Giustizia: amnistia-indulto, difficile approvarli malgrado il sovraffollamento carceri di Calogero Giuffrida www.supermoney.eu, 28 dicembre 2013 Caduto nel vuoto l’appello su indulto e amnistia lanciato dal Presidente della Repubblica con un messaggio alle Camere. Da Agrigento a Milano "scoppiano" le carceri italiane, aumentano i suicidi dietro le sbarre e non mancano le morti "sospette". Ma sembra caduto nel vuoto l’appello su indulto e amnistia lanciato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con un messaggio alle Camere dopo che la Corte Europea ha sanzionato l’Italia per le condizioni inumane e degradanti degli istituti penitenziari. A soffrire sono sia i detenuti sia i loro familiari e spesso anche i poliziotti penitenziari. "Si parla di benessere degli animali, ogni capra negli allevamenti ha diritto a 2 x 2 metri, ma lì dentro ci stanno 7 e anche otto persone in celle di 14 metri quadrati", dice il signor G. F. mentre è in fila davanti al carcere Petrusa di Agrigento per un colloquio con il figlio detenuto. "Stanno stipati come gli animali", "si lavano a turno con la doccia fredda", "mio figlio soffre di allergia e non gli danno le medicine"; queste le testimonianze di altri familiari di detenuti che ogni settimana attendono varie ore per il colloquio nel carcere agrigentino che ospita 450 detenuti a fronte di una disponibilità di 250 posti. Secondo i dati del ministero della Giustizia aggiornati al 30 novembre scorso, la presenza complessiva conta 64.047 detenuti a fronte di una capienza di 47.649 in 206 carceri. Più di 20 mila sono i carcerati in attesa di giudizio. Intanto salgono a 49 i detenuti suicidi nel 2013 e a 148 il totale dei decessi in carcere; l’ultimo suicidio è quello di un ex agente della polizia penitenziaria, imputato di mafia, che si è tolto la vita alla vigilia di Natale nel carcere di Caltanissetta. Mentre resta da fare chiarezza sulle denunce della madre di Federico Perna, il 34enne morto nel carcere di Poggioreale l’8 novembre scorso. Il giovane soffriva di gravi patologie, avrebbe subito maltrattamenti e non avrebbe ricevuto le giuste cure: sono in corso due inchieste da parte della procura di Napoli e del Dap. "Per rispettare il termine indicato dalla Corte Europea (28 maggio 2014) per superare il sovraffollamento carcerario occorre l’indulto e al provvedimento potrebbe aggiungersi un’amnistia", ha scritto Napolitano. Maggioranza e governo, a caldo, hanno approvato e sottoscritto; ma i partiti in Parlamento non riescono ancora a trovare una posizione condivisa. I Radicali continuano a chiedere l’amnistia, ma buona parte della classe politica sembra sorda agli appelli. Vediamo perché è difficile approvarli e in cosa consistono questi due provvedimenti di clemenza generale ad efficacia retroattiva. L’amnistia concede in pratica l’estinzione del reato, mentre l’indulto estingue la pena. Con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, con l’indulto si limita a condonare, in tutto o in parte, la pena senza cancellare il reato. Non è semplice trovare un accordo su indulto e amnistia perché occorre una legge approvata a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera (articolo 79, comma 1, della Costituzione); prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 1/92, che ha modificato il testo dell’articolo 79 della Costituzione, erano concessi dal Capo dello Stato previa legge delega da parte del Parlamento. L’innalzamento del quorum di votazione dalla maggioranza semplice a quella dei due terzi ha dunque reso molto più difficile attuare questi provvedimenti. Infatti dal 1992 sino ad oggi l’indulto è stato concesso solo una volta nel 2006, mentre dal 1948 al 1992 vi erano stati oltre quaranta provvedimenti legislativi di clemenza. Giustizia: amnistia-indulto; Napolitano spinge, ok di Letta, ma pesa il "no" di Renzi di Massimo Calamuneri www.supermoney.eu, 28 dicembre 2013 Marcia di Natale a Roma per sostenere amnistia e indulto: Letta e Napolitano pronti, ma tiene banco il no di Renzi. Occupano il vertice dell’agenda politica da ormai alcuni mesi ma al momento non sembra imminente un accordo politico tra le parti: stiamo parlando di amnistia e indulto, due temi fra i più caldi di questo fine 2013 che siamo certi occuperanno buona parte dei programmi governativi anche nel 2014. Per il terzo anno consecutivo i Radicali hanno capeggiato una marcia tenutasi a Roma nel giorno di Natale per sostenere i due provvedimenti costituti da amnistia e indulto; radunatisi a Piazza Pia intorno alle 9,30 del mattino, i manifestanti hanno sfilato lungo le vie della città capitolina passando per Piazza San Pietro e per il Ministero della Giustizia di via Arenula. L’evento ha costituto l’occasione per ribadire con forza il ‘sì ad amnistia e indulto incoraggiandone in particolare lo spirito e il significato di fondo: rendere le carceri più vivibili per far sì che il periodo di detenzione possa davvero diventare rieducativo e correttivo dell’individuo. Tra i tanti promotori della manifestazione anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Presidente Giorgio Napolitano ha espresso tutto il proprio sostegno ai Radicali, massimi promotori della marcia di Roma: "Amnistia e indulto sono provvedimenti necessari e urgenti, e in occasione dello svolgimento della III Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà, organizzata per il giorno di Natale dai Radicali italiani, desidero esprimere il mio apprezzamento per l’iniziativa che intende riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica temi così importanti". Il capo dello Stato ha più volte ribadito la necessità di adottare le due misure per ottemperare alle richieste provenienti dall’Europa (entro maggio 2014 l’Italia dovrà presentare dei risultati concreti), e anche il Premier Enrico Letta si è più volte detto pronto: "Con il dl emergenza carceri dell’altro giorno il governo ha fatto un primo passo importante - ha dichiarato il Presidente del Consiglio nella giornata di ieri - questo senza alcun pregiudizio per la sicurezza dei cittadini; è responsabilità delle Camere dare corso o meno ad amnistia e indulto, ma il governo farà la sua parte". Nel frattempo, il 23 dicembre scorso, il nuovo decreto svuota carceri è ufficialmente stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, atto che ne ha sancito l’entrata in vigore. A tanti pareri favorevoli fanno però da contraltare altrettanti pareri negativi, su tutti quello del segretario del Pd Matteo Renzi: "pessimo esempio per giovani", "cattivo monito per le generazioni future", "atto amorale e irresponsabile" sono alcune delle argomentazioni usate dal rottamatore per apostrofare amnistia e indulto. La portata dei due provvedimenti implica un accordo diffuso tra le parti ma all’orizzonte non si palesa nulla di simile. Giustizia: Napolitano prepara discorso fine anno, parlerà anche delle carceri di Teodoro Fulgione Ansa, 28 dicembre 2013 Le riforme istituzionali, il passaggio dalla politica del rigore a quella della crescita in modo da mettersi alle spalle la crisi e tutte le sue drammatiche conseguenze sociali; ma anche il rilancio del progetto europeo e l’emergenza carceri. Sono questi alcuni dei temi più cari al presidente Giorgio Napolitano e spesso al centro dei suoi ultimi interventi: con oggi probabilità troveranno spazio nel tradizionale discorso di fine anno del Capo dello Stato alla Nazione. Ma l’ottavo discorso agli italiani di Napolitano nasce già tra le polemiche. Ai continui attacchi di Beppe Grillo al Colle, si uniscono quelli di Forza Italia che lancia una campagna di boicottaggio del messaggio presidenziale: "Il 31 dicembre spegni il Presidente e manda in onda il Tricolore", è la proposta polemica dell’ex deputato Giuseppe Moles alla quale aderiscono molti parlamentari azzurri tra i quali l’ex direttore del tg1 e ora senatore Augusto Minzolini. Il Pd replica aspramente, definendo "irresponsabili" gli esponenti berlusconiani. L’intervento di Napolitano farà una sintesi del 2013 appena trascorso ma guarderà soprattutto al futuro e all’auspicabile rilancio del Paese per il 2014. Per la massima carica dello Stato si conclude un anno particolare: le elezioni politiche, la fine del suo primo mandato settennale e la decisione di accettarne uno nuovo con la condizione di essere pronto a lasciare il Colle se le forze politiche non si impegneranno a dar vita ad un piano di sviluppo per l’Italia. D’altronde, è il monito che il Quirinale incessantemente rivolge ai partiti e allo stesso governo: bisogna "fare". La dura reprimenda alle Camere sul pasticcio del decreto salva Roma è solo l’ultimo episodio di una serie di pungoli all’attività del mondo politico: bisogna mettere fine agli "sprechi", ai continui ritardi ed al caos che alimentano esasperazione sociale e derive populistiche. Solo così si riuscirà a dare speranze, è il messaggio che vorrà dare il presidente. Dal 2014 ci si attende molto: si celebreranno le elezioni europee, "spartiacque" tra la politica del rigore e quella della crescita. Ma è anche l’anno in cui si inaugurerà il semestre italiano di presidenza dell’Ue, da giugno a dicembre. L’augurio principale è che possa ripartire l’economia. Ma la ripresa italiana passa per l’Europa. Il capo dello Stato, convinto e fermo europeista, ha spesso invitato a "reagire al crescente tecnicismo del dibattito europeo", a volte causa di nuovi fenomeni di "nazionalismo". Di nuovo un appello a "fare". Lo stesso che Napolitano lancia per le questioni interne italiane. Le riforme costituzionali per il presidente sono "vitali" per il funzionamento della democrazia. Ma per realizzarle - ha più volte ammonito - servono "larga convergenza", anche della opposizione, e "consapevolezza" della gravità della situazione. "Superamento del bicameralismo paritario, snellimento del Parlamento e semplificazione del processo legislativo" non sono più rinviabili. Gli