo S. Tornavo in Albania e mi sentivo un leone Quando sono stato portato in carcere, mi sono cadute addosso le mie vecchie condanne. Ero un ragazzo pieno di vita e di sogni. sono cresciuto in una famiglia povera come tantissime altre che uscivano dal regime comunista e ancora non riuscivano a inserirsi nella strada del capitalismo. Sono albanese, da bambino uno dei miei sogni era di diplomarmi e di diventare un calciatore, e con tanto lavoro e volontà sono riuscito a fare parte persino della squadra dei giovani della mia città, che giocava in serie A. Ma in quel periodo i tempi in Albania stavano cambiando, la maggior parte dei ragazzi giovani appena poteva scappava da casa per emigrare. Qualcuno, dopo poco tempo, tornava con soldi e una bella macchina, e questo ha cambiato i miei sogni, volevo anche io avere i soldi e la bella macchina, ero stufo di guardare i miei genitori faticare tanto e essere sempre più poveri al punto da non riuscire ad arrivare a fine mese. Nel 2004, non avevo ancora compiuto 17anni e decido di oltrepassare il mare e venire in Italia, dove lamia povertà avrebbe avuto fine. Arrivo in Italia. il primo appoggio l’ho avuto da un mio cugino a Padova, che lavorava onestamente cercando di costruire con tanta fatica la sua vita. Ma il suo modello di vita non era quello che poteva realizzare in poco tempo il mio sogno di non essere più povero, così lascio il lavoro e la sua abitazione e mi metto a girovagare. Conosco dei connazionali che apparentemente facevano la bella vita e mi unisco a loro. Inizio a rubare e a commettere dei piccoli reati, che mi permettono di avere sempre soldi in tasca e una bella macchina. Tornavo a casa in Albania e mi sentivo un leone, la mia famiglia non capiva e non approvava la mia nuova vita ma ero sempre loro figlio, io invece avevo iniziato ad avere rispetto per me stesso, quel rispetto che il buio della povertà non mi aveva permesso di avere. Con la giovane età, i soldi, le belle auto e le donne mi sembrava di vivere il mio sogno, ho cominciato anche a bere e fare uso di droghe. Faccio questa vita per qualche anno sino al 2011 quando succede il patatrac vengo arrestato e portato in carcere, e mi piombano addosso le mie vecchie condanne, un cumulo di 25 anni e 4 mesi, e in aggiunta altri due processi da affrontare. A passare dalla povertà all’illegalità c’è voluto poco, cercando di realizzare il mio sogno mi trovo ora qui dove ho solo incubi. Oggi ho 25 anni e ho da scontare una condanna più lunga di tutta la mia vita vissuta finora. Molte volte chiudo gli occhi sperando dì svegliarmi quando ero un ragazzino e volevo diventare un calciatore, ma per mia sfortuna mi trovo sempre in carcere, ed ho appena iniziato a scontare la pena. Marsel H. Maledetto per sempre, la vita non è che una lunga morte di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 9 dicembre 2013 Gli uomini ombra che si aggrappano alla speranza smettono di vivere prima del tempo ("L’urlo di un uomo ombra" di Carmelo Musumeci - Edizioni Smasher). In nome del popolo italiano sono stato condannato a una condanna perpetua. Questa pena fino alla fine della vita è un castigo inumano e poco degno di una nazione civile perché trasforma un uomo in un morto che vive. I primi anni di galera cercavo di vivere perché avevo fiducia in me stesso, ora non né ho più. E cerco solo di sopravvivere, perché da pochi giorni sono entrato nel ventitreesimo anno di carcere. Devo ammettere che per me è sempre più difficile vivere per nulla e di nulla. Ci sono delle notti che mi sembra che vivo solo per fare dispetto a me stesso perché sento che questo corpo che porto addosso non mi apparterrà più fino alla fine della mia vita, e rimarrà, fino all’ultimo dei miei giorni, di proprietà dell’Assassino dei Sogni (il carcere nel gergo carcerario). Anche oggi pensavo che ho più nessun motivo per vivere. E forse continuo a respirare solo perché non ho abbastanza coraggio per morire. La pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio ti condanna a essere sepolto vivo e a essere perduto per sempre, senza speranza. Tutto quello che esiste nel mondo e nell’universo può essere misurato, pesato e contato, ma nessuno, a parte Dio, può farlo con una condanna perpetua, perché questa è una pena del diavolo e non ha nulla di umano. Da ventitré anni lotto contro di tutto e contro ogni speranza, ma non riesco a migliorare la mia posizione di un millimetro. Non riesco neppure a ottenere una semplice declassificazione per un regime carcerario meno duro. Fuori non hai tempo per guardare la vita negli occhi, invece dentro ne hai troppo. E penso che forse molti uomini ombra vivono solo per vendicarsi con loro stessi, perché non ha nessun senso continuare a scontare una pena che non finirà mai e che forse sopravvivrà alla nostra morte. Normalmente non mi piace scrivere frasi, come fanno tanti prigionieri, nelle pareti delle celle, questa notte, però, nel muro accanto alla mia branda ho scritto: "La vita, per un uomo ombra, non è che una lunga morte", per ricordarmi ogni sera quando vado a letto che sto morendo senza vivere, ogni giorno un po’ di più. Giustizia: "pacchetto carceri" pronto, ma in Parlamento si annuncia battaglia www.businessonline.it, 9 dicembre 2013 Si annuncia una battaglia in Parlamento per l’approvazione della riforma delle carceri presentata dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, che prevede anche novità per indulto e amnistia: le misure proposte vogliono otto ore di aria per i detenuti, con la possibilità di praticare anche attività sportive e musicali, potenziamento dei contatti con le famiglie; la creazione di ulteriori posti, con 4.500 nuovi posti per maggio 2014 e 12 mila posti in più entro il 2015, e la possibilità di norme che prevedano, soprattutto verso la fine della pena, "la restituzione degli stranieri al loro Paese d'origine perchè completino là il percorso". Sul sovraffollamento, il ministro ha assicurato "Diminuiremo le entrate. Bisogna pensare a pene alternative: chi sporca i muri, per esempio, li deve pulire e fare così lavori utili. E' inutile che vada in carcere, che rischia di trasformarsi in una scuola negativa, dalla quale si esce provati". E, proprio considerando il problema del sovraffollamento, per quanto riguarda amnistia e indulto, governo e ministro Cancellieri sono al lavoro su misure differenti dal carcere per chi ha compiuto reati minori. Sulla questione carceri è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha esortato: "Il Parlamento si assuma le sue responsabilità e scelga: vari entro maggio un provvedimento che alleggerisca il sovraffollamento carcerario, primo fra tutti l’indulto, oppure abbia il coraggio di dire chiaramente che non è necessario anche di fronte alla sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per violazione dei diritti umani". Ma sul tema interviene anche Matteo Renzi, nuovo segretario del Pd dopo la schiacciante vittoria conquistata con le primarie svoltesi ieri. L’attuale sindaco di Firenze è contro l’indulto. Il Pd di Renzi è "il partito della legalità", a cui spetta per primo i progetti di riforma della giustizia da discutere in tempi certi all’interno dei circoli, del Parlamento e dell’amministrazione. Obiettivo è "creare uno Stato che lasci liberi i cittadini e non spaventi gli investitori stranieri con processi civili troppo lunghi. Necessaria dunque una riforma a tutto tondo della giustizia, a iniziare dal tema