Giustizia: condizioni di detenzione, dall’Europa piovono pietre di Stefano Anastasia Il Manifesto, 4 dicembre 2013 Sono stati resi noti il 19 novembre scorso gli ultimi due rapporti del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (Cpt) riguardanti l’Italia. Il primo è quello che riguarda la visita ad hoc del giugno 2010, dedicata alla prevenzione dei suicidi (e dell’autolesionismo) in carcere e al trasferimento dell’assistenza sanitaria ai detenuti dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. Il secondo è invece il risultato dell’ultima visita periodica di carattere generale, svoltasi nel maggio 2012. Questi rapporti offrono il polso della percezione che fuori dall’Italia si ha dello stato delle nostre carceri e, più in generale, delle condizioni di detenzione: gran parte della visita del 2012 e delle relative raccomandazioni riguardano, infatti, la detenzione nei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie) e nelle celle di sicurezza delle forze dell’ordine. È importante leggere questi rapporti anche perché il Comitato che li redige è uno degli snodi fondamentali di quel sistema sovranazionale di protezione dei diritti umani che ha reso ineludibile una risposta urgente ed efficace dello Stato italiano al protrarsi del sovraffollamento penitenziario. La sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani che ha motivato il recente messaggio alle Camere del Presidente Napolitano si basa su una giurisprudenza che proprio dai rilievi del Cpt deriva la qualificazione del sovraffollamento come un trattamento inumano e degradante. Nel 2012, la delegazione del Cpt ha visitato le camere di sicurezza delle questure di Firenze, Messina, Milano, Palermo e Roma, le caserme dei Carabinieri di Messina Gazzi e di Milano Ponte Magenta, gli uffici della Polizia municipale di Milano e Messina, il Cie di Bologna, le carceri di Bari, Firenze, Milano San Vittore, Palermo Ucciardone, Terni e Vicenza, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, il servizio di psichiatria di Milazzo e la Comunità terapeutica di Naso. Denunce di maltrattamenti sono state presentate da parte degli stranieri nell’area milanese e all’ingresso nel Cie di Bologna, ma anche dai detenuti nel carcere di Vicenza. Condizioni degradanti di detenzione dovute alla fatiscenza delle strutture sono state riscontrate nelle camere di sicurezza di Firenze e di Palermo, ma anche nel padiglione maschile del Cie di Bologna e all’Ucciardone. Una situazione limite era quella riscontrata a Bari: 11 detenuti in una stanza di 20 mq! Singolare, per il Cpt, la totale assenza di psicologi e il basso livello di qualificazione del personale addetto nell’Opg di Barcellona. Le raccomandazioni del Comitato partono inevitabilmente dalla richiesta di introdurre il reato di tortura nel codice penale (solo nel mese scorso la Commissione giustizia del Senato ha licenziato un nuovo testo per l’esame in Aula) e tornano sulla questione del sovraffollamento, in particolare sollecitando il ricorso a misure non custodiali in attesa del giudizio e l’applicazione delle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a proposito della crescita della popolazione detenuta, delle nuove regole penitenziarie e sull’esecuzione penale esterna. Si tratta dei testi e delle indicazioni di riferimento della Commissione ministeriale presieduta da Mauro Palma, già presidente del Cpt e ora autorevole membro del Consiglio europeo per la cooperazione in materia di esecuzione penale, cui il Ministro Cancellieri ha affidato la responsabilità di delineare le linee di riforma che possano portare il nostro sistema penitenziario fuori dall’abisso in cui è precipitato. Ora che, dopo troppi anni, finalmente il Governo si è attivato, speriamo che il Parlamento faccia la sua parte. Giustizia: indulto subito, poi la riforma di Vladimiro Zagrebelsky La Stampa, 4 dicembre 2013 Le condizioni di detenzione in carcere in Italia, a causa principalmente del sovraffollamento, sono inumane e degradanti per gran parte degli oltre 60.000 detenuti (molti dei quali nemmeno condannati definitivamente). La situazione in Italia è grave. Basterà ricordare quanti detenuti si suicidano in carcere. Lo ha detto la Corte europea dei diritti dell’uomo. Da tempo lo dice forte e chiaro il Presidente della Repubblica. Lo hanno detto le due ultime ministre della Giustizia. Lo ha ribadito recentemente la Corte Costituzionale. Nessuna discussione è più possibile sull’esistenza e sulla gravità del fenomeno in Italia. Le misure negli scorsi anni assunte hanno avuto effetti limitati. Ma la natura della violazione che commette l’Italia impone di eliminarla, non di ridurla. Già troppo tempo è passato. Il Presidente della Repubblica nel suo recente messaggio al Parlamento ha detto che la situazione carceraria rappresenta un "inammissibile allontanamento dai principi e dall’ordinamento su cui si fonda quell’integrazione europea cui il nostro Paese ha legato i suoi destini". Tollerare il perdurare di questa situazione significa abbandonare quei valori e isolare l’Italia. Tutti dicono che occorrono riforme che affrontino il problema alla radice. È vero, ma elusivo poiché serve a occultare il rifiuto delle misure urgenti, che sole sono in grado di eliminare il problema. Ecco allora presentarsi ineludibile la necessità di rimedi straordinari. Senza attendere le riforme di sistema, se mai verranno. Un provvedimento d’indulto produrrebbe subito la scarcerazione dei detenuti che sono comunque prossimi alla liberazione per aver già scontato una parte spesso rilevante della pena e dei condannati a pene brevi. Solo l’indulto risolve - certo temporaneamente, ma efficacemente - il problema del sovraffollamento. Un’amnistia potrebbe essere opportuna o addirittura necessaria, ma come conseguenza delle auspicabili riforme del diritto penale sostanziale (es. leggi penali in materia di stupefacenti, con almeno la riduzione di certe pene). Un’amnistia dunque mirata e selettiva, a seguito e insieme alle riforme penali, quando verranno. L’indulto invece è prioritario e, nella scelta delle pene da estinguere, andrebbe finalizzato al solo scopo della riduzione del numero dei detenuti. Occorrerebbe cioè prendere in considerazione i reati per cui vi sono ora in carcere gran numero di detenuti. Certo in luogo dell’indulto sarebbe meglio teoricamente una riforma che utilizzi un istituto come la liberazione anticipata, valutata e applicata caso per caso dal giudice. Ma ora non si tratta di scarcerare chi "se lo merita", ma di scarcerare subito chi "non si merita" di essere trattato in modo inumano! In ogni caso, stupisce in questa situazione la sordità del Parlamento e, non ostante la diversità delle originarie radici ideali, quella della quasi totalità delle forze politiche, omologatesi e resesi indistinguibili. Giustizia: sull’amnistia, nessun populismo giudiziario di Sandro Gozi (Deputato Pd) e Federica Resta (Avvocato) L’Unità, 4 dicembre 2013 Parlando del carcere in un recente intervento, il Presidente della Consulta, Gaetano Silvestri, ha ricordato come la dignità sia un diritto non sacrificabile in nome di nessun altro interesse. Perché questo nesso, carcere-dignità? Perché il carcere, soprattutto nelle condizioni di sovraffollamento attuali, è l’emblema della dignità offesa, violata proprio da quello Stato che avrebbe, invece, il compito di riaffermare i principi fondativi della società. Ed è la violazione della dignità l’elemento comune agli interventi dei più alti organi istituzionali interni e sovranazionali che, nel giro di meno di un anno, hanno posto il carcere, finalmente, al centro del dibattito politico, altrimenti colpevolmente disattento a questo tema. Il presidente Napolitano, nel suo messaggio alle Camere, ha sottolineato come l’obiettivo attenga alla tutela di "quei livelli di civiltà e dignità che il nostro Paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica". La Cedu ha qualificato come violazione della dignità quel "trattamento inumano e degradante" consistente nella detenzione (in attesa di giudizio o meno) in carceri sovraffollate come le nostre, intimando all’Italia l’adozione di misure ordinamentali idonee a risolvere quello che è un problema strutturale, dovuto a un’ipertrofia del penale e a una considerazione del carcere come prima, anziché ultima ratio. Anche la Corte costituzionale, il 9 ottobre scorso, ha rivolto al legislatore un monito ad adottare tutte le misure necessarie a garantire che la detenzione avvenga in condizioni rispettose, in primo luogo, della dignità e del senso di umanità cui le pene non devono "essere contrarie" (27 Cost.). Dignità dei detenuti è, poi, la parola che più spesso è stata invocata nel dibattito parlamentare sul decreto Cancellieri, importantissimo perché ha tentato di ridurre l’area del carcere, soprattutto eliminando quelle preclusioni alla libertà fondate su astratte presunzioni di pericolosità per "tipi di autore" (il recidivo, il migrante, il "delinquente per tendenza"). Tuttavia, la condizione delle carceri italiane è tale da non poter neppure attendere gli effetti di queste norme. Proprio per garantire la dignità nella detenzione, sono oggi indispensabili selettivi provvedimenti di amnistia e indulto che, escludendo dalla clemenza i delitti effettivamente espressivi di reale pericolosità sociale, possano riportare le carceri a un livello accettabile di dignità e, parallelamente, costituire il presupposto per una radicale revisione delle nostre politiche penali nella direzione del diritto penale minimo. Del resto, le condizioni inumane delle nostre carceri privano la pena di quella finalità rieducativa che, sola, la legittima, riducendola inutile violenza, capace di generare ulteriore violenza. Come dimostra, peraltro, il tasso di recidiva di chi sconta la pena in carcere, quasi doppio rispetto a chi beneficia di misure alternative in un percorso di reinserimento sociale, che lo rimetta in gioco e lo responsabilizzi; con un doppio vantaggio, dunque, per il condannato e la società tutta Sta anche in questo il successo dei social impact bond inglesi, ovvero di quel sistema di inserimento del condannato nel mercato del lavoro che, oltre a comportare forti risparmi di spesa e a diminuire le presenze in carcere, favorisce una reale risocializzazione e fa scendere il tasso di recidiva all’1-2%. Soluzioni come queste, partendo anche da alcune buone prassi italiane come quelle di carcere e lavoro di Padova o le comunità educanti con i carcerati, in via di sperimentazione. Metodi di recupero che dovrebbero inserirsi all’interno di una più ampia revisione del sistema penale, penitenziario e della giustizia. Giustizia intesa non come potere ma come servizio ai cittadini, che una forza politica di sinistra deve saper sostenere, contro ogni forma di populismo giudiziario che voglia delegare alla sola magistratura la difesa della legalità, della giustizia, della dignità umana. Sono, questi, temi che la politica deve fare propri perché, mai come in questo caso, quello che è in gioco è la stessa idea di Stato, di libertà, di società che vogliamo promuovere. Giustizia: oggi al Senato Convegno sull’amnistia con Napolitano, Cancellieri e Manconi Dire, 4 dicembre 2013 Alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e del presidente del Senato Pietro Grasso, domani 4 dicembre, alle ore 10.30, in Sala Zuccari a Palazzo Giustiniani, si discuterà di "Clemenza necessaria. Amnistia indulto e riforma della giustizia". Apriranno il dibattito il presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Luigi Manconi e il presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Sandro Gozi. Interverranno Vladimiro Zagrebelsky, Rita Bernardini, Andrea Pugiotto. Concluderà i lavori il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Giustizia: il braccialetto elettronico non decolla, dubbi sul tele-controllo degli imputati di Andrea Galli e Cesare Giuzzi Corriere della Sera, 4 dicembre 2013 Il primo dopo più di uno stop, dopo mesi di attesa e dopo un significativo esborso di soldi con approfondimento da parte della Corte dei Conti, finalmente c’è. Ma l’evento rimane così raro e la statistica così periodicamente in secca da conservare giocoforza delle anomalie: e infatti, oggi, il nuovo "detenuto" milanese che sta scontando la pena ai domiciliari con il sistema del braccialetto elettronico dipende dal Tribunale di Roma, che quel detenuto lo ha in carico pur abitando nell’hinterland. Del resto il Tribunale di Milano non ha sciolto le riserve sull’adozione del controllo a distanza per i carcerati messi ai domiciliari. Anche se, raccontano dalla Monitoring, ditta milanese leader nella fabbricazione dei braccialetti, l’interesse è crescente. La legge prevede che sia il giudice a decidere per il braccialetto elettronico. Una soluzione