italiani - ha ricordato Napolitano - si attendono dalla politica fatti, "risposte" e non un nuovo "precipitare ad elezioni". Infine, c’è la questione del sovraffollamento delle carceri. Il presidente ha fatto sentire la sua voce, ricordando il "severo pronunciamento con il quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo in mora il nostro Paese". Il tempo stringe: la Corte Europea si attende un intervento entro "il prossimo 28 maggio", e Napolitano continuerà a esercitare il suo pressing fino all’ultimo. Giustizia: la sfida della politica è rispondere all’urlo di dolore che arriva dalle carceri Di Gennaro Migliore Gli Altri, 28 dicembre 2013 La grande sfida della politica è dare risposte all’urlo di dolore che proviene dal ventre profondo delle carceri, che oggi sono diventate luoghi di tortura e di infamia. A Poggioreale 11 persone sono costrette in pochi in metri quadri, prive di intimità, di spazio, persino d’aria. Dinanzi a noi una catastrofe che si affronta solo con le predicazioni domenicali e che, fattualmente, vede i rappresentanti nelle istituzioni irresponsabili, collusi con un sistema impazzito. Chi è fuori pensa, tutto sommato, che non sia un problema suo. È la leva potente su cui si sono allungate le ombre delle forche, esibite come trofei elettorali. Si fa un gran parlare della deriva populista, del pericolo incombente per le istituzioni di movimenti nutriti dal rancore e dalla crisi. Intanto si è perso per strada il senso profondo della cultura delle garanzie come antidoto alle urla dei demagoghi. Si è immaginato di doversi collocare sul piano degli avversari. Per limitare i danni, si disse e per portare dalla "nostra" parte il popolo "antiberlusconiano", come teorizzarono gli stranamore assisi sulle cattedre girevoli dei girotondi o sugli aventini a cinque stelle. Siamo così arrivati a tollerare l’immondizia contenuta in leggi dello Stato come la Fini-Giovanardi o la Fini-Bossi, ci siamo dimenticati dei diritti delle persone in fine vita o delle donne a veder garantita la procreazione assistita. La sinistra che ha anteposto a tutto la gerarchia dell’antiberlusconismo ha sacrificato parte della sua storia e della sua anima, si è smarrita ed oggi si guarda spaesata gonfia di rancore e priva di futuro. Sulla mia pelle sentii quanto fosse bruciante questa fiammata populista. L’ultimo indulto fu varato nel 2006. Nelle strade, nelle feste dell’allora mio partito mi accusavano di aver tradito la voglia di vendetta che covava contro i "colletti bianchi", o peggio che quel provvedimento avrebbe risputato nelle periferie, già provate dalla crisi, una valanga di malviventi. A nulla valevano i rapporti di Antigone sulla riduzione della recidiva o i richiami ai principi costituzionali che prevedono umanità di trattamento e finalità rieducative per la pena. Nel frattempo cresceva il senso di vendetta, il rancore, che avrebbe portato tanti dei nostri compagni a prendere la strada grillina o astensionista. Certo, si può ragionevolmente pensare che ben altri fenomeni si siano occupati di alimentare l’ulcera del rancore: ragioni economiche, discredito della politica, fragilità degli stessi istituti dello stato. Soprattutto è venuta meno in quel frangente una classe politica, una sinistra sociale e culturale che difendesse a viso aperto quelle scelte che sarebbero state necessarie per impedire che anche un indulto pieno di buone intenzioni (almeno nell’idea di chi come me lo sostenne) diventasse il fallimento cui assistiamo oggi con le carceri che esplodono di sofferenza. Ora, riflettendo sugli errori che ci hanno condotti fin qui, è venuto il tempo di cambiare, di tornare a volgere lo sguardo verso quel confine tra civiltà e viltà che sono diventate le nostre carceri, perché le ragioni del vivere civile, i diritti, sono l’anima della sinistra. Abolire le leggi vergogna sull’immigrazione e sulle droghe, introdurre consistenti misure alternative (unico punto su cui l’attuale governo sta mantenendo alcune promesse), riformare profondamente il regime della carcerazione preventiva e quindi pensare anche a interventi di amnistia e indulto funzionali al completamento di una riforma carceraria impellente. Questo programma minimo è il cimento impellente perchè maggiore efficienza della giustizia vuol dire maggiore tutela dei cittadini, minori soprusi per quelli che non possono difendersi e che, dai tossicodipendenti ai migranti, riempiono le nostre prigioni spesso in attesa di giudizio. In questi tempi di grandi sconvolgimenti, la sinistra sembra senza parole. Il suo riscatto possibile è nel recupero del suo tratto radicale, inteso come capacità di andare alla radice, di restituire nome alle grandi discriminanti che ne definiscono il senso. Dobbiamo sporcarci le mani, sfidare il "cuore di tenebra" che rischia di sostituire l’ordine alla libertà, la privazione alla gioia, la vendetta alla fraternità. Per me, che di cultura garantista sono sempre stato, stare dalla parte di quelli che "non portano consenso" vuol dire abbracciare gli ideali di eguaglianza che mi convinsero a impegnarmi in politica. Presi parte e voglio continuare a farlo guardando gli occhi dei reclusi, per combattere con loro contro le mille sbarre che ci dividono dalla libertà. Giustizia: siamo e restiamo garantisti… e buon 2014! Di Piero Sansonetti Gli Altri, 28 dicembre 2013 Il 2013 è stato l’anno della vittoria dei giudici su Berlusconi, dopo una guerra, con fasi alterne, durata circa 20 anni. La posta era alta. Berlusconi voleva riformare la giustizia, e togliere potere ai giudici; i giudici volevano spedire in prigione Berlusconi. Ci sono riusciti. Recentemente il professor Alfonso Stile, eminente studioso di diritto penale, ha definito Berlusconi - in modo, credo, assai felice - la prima "vittima non innocente" di una macchinazione giudiziaria. La fine della guerra tra il cavaliere e la magistratura dovrebbe avere un effetto positivo: quello di ripulire dall’"effetto-caimano" la lotta politica e culturale tra giustizialisti e garantisti. Questa lotta - che vede una piccolissima pattuglia di garantisti rifiutare la resa, di fronte alla schiacciante superiorità numerica, giornalistica, economica e politica degli avversari - è stata una costante del dibattito politico degli ultimi due decenni ed ha letteralmente sconvolto la mappa della politica italiana, mescolando e spesso ribaltando le posizioni di destra e sinistra. La sinistra italiana è uscita culturalmente sfregiata da questa battaglia ed ha accettato una posizione di subalternità nei confronti del giustizialismo e del moralismo (persino sessuale), spesso con entusiasmo, talvolta come male necessario e minore. Per capire la realtà di oggi basta dare un’occhiata ai giornali di questi ultimissimi giorni dell’anno: l’annuncio di un provvedimento di aumento degli sconti di pena per i detenuti ha provocato una sollevazione di una parte dell’opinione pubblica, guidata da quella che ormai è considerata l’ala più avanzata e "pura" della sinistra italiana: l’asse Grillo-Travaglio-Santoro. Attenzione: stavolta Berlusconi c’entra poco. Il provvedimento del governo gli servirà appena appena ad una diminuzione di pena di un paio di mesi, ma questo sconto sarà sottoposto comunque alla decisione del tribunale di sorveglianza, dunque al potere della magistratura. Recentemente ho partecipato, in Aspromonte, ad un bel dibattito sul tema giustizia, insieme al Pm napoletano John Woodcock e al procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Il procuratore di Reggio mi è sembrato una persona seria, ragionevole, aperta alla discussione e sicuramente di forte tempra morale (e nessuno può mettere in discussione le sue ottime doti di investigatore che ha raso al suolo la camorra dei casalesi). A un certo punto della discussione, De Raho ha espresso una sua convinzione che è questa: "La giustizia deve essere a disposizione dei deboli, perché i forti non ne hanno bisogno". La sua frase è testuale, e io - forzandola appena - provo a tradurla così: "la giustizia sia forte coi forti e indulgente coi deboli". Idea che trovo affascinante e molto nobile. È una idea, per così dire, "etica", che si contrappone all’etica della sopraffazione o anche, più semplicemente all’"etica del mercato". E tuttavia il limite della posizione di De Raho sta esattamente in questa sua bellissima convinzione di tipo morale. Perché? Perché De Raho, come la gran parte dei magistrati e anche degli intellettuali di sinistra, fa coincidere etica e giustizia. E questa certezza di coincidenza è esattamente l’elemento che sgretola lo Stato di Diritto e pone le fondamenta per lo Stato Etico. Lo Stato Etico può essere solo autoritario. Non si tratta di contestare il principio etico di De Raho (che a me piace) si tratta di negare la possibilità che etica e giustizia possano allearsi o addirittura sovrapporsi. Se l’etica si sovrappone alla giustizia, nasce il regime. L’etica può avere a che fare con la politica, mai con l’amministrazione della giustizia. Anche perché bisognerebbe poi stabilire che è il titolare dell’etica, e cioè qual è il potere che la esprime. Durante il fascismo il potere era il fascismo. Nel Cile di Pinochet era Pinochet. E durante il comunismo sovietico era il partito, o i capi del partito, o "il" capo del partito. Il regime non nasce da un’etica cattiva. Qualunque etica, se si fa potere, se diventa assoluta e insindacabile, realizza il regime. Queste considerazioni un po’ confuse che ho scritto sono il filo conduttore del lavoro che questo giornale sta svolgendo ormai da quasi cinque anni. Tra mille difficoltà, ostracismi, condanne, irrisioni. Noi siamo persuasi che oggi la battaglia per il ripristino della stato di diritto sia la battaglia fondamentale da combattere. Se non si vince questa battaglia, allora vince l’idea della sopraffazione e la legge dei rapporti di forza. Non si illuda nessuno: i rapporti di forza, per