delle carceri che va affrontato non con l’indulto, un condono mascherato, ma con la riforma delle legi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e della custodia cautelare in genere". Dalla parte di Renzi, anche se con toni decisamente più estremisti, Matteo Salvini, neosegretario federale della Lega Nord che ha detto: "La prima guerriglia parlamentare che faremo sarà contro ogni ipotesi di indulto e amnistia". E, tra gli altri provvedimenti, "il primo ente inutile che mi piacerebbe sopprimere è quello delle prefetture e dei prefetti. Sono inutili. Piuttosto che le province, cancelliamo qualche ente statale". Giustizia: Sottosegretario Ferri; riforma della custodia cautelare, contro sovraffollamento Ansa, 9 dicembre 2013 "È necessario promuovere misure alternative alla custodia cautelare in carcere per rafforzare in primis le garanzie dell’indagato, poi per risolvere anche il problema del sovraffollamento carcerario". Lo sottolinea il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, commentando il ddl sulla custodia cautelare all’esame della Camera; un provvedimento che "recepisce molte sentenze della Corte Costituzionale e si richiama ai messaggi del Capo dello Stato". La libertà personale "è un bene supremo - rileva Ferri. Quando non si è ancora arrivati a una sentenza definitiva di condanna, dunque, la custodia cautelare in carcere deve diventare l’extrema ratio. Il giudice dovrebbe ricorrervi solo dopo aver valutato l’opportunità di tutte le altre misure cautelari (come gli arresti domiciliari e la prescrizione del braccialetto elettronico) seguendo il criterio del "minor sacrificio necessario". Con la nuova norma, se verrà approvata, "il Giudice potrà applicare, sommandole tra loro, sia misure coercitive che interdittive (di cui verranno ampliati i termini di durata si passerà da 2 a 12 mesi), in modo da ricorrere ad un nuovo strumento cautelare diverso dal carcere. Per applicare la custodia cautelare in carcere occorrerà inoltre una motivazione più stringente, dovranno sussistere, oltre agli elementi desumibili dalla gravità, dalle circostanze del fatto, anche ulteriori elementi ricavabili da altre fonti conoscitive. Verranno, inoltre, introdotte alcune importanti norme tese a velocizzare le procedure relative alle impugnazioni di misure cautelari". Rossomando (Pd): ddl non solo anti sovraffollamento "Questo intervento certamente ha che vedere con il sovraffollamento delle carceri ma sarebbe un errore che si riferisse esclusivamente a questa pur importantissima emergenza perché è qualcosa di più, un intervento sul sistema di garanzie dell’imputato". Lo ha detto la correlatrice al disegno di legge sulle modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali Anna Rossomando (Pd), questa mattina nel corso della relazione illustrativa nell’ambito dell’esame nell’aula della Camera. Per la deputata democratica il ddl vuole "ribadire e dare maggiore concretezza al principio del carcere come estrema ratio". Dopo aver ricordato le novità introdotte dal testo, già menzionate dal correlatore di Forza Italia Carlo Sarro nel precedente intervento, la deputata ha sottolineato che "si tratta, dopo anni di dibattito su questi temi spesso influenzato dalla contingenza di fatti di cronaca, finalmente di interventi sistematici, nel pieno del dettato costituzionale, che danno attuazione al principio di non colpevolezza e di adeguatezza di interventi a tutela della sicurezza della collettività". Salvini (Ln): amnistia e indulto sono una follia "La Lega sarà contro la follia dell’indulto o dell’amnistia per 20.000 delinquenti e farà ogni tipo di battaglia, dentro e fuori dal Parlamento. Io sto dalla parte dei poliziotti, non con i delinquenti. Questo non significa che voglio sparare ai delinquenti ma che devono rimanere in galera. La mia priorità, come segretario della Lega, saranno il lavoro e la fame degli italiani, cercare soldi a sostegno di genitori divorziati con minore a carico, per disabili e anziani non autosufficienti affinché possano essere assistiti in casa". Lo ha detto oggi ad Agorà Matteo Salvini, neosegretario della Lega. Giustizia: l’Italia si scopre meno cattiva, da 150 anni mai così pochi omicidi di Vladimiro Polchi La Repubblica, 9 dicembre 2013 Calo record nel 2013. Inghilterra, Francia e Danimarca stanno peggio. L’Italia può dire addio a un altro suo record, ma stavolta c’è da rallegrarsi: nel 2013 il nostro Paese registra il tasso di omicidi più basso degli ultimi 150 anni. Per le strade di casa nostra non si spara più come una volta: oggi l’Italia ha meno morti ammazzati di Gran Bretagna, Francia, Danimarca e Belgio. A uccidere di meno sono gli immigrati e gli uomini della criminalità organizzata. “Se guardiamo agli oltre 1.770 omicidi del 1990 - spiega il sociologo Marzio Barbagli, che sta conducendo una ricerca sulla criminalità con dati inediti - ci accorgiamo che è in corso una rivoluzione straordinaria”. In effetti gli omicidi nel 2012 sono stati 528 e quest’anno saranno ancora meno. La notizia cozza contro il senso comune. Ma i numeri non mentono: “Nell’ultimo trentennio del Novecento - ricorda Barbagli - il numero degli omicidi consumati e tentati è cresciuto, raggiungendo il picco nel 1991 (1.773 consumati e 1.959 tentati). Da allora però ha preso a diminuire”. E cosa è successo negli anni della crisi? Il calo degli omicidi è proseguito. Nel 2011 quelli consumati si sono fermati a 553 e i tentati sono stati 1.401. L’anno scorso la diminuzione è continuata: 528 omicidi effettivi e 1.327 tentati. Per il 2013 disponiamo dei dati dei primi nove mesi: 353 consumati e 939 tentati, meno di quelli commessi nello stesso periodo del 2012. “Sulla base di questi numeri - scrive Barbagli - si può stimare che il dato degli omicidi consumati nel 2013 sarà di circa 480 e quello degli omicidi tentati di 1.207. Diversamente da quello che si poteva ipotizzare, partendo dall’idea che la crisi economica abbia provocato in Italia una forte crisi sociale, il numero degli omicidi non solo non è aumentato, ma ha subito un’ulteriore flessione”. A fare impressione è lo sguardo indietro negli anni. Nel2012eancorapiùnel2013, l’Italia ha raggiunto un tasso di omicidi inferiore allo 0,9 per 100mila abitanti (più precisamente 0,85): il più basso della sua storia, non solo di quella post-unitaria, ma anche di quella assai più lunga dei precedenti quattro secoli, nei quali il tasso di omicidi raggiungeva valori 70 volte più elevati. “Curiosamente - sostiene Barbagli - non esiste nel nostro Paese la minima consapevolezza di questa tendenza. Va ricordato che per oltre cinque secoli l’Italia ha avuto tassi di omicidi molto più alti degli altri Paesi europei”. Nell’ultimo ventennio, e ancor più durante gli anni della crisi, l’Italia ha invece raggiunto gli altri Stati del Vecchio continente. Non solo, sorprende che il Paese abbia oggi un tasso di omicidi più basso di Belgio, Regno Unito, Danimarca, Francia e vicino a quello di Svezia e Germania. Come si spiega questa inversione di tendenza? Una causa ha a che fare con l’immigrazione: “Dal 1988 al 2008 - fa sapere Barbagli - la quota di stranieri sul totale delle persone denunciate per aver commesso un omicidio è continuamente aumentata, passando dal 6 al 36%. Ma dopo di allora è diminuita e oggi è del 23%”. Omicidi di solito commessi all’interno dello stesso gruppo (in altri termini, gli immigrati uccidono altri immigrati) e che sono dovuti o a