Giustizia: mobilitazione per amnistia e indulto, i Radicali e le loro motivazioni di Fitzwilliam Darcy www.supermoney.eu, 27 dicembre 2013 Che ci sia un problema in Italia con le carceri e la situazione dei detenuti, questo è fuor di dubbio. Che l’amnistia e l’indulto siano un problema da affrontare seriamente per questa Italia del 2013, anche. Un tempo lo scrittore russo Dostoevskij diceva che il livello di civiltà di un paese si misura a partire dalle condizioni in cui si trovano le carceri e i detenuti. Se noi volessimo seguire lo schema interpretativo dello scrittore dovremmo dire ancora una volta che l’Italia non è un paese civile. Ecco che allora, su spinta del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è lavorato intorno a un decreto svuota carceri, il quale non smette di suscitare polemiche. Ecco la manifestazione e le motivazioni dei Radicali sul tema dell’amnistia e dell’indulto. Sia sa che i Radicali portano avanti una battaglia di civiltà per le condizioni delle carceri e dei detenuti da moltissimo tempo. Non è soltanto oggi che Marco Pannella ha deciso di abbracciare la causa dell’indulto e dell’amnistia e ancor di più quella della dignità di colui che è detenuto. Il problema che ha mosso la manifestazione del 25 dicembre, guidata dai Radicali ma a cui hanno partecipato varie sigle, dai sindacati di polizia penitenziaria a sindaci di città importanti, è quello del sovraffollamento carcerario e di come questo non possa essere affrontato soltanto attraverso decreti che, mediante amnistia e indulto, svuotano le carceri all’improvviso. Ciò che si chiede è una riforma dell’intero sistema penale. I Radicali sono convinti che sia necessaria una rivoluzione di civiltà nel nostro paese e che non soltanto attraverso indulto e amnistia è possibile risolvere la situazione. Il motivo è semplicissimo, con la nostra penalità le carceri si riempirebbero nuovamente in poco tempo. Si parla allora di giustizia e penalità, di come siano necessarie norme che depenalizzano molti reati minori e la necessità di trovare nuove forme di pena alternative a quelle della reclusione in carcere. Possiamo allora riassumere quali sono state le proposte concrete che sono venute fuori dalla manifestazione sull’indulto e l’amnistia e che risultano essere un passo in avanti anche rispetto alle indicazioni di Giorgio Napolitano. Una vera riforma della giustizia dovrebbe prevedere misure di prova per un allargamento delle misure alternative alla detenzione, lo scontare le pene nel paese di origine di colui che è stato dichiarato colpevole, poi, e soprattutto, la depenalizzazione di tutta una serie di fattispecie di reato, infine, altro elemento fondamentale, la drastica riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere. Per i Radicali e per coloro che sono convinti della necessità di questo tipo di riforme, si tratta di una battaglia di civiltà, ancor prima che una battaglia politica. Ma sarà come sempre il gioco di pesi e contrappesi politici a delineare le forme che assumerà la soluzione a questo annoso problema. Parla il presidente del Comitato diritti umani della Camera "L'amnistia e l'indulto renderebbero più sicura l'Italia". Ad affermarlo, parlando con i cronisti nel carcere di Regina Coeli a Roma dove si è svolto il pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, è il deputato Mario Marazziti, presidente del Comitato diritti umani della Camera dei deputati. Sostiene Marazziti che dai dati sulle carceri italiane emerge che "chi ha ricevuto l'indulto è stato poi recidivo nel 33% dei casi. Invece chi ha scontato la pena per intero - secondo il deputato dei Popolari per l’Italia - è stato recidivo solo nel 67% dei casi". Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, il presidente del Comitato diritti umani della Camera ha annunciato di voler avanzare al segretario del Partito democratico Matteo Renzi (contrario ad indulto e amnistia) la proposta di visitare insieme almeno una struttura penitenziaria. Il leader del Pd deve capire, secondo Marazziti, che "il carcere in Italia è illegale" perché "ci sono 65 mila detenuti per 45 mila posti e la Corte Europea ci ha già condannati". Il presidente del Comitato diritti umani della Camera ha ricordato che "l’Italia ha tempo fino a maggio per rimediare" sottolineando che "ci sono 20 mila persone in attesa di giudizio, che il 33% dei detenuti è in carcere per reati di droga mentre in Francia e Germania questi sono appena il 14%". È questo l’effetto, secondo Marazziti, della legge ex Cirielli che impedisce a chi è recidivo di usufruire di benefici e la legge Fini-Giovanardi sulle droghe leggere. "Bisogna cancellare queste leggi" e capire che "amnistia e indulto sono necessari e che aiuteranno l'Italia a essere migliore". Un altro appello arriva dal carcere di Udine, dove è andato in visita il deputato dei Popolari per l'Italia Gian Luigi Gigli che ha parlato ai detenuti dell’importanza del cosiddetto decreto "svuota carceri" già entrato in vigore. Gigli, secondo quanto riporta l’agenzia Agi, ha ricordato che "il 18% dei detenuti è in attesa di giudizio" sottolineando che per "svuotare" le carceri occorre intanto "ridurre il troppo facile ricorso alla carcerazione preventiva" ed "estendere la possibilità delle pene alternative al carcere". Giustizia: da Pietro a Cesare per l’amnistia di Rita Bernardini (Segretaria nazionale Radicali Italiani) Il Tempo, 27 dicembre 2013 Dopo 30 anni la marcia radicale della pace cambia itinerario: dalla Conciliazione a Palazzo Chigi. Stelle polari Napolitano e Francesco. Che è successo ai radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino? Per più di trent’anni hanno marciato a Pasqua e a Natale – contro lo sterminio per fame nel mondo o contro la pena di morte - partendo dai Palazzi istituzionali o da Porta Pia per arrivare a Piazza San Pietro e ora, capovolgendo tutto, muovono i loro passi da San Pietro e sfilano fino a Palazzo Chigi per la Terza marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà! Il “miracolo” lo ha fatto Papa Francesco con la sua parola semplice, antica e nuova allo stesso tempo, capace di arrivare al cuore e all’intelligenza di tutti quando afferma – come ha fatto quando ha ricevuto i cappellani penitenziari - che “Gesù è un carcerato” e che "Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, il suo amore paterno e materno arriva dappertutto". Sovrano illuminato che alla parole fa seguire i fatti e che nel giro di poche ore abolisce l’ergastolo e introduce il reato di tortura nello Stato del Vaticano. Ecco il motivo dell’”intesa” fra Pannella e Papa Francesco. Ecco la ragione per la quale la marcia di Natale 2013 è partita da Pietro (via della Conciliazione) per arrivare a Cesare, nel cuore delle istituzioni italiane, a Palazzo Chigi. Parliamoci chiaro, i radicali sono sempre loro: fastidiosi, ripetitivi, sempre “eccessivi” e petulanti nel riproporre da una vita il rispetto delle leggi fondamentali per salvaguardare diritti umani inalienabili, anche quando farlo è così scomodo da determinare l’alienazione di qualsiasi rappresentanza istituzionale, parlamentare, regionale o comunale che sia. Ma sono capaci di dialogo profondo, spirituale direi, quando si tratta di far vivere la parola, la legge. E quando Marco Pannella si sottopone alle interminabili giornate di privazione di cibo e acqua, credo che lo faccia innanzitutto per trovare dentro di sé – e attorno a sé - quell’energia da trasmettere ai potenti affinché concretamente operino per fare ciò di cui sono intimamente convinti. È questa l’essenza della sua amicizia con il Presidente Napolitano, che è soprattutto – secondo la definizione di Simone Weil - costanza dell’attenzione. Probabilmente né Marco, né nessuno di noi sarebbe riuscito a scrivere lo splendido messaggio che il Presidente della Repubblica ha indirizzato alle Camere l’8 ottobre scorso. Pannella intuiva, invece, che proprio da Napolitano poteva – e quindi doveva – arrivare la risposta “alta”, adeguata nella parola, di monito al Parlamento per un’assunzione di responsabilità immediata di fronte alle violazioni sistematiche di diritti umani primari nelle carceri e nell’amministrazione della Giustizia nel nostro Paese. Anche alla nostra Ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri, che non ha avuto timori nel pronunciare la parola vietata in qualsiasi dibattito televisivo di approfondimento, ha dimostrato di avere la cultura istituzionale necessaria per farsi forte di quell’energia nonviolenta che Pannella e i radicali vogliono trasmetterle. Contro ogni ipocrisia. Perché