definizione, sono sempre a vantaggio del più forte. Senza lo Stato di diritto, il debole è sottomesso e vessato. La battaglia per lo Stato di diritto si può condurre solo assumendo il punto di vista "garantista" come le colonne di Ercole. Garantismo vuol dire rifiuto dell’emergenza, rifiuto dell’insindacabilità del potere, difesa dell’innocenza, difesa delle opinioni dell’avversario, rifiuto della superiorità dell’etica, rifiuto dei linciaggi e delle condanne popolari, contestazione del potere giudiziario. Leggete le pagine che seguono e troverete molti spunti in questa direzione. Sono un po’ il riassunto di questi nostri cinque anni di fatica. E sono il punto di partenza per ricominciare la battaglia politica, intellettuale e giornalistica. Giustizia: Manconi; i diritti civili? capricci borghesi, la sinistra non è stata mai garantista Intervista a cura di Nanni Riccobono Gli Altri, 28 dicembre 2013 Questa intervista è stata realizzata a ridosso della Giornata internazionale contro la tortura, nel giugno scorso. che in Italia cade ancora in un vuoto legislativo assurdo e colpevole che rende tutti i cittadini potenziali vittime della violenza e brutalità delle forze dell'ordine, come i tanti casi noti e meno noti hanno dimostrato. Ma con il parlamentare Pd Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto" che ha redatto e presentato un disegno di legge sulla tortura, parliamo di tante cose. Perché in Italia non è ancora stata approvata una legge che introduca nel codice penale la tortura come reato? Per un motivo molto semplice, per lo scarso garantismo della società, dei partiti e della classe politica in generale. La sinistra una volta era garantista... No, questo non è storicamente esatto. Il fondamento del garantismo sono i diritti individuali della persona e la sinistra nasce invece investendo le sue energie e le sue risorse nella difesa delle garanzie sociali e dei diritti collettivi. Si trattava in qualche modo di una necessità, perché le masse subalterne erano prive di difese rispetto ai bisogni più elementari. Ma di fatto ciò ha creato una cultura poco attenta ai diritti individuali. Però c'è stata una stagione garantista della sinistra. La sinistra comincia a diventare garantista alla fine degli anni Sessanta per il contributo dì figure meno ortodosse, penso a Umberto Terracini per il Pei, a Riccardo Lombardi per il Psi. E subisce sia l'influenza dei movimenti collettivi studenteschi della fine degli anni Sessanta che delle torsioni autoritarie che il sistema legislativo e quello autoritario adottano nei confronti dell'insorgenza sociale. Forte è stata la spinta in questo senso del Partito radicale e di alcune componenti socialiste e liberali che immettono nella cultura politica della sinistra elementi di garantismo. Eppure i costituenti avevano concepito il comma 4 dell'articolo 13: "È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà". Ma erano i costituenti, tra i quali si intrecciavano molte culture, non la sinistra. Comunque io non parlo di questo ma di quelle che sono le culture politiche e, se vogliamo, il senso comune. Non a caso negli anni Settanta i diritti individuali vennero sottovalutati e addirittura guardati con diffidenza e sospetto a sinistra, perché erano diritti propri della borghesia, che "se li poteva permettere" perché aveva la pancia piena. Basta pensare all'atteggiamento del Pci nei confronti del divorzio: faticò non poco per comprendere il carattere popolare di quella battaglia. Una parte del gruppo dirigente del Pci e una parte del ceto intellettuale guardavano al divorzio quasi fosse una ubbia borghese. Dopo di che il ventennio berlusconiano sembra aver spento ogni scintilla garantista a sinistra... No, definiamo la giusta traiettoria, altrimenti non si capisce niente. E cioè: la cultura della sinistra non nasce affatto garantista e questa bandiera viene portata avanti, negli anni Ottanta, da indipendenti come Stefano Rodotà, più che venire assunta nella cultura e nel corpo del partito. Poi c'è il ventennio berlusconiano in cui la mancanza di cultura garantista si irrigidisce. Ma la situazione non è peggiorata per questo. La scarsa attenzione ai diritti individuali era già una realtà. Ora com'è la situazione? Un mese fa lei ha presentato il disegno di legge sulla tortura. Che fine farà? Nel momento attuale gli ostacoli maggiori li vedo nel centro destra più che nel centro sinistra. Oggi le resistenze all'approvazione di quel disegno di legge vengono più da quella parte. C'è un residuo di moderatismo consumato, perché si pensa che le forze dell'ordine debbano essere sottratte ad un controllo dell'opinione pubblica e della magistratura. È una concezione obsoleta del ruolo degli apparati dello Stato. Parliamo anche di carceri, che per le condizioni in cui vivono i detenuti avvicinano l'argomento alla tortura. Lei invece è d'accordo con questi provvedimenti ed ha fatto una ulteriore proposta molto innovativa. Certo che penso siano necessari amnistia e indulto, ho presentato un disegno di legge su questo. Attualmente questo fronte è ultra minoritario nonostante da cinque anni vengano esibiti i risultati della ricerca che stiamo facendo sugli esiti dell'indulto del 2006. È dimostrato che tra i beneficiari dell'indulto la recidiva è esattamente la metà della recidiva tra coloro che hanno scontato regolarmente la loro pena. Clamoroso. Amnistia e indulto, previsti dalla Costituzione, sono provvedimenti eccezionali, ma la situazione è eccezionale. Non si può neanche ragionare su come riformare il sistema carcerario se l'emergenza è quotidiana. L'altro disegno di legge che ho presentato è sul numero chiuso. Questa idea è passata dal venir considerata scandalosa, utopistica ed indecente al vaglio dei tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano. L'idea è che se tu devi entrare in carcere ma il tuo ingresso non è previsto dal "numero chiuso", vai su una lista d'attesa e sconti intanto la pena ai domiciliari. È naturale che ci vuole ragionevolezza, che soggetti socialmente pericolosi devono essere esclusi da quest'opportunità e così via ma si tratterebbe di un provvedimento ragionevole ed efficace. Giustizia: il decreto-carceri è un primo passo, ben venga il bracciale di Nadia Campanello Giovanni Mastrobuoni Il Piccolo, 28 dicembre 2013 Nell’affrontare il problema carcerario è da considerare il principio della selezione dei criminali meno pericolosi e meno propensi a essere recidivi, quando si modificano i flussi in entrata e in uscita dal carcere con l’obiettivo di ridurre il sovraffollamento. Il comunicato stampa numero 41 del governo del 17 dicembre 2013 sembra indicare che il decreto svuota-carceri vada proprio in questa direzione quando sostiene che "si vuole quindi intervenire con l’obbiettivo di diminuire, in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero delle persone ristrette in carcere". Risulta coerente con questa impostazione la scelta di attenuare le pene per i reati legati allo spaccio di modeste quantità di stupefacenti. Aumenta anche lo sconto di pena in caso di buona condotta, mentre si eleva la soglia degli anni di carcere in relazione alla quale è ammessa la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale. Poi ci sono misure atte ad aumentare l’utilizzo delle espulsioni dei detenuti extracomunitari. Il decreto prevede inoltre che l’uso del braccialetto elettronico, oggi limitato soltanto agli arresti domiciliari, venga esteso ai casi di affidamento in prova al servizio sociale, di permessi premio e di lavoro all’esterno della struttura carceraria. Una misura, questa, che rappresenta una grossa novità rispetto al passato e che si spera possa ridurre il divario tra l’Italia e gli altri Stati dell’Unione Europea che adottano con successo la sorveglianza telematica da qualche anno, mentre oggi nel nostro paese i detenuti con il braccialetto elettronico pare siano meno di dieci. L’utilizzo del braccialetto elettronico sarà, naturalmente, a discrezione dei giudici. Vale tuttavia la pena di ricordare che ad esempio in Gran Bretagna l’uso della sorveglianza telematica ha permesso la scarcerazione anticipata di un terzo dei detenuti. Per di più, con questo strumento, ai detenuti che hanno l’obbligo di permanenza domiciliare solo tra le 7 di sera e le 7 del mattino, viene data l’opportunità di lavorare, il che rappresenta un efficace deterrente al crimine. Inoltre, la possibilità di tracciare gli spostamenti del detenuto grazie al sistema di sorveglianza Gps del braccialetto elettronico rende alquanto rischiosa la scelta di commettere un’attività criminale. Due recenti studi mostrano che l’utilizzo del braccialetto elettronico riduce la recidiva di circa la metà. Il decreto "svuota-carceri" riuscirà a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario? È difficile, per non dire impossibile. Tuttavia, pensiamo che sia un bene che il decreto non sia risolutivo. Non esistono, infatti, provvedimenti che possano risolvere in toto l’annosa questione delle carceri italiane in maniera allo stesso tempo repentina e durevole. Indulti e amnistie risolvono il problema del sovraffollamento solo nel breve periodo e comportano gravi danni alla società. Il governo deve, a nostro avviso, evitare l’utilizzo di strumenti emergenziali e favorire, invece, riforme di lungo periodo come quelle presentate nel decreto. Al decreto svuota-carceri, che modifica i flussi in entrata e in uscita dal carcere, occorre però affiancare altri provvedimenti, come i piani di reinserimento dei detenuti per ridurne la recidiva e i progetti di edilizia penitenziaria. Giustizia: Cancellieri; migliorare condizioni dei detenuti è l’obiettivo per 2014 La Presse, 28 dicembre 2013 "Tra gli impegni prioritari del governo per il prossimo anno c’è l’obbligo di garantire detenzioni carcerarie più umane poiché tra gli obblighi che Bruxelles ci impone è che il detenuto possa avere gli strumenti