Giustizia: su amnistia e indulto Napolitano non arretra, domani convegno al Senato di Andrea Colombo Il Manifesto, 3 dicembre 2013 Giorgio Napolitano è deciso a rimettere in campo con massima forza il tema del sovraffollamento carcerario ed è tutt'altro che rassegnato a subire la procedura europea che scatterà inevitabilmente il 28 maggio, termine indicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per riparare a una condizione della patrie galere che per l'Europa è, senza mezzi termini, una forma di tortura. Ufficialmente il capo dello Stato non ha più affrontato lo spinosissimo tema dopo il suo messaggio alle camere, lasciato cadere nel vuoto dalle forze politiche. Ma non si è arreso. Nell'incontro con la delegazione di Forza Italia della settimana scorsa ha messo la questione tra le principali scadenze dell'agenda politica per i prossimi mesi. Domani presenzierà, al Senato, al convegno sul tema "La clemenza necessaria. Amnistia, indulto e riforma della giustizia", organizzato dalla commissione Diritti umani di palazzo Madama e dalla delegazione italiana presso l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa presieduta da Sandro Gozi, presentatore della proposta d'amnistia alla camera. Con quella di Luigi Manconi, presidente della commissione del senato, sarà proprio la relazione di Gozi ad aprire il convegno. All'incontro ci saranno i presidenti delle camere e la ministra della Giustizia, notoriamente favorevole all'amnistia. Gli inviti informano solo che Napolitano "sarà presente". In realtà nei giorni scorsi il capo dello stato si è fatto inviare copia degli interventi: segno che sta considerando molto seriamente la possibilità di non limitarsi a presenziare ma di prendere la parola per rilanciare in pompa magna la proposta di un intervento capace decongestionare le prigioni. Non potrebbe che trattarsi di una misura di amnistia e indulto. Accompagnata, a differenza che nel 2006, da una riforma del sistema carcerario che impedirebbe all'amnistia di offrire solo un momentaneo sollievo. Del resto, anche in queste settimane di silenzio e apparente distrazione le voci dal Colle non hanno mai mancato di segnalare che il presidente, sia per ragioni etiche sia perché convinto di dover evitare la procedura d'infrazione, resta convinto della necessità di affrontare una volta per tutte il nodo delle carceri. Se dopo il messaggio a vuoto ha taciuto, è stato probabilmente perché riteneva necessario che si concludesse prima la saga della decadenza di Berlusconi. Fino a quel momento, nominare l'amnistia avrebbe comportato un fuoco di sbarramento incrociato insuperabile. Ora invece Napolitano può contare su un fronte di tutto rispetto, composto dal governo, dal centrodestra (purché naturalmente fosse lasciata aperta almeno la possibilità di inserire la situazione del condannato Silvio fra quelle amnistiabili), da Sel e, soprattutto, da una parte del Pd. Nonostante il pronunciamento negativo del futuro segretario Matteo Renzi, una parte dei democratici è decisa, una volta incamerata la decadenza del Cavaliere, a cogliere l'occasione per sottrarsi al ricatto giustizialista a cui soggiace da ormai un ventennio. C'è infine un ulteriore motivo che potrebbe spingere il Colle a premere per l'amnistia. L'ipotesi di una simile misura (purché riguardasse anche Berlusconi), coniugata con un rinvio sino a gennaio e oltre della sentenza della Consulta sulla legge elettorale, rappresenterebbe una difesa invincibile contro l'ipotesi di giorno in giorno più temuta che Renzi, dopo l'8 dicembre, colga la prima occasione disponibile per porre fine alla legislatura. La sfida dell'amnistia resta tra le più difficili, anche se per la prima volta non impossibile. Per vincerla ci vorrebbe il coraggio di non inchinarsi agli umori forcaioli di un'opinione pubblica drogata da anni e anni di propaganda giustizialista. Il coraggio non è precisamente la dote più diffusa tra i politici italiani. Giustizia: se il giustizialista Grillo dà la parola all'abolizionista Christie di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 3 dicembre 2013 Nils Christie è un criminologo norvegese. È un teorizzatore dell'abolizionismo penale, della costruzione sociale del crimine, della rinuncia al carcere quale pena. È stato sorprendentemente invitato a parlare al Vaffa Day genovese di domenica scorsa. E lo ha fatto. Avrà convinto il mondo dei 5 Stelle a comportamenti legislativi meno panpenalisti? Che cosa avrà mai pensato della sconfessione da parte di Beppe Grillo dei suoi parlamentari che avevano votato per la abrogazione del reato di immigrazione clandestina? Lui che ha scritto libri sul business penitenziario globale avrà letto il piano di edilizia carceraria presentato dai parlamentari del M5S in alternativa alla clemenza e alla abrogazione delle leggi classiste sulla recidiva, sulla immigrazione e sulle droghe? Ho conosciuto Nils Christie tanti anni fa in occasione delle primavere della giustizia organizzate a Lecce dal prof. Pietro Fumarola. Insieme a Francesca Paci lo intervistammo per questo giornale - e precisamente per l'inserto Fuoriluogo - nel lontano 2000. Ecco alcuni stralci della intervista, depurati dalle domande: "Il vero problema non è la droga, ma il modo scellerato in cui si pensa di combatterla. Ci sono molte cose pessime al mondo, cose che io personalmente disapprovo, ma la questione è se esse costituiscano dei reati oppure no: è un problema di definizione. Noi dobbiamo decidere cosa è criminale e cosa non lo è. Cosa assomiglia al criminale: il cattivo, l'incomprensibile, l'involontario? Niente di tutto questo lo è necessariamente, c'è una grande libertà nelle definizioni. La maggior parte dei comportamenti che consideriamo criminali hanno a che vedere con dei conflitti, ma i conflitti possono anche essere mediati. Dobbiamo lavorare su vie alternative al sistema delle pene, dobbiamo occuparci di riconciliazione e di compensazione delle vittime. Rispondere a un disagio con la punizione significa legittimare un sistema di paure a partire dalla paura di chi punisce. Le politiche proibizioniste favoriscono l'aumento esponenziale dei detenuti in tutta Europa. Non dobbiamo però dimenticare che si tratta di un problema importato dagli Stati Uniti, e ciò è assolutamente e indissolubilmente legato al proibizionismo. Ho intervistato molte persone detenute, e una parte di esse non aveva mai fatto uso di droghe prima di entrare in prigione. Poi ci sono quelli che finiscono dentro per consumo personale o piccolo spaccio. Il problema non è quindi la droga, ma il modo scellerato con cui si è deciso di combatterla. Dobbiamo dichiarare guerra al modo in cui gli Usa hanno deciso di dichiarare guerra alla droga. Negli Usa la maggior parte della popolazione detenuta è nera o comunque molto povera. Nelle carceri finiscono le minoranze. Penso che per voi italiani sia molto importante resistere al cattivo esempio che arriva da nazioni più grandi come l'America e la Russia. Quanti detenuti avete in Italia? 54 mila? Quante guardie? 44 mila? E allora non abbiate paura dei troppi poliziotti; ognuno potrebbe portarsi a casa un detenuto, e avreste risolto il problema delle carceri!". Oggi i detenuti sono quasi 65 mila. Nei prossimi giorni si dovranno prendere provvedimenti in ambito penale e penitenziario per evitare la scure delle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti umani. Cosa proporrà il Movimento 5 Stelle? Giustizia: carceri e amnistia, ora tocca al Governo... cosa si aspetta? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 3 dicembre 2013 Dopo il messaggio di Napolitano, le prese di posizione di Cancellieri, la sentenza della Corte Costituzionale, tocca ora al Governo: cosa si aspetta? 8 ottobre 2013. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invia alle Camere un formale messaggio, avvalendosi delle prerogative previste dalla Costituzione. È il primo messaggio al Parlamento da che è presidente. Riguarda la questione delle carceri e della giustizia. Un messaggio articolato, che il presidente ha ponderato e soppesato parola per parola. Un messaggio che pochi, a giudicare dai discorsi che si sentono fare e dalle cose che accade di leggere, conoscono nella sua integrità, e hanno colto nella sua importanza. E allora, teniamoci, come si dice, al testo: Onorevoli Parlamentari, nel corso del mandato conferitomi con l'elezione a Presidente il 10 maggio 2006 e conclusosi con la rielezione il 20 aprile 2013, ho colto numerose occasioni per rivolgermi direttamente al Parlamento al fine di richiamarne l'attenzione su questioni generali relative allo stato del paese e delle istituzioni repubblicane, al profilo storico e ideale della nazione. Ricordo, soprattutto, i discorsi dinanzi alle Camere riunite per il 60° anniversario della Costituzione e per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. E potrei citare anche altre occasioni, meno solenni, in cui mi sono rivolto al Parlamento. Non l'ho fatto, però, ricorrendo alla forma del messaggio di cui la Costituzione attribuisce la facoltà al Presidente. E ciò si spiega con la considerazione, già da tempo presente in dottrina, della non felice esperienza di formali "messaggi" inviati al Parlamento dal Presidente della Repubblica senza che ad essi seguissero, testimoniandone l'efficacia, dibattiti e iniziative, anche legislative, di adeguato e incisivo impegno. Se mi sono risolto a ricorrere ora alla facoltà di cui al secondo comma dell'articolo 87 della Carta, è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza. Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo. Quest'ultima, con la sentenza - approvata l'8 gennaio 2013 secondo la procedura della sentenza pilota - (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l'Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica "proibizione della tortura", pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati. La Corte ha affermato, in particolare, che "la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone" e che "la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione". Per quanto riguarda i rimedi al "carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario" in Italia, la Corte ha richiamato la raccomandazione del Consiglio d'Europa "a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria". In ordine all'applicazione della Convenzione, la Corte ha rammentato che, in materia di condizioni detentive, i rimedi preventivi e quelli di natura compensativa devono considerarsi complementari e vanno quindi apprestati congiuntamente. Fermo restando che la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti. La stessa decisione adottata, con voto unanime, dalla Corte di Strasburgo ha fissato il termine di un anno perché l'Italia si conformi alla sentenza ed ha stabilito di sospendere, in pendenza di detto termine, le procedure relative alle "diverse centinaia di ricorsi proposti contro l'Italia"; ricorsi che, in assenza di effettiva, sostanziale modifica della situazione carceraria, appaiono destinati a sicuro accoglimento stante la natura di sentenza pilota. Il termine annuale decorre dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva, ossia dal giorno 28 maggio 2013, in cui è stata respinta l'istanza di rinvio alla Grande Chambre della Corte, presentata dall'Italia al fine di ottenere un riesame della sentenza. Pertanto, il termine concesso dalla Corte allo Stato italiano verrà a scadere il 28 maggio del 2014. Vale la pena di ricordare che la sentenza del gennaio scorso segue la pronunzia con cui quattro anni fa la stessa Corte europea aveva già giudicato le condizioni carcerarie del nostro Paese incompatibili con l'art. 3 della Convenzione (Sulejmanovic contro Italia, 16 luglio 2009), ma non aveva ritenuto di fissare un termine per l'introduzione di idonei rimedi interni. Anche perciò ho dovuto mettere in evidenza - all'atto della pronuncia della recente sentenza "Torreggiani" - come la decisione rappresenti "una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena e nello stesso tempo una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose". L'art. 46 della Convenzione europea stabilisce, invero, che gli Stati aderenti "si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti". Tale impegno, secondo l'interpretazione costante della Corte costituzionale (a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007), rientra nell'ambito dell'art. 117 della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato "nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". In particolare, la Corte costituzionale ha, recentemente, stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". La cessazione degli effetti lesivi si ha, innanzitutto, con il porre termine alla lesione del diritto e, soltanto in via sussidiaria, con la riparazione delle conseguenze della violazione già verificatasi. Da qui deriva il dovere urgente di fare cessare il sovraffollamento carcerario rilevato dalla Corte di Strasburgo, più ancora che di procedere a un ricorso interno idoneo ad offrire un ristoro per le condizioni di sovraffollamento già patite dal detenuto. Questo ultimo rimedio, analogo a quello che la legge 24 marzo 2001 n.89 ha introdotto per la riparazione nei casi di violazione del diritto alla durata ragionevole del processo, lascerebbe sussistere i casi di violazione dell'art. 3 della Convenzione, limitandosi a riconoscere all'interessato una equa soddisfazione pecuniaria, inidonea a tutelare il diritto umano del detenuto oltre che irragionevolmente dispendiosa per le finanze pubbliche. Da una diversa prospettiva, la gravità del problema è stata da ultimo denunciata dalla Corte dei Conti, pronunciatasi - in sede di controllo sulla gestione del Ministero della Giustizia nell'anno 2012 - sugli esiti dell'indagine condotta su "l'assistenza e la rieducazione dei detenuti". Essa ha evidenziato che il sovraffollamento carcerario - unitamente alla scarsità delle risorse disponibili - incide in modo assai negativo sulla possibilità di assicurare effettivi percorsi individualizzati volti al reinserimento sociale dei detenuti. Viene così ad essere frustrato il principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, stante l'abisso che separa una parte - peraltro di intollerabile ampiezza - della realtà carceraria di oggi dai principi dettati dall'art. 27 della Costituzione. Il richiamo ai principi