l’amnistia illegale delle prescrizioni già c’è: i processi muoiono, le vittime non hanno ristoro, le scrivanie dei magistrati sono ingombre di vecchi faldoni processuali e la giustizia viene negata al popolo italiano per la sua irragionevole durata. Occorre perciò un’assunzione di responsabilità di tutta la classe politica istituzionale, altrimenti, ancora una volta in Italia avremmo perso l’occasione irrinunciabile di riformare la giustizia come il popolo italiano chiede da trent’anni con il voto plebiscitario ai referendum radicali. Giustizia: una valvola di sicurezza chiamata indulto di Dimitri Buffa Il Tempo, 27 dicembre 2013 Amnistia e indulto? Il fascismo ne emanava uno ogni due anni di media. E il dibattito alla Costituente verteva sul fatto che simili provvedimenti non potessero essere fatti dal governo quanto piuttosto delle due camere elette con i rappresentanti del popolo. È il 21 ottobre 1947, il giorno decisivo per l’approvazione dell’articolo 79 della Costituzione "più bella del mondo", e sentite come si esprimeva Giuseppe Persico, membro del partito socialista dei lavoratori, uno dei più scettici sui provvedimenti di clemenza in seno all’organismo che varò la Costituzione italiana: "Su questo problema, che conosco per motivi di pratica professionale, ho avuto occasione di esprimere la mia opinione in scritti su riviste giuridiche ed anche in questa Aula, nella seduta del 19 luglio 1946. Cioè, che l’amnistia e l’indulto devono essere discussi e approvati dalle Camere, e non sono atti che possono essere demandati al Governo; sono atti eccezionali che devono corrispondere a momenti e a necessità eccezionali. Non possiamo seguire la prassi fascista per la quale un anno sì e uno no si emanavano decreti di amnistia. Durante il passato regime abbiamo avuto dieci amnistie in venti anni, di modo che, con ben congegnati sistemi di appelli e di ricorsi in Cassazione, si finiva per far sì che nessun delinquente, entro certi limiti, andasse mai in carcere, ciò che finiva per annullare il valore della legge: il valore morale, psicologico e giuridico. I magistrati sapevano che dopo un dato periodo di tempo le loro sentenze sarebbero state poste nel nulla, tanto che presso alcune magistrature minori rimanevano sospesi migliaia di processi (ricordo infatti che alla vigilia del decennale presso la Pretura di Roma ben 12.000 processi erano rimasti sospesi), perché era certo che ben presto sarebbe venuta una benefica amnistia che avrebbe posto fine a tali procedimenti". Accenti molto lontani dal populismo attuale e non a caso un radicale come Marco Pannella oggi sostiene che la partitocrazia con carceri e giustizia penale si sia comportata in questi sessanta e passa anni ben peggio del regime mussoliniano. Altra cosa che fa pensare è che all’epoca 12 mila processi penali pendenti a Roma venissero giudicati un’enormità. Oggi ce ne stanno circa 500 mila. Interessante in quell’ultimo giorno di dibattito alla Costituente prima che venisse approvato l’articolo 79 della Costituzione (non come è oggi visto che negli anni ‘90 c’è stata la modifica suggerita dal popolo dei fax e dagli aedi di "mani pulite" per cui ora ci vogliono i due terzi di ogni ramo del Parlamento per approvare amnistia e indulto, ndr) fu anche la argomentazione messa sul piatto dal democristiano Giuseppe Codacci Pisanelli, secondo cui la "ratio della ricorrenza" (all’epoca data per scontata sia pure non legata al solo volere dell’esecutivo come accadeva con Mussolini) di questi provvedimenti di clemenza era la seguente: "al doppio scopo di evitare che la pena perda la sua efficacia preventiva e nello stesso tempo allo scopo di fare in maniera che coloro che legiferano non stabiliscano pene molto gravi tenendo conto del fatto che si farà poi uso del potere di amnistia e indulto, io propongo che per concedere sia l’amnistia che l’indulto, venga seguito un procedimento di legiferazione speciale: cioè ritengo che sia opportuno non ammettere l’amnistia e l’indulto se non siano emanate con legge di carattere costituzionale". E ancora: "l’amministrazione della giustizia è compito assai difficile che non può essere lasciato ai volubili umori di gruppi che in certi momenti vorrebbero eccedere in sanzioni, mentre in altri momenti tendono all’eccessiva