per potere scontare la pena in modo da emendarsi, di formarsi e trovare un lavoro". Così il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri intervenuta questa mattina su Rai Radio 1 nella trasmissione "Prima di Tutto". "Noi siamo già molto avanti sulle riforme sociali e sul modello di detenzione del detenuto", ha proseguito il ministro, che entro i primi sei mesi del 2014 prevede "il completamento dei provvedimenti che riguardano il trattamento, la qualità della vita, le ore di aria e la possibilità di fare anche attività: nel carcere abbiamo ampliato perché questi valori c’erano ma erano minimi invece noi li abbiamo portati alla quasi totalità dei detenuti. La grande sfida è il lavoro. Il lavoro e la formazione. Su questo un grandissimo cambiamento è già avviato, io sono già stata a Strasburgo e sono molto soddisfatta di quello che stiamo facendo". Sul cosiddetto "decreto svuota carceri" il ministro Cancellieri ha puntualizzato che "in realtà non è un provvedimento che svuota le carceri. Piuttosto un alleggerimento che colpisce come un bisturi due settori particolari e li colpisce in un senso assolutamente umanitario. Mi riferisco alla possibilità di chi è tossico dipendente di usufruire di cure di disintossicazione con più facilità di quanto non fosse stato finora e degli extra comunitari che potranno con maggiore facilità essere ricondotti al loro paese di provenienza". Tra le novità che troveranno compimento nel prossimo anno spicca l’istituzione del garante nazionale dei diritti dei detenuti, provvedimento accolto con favore nel mondo carcerario. "Era attesa da anni nei diversi disegni di legge e e questo da la possibilità, a chi non ne ha, di farsi sentire - ha commentato Cancellieri - è una cosa che dà ai detenuti una voce in più e la possibilità di esprimere il proprio disagio, la loro sofferenza". Vera sfida per detenuti lavoro e formazione "Tra gli impegni prioritari del governo per il prossimo anno c’è l’obbligo di garantire detenzioni carcerarie più umane poiché tra gli obblighi che Bruxelles ci impone è che il detenuto possa avere gli strumenti per potere scontare la pena in modo da emendarsi, di formarsi e trovare un lavoro". Così il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri intervenuta questa mattina su Rai Radio 1 nella trasmissione "Prima di Tutto". "Noi siamo già molto avanti sulle riforme sociali e sul modello di detenzione del detenuto- ha proseguito il ministro- che entro i primi sei mesi del 2014 prevede il completamento dei provvedimenti che riguardano il trattamento, la qualità della vita, le ore di aria e la possibilità di fare anche attività: nel carcere abbiamo ampliato perché questi valori c’erano ma erano minimi invece noi li abbiamo portati alla quasi totalità dei detenuti. La grande sfida è il lavoro. Il lavoro e la formazione. Su questo un grandissimo cambiamento è già avviato". Giustizia: Associazione Nazionale Magistrati; bene interventi su carceri e diritto civile Affari Italiani, 28 dicembre 2013 L’Anm, in merito alle riforme proposte dal Consiglio dei ministri in tema di esecuzione penale e di processo civile, apprezza lo sforzo di intervenire con misure concrete su alcuni degli aspetti di maggiore criticità. In attesa di poter esprimere un parere compiuto nel momento in cui saranno resi pubblici i testi ufficiali, formula, sulla base delle notizie finora diffuse, alcune prime osservazioni. Quanto alle misure incidenti sulla fase dell’esecuzione penale, considerata la situazione di emergenza in cui versano le carceri, le proposte vanno incontro alle indicazioni che provengono dall’Europa e, almeno in parte, ai suggerimenti dell’Anm: così, ad esempio, l’ampliamento dei casi di espulsione dei detenuti non appartenenti alla Ue e la trasformazione delle ipotesi di spaccio lieve in fattispecie autonoma di reato. Parere positivo va espresso anche sulla trasformazione in misura permanente della detenzione domiciliare negli ultimi 18 mesi di espiazione, previsione già introdotta in via transitoria dalla legge 199/2010, e sull’ampliamento dei poteri del magistrato di sorveglianza (rafforzamento del reclamo in materia disciplinare, attribuzione allo stesso magistrato di sorveglianza del giudizio di ottemperanza, potere del magistrato di applicare in via provvisoria l’affidamento in prova, di cui si prevede, fra l’altro, l’estensione a quattro anni). Peraltro, a fronte delle accresciute competenze della magistratura di sorveglianza, dovrà porsi il problema dell’incremento delle relative risorse. Corretto è, inoltre, l’intervento diretto da un lato a semplificare la procedura dinanzi al magistrato di sorveglianza (procedimenti in camera di consiglio in materia, ad esempio, di remissione del debito, rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie), dall’altro ad ampliare, viceversa, i suoi poteri di intervento in materia di tutela dei diritti delle persone detenute. Apprezzabile anche l’istituzione del Garante dei detenuti. Quanto alla liberazione anticipata speciale, che, con effetto retroattivo al gennaio 2010, aumenta a 75 giorni la misura della riduzione di pena per ogni semestre di espiazione, previa valutazione di meritevolezza da parte del magistrato di sorveglianza, si tratta di intervento che può trovare giustificazione solo in via transitoria - così come previsto - alla luce della straordinaria gravità della situazione carceraria. Le misure proposte offrono, però, solo parziale risposta all’attuale critica condizione delle carceri, sicché resta ferma la necessità degli ulteriori interventi strutturali già indicati dall’ANM, che dovrebbero toccare anche la quantità delle strutture detentive e la qualità del trattamento. Quanto al processo civile, il cui snellimento è con forza richiesto dalle Istituzioni europee, vanno incontro alle proposte da tempo elaborate dall’Anm le misure dirette a estendere agli obblighi di fare fungibile le astreintes (cioè la possibilità di imporre il pagamento di una somma di denaro per il caso di violazione nell’esecuzione dei provvedimenti di condanna), oggi previste dall’art. 614 bis cpc per gli obblighi di fare infungibile; ad agevolare la ricerca dei beni da pignorare da parte dell’ufficiale giudiziario; a consentire al giudice, in casi determinati, il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione. È anche apprezzabile la previsione dell’espletamento di una consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, diretta a quantificare il danno con riguardo a specifiche materie di contenuto spiccatamente tecnico. In linea generale, si condivide la scelta di realizzare forme di semplificazione processuale; quanto, in particolare, alla facoltatività della motivazione estesa della sentenza (che attinge all’esperienza di ordinamenti stranieri), in attesa di conoscere il testo ufficiale del disegno di legge, non può però tacersi qualche perplessità circa la compatibilità fra quella previsione e l’art. 111 della Costituzione, soprattutto con riferimento alle sentenze di maggiore complessità e ai casi in cui manchino indirizzi interpretativi consolidati nella giurisprudenza di legittimità. Se vanno accolti con favore i tentativi di scoraggiare l’abuso del processo, deve tuttavia esprimersi parere senz’altro contrario in ordine alla previsione di una responsabilità solidale del legale con la parte soccombente per il caso di lite temeraria, previsione che tradisce un pregiudizio negativo, contrasta col carattere professionale della prestazione legale e confonde la posizione dell’avvocato con quella della parte assistita. Si osserva, inoltre, che mancano significativi interventi in materia di impugnazioni e di arretrato; misura di dubbia legittimità ed efficacia è la previsione di un giudice monocratico di appello per le cause di pendenza superiore al triennio. In conclusione, va rilevato che gli interventi di riforma andrebbero inseriti in un piano organico, strutturalmente volto a ridurre le pendenze arretrate e a contenere le sopravvenienze. Giustizia: la scommessa dei permessi favorisce il reinserimento di Lucia Castellano Il Sole 24 Ore, 28 dicembre 2013 Al di là dei più recenti casi di cronaca il sistema riesce nell'abbattimento della recidiva. L'evasione di Bartolomeo Gagliano resa possibile da un permesso premio ha scatenato comprensibile paura e perplessità nell'opinione pubblica, considerato il nutrito curriculum criminale del soggetto. Notevole, di conseguenza, la soddisfazione alla notizia della sua cattura. Gagliano era stato arrestato per omicidio, dichiarato non imputabile per incapacità d'intendere e volere e rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario. La misura di sicurezza, a differenza della pena, viene irrogata a soggetti dichiarati incapaci di intendere e volere al momento della commissione del fatto, ma socialmente pericolosi. La durata è legata alla condizione di pericolosità sociale del soggetto, accertata dagli psichiatri; la pena, invece, ha un'inizio e una fine. Nel 2002, quindi, la misura di sicurezza viene revocata perché la pericolosità sociale viene dichiarata cessata. Gagliano viene rimesso in libertà e resta libero fino al 2006, quando viene nuovamente arrestato per altri reati. Questa volta, riconosciuto capace d'intendere e volere, viene condannato a una pena detentiva, con termine nell'aprile 2015. Il nostro ordinamento prevede che la pena detentiva venga, gradualmente e con il monitoraggio costante delle istituzioni, scontata sul territorio. Attraverso i permessi premiali, il lavoro all'esterno del carcere, la semibilibertà e l'affidamento ai servizi sociali, il condannato si riappropria gradualmente della propria libertà e le istituzioni ne testano la capacità di "tenuta" rispetto alla vita libera e conforme alle regole. Questo sistema, come dimostrano le statistiche, funziona, perché abbatte la recidiva dal 67 al 12% per chi sconta la pena usufruendo di misure