posti dall'art. 27 e dall'art. 117 della nostra Carta fondamentale qualifica come costituzionale il dovere di tutti i poteri dello Stato di far cessare la situazione di sovraffollamento carcerario entro il termine posto dalla Corte europea, imponendo interventi che riconducano comunque al rispetto della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti umani. La violazione di tale dovere comporta tra l'altro ingenti spese derivanti dalle condanne dello Stato italiano al pagamento degli equi indennizzi previsti dall'art. 41 della Convenzione: condanne che saranno prevedibilmente numerose, in relazione al rilevante numero di ricorsi ora sospesi ed a quelli che potranno essere proposti a Strasburgo. Ma l'Italia viene, soprattutto, a porsi in una condizione che ho già definito umiliante sul piano internazionale per le tantissime violazioni di quel divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti che la Convenzione europea colloca accanto allo stesso diritto alla vita. E tale violazione dei diritti umani va ad aggiungersi, nella sua estrema gravità, a quelle, anche esse numerose, concernenti la durata non ragionevole dei processi. Ma l'inerzia di fronte al dovere derivante dalla citata sentenza pilota della Corte di Strasburgo potrebbe avere altri effetti negativi oltre quelli già indicati. Proprio in ragione dei citati profili di costituzionalità, alcuni Tribunali di sorveglianza hanno, recentemente, sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 147 del codice penale (norma che stabilisce i casi di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena), per la parte in cui non prevede che si possa ordinare il differimento della pena carceraria anche nel caso di un prevedibile svolgimento della pena (in relazione alla situazione del singolo istituto penitenziario) in condizioni contrarie al senso di umanità. Il possibile accoglimento della questione da parte della Corte costituzionale avrebbe consistenti effetti sulla esecuzione delle condanne definitive a pene detentive. Sottopongo dunque all'attenzione del Parlamento l'inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall'ordinamento su cui si fonda quell'integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini. Ma si deve aggiungere che la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale. Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell'insensibilità e nell'indifferenza, convivendo - senza impegnarsi e riuscire a modificarla - con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari. Il principio che ho poc'anzi qualificato come "dovere costituzionale", non può che trarre forza da una drammatica motivazione umana e morale ispirata anche a fondamentali principi cristiani. Com'è noto, ho già evidenziato in più occasioni la intollerabilità della situazione di sovraffollamento carcerario degli istituti penitenziari. Nel 2011, in occasione di un convegno tenutosi in Senato, avevo sottolineato che la realtà carceraria rappresenta "un'emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria". Orbene, dagli ultimi dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia - aggiornati al 30 settembre 2013 - risulta che il numero di persone detenute è pari a 64.758, mentre la "capienza regolamentare" è di 47.615. Secondo i dati statistici relativi alla percentuale dei detenuti sul totale della popolazione dei diversi Paesi, pubblicati dal Consiglio d'Europa, nell'anno 2011 in Italia vi erano 110,7 detenuti ogni 100.000 abitanti. Nel confronto con gli altri Paesi europei tale dato è sostanzialmente pari a quello della Grecia e Francia (rispettivamente, 110,3 e 111,3) e viene superato da Inghilterra e Spagna (entrambe oltre quota 150). Peraltro, l'Italia - nello stesso anno 2011 - si posizionava, tra i Paesi dell'Unione Europea, ai livelli più alti nell'indice percentuale tra detenuti presenti e posti disponibili negli istituti penitenziari (ossia l'indice del "sovraffollamento carcerario"), con una percentuale pari al 147%. Solo la Grecia ci superava con il 151,7%. Per il 2012 non sono ancora disponibili i dati del Consiglio d'Europa; da una ricerca di un'organizzazione indipendente (International Center For Prison Studies), risulta comunque confermato l'intollerabile livello di congestione del sistema carcerario italiano che, nonostante una riduzione percentuale rispetto all'anno precedente, ha guadagnato il - non encomiabile - primato del sovraffollamento tra gli Stati dell'Unione Europea, con la percentuale del 140,1%, mentre la Grecia ci seguiva con un indice pari al 136,5%. E vengo ai rimedi prospettati o già in atto. Per risolvere la questione del sovraffollamento, si possono ipotizzare diverse strade, da percorrere congiuntamente. A) Ridurre il numero complessivo dei detenuti, attraverso innovazioni di carattere strutturale quali: 1) l'introduzione di meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare direttamente la "messa alla prova" come pena principale. In tal modo il condannato eviterà l'ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un percorso di reinserimento; 2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma "non carcerarie". Anche su questo profilo incide il disegno di legge ora citato, che intende introdurre la pena - irrogabile direttamente dal giudice con la sentenza di condanna - della "reclusione presso il domicilio"; 3) la riduzione dell'area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito, dai dati del DAP risulta che, sul totale dei detenuti, quelli "in attesa di primo giudizio" sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch'essi circa il 19%; il restante 62% sono "definitivi" cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella condivisibile ottica di ridurre l'ambito applicativo della custodia carceraria è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n. 78 del 2013, che ha modificato l'articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l'applicazione della custodia in carcere; 4) l'accrescimento dello sforzo diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena inflitta in Italia nei loro Paesi di origine. In base ai dati del DAP, la percentuale dei cittadini stranieri sul totale dei detenuti è circa il 35%. Il Ministro Cancellieri, parlando recentemente alla Camera dei Deputati, ha concordato sulla necessità di promuovere e attuare specifici accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri (l'Italia ha aderito alla Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate e ha già stipulato nove accordi bilaterali in tal senso). Ella ha tuttavia dato notizia degli scarsi (purtroppo) risultati concreti conseguiti sinora. Nel corso del 2012 solo 131 detenuti stranieri sono stati trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei mesi del 2013 il numero è di 82 trasferimenti). Ciò, secondo il Ministro, dipende, in via principale, dalla complessità delle procedure di omologazione delle condanne emesse in Italia da parte delle autorità straniere. Il Ministro si è impegnato per rivedere il contenuto degli accordi al fine di rendere più rapidi e agevoli i trasferimenti e per stipulare nuove convenzioni con i Paesi (principalmente dell'area del Maghreb) da cui proviene la maggior parte dei detenuti stranieri. Tra i fattori di criticità del meccanismo di trasferimento dei detenuti stranieri, va annoverata anche la difficoltà, sul piano giuridico, di disporre tale misura nei confronti degli stranieri non ancora condannati in via definitiva, che rappresentano circa il 45% del totale dei detenuti stranieri; 5) l'attenuazione degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l'ammissione dei condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria; in tal senso un primo passo è stato compiuto a seguito dell'approvazione della citata legge n. 94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all'istituto della liberazione anticipata. Esse consentono di detrarre dalla pena da espiare i periodi di "buona condotta" riferibili al tempo trascorso in "custodia cautelare", aumentando così le possibilità di accesso ai benefici penitenziari; 6) infine, una incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore. B) Aumentare la capienza complessiva degli istituti penitenziari. In tale ottica è recentemente intervenuto il già richiamato (e convertito in legge) decreto-legge n. 78 del 2013, che ha inteso dare un nuovo impulso al "Piano Carceri" (i cui interventi si dovrebbero concludere, prevedibilmente, entro la fine del 2015). Il Ministro della Giustizia, Cancellieri, ha dichiarato, intervenendo alla Camera, che "entro il mese di maggio 2014 saranno disponibili altri 4 mila nuovi posti detentivi mentre al completamento del Piano Carceri i nuovi posti saranno circa 10 mila". In una successiva dichiarazione, il Ministro, nel confermare che al completamento del Piano Carceri la capienza complessiva aumenterà di 10.000 unità, ha precisato che "entro la fine del corrente anno saranno disponibili 2.500 nuovi posti detentivi" e che "è in progetto il recupero di edifici oggi destinati ad ospedale psichiatrico giudiziario e la riapertura di spazi detentivi nell'isola di Pianosa". Ma, in conclusione, l'incremento ipotizzato della ricettività carceraria - certamente apprezzabile - appare, in relazione alla "tempistica" prevista per l'incremento complessivo, insufficiente rispetto all'obbiettivo di ottemperare tempestivamente e in modo completo alla sentenza della Corte di Strasburgo. Tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell'immediato (il termine fissato dalla sentenza "Torreggiani" scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a "rimedi straordinari". C) Considerare l'esigenza di rimedi straordinari La prima misura su cui intendo richiamare l'attenzione del Parlamento è l'indulto, che - non incidendo sul reato, ma comportando solo l'estinzione di una parte della pena detentiva - può applicarsi ad un ambito esteso di fattispecie penali (fatta eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). Ritengo necessario che - onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l'indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006 - il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all'effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia. Rilevo che dal 1953 al 1990 sono intervenuti tredici provvedimenti con i quali è stata concessa l'amnistia (sola o unitamente all'indulto). In media, dunque, per quasi quaranta anni sono state varate amnistie con cadenza inferiore a tre anni. Dopo l'ultimo provvedimento di amnistia (d.P.R. n. 75 del 1990) - risalente a ventitré anni fa - è stata, approvata dal Parlamento soltanto una legge di clemenza, relativa al solo indulto (legge n. 241 del 2006). Le ragioni dell'assenza di provvedimenti di amnistia dopo il 1990 e l'intervento, ben sedici anni dopo tale data, del solo indulto di cui alla legge n. 241 del 2006, sono da individuare, oltre che nella modifica costituzionale che ha previsto per le leggi di clemenza un quorum rafforzato (maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera), anche in una "ostilità agli atti di clemenza" diffusasi nell'opinione pubblica; ostilità cui si sono aggiunti, anche in anni recenti, numerosi provvedimenti che hanno penalizzato - o sanzionato con maggior rigore - condotte la cui reale offensività è stata invece posta in dubbio da parte della dottrina penalistica (o per le quali è stata posta in dubbio l'efficacia della minaccia di una sanzione penale). Ritengo che ora, di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all'imperativo - morale e giuridico - di assicurare un "civile stato di governo della realtà carceraria", sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all'adozione di atti di clemenza generale. Per quanto riguarda l'ambito applicativo dell'amnistia, ferma restando la necessità di evitare che essa incida su reati di rilevante gravità e allarme sociale (basti pensare ai reati di violenza contro le donne), non ritengo che il Presidente della Repubblica debba - o possa - indicare i limiti di pena massimi o le singole fattispecie escluse. La "perimetrazione" della legge di clemenza rientra infatti tra le esclusive competenze del Parlamento e di chi eventualmente prenderà l'iniziativa di una proposta di legge in materia. L'opportunità di adottare congiuntamente amnistia e indulto (come storicamente è sempre avvenuto sino alla legge n. 241 del 2006, di sola concessione dell'indulto) deriva dalle diverse caratteristiche dei due strumenti di clemenza. L'indulto, a differenza dell'amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell'imputato e, se del caso, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (e quindi - al contrario dell'amnistia che estingue il reato - non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta). L'effetto combinato dei due provvedimenti (un indulto di sufficiente ampiezza, ad esempio pari a tre anni di reclusione, e una amnistia avente ad oggetto fattispecie di non rilevante gravità) potrebbe conseguire rapidamente i seguenti risultati positivi: a) l'indulto avrebbe l'immediato effetto di ridurre considerevolmente la popolazione carceraria. Dai dati del DAP risulta che al 30 giugno 2013 circa 24.000 condannati in via definitiva si trovavano ad espiare una pena detentiva residua non superiore a tre anni; essi quindi per la maggior parte sarebbero scarcerati a seguito di indulto, riportando il numero dei detenuti verso la capienza regolamentare; b) l'amnistia consentirebbe di definire immediatamente numerosi procedimenti per fatti "bagatellari" (destinati di frequente alla prescrizione se non in primo grado, nei gradi successivi del giudizio), permettendo ai giudici di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva. Ciò avrebbe l'effetto - oltre che di accelerare in via generale i tempi della giustizia - di ridurre il periodo sofferto in custodia cautelare prima dell'intervento della sentenza definitiva (o comunque prima di una pronuncia di condanna, ancorché non irrevocabile). c) inoltre, un provvedimento generale di clemenza - con il conseguente rilevante decremento del carico di lavoro degli uffici - potrebbe sicuramente facilitare l'attuazione della riforma della geografia giudiziaria, recentemente divenuta operativa. La rilevante riduzione complessiva del numero dei detenuti (sia di quelli in espiazione di una condanna