indulgenza". La proposta dell’emendamento Codanelli che riguardava la legge costituzionale per fare l’amnistia e l’indulto notoriamente non passò. In compenso dal 1948 al 1990 i provvedimenti di clemenza sono stati uno ogni tre anni. E vennero usati soprattutto e prevalentemente come stanza di compensazione per gli eccessi, anche carcerari, delle tendenze giustizialiste della pubblica opinione, mutevoli nel tempo ma permanenti negli effetti deleteri. E oggi? Il recente sondaggio "Datamedia" pubblicato dal "Tempo" dimostra che l’opinione pubblica si è stufata dei manettari di professioni e delle loro spalle televisive. Perché l’amnistia e l’indulto, ieri come oggi, sono delle valvole di sicurezza non solo per svuotare le carceri e le scrivanie dei magistrati, ma anche per svelenire le tendenze forcaiole ed emotive dell’opinione pubblica opportunamente istigata all’uopo. Lo sapevano già sin dai tempi dei padri costituenti. Giustizia: i Radicali non si fermano "Marcia di Natale per l’amnistia" di Emmanuele Lentini Il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2013 I Radicali non si fermano neanche a Natale. Dopo il flop dei sei referendum "per una giustizia giusta" - che non hanno raggiunto il quorum - sono tornati in piazza con la terza marcia per l’amnistia. Alcune centinaia di partecipanti hanno sfilato per le strade di Roma. I radicali hanno posto l’attenzione soprattutto sulle condizioni invivibili delle carceri italiane. La manifestazione ha raccolto consensi da diverse parti politiche. Tra le personalità che hanno annunciato l’adesione al corteo, il sindaco di Roma Marino, don Antonio Mazzi, i deputati Gozi (Pd) e Mario Marazziti (Scelta civica), il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti. Il corteo è partito intorno alle 9.30 da Piazza Pia (nei pressi di piazza San Pietro). I manifestanti hanno fatto tappa davanti al carcere di Regina Coeli. Alcuni detenuti hanno esposto cartelli con la scritta "amnistia", da dietro le sbarre delle finestre. Altra tappa simbolica, quella in via Arenula, davanti al ministero della Giustizia. Anche la piazza scelta per la partenza "ha voluto essere un tributo a Papa Francesco per quei gesti concreti che lo hanno reso un esempio da seguire" in tema di giustizia, come si legge sul sito www.radicali.it. In testa al corteo, dietro uno striscione bianco con la scritta rossa "marcia per l’amnistia, la giustizia, la libertà", lo storico leader Marco Pannella, che per l’occasione ha indossato un cappello da Babbo Natale, con su scritto "amnistia". Alla sua destra, il segretario radicale Rita Bernardini, alla sinistra il ministro degli Esteri Emma Bonino. La manifestazione per l’amnistia ha incassato la "benedizione" del presidente della Repubblica. Il 21 dicembre Napolitano ha inviato una lettera a Rita Bernardini, in cui ha concordato sulla necessità di intervenire per risolvere la "drammatica condizione" delle carceri italiane. Il senso della missiva è inequivocabile: "Cambiare profondamente le condizioni delle carceri in Italia" è "un dovere morale". La lettera del Colle era indirizzata al segretario radicale, ma la platea dei destinatari comprendeva tutto il mondo politico. Lo stesso mondo politico al quale aveva rivolto lo stesso appello a ottobre. Giustizia: amnistia-indulto, la battaglia di Pannella contro i mulini a vento di Massimo Tosti Italia Oggi, 27 dicembre 2013 È giusto levarsi il cappello di fronte al missionario laico Marco Pannella che, anche quest’anno, ha guidato la marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà. Da anni il leader radicale si batte con coerenza per alleviare le sofferenze dei detenuti. "Viva gli ultimi", ha detto l’altro ieri, "che stanno vivendo nella forza di chi, come i radicali, è sempre dalla parte dei diritti umani". Che si condividano o meno le sue battaglie, Marco è un esempio per tutta la classe politica, che sperpera il proprio tempo nelle lotte di potere. Fedele alle proprie idee (in una politica dominata dall’opportunismo e dalla transumanza da un partito all’altro, in ragione della convenienza), Pannella combatte (spesso da solo) contro i mulini a vento. Di vittorie ne ha ottenute parecchie (a partire da quelle per il divorzio e l’aborto), ma le delusioni sono state in numero anche maggiore. Non si è