alternative rispetto a chi esce a "fine pena". Viene utilizzato, però, per un numero di detenuti molto inferiore agli aventi diritto, per l'obiettiva difficoltà a trovare un lavoro e una casa. Ma anche a causa della pavidità delle istituzioni rispetto alla scommessa che, ogni volta che si concede una misura alternativa al carcere, si realizza con il detenuto e con la società esterna. Scommessa, quasi sempre vinta. Nel 2010 sono stati concessi 19.622 permessi premio, con 38 casi di mancato rientro. Nel 2012 i mancati rientri sono stati 52, su 25.275 concessioni. Questi numeri testimoniano che i detenuti sono capaci di rispondere positivamente alle offerte di reinserimento sociale. Ma torniamo al caso Gagliano. Il suo percorso detentivo in-tramurario è costantemente seguito da interventi di sostegno. E da richieste di permessi premiali, rigorosamente rigettate dal magistrato di sorveglianza, per la pregressa storia del soggetto, che fa presumere pericolosa la sperimentazione dell'uscita dal carcere. Fino ad agosto 2013, data del primo permesso premiale. Otto ore di libertà, accompagnato dal cappellano, con obbligo di visita al servizio di salute mentale. Perché? Probabilmente, perché Gagliano ad aprile del 2015 sarebbe uscito in libertà, da solo, con il suo carico di pericolosità da distribuire alla società esterna. Il magistrato si è preoccupato allora di costruire, nell'ultimo anno di detenzione, un percorso di preparazione alla libertà. Secondo permesso, qualche ora in più obbligo di accompagnamento e di visita al servizio. Gagliano scappa. Sarebbe stato più grave se il tentativo non fosse stato effettuato. Se l'autorità giudiziaria avesse aspettato l'ultimo giorno di pena per farlo uscire. Solo e pericoloso. Il magistrato e l'amministrazione penitenziaria si sarebbero risparmiati una grana rnediatica. L'ex condannato libero, avrebbe potuto commettere un altro delitto efferato. Invece è scappato durante un tentativo di contenerne la pericolosità. Purtoppo è questa l'unica notizia a seminare il panico. Ma è bene che i cittadini sappiano che il carcere, da solo, non può faccela a garantire l'esclusione dei soggetti pericolosi. Giustizia: dall’8 gennaio il piano di riforma delle carceri in Aula alla Camera Agi, 28 dicembre 2013 I lavori dell’Aula della Camera riprenderanno l’8 gennaio con l’esame del dl "destinazione Italia" e del piano di riforma delle carceri. Le eventuali pregiudiziali dovranno essere presentate entro il 3 gennaio. A seguire ci sarà l’esame della mozione M5S sulle pensioni d’oro. È quanto è emerso dalla conferenza dei capigruppo. All’attenzione dell’assemblea quindi ci sarà il ddl sulle misure cautelari personali, come chiesto da Pd e Ncd, e la mozione sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari, come chiesto dalla Lega. Messina (Idv): amnistia e indulto non sono soluzione, meglio depenalizzare reati minori 9Colonne, 28 dicembre 2013 "Noi dell’IdV diciamo sì alla ricerca di soluzioni condivise ma no all’amnistia e all’indulto. Riteniamo, infatti, che queste non siano la soluzione al problema delle carceri italiane, ma che rappresentino, piuttosto, delle misure volte a risolvere solo temporaneamente il sovraffollamento degli istituti penitenziari del nostro Paese". È quanto dichiara Ignazio Messina, segretario nazionale dell’Italia dei Valori, ai microfoni di Radio Radicale. "Depenalizzazione dei piccoli reati, utilizzo delle strutture già costruite e mai adoperate, estensione dei benefici per buona condotta, vendita di numerosi beni confiscati alla mafia, utilizzando il ricavo per la realizzazione di ulteriori strutture, assunzione di nuova forza lavoro e miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. Sono queste - spiega Messina - le proposte concrete dell’IdV, in riferimento al problema del sovraffollamento carcerario in Italia". "In un Paese civile non è tollerabile che la polizia penitenziaria sia sotto organico di oltre cinquemila unità e che non abbia i mezzi per poter operare", conclude Messina. Avellino: porta hashish ad un detenuto, ma viene scoperto dal cane antidroga Ansa, 28 dicembre 2013 Si è conclusa con il fermo di un giovane napoletano di 21 anni, un’operazione antidroga svolta dagli uomini del Nucleo Regionale Cinofili Antidroga della Campania, presso il penitenziario di Ariano Irpino. Il fermo in flagranza del reato di detenzione ai fini si spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish, del giovane proveniente dai quartieri spagnoli è avvenuto con l’ausilio di Hanja bellissimo esemplare di pastore tedesco grigio, in servizio presso il Distaccamento Cinofili Antidroga di Avellino. Grazie proprio alle abilità operative del cane antidroga Hanja ed alla professionalità del suo partner, lo spacciatore è stato posto a disposizione della Procura della Repubblica di Benevento già dalle prime ore del mattino. Viva soddisfazione è stata espressa dal Direttore della Casa circondariale del tricolle e del Comandante di Reparto dell’Istituto Irpino e dall’Isp.re Nicola Limone. Messina: Movimento 5 Stelle organizza raccolta di libri e fumetti per i detenuti www.24live.it, 28 dicembre 2013 Il Movimento 5 Stelle di Barcellona Pozzo di Gotto organizza una raccolta di libri e fumetti per i detenuti del Carcere di Messina Gazzi. L’appuntamento è per domenica 29 dicembre 2013, in Piazza S. Sebastiano (di fronte alla Villa Oasi), dalle ore 11 alle ore 20. La scelta di indire una raccolta per potenziare il fondo librario della Casa circondariale è conseguente alla visita del Portavoce Nazionale Alessio Villarosa presso l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e le carceri di Messina e Giarre. Gli attivisti si son fatti pertanto carico di fornire del materiale di lettura per i detenuti della struttura detentiva messinese. Il M5S invita i cittadini barcellonesi a donare libri, fumetti, pubblicazioni anche di vecchia data. Nell’occasione verranno inoltre diffusi alcuni video relativi alle attività parlamentari nazionali e sarà disponibile una cassetta postale all’interno della quale i cittadini potranno inserire suggerimenti, commenti e segnalazioni. Sarà presente il Portavoce Nazionale Alessio Villarosa. Napoli: il Cardinal Sepe a pranzo con gli internati nell’Opg "non siete soli" Ansa, 28 dicembre 2013 Hanno storie difficili alle spalle, disturbi psichici più o meno grandi, a seconda dei casi, che li hanno portati a diventare internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano, a Napoli. Sono in tutto 96 i detenuti nella struttura che, stando alla riforma, dovrebbe chiudere il prossimo 31 marzo. Per loro la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato anche quest’anno il pranzo di Natale al quale ha preso parte il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli. "Una consuetudine che è una bella occasione per stare con loro - ha commentato il presule - vogliamo far capire loro che non sono soli e con la Comunità di Sant’Egidio rinnoviamo un gesto di solidarietà che porta speranza". Quest’anno, tra gli ospiti del pranzo anche Ernesto Esposito, direttore sanitario della Asl Napoli 1 che dovrà prendersi cura degli internati quando le strutture chiuderanno. "Ci stiamo attrezzando e stiamo predisponendo dei locali dove prestare loro assistenza - ha detto - Abbiamo avviato il recupero di parte dell’ospedale Gesù e Maria che sarà destinata ad accogliere gli internati che hanno la residenza a Napoli". Catanzaro: Teatro 6 porta la commedia "Facimu sta prova" nel carcere www.infooggi.it, 28 dicembre 2013 Teatro 6 ha rappresentato la divertente commedia dal titolo "Facimu sta prova" nel carcere di Catanzaro. Emozioni e divertimento sono stati gli ingredienti di un pomeriggio trascorso insieme ai giovani detenuti del carcere di Siano. La compagnia teatrale, conosciuta con il nome di Teatro 6 e diretta da Mario Sei ha varcato le soglie della casa circondariale per regalare due ore di spensieratezza nel bel teatro che si trova all’interno del penitenziario. Grande trasporto, tanto divertimento e tanta emozione per la risposta che i detenuti hanno dato ed espresso in termini di applausi, risate a crepapelle ed anche grande apprezzamento per l’iniziativa. L’Amministrazione comunale di Catanzaro, su impulso del consigliere Luigi Levato, ha fin da subito sposato l’idea di portare una commedia divertente oltre le sbarre. Grande soddisfazione espressa da parte dei vertici del carcere, in particolare parole di apprezzamento espresse da parte della Direttrice del carcere, la Dr.ssa Paravati che insieme ai detenuti ed insieme agli agenti, ispettori ed educatrice (Dr.ssa Di Filippo) ha voluto in prima persona assistere - divertendosi tantissimo - alla rappresentazione in dialetto calabrese, ideata e diretta da Mario Sei. Il Direttore ha ringraziato il Comune di Catanzaro per aver voluto offrire ai detenuti del carcere cittadino un’occasione di distrazione in un momento, quello delle festività natalizie, in cui la lontananza dalle famiglie si fa sentire in maniera più pregnante. La detenzione, conseguente agli errori commessi, non deve essere solo afflizione ma anche momento di riflessione e di crescita dove anche un sorriso può contribuire al rispetto della dignità umana che non deve essere mai calpestata. Circa una settantina di detenuti hanno assistito alla rappresentazione che è una sorta di commedia nella commedia e che racconta la storia di una regista italo-argentina che torna in Italia con il suo vecchio padre per preparare le scenografie e soprattutto comporre un cast in grado di volare oltreoceano. Lo scopo della regista (sulla scena) è far vedere agli italiani all’estero cosa significasse negli anni 40 lasciare la propria terra in cerca di fortuna, di un lavoro, di un sogno. La commedia, che ha ottenuto il premio della critica nel 2012 a livello regionale è davvero tanto divertente ma regala anche emozioni particolari quando l’anziano