definitiva che di quelli in custodia cautelare), derivante dai provvedimenti di amnistia e di indulto, consentirebbe di ottenere il risultato di adempiere tempestivamente alle prescrizioni della Corte europea, e insieme, soprattutto, di rispettare i principi costituzionali in tema di esecuzione della pena. Appare, infatti, indispensabile avviare una decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti, offrendo loro reali opportunità di recupero. La rieducazione dei condannati - cui deve, per espressa previsione costituzionale, tendere l'esecuzione della pena - necessita di alcune precondizioni (quali la non lontananza tra il luogo di espiazione e la residenza dei familiari; la distinzione tra persone in attesa di giudizio e condannati; la adeguata tutela del diritto alla salute; dignitose condizioni di detenzione; differenziazione dei modelli di intervento) che possono realizzarsi solo se si eliminerà il sovraffollamento carcerario. A ciò dovrebbe accompagnarsi l'impegno del Parlamento e del Governo a perseguire vere e proprie riforme strutturali - oltre le innovazioni urgenti già indicate sotto la lettera A) di questo messaggio - al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del "sovraffollamento carcerario". Il che mette in luce la connessione profonda tra il considerare e affrontare tale fenomeno e il mettere mano a un'opera, da lungo tempo matura e attesa, di rinnovamento dell'Amministrazione della giustizia. La connessione più evidente è quella tra irragionevole lunghezza dei tempi dei processi ed effetti di congestione e ingovernabilità delle carceri. Ma anche rimedi qui prima indicati, come "un'incisiva depenalizzazione", rimandano a una riflessione d'insieme sulle riforme di cui ha bisogno la giustizia: e per giungere a individuare e proporre formalmente obbiettivi di questa natura, potrebbe essere concretamente di stimolo il capitolo V della relazione finale presentata il 12 aprile 2013 dal Gruppo di lavoro da me istituito il 31 marzo che affiancò ai temi delle riforme istituzionali quelli, appunto, dell'Amministrazione della giustizia. Auspico che il presente messaggio possa valere anche a richiamare l'attenzione sugli orientamenti di quel Gruppo di lavoro, condivisi da esponenti di diverse forze politiche. Onorevoli parlamentari, confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l'Italia ha l'obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia. Dunque, come si può ben vedere, il presidente Napolitano indica una road map sulla giustizia, articolata in sei punti. Sei punti, tuttavia, che richiederanno risorse e tempo; "Tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea". Dunque? È lo stesso presidente, a rispondere: "La prima misura su cui intendo richiamare l'attenzione del Parlamento è l'indulto, che - non incidendo sul reato, ma comportando solo l'estinzione di una parte della pena detentiva - può applicarsi ad un ambito esteso di fattispecie penali (fatta eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). Ritengo necessario che - onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l'indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006 - il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all'effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia…". Dopo l'autorevolissima presa di posizione del Presidente della Repubblica, occorre ricordare le più volte ribadite affermazioni del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri: che in più di un'occasione, ufficialmente, si è pronunciata per l'amnistia, definita un obbligo e un imperativo categorico. Una posizione condivisa anche dal ministro della Difesa Mario Mauro; ed evidentemente ça va sans dire, dal ministro degli Esteri Emma Bonino. Posizioni che nell'ambito dell'esecutivo nessuno ha contestato o ritenute inopportune e/o sbagliate. Ora si aggiunge l'importante, e tuttavia taciuta, della Corte Costituzionale: che invoca strumenti eccezionali per ridurre il sovraffollamento carcerario e per evitare all'Italia la vergogna, annunciata di una sentenza esemplare a maggio del 2014, se non verranno ottemperate le prescrizioni della sentenza europea della Cedu (corte europea dei diritti dell'uomo) sul caso Torreggiani. La Corte Costituzionale ha salvato provvisoriamente l'articolo 147 del codice penale da una censura di costituzionalità, richiesta dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano nella parte in cui non prevede tra le misure di sospensione facoltative dell'esecuzione della pena il fattore dello svolgimento della stessa in maniera contraria al senso di umanità. Ma vale senz'altro la pena di leggere quanto scritto dal giudice costituzionale Giorgio Lattanzi, che ha materialmente redatto la sentenza. Sentenza, sia detto per inciso, cui si è dato pochissimo rilievo, limitandosi a raccontare che i ricorsi non erano stati accolti. Ecco quello che si legge: "…Fermo rimanendo che non spetta a questa Corte individuare gli indirizzi di politica criminale idonei a superare il problema strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario, non ci si può esimere dal ricordare le indicazioni offerte al riguardo dalla citata sentenza Torreggiani, laddove richiama le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che invitano al più ampio ricorso possibile alle misure alternative alla detenzione e al riorientamento della politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, oltre che a una forte riduzione della custodia cautelare in carcere. È da considerare però che un intervento combinato sui sistemi penale, processuale e dell'ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l'attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare". Detto questo, arriviamo al cuore della sentenza: "…il sovraffollamento però non può essere contrastato con lo strumento indicato dai rimettenti, che, se pure potesse riuscire a determinare una sensibile diminuzione del numero delle persone recluse in carcere, giungerebbe a questo risultato in modo casuale, determinando disparità di trattamento tra i detenuti, i quali si vedrebbero o no differire l'esecuzione della pena in mancanza di un criterio idoneo a selezionare chi debba ottenere il rinvio dell'esecuzione fino al raggiungimento del numero dei reclusi compatibile con lo stato delle strutture carcerarie". Non solo. La Corte infatti rivolge un monito estremo, e avverte che se si continuerà a fare finta di nulla una prossima istanza di costituzionalità rispetto all'articolo 147 del codice penale potrebbe sortire esiti ben diversi: "…Nel dichiarare l'inammissibilità questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia". Tutto molto chiaro, cristallino. A questo punto, la parola spetta a Governo, Parlamento, forze politiche. La questione è ineludibile, e non si consentirà, evidentemente, che si continui a fare finta di nulla. Giustizia: l'incubo della Cancellieri "celle con letti a 6 piani? avrei paura di cadere" di Franz Baraggino Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2013 "Ci sono celle con letti a castello che hanno addirittura cinque o sei piani. Io vivrei nell'ansia di cadere di sotto". Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri durante un convegno dell'Università di Bergamo sul sistema penitenziario in Italia. Il Guardasigilli ha ricordato l'impegno del governo per rispondere alla situazione carceraria, oggetto di una procedura di infrazione europea che grava sul nostro Paese. "I percorsi sono tre: la riforma del carcere preventivo, quella dell'organizzazione interna e le misure alternative per stranieri e tossicodipendenti", ha spiegato la Cancellieri, che non ha voluto rilasciare dichiarazioni sul caso di Federico Perna, il detenuto tossicodipendente deceduto a Poggioreale, malato da tempo e mai ricoverato. La madre del ragazzo, in polemica con il ministro per la vicenda Ligresti, ha pubblicamente chiesto il suo numero di telefono. "C'è un'indagine in corso, aspettiamo di capire", si è limitata a dire il Guardasigilli. Sul tema del sovraffollamento, poi, la Cancellieri ha annunciato che sono già stati appaltati lavori per 12mila nuovi posti che saranno pronti a inizio 2015. Infine, rispondendo a una studentessa, ha auspicato che provvedimenti come amnistia e indulto vengano presi presto in considerazione. "Ci deve pensare il Parlamento. Ma io me lo auguro, perché per la prima volta sarebbero accompagnati da riforme che cambieranno l'intero impianto giuridico e penitenziario". Giustizia: le nuove proposte del Ministro Cancellieri per la concessione dell'amnistia di Raffaele Bozzi news.supermoney.eu, 3 dicembre 2013 Le nuove misure proposte dal Ministro Cancellieri per risolvere il grave problema delle carceri in Italia assurgono come modello le Regole penitenziarie in europea nella loro composizione di cui alla Raccomandazione n. 2 del 2006. Una vera strage, infatti, altro che incidenti o calamità naturali, quella delle carceri italiani. Secondo il dossier: "Morire di carcere: dossier 2000-2013" nel solo anno 2013 sono avvenute 142 morti delle quali 46 suicidi e dal 2000 ad oggi 2.229 decessi dei quali 798 suicidi, un numero impressionante. Secondo L'Espresso, infatti, in Italia i detenuti che si suicidano sono nove volte di più rispetto al resto della popolazione europea: l'ultimo nel carcere di Capodimonte a Benevento il 24 novembre 2013, il ventottenne Mario Lacca è stato trovato impiccato alla finestra della cella con una coperta legata al collo. I Radicali rinvigoriscono la loro lotta per ottenere dal governo l' amnistia nel 2013, dopo infatti l'accorato appello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha pronunciato per la prima volta le parole indulto e amnistia nel 2013, il tema sembrava essere stato abbandonato ma è proprio di questi giorni la notizia che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri sta mettendo appunto una serie di provvedimenti amministrativi studiati da un'apposita commissione per i detenuti classificati come richiedenti misure di media o bassa sicurezza. E già aleggia nell'aria la parola amnistia 2013 come possibile provvedimento successivo che rappresenti una soluzione immediata al problema urgente per ripartire con una migliore condizione di vita dei detenuti attraverso l'applicazione dei dispositivi amministrativi che qui di seguito elenchiamo: aumento del numero di ore d'aria per i detenuti fino a raggiungere le otto ore, maggiori possibilità di contatti con le famiglie ampliando le ore di incontro con i familiari di primo grado, possibilità di praticare anche attività sportive e musicali, ma soprattutto la creazione di nuovi posti letto con la creazione di 4.500 posti entro maggio 2014. Giustizia: ministro Cancellieri; l'Europa sulle carceri ci ha costretti a trovare risposte Ansa, 3 dicembre 2013 "Quello delle carceri è un tema importantissimo: la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sanzionato e dato un termine all'Italia per il prossimo 28 maggio, richiamando l'attenzione sulle carenze del sistema, carenze che venivano richiamate da anni". Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, intervenendo oggi all'Università di Bergamo a un convegno sulle carceri. "In questo modo - ha aggiunto il Guardasigilli - abbiamo preso coscienza che dobbiamo dare risposte perché ora siamo costretti e non c'è più tempo. L'Europa ci ha richiamati ai nostri doveri, in realtà già contenuti nella nostra Costituzione ma mai applicati. Si deve ora dare davvero l'opportunità di uscire migliori dal carcere, una volta pagato il proprio debito con la società". "Negli ultimi 30 anni, invece, ci siamo allontanati da questi principi, un po' anche per il terrorismo. Questo nostro Paese, che è quello della civiltà, ha perso un po' il controllo: la realtà ci è sfuggita di mano. Ora - ha concluso il ministro - abbiamo l'opportunità di dimostrare che siamo un grande Paese civile. E il giudizio duro dell'Europa va oltre il sovraffollamento, che è forse il problema più visibile". Entro 2015 avremo 12 mila posti in più "Abbiamo già appaltato lavori che porteranno a 4.500 posti in più nelle carceri entro la scadenza europea del 28 maggio e a 12 mila entro il 2015": è quanto ha detto il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri nel corso di un convegno a Bergamo. Si tratta di "una bella risposta - ha proseguito il ministro, anche se il ragionamento da fare è un altro: tutti devono stare in carcere? Oppure si deve ripensare il sistema, prevedendo magari prima i domiciliari e poi il carcere, e non il contrario come accade ora?" Il ministro Cancellieri si è soffermata quindi sul tema del sovraffollamento: "Abbiamo 47 mila posti ma non tutti sono usati - ha spiegato -, perché tra interventi di restauro e quant'altro siamo a circa 42 mila. E la popolazione è di 69 mila unità. Il problema è che abbiamo delle carceri vecchie, con poca luce e riscaldamento malfunzionante. È un po' allo stesso tempo l'inferno e il paradiso: abbiamo carceri modello come Bollate e altre realtà con 5 o 6 piani di letto a castello. Purtroppo alcune carceri richiedono grossi interventi - ha sottolineato il ministro della Giustizia Cancellieri. È comunque partita una rivoluzione culturale: ci vorrà tempo, ma è partita bene. L'Europa per la prima volta ha capito che abbiamo iniziato a fare bene, ma gli sforzi riguardano tutti. Si impone al Paese un grosso cambiamento culturale: vanno vinte delle paure, come quella della delinquenza, per guardare le cose come sono, senza buonismo ed esagerazioni, ma in modo laico e con serenità". Il Guardasigilli ha poi risposto ad alcune domande dei ragazzi, tra cui una sul regime di carcere duro: "Sul 41 bis non siamo ancora pronti, come Paese, ad abbassare la guardia, pur garantendo il rispetto dei diritti". Stranieri finiscano pena in loro Paese È ora opportuno immaginare delle norme che prevedano, soprattutto verso la fine della pena, la restituzione al loro Paese d'origine perché completino là il percorso". Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, oggi a Bergamo. "Oggi - ha spiegato il ministro Cancellieri - sono tre le categorie dei carcerati: il 25% sono detenuti in custodia cautelare, innocenti fino alla condanna, ma comunque in carcere. In tal senso il Parlamento si è già mosso per dare una risposta in tal senso. Poi ci sono i tossicodipendenti, spesso con un'espiazione della pena lunghissima e che devono necessariamente essere seguiti. Infine gli stranieri, una buona fetta dei nostri carcerati: è ora opportuno immaginare delle norme che prevedano, soprattutto verso la fine della pena, la restituzione al loro Paese d'origine perché completino là il percorso". Pene alternative per alcuni reati Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, oggi a Bergamo per un convegno sul tema delle carceri e della giustizia, ha evidenziato che "si andranno a toccare comunque le entrate nelle carceri, che andranno a diminuire. Per alcuni tipi di reati si pensino pene alternative: chi sporca i muri, per esempio, li deve pulire e fare così lavori utili. È inutile che vada in carcere, che rischia di trasformarsi in una scuola negativa, dalla quale si esce provati". "Ci sono luci e ombre in questo mondo - ha aggiunto il ministro -. Il vero problema da affrontare è un mutamento culturale: il tema delle carceri va affrontato da persone civili, non da chi pensa di chiudere la cella e buttare la chiave. Anche in America stanno cominciando a chiedersi se una politica giustizialista porti davvero a dei risultati. Dal carcere si deve uscire davvero migliorati e non peggiorati". Giustizia: Unione Camere Penali su chiusura Opg "vigileremo su attuazione legge" Agi, 3 dicembre 2013 L'Unione Camere penali, attraverso il suo Osservatorio carcere, "vigilerà con la massima attenzione affinché i progetti attuativi della legge 9 non si risolvano in percorsi di istituzionalizzazione ed ospedalizzazione delle misure di sicurezza ma realizzino appieno i principi giuridici sanciti dalla legge dello Stato. Principi che trovano il loro fondamento nella legge 180 e negli esiti di quelle prassi e nel pieno rispetto della dignità dell'uomo". L'Ucpi, attraverso i rilievi dell'Osservatorio, interviene sulla questione della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, il cui termine è stato fissato al primo aprile 2014. termine entro il quale il ministero della Salute e il ministero della Giustizia dovevano comunicare alle competenti commissioni lo stato di attuazione dei programmi regionali era quello del 30 novembre 2013. "La maggior parte delle regioni in questi mesi", si rileva, "ha perso il filo logico del dettato normativo". Ricordando che al momento sono "in corso le attività necessarie e programmatorie che portano con sé ritardi e contraddizioni", i penalisti sottolineano come "a ridosso di un termine importantissimo sia necessario vigilare sull'invio alle competenti commissioni parlamentari dei programmi regionali di attuazione del superamento degli Opg ed auspicare una corretta lettura del dettato normativo di cui alla legge 9, come modificata dalla legge 57 del 2013, cui detti programmi dovrebbero ispirarsi". "Purtroppo i segnali che arrivano - sottolinea l'Unione - danno conto di un'interpretazione fuorviante e di principi di deistituzionalizzazione, per lo più disattesi, in ragione di logiche funzionali a politiche di contenimento di paure collettive reali o presunte". "La legge 9 - aggiungono i penalisti - in vigore ormai dal febbraio 2012, impone la dimissione di chi non ha più pericolosità sociale: solo 400 internati sono stati dimessi in questi 2 anni, evidentemente pochi. È di tutta evidenza, inoltre, che a fronte di un dettato normativo che prevede dimissioni immediate e percorsi alternativi non appaia necessaria la creazione di tanti posti letto quanti sono i numeri attuali. Il dato preoccupante è che il numero dei posti letto programmati dalle Regioni (1.022) coincide pericolosamente con il numero attuale degli internati. La programmazione deve essere finalizzata alla applicazione delle nuove norme che, inutile ribadirlo, favoriscono misure di sicurezza alternative con percorsi di cura territoriali e di inclusione sociale e la dimissione di chi da troppi anni è internato in assenza dei presupposti di legge e che in palese violazione di principi costituzionali continua ad essere trattenuto". Giustizia: Cassazione; firme insufficienti per i sei Referendum proposti dai Radicali Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2013 È ufficiale: i sei quesiti sulla giustizia depositati a fine settembre dai radicali e sostenuti dal Pdl non verranno mai sottoposti al giudizio degli elettori italiani. L'ufficio referendum della Cassazione ha ufficialmente "bocciato" l'ultima iniziativa di Marco Pannella e dei compagni del movimento radicale: nessuno dei quesiti ha raggiunto il quorum delle 500mila firme valide (il quesito che ha ottenuto più firme è quello sulla responsabilità civile che comunque si ferma a 421.117). È l'esito delle riunione di ieri mattina dell'ufficio del referendum della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale. "Verificheremo assieme al Comitato promotore dei referendum i motivi per cui numerosissime firme siano state ritenute non valide e se ciò sia dovuto a irregolarità formali dipendenti dall'attività di enti istituzionali" ha commentato Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione camere penali (tra i promotori). "Ciò che va ribadito - sottolinea - è che i temi referendari non possono sfuggire all'agenda politica". Quando giovedì scorso la bocciatura era stata annunciata (ma non ancora ufficializzata) Marco Pannella aveva preannunciato che i radicali faranno ricorso: non sono ancora state esaminate le firme che sono arrivate con plichi postali dopo la scadenza del 30 settembre, circostanza che fa dire ai radicali che i conteggi non sono ancora conclusi. Toscana: dalla Regione 400.000 euro per acquistare nuovi materassi ai detenuti www.toscanaoggi.it, 3 dicembre 2013 Come aveva già fatto nel 2010, la Regione Toscana finanzia di nuovo l'acquisto di materassi, cuscini e kit per l'igiene personale e orale dei detenuti degli istituti penitenziari toscani, a completamento delle dotazioni fornite dall'Amministrazione penitenziaria. Lo ha deliberato stamani la giunta, con uno stanziamento di 400.000 euro: 200.000 per il 2014 e altrettanti per il 2015. "Come Regione siamo fortemente impegnati nel garantire la tutela della salute dei detenuti - dice l'assessore al diritto alla salute Luigi Marroni - Per questo negli anni abbiamo messo in campo tante iniziative. Ora, anche se la fornitura di materassi e kit per l'igiene personale non rientra tra le nostre competenze, abbiamo deciso di farcene nuovamente carico. Lo facciamo in accordo con l'Amministrazione penitenziaria, che si è impegnata a concorrere alla spesa sostenuta con i fondi disponibili al momento, e a sostenere l'intera spesa non appena avrà la disponibilità economica necessaria". La fornitura regionale consente di sopperire alle carenze igienico sanitarie derivanti dall'usura di materassi e cuscini, e dalla scarsità dei materiali di consumo per l'igiene personale a disposizione dei detenuti, contribuendo a prevenire e/o a contenere la diffusione di malattie infettive e le infestazioni parassitarie. Il grave sovraffollamento e le carenze strutturali che affliggono la maggioranza delle carceri toscane hanno contribuito a determinare il deterioramento di una parte dei materassi, cuscini e altri oggetti forniti con il precedente intervento della Regione, nel 2010, con la conseguente necessità di rinnovare i capi logorati. L'igiene dei materassi e quella personale sono elementi essenziali per la tutela della salute e della dignità dei detenuti. Napoli: la mamma di Federico Perna incontra i vertici del Dap... "dove eravate?" Ansa, 3 dicembre 2013 Ha incontrato il capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, la mamma di Federico Perna, il ragazzo morto nel carcere di Poggioreale in circostanze da chiarire. Un incontro nel corso del quale, come ha riferito uno dei legali della famiglia Perna, Fabrizio Cannizzo, non sono mancate le accuse da parte di Nobila Scafuro: "Dove stavate quando Federico stava male e chiedeva aiuto?". Ma è stato anche un incontro nel quale è stato assicurato dal Dap "l'impegno in merito ad una indagine interna che sarà condotta con la massima severità e celerità". "La mamma di Federico ha incontrato il capo del Dap, Giovanni Tamburino che ha espresso alla famiglia Perna la massima vicinanza - riferisce il legale Cannizzo - Tamburino ha anche manifestato il massimo impegno dell'amministrazione nell'indagine e ha sottolineato che all'interno dell'amministrazione c'è una ricerca spasmodica della verità". Nobila Scafuro ha ripercorso le tappe della vicenda di Federico, i suoi gravissimi problemi di salute che, secondo quanto accertato da medici in diversi rapporti, da tempo avevano determinato una incompatibilità con il regime detentivo. E poi un'altra denuncia della famiglia che pesa, le percosse che, secondo quanto riferito dalla mamma, Federico avrebbe subito durante i suoi anni di carcere. Intanto i legali dei Perna - Fabrizio Cannizzo e Camillo Autieri - si dicono "indignati per quelle interrogazioni parlamentari che descrivono Federico come una persona che aveva rifiutato di farsi curare". "Federico doveva essere ospedalizzato, lo hanno riempito di psicofarmaci - dice Cannizzo - e hanno anche il coraggio di dire che aveva rifiutato le cure". Indagine ministero, dossier voluminoso È un fascicolo voluminoso quello acquisito dagli uffici ispettivi del ministero della Giustizia sul caso di Federico Perna, il detenuto a Poggioreale morto in carcere in condizioni da chiarire, su cui il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha disposto un'indagine amministrativa partita oggi. Gli organi ispettivi hanno appena iniziato a visionare la documentazione raccolta, che riguarda la storia clinica del detenuto nei diversi istituti in cui è stato e la ricostruzione delle procedure interne seguite, per verificare eventuali irregolarità. Il fascicolo dovrà essere completato anche con ulteriore documentazione, da acquisire a Roma. Nel dossier non entrano invece le foto scattate dopo l'autopsia, che sono nella disponibilità della Procura, per gli accertamenti che sta conducendo sulla morte del giovane. Sapere come e per quali cause Federico Perna è morto, è ovviamente un aspetto centrale anche ai fini dell'indagine amministrativa, che per questo potrà avere uno vero sviluppo solo dopo che saranno resi noti i risultati dell'autopsia. Quindi, anche se ad un primo esame non sembrerebbero emergere - a quanto si apprende - irregolarità, ci vorrà tempo per conoscere le conclusioni dell'indagine disposta dal ministero e per accertare eventuali responsabilità. A Poggioreale Perna - che era affetto da epatite C e pesava oltre 100 chili - aveva il sostegno di un "piantone", ossia una figura di sostegno, un detenuto lavorante a cui viene affidato l'incarico di aiutare un compagno in difficoltà. Soddisfatta dopo incontro al Dap "Sono soddisfatta dell'incontro di stamane con il capo del Dap, Giovanni Tamburino, ci ho parlato e ho visto che aveva le lacrime agli occhi, era molto commosso dalla vicenda di mio figlio". Così Nobila Scufaro, madre di Federico Perna, il detenuto 34enne morto all'interno del carcere di Poggioreale (Napoli) l'8 novembre scorso in circostanze da chiarire. La donna, insieme ai due legali che l'assistono, Fabrizio Cannizzo e Camillo Autieri, ha incontrato in mattinata i vertici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, a Roma. "Tamburino mi ha ascoltato e mi ha detto che sta andando a Napoli proprio per fare chiarezza accuratamente su questa faccenda", ha riferito la donna al termine dell'incontro. "Per il momento siamo rimasti così: che Tamburino andrà a Napoli per verificare i fatti e poi ci farà sapere l'esito", ha concluso. Nelle foto di Federico, ecchimosi diffuse sul volto Il volto arrossato, ecchimosi sulla fronte, sulle guance, sul mento. Le due foto di Federico Perna, il detenuto morto nel carcere di Poggioreale l'8 novembre scorso, sono state scattate dopo l'autopsia e le immagini cruente sembrano destinate, come quelle di Stefano Cucchi, a diventare il simbolo di una vicenda sulla quale sono state aperte due inchieste, da parte della procura di Napoli e del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Nella prima foto il corpo di Perna è adagiato sul tavolo dell'istituto di medicina legale, nella seconda il cadavere è stato rivestito. Perna, che avrebbe terminato di espiare la sua pena nel 2018, soffriva di gravi patologie al fegato ed era in attesa di trapianto. Il pm di Napoli Luigi Musto e il procuratore aggiunto Giovanni Melillo sono in attesa dell'esito dell'autopsia, eseguita il 12 ottobre dal medico legale Pasquale Giordano. La madre di Perna, Nobila Scafuro, denuncia presunti maltrattamenti di cui il giovane sarebbe stato vittima in carcere secondo quanto gli avrebbe riferito lo stesso Federico. Secondo il referto del medico della Asl che visitò il detenuto, le condizioni di quest'ultimo erano incompatibili con il regime carcerario: Perna andava pertanto, secondo il medico, ricoverato in una struttura ospedaliera. Al momento l'ipotesi di reato formulata dagli inquirenti nel fascicolo, in cui ancora non risultano persone indagate, è di omicidio colposo. Sappe: maggiore prudenza, operiamo con professionalità e umanità "Suggerirei maggiore prudenza quando si parla delle cause che hanno portato alla morte di una persona detenuta in carcere, come drammaticamente accaduto a Federico Perna morto nel padiglione Avellino del carcere di Napoli Poggioreale lo scorso 8 novembre. Invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari. Ancora una volta sembra purtroppo che alcuni detenuti diventino importanti solamente da morti… Capisco e comprendo il dolore dei familiari ma non è con comparsate in tv senza contradditorio che si trova la verità. Perna era un detenuto certamente malato, che se avessimo una classe politica più sensibile alle questioni penitenziarie, forse neppure doveva stare in carcere. Era anche un detenuto che lo scorso luglio diede fuoco alla cella, mandando all'ospedale per intossicazione due detenuti e due poliziotti penitenziari. Questi sono dati oggettivi. Certo è che la morte di un detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento. È utile ricordare che negli ultimi 20 anni la Polizia Penitenziaria ha sventato, in carcere, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Il primo Sindacato dei Baschi Azzurri torna a sottolineare che "la Polizia Penitenziaria, a Napoli Poggioreale e negli