che, a fronte per l’appunto di un’attesa infinita vede il grosso della "macchina" pronta. Nelle centrali operative di polizia, carabinieri e Finanza - interfaccia coi Tribunali - ci sono postazioni e computer con mappe per gli operatori incaricati della gestione del braccialetto, "strumento" che oltre a scatenare un dibattito articolato (questione di sicurezza, di etica, di argine al sovraffollamento carcerario) vanta mere ragioni economiche. Per esempio, se la gestione quotidiana di un detenuto con braccialetto costa 12 euro, ogni giorno il mantenimento d’un singolo carcerato presuppone una spesa sopra i duecento euro. Quanto al sistema, è il seguente: il braccialetto viene posizionato alla caviglia, è impermeabile e leggero. In caso di taglio, di forzatura oppure se ci si allontana dall’abitazione (dove è installata una centralina) scatta l’allarme che arriva direttamente sui pc delle forze dell’ordine. A questo punto, la procedura prevede un contatto telefonico con il "detenuto" e il contemporaneo invio di una pattuglia. La stessa Roma. Poi Torino. E, più nelle vicinanze, Varese. A fatica, molto a fatica, ma la geografia cresce. Questo caso (finora) isolato del "detenuto" dell’hinterland aggiunge un ulteriore tassello: anche Milano, come detto, ha il suo braccialetto elettronico "in azione". Tentativi ce n’erano stati in passato, beninteso. Sei anni fa, non ieri, un giudice aveva avviato l’iter per un trafficante di droga condannato (in primo grado e in appello) a dieci anni di cella. Niente da fare, il sistema tecnologico era risultato inutilizzabile. Intoppi che paiono superati. Basti pensare che la Monitoring ha di recente aggiornato il software dei computer in uso alle forze dell’ordine. Il che (ri)porta a formulare la domanda su cosa si aspetti per incrementare il ricorso ai braccialetti. Sempre, ma questo è ovvio, che rappresentino una valida opzione. I sostenitori insistono nel rimarcare come l’impossibilità del "detenuto" di uscire di casa lo possa tenere lontano da cattive compagnie e traffici sporchi. Il braccialetto eserciterebbe una persuasione fisica che magari, parallelamente, riuscirebbe a puntellare la volontà di rifarsi una vita nuova, distante dai fantasmi del passato. Una visione forse troppo idealista. A maggior ragione se rapportata allo scontro, violento, sui cento milioni di euro - la fonte è la polizia - investiti in dieci anni sul controllo a distanza dei "detenuti". Con quali risultati? "Quattordici carcerati". Poco cambia. Per il governo il braccialetto è una sfida che sarà vinta: il ministero dell’Interno ha prorogato la convenzione stipulata con Telecom, a livello nazionale fornitrice del servizio. Giustizia: Gozi (Pd); fondi dalla Banca di Sviluppo Europea per scuola, carceri e immigrati Agenparl, 4 dicembre 2013 "Il sistema Italia non utilizza pienamente le opportunità di finanziamento offerte dalla Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa a causa dell’instabilità politica di questi ultimi anni e per la legislazione frammentata, l’eccesso di burocrazia e la difficile individuazione dei responsabili operativi nelle amministrazioni. Ombre, dunque, ma anche luci sono emerse dopo l’incontro che la Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha avuto con il Vice Governatore della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa (CEB), Guglielmino. Ottima infatti la notizia di un progetto che la Ceb finanzierà per la manutenzione dell’edilizia scolastica in Italia nel 2014 e grande soddisfazione per la disponibilità della stessa Ceb a valutare la proposta della Delegazione di un contributo a favore del settore delle carceri, non solo dal punto di vista della costruzione di nuovi, o più moderni istituti di pena, ma anche pensando alla possibilità di finanziare sistemi alternativi, e di un sostegno per quanto riguarda il problema dell’accoglienza dei migranti in Italia, inclusi progetti per favorire il ritorno, su base volontaria, nei paesi d’origine. Sono ambiti che rientrano a pieno titolo nell’attività e nei fini della CEB e possibilità che ci vengono offerte e che non ci possiamo lasciar sfuggire come già avvenuto in passato. La Delegazione ne discuterà nelle prossime audizioni previste con i Ministri Cancellieri e Alfano in modo che Governo e Parlamento mettano subito in moto le procedure volte ad avvalersi di questo importante strumento finanziario". È quanto dichiara il parlamentare del Pd, Sandro Gozi, presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Giustizia: Coni e Ministero insieme per il progetto "Sport in carcere", firmato un accordo La Presse, 4 dicembre 2013 Il presidente del Comitato Olimpico, Giovanni Malagò, ed il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, hanno firmato un protocollo d’intesa a riguardo al Salone d’Onore del Coni. Il progetto, legata al quadriennio olimpico è finalizzato al miglioramento della condizione carceraria e del trattamento dei detenuti attraverso la pratica e la formazione sportiva ha come obiettivo quello di realizzare in tempi brevi una prima serie di interventi in ambiente carcerario concordati in sede europea nel corso degli incontri che il Ministro della Giustizia ha avuto a Strasburgo il 4 e 5 novembre scorso, davanti al Consiglio d’Europa e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il protocollo d’intesa prevede l’impegno congiunto dei promotori, con il concorso delle federazioni, nelle strutture individuate all’interno di diversi istituti di pena, su tutto il territorio nazionale. Le sedi-pilota interessate dall’iniziativa sono quelle della Casa Circondariale di Bologna e di Roma-Rebibbia Femminile. "L’impegno è che in ogni carcere ci siano impianti sportivi, anche se è un cammino che si preannuncia molto lungo - dice il Guardasigilli - Vogliamo che di questi impianti possa goderne anche la polizia penitenziaria. E dove ci sarà la possibilità di ingressi esterni, questi impianti dovranno essere messi a disposizione della collettività". "Bisogna che la società civile viva in simbiosi con il carcere, che è una risorsa e non solo un problema - aggiunge Cancellieri - La Costituzione dice che il detenuto deve espiare la pena ma la detenzione deve essere un momento di crescita e non di regressione. Lo sport è un grimaldello che permette di rompere certe catene quindi portare i principi dello sport all’interno delle carceri significa dare alle carceri gli strumenti di crescita civile", conclude il ministro. "Oggi è una giornata importante. È una cosa della quale essere fieri ed orgogliosi. Il protocollo è un atto formale ed in parte anche sostanziale. A volte queste iniziative sono rimaste lettera morta ma questa volta voglio dimostrare sul campo praticamente e concretamente che il mondo dello sport può dare molto alle persone che vivono dentro al carcere", le fa eco il presidente del Coni, Giovanni Malagò. "Lo sport contribuisce mettendoci la faccia e le professionalità. I migliori atleti, tecnici, allenatori e del materiale - aggiunge - Credo che oggettivamente ci siano dei problemi di strutture ma anche su questo possiamo provare ad incanalare qualche azienda che vuole investire nel mondo dello sport ed è attenta ai temi del sociale per creare degli spazi, i miglior possibili, dove noi entriamo e portiamo i grandi campioni". "Persone che sono in un contesto di regime carcerario evidentemente le regole non le hanno rispettate, invece dobbiamo spiegare che nello sport è indispensabile farlo", dice ancora Malagò. Il Responsabile del Gruppo Sportive Fiamme Azzurre, Marcello Tolu, specifica ulteriormente i dettagli dell’iniziativa. "La pena deve tendere al reinserimento, lo sport è un ausilio fondamentale in questo senso - argomenta - Prevediamo di impegnare i detenuti anche nell’ambito di manifestazioni e iniziative sportive". L’iniziativa di natura formativa sarà successivamente estesa d altre realtà penitenziarie. Entusiasti anche gli atleti delle Fiamme Azzurre presenti in al Salone d’Onore del Coni. "Lo sport aiuta molto in termini di aggregazione - dice il campione olimpico di scherma, Aldo Montano. Noi come Fiamme Azzurre porteremo il nostro contributo e speriamo che il progetto vada avanti". Ed a chi gli chiede se nelle carceri potrebbe esserci qualche campione di domani il livornese risponde che: "Lo sport mi ha insegnato a lottare e combattere sempre. Se ci sono delle possibilità vengono fuori quindi perché non in carcere". "È un’iniziativa innovativa - aggiunge il campione del mondo di pugilato Clemente Russo - attraverso la i detenuti hanno una possibilità di impiego attraverso la quale possono affermarsi un altro mondo che non è quello del carcere". Molteni (Ln): carceri sono luoghi di espiazione non spa "Sono esterrefatto dalla dichiarazioni del ministro della Giustizia circa la volontà di realizzare presso ogni penitenziario un impianto sportivo. Anziché reperire risorse per costruire nuove carceri o recuperare e ristrutturare le 38 carceri fantasma esistenti, il ministro Cancellieri si preoccupa di realizzare palestre e centri sportivi all’interno delle carceri. Ricordo al Guardasigilli che le carceri sono luoghi di espiazione della pena e non centri benessere per il ristoro del corpo e dell’anima. Questa proposta rappresenta l’ennesimo insulto e l’ennesima volgarità pronunciata a danno delle vittime dei reati. Sarà una battaglia a tutto campo se governo e maggioranza torneranno a proporre indulti o amnistie varie". Lo dichiara il capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni. Giustizia: la doppia umanità del ministro Cancellieri di Pino Corrias Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2013 Su Giulia Ligresti si è attivata prima e soprattutto dopo, su Federico Perna non ha trovato neppure il tempo di riferire in Parlamento. Se la ministra Annamaria Cancellieri è innocente per Giulia Ligresti, detenuta di prima classe, valore stimato in molti milioni di euro, allora è doppiamente colpevole per la mancata scarcerazione di Federico Perna, il detenuto da due lire, morto l’altro giorno a Poggioreale, con il corpo tumefatto come neanche un cane dovrebbe. È colpevole perché Cancellieri - difendendosi utilmente in Parlamento, inutilmente davanti alla pubblica opinione - ha rivendicato come suo inviolato dovere il diritto umanitario che l’ha spinta a telefonare per la tutela della sua amica Giulia, dicendo che "lo avrebbe fatto per chiunque". Anzi "che era pronta a farlo per chiunque". Lo ha fatto per il detenuto Perna? Tutto il fervore esibito per liberare Giulia con il suo prezioso guardaroba, le sue carte di credito, i suoi segreti, è svaporato nella dimenticanza. Lasciando completamente solo quel detenuto - che pure da lei dipendeva, dal suo ministero di Giustizia senza Grazia - marcito per tre anni nell’inferno di Poggioreale, ammalato nel corpo e nella testa, uno che scriveva alla madre "ti prego, voglio tornare da te, fammi uscire". E che scrivendo senza essere ascoltato da nessuno è stato cancellato e poi archiviato come 141esima vittima dell’anno. Un ladruncolo, titolare di nessuna storia, nessuna parentela, condannato alla detenzione fino al 2018, colpevole di avere maneggiato assai meno refurtiva di un dito mignolo di un qualunque banchiere, o del più giovane dei Ligresti, quello ancora in fuga nella Svizzera delle finanziarie anonime. Qui non si discute il diritto di Giulia Ligresti a uscire di galera, ci mancherebbe, non è lei lo scandalo, la sua voglia di libertà, il suo sacrosanto diritto allo shopping in attesa di ereditare il gruzzolo accumulato dalla famiglia con il commercio di aree edificabili, cliniche, e la finale spoliazione di un’azienda, la Fonsai. Qui si discute lo scandalo della scandalosa ministra, prefetto di prima classe, anzi prefetto di classe. Per la primogenita dei suoi due amici miliardari, i fratelli Ligresti, la fedele Cancellieri - che non trova sconveniente frequentare da ministra pregiudicati di quella risma, né telefonare ai superstiti di una famiglia finita tutta in galera - si attiva immediatamente mossa da umana pietà: "Non ho proprio nulla da rimproverarmi. Ho agito secondo coscienza". Bene, benissimo. E quindi dovrebbe avere molto da rimproverarsi a non avere agito secondo coscienza in questo caso che segue di così poco il primo. Riconoscendo l’immorale silenzio di oggi in aperto contrasto con il diritto morale all’aiuto di ieri. Ma com’è ovvio Cancellieri non si rimprovera e non riconoscerà un bel nulla. Per questo ha scelto di esibire il suo pubblico disinteresse non avendo trovato neppure il tempo di riferirne in Parlamento. Per le scorie sociali come Federico è abbastanza il suo vice. Chissà se, perdendo almeno il sonno, la ministra non incaricherà il suo vice di dormire al posto suo. Giustizia: Christian Mendoza non era Giulia Ligresti… forse per questo è