conflitti per attività illecite (traffico e spaccio di sostanze stupefacenti o sfruttamento della prostituzione) o a conflitti domestici. “La diminuzione degli ultimi anni - afferma Barbagli - dipende dal raggiungimento di un maggiore equilibrio fra gli immigrati che esercitano attività illecite e da una maggiore integrazione sociale delle frange più aggressive”. Non è tutto. “Nell’ultimo ventennio anche il numero di omicidi dovuti alla criminalità organizzata ha subito una fortissima flessione. Tra la popolazione italiana - conclude Barbagli - si è rafforzata la convinzione che il monopolio nell’uso della forza spetti allo Stato ed è diminuita la tendenza a farsi giustizia da soli”. Massimo Carlotto: il calo degli assassini è anche un segno della pax mafiosa (Intervista di Caterina Pasolini) “In Italia si uccide sempre meno? I romanzi noir lo dicono da tempo, visto che sanno anticipare e leggere la società meglio di altri. Ma purtroppo non è la buona notizia che pare a prima vista”. Massimo Carlotto, autore di noir di cui è uscito il quarto volume della se-rie “Le Vendicatrici”, scritta con Marco Videtta, non è stupito. Non è un buon segno il calo degli omicidi? “No. Il calo dei morti ammazzati è solo il frutto di una pax mafiosa, di accordi tra bande di malavita a livello internazionale, di patti per la spartizione di traffici, territorio, manovalanza. È questo lo sfondo dei miei ultimi quattro romanzi ambientati in una Roma corrotta, dove, come nel resto del Paese, la criminalità organizzata si è fusa con i colletti bianchi ed è diventata sistema”. Il sangue disturba gli affari? “Sì, attira giornalisti e inquirenti. Per questo le piccole bande sono state fatte fuori, incorporate dalle holding internazionali del crimine e obbligate ad andare d’accordo. I grossi trafficanti, di droga e rifiuti, o capaci di infiltrarsi nel territorio, hanno bisogno di ordine e tranquillità per riciclare”. Meno killer più colletti bianchi? “È cambiato l’approccio, la criminalità ora vuole contare di più nella società e quindi ha dato l’assalto al sapere, alle università per gestire al meglio i suoi imperi. Magari un forte cambiamento politico potrebbe incrinare il sistema”. Giustizia: Sentenza Consulta; dopo una lunga pena la pericolosità sociale va rivalutata di Patrizia Maciocchi Italia Oggi, 9 dicembre 2013 Per la Corte costituzionale se il periodo di detenzione è lungo occorre una nuova verifica al termine del carcere. Sotto esame anche le contestazioni che dilatano i termini di custodia cautelare. La pericolosità sociale di una persona detenuta per un lungo periodo non può essere data per scontata, ma va verificata, al termine della detenzione dallo stesso organo che ha adottato la misura di prevenzione. La Corte costituzionale con la sentenza 291 depositata ieri, spezza una lancia contro le presunzioni verso chi ha passato molto tempo in prigione. Con una seconda decisione (293 sempre depositata ieri) i giudici delle leggi, hanno spostato la loro attenzione sul meccanismo di garanzia della retrodatazione nelle contestazioni a catena, teso a impedire che i ritardi nelle ordinanze cautelari riguardanti i singoli reati finiscano per dilatare i termini della custodia cautelare. In quest’ultimo caso a finire sotto la scure della Consulta è stato l’articolo 309 del Cpp, per la parte in cui pone dei limiti al giudice del riesame di fare verifiche sulla retrodatazione. Secondo il codice di rito la pronuncia in sede di riesame è possibile solo se sono rispettate due condizioni: per effetto della retrodatazione il termine è interamente scaduto al momento dell’emissione del secondo provvedimento cautelare e se tutti gli elementi per la retrodatazione risultano dall’ordinanza cautelare. Il contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, contro la disparità di trattamento, c’è proprio nella seconda condizione, comunque avvallata da due sentenze delle sezioni unite della Cassazione (45246 e 4527 del 2012). La Corte Costituzionale, precisa che la limitazione non pone il diretto interessato al di fuori di ogni tutela lasciandogli comunque una doppia via: richiesta di riesame e direvoca. Strumenti diversi che presentano vantaggi e svantaggi, ma per questo non sono equivalenti. Anche perché nel conteggio dei prò e dei contro, per ammissione delle Sezioni unite, la bilancia pende in senso favorevole all’imputato dalla parte del riesame. Il discrimine colpisce soggetti in situazioni identiche ed èfondato su fattori puramente casuali. Finisce per essere “beneficiato” chi “incappa” nel giudice della tutela più scrupoloso, che motiva l’ordinanza restrittiva nel modo più dettagliato. Né per impedire la pronuncia del riesame regge la considerazione della difficile gestibilità di una tematica complessa, non compatibile con i tempi brevissimi. La Consulta ricorda che il tribunale del riesame si esprime regolarmente su questioni, come la verifica dei requisiti della validità dei provvedimenti restrittivi, altrettanto complesse dell’accertamento della contestazione a catena Con la sentenza 291, perdono invece pezzi, la legge 1423 del 1956 sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone socialmente pericolose e il codice antimafia. Sono, infatti, illegittimi gli articoli 12 della legge e l’articolo 15 del codice, per la parte in cui non consentono di rivalutare, anche d’ufficio, la pericolosità sociale allo stesso organo che ha disposto la misura personale quando questa resta sospesa, perchè il diretto interessato è sottoposto a un lungo periodo di prevenzione. Una verifica che deve avvenire a pena scontata e quindi nel momento in cui la misura deve essere eseguita La Consulta sottolinea la funzione rieducativa della pena, sulla quale certo non si può scommettere ad occhi chiusi ma che non va neppure esclusa a priori. “Il problema dellalegittimità costituzionale di norme basate su presunzioni di persistenza nel tempo della pericolosità sociale di un determinato soggetto, accertata giudizialmente in un momento anteriore, si è posto in rapporto alla materia parallela delle misure di sicurezza”. Con numerose sentenze la Consulta si è espressa per l’esigenza di superare qualunque presunzione legale attraverso la verifica al momento dell’applicazione della misura. Un diverso trattamento per quanto riguarda le misure di prevenzione è in contrasto con l’articolo 3 della Carta. Al giudice resta la facoltà di escludere la necessità della verifica solo nei casi di breve detenzione. Giustizia: i Radicali Bonino e Pannella annunciano una marcia a Natale per l’amnistia www.bloglive.it, 9 dicembre 2013 I radicali marceranno da San Pietro per riavere in Italia una democrazia e lo stato di diritto. La signora ministro Emma Bonino, come le piace definirsi, ha annunciato una marcia per il giorno di Natale a favore della riforma elettorale, per l’amnistia e per un giustizia giusta. Alla trasmissione Rai Virus di Nicola Porro è andata in onda venerdì un ministro caparbio, dignitoso e diretto che risponde alle domande in modo pertinente e chiaro senza troppi giri di parole. Ecco quindi che alla domanda: "Finanziamento pubblico dei partiti, carceri, responsabilità civile dei magistrati, l’Italia di oggi è incostituzionale?" il ministro Bonino risponde chiaramente: "L’Italia di oggi viola trattati internazionali, viola precetti costituzionali, per quanto riguarda la giustizia, il trattamento inumano nelle carceri e tutte le accuse a migliaia di condanne che abbiamo avuto dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo. L’Italia ha bisogno di recuperare lo stato di diritto, il senso della Legge". Da qui il lancio dell’appuntamento natalizio. Quando era vice presidente del Senato la Bonino disse "L’Italia non è una democrazia" e ora ribadisce il concetto dicendo che questo è un regime di partiti, una partitocrazia. Il sistema americano e anglosassone sarebbero l’ideale per smaltire la mole dei partiti: due partiti, uno alla maggioranza e uno all’opposizione. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso: da anni Emma Bonino e Marco Pannella lottano senza sosta per denunciare una situazione che viene dal basso, dalle carceri, dagli ultimi degli ultimi ma che ha in sé conseguenze ben più grosse che derivano dai piani alti. Ecco che allora i nove milioni di processi soffocano l’economia, le aziende, i cittadini a causa della loro durata decennale, rendendo insostenibile e incomprensibile la situazione della Giustizia in Italia. La riforma deve arrivare per realizzare una Giustizia giusta che al momento risulta assente: "La riforma della giustizia è la vera riforma strutturale di cui l’Italia ha bisogno per sbrogliare tutte le altre matasse. È il filo da tirare". Da qui la richiesta di smettere di parlare della sentenza di Berlusconi: ci sono stati degli episodi di "magistratura politicizzata" ma non bisogna fermarsi agli episodi e partire da quegli errori per raggiungere l’obiettivo di una Giustizia giusta per tutti. La manifestazione natalizia sarà sicuramente di buon auspicio per la nuova, agognata, necessaria e obbligatoria legge elettorale. Forse un buon messaggio per iniziare il nuovo anno e per accontentare le "richieste" della Corte europea dei Diritti dell’uomo. Giustizia: Marcia di Natale per l’Amnistia… lettera "aperta" al Ministro Cancellieri di Laura Arconti Notizie Radicali, 9 dicembre 2013 Cara dottoressa Cancellieri, la prego, mi passi con indulgenza questa espressione confidenziale, che ben so essere inappropriata, quando è rivolta a un Ministro della Repubblica. Valga a mia difesa la verità dei sentimenti: lei mi è veramente cara, per quello che dice e quello che fa, ed anche per quello che le è toccato subire per la "colpa" di parlare d’amnistia e di provvedimenti urgenti di clemenza, e di esser venuta a ripeterlo al Congresso di Chianciano un mese fa. Dopo il suo intervento, mentre si allontanava attraversando la sala congressi, ci siamo scambiate un sorriso ed una stretta di mano: io ero, allora, soltanto la "decana", la più vecchia di tutti i Radicali; due giorni dopo, il Congresso mi ha eletta presidente di quella Associazione costituente del Partito Radicale che è nota come "Radicali Italiani". Tuttavia non è certo in una veste istituzionale, e tanto meno in rappresentanza degli iscritti al Movimento, che le scrivo oggi questa lettera aperta: questa è la lettera della militante di sempre, che si rivolge a lei esprimendo una mozione degli affetti non certo retorica, o -meglio- confessando una speranza. Durante tutta la sua vita lei è stata un Funzionario Pubblico al servizio dello Stato: chi è solito informarsi su ciò che accade in questo nostro Paese sa benissimo quali siano stati i suoi meriti,quando era capo ufficio stampa nella prefettura di Milano durante gli anni del terrorismo, poi da commissario straordinario a Parma e da Prefetto a Bergamo, Brescia, Catania; e ancora da Commissario Prefettizio a Palazzo D’Accursio, quando condusse il Comune di Bologna fuori dagli scandali che avevano coinvolto l’intera classe dirigente e il Sindaco. Mentre lei portava avanti la sua carriera con la forza tranquilla del suo rigore, così lontano dalle scompostezze dei politici di professione, e mentre da Prefetto diventava Ministro dell’Interno nel Governo Monti, noi vivevamo le tribolazioni sconnesse di un Ministero della Giustizia passato di mano in mano con una tempistica sussultoria da giostra paesana. In meno di tre anni abbiamo avuto tre Ministri Guardasigilli: Angelino Alfano, Francesco Nitto Palma (quattro mesi), Paola Severino (diciassette mesi). Da Angelino Alfano non mi sono mai aspettata gesti rivoluzionari, poiché aveva detto chiaramente d’esser contrario all’amnistia: eppure proprio a lui Rita Bernardini e gli altri deputati radicali -ma a prezzo di assidui interventi parlamentari e severe iniziative nonviolente di sciopero della fame- riuscirono a strappare gli arresti domiciliari negli ultimi 12 mesi di detenzione, con la legge 199/2010. Su Francesco Nitto Palma debbo confessare che avevo riposto un bel po’ di speranze. Mi ero illusa che un magistrato conoscesse i problemi della giustizia e del carcere e sapesse come fronteggiarli, ma non mancò il sapere, mancò il coraggio: egli aveva tutti i ministri contro, e non ebbe la forza di affrontarli. Durante il suo mandato le iniziative nonviolente di Marco Pannella e dei Radicali furono continue: nel giorno di Ferragosto 2011 ci fu anche una iniziativa mai vista prima: 2.098 persone, insieme, si astennero per 24 ore dall’assumere cibo e bevande, con l’intento di infondere determinazione a chi avrebbe dovuto risolvere quella che il Presidente Napolitano, in un convegno radicale, aveva definito "una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile". Digiunarono parlamentari, direttori penitenziari e loro collaboratori, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, infermieri, personale amministrativo, volontari, cappellani, rappresentanti delle istituzioni e dell’associazionismo, ma anche tanti detenuti "ignoti" insieme alle loro famiglie e tanti comuni cittadini. Neppure tutto questo bastò, poiché –come scrisse Alessandro Manzoni- "il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare". Abbiamo poi ritrovato Francesco Nitto Palma al nostro fianco quando venne a marciare con noi per l’amnistia, la giustizia e la libertà, il 25 aprile 2012, e ancora quest’anno durante la raccolta delle firme sui referendum Giustizia Giusta: e di questo gli rendo onore e lo ringrazio. Dopo di lui arrivò Paola Severino. Mi ero illusa che un avvocato di grido non avesse difficoltà a mettere a fuoco la situazione: e, come sempre, con l’illudermi avevo preparato la più cocente delle mie delusioni. Tutto quello che riuscì a fare fu di aumentare il periodo di custodia domiciliare terminale dai 12 mesi di Alfano a 18 mesi, e anche questo solo sotto il pungolo costante dei Radicali: a qualcosa servì, probabilmente. Ma per il resto del tempo, il Ministro Paola Severino si è segnalata alla Storia per l’ostinazione con cui ha ripetuto la sua giaculatoria pilatesca: "L’amnistia non è in mio potere, riguarda il Parlamento". Neppure un guizzo di originalità, come quello di aggiungere "se potessi, lo farei". Settimane, mesi, anni passavano, e la lotta per l’amnistia e per le riforme strutturali di tutto il sistema giudiziario segnava il passo: solo Marco Pannella si teneva attaccato all’obiettivo con la tenacia del suo sciopero della fame, inframmezzato da pericolosi periodi di sciopero della sete, di quando in quando affiancato da compagne e compagni di coraggiosa buona volontà. E poi lei è arrivata al Ministero della Giustizia: non ha avuto paura delle parole, non ha avuto ritegno a confessare che le occorreva assistenza per capire bene tutti i termini di un grave problema che va risolto, e bene, e presto. Con lei, con quel suo pronunciare la parola proibita -amnistia- con quel suo riaffermare il valore e la forza della Carta fondamentale che regola la vita di tutti noi, finalmente è stato lecito tornare a sperare. Questa lettera non ha soltanto lo scopo di dirle grazie, non ne varrebbe la pena. Lei sa perfettamente che le siamo grati dal profondo del cuore, lo ha certo sentito negli applausi che il Congresso le ha tributato quel giorno. L’obiettivo di questa lettera è un altro, forse più impertinente di ogni possibile previsione, e se io glie lo propongo lo faccio con animo sereno, poiché so che lei è amica di Platone ma ancor più è amica della verità. Le chiedo di venire alla Marcia di Natale, di camminare con noi da piazza San Pietro alla sede del Governo Italiano. Le propongo di partire con noi da quello Stato Vaticano il cui monarca assoluto ha appena riformato l’ordinamento giuridico cancellando l’ergastolo ed introducendo il delitto di tortura, mentre lo Stato laico di qua dal Tevere è reiteratamente condannato dalla Corte Europea dei Diritti Umani ed è colpevole recidivo di delitti intollerabili. Le chiedo di marciare con noi, un chilometro dopo l’altro, passando davanti a Regina Coeli e alle sedi del Parlamento, fino a raggiungere Palazzo Chigi, dando corpo ad una simbolica richiesta verso il Governo. Conosco il suo rigore, Ministro Cancellieri; lei ora sta pensando e sta per dirmi a bruciapelo: "Io faccio parte di questo Governo… non posso rivolgere al capo della mia stessa compagine governativa una richiesta". Ebbene, lei ha già detto più volte che ritiene necessario ed urgente un provvedimento di clemenza, come primo atto da far seguire immediatamente con provvedimenti strutturali di riforma del sistema giustizia. Lo ha detto e ripetuto, ma non è nel suo potere dar corpo a queste sue opinioni: la realizzazione è nella discrezione del Parlamento. Occorre dunque che il Governo assuma un atteggiamento fermo, attivo nei confronti dei legislatori, imponendo la discussione su un suo provvedimento di amnistia e di indulto: è ciò che andremo a chiedere al Governo nel giorno di Natale. Lei ha dimostrato più volte, nel breve periodo da che è Ministro della Giustizia, di esser capace di gesti e di parole non rituali: ha dimostrato di privilegiare ciò che è dovuto alla sua propria coscienza su ciò che talvolta è prescritto da consuetudini e protocollo. Ebbene, faccia un passo in più: compia questa eresia, di un membro del Governo che marcerà verso la sede del Governo testimoniando l’urgenza del proprio pensiero. Non sarà sola, Ministro Cancellieri, troverà accanto a sé il Ministro degli Affari Esteri Emma Bonino, e troverà i militanti della nonviolenza, i Radicali. Porteremo con noi le persone e le associazioni che da anni si battono per la legalità, il Diritto, la difesa dei più umili, l’affermazione dei diritti umani; porteremo con noi le famiglie di detenuti che soffrono condizioni degradanti e spesso pericolose mentre sono affidati alla custodia responsabile dello Stato; porteremo con noi i giorni e le notti di prigione di quel 40 per cento di incriminati in custodia cautelare di cui almeno la metà -è provato statisticamente- alla fine dei procedimenti risulterà innocente; porteremo con noi il ricordo dei morti di carcere, dei suicidi in borghese e in divisa, delle infinite vittime di condizioni inaccettabili di segregazione. Porteremo con noi la forza della nonviolenza: i giorni, le settimane, i mesi di privazione del cibo e dell’acqua, che Marco Pannella ed altri Radicali hanno offerto alle attese dei più umili. Porteremo con noi la speranza, la fiducia nella parte migliore che sopravvive anche nel peggiore degli avversari: porteremo con noi la debolezza della fatica di ogni passo, offerta per dare forza alle decisioni che sono ormai necessarie ed urgenti. Porteremo con noi le sentenze della Cedu, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, i pareri dei Giuristi più insigni, i Convegni, i dibattiti, tutto quello che da decenni si è svolto sul tema della Giustizia e delle Carceri in Italia. Porteremo con noi la memoria di Enzo Tortora, che fu Presidente del Partito Radicale. Con questa lettera esprimo la speranza di poter portare con noi anche i passi ed il sorriso del Ministro Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Giustizia: idee per un regalo di Natale solidale, tornano i prodotti "made in carcere" Adnkronos, 9 dicembre 2013 Dalle uova di quaglia "Al Cappone" agli amaretti "Dolci evasioni". Dal Calendario 2014 del Dado galeotto con le vignette di Graziano Scialpi alle felpe ‘Piano di fuga", passando per i "Fuori di gabbia", nidi per uccelli e pipistrelli a partire da 18 euro. E ancora formaggio sardo e la crema di birra prodotta nel laboratorio della pasticceria della casa di reclusione Due Palazzi di Padova dove maestri pasticceri aiutano i detenuti nella produzione. Dopo il successo registrato nella prima edizione 2012 riparte il mercatino di Natale, promosso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per la vendita di prodotti realizzati negli istituti penitenziari. Fino a domenica 15 dicembre, presso il Museo Criminologico di Roma (www.museocriminologico.it) in via del Gonfalone 29 (Via Giulia), sarà possibile acquistare panettoni, biscotti, caffè, vino, olio, formaggi, magliette, borse, cosmetici e tanto altro. Prodotti di qualità realizzati nelle carceri italiane che diventano anche un’ottima occasione per un regalo solidale. Come per la Falanghina "Fresco di galera" prodotta con uve selezionate nell’istituto di S. Angelo dei Lombardi (Av). A spiegare la filosofia dell’evento, è Luigi Pagano, vice capo del Dap. "Questa - spiega all’Adnkronos - è la dimostrazione, piccola ma importante, di quante potenzialità abbiamo all’interno del carcere. Quando si investe culturalmente nel carcere, si dimostra che il carcere è pronto ad aprirsi alla società e a coltivare iniziative e progetti che possono servire al reinserimento sociale". Per Pagano "non è solo un problema di fondi, ma di progetti. Come Dipartimento -rimarca - stiamo lavorando per il lavoro, creando le condizioni perché venga aumentato il lavoro all’interno delle carceri, sia concentrando le possibili risorse sia coinvolgendo imprenditori e realtà sociali". In cantiere, anticipa il vice capo del Dap, c’è un "progetto nazionale per il lavoro penitenziario, per fare sistema con le risorse, utilizzando le articolazioni periferiche e i provveditorati". Il mercatino di Natale, sottolinea ancora Pagano, dimostra come "impegnarsi con delle idee che all’inizio possono sembrare anche di difficile realizzazione, in realtà alla fine paghi sempre. Il nostro obiettivo - indica il vice capo del Dap - è creare una catena virtuosa di persone, dai detenuti agli agenti, dagli educatori al mondo del volontariato e ai direttori dei penitenziari, che si impegnano in attività, fino ad arrivare a realtà di prodotti che si confrontano con il mercato". "Queste sono realtà di nicchia, ma di eccellenza - aggiunge Pagano - e indicano che il lavoro è identità. L’essere impegnati in attività è una forza per i detenuti, una speranza per ricostruire una storia. Ma è anche un investimento in sicurezza perché in questo modo si elimina la recidiva, senza per questo pensare di creare delle strade privilegiate per il detenuto, ma dando a chi è recluso le stesse chances. Riportare il detenuto sulla stessa linea di partenza del cittadino libero, è già un passo importante. Farlo uscire con