oltre 200 penitenziari italiani, è formata da persone che nonostante l'insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d'identità e d'orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti". Napoli: la triste storia di Federico Perna, il "morto vagante" nelle carceri fuorilegge Agenzia Radicale, 3 dicembre 2013 Muore, Federico, in una cella di undici metri quadrati. Lui era l'undicesimo ‘inquilino'. C'è la tossicodipendenza, ci sono piccoli reati, c'è la cattiva salute. Ci sono le foto di un corpo martoriato, sanguinante, livido. E ci sono le ombre di un altro Federico, di uno Stefano, di un Giuseppe. Ecco a voi l'ennesimo decesso nelle patrie galere - il 139esimo dall'inizio dell'anno -, l'ultima vittima dello Stato. Federico Perna era un 34enne della provincia di Latina, detenuto nel carcere di Poggioreale dove era arrivato circa due anni fa, dopo una lunga via crucis che lo aveva visto rinchiuso nelle prigioni di Velletri, Cassino, Viterbo, Secondigliano, Benevento. Nove anni in tutto, quelli da scontare per diverse condanne; tre, quelli già passati a rimbalzare da un istituto all'altro: "Il carcere al momento non è compatibile con lo stato di salute del detenuto ed è peggiorativo della sua salute; tale situazione necessita di approfondimento clinico-diagnostico in ambiente ospedaliero" diceva un referto di due anni fa. "Si ribadisce l'inadeguatezza all'allocazione in una sezione detentiva comune", ribadisce un altro referto tempo dopo: sì, perché Federico era malato di cirrosi epatica e di epatite C cronica, aveva problemi di coagulazione del sangue e disturbi psichici. Così, per ‘alleviarè i sintomi, gli venivano somministrati psicofarmaci e tranquillanti, in dosi massicce. Nonostante il parere dei medici, però, i magistrati non lo ritengono incompatibile con il carcere, e la non vita di Federico va avanti nel suo metro quadro, in una struttura simbolo dello stato di degrado degli istituti di pena nostrani, fino all'8 novembre. Quel giorno, dopo "una settimana che sputava sangue" e dopo l'ennesima richiesta di essere ricoverato, alla fine, Perna è morto come si è ormai tristemente abituati a sentire: in circostanze ancora da chiarire. I risultati dell'autopsia, eseguita il 14 novembre, non sono ancora disponibili. "Mi hanno detto che era morto nell'infermeria del carcere - spiega la mamma di Federico, Nobila Scafuro - poi in ambulanza, poi nel reparto ospedaliero del Federico II di Napoli. Ho telefonato alla direzione del carcere, vivendo a 300 chilometri di distanza, non mi sono stati neanche a sentire. Io mi sono dovuta andare a cercare il morto vagante". E ora è ciò che è ‘doveroso', che vaga, da un'istituzione all'altra: l'Amministrazione Penitenziaria ha avviato un'indagine ispettiva; l'inchiesta giudiziaria è in svolgimento; un deputato del Movimento 5 Stelle, Salvatore Micillo, ha presentato un'interrogazione parlamentare; la ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha disposto l'apertura di una "rigorosa indagine amministrativa interna" sulla vicenda. Si corre ai ripari, ora, mentre gli occhi guardano ancora una volta le immagini indecenti di un uomo macellato, di un figlio la cui madre decide si esporre la morte perché non sia possibile nascondere la verità. Una verità fine a se stessa, verrebbe da pensare: che serve, infatti, denunciare abusi, negligenza, violenza, abbandono? Le leggi liberticide rimarranno lì, così come le strutture fatiscenti e le celle sovraffollate; i torturatori continueranno a torturare, e il sistema penale a perdonare. Roma: morto per polmonite non curata, l'autopsia mette sotto accusa i medici di Rebibbia di Lorenzo De Cicco Il Messaggero, 3 dicembre 2013 C'è un buco temporale nel diario clinico di Danilo Orlandi, il detenuto di 31 anni morto il 1 giugno scorso nella sua cella dopo essere stato arrestato a gennaio per resistenza a pubblico ufficiale. Il ragazzo, con alle spalle problemi di tossicodipendenza, aveva avuto una condanna di sei mesi e sarebbe dovuto uscire di carcere dì lì a pochi giorni. Invece alle 5.25 del 1 giugno è stato dichiarato deceduto e dal portone di Rebibbia è uscito in una bara, direzione Obitorio comunale di Roma. La famiglia del giovane non ha mai creduto alla prima versione fornita dalle autorità carcerarie, ovvero che Danilo fosse morto per un infarto. Anche perché la madre del ragazzo, Maria Brito, aveva visitato il figlio proprio poche ore prima del decesso, trovandolo "pallido, febbricitante e gravemente debilitato". E dopo la morte del giovane non si è arresa. Da qui è nata un'inchiesta che è recentemente passata dalle mani magistrato di turno all'epoca dei fatti, il pm Michele Nardi, al pool delle colpe professionali, coordinato dall'aggiunto Leonardo Frisani, e al sostituto Mario Ardigò. I pm hanno ordinato un'autopsia al professor Costantino Ciallella dell'Università La Sapienza. L'esame medico pochi giorni fa è stato consegnato alla famiglia Orlandi e mette nero su bianco che la morte del ragazzo è avvenuta per colpa di una "polmonite bilaterale massiva", cioè grave, non diagnosticata. Nessun infarto accidentale, quindi. Ecco allora gli interrogativi su cui la magistratura dovrà fare luce: perché il ragazzo non è stato curato con farmaci adeguati? La relazione del professor Ciallella riporta le medicine che erano state somministrate a Danilo: si parla sempre di "Fans" ovvero di prodotti anti-infiammatori o analgesici, come Aulin, Ketoprofene e Randitina. Oppure di Augmentin. Niente di specifico per curare una forma grave di polmonite. Seconda domanda: dove è finito il bollettino medico del giorno prima del decesso? Il diario clinico del detenuto riporta le annotazioni mediche quotidiane degli ultimi giorni di vita. Dal 26 maggio, quando è entrato in stato di isolamento, fino all'alba del 1 giugno, quando è stato dichiarato il decesso. Ma manca un giorno, quello prima della morte, il 31 maggio. Storia ancor più incredibile se si pensa che nei primi cinque giorni di isolamento, dal 26 al 30 maggio, i bollettini - come riportato nell'autopsia - parlano di "nessun fatto acuto da riferire". Insomma il ragazzo non era sicuramente considerato in pericolo di vita. Poi c'è il "buco" del 31 maggio e dopo poche ore la constatazione della morte. Cosa è successo quindi il 31 maggio? La madre di Danilo, che lo aveva visitato proprio quel giorno, come detto aveva notato le gravissime condizioni del figlio: "Era bianco in viso - ha raccontato - si vedeva che stava male". Perché quindi nessuno è intervenuto? La famiglia Orlandi da sei mesi chiede due cose: verità e giustizia. Il padre di Danilo, Paolo, attualmente è sotto psicofarmaci e preferisce non rilasciare dichiarazioni. La mamma del ragazzo, Maria Brito si è già detta sicura che il figlio "è morto di carcere". "Danilo me l'hanno ammazzato - si è sfogata - Non stava bene e nessuno lo ha curato. Adesso vogliamo sapere come sono andate davvero le cose". Ora la famiglia di Danilo, insieme a tutti gli amici delle case popolari di via Valle dei Fontanili, zona Torrevecchia, aspetta che la magistratura accerti le responsabilità, se ce ne sono state. "Perché una cosa è certa - dicono - Danilo non doveva essere lasciato morire così". Palermo: "diritti violati" al Pagliarelli, accolto il ricorso dell'ex Garante Salvo Fleres www.palermotoday.it, 3 dicembre 2013 A denunciare le condizioni dei detenuti è stato Salvo Fleres, dell'Associazione nazionale forense. Pirrone: "Messe in luce condizioni inumane e degradanti all'interno della struttura. Crocetta riconfermi la carica all'ex Garante". Spazi insufficienti, ore d'aria non adeguate e carenze di igiene. Il magistrato di sorveglianza di Palermo ha parzialmente accolto il ricorso presentato dall'ex Garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres. "È accertato - si legge in una nota - che all'interno del carcere Pagliarelli sono violati i diritti dei detenuti". "Le violazioni dei diritti umani nel carcere Pagliarelli - ha dichiarato l'avvocato Vito Pirrone, denunciate dall'Associazione nazionale forense, sono state accertate dalla magistratura di sorveglianza. È stato presentato un ricorso avverso le condizioni di vita inumane e degradanti all'interno del carcere palermitano". "L'ordinanza - continua l'avvocato Pirrone - ingiunge alla Direzione della seconda casa circondariale di Palermo, al Provveditorato regionale e al Dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria di adottare gli opportuni provvedimenti per rimuovere le riscontrate violazioni dei diritti dei detenuti concernenti il rispetto dello spazio vitale all'interno delle celle, il diritto ad occupare le celle con compagni non fumatori, il diritto ad adeguati periodi di tempo all'esterno delle celle, fruendo della cosiddetta socialità, il diritto all'uso adeguato dei bagni e docce e gli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona e di assumere tutte le iniziative necessarie a garantire condizioni di detenzione conformi ai parametri previsti dal quadro normativo di riferimento". "Purtroppo - ha concluso l'avvocato Pirrone - il Garante non è più in carica e non potrà né verificare l'attuazione delle disposizioni della Magistratura di Sorveglianza, né potrà portare a compimento gli ulteriori provvedimenti in corso. Anche per queste motivazioni - conclude - auspico ed in tal senso sollecito il presidente Crocetta a riconfermare, nel più breve tempo possibile, Salvo Fleres nell'incarico di Garante dei diritti dei detenuti". Bergamo: il ministro Cancellieri visita il carcere "stranieri, fine pena nel loro Paese" L'Eco di Bergamo, 3 dicembre 2013 "Quello delle carceri è un tema importantissimo: la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sanzionato e dato un termine all'Italia per il prossimo 28 maggio, richiamando l'attenzione sulle carenze del sistema, carenze che venivano richiamate da anni". Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, intervenendo lunedì 2 dicembre all'Università di Bergamo a un convegno sulle carceri. "In questo modo - ha aggiunto il Guardasigilli - abbiamo preso coscienza che dobbiamo dare risposte perché ora siamo costretti e non c'è più tempo. L'Europa ci ha richiamati ai nostri doveri, in realtà già contenuti nella nostra Costituzione ma mai applicati. Si deve ora dare davvero l'opportunità di uscire migliori dal carcere, una volta pagato il proprio debito con la società". "Negli ultimi 30 anni, invece, ci siamo allontanati da questi principi, un po' anche per il terrorismo. Questo nostro Paese, che è quello della civiltà, ha perso un po' il controllo: la realtà ci è sfuggita di mano. Ora - ha concluso il ministro - abbiamo l'opportunità di dimostrare che siamo un grande Paese civile. E il giudizio duro dell'Europa va oltre il sovraffollamento, che è forse il problema più visibile". "Abbiamo già appaltato lavori che porteranno a 4.500 posti in più nelle carceri entro la scadenza europea del 28 maggio e a 12 mila entro il 2015": è quanto ha dichiarato il ministro della Giustizia. Si tratta di "una bella risposta - ha proseguito il ministro, anche se il ragionamento da fare è un altro: tutti devono stare in carcere? Oppure deve ripensare il sistema, prevedendo magari prima i domiciliari e poi il carcere, e non il contrario come accade ora?". Il ministro Cancellieri si è soffermata quindi sul tema del sovraffollamento: "Abbiamo 47 mila posti ma non tutti sono usati - ha spiegato -, perché tra interventi di restauro e quant'altro siamo a circa 42 mila. E la popolazione è di 69 mila unità. Il problema è che abbiamo delle carceri vecchie, con poca luce e riscaldamento malfunzionante. È un po' allo stesso tempo l'inferno e il paradiso: abbiamo carceri modello come Bollate e altre realtà con 5 o 6 piani di letto a castello". "È ora opportuno immaginare delle norme che prevedano, soprattutto verso la fine della pena, la restituzione al loro Paese d'origine perché completino là il percorso". È stato un passo dell'intervento del ministro della Giustizia. "Oggi - ha spiegato il ministro - sono tre le categorie dei carcerati: il 25% sono detenuti in custodia cautelare, innocenti fino alla condanna, ma comunque in carcere. In tal senso il Parlamento si è già mosso per dare una risposta in tal senso. Poi ci sono i tossicodipendenti, spesso con un'espiazione della pena lunghissima e che devono necessariamente essere seguiti. Infine gli stranieri, una buona fetta dei nostri carcerati: è ora opportuno immaginare delle norme che prevedano, soprattutto verso la fine della pena, la restituzione al loro Paese d'origine perché completino là il percorso". Il Guardasigilli nel primo pomeriggio ha voluto conoscere la realtà del carcere di via Gleno ricavandone un'impressione molto positiva. "Ce ne fossero di carceri come questo", ha esclamato il ministro Cancellieri, accolto dal direttore della casa circondariale Antonino Porcino, da parlamentari, magistrati e rappresentanti delle forze dell'ordine. Il ministro ha visitato tutti i settori del carcere e ha avuto parole d'elogio sulla gestione della casa circondariale, della quale ha apprezzato in primis l'organizzazione degli spazi, "ogni centimetro è ben utilizzato" ha sottolineato l'ex prefetto di Bergamo, e la varietà di attività a cui possono accedere i detenuti. Detenuti che hanno consegnato al ministro diverse lettere scritte da loro nelle quali si chiede un provvedimento di clemenza, amnistia e indulto, e lo stesso concetto è stato espresso da striscioni appesi sulle finestre. La Cancellieri ha comunque rilevato che non è in suo potere adottare una decisone del genere, che può essere assunta soltanto dl Parlamento. Nel corso della sua visita a Bergamo, il ministro, che era stato invitato dalla Fondazione Cives 2.0 di Alessandra Gallone, da Carceri e Territorio e dall'Università di Bergamo, è stato anche nella sede dell'ateneo in via Caniana, dove ha incontrato gli studenti, ed è passato pure dall'istituto Leonardo da Vinci. Bergamo: carcere modello ma sovraffollato, e l'ampliamento non si può fare, mancano i terreni di Armando Di Landro Corriere della Sera, 3 dicembre 2013 Che ci fossero dubbi sulla reale possibilità di ampliare il carcere di Bergamo era noto. Ma ieri una mezza pietra tombale sul progetto che prevedeva una nuova ala da 200 posti è arrivata direttamente dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, prefetto di Bergamo dal 1996 