morto in carcere di Pino Nicotri www.blitzquotidiano.it, 4 dicembre 2013 Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, si sa, ha un grande cuore. Una grande umanità. Ci ha tenuto a farlo sapere lei stessa per rintuzzare sdegnata di essere intervenuta per far scarcerare Giulia Maria Ligresti, figlia di Salvatore e sorella di Jonella e Gioacchino Paolo, tutti colpiti da mandato di cattura lo scorso luglio. Il suo, ha dichiarato il ministro Annamaria Cancellieri a petto in fuori, è stato solo un intervento dettato dalla stessa umana sensibilità per la quale a suo dire sarebbe intervenuta in decine e decine di casi simili. Sarà, però un fatto è certo: Giulia Maria ha potuto lasciare il carcere perché, poverina, non lo sopportava, tanto da non riuscire quasi a mangiare e così le hanno concesso gli arresti domiciliari, mentre non risulta che siano stati mandati a casa i molti altri detenuti che in carcere stanno molto ma molto peggio della ricchissima signora Giulia Maria Ligresti. In particolare, non è stato mandato né a casa né in una struttura di accoglienza il cittadino salvadoregno di 29 anni Christian Mendoza, arrestato e condannato lo scorso anno per violenza a pubblico ufficiale. Un poveraccio di detenuto che avrebbe finito di scontare la pena nel marzo del prossimo anno. E che è semplicemente assurdo, disumano e vendicativo tenere chiuso in galera per un reato che molto difficilmente avrebbe reiterato. Sta di fatto che l’umanità del ministro Cancellieri in questo caso non s’è vista. E il 28 novembre il detenuto è stato trovato morto nella sua cella di Rebibbia, asfissiato dal gas della bomboletta per il fornello da campeggio con la quale nelle carceri quasi tutti i detenuti si scaldano le vivande o si preparano il caffè e a volte il mangiare. Mendoza pare avesse problemi di alcolismo, un motivo in più per non tenerlo chiuso a chiave in una cella di galera, e respirare il gas della bomboletta forse gli serviva per superare le crisi. Insomma, un malato: che avrebbe dovuto essere curato anziché messo in condizione di dover crepare come un cane, suicida o no che sia. Sua madre Maribel grida il suo dolore: "Sapevo che Christian aveva problemi con l’alcool, ma era sereno. Non vedeva l’ora di abbracciare il suo nipotino appena nato, mancavano solo pochi mesi. Mio figlio era vittima di una dipendenza, come hanno potuto lasciare che tenesse nella sua cella la bomboletta del gas?". Già: come hanno potuto? Giriamo la domanda al ministro Annamaria Cancellieri e alla sua nota umanità. Che però fa acqua da varie parti. Il Garante dei Detenuti, Angiolo Marroni, ha reso noto che con Mendoza salgono a 16 i decessi non sempre edificanti avvenuti nelle sole carceri romane dall’inizio dell’anno in corso. Cancellieri è diventata ministro della Giustizia il 28 aprile di quest’anno, ma la situazione delle carceri non le doveva essere sconosciuta dato che proveniva da un anno e mezzo di guida del dicastero dell’Interno, del quale infatti era diventata ministro il 16 novembre 2011. Angiolo Marroni ha aggiunto: "Christian doveva scontare la sua pena, ma fuori dal carcere, in una struttura in grado di aiutarlo". Purtroppo però non si chiamava Ligresti. E s’è visto. A proposito di Ligresti: Giulia Maria è stata spedita ai domiciliari a casa sua il 28 agosto perché dimagrita di sei chili. Dopo avere patteggiato una pena di due anni e otto mesi, Giulia Maria è uscita anche dagli arresti domiciliari il 19 settembre, tornando così libera cittadina. Tant’è che il settimanale Oggi ha pubblicato le foto che la vedono impegnata il 25 ottobre a fare shopping nel quadrilatero della grande moda a Milano. Deve essersi rimessa presto in salute la signora Ligresti, recuperando i sei chili persi in un mese di carcere, a giudicare dalla quantità di cose impacchettate e portate a mano per strada. Buon per lei. Resta però una domanda: quella del ministro Cancellieri è umanità ad personam o umanità erga omnes? Come dovremmo rispondere, visto cosa è successo al povero Mendoza? E visto anche cosa continua a succedere ad altri poveracci nelle nostre galere. Che ne dice il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? Che ne dice, lui che solo pochi mesi fa è arrivato a chiedere il varo di un indulto e/o di un’amnistia proprio per rimediare almeno in parte alla poco civile condizione delle carceri italiane? Giustizia: Sappe; la Legge di Stabilità taglia le assunzioni per 500 poliziotti penitenziari Ansa, 4 dicembre 2013 Le carceri italiane sono sovraffollate, tanto che dal gennaio 2010 la Presidenza del Consiglio dei Ministri decretò lo stato di emergenza nazionale, e gli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria sono carenti di oltre 7mila unità. Eppure la legge di stabilità appena varata da Governo e Parlamento ha soppresso l’emendamento che prevedeva, al pari delle altre Forze di Polizia, nuove assunzioni per il Corpo. La denuncia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, che chiede di "avvicendare il Capo del Dap Giovanni Tamburino dalla guida dell’Amministrazione Penitenziaria per avere trascurato questa criticità". "In prima battuta la legge di stabilità, grazie anche alle nostre sollecitazioni, aveva previsto l’assunzione di 500 nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria per fronteggiare la grave crisi degli organici del Corpo. Ma i lavori parlamentari, evidentemente trascurati dai vertici del DAP, hanno di fatto escluso da ogni nuova assunzione la Polizia Penitenziaria mentre questo non riguarda Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza", tuona Donato Capece, segretario generale SAPPE. "Il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, non solo ha avuto l’ardire di sostenere che l’Italia non sarà in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia ma non è neppure stato in grado di assicurarsi 500 nuovi poliziotti . Entrambe le cose sono di sua stretta competenza e per entrambe si è dimostrato inefficace: ma allora cosa lo tengono ancora a fare sulla lauta e ben stipendiata poltrona di Capo Dap?" Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2013 si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni e 468 ferimenti: 3.965 sono stati i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 18 sono i morti per suicidio e 64 per cause naturali. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici, con oltre 64mila reclusi per una capienza di 40mila posti letto regolamentari e il Capo Dap che alza le mani di fronte alla sentenza Torreggiani. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo, come dimostrano i gravi episodi in nostro danno accaduti". Giustizia: decreto securitario per la Terra dei fuochi, 6 anni di carcere per chi brucia rifiuti di Francesca Pilla Il Manifesto, 4 dicembre 2013 Era stato annunciato due mesi fa e ieri il Cdm ha approvato il cosiddetto "reato di combustione" per la Terra dei fuochi, secondo il quale chi brucerà rifiuti potrà essere arrestato con un reato specifico rischiando fino a 6 anni di carcere. Svolta repressiva, dunque, per un’attività criminale di sversamento e occultamento di materiali pericolosi che in provincia di Napoli e Caserta è andata avanti indisturbata almeno per venti anni. Il ministro Orlando proprio in un’intervista al manifesto lo scorso mese aveva spiegato di non essere spinto da uno "spirito securitario", ma che l’emergenza campana necessitava di strumenti per poter agire e dare la possibilità agli inquirenti e forze dell’ordine di avere mano libera. Una strada che però non piace ai comitati i quali chiedono da sempre a gran voce di partire con le bonifiche, mentre nella manifestazione dello scorso 16 novembre avevano proposto, insieme a Fiom e Libera, la costituzione di un Osservatorio con membri gli stessi cittadini. "Ben venga la repressione, ma ora abbiamo bisogno di una mappatura delle terre inquinate - ha commentato a caldo don Maurizio Patriciello - Ora servono interventi a monte". Il parroco di Caivano, che da tempo si batte contro le ecomafie, ha spronato il governo affinché si approvino leggi in grado di bloccare il fenomeno, non solo toppe temporanee: "Dobbiamo andare a incidere seriamente sulla tassazione delle fabbriche e sulla sistemazione delle loro attività. Se si continua a produrre in nero, e noi facciamo finta di non vedere il problema non troverà mai una vera e definitiva soluzione". Se si sceglie il pugno duro per chi delinque, non vengono però stanziati fondi per mettere in sicurezza i terreni. Se qualche soldo verrà impiegato bisognerà aspettare l’ok di Bruxelles per i 600milioni del programma operativo di riprogrammazione e di quello di coesione. Con il decreto si prevede anche l’impiego dell’esercito, così come avvenuto in altri momenti di crisi nell’emergenza rifiuti della Campania. I militari potrebbero essere chiamati fin da subito a presidiare i terreni a rischio per evitare che continuino gli incendi. Una pratica che ha finito per appestare anche l’aria oltre che le terre. Qui la camorra ha buttato di tutto, perfino scorie nucleari. Sempre secondo la norma d’urgenza varata ieri è prevista entro 150 giorni la perimetrazione delle aree agricole interessate. "Un’operazione di verità - ha affermato in conferenza stampa la ministra Nunzia De Girolamo - per individuare quelle aree contaminate impedendogli di produrre ancora alimenti". Per il presidente del Consiglio Enrico Letta questo è solo l’inizio: "Si tratta di una risposta senza precedenti, forte, netta per recuperare tempo perduto", ha dichiarato da Palazzo Chigi. Soddisfazione è stata espressa anche da Ermete Realacci, esponente democratico in commissione ambiente, che ha ricordato come siano almeno 15 i clan che hanno lavorato indisturbati. Si è invece ancora lontani, a livello legislativo, dal dichiarare il nesso tra aumento esponenziale dei tumori e avvelenamento dei territori. Tanto che Antonio Giordano, uno dei medici per l’ambiente sottolinea la poca attenzione per i rischi oncologici, una svolta fondamentale per le popolazioni in sofferenza. "Non c’è una riga sul diritto alla salute - scrive Antonio Musella, coautore del libro Il paese dei veleni - niente riguardo alla necessità di potenziare il servizio sanitario pubblico, di avviare le indagini tossicologiche. A chi applaude al decreto posso consigliare solo di leggerlo e poi confrontarlo con le richieste dei movimenti. Di quello che chiedevamo non c’è quasi nulla". Lettere: quel detenuto in sedia a rotelle che salva il compagno di cella di Fiamma Satta Gazzetta dello Sport, 4 dicembre 2013 Oggi è la "Giornata internazionale dei diritti dei disabili". Quanti buoni propositi verranno snocciolati in convegni, tavole rotonde, trasmissioni radiofoniche e televisive? Mentre gli altri dibattono, i disabili si battono quotidianamente con forza, pazienza e coraggio per affrontare e superare le loro difficoltà, amplificate da indifferenza, umiliazioni e inciviltà. Peccato davvero che sia così, perché in questi tempi di crisi e di disagio generale, la società potrebbe avvalersi della "quinta marcia" in dote ad ogni disabile e delle capacità che è inevitabilmente costretto a sviluppare. Un episodio avvenuto recentemente nel carcere di Rebibbia mi sembra una metafora di quanto ho appena formulato: un detenuto ha tentato di impiccarsi ma è stato salvato da un provvido e tempestivo compagno di cella in sedia a rotelle che si è buttato per terra e lo ha sostenuto fino all’arrivo dei soccorsi. Sappiamo bene che i continui suicidi dei detenuti derivano anche dalla disperazione causata dall’inadeguatezza del nostro regime carcerario (sovraffollamento, maltrattamenti, uso eccessivo della forza, carenze igieniche e sanitarie), specchio a sua volta del paese. Così, da questo angolo della "rosea" manderei volentieri un abbraccio a quel detenuto-disabile e proporrei di dedicargli questa Giornata. Lazio: Garante dei detenuti Marroni, terza regione per sovraffollamento delle carceri Adnkronos, 4 dicembre 2013 "Secondo gli ultimi dati i detenuti presenti in Italia sono 64.084, 808 detenuti in meno rispetto al luglio 2013, contro una capienza regolamentare di 47.649 nelle 205 carceri italiane. Nel Lazio il dato è ancora più preoccupante in quanto gli effetti dello svuota carceri ha interessato solo 68 detenuti a fronte di una popolazione di 7.100 ed una capienza regolamentare di 4.799 posti disponibili. Neanche l’entrata a regime delle norme previste dal cd. Decreto Cancellieri sembrano in grado di attenuare il grave sovraffollamento". Lo afferma Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio. "Ormai occorre urgentemente intervenire sulle vere questioni che producono il fenomeno del sovraffollamento - aggiunge Marroni - Si prende atto che il parlamento non ha ancora dato risposta all’appello contenuto nel messaggio del Presidente