una professionalità ed educarlo a un’idea del lavoro è la scommessa successiva. E ce la stiamo mettendo tutta", assicura il vice capo del Dap. Giustizia: Gasparri (Fi); grazie a governi Berlusconi molti boss al carcere duro 41-bis Italpress, 9 dicembre 2013 "Il dottor Lari si abbandona a considerazioni politiche impegnative su partiti, scissioni e antimafia. Intanto le sue parole ci fanno sperare che alcune iniziative a mio avviso infondate contro specchiati esponenti politici cesseranno per la loro evidente onestà e non perché promotori di scissioni. Poi dico a Lari che potrà farsi raccontare dal dottor Giancarlo Caselli come il noto magistrato si rivolse opportunamente al sottoscritto molti anni fa per prorogare il 41 bis quando era a tempo e che i governi di sinistra esitavano a prolungare". Lo afferma in una nota Maurizio Gasparri (Fi-Pdl), vicepresidente del Senato. "Lari poi ammetta che quando il 41 bis è stato reso permanente il Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. E quando è stato rafforzato in Parlamento attraverso emendamenti del sottoscritto, di Vizzini e del governo, il Presidente del Consiglio era ancora Silvio Berlusconi - aggiunge. Se lo ricordino Lari e la sua intervistatrice. Per noi gente come Riina e Provenzano deve stare al 41 bis fin quando morirà in carcere. Non siamo come Ciampi, Scalfaro, Mancino e Amato che cancellarono il carcere duro ai boss". Emilia Romagna: la Crvg per la Giornata mondiale dei diritti dell’uomo Ristretti Orizzonti, 9 dicembre 2013 I volontari che operano all’interno degli istituti penitenziari della regione ricordano oggi, insieme alle persone detenute, e con il sostegno della Garante Regionale per i Diritti delle Persone sottoposte a misure limitative o restrittive della libertà personale, la proclamazione della Giornata internazionale dei Diritti dell’Uomo. Letture comuni, drammatizzazioni, lezioni magistrali, dibattiti, film diventano occasione per conoscere un pezzo di storia della nostra civiltà, per riflettere su valori, ideali e impegni che dovrebbero fare parte della nostra cultura, del nostro essere cittadini del mondo, così come furono per chi, 65 anni fa, si fece promotore e autore della Carta con un carico di speranze e attese per un mondo migliore. In carcere, dove i diritti delle persone sono spesso misconosciuti e disattesi, i volontari ritengono importante proporre alle persone recluse di alzare lo sguardo oltre i muri di cinta e sentirsi anch’essi responsabili di un mondo dove i loro e i nostri diritti, i loro e i nostri doveri provano a stare insieme, si sentono riconosciuti e insieme possono crescere. Dal carcere dove spesso mancano i prodotti per l’igiene personale e per pulire la cella, i volontari intendono richiamare l’attenzione dei cittadini sull’importanza di riconoscere dignità anche a chi, con il reato, si è autoescluso. Dal carcere dove si sconta una pena troppo spesso "inutile" per l’assenza di un progetto capace di offrire reali opportunità di reinserimento sociale e non solo assistenza alle persone detenute; dal carcere dove manca un’idea responsabilizzante del tempo vuoto della giornata che offra concreta possibilità a ogni detenuto di misurarsi con assunzione di impegni, confronto e responsabilità conseguenti, da questo luogo, ancora troppo sconosciuto ai più, i volontari ripropongono nuovamente e con urgenza la necessità di dare umanità, diritti e senso alla pena in aderenza ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, della nostra Carta Costituzionale e dell’Ordinamento Penitenziario. Paola Cigarini, Presidente Conferenza Regionale Volontariato Giustizia P.S. Nei 12 istituti della nostra regione erano presenti alla data del 30 novembre scorso: 3.722 persone detenute presenti contro una presenza regolamentare di 2.387 posti letto. Di queste persone 1983 sono straniere, 724 con una posizione giuridica non definitiva, 197 gli internati e 133 le donne. Milano: carcere di San Vittore, Napolitano a sorpresa telefona ai detenuti www.grr.rai.it, 9 dicembre 2013 Mentre carcerati e personale di sicurezza si apprestavano a seguire in diretta video la Traviata, così come accade da alcuni anni, è giunta la chiamata del Presidente. "Il governo sta lavorando" ha detto per tutte quelle persone che stanno pagando il proprio debito con la giustizia e sono "sottoposte a trattamenti disumani e degradanti". Nel carcere scaligero, accanto ai detenuti, c’era anche Annamaria Cancellieri. È la prima volta che un ministro della giustizia partecipa a questa iniziativa. Un augurio di Buon Natale e un messaggio di speranza, "il Governo sta lavorando", per la loro realtà di vita, di isolamento dal mondo esterno, per chi viene sottoposto "a trattamenti degradanti e disumani". A sorpresa i detenuti del carcere di San Vittore hanno ricevuto nel tardo pomeriggio una telefonata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mentre si apprestavano a vedere nella "rotonda", il centro nell’architettura delle case di pena ottocentesche che raccorda tutti i "raggi", in diretta "La traviata". E alla visione dell’opera di Giuseppe Verdi, che ha inaugurato la stagione scaligera, era presente anche il guardasigilli Annamaria Cancellieri. E’ la prima volta che un ministro della Giustizia prende parte a una iniziativa che nel penitenziario milanese si ripete ormai da anni, e che proprio poco prima dell’intervento del Capo dello Stato aveva spiegato che si sarebbe fatto tutto il possibile per dare ai carcerati "condizioni di vita civili". "Spero che dal Parlamento vengano decisioni giuste che tengano conto della sofferenza di quanti, oltre a dover pagare il proprio conto con la Giustizia, vengono sottoposti a trattamenti degradanti e disumani", ha detto Napolitano (parole "condivise" dal ministro), creando un po’ di emozione anche al direttore Gloria Manzelli in una struttura dove si porta avanti una politica di umanizzazione della pena nella tradizione di Luigi Pagano, ora vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, anche lui presente alla visione. San Vittore dai suoi tempi è cambiata: dai 2.400 reclusi si è scesi ai 1.133, oltre a 90 donne, di oggi. Un’ottantina sono quelli che hanno visto l’opera fianco a fianco con molti ospiti esterni fra cui l’oncologo Umberto Veronesi, il filosofo Giulio Giorello, il sottosegretario ai Beni Culturali Ilaria Borletti, il capo della Procura Edoardo Bruti Liberati e tanti altri. Prima dell’inizio dell’opera un critico ha sintetizzato la trama e il contesto. Quindi un recluso, Atak, 25 anni, sudanese, 5 anni per rapina e ricettazione, un sorriso contagioso, chiamato "Balotelli" per la somiglianza con l’attaccante del Milan, ha spiegato tutto quello che hanno fatto i carcerati per l’organizzazione dell’evento. Per esempio cioccolatini e biscotti per l’aperitivo e risotto per il buffet grazie all’inventiva delle mamme detenute che hanno collaborato anche ai banchetti. E poi tante altre piccole-grandi cose che in questo ambiente hanno un significato importante. E ci sono state anche risate e applausi per lui che ha fatto un po’ confusione: "sono andato in panico", ha confessato con una faccia così simpatica che dietro non ci vedresti mai un criminale. Lunghi applausi alla fine della Traviata davanti al maxischermo. E anche qui a San Vittore, come tra gli eleganti velluti della Scala, si sono sentiti fischi e qualche "buu" per la regia. Firenze: Sottosegretario all’Istruzione Toccafondi