padre della "regista" racconta la sua storia di emigrazione avvenuta tanti anni prima. A rendere il tutto molto divertente due operai sui generis incaricati dalla regista alla preparazione delle scenografie e poi un maldestro attore che fa letteralmente impazzire la regista. Bravi tutti gli altri attori che ruotano intorno ai protagonisti principali con grande disinvoltura. I detenuti hanno riso tanto ed hanno ascoltato con particolare attenzione i momenti più profondi della rappresentazione, la sensazione percepita è che per due ore si sono sentiti "liberi" e spensierati. Questo era lo scopo dei vertici del carcere e degli organizzatori e pare che la sperimentazione sia riuscita perfettamente. Mario Sei, autore e regista di questa commedia, il quale ha frequentato proprio un corso sul teatro sociale ha precisato che queste esperienze contribuiscono ad arricchire tutti, attori e detenuti indistintamente. Al di là del grande successo, del divertimento che Teatro 6 ha regalato ai detenuti certamente resterà indelebile il ricordo di queste due ore in cui ci si è condivisa un’esperienza che resterà viva in tutti coloro che vi hanno preso parte. Immigrazione: Cie Ponte Galeria peggio del carcere, vi racconto la mia visita di Giacomo Russo Spena www.huffingtonpost.it, 28 dicembre 2013 "Qui è peggio del carcere. Scrivilo questo. Scrivilo". Ventenne, magrebino, magro di corporatura. Le sue parole sono concitate. Gli occhi rabbiosi. Non è il solo ad avvicinarsi. In molti manifestano il desiderio di relazionarsi con l’esterno per denunciare la realtà che vivono. "È una vergogna, siamo rinchiusi in un lager e trattati come bestie", dice un altro mostrandoci una stanza diroccata. I muri anneriti lasciano ancora tracce della protesta di febbraio scorso, quando scoppiò una vera e propria rivolta: molte camerate, come gesto di protesta, furono incendiate. Alla fine le forze dell’ordine intervennero per sedare il tumulto e arrestarono 15 persone. Benvenuti nel Centro d’Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria di Roma. Chi scrive l’ha ispezionato recentemente spacciandosi per assistente di una parlamentare. Per i giornalisti è infatti difficile ottenere il permesso per una visita. Come per le carceri: meglio non raccontare e far sapere pubblicamente la disumanità di tali luoghi. Siamo a Parco Leonardo, all’estrema periferia della Capitale. Intorno il deserto. Vicino ad una caserma dei carabinieri sorge il Cie, uno dei 13 centri presenti sul territorio italiano. Può ospitare fino a 180 persone, è diviso in due bracci: femminile e maschile. La detenzione per i migranti può arrivare ad un massimo di 180 giorni, la media è 4-5 mesi. Al momento nel Cie sono rinchiusi 69 uomini e 36 donne. L’ispezione inizia proprio dal braccio femminile. A guidare la visita una rappresentante della prefettura e alcuni operatori della Auxilium, la cooperativa che ha vinto l’appalto per la gestione del centro. Si supera una porta, poi un cancello. Poi ancora una seconda porta. Evadere è molto difficile: 13 militari e 15 uomini della questura si preoccupano di vigilanza e controllo. Ogni braccio è diviso in moduli ed ogni modulo composto da due stanze comunicanti e un bagno. La composizione delle camere è in base al criterio etnico, per evitare violenze e scontri tra loro. Le condizioni igieniche sono precarie pur non esistendo - come per le carceri - il problema del sovraffollamento. Alle 22 di sera si spengono le luci nella struttura: si impone di andare a dormire. Oltre alle stanze, ogni modulo, ha uno spazio esterno perimetrato da un alto cancello con spuntoni e filo spinato. Di fatto, una gabbia a cielo aperto. Le donne - quasi tutte provenienti dall’Africa Nera - passano il tempo davanti la televisione e a letto. Con loro non possono avere né forbicine né altri materiali pericolosi o contundenti. "Per paura che compiano gesti di autolesionismo" spiega un mediatore culturale, sette in totale nella struttura. Presente anche una psicologa. Nel braccio femminile si può usufruire di visite specialistiche - sotto richiesta - ed esistono attività gestite da differenti associazioni e cooperative esterne. La Bee Free si occupa di intraprendere un percorso di genere con le recluse, il Centro Astalli lavora sulle richiedenti asilo, la comunità di Sant’Egidio e la Usmi, suore, danno conforto spirituale. "Possiamo chiudere qui la visita, se volete. Il braccio maschile è come quello femminile", ci viene detto. Rifiutiamo e continuiamo la nostra ispezione. E se la sezione donne aveva lasciato qualche perplessità, quella maschile lascia esterrefatti. Un carcere. Sporcizia ovunque. Stanze e bagni distrutti. Materassi a terra. Lenzuola di carta. Appena intravedono il bloc notes e la penna, si avvicinano. Gridano il loro malcontento. Chiedono di uscire. Quasi l’80 per cento proviene dalle carceri dove ha già scontato la pena per il reato commesso. "Dopo la galera - sbraita un altro magrebino (la netta maggioranza) in perfetto italiano - ero convinto di godermi la libertà e invece sono finito nuovamente in cella. Sono tre mesi che sono qui e non so niente del mio futuro". Abbandonati a se stessi. Nell’aria si respira un clima di immensa insofferenza. Intere giornate di reclusione senza nessuna attività di carattere culturale o socio-lavorativa. La loro rabbia si manifesta con gesti autolesionistici (come il caso attuale delle 8 bocche cucite) e sugli oggetti. "Fatichiamo a gestirli e a coinvolgerli in qualsiasi impegno" spiega una responsabile della cooperativa Auxilium, costretta ad ammettere la differenza tra i due bracci: "Le donne sono coinvolte in progetti, con gli uomini non ci riusciamo. Anche l’ora di sport diventa un momento per risse e tensioni". Per sedare gli animi, e non solo, c’è una grande diffusione di psicofarmaci all’interno della struttura. Qualcuno è tossicodipendente. Altri si avvicinano dicendo di essere richiedenti asilo. Vogliono sapere, ignari di tutto, a che punto sia la propria pratica. Vicino ai moduli una piccola cappella e una moschea per pregare. Molto affollata. "Non ci rimane che pregare in Dio e sperare" sussurra un latino americano sull’uscio della chiesetta. Intanto un nigeriano ci invita a far vedere la perdita d’acqua e l’enorme macchia di muffa che rende l’aria irrespirabile nella sua stanza. "Fate qualcosa per noi" le ultime parole ascoltate prima che la porta si chiuda dietro di noi. Sboom. Ispezione terminata. Alla fine si discute di introdurre l’identificazione direttamente in carcere ma forse il problema è più complesso e riguarda la natura stessa dei centri. "È l’Inferno, vogliamo la libertà", ci dicevano. Benvenuti nel Cie di Ponte Galeria. Immigrazione: Cie Roma, finita protesta, in attesa miglioramento condizioni di Luca Laviola Ansa, 28 dicembre 2013 Anche l’ultimo, Yassin, 23 anni, marocchino, ha scucito le labbra che teneva dolorosamente serrate da giorni. Lo ha fatto per evitare infezioni, ma anche per parlare con il console del suo Paese arrivato oggi al Cie di Ponte Galeria. Nel centro di identificazione romano nel pomeriggio c’erano ancora una quindicina di materassi in cortile per protesta contro i tempi troppo lunghi di permanenza e le condizioni di vita. Ma gli oltre 80 ospiti del Cie avrebbero promesso al deputato del Pd Khalid Chaouki, per gli immigrati l’eroe di Lampedusa, di sospendere ogni azione dimostrativa. "In cambio dell’impegno a un miglioramento delle loro condizioni", ha detto il 31enne onorevole di origine marocchina, che asserragliandosi quattro giorni nel Centro di prima accoglienza (Cpa) di Lampedusa ne ha ottenuto lo sgombero. Secondo il senatore del Pd e presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi, invece, "i reclusi continueranno lo sciopero della fame e la protesta dei materassi in cortile". Si vedrà in queste ore. Solo due non hanno mangiato stasera, ha riferito il direttore del Cie. "Bisogna tornare a una permanenza massima di 30 giorni", ha detto Manconi, che sarà di nuovo al Cie a Capodanno per ricevere una lettera per il presidente Giorgio Napolitano. E chiederà un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie per Alì e Alia - "Romeo e Giulietta", i coniugi tunisini reclusi a Ponte Galeria che rischiano la vita se rimpatriati a causa dell’ostilità della famiglia di lei. La donna, che alcuni giorni fa ha tentato il suicidio, ha mostrato alle tv le cicatrici delle sevizie subite. A Ponte Galeria oggi sono tornati anche alcuni parlamentari di Sel. "È peggio di un carcere, dove almeno ci sono spazi di socialità - ha detto Chaouki. Sembra Guantánamo, con gabbie altissime e grate che esasperano la situazione. Gli operatori fanno il possibile e hanno un buon rapporto con i reclusi, ma bisogna subito migliorare le condizioni di vivibilità". Il deputato ha polemizzato anche con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che in una intervista ha difeso la legge Bossi-Fini sull’immigrazione e definito "spacciatori" buona parte dei reclusi di Ponte Galeria che si erano cuciti la bocca. "Alfano vuole aprire la caccia alle streghe", ha detto Chaouki. Il deputato Pd punta alla chiusura dei Cie e dei Cara (Centri per richiedenti asilo) e all’abolizione della Bossi-Fini. Lo ha spiegato a una delegazione di immigrati aderenti ai Movimenti per la casa e antirazzisti ricevuti nella sede del Pd a Roma, mentre un sit-in assediava pacificamente il palazzo. Duecento persone, italiani e stranieri, molti giovani, con manifesti che dicevano ‘Chiudere i lager’. I movimenti cercheranno ora di incontrare il segretario del Pd Matteo Renzi. Intanto le proteste contro i Cie si moltiplicano. A Napoli una cinquantina di manifestanti hanno occupato per alcune ore la sede del comitato campano della Croce rossa italiana, chiedendo di chiudere subito i centri di identificazione. A Bari invece la procura ha disposto accertamenti su alcuni ospiti del Cie dopo i disordini della