Napolitano sulle misure urgenti da realizzare. Tuttavia è necessario intervenire sui nodi strutturali che producono carcere: riforma del codice penale e di procedura penale; affrontare il tema degli stranieri in carcere (37%) e il problema dei reati connessi alla tossicodipendenza (40%). Per questo occorre riprendere le proposte più innovative presenti in Parlamento (si veda ad esempio la proposta Pisapia) che riguardano le riforme dei codici in rapporto alle misure alternative. Mentre per le tossicodipendenze occorre mettere in campo tutte le capacità progettuali e coinvolgere gli Enti Locali e le Regioni per realizzare una rete di comunità di accoglienza alternativa al carcere. Infine per gli stranieri occorre attuare gli accordi già in vigore con i Paesi Terzi e attivare una forte azione diplomatica per consentire il rimpatrio volontario degli stranieri nei propri paesi di origine". "Le statistiche ufficiali del Dap certificano un’altra realtà: il Lazio, con i suoi 7.100 reclusi (6.601 uomini e 499 donne), è la terza Regione d’Italia per numero di detenuti dopo Lombardia (8.876 reclusi) e Campania (8.121) e davanti alla Sicilia (6.696). Essere la terza regione d’Italia per numero di detenuti presenti è un primato di cui avremmo fatto volentieri a meno - ha concluso Angiolo Marroni. Un primato che, inevitabilmente si riflette sulla qualità della vita quotidiana in carcere". Napoli: caso Federico Perna; primi accertamenti escludono pestaggi, in attesa esito autopsia Ansa, 4 dicembre 2013 I magistrati della procura di Napoli, che indagano sulla morte di Federico Perna avvenuta nel carcere di Poggioreale l’8 novembre scorso, sono ancora in attesa di conoscere l’esito dell’autopsia eseguita dal medico legale Pasquale Giugliano. Secondo indiscrezioni, però, i primi accertamenti escluderebbero segni di pestaggi. Il detenuto, che avrebbe finito di scontare la pena nel 2018, era affetto da una grave malattia al fegato ed era in attesa di trapianto. Sul caso il ministro Cancellieri ha disposto una indagine amministrativa partita ieri. Al momento non ci sono indagati nell’inchiesta condotta dal pm Luigi Musto e coordinata dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo. Nel fascicolo si ipotizza il reato di omicidio colposo. L’obiettivo degli inquirenti è soprattutto quello di verificare se vi siano state negligenze nelle cure e nell’assistenza. I magistrati hanno acquisito i documenti sanitari e quelli relativi al periodo di detenzione trascorso in vari istituti di pena. Agli atti dell’inchiesta anche un referto medico in cui si sottolineava la necessità di un ricovero presso una idonea struttura sanitaria. Da indiscrezioni trapelate sull’autopsia, alla quale ha partecipato anche un consulente indicato dai familiari di Perna, sarebbero esclusi segni di pestaggi sul corpo. Gli arrossamenti sul volto, documentati in due foto diffuse nei giorni scorsi, sarebbero infatti angiomi cutanei e non ecchimosi provocate da traumi. I segni sulla fronte inoltre, secondo quanto trapelato, sarebbero conseguenza di una incisione fatta dal medico legale nel corso dell’autopsia. Napoli: Tamburino… la "ricerca spasmodica della verità" su Perna… la dovrebbe fare al Dap di Redazione www.poliziapenitenziaria.it, 4 dicembre 2013 Il Capo del Dap Giovanni Tamburino ha incontrato, presso la sede del Dipartimento, la madre del detenuto Federico Perna, il detenuto deceduto nei giorni scorsi nel carcere napoletano di Poggioreale per cause ancora da accertare. La madre, la signora Nobila Scafuro, così come ha riferito uno dei legali della famiglia Perna, Fabrizio Cannizzo, ha espressamente rivolto le accuse all’amministrazione "Dove stavate quando Federico stava male e chiedeva aiuto?" e nei giorni scorsi le accuse le ha rivolte in particolar modo nei confronti della Polizia Penitenziaria per presunti maltrattamenti in carcere ricevuti dal figlio da parte dei poliziotti penitenziari. Nell’incontro Tamburino ha assicurato "l’impegno in merito ad una indagine interna che sarà condotta con la massima severità e celerità". "Giovanni Tamburino ha anche espresso alla famiglia Perna la massima vicinanza - riferisce il legale Cannizzo - e ha anche manifestato il massimo impegno dell’amministrazione nell’indagine e ha sottolineato che all’interno dell’amministrazione c’è una ricerca spasmodica della verità". Secondo il referto del medico della Asl che visitò il detenuto, le condizioni di quest’ultimo erano incompatibili con il regime carcerario: Perna andava pertanto, secondo il medico, ricoverato in una struttura ospedaliera. Al momento l’ipotesi di reato formulata dagli inquirenti nel fascicolo, in cui ancora non risultano persone indagate, è di omicidio colposo. Il signor Tamburino, la "ricerca spasmodica della verità", se la dovrebbe iniziare a fare nel suo ufficio, tra le sue carte, tra i suoi stretti collaboratori e, seguendo una linea immaginaria di comando (che nell’amministrazione penitenziaria non viene mai applicata), dovrebbe partire prima di tutto dal Magistrato di Sorveglianza competente per Poggioreale (magistratura dalla quale lo stesso Tamburino proviene e dove ha militato autorevolmente per tanto tempo), fino ad arrivare al Direttore del carcere napoletano, un carcere peraltro che ha già raggiunto gli "onori" della ribalta con le inchieste del quotidiano "Il Mattino" e le denunce del SAPPE. È ora di smetterla di scaricare tutto sulla Polizia Penitenziaria rilasciando dichiarazioni di "massimo impegno" per la "ricerca spasmodica della verità", quando poi i principali responsabili di quanto avviene nelle carceri non vengono nemmeno sfiorati dalle "indagini" e non vengono mai chiamati, in virtù delle loro competenze, a rispondere dei fatti che accadono nelle carceri. Chi è il vero responsabile del fatto che un detenuto in quelle condizioni di salute, certificate dal medico, fosse ancora rinchiuso a Poggioreale? Del poliziotto penitenziario? Della matricola del carcere? Dell’agente di sentinella? Mi pare (a me che sono un uomo qualunque) che in casi del genere bisognerebbe iniziare a farsi qualche domanda e mettere in fila certi avvenimenti. Quest’estate ci si è scandalizzati tutti della fila (da bestie) fuori da Poggioreale, che i familiari dei detenuti dovevano subire per poter effettuare il colloquio con i detenuti. Scese addirittura in campo il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, che per l’occasione non si limitò a telefonare, ma impartì precise disposizioni affinché la fila fosse divisa per iniziali dei cognomi e dispose l’apertura di altri spazi per smaltirla più velocemente. Già allora scrivemmo da queste pagine che i casi erano due: o il Ministro Cancellieri è una donna di superiori qualità morali ed intellettuali, tali che le hanno consentito di trovare subito delle soluzioni rivoluzionarie, oppure (secondo caso), la catena di comando e di responsabilità dell’amministrazione penitenziaria fa acqua da tutte le parti e siccome le responsabilità non sono di figure mitologiche, ma di persone con nomi e cognomi e incarichi precisi, è ora di farli questi nomi e di richiamarli alle loro responsabilità per quanto avviene nelle carceri: ieri la fila disumana, oggi l’ennesimo decesso (forse evitabile) di un detenuto con problemi di salute in carcere. Dia retta a me signor Tamburino, si affidi alla saggezza di un uomo qualunque: iniziate a guardarvi allo specchio, lei, i suoi amici Magistrati di Sorveglianza e i suoi sottoposti Direttori penitenziari. Da oggi siamo noi poliziotti penitenziari che chiediamo la "ricerca spasmodica della verità", partendo dai livelli più alti però. Napoli: la Garante Tocco; detenuto con un tumore al midollo è grave, intervenire al più presto Il Velino, 4 dicembre 2013 "Il ragazzo che ha chiesto la grazia al presidente della Repubblica è effettivamente molto grave - ha dichiarato Adriana Tocco Garante per i detenuti della Regione Campania - ha un tumore al midollo e non riesce nemmeno a tenere al testa diritta". Il giovane, detenuto al carcere di Poggioreale si chiama Vincenzo Di Sarno ed è dimagrito di ben 60 chili. Sono numerosi i casi di malati gravi, che sono in attesa di una sistemazione. "Gli altri non sono gravi come Di Sarno, ma comunque ci sono detenuti con patologie cardiache, renali, paraplegici, alcuni sulla sedia a rotelle". Ci si chiede in questi casi quali possono essere le misure alternative. "Per motivi di salute grave - ha spiegato la Garante - ci sono i domiciliari o centri specializzati". In un carcere come quello di Poggioreale, dove il numero di detenuti è esorbitante, potrebbe essere di aiuto diminuire il numero dei detenuti, destinando almeno i malati più gravi in strutture specializzate. "Il sistema si blocca a un certo punto - ha continuato la Tocco - sta tutto nella discrezionalità della magistratura di sorveglianza, che decide. Io comunque per Di Sarno presenterò il caso al ministro della Giustizia Cancellieri, cercando di ottenere almeno i domiciliari". Un caso con dei punti oscuri è quello di Federico Perna. Secondo la denuncia presentata dalla mamma, il giovane, che era molto malato, aveva bisogno di essere curato in un centro specializzato, ma le sue richieste non sono state ascoltate. Inoltre la mamma ha denunciato che il figlio avrebbe subito percosse: "Io non ho seguito la vicenda - ha dichiarato Adriana Tocco - purtroppo non si sono mai rivolti a me. Dalle foto ci sono ferite e lesioni sul corpo, però ci sono delle indagini in corso e poi si è in attesa dell’autopsia. Preferirei aspettare almeno la fine delle indagini da parte della Procura". Tartaglione (Pd): pene alternative per i malati gravi La deputata ha ricordato il detenuto gravemente malato a Poggioreale. "Invito il Governo ad agire subito sugli ambiti delle risorse e delle misure alternative, come peraltro chiesto con forza dal Presidente Napolitano nella sua recente lettera alle Istituzioni sulle Carceri". È l’appello della deputata Pd e membro della commissione Giustizia Assunta Tartaglione, che ha lanciato l’allarme sulla condizione di vita dei detenuti in carcere. "A Napoli - ha spiegato la deputata - come nel resto d’Italia, la condizione di vita dei detenuti ha raggiunto livelli di criticità non più tollerabili, soprattutto per coloro che presentano seri problemi di salute. Non è accettabile che un cittadino con patologie invalidanti, seppur condannato o in attesa di giudizio, non possa fruire, alla pari degli altri, di tutti gli esami e le cure a lui necessarie in tempi e modalità normali". La Tartaglione ha espresso apprezzamento nei confronti del Garante regionale dei Detenuti Adriana Tocco, che si è attivata per garantire la migliore assistenza per i casi più gravi. "Il caso del 35enne - ha ricordato Tartaglione - detenuto a Poggioreale che, gravemente malato, ha chiesto la Grazia al Presidente Napolitano, ci spinge a sollecitare con forza al Ministro della Giustizia l’introduzione urgente di pene alternative per casi di estrema gravità, perché l’affermazione del diritto alla dignità e alla salute per chi vive in carcere è un tema non più rimandabile". Sassari: Osapp; detenuto tenta il suicidio, il ministro si occupi dell’emergenza Unione Sarda, 4 dicembre 2013 Sassari, detenuto tenta il suicidio "Il ministro si occupi dell’emergenza" Il carcere di Bancali a Sassari. Gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Sassari hanno sventato un tentativo di suicidio. È il sindacato Osapp a renderlo noto, portando all’attenzione dell’opinione pubblica la vertenza che da tempo viene portata avanti contro i tagli del Governo. "Mentre il Ministro della Giustizia ed i vertici del Dap - dice il segretario generale Domenico Nicotra - pensano a sottoscrivere protocolli che consentono alla popolazione detenuta di effettuare discipline sportive quali la boxe, la scherma ed il tiro al piattello, presso il carcere di Sassari si registra l’ennesimo tentativo di suicidio di un carcerato". "Questa volta", continua Nicotra, "anche la dea bendata ha giocato il suo importante ruolo perché l’estremo gesto autolesionista era stato posto in essere quando un unico agente assicurava due sezioni contemporaneamente e pertanto sarebbe stato difficile, senza un po’ di fortuna, evitare l’ennesima tragedia". "È evidente", conclude Nicotra, "che sarebbe il caso che il Ministero della Giustizia ed il Dap si occupassero e proponessero alla classe politica idonee soluzioni alle tante, troppe criticità del mondo penitenziario." Reggio Calabria: il Csv incontra le Associazioni "giustizia riparativa" per il reinserimento www.strill.it, 4 dicembre 2013 È stato presentato questo pomeriggio presso la sede reggina del Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari di Reggio Calabria il percorso sperimentale sulla Giustizia Riparativa. Un progetto che coinvolgerà