visita scuola a Sollicciano Adnkronos, 9 dicembre 2013 Il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi oggi visita la scuola all’interno del carcere di Sollicciano a Firenze. "Per conoscere l’esperienza della scuola e dell’istruzione in carcere desidero andarla a vedere - spiega Toccafondi che inizierà la visita alle 15. Voglio guardare, conoscere quello che accade dentro la scuola del sistema penitenziario". "Credo sia l’unica possibilità per potere affrontare i problemi e le criticità presenti ed anche migliorare e incentivare quelle buone prassi che funzionano e che rendono possibile una vera istruzione all’interno del carcere – conclude. Incontrerò il direttore del carcere, studenti, insegnanti e tutti coloro che collaborano in questa struttura, dai quali mi farò introdurre per una visita dei locali della scuola". Caserta: i Radicali promuovono a marcia per l’amnistia per il prossimo Natale www.caserta24ore.it, 9 dicembre 2013 Sabato 7 dicembre, presso la Nuova Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, l’Associazione "Legalità & Trasparenza"- Radicali Caserta, ha tenuto un sit.in Nonviolento a sostegno dell’Amnistia per la repubblica. All’iniziativa erano presenti le tre cariche statutarie dei Radicali Caserta: Francesco Giaquinto (Presidente), Antonella D’Andreti (Tesoriere) e Luca Bove ( Segretario) oltre alla presenza di vari militanti, tra cui Domenico Letizia, iscritto AI Radicali Italiani. "Ringraziamo i parenti dei detenuti che sono sempre presenti alle nostre iniziative e purtroppo dobbiamo ammetterlo che sono i soli al nostro fianco in questa nostra proposta". A dichiararlo è Luca Bove che continua " Infatti molto raramente sul tema Giustizia, noi Radicali troviamo il sostegno di altre forze politiche ma saremo noi, che continueremo a seguire questo sostegno alle nostre proposte e ci teniamo a sottolineare che le nostre, non sono mai semplice proteste, come spesso parte della stampa ci ha attribuito ma delle vere e concrete proposte come quella dell’amnistia che è l’unico provvedimento da adottare per poi dare inizio alla riforma della Giustizia. E per ribadire ciò il prossimo 25 dicembre a Roma si terrà una marcia per l’amnistia e la giustizia giusta, promossa dai Radicali e che già ha avuto adesioni importanti e nei prossimi giorni inviteremo a tale evento tutti i sindaci dei comuni del casertano e ai cittadini e durante il sit.in già abbiamo avuto decine di adesioni, da parte dei parenti dei detenuti". A ricordare l’appuntamento, del prossimo Natale è anche Domenico Letizia , che dichiara: "Accogliamo con forza l’invito lanciato dai radicali e da Emma Bonino per l’iniziativa non-violenta del 25 Dicembre, un Natale che davvero sia a fianco degli ultimi di questo sistema come i detenuti e il mondo penitenziario". Tempio Pausania: Piero Marras canta Niffoi, un concerto per i detenuti di Nuchis La Nuova Sardegna, 9 dicembre 2013 Sarà la gustosa anticipazione di un disco annunciato da tempo e atteso da molti. Martedì 10 dicembre, nel carcere di Nuchis, Piero Marras canterà Niffoi. Duo superlativo, specchio di una sardità ammirata e verace, Niffoi e Marras, al lavoro da quasi tre anni, hanno reso noto che dalla loro collaborazione nascerà presto un disco. Il disco tanto atteso forse non farà in tempo a trasformarsi in strenna natalizia, ma molte delle sue canzoni saranno presentate in anteprima proprio ai detenuti del carcere di Nuchis. E questo sì che sarà un regalo di Natale coi fiocchi. La direttrice del penitenziario, Carla Ciavarella, fa sapere che al concerto, offerto dall’associazione del cantautore, sono invitati a partecipare le autorità locali e tutte le associazioni di volontariato che collaborano con la direzione nei programmi di trattamento rivolti ai detenuti ospiti della casa di reclusione. "Siamo grati al maestro Marras - dichiara Carla Ciavarella - per la generosa disponibilità a presentare il suo nuovo lavoro musicale presso la casa di reclusione di Tempio Pausania. Tutto questo appare confermare come la realtà penitenziaria che l’istituto rappresenta stia divenendo sempre più parte attiva della vita sociale e solidale della comunità gallurese". Il nuovo progetto musicale del cantautore nuorese passerà, quindi, per la Gallura. Si preannuncia come un disco intessuto di canzoni di amore e passione. Quasi sicuramente riscuoterà l’apprezzamento dei detenuti, tra i quali sono tanti quelli che coltivano con passione il gusto per la musica e la letteratura, come dimostrano, d’altronde, i diversi progetti (pubblicazioni di libri, partecipazione a concorsi letterari e reading) in cui si stanno lasciando piacevolmente coinvolgere. Padova: i detenuti-attori del carcere "Due Palazzi" a Roma, con lo spettacolo "Experti" Il Mattino di Padova, 9 dicembre 2013 Trasferta a Roma per undici attori della compagnia di Teatro-carcere che da quindici anni, con passione e risultati straordinari, Maria Cinzia Zanellato, regista, autrice e attrice teatrale, porta avanti al Due Palazzi (sezione penale) di Padova. Un lavoro che continua con uno smilzo, ma meglio di niente, contributo della Regione, la benedizione del direttore della casa di reclusione e l’appoggio dell’associazione Bel.Teatro. Sabato 14 dicembre alle 21 il gruppo è stato invitato a mettere in scena lo spettacolo "Experti" al Festival delle eccellenze nel sociale, a Roma nell’auditorium dell’ospedale Forlanini. La compagnia non è nuova a "ore d’aria" sul palcoscenico, più volte è andata in scena a Padova (in febbraio sarà al Porto Astra) e altrove. Si chiamano Belhassen, Giovanni, Abderrahim, Aioub, Abdallah, Ahmed, Luca, Temple, Mario, Pietro, Bruno, gli attori, ai quali quel laboratorio teatrale ha modificato l’esistenza, che escono in permesso "teatrale" da un carcere dove 800 e passa detenuti sono stipati in spazi pensati per 400, dove il lavoro c’è per troppo pochi ma dove l’esperienza del teatro ha messo clamorose radici. "Experti" si ispira a "Relazione per un’Accademia" di Kafka, testo rielaborato da Zanellato assieme agli stessi detenuti. Portogallo: emergenza carceri, sovraffollamento al 150% e istituti fatiscenti di Ivano Abbadessa www.west-info.eu, 9 dicembre 2013 Anche in Portogallo la situazione delle carceri è drammatica. Molte delle strutture detentive, infatti, risentono di un sovraffollamento cronico pari a quasi al 150% della normale capienza. Con molte prigioni che, a cominciare da quelle di Lisbona, presentano condizioni materiali molto scarse. Con pareti fatiscenti, finestre rotte, mancanza di illuminazione artificiale e materassi decrepiti che sono stati trovati negli istituti di pena oggetti di ispezione. Condizioni di detenzione che, secondo un rapporto del Consiglio d’Europa, potrebbero essere considerati inumani e degradanti. Ucraina: Tymoshenko dal carcere; Yanukovych si dimetta immediatamente Agi, 9 dicembre 2013 Yulia Tymoshenko guida dal carcere la manifestazione europeista in corso a Kiev e chiede le dimissioni del presidente ucraino, Viktor Yanukovych. "Il nostro obiettivo", ha detto la figlia dell’ex premier oggi detenuto in seguito a un processo criticato da Bruxelles, "è ottenere le immediate dimissioni del presidente dell’Ucraina". La donna leggeva alla folla radunata in piazza Indipendenza una lettera della madre. I manifestanti hanno reagito all’unisono con lo slogan "Dimissioni!". Svizzera: 15 nuove celle a Lugano, valvola di sfogo contro il sovraffollamento di