mai arreso, non ha mai deposto le armi (pacifiche). È testardo (come molti abruzzesi) e, a un’età che gli suggerirebbe di mettersi a riposo, continua a mettere la faccia (e la grande passione civile) nelle sue sfide contro l’indifferenza e l’ostilità delle istituzioni. Avrebbe meritato (più di altri) la nomina a senatore a vita, perché ha certamente "illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale" (come recita l’articolo 59 della Costituzione). Non ha ottenuto questo riconoscimento anche per colpa propria. Non è mai andato a caccia di poltrone, ed è quindi giustificato il fatto che nessun presidente della Repubblica gli abbia offerto il laticlavio. Il partito radicale non ottiene più i consensi elettorali degli anni 70 e 80, ma la politica non può essere ridotta soltanto in termini numerici (come l’auditel) e Pannella è rimasto uno dei pochissimi politici che fanno i conti con la propria coscienza e con la fede nelle battaglie civili che porta avanti. A differenza dei tanti che (anche in questa ultima occasione) gli dedicano enfatiche dichiarazioni di appoggio, che mirano esclusivamente a ricevere qualche applauso da parte di un’opinione pubblica, tanto distratta quanto incline a dar retta ai furbi di turno che tirano "quattro paghe per il lesso" (come scriveva il poeta). Giustizia: perché gli americani non concepiscono il concetto di "amnistia" di Domenico Cacopardo Italia Oggi, 27 dicembre 2013 Oltre Atlantico è lo sconto della pena (fino in fondo) che rieduca il detenuto facendogli apprezzare i valori della normale vita civile. Il problema carceri cresce quotidianamente a opera, soprattutto, di Giorgio Napolitano, il leninista-soft diventato protagonista, ben al di là del perimetro costituzionale, della politica italiana. Come sempre, quando il musicista non rispetta lo spartito, le stonature sono all’ordine del giorno. Sulle carceri, il presidente della Repubblica è intervenuto più volte, tanto di suscitare l’infondato sospetto di un tentativo di amnistia per Berlusconi. Alla fine, l’imbarazzante ministra della giustizia di Napolitano, Anna Maria Cancellieri ha fatto approvare un decreto-legge che porta a casa 3000 detenuti: un taglio della detenzione di 75 giorni per semestre, con un massimo di 180 giorni. Ho spiegato l’operazione a un diplomatico americano. È inorridito: viene, infatti, da una nazione nella quale le pene sono scontate sino in fondo, proprio per quel principio di riabilitazione che in Italia pretende misericordiose libertà anticipate. Oltre Atlantico è lo scontarsi della pena che rieduca il detenuto e che gli fa apprezzare i valori della vita civile. Questa è la loro teoria e la loro pratica. Da noi, vige il regime Gozzini, il senatore catto-comunista che lo ispirò, e che concede ampie possibilità di uscire di prigione in pendenza di pena. Nel decreto-legge Napolitano-Cancellieri c’è l’istituzione del Garante nazionale dei detenuti: un altro costosissimo carrozzone burocratico per qualche prefetto o prefettessa in pensione. Sarebbe stato preferibile un Garante dei cittadini, posti a repentaglio da avventate liberazioni e da immotivate indulgenze. Così, si sarebbero garantiti meglio i detenuti meritevoli e gli incolpevoli italiani la cui incolumità viene quotidianamente messa a rischio da condannati per reati gravi in incontrollata circolazione per le nostre strade. Di fondo, però, in tutta l’emergenza detenuti c’è un non detto, una bugia. La verità, infatti, è che il problema è costituito dalle carceri: sono in numero insufficiente (quindi, sovraffollamento) e, quelle che ci sono, in pietose condizioni igieniche e di sicurezza. La soluzione, quindi, non è mettere in libertà chi non lo merita, ma costruire nuove carceri. L’ultimo programma del genere fu il Nicolazzi (lavori pubblici)-Rognoni (giustizia) del 1987, bloccato dallo scandalo Codemi-De Mico. Come sa bene Napolitano, oggi non ci sono i soldi per avviare un simile programma. Ci vorrebbe l’ingegneria finanziaria o l’aiuto dell’Unione europea, che ci ha messi sotto ingenerosa accusa, per iniziare a progettare e a costruire nuove carceri. Sarebbero pronte non prima di quattro/sette anni. Tremila detenuti in libertà non risolvono alcun problema. Aggravano, anzi, le condizioni d’insicurezza. Per essi, come per gli altri, non