soggetti condannati ammessi dal tribunale di Sorveglianza alle misure alternative alla detenzione: affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare. Presenti il Dirigente dell’Uepe Daniela Calzelunghe, il Presidente del Csv Mario Nasone, il portavoce del Terzo Settore Luciano Squillaci, il Direttore della Casa Circondariale di Reggio Calabria Maria Carmela Longo, il coordinatrice del tavolo Penitenziario permanente Daniela De Blasio. "Siamo qui per riprendere un percorso che già ci ha visti operare in maniera molto positiva lo scorso anno - ha dichiarato il Presidente del Csv Mario Nasone - ma l’occasione è quella di tornare a confrontarci con le Associazioni della provincia reggina. È importante che sul versante carcerario il volontariato riprenda la sua funzione. Già nell’ultimo seminario di Lamezia - ha proseguito Nasone - è stata ribadita l’importanza del volontariato nell’ambito carcerario, un volontariato che ha la possibilità di dialogare con l’uomo detenuto, al fine di aiutare ogni soggetto a rinnovare i propri valori rispetto all’esperienza che sta vivendo". La giustizia ripartiva è proprio uno di quegli ambiti dove il volontariato può fare la differenza. L’obiettivo è quello di intervenire sul piano valoriale per evitare che le persone tornino in carcere, offrendo delle alternative che consentano un reinserimento proficuo nella società. Giustizia riparativa è tutto questo. "Il reato - spiega Nasone - non è altro che una frattura rispetto al patto di lealtà fatto tra il cittadino e lo stato. La prima conseguenza di questa frattura è la pena. Ma è molto importante che vi sia una riparazione, una ricucitura di questo strappo. Il soggetto in questo modo ha quindi modo di riparare al danno fatto alla società, reinserendosi a sua volta nell’ambito delle regole che la costituiscono". "Ribadisco la piena disponibilità del Forum a partecipare a questo percorso - ha dichiarato il portavoce del Forum del Terzo Settore Luciano Squillaci - noi da sempre abbiamo un’idea di sviluppo legata al concetto di comunità. All’interno di questa comunità noi facciamo rientrare a pieno titolo la struttura carceraria. Continuiamo con forza a sostenere che i processi di cambiamento territoriale non possono non passare dal cambiamento personale degli uomini e delle donne di questa terra". "Il carcere - ha detto il Direttore della Casa Circondariale di Reggio Calabria Maria Carmela Longo - deve essere un quartiere che vuole partecipare alla vita collettiva del territorio. Non un agglomerato di persone senza nome, senza storia e senza futuro, ma una risorsa. Grande è stato il contributo delle associazioni in questo percorso di crescita. Sappiamo che in questo territorio non è semplice portare avanti questi discorsi, ma credo che convenga ad ognuno di noi recuperare anche una sola delle persone che sta dentro una cella". "Le persone non possono cambiare se rimangono sempre all’interno di un contesto dove si confrontano con altri che hanno avuto il loro stesso percorso - ha dichiarato Daniela De Blasio, consigliera di parità della Provincia di Reggio Calabria e coordinatrice del tavolo Penitenziario permanente - come Provincia abbiamo istituito l’Agis, Agenzia per l’inclusione sociale, per la quale il Comune avrebbe dovuto dare una sede, ma per una sospensiva del Tar nei confronti dell’Associazione che aveva vinto il bando, si è subito un forte ritardo. Speriamo da gennaio di riuscire a sbloccare la situazione e poter aprire il centro all’interno del quale saranno forniti una serie di strumenti in termini di formazione e orientamento che possano fornire un punto di riferimento per gli ex detenuti appena usciti dal carcere". "Non è solo Reggio ad essere un territorio difficile - ha concluso la Dirigente dell’Uepe Daniela Calzelunghe - purtroppo questo è un problema nazionale. Noi dobbiamo tenere sempre presente l’articolo 3 della Costituzione, che impone alle istituzioni di rimuovere tutto ciò che ostacola la pari dignità degli esseri umani. L’uomo che è stato condannato ad una misura penale dovrebbe soffrire solo per la mancanza di libertà, non per la mancanza di futuro, per le condizioni disumane o per un trattamento sbagliato. Lo Stato dovrebbe offrire degli strumenti di inserimento, ma il soggetto interessato deve ovviamente garantire un comportamento ineccepibile. È una frontiera che noi, insieme alle associazioni, vogliamo realizzare, incentivare e sviluppare. Certamente con tutto il rigore che richiede la sua situazione". Avezzano (Aq): detenuti a scuola, 7 gli iscritti al progetto formativo eno-gastronomico www.marsicalive.it, 4 dicembre 2013 Suona la campanella nel carcere San Nicola di Avezzano: sette detenuti tornano sui banchi di scuola. Obiettivo: sfruttare l’opportunità formativa sancita da un patto di solidarietà sociale tra Comune di Avezzano, Casa circondariale, Centro territoriale di formazione permanente e Istituto professionale alberghiero di L’Aquila, per conquistare un sospirato "pezzo di carta", ovvero la qualifica di addetto alla cucina, per avere una chance di reinserimento nella società al termine della pena. Il viaggio verso l’alta cucina ha mosso i primi passi oggi, nell’aula dedicata alla didattica, dove i detenuti-studenti di eno-gastronomia hanno ricevuto gli strumenti di lavoro (cartelline, quaderni, penne, ecc.). Consegna che ha dato il là al percorso di qualificazione previsto dal protocollo d’intesa siglato tra il sindaco di Avezzano, Giovanni Di Pangrazio, il direttore della casa circondariale, Mario Silla, il dirigente scolastico-coordinatore del centro di formazione permanente per adulti, Claudia Scipioni, e il dirigente scolastico dell’Istituto professionale alberghiero, "L. da Vinci-O. Colecchi". Le lezioni saranno tenute dai docenti del Ctp e dell’alberghiero: 16 ore settimanali con esame di idoneità finale, per l’accesso all’anno successivo, a maggio del 2014. "Questa è un’opportunità concreta per rimettervi in gioco", hanno sottolineato i promotori, "e tornare sulla strada giusta: se siamo qui è perché siamo tutti profondamente convinti che la carcerazione attiva rappresenta un valido strumento di riscatto sociale. Uscire da qui dopo aver imparato un mestiere, infatti, vi dà la possibilità di scegliere altre strade". Opportunità apprezzata dai detenuti, pronti a cimentarsi sui libri e ai fornelli per conquistare quel sospirato "pezzo di carta": uno strumento utile per provare a reinserirsi nel mondo del lavoro al termine della pena. Il percorso di formazione professionale nel campo dell’eno-gastronomia, con primo step la qualifica di addetto alla cucina, prevede 16 ore di lezioni settimanali di teoria e pratica divise tra banchi e fornelli: italiano, diritto, storia, inglese, francese, matematica, scienze degli alimenti, cucina, laboratori, sala, ricevimento. L’anno scolastico si concluderà con un piccolo evento dove i detenuti daranno prova della loro arte culinaria. San Cataldo (Cl): mezzo di servizio guasto, detenuto portato in ospedale con auto agente La Sicilia, 4 dicembre 2013 Un detenuto albanese ha accusato un malore la scorsa notte nel carcere di San Cataldo (Caltanissetta), e in mancanza di mezzi di servizio gli agenti di custodia lo hanno trasportato in ospedale usando l’auto personale di uno di loro. Lo riferisce in un comunicato il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. "Il tempestivo intervento dei nostri poliziotti e la decisione di usare un’auto privata sono state due coraggiose iniziative che hanno permesso di salvare la vita al detenuto", commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. "Il ricorso all’auto privata di un Agente si è reso necessario perché l’unico mezzo di servizio in uso nel carcere di S. Cataldo è fatiscente e non si è messo in moto. Anche la richiesta di mezzi di supporto alla Polizia Penitenziaria di Caltanissetta, alla Polizia di Stato ed ai Carabinieri non ha avuto esito favorevole per indisponibilità di mezzi e quindi i poliziotti, posto come prioritario il dovere di salvare la vita al detenuto, hanno scelto di usare una loro macchina". "Sono stati professionali - aggiunge - ed hanno dimostrato nei fatti concreti come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgano quotidianamente il servizio nelle carceri siciliane e italiane con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l’esasperante sovraffollamento". Capece torna a sottolineare come "la Polizia Penitenziaria è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente. Ma non sono messi nelle condizioni di lavorare nel modo migliore, per mancanza di uomini e, come dimostra l’incredibile vicenda di S. Cataldo, persino di automezzi efficienti". Busto Arsizio: Cooperativa Sol.Co; dare un lavoro agli emarginati è un vantaggio per tutti di Marco Corso www.varesenews.it, 4 dicembre 2013 Nonostante la crisi investire nell’inserimento sociale e lavorativo di chi è in condizione di marginalità è un investimento. La cooperativa Sol.Co. che opera in questo ambito dal 1992 ne è convinta e spiega perché. Lo strumento principe del reinserimento di una persona in marginalità è solamente uno: il lavoro. Avere una occupazione permette a chi ha avuto problemi con la giustizia di provare a ricostruire un’identità, di mantenere o ritrovare la propria dignità, di non fare più la coda ai servizi per chiedere assistenza e, soprattutto, di smettere di delinquere. Portare avanti questo obiettivo, in una situazione come quella di oggi, non è certo facile. Chi si occupa quotidianamente di cercare di sviluppare percorsi di reinserimento sa quanto sia ostico dover superare quello steccato culturale che porta molte persone -spesso loro stesse in condizioni di difficoltà- ad elaborare espressioni del tipo "pensano prima a loro che a noi" oppure "se sono in carcere un motivo ci sarà". La cooperativa Sol.Co. è una realtà che lavora in questo campo dal 1992 e nell’ambito del reinserimento delle emarginazioni ha accumulato una notevole esperienza. "Ci piace pensare che ci si possa e debba salvare insieme e perciò noi intanto progettiamo, ci confrontiamo, informiamo delle cose che riusciamo a fare" spiegano gli operatori della Onlus animati "dall’ambizione di trovare soluzioni comuni per far sì che la nostra attenzione alle persone più lontane non diventi motivo di separazione ma di costruzione di legami sociali". In un momento di forte contrazione delle risorse, di condivisa e feroce crisi dunque cosa fare? "Continuare a testa bassa a progettare insistendo affinché prendano vita politiche sociali innovative capaci di essere a loro volta politiche attive di lavoro", spiegano da Sol.Co. Ogni progetto elaborato è così animato da un mantra: "L’ente pubblico può essere promotore di inserimento e di lavoro che può stringere e promuovere alleanze con il terzo settore". In questo modo è dunque possibile creare "task-force e collaborazioni dirette, trasversali, inedite per rispondere in modo condiviso all’emergenza". E proprio per questo, per favorire l’accesso "da sempre proponiamo lo snellimento dell’accesso al lavoro con l’affido diretto di alcuni lavori dell’ente pubblico alle cooperative sociali, sul cui buon funzionamento vigili il controllo". Buoni esempi in questa direzione già ci sono stati, anche a Busto. La necessità, però, è quella di aumentare sensibilmente queste opportunità e di estendere la base di accesso. Anche a Roma se ne sono accorti e così "utilizzando strumenti propedeutici all’inserimento lavorativo, quali tirocini e borse lavoro per persone in situazione di marginalità, nascono progetti come OPP.U.RE (Opportunità in rete), finanziati dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio". Questo progetto riesce ad intercettare e accogliere "il bisogno delle persone con problemi di dipendenza, monitorando l’evoluzione del bisogno anche attraverso il contributo dei dati dell’Osservatorio dell’ASL gestito dal Dipartimento Dipendenze". OPP.U.RE promuove dunque interventi di accompagnamento al lavoro, sperimentando percorsi di inserimento "attraverso l’uso del tirocinio e, dove possibile, dell’assunzione presso cooperative e aziende del territorio". La persona è sostenuta e accompagnata individualmente anche a livello "sociale" "con un taglio molto pratico rispetto alle necessità quotidiane". Ma progetti di questo tipo possono aver un buon esito solo se aiutati "dalla rete dei servizi del territorio in quelle situazioni che presentano una situazione particolarmente "recidiva" e fragile, per le quali il lavoro costituisce un ambito di inserimento che può funzionare solo se sostenuto". E per capire quanto sia importante investire in questa direzione basterebbe guardare i tassi di recidiva: un detenuto a cui è stata offerta la possibilità di lavorare durante e soprattutto dopo la sua pena ha una probabilità di tornare