al 2000. Poche parole, per mettere in risalto una questione molto concreta: "Per un ampliamento c'è bisogno di spazio e attorno a questa struttura non c'è al momento disponibilità di terreni", ha detto il Guardasigilli al termine della sua visita nella casa circondariale di via Gleno. Peccato che almeno fino all'inizio del 2011 l'allora ministro della Giustizia del governo Berlusconi avesse parlato del suo "Piano carceri" come progetto realizzabile, con ampliamenti in Lombardia a Opera, Busto Arsizio e Bergamo. Un intervento da 9 milioni di euro solo per via Gleno. "Una risposta complessiva alla situazione lombarda va comunque data - ha spiegato ieri Cancellieri -. Vedremo tra Milano, Brescia, o forse Bergamo con altre soluzioni, come intervenire. Ma al momento, appunto, non c'è una disponibilità di spazi". Anche il carcere di Bergamo, come altri in Italia, è sovraffollato. Ospita 559 detenuti, ma era stato progettato per 380 persone. Gli stranieri sfiorano il 50%, sono 270, mentre i detenuti in semilibertà, o impegnati in lavori all'esterno, sono una porzione esigua: rispettivamente 15 e 11. "La struttura però è ben gestita: chapeau!", si è sbilanciata il ministro. "È un carcere ben organizzato, uno dei migliori a fronte del sovraffollamento. Avercene come il Gleno". La buona gestione di cui parla il Guardasigilli è legata alle "opportunità di vita che vengono date ai detenuti. Perché possiamo anche costruire la cella più grande del mondo, ma se per 22 ore su 24 il detenuto soffre allora cambia poco. È importante avere una vita, offrire a queste persone l'opportunità di un lavoro, anche per ridurre il rischio di recidiva". E intanto anche al Gleno, come in altre case circondariali d'Italia, è iniziata la procedura per arrivare alle sezioni aperte, entro il prossimo marzo: circolazione libera per i detenuti,12 ore al giorno. È su questa linea, "un passo di civiltà", che il ministro punta anche per rispondere all'Europa, che ha sanzionato l'Italia per la situazione carceraria. "Ma ci saranno anche 12 mila nuovi posti di detenzione, già appaltati, pronti entro il 2015, quattromila dei quali entro il 2014. Senza dimenticare che stiamo lavorando ad una nuova legislazione per ridurre la permanenza temporanea in cella, intervenendo ad esempio sulle misure cautelari o sul rafforzamento delle pene alternative, oppure che potrebbero essere introdotte nuove norme per far sì che gli immigrati scontino la pena nel loro paese". Concetti ribaditi anche durante la "lezione" nell'Aula magna dell'Università di via dei Caniana, con il preside di Giurisprudenza Barbara Pezzini, il professor Ivo Lizzola, l'ex senatrice Alessandra Gallone (che ha organizzato l'evento con la sua fondazione Civis 2.0) e il giornalista de "L'Eco di Bergamo" Andrea Valesini. Un'aula colma di studenti, che hanno anche messo in evidenza come sia "difficile ridurre i tempi delle misure cautelari se i processi durano anni", mentre il ministro annuiva e rilanciava sulla necessità di un "processo breve e ragionevole". Il prefetto Cancellieri, in servizio a Bergamo dal 1996 al 2000, non c'è più: c'è un ministro, prima agli Interni e ora alla Giustizia, finita nella bufera per le telefonate alla famiglia Ligresti, quasi interamente sotto inchiesta. Ma ieri, Bergamo, ha messo da parte tutto quanto. Non un mezzo striscione o un fischio stonato, in Università. Solo applausi per il prefetto di un tempo, "l'amica Anna Maria" secondo Alessandra Gallone. O secondo Cesare Veneziani, seduto nel pubblico. "Il mio carissimo sindaco", lo ha riconosciuto e ricordato il ministro. Detenuti chiedono indulto a Cancellieri Alcuni detenuti del carcere di Bergamo hanno consegnato nelle mani del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, oggi pomeriggio in visita alla struttura penitenziaria, diverse lettere da loro scritte e nelle quali chiedono provvedimenti di clemenza, amnistia e indulto. Concetto espresso anche su alcuni striscioni appesi alle finestre del carcere. Il ministro, già prefetto a Bergamo in passato, ha però rilevato che non è in suo potere adottare una decisione del genere, che spetta solo al Parlamento. Al termine della visita il Guardasigilli ha esclamato: "Ce ne fossero di carceri come questo". Presenti il direttore Antonino Porcino, parlamentari, magistrati e rappresentanti delle forze dell'ordine di Bergamo. Il ministro ha visitato tutti i settori del carcere e ha avuto parole d'elogio sulla gestione della casa circondariale, della quale ha apprezzato in primis l'organizzazione degli spazi: "Ogni centimetro è ben utilizzato", ha evidenziato, rilevando la varietà di attività alle quali possono accedere i detenuti. Le lettere Certi che Lei è perfettamente a conoscenza dell'intero quadro della realtà abbastanza drammatica e deprimente nella quale ognuno di noi, colpevolmente o meno, si è venuto a trovare, auspichiamo per quanto ci compete che non si arrenderà ai pretestuosi dinieghi posti come veti alle sue ripetute proposte di amnistia e indulto e prosegua con tenacia a sostenere le ragioni tangibili sulle quali fondano tali proposte ribadendo senza tregua né esitazioni ai detrattori e ai demagoghi che, oltre ad essere un atto di clemenza l'approvazione della sua proposta, è un atto di giustizia finalizzato a rimediare ad ataviche mancanze del sistema giuridico-penitenziario esattamente come lo sono molte delle sentenze emesse dai tribunali. La sezione Comuni Le chiediamo di ascoltare la nostra voce e superare le burocrazie e conflitti politici, che nella loro contrapposizione portano a peggiorare le già gravi condizioni carcerarie non più conformi al rispetto della dignità umana. Le sottoponiamo alcune richieste: 1) l'abolizione della pena dell'ergastolo; 2) un'applicazione delle misure alternative più conforme a quanto previsto dall'O.P. e meno discrezionale; 3) Rafforzare i percorsi di reinserimento dei detenuti con attività formative e lavorative; 4) Che la pena sia scontata in istituti presenti nella Regione di residenza del detenuto per mantenere i contatti famigliari; 5) Amnistia e indulto, tanto sollecitate dal Capo dello Stato, favorirebbero certamente la necessaria ristrutturazione del sistema carcerario. La sezione Penale Ci appelliamo a Lei per avere semplicemente il rispetto della dignità umana. Desideriamo esprimere il nostro auspicio affinché faccia di tutto, magari riuscendoci, per: - rendere più facilmente attuabili le pene alternative; - aumentare il numero di colloqui e telefonate, soprattutto per chi ha figli; - avere maggiori possibilità di lavoro; - rendere più agili le pratiche tra carcere e giudici; - proporre e soprattutto approvare al più presto l'indulto e l'amnistia; - abolire la pena dell'ergastolo, che più di altre è contro l'umanità. La sezione Protetti e Isolamento Per prima cosa, noi detenute della casa circondariale di Bergamo, da persone, donne e madri di famiglia, chiediamo che lo Stato e la Magistratura conceda più misure alternative rendendo possibile il reinserimento nella società e il rientro nella famiglia in termini non solo di casa e lavoro ma anche di revisione della propria vita per ripartire più consapevoli dei limiti e delle opportunità che siamo. Confidiamo nel Governo affinché consideri seriamente e concretamente una Riforma della Giustizia. Avremmo ciascuna una diversa storia giudiziaria da raccontare in cui sono stati collezionati degli intoppi di percorso dovuti a "difetti" burocratici o di forma, misure ostative vissute spesso come ingiustizia. Questa ingiustizia la vive soprattutto chi, come la maggior parte di noi, viene da un ceto sociale medio basso che manca delle condizioni necessarie per accedere ad alcune opportunità giudiziarie e godere magari delle alternative attualmente in vigore. La sezione Femminile Cagliari: Sdr; Ufficio Sorveglianza accelera iter per l'accesso alle misure alternative Ristretti Orizzonti, 3 dicembre 2013 "L'Ufficio di Sorveglianza di Cagliari, competente oltre che per i ristretti della Casa Circondariale di viale Buoncammino anche per gli Istituti di Pena di Oristano-Massama, San Daniele di Lanusei e "Sa Stoia" di Iglesias ha accelerato l'iter per l'accesso all'applicazione dalle misure alternative consentendo a numerosi cittadini privati della libertà di fruire dei permessi e accedere ai domiciliari. Un'iniziativa positiva che alleggerisce il sovraffollamento. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, sottolineando che "la razionalizzazione delle misure previste dalla legge Gozzini e dall'ordinamento penitenziario costituisce un aspetto di particolare rilievo per l'equilibrio psicologico dei detenuti nelle strutture". "La linea di condotta individuata dai Magistrati cagliaritani - sottolinea - consentirà ai cittadini privati della libertà che si sono distinti, per il loro corretto comportamento all'interno degli Istituti e per la partecipazione attiva al trattamento rieducativo, di ottenere più celermente le premialità previste dalle leggi. L'iniziativa ha immediati positivi riscontri nel carcere di Buoncammino dove si riduce il peso del sovraffollamento. L'accesso ai permessi, con le giornate trascorse insieme ai familiari in strutture protette, rafforza inoltre la volontà del detenuto a proseguire nel percorso riabilitativo alleggerendo le tensioni nelle celle". "Conoscere l'entità dei permessi e poterli gestire con una certa autonomia - conclude la presidente di Sdr - ha particolari risvolti positivi anche per i familiari che, soprattutto quando devono affrontare lunghi e dispendiosi viaggi, possono organizzarsi in modo da utilizzare al meglio l'opportunità". Forlì: il dibattimento simulato promuove l'assistenza ai detenuti tossicodipendenti di Raffaella Tassinari Corriere di Forlì, 3 dicembre 2013 Non un processo al carcere italiano, anche se certamente reo di limiti in primis strutturali, ma un giudizio sulla possibilità di coniugare dignità della cura e rispetto della pena quando ad entrare in cella sono tossicodipendenti. Il dibattimento ieri, all'interno della casa circondariale, per progettare un percorso di cura adeguato. Una formula accattivante che ha sancito non solo la possibilità ma la necessità di coniugare pena e cura. Un connubio che non è solo possibile ma necessario per favorire il recupero e il reinserimento sociale di chi è detenuto per reati legati all'uso di sostanze stupefacenti. Se la libera scelta della cura è valore irrinunciabile, in alcuni casi la restrizione della libertà personale può rappresentare occasione per l'avvio di un percorso di cura. A dimostrarlo sono i dati forniti da Edoardo Polidori, direttore del Sert che veste i panni della difesa. "La percentuale di persone decedute sul totale di quelle seguite dal Sert - dice - è dell'8,7% mentre quella delle persone morte seguite almeno una volta dall'equipe del carcere è scesa al 4,4%. I detenuti che non seguono un trattamento vanno più facilmente incontro a recidive. I percorsi di cura sono vere prospettive". "Qualunque cura - controbatte Claudio Renzetti, nel ruolo del pubblico ministero - deve avere come requisito fondamentale la libertà di scelta, condizione che non può esser garantita dentro al carcere". Prova vivente della bontà del connubio tra pena e cura sono stati, però, due ragazzi detenuti intervenuti come testimoni. "Penso che il tossico in carcere possa iniziare ad essere curato - afferma Lucrezia, 24 anni da poco più di un anno alla Rocca - ma non del tutte perché mancano gli strumenti adatti. L'ora a settimana di colloquio di gruppo è poco per sviscerare le motivazioni dietro la tossicodipendenza, gli operatori sono pochi rispetto a noi. Qui si può iniziare a lavorare su se stessi ma non in modo definitivo". La cura, spiega la ragazza che a 15 anni ha iniziato ad utilizzare per "curiosità" droghe leggere per poi passare a cocaina ed eroina, "non sono i medicinali ma andare a fondo al problema elaborandolo attraverso il confronto con una persona" . Per chi, per colpa di droga o alcol, è finito in carcere, quest'ultimo può rappresentare dunque un nuovo inizio. "Molti tossicodipendenti fuori non si rivolgono al Sert perché non riconoscono il problema - continua -. In carcere, invece, inizi a renderti conto che va affrontato". Presa di coscienza tutt'altro che scontata ma anzi maturata col confronto con psicologi e operatori. "Una volta che provi la galera qualcosa scatta. Se in carcere può iniziare un percorso, in comunità hai sempre un operatore pronto ad ascoltarti e puoi lavorare sulla tua persona. Mi ci voleva un po' di carcere per arrivare a certe conclusioni". "Fare un percorso all'interno dell'Istituto mi è servito - concorda Angelo, da 3 anni a Forlì. Chi delinque, spesso, ottiene le cose in maniera molto facile. In carcere, invece, ogni beneficio è sudato e questo ti insegna che se vuoi qualcosa te la devi guadagnare". Custodia attenuata da riaprire subito Affinché cura e pena possano integrarsi, è necessario che quest'ultima sia scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio rieducativi. In questa prospettiva, si inseriscono le esperienze delle così dette "sezioni a custodia attenuata" in cui oltre al regolamento carcerario, vige una sorta di autogestione che di fatto responsabilizza i detenuti e crea, al tempo stesso, un ambiente più simile a quello domestico anche nella redistribuzione de i compiti e nella condivisione delle scelte. Tra le linee di indirizzo individuate ieri dalla giuria, questa realtà assume importanza centrale. La sentenza ha, infatti, ritenuto imprescindibile che entro il prossimo anno venga riaperta, nella realtà forlivese, la sezione a custodia attenuata chiusa a causa del crollo del tetto. Perugia: siglato protocollo per contrasto infortuni lavoro nel carcere di Capanne Agi, 3 dicembre 2013 Contrastare gli infortuni sul lavoro e potenziare le competenze del personale che opera all'interno della struttura penitenziaria di Capanne e della popolazione detenuta sui temi della sicurezza nei luoghi di lavoro, dei rischi collegati all'attività lavorativa e delle nozioni di primo soccorso. Questo l'obiettivo del protocollo d'intesa regionale siglato oggi a Perugia tra Inail, Provveditorato amministrazione penitenziaria, vigili del fuoco e Usl 1. Attraverso un percorso formativo/informativo sistematico, le parti si prefiggono di sensibilizzare la popolazione carceraria inculcando gli elementi base