vigilia di Natale provocati da una trentina di migranti all’interno della struttura. Protestavano per la scarsa qualità dei pasti. Immigrazione: manifestazione per chiusura dei Cie, a Napoli occupata la Croce Rossa www.contropiano.org, 28 dicembre 2013 Mentre siamo in procinto di attraversare uno dei Natali più precari della nostra recente storia esplodono, in forma clamorosa, le proteste e le rivolte dei migranti e dei rifugiati nei Cie e nei Cara di tutta Italia. Dopo le vergognose immagini giunte da Lampedusa con i richiedenti asilo sottoposti a trattamenti visti soltanto nei lager nazisti e la rivolta dei rifugiati a Mineo, ora è la volta di Ponte Galeria dove i migranti stanno dando vita ad una estrema forma di protesta: 9 di loro hanno la bocca cucita (altri 4 sono stati espulsi), mentre circa 40 persone rifiutano il cibo, altri le cure mediche, altri tentano il suicidio. Non sopportano le tremende condizioni di sopravvivenza nella reclusione a cui vengono costretti; non sopportano più, soprattutto, di essere detenuti senza aver commesso alcun reato, per aver scelto di cercare nel nostro paese ed in questa "democratica Europa" un presente ed un futuro migliore. Cos’altro deve accadere per far capire a questa classe politica meschina e corrotta che è ora di cambiare veramente le cose? Il fallimento delle politiche securitarie e di segregazione dei migranti è sotto gli occhi di tutti e di tutte. Quanti migranti ancora devono essere seppelliti nei nostri mari prima che vengano buttati giù i muri di questa Europa fortezza? Quanti migranti devono essere ingiustamente reclusi e sottoposti a trattamenti disumani prima che questi lager vengano definitivamente chiusi? Quanti miliardi di euro devono essere ancora sperperati per garantire un sistema che ha come unico scopo quello di far arricchire le solite associazioni e/o cooperative compiacenti e soprattutto rendere i migranti - non cittadini - ultimo anello della catena della precarietà sia nel lavoro che nella vita? Signori di governo e di partito, non serviranno le vostre false lacrime ed i vostri stupidi proclami a fermare la rabbia e la dignità di chi vuole rompere queste becere catene. Non riuscirete a piegare le lotte dei migranti e dei rifugiati dentro e fuori le mura e le cancellate dei Cara e dei Cie. Non riuscirete ad abbagliare e fermare un movimento che sa bene chi sono i responsabili di tutto questo. Il problema è la legge Bossi-Fini, certo, ma anche legge Turco-Napolitano. I governi di centro-destra hanno pesantemente peggiorato un sistema legiferato e costruito dai governi di centro-sinistra. Non si chiamavano Cie ma Cpt, ma queste galere costruite per ingabbiare le vite migranti di tanti uomini e di tante donne le hanno realizzate proprio loro. Così come il ricatto di agganciare il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Per queste ragioni, individuiamo nel Pd il vero responsabile di ciò che sta accadendo. Questo partito garante solo degli interessi particolari e forti di chi vuole continuare a sfruttare persone e territori, di chi vuole perseverare, nel nome dell’austerità, a rinchiudere e a cancellare diritti per difendere i privilegi di pochi. Noi non abbiamo più intenzione di aspettare. Vogliamo una legge organica che garantisca il diritto all’asilo. Vogliamo cancellare la Bossi-Fini senza tornare alla Turco-Napolitano. Vogliamo che vengano immediatamente e definitivamente chiusi Cie e Cara. Vogliamo che venga cancellato qualsiasi legame fra il permesso di soggiorno ed il contratto di lavoro. Vogliamo lo Ius Soli come la possibilità di giungere legalmente e di circolare liberamente in Italia ed in Europa. Vogliamo che venga garantito il diritto all’accoglienza e parità di diritti fra migranti ed autoctoni. Parità di diritti, per andare avanti e conquistare con le nostre lotte, unite e meticce, un presente ed un futuro diversi. Per questo invitiamo tutti e tutte, a vivere questo periodo natalizio come momento di lotta e di riscatto sociale e quindi a manifestare con noi sotto la sede nazionale del Partito Democratico. Portate un cartello, uno striscione, rendete visibile quello che pensate di questi signori. Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo rimanere in silenzio. Immigrazione: Fiano (Pd); Salvini si rassegni, la Bossi-Fini va cambiata 9Colonne, 28 dicembre 2013 "Salvini si metta il cuore in pace: noi la legge Bossi-Fini la vogliamo cambiare. E con essa vogliamo cambiare la vergogna del reato di clandestinità e il sistema dei Cie, ormai di fatto trasformati in carceri. Il cambiamento della Bossi era sia nel programma di governo di Bersani che nel programma di Matteo Renzi per le primarie, consultazioni alle quali hanno partecipato 3 milioni di persone, e non le poche decine di migliaia delle primarie leghiste. Se non bastassero le ragioni morali per chiedere un cambiamento della legge e delle sue derivazioni, vi è anche da ricordare che la Bossi-Fini è stata bocciata dai fatti. Quella legge non ha affatto raggiunto gli scopi che la destra italiani si prefigurava quando la promulgò". Così in una nota Emanuele Fiano, deputato del Partito Democratico. Alfano: con la sicurezza degli italiani non si scherza "Noi ci muoveremo su due rette parallele: da un lato il rispetto dei diritti umani e della salvaguardia delle persone che cercano libertà e democrazia e dall’altra parte del Mediterraneo hanno la guerra. Per altro verso non si scherza sulla sicurezza degli italiani". Lo dice il vicepremier Angelino Alfano, in un’intervista al Tg1 che andrà in onda alle 20, parlando di politiche sull’immigrazione. "Al Cie di Ponte Galeria in nove che si sono cuciti la bocca, quattro di questi avevano problemi con la giustizia. In Italia uno era già stato perseguito per rapina e lesioni. Con la sicurezza e sulla sicurezza degli italiani non si scherza", aggiunge. Manconi (Pd): ridurre ora tempi permanenza "L’intenzione espressa dal governo di ridurre i tempi di permanenza nei Cie deve essere adottata il più presto possibile. Bisogna tornare agli originari 30 giorni come limite massimo, che in 18 anni sono arrivati fino a 18 mesi". Così il senatore del Pd e presidente della Commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi dopo la visita di oggi al centro romano. "I reclusi si trovano in un carcere che non é un carcere, non per decisione di un magistrato, come prevede la Costituzione - ha detto Manconi, bensì di un giudice di pace. È un’altra cosa da cambiare al più presto". Il senatore ha affermato che nei Cie si trovano "nella stragrande maggioranza richiedenti asilo che non hanno commesso alcun reato e che dopo tante sofferenze per arrivare in Italia non capiscono perché si ritrovano reclusi". Manconi ha parlato poi del caso dei due coniugi tunisini Alì e Alia - ribattezzati Romeo e Giulietta - detenuti a Ponte Galeria e che rischierebbero la vita se rimpatriati: i parenti della donna, integralisti, non gradiscono il marito e hanno già seviziato Alia. "Chiederò al Viminale un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie", ha detto il senatore democratico. Immigrazione: Cie Bari; perizia choc, per il tribunale condizioni di invivibilità La Repubblica, 28 dicembre 2013 Nel Cie di Bari si vive in condizioni non accettabili: niente tende, niente aerazione, bagni praticamente impresentabili, nessuna attenzione alle attività sociali e didattiche degli occupanti che, non a caso, utilizzano in massa psicofarmaci. A sostenerlo è il perito nominato dal tribunale di Bari che nelle scorse settimana ha depositato una perizia al giudice sulle condizioni del Centro di identificazione di Bari: venti pagine nelle quali spiega che "i lavori effettuati alla struttura non sono sufficienti per un significativo miglioramento delle condizioni di vita degli occupanti". Si tratta della seconda relazione depositata dall'ingegner Francesco Saverio Campanale in un procedimento nato dalla class action proposta dagli avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci. I legali avevano denunciato quella che definiscono "una struttura carceraria che costringe "gli ospiti" a un regime di detenzione". Il presidente del tribunale, Vito Savino, aveva nominato un suo perito chiedendogli di verificare le condizioni all'interno del centro. L'ingegner Campanale aveva individuato una serie di mancanze e il giudice aveva ordinato ai gestori del centro una serie di opere per metterlo a norma. Nelle scorse settimane c'è stato un nuovo sopralluogo: il tecnico ha depositato così la nuova relazione e il giudice si è riservato di decidere sul da farsi. "Noi - spiega l'avvocato Paccione - visto quello che ha scritto il suo perito speriamo proprio che ordini di chiudere un centro che viola i diritti umani". L'ingegner Campanale aveva disposto più di un anno fa la realizzazione di alcuni interventi di messa a norma. Che però, spiega oggi, "sono stati eseguiti soltanto in parte: l'attuale situazione presenta ancora numerosi elementi di criticità". Per esempio sono "ancora troppo pochi e i box doccia e i vasi alla turca" che vengono utilizzati come servizi igienici. Oppure "non esiste un sistema di oscuramento, anche parziale delle finestre delle stanze alloggio". Non ci sono tende, quindi, ed è difficile riposare. "Le dimensioni della sala mensa sono rimaste inalterate, pertanto inferiori a quelle indicate nelle linee guida, così come non risulta incrementato il numero delle aule per le attività occupazionali, didattiche e ricreative. Per quanto riguarda il suggerimento - si legge ancora - di incrementare le strutture e attrezzature sportive, queste sono rimaste invariate, in attesa della realizzazione di un secondo campo polifunzionale. In conclusione - continua nella relazione - gli interventi effettuati al Cie hanno comportato soltanto un modesto miglioramento rispetto a quanto constatato nelle precedenti indagini, pertanto non sufficiente per un significativo