a delinquere più che dimezzata rispetto a chi ha scontato l’intera pena in carcere. Torino: apre "Marte", temporary store dei prodotti delle carceri piemontesi Adnkronos, 4 dicembre 2013 Si chiama Marte ed è il nuovo temporary store che, dal 6 al 24 dicembre, apre nel cuore di Torino, in via Garibaldi offrirà i prodotti delle carceri piemontesi, dai mobili da giardino di design alle eleganti borse, dalla bigiotteria all'oggettistica, dai biscotti al caffè, birra, cioccolato, una vasta scelta di articoli che raccontano storie di un mondo difficile, il carcere, appunto. L'iniziativa è il risultato del lavoro congiunto di 14 cooperative e associazioni impegnate negli istituti di pena del Piemonte per il recupero e il miglioramento della qualità di vita dei detenuti. L'emporio è nato su impulso del Provveditorato Regionale del Ministero di Giustizia, con il contributo della Compagnia di San Paolo e con il patrocino della Città di Torino. Il nuovo negozio è stato denominato "Marte, cose buone da dentro", a significare il fatto che per molti il carcere è un pianeta lontano che fa paura, abitato da un popolo oscuro, da dimenticare e punire per i suoi errori, mentre invece offrire a queste persone un obiettivo professionale e di vita significa motivarli alla legalità anche in vista dell'uscita dal carcere Reggio Emilia: Ospedale Psichiatrico Giudiziario verso la chiusura… ma solo nel 2016 La Gazzetta di Reggio, 4 dicembre 2013 Un confronto sul possibile superamento degli Opg (gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e sul futuro recupero e reinserimento dei pazienti. Questo il nodo sviluppato ieri e al circolo 4 del Pd, organizzato e coordinato da Vanna Iori, parlamentare che si è personalmente impegnata con interrogazioni e visite alle strutture, per le possibili alternative a quelle che lo stesso Napolitano definisce come luoghi di sofferenza "indegni per un paese appena civile". E delle condizioni effettive dei detenuti-pazienti reclusi si è parlato ascoltando chi vive quotidianamente queste realtà di separazione e custodia. Presente anche Mila Ferri in rappresentanza della Regione Emilia Romagna, ente "capofila nel progetto di chiusura con un decreto di investimento esecutivo previsto per la fine del 2016". Fausto Nicolini, direttore generale dell’Ausl di Reggio ha segnalato invece che la struttura progettata ha già previsto ubicazione e costi, "ma soprattutto che prevede un numero limitato di posti letto, proprio per sottolineare che la prospettiva predominante dovrà essere quella dell’inclusione sociale per un effettivo, anche se non facile, superamento della situazione attuale". Questo infatti differenzia e qualifica la prospettiva emiliana rispetto ad altre Regioni, come ad esempio la Lombardia, dove il numero elevato di strutture e posti letto previsti rischia di configurare dei nuovi "mini Opg". Asti: il Comune cerca un Garante dei detenuti, concorso scade alle 12 di venerdì 13 dicembre La Nuova Provincia, 4 dicembre 2013 Il Comune di Asti è alla ricerca di un Garante dei detenuti, o meglio "dei diritti delle persone private della libertà personale" per essere burocraticamente ineccepibili. Il garante dovrà promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali alle persone limitate nella libertà di movimento in merito ai diritti fondamentali quali casa, lavoro, formazione, cultura, assistenza alla tutela della salute, sport tenendo conto della loro condizione. Sempre il Garante dovrà promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e perseguire protocolli di intesa con le amministrazioni interessate anche attraverso visite ai luoghi di detenzione in accordo con la vigilanza penitenziaria. L’incarico è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche nei settori della giustizia, della sicurezza pubblica e della professione forense come anche con le funzioni di consigliere o assessore comunale, provinciale e regionale. Il Garante dovrà riferire al Sindaco, alla giunta, al Consiglio comunale e alle commissioni per quanto di loro competenza. Fino alle 12 di venerdì 13 dicembre sarà possibile presentare domanda al Comune di Asti secondo un modello che è possibile richiedere all’Urp. La domanda compilata dovrà essere consegnata in forma cartacea oppure inviata mediante Pec fon firma digitale all’indirizzo protocollo@cert.comune.asti.it. Sul sito web del comune www.comune.asti.it ci sono tutti gli altri dettagli per partecipare alla selezione. Alba (Cn): presentato il libro "Prigioni. Amministrare la sofferenza", di Pietro Buffa www.cuneocronaca.it, 4 dicembre 2013 Sabato 30 novembre nella sala incontri attigua alla Libreria "La Torre" di Alba Pietro Buffa, attuale provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria in Emilia Romagna e direttore del carcere "Lorusso-Cutugno" delle Vallette di Torino dal 2000 al 2012, ha presentato il suo ultimo libro "Prigioni. Amministrare la sofferenza" (Ega - Edizioni Gruppo Abele, 2013). All’incontro, coordinato da Bruno Mellano esponente della Cooperativa O.R.SO., è intervenuto anche il sindaco Maurizio Marello insieme al vice sindaco Leopoldo Foglino e all’assessore comunale per le Politiche sociali Luigi Garassino. "Mi fa piacere - ha dichiarato Maurizio Marello davanti al pubblico e ai vertici della Casa Circondariale "Giuseppe Montalto" di Alba - che in questa sala si trattino temi delicati come quello del carcere. Questo è un libro piuttosto interessante perché parte da un’esperienza concreta. Nel carcere di Alba si sta facendo un grande lavoro per la prevenzione ed il reinserimento grazie anche a numerosi volontari, all’Associazione Arcobaleno e questo con tutte le difficoltà del momento perché le risorse sono costantemente tagliate. Nel nostro piccolo, come Amministrazione abbiamo cercato di inserire momenti di riflessione in eventi di valenza turistica, come il mercatino "Vale la Pena" con i prodotti del carcere, dimostrazione che all’interno delle case di detenzione si può lavorare, si possono produrre cose importanti dando al detenuto delle chance di rieducazione. Purtroppo, il nostro è uno strano paese in cui i temi veri non riusciamo mai ad affrontarli. Viviamo un dibattito politico spesso fondato sull’ipocrisia. Il tema delle carceri è un esempio in questo. De Gasperi diceva che un politico dovrebbe guardare alle future generazioni non alle future elezioni. Quando si parla di carceri si guarda alle future elezioni. Si sa benissimo cosa si dovrebbe fare per risolvere condizioni spesso disumane ma non lo si fa per timore di perdere consenso. Questo è un fatto grave che segna il dibattito del nostro paese di una certa quantità di cinismo e di inciviltà. Perciò, ringrazio chi per professione o per volontariato cerca di dare un segno diverso fatto di attenzione verso persone che trascorrono periodi della propria vita in questi luoghi per espiare una pena ed hanno diritto ad una dignità. E noi come Amministrazione, per quello che possiamo, cerchiamo di darvi una mano". "In carcere "Amministrare la sofferenza" è un’affermazione assolutamente realistica - ha spiegato Pietro Buffa al pubblico - Quando come direttore decidi se aprire o non aprire un certo spazio, decidi far tenere una relazione con il mondo esterno o meno, tu produci o attenui una sofferenza. Da qui tutta la riflessione su come è possibile fare per gestire un luogo dove migliaia di persone possono attenuare il loro grado di sofferenza complessiva". In sintesi, così l’autore ha spiegato il libro riflessione sul sistema. La presentazione del volume di Buffa ha aperto una serie di iniziative progettuali tra dentro e fuori il carcere che saranno presentate giovedì 5 dicembre alle ore 11 nelle nuove sedi del Consorzio CIS (Compagnia di Iniziative Sociali) e della Cooperativa sociale O.R.so. in Via Santa Barbara, 5/A ad Alba. Ci sarà la mostra fotografica di Davide Dutto "pure in carcere ‘o sanno fa", la proiezione del cortometraggio del regista Davide Sordella "La squadra", la presentazione di un nuovo progetto di inserimenti lavorativi nell’ambito di detenuti ed ex-detenuti dal titolo "To make a difference". L’incontro riflessione sul tema del carcere si chiuderà con un aperitivo con i prodotti del carcere. L’iniziativa nell’ambito del progetto "Vale di più!" promosso dal CIS con il sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo è in collaborazione con l’Associazione Sapori Reclusi, il Comune di Alba, l’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, Slow Food, Libera, Cooperativa sociale O.R.so. Cagliari: Sdr; ultimo Natale a Buoncammino, prossimo anno trasferimento nel nuovo carcere Ristretti Orizzonti, 4 dicembre 2013 Fervono i lavori nel carcere di Buoncammino per festeggiare il Santo Natale, uno degli appuntamenti annuali maggiormente attesi da detenuti e Agenti di Polizia Penitenziaria. Quello di quest’anno, salvo imprevisti, sarà l’ultimo nella struttura penitenziaria che, costruita tra il 1887 e il 1897, ha ospitato nel Colle di San Lorenzo, migliaia di detenuti. "Come sempre - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme che con il segretario Gianni Massa da 5 anni assiste al rito religioso - è in fase di allestimento il presepe". La ricostruzione della grotta di Betlemme, nell’ala maschile destinata all’alta sicurezza, farà da sfondo alla celebrazione della Messa ogni anno officiata dall’arcivescovo di Cagliari con il cappellano della Casa Circondariale Padre Massimiliano Sira.Nel lungo corridoio, appesi alla rete di sicurezza tra i piani, anche gli addobbi natalizi. L’appuntamento, alle 8 del mattino del 25 dicembre - e successivamente nella sezione femminile - vede tradizionalmente presenti il Direttore, il Comandante e il Presidente dell’Ufficio di Sorveglianza, oltre ai volontari che svolgono costantemente attività all’interno della struttura. "L’appuntamento natalizio, vissuto con intensità e commozione, acquista quest’anno un particolare significato. C’è chi attende con ansia il trasferimento nel Villaggio penitenziario di Uta, ma c’è anche chi tra i detenuti esprime preoccupazione. La chiusura di Buoncammino infatti determinerà il trasferimento a Oristano-Massama o a Tempio-Nuchis dei detenuti in alta sicurezza. Una soluzione che provocherà risvolti negativi per le famiglie. Natale - conclude la presidente di Sdr - è un appuntamento carico di significati e di speranze. L’auspicio è che il 2014 porti davvero un miglioramento nelle condizioni di vita di quanti devono scontare la pena detentiva". Polonia: Viceministro Marta Dassù; tifosi laziali trattati male, in 22 sono ancora detenuti 9Colonne, 4 dicembre 2013 "Noi siamo convinti che lo sport debba essere un’occasione di avvicinamento fra i popoli e non, invece, motivo di tensione o di scontri. In questo confidiamo di poter contare sul pieno sostegno di uno Stato membro dell’Unione europea a noi così vicino per molteplici ragioni". Ha concluso così il viceministro degli Esteri Marta Dassù l’informativa sui cittadini italiani, tifosi laziali, incarcerati a Varsavia in seguito agli scontri che hanno preceduto la partita di Europa League tra il Legia e la Lazio. "Un limitato gruppo di tifosi ha usato comportamenti ostili contro le forze dell’ordine polacche - ha spiegato Dassù. Tuttavia, la maggior parte dei fermati nulla aveva a che vedere con tali atti, ma è stata comunque fermata e tradotta nei commissariati. Il nostro ambasciatore ha inoltre riferito ai suoi interlocutori - ha proseguito Dassù - le testimonianze dei fermati, che nella maggior parte dei casi sarebbero stati trattati malissimo, con pochissimo cibo e poca acqua dalle autorità competenti". In tutto, la polizia di Varsavia ha fermato 149 nostri connazionali, di cui 22 si trovano ancora trattenuti in stato di fermo, accusati di adunata sediziosa e aggressione a pubblico ufficiale, presso diversi commissariati della città. Per loro, il ministro degli Esteri Emma Bonino ha chiesto ieri al suo omologo, Radoslaw Sikorski, l’immediata scarcerazione, anche dietro cauzione. L’ambasciatore italiano in Polonia, invece, ha sollecitato una relazione al sottosegretario all’Interno polacco su quanto accaduto. "La posizione del governo italiano - ha sottolineato Dassù - è di ferma condanna per gli atti di teppismo ovunque essi siano effettuati. Al tempo stesso nutriamo l’aspettativa che un Paese amico e partner com’è la Polonia agisca a tutela dei nostri connazionali". Per completezza di informazione, il viceministro ha però riferito che il sottosegretario all’Interno polacco sostiene che l’operato della polizia sia stato "conforme alle procedure legali vigenti" e ha ribadito che "tutte le prove prodotte dalla polizia sarebbero nelle mani dei giudici e sarebbero ben più ampie dei filmati degli incidenti che sono finora circolati". Ieri sera, invece, si è svolto alla Farnesina un