si può più chiedere la certezza della pena, già travolta dalle geometrie variabili giudiziarie e dagli interventi presidenziali. Domandiamo soltanto il coraggio della verità. Non pavide bugie. Giustizia: riforma della custodia cautelare, il governo accelera di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 27 dicembre 2013 L’ipotesi di agganciare la nuova custodia cautelare al decreto carceri. La scelta di far confluire la riforma verrà presa dal 7 gennaio quando il di arriverà in commissione della Camera. Sabelli (Anm): la misura limita la discrezionalità del giudice. Ferranti (Pd): rispettare il lavoro del Parlamento. Il 7 gennaio parte alla Camera il treno del decreto-carceri, che dovrà essere convertito in legge entro il 22 febbraio. A quel treno si potrebbe aggiungere il vagone della riforma della custodia cautelare (all’esame dell’aula della Camera dal 9 dicembre) con un emendamento parlamentare o addirittura del governo, che ha rinunciato a inserire nel decreto-carceri le norme restrittive della custodia cautelare proprio per rispetto del Parlamento, considerato l’iter già avanzato del ddl (a metà gennaio è previsto il voto sugli emendamenti). L’operazione di assorbimento avrebbe il vantaggio di portare al traguardo, entro febbraio, due riforme strutturali destinate a svuotare le carceri di qualche migliaio di detenuti. Ma non è senza rischi. Il carcere è un terreno politicamente scivoloso. Perciò il governo dovrà tenere a bada le strumentalizzazioni (trasversali a tutte le forze politiche) della sicurezza collettiva, per evitare che il Parlamento svuoti o indebolisca il decreto. Al tempo stesso, però, si trova davanti a una riforma della custodia cautelare, approvata finora all’unanimità (fatta accezione per Lega), che secondo quanto sostiene il presidente dell’Anni Rodolfo Sabelli "va a detrimento della sicurezza collettiva". Imbarcarla così com’è nella legge di conversione del decreto-carceri significherebbe assumersi la responsabilità politica dei suoi effetti; modificarla significherebbe rischiare uno sgretolamento della maggioranza, non solo sulla custodia cautelare ma anche sul decreto-carceri. Palazzo Chigi spinge per far confluire tutto in un unico provvedimento, correggendo in alcuni punti le nuove norme sul carcere preventivo. Quelle più discusse sono contenute negli articoli 2 e 3, in base ai quali il giudice non potrà più emettere una misura cautelare (né coercitiva né interdittiva) desumendo il pericolo di reiterazione del reato o di fuga dell’indagato "esclusivamente" dalla gravità del reato commesso e dalle modalità e circostanze del fatto. Quanto basta per far dire a Sabelli che "il giudice sarà disarmato di fronte a un indagato per omicidio, incensurato e con una storia personale tranquilla, anche se l’omicidio è particolarmente efferato". Niente custodia cautelare e neppure misure interdittive. "Paradossalmente, il carcere preventivo si applicherà al borseggiatore recidivo ma non nel caso di un omicidio, di una corruzione, di una bancarotta particolarmente gravi, se commessi da incensurati" dice sempre Sabelli, secondo cui si tratta di una "forte limitazione alla discrezionalità del giudice" introdotta dal ddl. Che sul punto andrebbe quindi corretto. "Per carità - aggiunge -: non passi l’idea che i magistrati vogliono tutti in galera. I giudici sono i primi a opporsi agli automatismi, ma anche questo sarebbe un automatismo, sia pure in negativo, perché si vieta la custodia cautelare, a meno che...". Di qui la conclusione: la riforma all’esame della Camera, così com’è, "introduce un irrigidimento sbagliato e spinge molto l’equilibrio in favore della libertà e a detrimento della sicurezza. Quindi, attenzione alle responsabilità - avverte Sabelli - quando un omicida rimarrà libero". L’Anni aveva già denunciato questa criticità durante le audizioni in commissione Giustizia, dove però è prevalsa la scelta, diversa, di non desumere le esigenze cautelari dalla gravità del reato, peraltro in linea con il parere dei presidenti delle commissioni ministeriali che hanno lavorato su carcere e custodia cautelare, Gianni Canzio e Glauco Giostra. Di qui il rischio che un emendamento correttivo del governo faccia saltare l’equilibrio politico. "Il lavoro parlamentare va