miglioramento delle condizioni di vita degli occupanti". La relazione dell'ingegner Campanale apre un precedente molto importante nella storia dei Centri di identificazione ed espulsione. Quella di Bari è la prima esperienza in questo senso, con una class action presentata dai cittadini per chiudere il centro per motivi umanitari. Ai legali si è poi unito anche il comune di Bari che ha mandato un suo tecnico a visitare la struttura che è arrivato alle stesse conclusioni, se non peggiori, di quelle del perito del giudice. "Le condizioni di vivibilità all'interno del centro - ha scritto l'ingegner De Corato - sono critiche anche in relazione alla lunga permanenza degli immigrati fino a 18 mesi. La mancanza di idonee e sufficienti attività determina forti tensioni che spesso si traducono in rivolta. La mancanza di una biblioteca, di un computer e di un apparecchio Tv che non sia obsoleto e, pertanto, la struttura non garantisce condizioni di vivibilità che sono invece garantite ai detenuti nelle carceri". Russia: caso Greenpeace, Cristian D'Alessandro è tornato a casa a Napoli Tm News, 28 dicembre 2013 Cristian D'Alessandro, l'attivista italiano di Greenpeace detenuto per mesi in Russia insieme agli altri 29 membri dell'equipaggio della nave di Greenpeace Arctic Sunrise, è tornato a casa. Il suo aereo è atterrato all'aeroproto napoletano di Capodichino all'ora di pranzo, riferisce una nota di Greenpeace Italia. Tutti i 26 cittadini non russi degli Arctic30 hanno ottenuto un visto di uscita. L'attivista svedese Dima Litvinov è stato il primo a lasciare la Russia, passando in treno il confine con la Finlandia attorno alle 20:30 ora locale del 26 dicembre. Gran parte dei suoi compagni sono partiti da San Pietroburgo oggi e gli altri lo faranno nel fine settimana. I ventotto attivisti e due giornalisti freelance erano stati incarcerati dopo una protesta pacifica contro una piattaforma petrolifera artica gestita da Gazprom, avvenuta il 18 settembre. Il giorno dopo, il 19, la nave di Greenpeace International Arctic Sunrise era stata abbordata in acque internazionali da agenti di sicurezza russi, per venire poi rimorchiata a Murmansk dove i trenta sono stati poi arrestati. Prima di riunirsi con la propria famiglia, Cristian D'Alessandro ha detto "è stato un onore per me vivere tutto quello che abbiamo passato insieme al capitano (Peter Willcox) che era a bordo della prima Rainbow Warrior quando fu bombardata e affondata dai servizi segreti francesi nel 1985. Un piacere passare attraverso queste difficoltà con alcuni dei membri dell'equipaggio del mio primo viaggio sull'Arctic Sunrise, e con i nuovi marinai che ho incontrato. È un piacere aver incontrato personalmente alcuni dei quasi 140 appartenenti alla squadra di appoggio, che ha lavorato intensamente per renderci la vita più facile. E sarò per sempre grato ai milioni di persone in tutto il mondo che ci hanno sostenuto negli ultimi tre mesi. È strano pensare che in qualche modo è stata una grande esperienza: di sicuro ha cambiato le nostre vite". "Alla Gazprom, alla Shell e a tutte le compagnie che intendono perforare l'Artico in cerca di petrolio possiamo dire che la campagna di Greenpeace non si ferma qui, e non si fermerà fino a quando questo ecosistema così fragile, e così importante per il clima terrestre, non sarà protetto" ha detto l'ambientalista. Filippine: il carcere distrutto dal tifone e i detenuti lo ricostruiscono Il Giornale, 28 dicembre 2013 Si stava meglio quando si stava peggio, e allora meglio tornare a stare peggio, perché le possibilità ci sono tutte. Un pensiero forse contorto, ma è quanto balenato nella mente dei 583 prigionieri del carcere di Leyte, villaggio delle Filippine che sorge ai piedi di una montagna a una decina di chilometri da Tacloban, raso al suolo durante il devastante passaggio dell'uragano Haiyan. D'improvviso il piccolo esercito di condannati si è trovato nell'inattesa condizione di libertà, ma dopo aver fatto visita ai parenti, e aver sepolto quelli deceduti, ha fatto ritorno a Leyte bussando alla porta di un carcere diroccato. "Bussare forse è un termine un po' temerario, non c'era neppure più il portone, ma come per incanto tutti assieme, compreso il direttore, siamo riusciti nello spazio di poche settimane a rimettere in piedi il penitenziario". Per tornare in cella. Ed è questo forse l'aspetto più incredibile di tutta la storia raccontata dall'82enne Alberto Encina, che sta scontando l'ergastolo per due omicidi commessi circa vent'anni fa. "Sono innocente. L'ho spiegato fin dall'inizio. Non mi hanno voluto credere. Da queste parti permettersi un avvocato è un lusso per pochi. Quello che mi è stato assegnato si presentò in tribunale ubriaco". Un po' di storia, forse mescolata a un pizzico di leggenda nelle parole di Encina, ma ciò che è davvero inconfutabile è la sua situazione di prigioniero permanente, rimasta immutata anche quando c'era la possibilità di darsi alla fuga senza correre il rischio di essere braccato dalle forze di sicurezza. "Le Filippine sono un paese molto povero - ricorda - per queste ragioni rimanere in una cella, potendo consumare tre pasti decenti al giorno, e usufruire di qualche attività ricreativa, diventa un privilegio per pochi eletti". Si tratta del bizzarro "all inclusive" di cui usufruiscono i 476 condannati, tra i quali anche sette donne, che a Leyte hanno deciso di fissare, giustizia a parte, la loro fissa dimora. "Di quelli che mancano all'appello sappiamo che 15 sono morti travolti dall'uragano durante la fuga - commenta George Gaditano, direttore del carcere - quando è accaduto l'imponderabile non ci poteva essere distinzione tra galeotti e guardie. Il terribile evento atmosferico ci ha resi tutti uguali, con il medesimo desiderio di salvarci". Gaditano non ha neppure fatto in tempo ad avvisare i suoi superiori e il ministero degli interni della fuga forzata. I detenuti sono rientrati di loro spontanea volontà nel giro di pochissimi giorni. "Non sono rimasto sorpreso più del dovuto. Le condizioni di accoglienza del nostro carcere sono del tutto umane". Lo conferma anche Alphinor Serrano, 36 anni, originario della vicina Tacloban, agli arresti per reiterati furti di automobili. Con grande orgoglio mostra una collezione del Reader's Digest e ricorda che "prima di entrare a Leyte non sapevo né leggere e neppure scrivere. Grazie ai libri della biblioteca oggi non sono più analfabeta, e neppure un ladro d'auto". Dovrà rimanere a Leyte ancora per un paio d'anni, ma in cuor suo forse davvero vorrebbe restarci per altro tempo. I racconti si intrecciano e si sovrappongono, mentre gli "ospiti" di Leyte sono quasi tutti alle prese con l'allestimento per la festa di Capodanno. I giornali locali hanno rivelato nei giorni scorsi che il 95% della documentazione processuale dei detenuti è andata distrutta durante l'uragano e che, senza uno straccio di prova scritta, chiunque di loro potrebbe chiedere in qualsiasi momento di abbandonare il penitenziario. I carcerati lo sanno bene, ma fanno finta di nulla e c'è persino chi, come l'arzillo Encina, trova l'ennesima giustificazione pur di rimanere dietro le sbarre. "Dopo tutto il lavoro che abbiamo svolto per rimettere in piedi Leyte sarebbe davvero un'ingiustizia doversene andare". Russia: Pussy Riot in libertà "ora aiuteremo i detenuti a reinserirsi nella società" La Presse, 28 dicembre 2013 Maria Alekhina e Nadezhda Tolokonnikova, membri del gruppo punk russo Pussy Riot, appena arrivate a Mosca dopo la loro scarcerazione, hanno parlato dei loro progetti futuri in conferenza stampa. Le due artiste hanno fatto sapere che continueranno con il loro attivismo istituendo un’organizzazione per i diritti umani, volta ad aiutare i prigionieri in Russia. Alekhina ha spiegato inoltre che la loro organizzazione aiuterà gli ex detenuti ad adattarsi alla vita fuori dal carcere. "La gente assolutamente non ha idea di cosa succeda nelle carceri. E la cosa peggiore è che la maggior parte delle persone non è nemmeno interessata. "Se vogliamo arrivare a una diminuzione del tasso di criminalità, dobbiamo lavorare sui carcerati e le autorità non lo faranno", ha concluso. Le due Pussy Riot hanno inoltre auspicato che Mikhail Khodorkovsky, l’ex oligarca oppositore di Putin rilasciato la settimana scorsa dopo 10 anni di prigionia, possa correre per il Cremlino. Khodorkovsky è stato invitato dalle due femministe a collaborare al loro nuovo progetto chiamato "Zona di Legge" con l’obiettivo di cambiare il sistema penitenziario russo. "Non vogliamo il suo denaro", ha sottolineato la Tolokonnikova, "ma piuttosto una collaborazione ideologica e culturale". "Molte persone rinchiuse nelle carceri sono sul punto di morire", ha affermato la Alyokhina, "dobbiamo difendere i diritti dei detenuti". Per le due Pussy Riot la loro scarcerazione è stata soltanto una trovata propagandistica di Putin in vista delle Olimpiadi invernali che si terranno a Sochi nel 2014, che invitano a boicottare. Le due femministe punk avevano partecipato nel 2012 a una preghiera anti-Putin all’interno della Chiesa di Cristo Salvatore a Mosca ed erano state condannate per "teppismo motivato da odio religioso". Sud Sudan: verso rilascio detenuti accusati golpe grazie a mediazione inviato Usa Reuters, 28 dicembre 2013 Il Sud Sudan aprirà le porte del carcere a diversi detenuti politici accusati dal governo di avere tentato un fallito colpo di Stato contro il presidente Salva Kiir. Ad annunciarlo è stato oggi l’inviato americano, ambasciatore Donald Booth, alla tv di Stato. "Siamo soddisfatti nell’apprendere che il presidente libererà presto alcune importanti figure politiche del partito Splm, ad eccezione di tre ex funzionari", ha detto Booth. Il rilascio di una decina di figure politiche arrestate dopo le violenze esplose lo scorso 15 dicembre è una delle condizioni poste dai ribelli per i colloqui di pace con Juba.