Emanuele Gagliardi www.cdt.ch, 9 dicembre 2013 Saranno agibili da gennaio alla Stampa le quindici nuove celle ricavate nell’ex sezione femminile (ormai chiusa da anni). I lavori di ristrutturazione degli spazi prima occupati dalle detenute si stanno avviando alla fase conclusiva, spiega il direttore generale delle strutture carcerarie ticinesi Fabrizio Comandini. È stato necessario, tra l’altro, sottolinea l’alto funzionario, alzare il livello della sicurezza in questi locali con la posa di adeguati serramenti (comprese sbarre e cancelli) e con altre misure in grado di evitare, nei limiti del possibile, sorprese da parte di detenuti al personale di custodia. I quindici nuovi posti cella rappresenteranno una valvola di sfogo necessaria in occasione di massicci arrivi di detenuti al penitenziario penale. Per anni l’ex sezione femminile è rimasta chiusa e le carcerate donne, sanzionate con brevi pene, hanno scontato prima la condanna alla Farera e, successivamente, in un comparto creato appositamente per loro all’interno dello Stampino, il carcere di fine pena dove sono collocati i detenuti maschi che hanno scontato la metà della condanna. Le donne che hanno ricevuto lunghe pene vengono, invece, trasferite in penitenziari femminili oltre San Gottardo. In attesa dell’arrivo della nuova Stampa il Dipartimento delle istituzioni, con la Divisione della giustizia e i vertici del penitenziario hanno deciso di riutilizzare una serie di locali (quelli appunto dell’ex sezione femminile) vuoti da anni. Arabia Saudita: arte, sport e Islam, per riabilitare in carcere i terroristi di al-Qaeda Aki, 9 dicembre 2013 Ci sono programmi di arte e sport, oltre che di teologia e psicologia, nel programma messo a punto dalle autorità saudite per cercare di riabilitare i terroristi di al-Qaeda. Un progetto finanziato da Riad in un edificio alla periferia della capitale che cerca di ricanalizzare la rabbia di coloro che hanno imbracciato le armi contro quella che vedevano come un’ingiustizia ai danni dei musulmani sunniti. A partecipare al programma di riabilitazione, avviato nel 2007 e della durata di tre mesi, sono stati circa 2.400 islamici rientrati in Arabia Saudita dalle guerre combattute in Iraq e in Afghanistan, e che in patria avevano rivolto la loro ideologia estremista contro la famiglia al-Saud e le riserve petrolifere che costituiscono la ricchezza del Paese. Secondo dati ufficiali, solo l’1,5 per cento di loro ha ripreso attività militante dopo il programma di riabilitazione. Il tasso più alto di recidiva è tra coloro che sono stati detenuti a Guantánamo. Le autorità saudite temono ora una nuova ondata di estremisti dalla Siria, dove è in crescita il ruolo dei gruppi islamici nella guerra contro il regime di Bashar al-Assad. Per questo, il ministero degli Interni saudita ha aperto un secondo centro di riabilitazione per i terroristi a Gedda e ha in programma di avviarne altri tre. "Siamo molto preoccupati dalla situazione in Siria", ammette Hameed al-Shaygi, direttore del Dipartimento di Studi sociali presso l’Università Re Saud di Riad e consulente del programma di riabilitazione. "Alcuni saranno motivati ad andare a combattere", aggiunge. "Non devi essere un simpatizzante di al-Qaeda per pensare che i sunniti in Siria abbiano diritto a una resistenza violenta contro il regime di (Bashar, ndr) al-Assad e che gli altri sunniti li debbano aiutare", afferma Gregory Gause, professore di scienze politiche all’Università di Vermont a Burlington. Le autorità saudite stanno comunque cercando di evitare la partenza di combattenti volontari per la Siria. A ottobre il Gran Mufti aveva esortato i giovani a non partecipare alla guerra e molti imam sono stati licenziati per aver invocato al jihad. È anche vero, però, che i sauditi sostengono i ribelli, anche con armi. Si tratta di una "contraddizione" tra una certa politica e i riflessi domestici che potrebbe avere, nota Eckart Woertz, esperto in Golfo Persico presso il Centro di Affari internazionali di Barcellona. Secondo Gause i governanti sauditi hanno "obiettivi di politica estera immediati che vanno oltre i rischi domestici di lungo termine". Rischi che Riad conosce da quando, negli anni Novanta, i jihadisti sauditi rientrati dall’Afghanistan furono arrestati, ma quando uscirono di prigione mantennero la loro ideologia estremista. "La campagna di al-Qaeda dal 2003 al 2006 è stato un esempio chiaro del contraccolpo dell’addestramento dei sauditi nei campi in Afghanistan", afferma Thomas Hegghammer, direttore del dipartimento di ricerca sul terrorismo presso il centro di Difesa norvegese a Oslo. "Quell’esperienza è tornata alla mente dei sauditi" quando sono stati coinvolti nella guerra siriana. Per i sauditi arrestati in relazione alla guerra siriana, il percorso nei centri di riabilitazione segue quello in carcere. Secondo fonti occidentali, il numero dei miliziani sauditi in Siria si attesta sulle 800-900 unità, ma non è chiaro quanti siano stati arrestati. Al termine del percorso di riabilitazione, che dura al massimo tre mesi, è previsto che continui un’assistenza di tipo psicologico e che vengano favorite opportunità di lavoro, anche nelle università. Egitto: guida suprema Fratelli Musulmani a processo, Mohamed Badie oggi in aula Adnkronos, 9 dicembre 2013 La Guida suprema dei Fratelli Musulmani egiziani Mohamed Badie apparirà oggi in aula per la prima volta dal suo arresto, avvenuto il 20 agosto, nel processo che lo vede imputato per "incitamento alla violenza". Il riferimento è agli scontri scoppiati a luglio tra sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi e gli abitanti davanti alla moschea di al-Estiqama a Giza. Negli scontri morirono cinque persone e altre 100 restarono ferite. Lo rende noto il suo avvocato Osama al-Helw. Badie è detenuto nel carcere di Tora a sud del Cairo. Dovrà apparire in tribunale insieme ai suoi due vice, Khairat al-Shater e Rashad al-Bayoumi, anche mercoledì 11 per un altro processo a suo carico in relazione all’accusa di istigazione all’uccisione di manifestanti davanti alla sede dei Fratelli Musulmani al Cairo il 30 giugno, come fa sapere un altro suo avvocato, Hassan Karim, all’agenzia di stampa Anadolu. In quell’occasione morirono nove persone. Turkmenistan: il presidente Berdymukhamedov grazia centinaia di detenuti atlasweb.it, 9 dicembre 2013 Il presidente del Turkmenistan, Gurbanguly Berdymukhamedov, ha graziato 630 detenuti in vista della Giornata della Neutralità che si celebrerà il 12 dicembre. Berdymukhamedov, riportano i media locali, ha firmato il decreto di grazia durante una riunione di governo nel weekend. Il documento assolve i prigionieri in questione dalle pene loro imposte e da una sanzione aggiuntiva che li obbliga a risiedere in una determinata regione. "Seguendo le tradizioni di umanesimo e misericordia dei nostri antenati, concediamo la grazia a quelle persone che hanno trasgredito la legge ma che, pentitesi, intendono iniziare una vita onesta", ha commentato Berdymukhamedov. Il presidente ha incaricato le autorità penitenziarie di aiutare i detenuti graziati a trovare una nuova occupazione. Gli atti di grazia si celebrano in Turkmenistan tre o quattro volte l’anno in concomitanza con le feste nazionali. Il governo di Asgabat non pubblica dati ufficiali sul numero dei detenuti nel paese, ma durante uno dei suo interventi pubblici all’estero, Berdymukhamedov ha assicurato che "non sono più di 10 mila".