incontro tra una delegazione del ministero degli Esteri con rappresentanti della tifoseria laziale, "per chiarire meglio le azioni che il ministro e la Farnesina stanno mettendo in atto per ottenere la scarcerazione più rapida possibile dei nostri connazionali". "E questo - ha aggiunto Dassù - indubbiamente è il nostro obiettivo di fondo". Ministero degli Esteri polacco: detenuti trattati in conformità con la nostra legge Continua, resta aperto il caso ultras in quel di Varsavia. Tanti dettagli ancora da scoprire, troppi casi ancora incerti. Tantissime poi, sono le chiacchiere. È un ping-pong continuo Polonia-Italia, forse servirebbe trovare una soluzione radicale senza troppe chiacchiere. Da poco è uscito un comunicato stampa del Ministero degli Esteri polacco: "Il Ministro Sikorski ha assicurato che i detenuti e i teppisti condannati sono stati trattati in conformità con la legge polacca da parte delle istituzioni statali competenti. Allo stesso tempo ha promesso di aiutare a risolvere qualsiasi circostanza, nello spirito della piena gentilezza e degli ottimi rapporti tra Polonia e Italia, che apprezziamo e intendiamo sviluppare". Infine, sono arrivate anche le parole del capo della polizia, Mark Dzialoszynski: "La nostra polizia non ha avuto alcuna possibilità di eventuali negoziati, ha dovuto reagire con la forza". Polonia: Corte Strasburgo valuta caso "extraordinary rendition" in prigione segreta Cia La Presse, 4 dicembre 2013 Inizia oggi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo la valutazione del caso di due detenuti di Guantánamo che accusano la Polonia di violazione dei diritti umani in relazione alle prigioni segrete della Cia situate nel Paese. Si tratta del saudita Abd al-Rahim al-Nashiri e del palestinese Abu Zubaydah. I due affermano di essere stati vittime della pratica della Cia nota come extraordinary rendition, che consisteva nel sequestrare presunti terroristi e trasferirli clandestinamente in Paesi terzi. I due sostengono di essere stati portati a dicembre del 2002 in un carcere situato a Stare Kiejkuty, un villaggio nel nordest della Polonia, e di essere stati torturati nella struttura. Affermano di essere stati sottoposti al cosiddetto water boarding, nonché di essere stati costretti a restare per ore in posizioni scomode. Al-Nashiri e Abu Zubaydah hanno chiesto alla Corte di condannare la Polonia per abusi dei diritti garantiti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. È la prima volta che la Corte di Strasburgo valuterà il ruolo di un Paese europeo nel programma delle carceri segrete della Cia. Secondo i gruppi per i diritti umani, il carcere della Cia fu attivo in Polonia tra il dicembre 2002 e l’autunno del 2003. Vi sarebbero stati detenuti otto presunti terroristi, tra cui Khalid Sheikh Mohammed, accusato per gli attentati dell’11 settembre del 2001. L’allora presidente polacco Aleksander Kwasniewski e il primo ministro Leszek Miller smentirono l’esistenza della prigione. Tutte le carceri segrete della Cia furono chiuse entro il maggio del 2006. Al-Nashiri è stato accusato di aver organizzato l’attacco contro la Uss Cole nel 2000, un attentato avvenuto nel porto yemenita di Aden che provocò la morte di 17 marinai e il ferimento di altri 37, mentre nei confronti di Zubaydah non sono state formulate accuse. Guinea Equatoriale: italiano in carcere dopo essere stato truffato dal figlio del dittatore locale di Massimo Mazza www.giornalettismo.com, 4 dicembre 2013 Da mesi un italiano è detenuto in Guinea Equatoriale dopo essere stato truffato dal figlio del dittatore locale, la Farnesina tace. Sono parecchi ormai i cittadini e i deputati che si chiedono e chiedono al ministro degli esteri Emma Bonino, come mai l’Italia non abbia ancora fiatato contro gli evidenti abusi ai danni di un nostro cittadino da parte di una dittatura africana con appena mezzo milione d’abitanti. Roberto Berardi è ormai prigioniero da mesi, dall’inizio dell’anno, e in condizioni pietose che fanno temere per la sua salute, del carcere di Bata, dove aveva sede la sua impresa di costruzioni, la Eloba. Per riassumere in breve la sua disavventura, Berardi arriva nel paese invitato dal figlio del dittatore, Teodoro Obiang, conosciuto come "Teodorin" per distinguerlo dall’omonimo genitore. Teodorin gli fa anche l’onore di offrirsi come suo socio obbligatorio, le leggi locali impongono infatti come misura protezionistica che nel paese possano lavorare solo società partecipate dai locali. La società finisce male, Berardi scopre che Obiang preleva quel che vuole dai conti della società e che ha speso più di un milione di dollari per comprare all’asta i guanti di Michael Jackson e altri ricordi del cantante. Obiang ha uno stile di vita principesco, alimentato dalla rendita petrolifera e dalle tangenti che percepisce avido ovunque possa, Eloba e altre aziende gli servono come schermo per dissimulare tale ricchezza e per intestare le sue proprietà milionarie al riparo dai governi come quello americano o quello francese, paesi nei quali esistono leggi che incriminano chi ricicli denaro in quei paesi, spendendo cifre che non può guadagnare. E le rendite ufficiali di Teodorin non gli permetterebbero spese del genere, ma neppure le ville a Malibù e i palazzi a Parigi o la collezione di fuoriserie che ultimamente gli hanno sequestrato in mezzo mondo. Proprio da un’inchiesta americana Berardi ha scoperto che fine hanno fatto i soldi della società, ma il suo tentativo di confrontarsi con Teodorin è finito malissimo. Pestato e poi incarcerato, infine condannato a più di due anni per furto, Berardi giace da mesi in galera e ha già perso qualche decina di chili. Alle dipendenze della società lavoravano anche alcuni italiani, fortunatamente per la maggior parte in vacanza in patria al momento dello scoppio della crisi, gli altri sono scappati come potevano. Nessuno ha più rivisto i propri averi lasciati a Bata, e nemmeno gli stipendi e le spettanze dovute da Eloba, che ha semplicemente smesso di pagarli. Parenti e amici temono per la salute di Berardi e da allora hanno bussato a tutte le porte, trovandone due in particolare particolarmente chiuse: quella del Vaticano e quella della Farnesina. Sono andati a "Chi l’ha visto?", hanno sfilato per Latina, la città natale di Berardi, hanno preso contatti con i procuratori statunitensi che hanno imputato Teodorin e documentato i pagamenti da Eloba alla casa d’aste, hanno sollecitato i parlamentari, ma fino a oggi con scarsi risultati. Con la Guinea Equatoriale non abbiamo contatti ed evidentemente nessuno ha nemmeno provato a interessare il suo riferimento coloniale, quella Spagna che di recente ha omaggiato il dittatore mandando la nazionale a giocare in un paese che ha la fama di essere una delle peggiori dittature africane, e non solo perché è ricco come un emirato e gli equato-guineani al di fuori del circolo presidenziale vivono nella miseria. Interrogazione al Parlamento Europeo Al silenzio e all’immobilismo della Farnesina, che fatica anche a rispondere alle mail della famiglia, ha fatto da contraltare l’interesse emerso di recente da parte di diversi parlamentari, due settimane fa è stata presentata un’interrogazione al Parlamento Europeo e nei giorni scorsi è spuntata anche un’interrogazione parlamentare in Senato, firmata da un discreto numero di parlamentari che chiedono chiarezza e risposte sul caso al ministro e al governo: "Premesso che, per quanto risulta agli interroganti: il cittadino italiano ed imprenditore edile Roberto Berardi, di anni 48 di Latina, ha per molti anni lavorato nel continente africano senza avere mai avuto nessun tipo di problema con la giustizia locale; come si evince da una sua dichiarazione riportata dall’articolo pubblicato on line su "Giornalettismo" del 30 settembre 2013 a firma del giornalista Mazzetta, nel 2011 l’imprenditore cominciò a lavorare in Guinea equatoriale fondando una società edile, la ELOBA Costruccion, con un partner locale che deteneva il 60 per cento della società stessa: il figlio dell’attuale presidente Teodoro Nguema Obiang Mangue, anche chiamato Teodorin; il signor Berardi investì tutte le sue risorse nella società per la quale sostenne anche esborsi per affrontare i numerosi appalti che vennero affidati alla ditta, salvo rendersi conto, molto tempo dopo, di uscite di cassa della società di cui non era a conoscenza; in realtà, come appurato dai giudici americani della California in una sentenza contro Teodorin, a cui era stata confiscata a Los Angeles una villa con Ferrari e dei cimeli di Michael Jackson, questi acquisti erano stati fatti tramite la società partecipata con Berardi, e la sentenza condanna Teodorin per aver usato soldi provenienti da corruzione, appropriazione indebita, estorsione da parte o a favore di una società coinvolta anche nel riciclaggio di denaro sporco; Roberto Berardi si è ritrovato, a sua insaputa, come dichiarato nell’articolo, socio di una società che veniva usata per riciclare soldi e per soddisfare capricci personali del socio di maggioranza; nel momento in cui Berardi ha chiesto spiegazioni a Teodorin delle spese effettuate, l’imprenditore si è visto prelevare nella notte dalle forze di polizia che l’hanno portato in prigione senza consentirgli di mantenere contatti con la nazione, con la famiglia e senza poter avere l’assistenza diplomatica, legale, sanitaria che i diritti umani minimi a livello internazionale vedono riconosciuti ad ogni persona. Spiega in una lettera: "Accusato di furto, privato del passaporto, e sottoposto ad ogni genere di controllo, che peraltro non ha prodotto nessun addebito a mio carico e non ha riscontrato nessun comportamento scorretto o appropriazione indebita. Nonostante tutto, anche in assenza di accuse precise, vengo ancora detenuto, mi viene negata la possibilità di rientrare in Italia, e di rivedere i miei figli, ai quali manco da oltre un anno, privato di ogni sostegno economico, isolato dal mondo e privato di ogni contatto con l’esterno, senza poter ricevere cure mediche, e alimentazione insufficiente"; da gennaio 2013 Roberto Berardi è detenuto nel carcere della capitale della Guinea equatoriale in condizioni disumane, sottoposto a torture fisiche e psicologiche; a parere degli interroganti è sconcertante appurare che la Guinea equatoriale riservi ad un cittadino straniero un trattamento del genere, lesivo dei principali diritti umani riconosciuti a livello internazionale, come nazione facente parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite; considerato che, a quanto risulta agli interroganti: la Guinea equatoriale è uno dei Paesi africani a maggior crescita del Pil, dovuta allo sfruttamento dei suoi giacimenti petroliferi ed in piccola parte delle sue risorse minerali e naturali in genere, crescita che però non corrisponde al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione; questo Paese dal 1968 si è riscattato dal colonialismo spagnolo con la speranza di iniziare un percorso di democratizzazione dando vita alla Repubblica indipendente della Guinea equatoriale. Ad oggi, nonostante la dicitura di repubblica, ha assistito solo al susseguirsi di una dittatura familiare, cioè quella degli Nguema: l’attuale presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è il nipote di Francisco Macìas Nguema primo dittatore del Paese, dal 1972 al 1979, a cui succedette con un colpo di Stato; i dati economici, reperibili da moltissimi osservatori del settore, mostrano un’economia fortemente basata sul petrolio ed un’agricoltura poco sviluppata, dove il business economico è in mano alle famiglie che governano il Paese; lo stesso Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, a partire dal 1993, hanno tagliato i finanziamenti a progetti di sostegno dell’economia del Paese a causa della corruzione ingente e la poca trasparenza nella gestione delle risorse economiche pubbliche e private; in questo quadro economico si sono inseriti anche investitori stranieri privati, tra cui alcuni imprenditori italiani che vengono obbligati, secondo la legge locale, a formare società miste con investitori autoctoni; considerato inoltre che, a quanto risulta agli interroganti: non vi è in Guinea equatoriale alcuna rappresentanza diplomatico-consolare italiana e l’ambasciata d’Italia competente è Yaoundé, in Camerun, che ha provato, senza alcun risultato, ad allacciare comunicazioni con il Governo equatoguineano; relativamente al trattamento dei detenuti nella Guinea equatoriale, l’associazione per i diritti umani Amnesty International riferisce che la tortura è pratica diffusamente utilizzata dalla polizia locale. Inoltre, per quanto riguarda le condizioni carcerarie, sempre Amnesty international ha raccolto le seguenti informazioni: "Alcuni prigionieri sono stati di fatto trattenuti in