rispettato" osserva Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia, che a gennaio dovrà valutare se sfruttare il treno più veloce del decreto-carcere anche per la riforma della custodia cautelare. "Il testo licenziato dalla commissione - dice - è frutto di un equilibrio condiviso dalla maggioranza delle forze politiche e del contemperamento delle esigenze di indagine con quelle di tutela della libertà personale". Quanto alla criticità segnalata dall’Anni, Ferranti ricorda l’allarme lanciato l’anno scorso dal primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo sull’abuso della custodia cautelare. Perciò "si è ritenuta necessaria una motivazione più articolata e rigorosa anche sulla sussistenza delle esigenze cautelari - spiega - soprattutto con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, che non può essere desunto solo dalla sua gravità. Ed è stata - conclude - una scelta ponderata". Giustizia: il recupero dei detenuti passa per il lavoro di Giampaolo Donzelli La Repubblica, 27 dicembre 2013 Il caso del detenuto pluriomicida non rientrato in carcere dopo un permesso premio, è l’esempio da manuale di come singoli giusti pareri possano portare a una decisione sbagliata. Opportunamente i giornali, interpretando l’opinione pubblica, hanno scritto pagine di fuoco sulla vicenda. Ma, attenzione a dare giudizi sommari: una decisione sbagliata resta tale, va cioè circoscritta e non deve servire come pretesto per generalizzazioni indebite, né per mettere in sordina i veri problemi del sistema carcerario italiano. L’inchiesta in corso chiarirà i fatti, ma non illudiamoci che vicende simili dipendano solamente da singole responsabilità. Basta leggere la ricca e dettagliata Relazione 2013 dell’allora Garante regionale dei detenuti Alessandro Margara per capire la reale portata dei problemi. L’Italia sta collezionando condanne da parte della Cedu - Corte europea diritti umani - davanti alla quale pendono tuttora circa 500 ricorsi per trattamenti degradanti e contrari al senso di umanità. Per tali violazioni, a maggio, l’Unione Europea si accinge a multare l’Italia per 70 milioni di euro. Alle radici del sovraffollamento (nella sola Toscana 4.200 detenuti contro una capienza di 3.200), ci sono leggi penali e politiche penitenziarie sbagliate. La legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la legge Fini-Giovanardi sugli stupefacenti e la legge Cirielli sulla recidiva vanno riviste alla luce delle gravi disfunzioni prodotte. Questa revisione mi pare la vera obbligatorietà in capo oggi alla politica. Infatti, le prime due hanno provocato, a parità di tasso delinquenziale, un elevato numero di detenuti in custodia cautelare e in esecuzione di pena, mentre la Cirielli impedisce l’accesso alle misure alternative dei recidivi, ostacolando la funzione riabilitativa, l’unica, per largo riconoscimento, realmente efficace. Esiste poi il problema dei detenuti in attesa di giudizio, anche per anni, dei quali poco meno della metà sarà poi assolta. In quanto alla politica penitenziaria essa sembra incappata in un fatalismo rassegnato quanto incapace di affrontare l’inevitabile sovraffollamento in condizioni di sempre più evidente violazione legislativa europea. A proposito di tali leggi, nel manifesto No Prison, allegato alla Relazione del Garante, si legge: "Tutte tendono a risolvere problemi che andrebbero affrontati e risolti sul piano sociale, come fenomeni sociali quali sono, mentre vengono consegnati al carcere perché li risolva attraverso interventi di esclusione, contrari a quelli sociali, che sarebbero invece necessari." Vanno perciò salutati con molto favore le iniziative assunte dalla Regione Toscana, dal ministero della Giustizia e dall’Anci, nell’ambito di un protocollo che prevede il reinserimento in comunità terapeutiche di circa 300 detenuti tossicodipendenti (su circa 500 oggi presenti in carcere), provenienti dalle carceri di Massa Marittima, Grosseto, Empoli. L’accordo prevede anche l’utilizzo dei detenuti in lavori di utilità sociale, fra i quali il recupero funzionale del carcere di Pianosa, chiuso da pochi anni. I lavori di utilità sociale sono una leva motivazionale formidabile, agevolano l’attività di custodi, assistenti sociali e sanitari per il recupero dei detenuti, forniscono un’identità nuova e