della prevenzione. Inoltre, promuovendo buone prassi e modelli di comportamento da adottare per rendere il sistema della sicurezza un modello partecipato. Con la finalità di pervenire alla condivisione degli obiettivi perseguiti e al coinvolgimento di tutti "i soggetti della sicurezza" è infatti previsto anche il coinvolgimento delle associazioni sindacali e di categoria presenti all'interno del penitenziario, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, del medico competente e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Reggio Calabria: Giustizia riparativa, il 3 dicembre incontro dell'Uepe con le Associazioni Ristretti Orizzonti, 3 dicembre 2013 Il Csv dei Due Mari in collaborazione con l'Uepe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) dà avvio al percorso sperimentale sulla Giustizia Riparativa che coinvolgerà soggetti condannati ammessi dal tribunale di Sorveglianza alle misure alternative alla detenzione: affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare. I dettagli dell'iniziativa, le modalità e i tempi si discuteranno insieme alle associazioni che hanno già aderito durante un incontro info-formativo che si terrà martedì 3 dicembre p.v. alle 16.00 presso la sede centrale del Csv di Reggio Calabria di via Frangipane III Traversa Privata, 20. Parteciperanno il Dirigente dell'Uepe Daniela Calzelunghe, il Presidente del Csv Mario Nasone, il portavoce del Terzo Settore Luciano Squillaci, il Direttore della Casa Circondariale di Reggio Calabria Maria Carmela Longo, il coordinatore del tavolo Penitenziario Daniela De Blasio. Milano: i detenuti del carcere di Bollate si raccontano, fotografandosi in carcere La Repubblica, 3 dicembre 2013 La vita del carcere raccontata dall'interno, senza filtri o aspirazioni di denuncia. E soprattutto senza cedere all'autocommiserazione: dal 4 al 21 dicembre lo Spazio Ostrakon in via Pastrengo a Milano ospita la mostra "Riscatti", curata da Alessia Locatelli e Rodolfo Tradardi. Le immagini esposte sono state scattate da detenuti del quarto reparto del carcere milanese di Bollate, che dal 2009 al 2013 hanno frequentato gli incontri di fotografia tenuti da Tradardi e da Mariagrazia Pumo. Per lo più stranieri, i ragazzi fermano frammenti della loro realtà quotidiana e si immortalano a vicenda mentre sono impegnati in palestra o in cortile durante l'ora d'aria. Il progetto è promosso in collaborazione con la cooperativa Articolo 3, che cura le attività rivolte ai detenuti del quarto reparto (a trattamento avanzato) in accordo con la direzione del penitenziario. Varese: la reliquia del sangue del Beato Giovanni Paolo II è entrata nel carcere La Provincia, 3 dicembre 2013 Oggi, per la prima volta nella storia, la reliquia del sangue del beato Giovanni Paolo II è entrata in una casa circondariale. E lo ha fatto ai Miogni di Varese, un penitenziario "modello" per organizzazione ed efficienza, ma collocato in una struttura vecchia, che potrebbe avere le ore contate. Affinché il passaggio della reliquia lasciasse un segno tangibile, è stata affissa una targa nel salone al pianterreno, sulla quale si legge la data "2 dicembre 2013" e la frase estratta dal Vangelo di Matteo: "Ero carcerato e mi avete visitato". Oltre cento detenuti hanno aspettato l'arrivo della teca sui ballatoi, davanti alle loro 54 celle. Solo il 40% dei carcerati ai Miogni è di religione cattolica, ma la solennità del momento ha coinvolto tutti. Il "ritorno" di Papa Wojtyla in carcere è molto significativo. Wojtyla è stato infatti l'unico Papa a entrare in Parlamento per chiedere un segno di clemenza verso i detenuti. Don Marco Casale ha chiesto a tutta la società di "non dimenticare i detenuti" e di stare loro vicini "durante quel periodo delicatissimo che è il reinserimento della società, perché solo dalla disponibilità può nascere un carcere a misura d'uomo". Ma dove nascerà? La domanda resta senza risposta. Firenze: "Senza ali", i minori detenuti raccolgono fondi con un cd hip hop, si pensa già al secondo di Roberto Antonini altracitta.org, 3 dicembre 2013 Un intero cd di hip hop realizzato all'interno di un carcere minorile in Italia dagli stessi detenuti, registrato all'interno dell'istituto di pena e prodotto dagli operatori: è ‘Senza alì, progetto reso reale dalla C.a.t., cooperativa sociale di Firenze che cura da molti anni laboratori di musica hip hop e reggae in strada, nei quartieri, nei campi rom, e dal 2007 anche nell'istituto di pena per minori G. Meucci di Firenze. "Nel carcere minorile- spiega la Cat in una nota- abbiamo applicato quella che il rapper Krs 1 (uno dei "padri fondatori" dell'hip hop, ndr) chiama "Edutainment", ovvero l'incontro tra education e entertainment (educazione e intrattenimento)". E ora, dopo il primo cd, "vogliamo realizzare un nuovo cd, collaborando con artisti affermati del panorama Hip Hop nazionale" e per questo "abbiamo dato via al progetto "16 Sbarre", una raccolta fondi, un "crowdfunding", grazie alla piattaforma Musicraiser". Una sorta di ‘colletta web' grazie alla quale acquistando il primo cd si finanzia il progetto. Dopo anni di lavoro e diversi demo, "ecco finalmente un album completo, scritto e registrato da detenuti minorenni, con musiche originali, intitolato "Senza ali". L'album contiene una selezione dei 17 migliori brani incisi con i ragazzi tra il 2011 e il 2012. "È un cd che porta alla luce, fuori dal carcere, le storie di questi ragazzi- segnalano dalla Cat- perché il carcere è un buco nero, un luogo rimosso dalla coscienza". "Senza ali" è un disco realizzato dai giovano detenuti "con le loro storie, storie d'amore e di rabbia, di infanzia negata, fotografie di due mondi, quello della strada e quello del carcere, che pochi conoscono davvero". Sono storie vere, immediate, raccontate con il crudo linguaggio della strada, nella lingua e nel dialetto di provenienza perché " "keep it Real", dicono i rapper " e "questo è un disco "vero" e senza censure". "Vogliamo che questo laboratorio continui ad essere attivo all'interno del carcere, offrendo ai ragazzi un opportunità di crescita, riflessione, confronto", spiegano dalla C.a.t. cooperativa sociale, onlus di Firenze, un'organizzazione del terzo settore, che promuove "una cultura del lavoro sociale, nella quale la funzione operativa e professionale diventa anche partecipazione alle questioni di "etica pubblica". Però, perché il laboratorio di musica hip hop e reggae nell'istituto di pena per minori G. Meucci di Firenze, "per far crescere non solo bravi ‘rapper', ma anche persone che grazie ad una nuova consapevolezza possano dirigere la propria vita verso modelli di comportamento più positivi, creativi e non violenti" ora "dobbiamo andare avanti". L'intenzione è quella di realizzare un nuovo cd, collaborando con artisti affermati del panorama hip hop nazionale. "Abbiamo già la disponibilità di alcuni nomi importanti- segnala la Cat- come Tormento, Jaka, Dre Love, Il Generale, Millelemmi, e altri arriveranno". Però "abbiamo bisogno di attrezzatura professionale, di investire di più sulla produzione delle basi e sulla post-produzione, e di rimborsare un minimo gli artisti che vengono da fuori per lavorare con noi". Per questo "abbiamo dato via al progetto ‘16 sbarrè, una raccolta fondi, un "crowdfunding", grazie alla piattaforma Musicraiser "perché per produrre un nuovo cd "abbiamo bisogno del vostro aiuto per cominciare". Appena chiusa la campagna, tutti quelli che avranno contribuito riceveranno "Senza Ali", il cd già realizzato. Quando "16 sbarre", il prossimo cd, sarà pronto, i sottoscrittori saranno "i primi a poterlo scaricare o a riceverlo direttamente a casa". Droghe: documento Onu denuncia "il proibizionismo non ha funzionato" La Repubblica, 3 dicembre 2013 Non funziona. La politica globale adottata per il controllo degli stupefacenti dell'Onu non ha avuto i risultati sperati. E su questo tema le nazioni iniziano a non essere più tanto unite. La guerra alle droghe non sta avendo vinti né vincitori, e proibire così come punire non sembra più essere la soluzione giusta, forse neanche la sola possibile. L'Observer, il periodico britannico della domenica edito dallo stesso gruppo del Guardian, è entrato in possesso della bozza di un documento Onu che ristabilisce le strategie a lungo termine contro l'espansione e il traffico dei narcotici illeciti. La bozza, scritta a settembre, mette in evidenza le prime falle alla politica proibizionista guidata soprattutto dagli Stati Uniti. È un documento importante. Mostra l'insofferenza e le richieste degli altri Paesi. Secondo Ann Fordham, capo dell'International Drug Policy Consortium, la bozza rivela una tensione crescente: "Stiamo iniziando a vedere Stati membri rompere il silenzio, e il consenso su come dovrebbero essere controllate le droghe a livello mondiale. Le punizioni non hanno funzionato, il denaro speso per eliminare il problema tentando di sradicarlo alla radice non ha avuto né i risultati né l'impatto sperato". Molti Paesi ora spingono gli Stati Uniti perché affrontino il problema da un'altra prospettiva. Dando più enfasi alla salute - cura o trattamenti per tossicodipendenti, per esempio, e non trattando l'argomento solo come una questione di giustizia criminale. La stesura del documento finale vedrà la luce in primavera, solo una volta che gli Stati membri avranno appianato le proprie posizioni e trovato un accordo. Ogni dieci anni l'assemblea si riunisce per ratificare la bozza, e in quella prevista per 2016 si deciderà la posizione dell'Onu per i successivi dieci anni. "L'idea che esista un consenso globale sulla politica contro la droga è falsa" ha detto Damon Barrett, vice direttore del Harm Reduction International. "Ci sono sempre state posizioni differenti ma non trapelano. L'accordo finale è nascosto sotto un apparente denominatore comune. Resta interessante però vedere a che punto sono adesso, oggi, in questo momento storico, le discussioni e i dibattiti". La sfida agli Stati Uniti è stata lanciata dal Sudamerica. Colombia, Guatemala e Messico sono sempre più contrari al dominio americano mosso da interessi economici e gestito da gruppi paramilitari. L'Ecuador sta spingendo affinché gli Usa dichiarino ufficialmente che sia arrivato il momento di affrontare la questione da una prospettiva più efficace. "Sia messa per iscritto la necessità di ottenere risultati diversi, decidendo un approccio più efficiente e operativo", si legge nella bozza. Anche il Venezuela insiste. E accusa gli Stati Uniti di aver fallito completamente nel comprendere le reali dinamiche del mercato del narcotraffico. Il controllo sulle droghe non è stato raggiunto. "Si sta tornando indietro, a un punto zero. Il problema non può continuare a essere affrontato così e non funziona a nessun livello, locale, nazionale o globale che sia", ha detto Kasia Malinowska-Sempruch, direttore dell'Open Society Global Drug Policy Program. L'insofferenza non è circoscritta al Sudamerica. La Norvegia vorrebbe cambiare l'oggetto della guerra alla droga, così come la Svizzera vorrebbe fossero inseriti nel documento Onu i risultati sulla salute prodotti dall'attuale politica proibizionista e repressiva: "Il consumo non è diminuito in maniera consistente mentre l'uso di sostanze psicotiche è aumentato nella maggior parte delle nazioni. Inoltre, secondo i dati di UNAids, il programma Onu sull'Hiv/Aids, l'obiettivo di dimezzare i contagi tra tossicodipendenti entro il 2015, non è stato raggiunto. Al contrario il virus continua a espandersi". L'Europa punta a ottenere la possibilità di investire su trattamenti riabilitativi al posto del carcere. "I tossicodipendenti dovrebbero avere la possibilità di essere curati, di ricevere le medicine necessarie per vincere la dipendenza, servizi di supporto, riabilitazione e reintegrazione". Unione Europea: in Norvegia carceri "resort" di riabilitazione, in Italia e Grecia bolgie di Giulia Tarozzi www.lindro.it, 3 dicembre 2013 Martedì 26 novembre si è tenuto a Bruxelles l'incontro annuale di Europris, l'associazione europea di supporto per le amministrazioni penitenziarie d'Europa, per parlare della situazione delle carceri europee ed, in particolare, del dramma sovraffollamento. Questo problema interessa la metà delle amministrazioni penitenziarie europee, infatti, le carceri sono spesso utilizzate al massimo delle capacità delle strutture, con una media di 99,5 detenuti per 100 posti. Come evidenzia l'indagine dell'Istituto di criminologia e diritto penale dell'Università di Losanna nei suoi report sulla popolazione detenuta nelle carceri in Europa (Space I) e delle persone in libertà vigilata (Space II), la maglia nera spetta alla Grecia, seconda la Serbia, mentre al terzo posto si piazza l'Italia, in cui attualmente sarebbero recluse 64.758 persone, a fronte di una capacità di 47.615 posti. Tutto questo, secondo i dati estrapolati da uno studio del Ministero della Giustizia britannico del 2010, andrebbe inoltre ad incidere in modo pesante sulla recidività dei detenuti rispetto al crimine. Infatti, la media europea su questo tema si attesta attorno al 70-75% di recidività. In mezzo a tanti dati negativi, spiccano ancora di più i risultati eccellenti dei modelli carcerari scandinavi, la cui percentuale di detenuti è sempre in calo, al pari del tasso di recidività. Secondo l'International Centre for Prison Studies, tra i Paesi con il più alto numero di detenuti la Svezia si colloca al 112 esimo posto (6,364 , 67 ogni 100,000 abitanti). L'Italia è alla posizione numero 27 mentre in cima alla classifica ci sono gli Stati Uniti, dove vivono dietro le sbarre 2,239,751 persone (716 ogni 100,000) seguiti dalla Cina e dalla Russia. Stando alle statistiche, la recidività tra i detenuti scandinavi è tra le più basse d'Europa, basta pensare che in Norvegia essa tocca appena il 20% degli individui nei primi due anni dalla scarcerazione. Il sistema scandinavo, infatti, prevede che il detenuto venga messo nella condizione di gestire responsabilmente la propria routine all'interno delle mura, al fine di garantire il suo reinserimento nella vita civile al termine della pena. Per fare questo servono strutture adeguate, che quasi non sembrano prigioni: mura camuffate con opere di street art, enormi biblioteche, sale comuni ampie e luminose, celle prive di sbarre che sembrino effettivamente una stanza qualunque. Secondo gli