incommunicado. Alcuni prigionieri sono stati detenuti in celle di isolamento, in catene e veniva loro concesso di uscire in cortile soltanto per circa una mezz’ora ogni due o quattro settimane"; "Nei commissariati di polizia di Malabo e Bata, le condizioni erano ai limiti della sopravvivenza, a causa del sovraffollamento e della scarsa igiene e della condizione delle fognature" e "Secondo i rapporti, una donna ritenuta essere di nazionalità nigeriana è deceduta nel commissariato di polizia di Malabo il 3 marzo, a causa del sovraffollamento e delle scarse condizioni igieniche. Era stata arrestata circa due settimane prima in seguito al presunto attacco al palazzo presidenziale. Sulla sua morte non è stata aperta alcuna inchiesta"; Si chiede di sapere: quali siano i motivi per cui ad oggi il Governo non è ancora in grado di dare notizie ai familiari relativamente alla vicenda che vede coinvolto il signor Roberto Berardi; quali vie diplomatiche siano state percorse e con quali esiti, considerato che un cittadino italiano in questo momento è vittima di trattamenti disumani e degradanti che violano la sua dignità, l’integrità fisica e psichica nonché la sua libertà e sicurezza; se il Governo non ritenga di dovere comunque attivare tutte le procedure utili per agevolare il rapido trasferimento nelle carceri italiane del nostro connazionale e comunque per far sì che gli venga assicurata l’assistenza per un giusto processo; se non ritenga opportuno attivarsi presso le competenti sedi europee al fine di chiedere un intervento sulla vicenda, che interessa un cittadino europeo in una situazione di palese violazione dei diritti umani, reclamando delucidazioni al Governo della Guinea equatoriale." Resta da sperare in un soprassalto del governo, anche se il comportamento tenuto nel caso Sahalabayeva, della quale aveva promesso il rientro dopo la sua deportazione illegale in Kazakistan, e in altri casi recenti che hanno visto coinvolta il ministro Bonino, fa temere che ancora una volta il ministro tenterà di liquidare la faccenda con qualche buona parola e nulla più, il silenzio della Farnesina in questi mesi ha reso evidente che la questione sia di poco interesse per la nostra diplomazia e che la sorte di Berardi sia appesa più all’energia dei suoi cari che al possibile intervento di un governo che si è già dimostrato attento a non disturbare i dittatori seduti su ricchi giacimenti d’idrocarburi. Stati Uniti: la Louisiana privatizza i servizi di detenzione carceraria e reinserimento sociale Tm News, 4 dicembre 2013 Harry è in prigione da quattro anni ma non a carico della Louisiana. Per risolvere il problema del tasso di carcerati più alto degli Stati Uniti e mantenere bassi i costi, il "Pelican State" si è rivolto a contractor privati per fare scontare la pena a detenuti di scarsa pericolosità. Ma non mancano le polemiche, soprattutto per quanto riguarda i programmi di reinserimento. Harry oggi è detenuto nel Pine Prairie Correctional Center. Ma è stato anche in altri carceri privati. Che non rimpiange. "Non c’era molto da fare. Ti davano da mangiare nelle celle, non dovevamo andare in refettorio. E al momento della conta dovevano svegliarti da un sonno di piombo per metterti a sedere". Al Pine Prairie Harry lavora e sta studiando per ottenere un diploma. Ma esiste anche l’altro fronte della barricata. La guardia penitenziaria Terry Hines ha lavorato sia nel settore pubblico che in quello privato. Secondo la sua esperienza i prigionieri nelle strutture non statali sono trattati allo stesso modo ma con importanti vantaggi per i cittadini che pagano le tasse. "Il costo giornaliero per detenuto è più basso e tutti gli istituti che hanno ottenuto contratti federali possono dimostrare di fornire lo stesso servizio a costi ridotti". Per tenere bassi i costi, il budget per ogni detenuto è ridotto come i salari del personale. Per fare tornare i conti, le celle sono sempre piene. Alcune aziende private hanno contratti che garantiscono che i loro istituti lavoreranno a quote pari o superiori all’80% della capacità. Una promessa facile da mantenere. Da quanto è iniziata la pratica dei carceri privati, il tasso di detenzione della Louisiana è raddoppiato. Il Pine Prairie Correctional Center ha lavoro garantito per molti anni a venire. Iran: condannati a morte 3 sunniti per propaganda religiosa in quanto "mohareb" Aki, 4 dicembre 2013 Tre giovani attivisti sunniti della regione Kurdistan iraniano, Keywan Mohmeni-fard, Farzad Honarju e Shahu Ebrahimi, sono stati condannati a morte. Lo riferisce il sito Herana, spiegando che i tre sono stati riconosciuti colpevoli dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran di "aver attentato alla sicurezza nazionale, facendo propaganda religiosa e aver collaborato con gruppi fondamentalisti salafiti". I tre giovani sono stati arrestati nella primavera del 2010 e sono reclusi nel carcere di Rajai-sahar, vicino alla città di Karaj. Secondo quanto sostiene il loro legale, Abdolhazim Sabeti, il trentenne Mohmeni-fard ha trascorso 18 mesi in cella di isolamento nel carcere di Sanandaj, subendo torture fisiche e psicologiche, mentre Honarju, religioso e predicatore 22enne, ha trascorso diversi mesi nel carcere di Marivan, nella regione Kurdistan, per poi essere stato trasferito nel carcere di Evin a Teheran e successivamente in quello di Rajai-shahr, vicino a Karaj. Ebrahimi è uno studente 28enne di informatica, il quale ha trascorso 17 mesi in cella di isolamento nel carcere di Zanjan, prima di essere trasferito a Rajai-shahr. Per i giudici, tutti tre collaboravano con formazioni armate clandestine sunnite affiliate ai movimenti salafiti. Gli imputati si sono sempre proclamati innocenti e hanno chiesto l’intervento della comunità internazionale. Secondo Herana, sono circa 150 gli attivisti sunniti reclusi per reati politici nelle carceri iraniane. Negli ultimi anni, una decina di attivisti sunniti ha subito l’impiccagione per "attentato alla sicurezza nazionale" in quanto mohareb ovvero nemici di Allah e dell’Islam. Secondo i dati ufficiali, circa l’88% della popolazione iraniana è sciita e circa l’8% è sunnita. Cuba: detenuto americano in carcere da 4 anni chiede aiuto al presidente Obama www.america24.com, 4 dicembre 2013 Arrestato 4 anni fa, lavorava per l’Usaid, l’agenzia federale americana che si occupa degli aiuti ai civili all’estero. Un detenuto americano a Cuba chiede aiuto al presidente Barack Obama. Alan Gross è un ex contractor statunitense in carcere da quattro anni, che ha fatto arrivare, tramite la missione statunitense a Cuba, una lettera a Obama, proprio nel giorno del quarto anniversario del suo arresto, per chiedergli di intervenire per la sua liberazione. Una copia della lettera è stata ottenuta dal Washington Post. Gross, 64 anni, è stato arrestato all’Havana mentre distribuiva mezzi di comunicazione alle associazioni ebraiche presenti nella capitale cubana, per conto della Us Agency for International Development (Usaid), l’agenzia federale che si occupa di sostegno ai civili all’estero. Accusato di crimini contro lo Stato cubano, è stato condannato a 15 anni di carcere. Nella lettera, l’uomo racconta che la madre e la figlia si sono ammalate di cancro e che la moglie è stata costretta a vendere la loro casa in Maryland. "La mia carriera e i miei affari sono stati distrutti" ha scritto Gross, aggiungendo poi che il governo attuale e i precedenti "hanno compiuto passi straordinari per ottenere il rilascio di altri cittadini americani all’estero". Per lui, però, Obama non ha mandato un inviato speciale per cercare di negoziarne il rilascio. Il Washington Post, poi, ha raccontato che il disappunto dell’uomo è condiviso da un crescente numero di membri del Congresso, secondo cui Gross è l’ultima vittima della Guerra Fredda e della mancanza di relazioni tra Stati Uniti e Cuba. In una lettera spedita a Obama lo scorso mese, un gruppo bipartisan di 66 senatori ha definito il caso di Gross "un problema di estrema urgenza", chiedendo al presidente di "agire velocemente per compiere qualsiasi passo sia nell’interesse nazionale per ottenerne il rilascio". Una settimana prima, un altro gruppo di 14 membri del Congresso, guidato dai senatori di origini cubane Robert Menendez e Marco Rubio, ha scritto una lettera a Obama per invitarlo a chiedere "l’immediato e incondizionato rilascio di Gross". Stati Uniti: l’artista Ai Weiwei, da prigioni Cina ad Alcatraz per mostra su perdita libertà di Alessandra Baldini Ansa, 4 dicembre 2013 Uno dei più famosi prigionieri politici della storia recente farà una mostra nella più celebre prigione del passato usando le sue celle come ispirazione per una serie di nuove installazioni. La joint venture vede protagonisti l’artista cinese Ai Weiwei e Alcatraz. Con il beneplacito del Dipartimento di Stato, la mostra, che ancora non ha un titolo, aprirà i battenti in settembre. È la prima volta che il leggendario penitenziario nella Baia di San Francisco, teatro di film iconici come "Fuga da Alcatraz" con Clint Eastwood, aprirà le sue porte d’acciaio a un grande artista contemporaneo, ha annunciato il National Park Service. Ai, che non ha mai visitato la "Roccia", ha detto al New York Times da Pechino, di essere interessato ad esplorare le condizioni in cui individui venivano privati di diritti umani fondamentali: "L’idea della perdita della libertà come punizione solleva importanti interrogativi filosofici". L’artista, che nel 2011 fu imprigionato per 81 giorni per accuse di evasione fiscale dopo aver a sua volta contestato al governo cinese la morte di migliaia di scolari in classi fatiscenti durante il terremoto del 2008 a Sichuan, ha detto di aver ancora molti amici in prigione: "L’idea che persone che si battono per la libertà abbiano perso la loro libertà è più che un paradosso". L’artista dei "Semi di Girasole" della Tate Modern continua ad essere soggetto a limitazioni ai viaggi: "Sono tre anni che il mio passaporto è nelle mani della polizia", ha detto al New York Times: "Ho perso la mia capacità di spostarmi all’estero". Ad Alcatraz Ai lavorerà con Cheryl Haines, una gallerista di San Francisco e la fondatrice della fondazione no profit For-Site. "La ‘Roccià è un sito perfetto per consentirgli di esplorare temi al centro dei diritti umani come la libertà di espressione e la sua importanza nella costruzione di una cultura", ha spiegato. Secondo la Haines la mostra stabilirà paralleli "tra forme di imprigionamento e governi che usano restrizioni nella comunicazione per controllare i popoli". Alcatraz fu usata come penitenziario di massima sicurezza dal 1934. La mostra utilizzerà alcuni dei suoi spazi principali e una lavanderia adiacente dove detenuti come Al Capone a suo tempo furono messi al lavoro. Il carcere fu chiuso nel 1963 per i suoi costi di gestione troppo elevati: era necessario trasportare sull’isola ogni bene necessario (cibo, vestiti, acqua potabile ecc.) e i politici Usa arrivarono a sostenere che sarebbe costato meno mantenere ogni detenuto nell’hotel più lussuoso di New York piuttosto che mantenerlo ad Alcatraz. Francia: detenuti girano video rap con telefonino, amministrazione apre inchiesta Ansa, 4 dicembre 2013 Detenuti travestiti o incappucciati che ballano in libertà a ritmo di rap: è polemica in Francia su due video girati col telefonino da alcuni detenuti del carcere di Montmedy, nel nord-est del Paese. Uno dei due clip, postato su internet il 21 novembre, dal titolo "Harlem shake Gangster d-ter chez les matons", mostra una decina di detenuti mascherati o con il viso coperto che improvvisano nei corridoi della prigione un ballo sullo sfondo di musica elettronica agitando sedie e bastoni. L’altro video, intitolato "Un Gangster d-ter chez les matons", pubblicato sulla rete il 16 novembre e della durata di poco più di un minuto, mostra un detenuto con il passamontagna mentre fuma una sigaretta, forse uno spinello, vestito con l’uniforme di una delle guardie carcerarie. Davanti alla telecamera gioca a fare il sorvegliante mentre gli altri detenuti passeggiano liberamente nei corridoi e una voce off (probabilmente delle persona che sta girando il video) dice: "Se tutte le guardie carcerarie fossero come te si starebbe troppo bene in prigione". Gli autori dei clip si presentano come appartenenti al collettivo "Gangster d-ter" che aveva già fatto parlare di sé in passato per un video in cui uno dei detenuti si mostrava in possesso di armi nel carcere di Lannemezan, nel sud. La direzione della prigione di Montmedy, che ospita 320 detenuti e 75 sorveglianti, "è stata subito informata" dall’accaduto e ha annunciato di avere avviato un’inchiesta amministrativa tra guardie e detenuti. L’Ufap-Unsa, il maggiore movimento sindacale penitenziario, denuncia una "forma di lassismo" dell’amministrazione.