esperti scandinavi queste strutture consentono al detenuto di non perdere la speranza per una vita diversa, e migliore, dopo il carcere, garantendo quindi una pena che non sia solo detentiva e fine a se stessa, ma anche riabilitativa. Un esempio di questo innovativo sistema carcerario, che è stato definito un modello da seguire per tutta l'Europa in sede di Consiglio Europeo, è quello norvegese. Qui la "normalizzazione" delle carceri mira a ridurne l'impatto negativo sui detenuti, che sembrano più ospiti di un resort che condannati per dei reati. Per Marianne Vollan, direttrice del servizio correzionale norvegese, è importante che i detenuti siano responsabili di loro stessi anche all'interno del carcere, e dunque non vivano l'esperienza in modo passivo. Tra le cosiddette "prigioni di lusso" spicca Halden, super moderno carcere costato un miliardo e trecento milioni di corone (circa 172 milioni di euro). Pur ospitando rapinatori, assassini e pedofili, questo luogo non appare per nulla una struttura di detenzione. Accoglienti, pulite e dotate di accessori vari e confort (come le tv a schermo piatto) molte celle non hanno nemmeno le sbarre e le finestre, a vetri rinforzati, si affacciano su una splendida foresta. Certo il muro di cinta è presente, ma ben nascosto alla vista dei detenuti, che devono concentrarsi primariamente sull'effetto riabilitativo della propria detenzione, piuttosto che su quello punitivo. Per stimolare i detenuti e prepararli al reinserimento nella società durante la giornata vengono realizzate tantissime attività, per alcune di esse i detenuti ricevono addirittura 7€ al giorno. L'obiettivo è quello di insegnargli un mestiere e ridurre la portata della loro rabbia, infatti, come molti psicologi operanti nel campo hanno sottolineato, per i detenuti è importante liberarsi della condizione di frustrazione che spesso li ha portati al crimine. Per questo sono favorite le attività intellettuali a dispetto di quelle fisiche, come le palestre con pesi e bilancieri. Secondo il direttore di Halden, Høidal, "Se ti rinchiudono in una scatola per diversi anni, quando ne uscirai non sarai di certo una brava persona. Noi non pensiamo che trattare male i detenuti li renda delle persone migliori, anzi". Va però sottolineato che tutto questo è possibile in un Paese che ha una proporzione tra carceri e popolazione decisamente bassa, 74.8 detenuti ogni centomila abitanti, contro i quasi 120 registrati in Italia. Oltre a questo, Stati come la Norvegia dispongono di un budget per le carceri, conseguenza di un'economia in positivo, più alto di quello del resto d'Europa e dunque possono spendere per migliorare le strutture piuttosto che per cercare di colmare le lacune e arginare le situazioni più estreme con il poco a disposizione. Un altro caso di sistema carcerario all'avanguardia è quello della Svezia, dove addirittura si è arrivati a chiudere quattro carceri (Åby, Håja, Båtshagen e Kristianstad) per mancanza di detenuti. Dal 2004 infatti, la popolazione carceraria svedese è scesa dell'1% all'anno, per precipitare di sei punti percentuali tra il 2011 e il 2012. Tutto ciò è stato reso possibile senza il trucco dell'indulto o di misure d'emergenza per ridurre la popolazione carceraria, ma grazie a una politica che ha puntato decisamente verso il recupero e il reinserimento sociale. A ciò si va ad aggiungere la misura introdotta dalla Corte Suprema svedese che, nel 2011, ha scelto un approccio di sentenze più leggere per i reati di droga, con pene alternative al carcere, alleggerendo in un solo anno le carceri di circa 200 detenuti. Numero significativo per un Paese che conta un numero complessivo di carcerati di circa 4.852 persone su 9,5 milioni di abitanti. Come già sottolineato, il modello scandinavo è sì all'avanguardia rispetto alle carceri del resto dell'Europa, ma è anche inserito in un contesto in cui il tasso di criminalità è di per se basso e dunque i numeri sono molto più facili da gestire. Sicuramente il basso tasso di recidività, determinato anche dalle carceri moderne e riabilitative, influisce positivamente su questo fattore, ma non si può attribuire al sistema carcerario l'interno merito, molto viene fatto anche a livello sociale e statale per ridurre i fattori che spingono gli individui a commettere crimini quali rapine, spaccio di droga e altri reati a basso tasso di violenza. I Paesi scandinavi sarebbero dunque un modello da seguire non tanto per le carceri in se, ma per il sistema sociale nella sua interezza. Polonia: ministro Bonino chiede chiarimenti a omologo polacco su laziali arrestati Tm News, 3 dicembre 2013 In una sua dichiarazione al termine dell'incontro bilaterale con gli israeliani la Ministro Bonino è ritornata sulla vicenda dei tifosi laziali arrestati a Varsavia : "Ho chiesto oggi al mio omologo polacco Sikorski chiarimenti su una vicenda che presenta contorni ancora da approfondire pienamente e che vede al momento 22 nostri concittadini detenuti nel carcere di Varsavia. Gli ho anche chiesto di adoperarsi affinché vengano messi in libertà , anche dietro cauzione, in attesa del processo. Sikorski mi ha promesso il suo personale interessamento e si è impegnato ad aggiornarmi tempestivamente. Ho inoltre dato mandato al nostro Ambasciatore di chiedere un incontro con il Ministro della Giustizia che vedrà domani. Intanto lo stesso Ambasciatore in un suo incontro con il Sottosegretario alla Giustizia ha sollecitato l'accelerazione delle procedure per consentire a tutti i parenti dei connazionali di incontrare i propri cari in carcere e portare loro alcuni effetti personali. In giornata ha avuto anche un incontro con il Sottosegretario al Ministero dell'Interno competente per le forze di polizia cui ha illustrato il carattere emotivo che l'intera vicenda suscita presso il governo e l'opinione pubblica italiana. Gli avvocati difensori che sono in stretto contatto con la nostra Ambasciata, stanno concordando con le famiglie la linea da seguire e raccogliendo il materiale necessario presso i tribunali polacchi per presentare ricorso il più rapidamente possibile . Rilevo peraltro che la polizia polacca ha sequestrato ad alcuni giovani italiani coltelli, tirapugni e persino un'ascia. Infine ho parlato oggi anche con il Presidente della Lazio Lotito cui ho espresso la mia solidarietà per quei tifosi pacifici che si sono trovati coinvolti in situazioni che non hanno nulla a che vedere con lo spettacolo del calcio. L'ho anche rassicurato illustrando tutte le azioni che il governo sta mettendo in atto per giungere alla liberazione di tutti i connazionali tratti in arresto." Svezia: addio alle carceri, i detenuti si rieducano con programmi di recupero e pene alternative di Paolo G. Brera La Repubblica, 3 dicembre 2013 Ma come si fa ad andare avanti con 2.500 letti liberi? Come fai a tenere aperto se fai fatica persino a coprire i turni in mensa, e non parliamo di organizzare un torneo di calcio appena decente. E allora basta, qui si chiude: sono rimasti così pochi detenuti, in Svezia, che l'amministrazione penitenziaria ha deciso di restituire allo Stato quattro edifici carcerari. Grazie tante, non servono più. Si chiamano Aby e Haja, Batshagen e Kristianstad: due li venderanno, due li destinano ad altro e si vedrà. E dire che non hanno neanche avuto un ministro Cancellieri e uno straccio di decreto svuota carceri: è bastata un'indicazione delia Corte suprema a essere meno severi nelle pene correlate alla droga, indirizzando i condannati ai programmi di recupero invece che dietro le sbarre, ed ecco lì lo svuota carceri alla svedese: -6% in un solo anno, nel 2012. E già stavano larghi: nel 2011, secondo il Consiglio europeo, avevano 6.977 posti e ne occupavano 6.742. Ora i detenuti condannati sono poco più di 4.500. In Italia, intanto, dietro le sbarre è un inferno: abbiamo 205 penitenziari che possono ospitare 47.649 carcerati, e secondo i dati diffusi ieri dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ci stipiamo dentro 64.084 persone. Sono 16.435... esuberi, in questa parte di mondo solo Grecia e Serbia fanno (poco) peggio. "Occorre intervenire urgentemente sui nodi strutturali che producono il sovraffollamento: riforma del codice penale e di procedura penale, gli stranieri detenuti (37%) e i reati connessi alle droghe (40%)", dice Marroni. Ecco, appunto. Lassù al nord, dove oltretutto i reati commessi sono in crescita, il problema lo hanno risolto, nonostante siano tutt'altro che concilianti. Ve lo ricordate quel papà italiano, Giovanni Colasante, che nel 2011 finì in galera tre giorni per un "rimprovero" al figlio 12enne, uno schiaffo rifilato a Stoccolma durante le ferie? Ci vanno giù duri, con chi sbaglia, ma poi quando parlano di rieducazione ci credono davvero. E lo fanno. Per assistere i condannati in regime di prova hanno più supervisori che detenuti, 4.500 volontari che diventano amici e consiglieri e insegnano a ritrovare la carreggiata. Raramente affibbiano l'ergastolo, e mai a chi ha meno di 21 anni; ma anche quando lo fanno commutano quasi sempre la pena in una "lunga" detenzione, da 18 a25 anni. La responsabilità penale inizia sì a 15 anni, ma fino a 18 non c'è carcere né riformatorio. E i giovani si rieducano in scuole con grandi finestre e biliardino, con tanti libri, corsi d'arte e artigianato. È dopo la sentenza che la via svedese imbocca la discesa mentre l'Italia arranca tra sovraffollamento, suicidi e recidive. "Quest'anno e il prossimo la priorità saranno i giovani aggressori e gli adulti violenti", ha detto il governatore del carcere di massima sicurezza di Kumla, Kenneth Gustafsson, al Guardian che gli ha paragonato il disastro delle carceri inglesi, dove a 10 anni puoi finire all'ergastolo: "In Svezia ci crediamo molto, nella riabilitazione. Certo, ci sono persone che non miglioreranno mai, ma perla mia esperienza la maggior parte dei detenuti vorrebbe cambiare vita e noi abbiamo il dovere di fare il possibile perché accada". Il "Detenuto in attesa di giudizio" di Alberto Sordi ha 42 anni, ma sembra ieri. Tunisia: avviato piano carceri per costruzione di sette nuovi istituti… un passo di civiltà di Diego Minuti Ansa, 3 dicembre 2013 Sette nuovi centri di detenzione: è questa la risposta che lo Stato tunisino intende dare, a breve, per porre rimedio ad una situazione carceraria degradata e le cui problematiche hanno spesso messo il pianeta Giustizia del Paese nel mirino delle organizzazioni di difesa dei diritti dell'Uomo. L'annuncio è stato dato dal ministro dell'Interno, Lotfi Ben Jeddou, che ha spiegato che quattro dei nuovi centri cadranno sotto la responsabilità della Guardia nazionale, mentre gli altri tre saranno di pertinenza della polizia nazionale. Non saranno veri e propri reclusori, per quel che s'è capito, ma di certo le sette nuove strutture contribuiranno ad allentare la pressione sulle carceri. L'iniziativa annunciata da Ben Jeddou servirà certamente ad aumentare l'agibilità dei centri di detenzione tunisini, ma più pragmaticamente è la prima vera risposta della Tunisia alle critiche che le sono piovute addosso dopo la caduta del regime di Ben Ali, da quando, cioè, il Paese è, almeno formalmente, uscito dalla dittatura per imboccare la strada della democrazia. Le carceri tunisine non sono certo un modello di funzionalità, perché nella quasi totalità sono molto vecchie e rispondono solo a quei criteri punitivi che venivano riservati ai detenuti. Ci sono anche carceri ricavate in palazzi preesistenti, in alcuni dei quali le celle si trovano in locali sotterranei, con tutto quel che consegue per la salute dei reclusi, esposti a umidità e freddo (lo stesso premier Ali Laarayedh, rimasto per anni in un carcere ai tempi di Ben Ali, ha avuto seri problemi di salute). C'è poi un altro problema che l'istituzione delle nuove strutture dovrebbe contribuire a risolvere, ed è quello della sovrappopolazione carceraria, che crea delle situazioni-limite, come la presenza in un unico ambiente di oltre cento detenuti, che utilizzano gli stessi (scarsi) servizi igienici, con intuibili ricadute per la salute. Alcuni detenuti finiti in carcere per reati di opinione (pur se la qualificazione delle accuse non era questa) hanno riferito di essere stati costretti a restare in celle dove, mancando una selezione dei reclusi sulla base dei reati loro contestati, c'erano decine di detenuti comuni. Così, ad esempio, un cantante rap, arrestato per il contenuto di un suo brano, è rimasto per giorni e giorni insieme ad assassini, terroristi, criminali. Troppo anche per la Tunisia, che obiettivamente deve affrontare mille altri problemi, ma che ha deciso di agire per evitare che le prigioni divengano, come già accaduto, incubatori di rabbia e potenziali bacini di proselitismo da parte degli islamisti più integralisti, che proprio nelle celle acquistano alla loro causa violenta sempre più disperati. Pakistan: 35 persone dichiarate scomparse erano in carcere, due di loro sono morte Ansa, 3 dicembre 2013 La Corte Suprema del Pakistan ha ordinato al governo di presentare in tribunale immediatamente, ossia già domani, 33 detenuti che si trovano da tempo in carcere mentre ufficialmente compaiono in una lista di persone scomparse. Lo riferisce Geo Tv. La vicenda, già trattata discretamente settimane fa nell'Alta Corte di Lahore, è scoppiata come una bomba oggi quando ad occuparsene è stato un tribunale presieduto dal presidente stesso della Corte Suprema, Iftikhar Muhammad Chaudhry, che ha esaminato il caso di altri due detenuti-scomparsi morti in detenzione, e di cui si è saputo appena adesso. Durante l'udienza l'Attorney General (Pubblico Ministero), Munir A. Malik, ha rivelato che il primo dei detenuti è morto nel dicembre 2012 e il secondo nello scorso luglio. Ed ha aggiunto di avere appreso del loro decesso solo ieri sera dal ministro della Difesa pachistano, Khawaja Asif. Visibilmente irritato, Chaudhry ha respinto tutte le richieste del governo di avere più tempo per presentare i 33 "detenuti fantasma", ordinando che la loro comparizione avvenga domani. "Non posso concedervi neppure un secondo di più ha sottolineato - e vi ricordo che il decesso di detenuti sotto il controllo dei servizi è un omicidio". Il presidente ha infine ordinato che vengano portati a conoscenza della Corte anche i nomi dei due deceduti e le circostanze in cui è avvenuta la loro morte.