un diverso percorso esistenziale a persone fragili e vulnerabili. Nel caso dei tossicodipendenti, come già scrissi in un precedente articolo, in cui trattavo la prevalenza di malattia nelle carceri toscane, l’ulteriore vantaggio è quello di impedire l’evoluzione verso forme croniche di dipendenza che, annullando la personalità, imprigionano ulteriormente il detenuto all’interno di vere e proprie malattie mentali. L’augurio per l’anno che viene è che si proceda su questa strada, coinvolgendo un numero sempre più significativo di detenuti. Spezzare le catene del carcere, non vuole dire un "libera tutti", ma chiedere a chi ha sbagliato di pagare il proprio debito scommettendo su se stesso e sulla speranza di potere uscire dal carcere da persona nuova. Giustizia: basta tossici in cella, solo le comunità terapeutiche battono la recidiva di Nello Scavo Avvenire, 27 dicembre 2013 Per i piccoli spacciatori di droga l’istituzione del reato di "spaccio lieve" consente il recupero e la cura dei tossicodipendenti. In carcere il tossicodipendente non riceve le stesse cure che può ricevere nelle comunità". Lo aveva detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, annunciando nei giorni scorsi i provvedimenti per alleggerire le carceri. Dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, però, chiedono di più. Perché il provvedimento di Cancellieri concede l’ultima parola al giudice. "Al contrario servirebbe una norma che stabilisca l’obbligo di assegnare a una comunità terapeutica chi commette reati a causa della dipendenza da droghe". La proposta è stata lanciata da Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII nel corso della "Festa del riconoscimento", l’appuntamento che l’associazione fondata da don Benzi organizza ogni anno il giorno dopo Natale, per celebrare la conclusione del programma terapeutico di chi ha voluto liberarsi dalla droga. La proposta di Ramonda avrebbe ricadute positive sia per le casse dello Stato che per la sicurezza pubblica. Oggi si spendono circa 100 euro al giorno per il mantenimento di un detenuto. "In comunità - calcola Ramonda - si arriverebbe al massimo a 70 euro". Ma poi l’utilità maggiore sarebbe un’altra: "Oggi oltre l’80% di chi esce dal carcere torna a delinquere, mentre tra quanti affrontano un percorso terapeutico non si arriva al 15%". E questo in un Paese con un sistema detentivo collassato, nel quale "il 24,5% dei detenuti, secondo dati Istat, è costituito da tossicodipendenti", ha ricordato Ramonda davanti ai 94 giovani che hanno concluso con successo quest’anno il programma terapeutico messo a punto non solo in Italia ma anche, per 22 ragazzi, in Brasile, Cile, Bolivia, Albania, Croazia. "Se trasformiamo la pena detentiva in un percorso serio presso comunità terapeutiche - assicurano dalla Giovanni XXIII - riduciamo di un quarto la presenza in carcere ma soprattutto attuiamo una pena veramente rieducativa come vuole la nostra Costituzione". E di sovraffollamento si muore. Lo hanno ricordato i Radicali che hanno scelto il giorno di Natale per tornare a chiedere attenzione al problema delle carceri e dei carcerati invocando con un corteo per le vie del centro di Roma "amnistia, giustizia e libertà". Una manifestazione che ha visto la partecipazione dei leader storici dei Radicali, Marco Pannella e Emma Bo-nino, ma anche tanti di parlamentari di ogni schieramento politico. Giustizia: processi troppo lenti, lo Stato deve sborsare oltre 340 milioni di Luca Fazzo Il Giornale, 27 dicembre 2013 Il debito accumulato in 12 anni è enorme. Ma i soldi sono pochi e i risarcimenti alle vittime restano al palo. A Verbania, sulle sponde del lago Maggiore, una piccola ditta di nome Alba Italia vendeva tappetini e scendiletto. Arrivò la crisi, e la Alba venne dichiarata fallita in un tiepido giorno di maggio del 1979. I curatori fallimentari iniziarono il loro malinconico lavoro, i conteggi del dare e dell'avere. Ci sono voluti trentatré anni - trentatré interminabili anni - perché la giustizia chiudesse il fascicolo. E quando un piccolo gruppo di creditori della Alba hanno chiesto di essere risarciti per la folle durata del processo, si sono visti riconoscere undicimila euro, poco più di quattromila euro a testa. Lo Stato non ha pagato nemmeno quei risarcimenti. Hanno dovuto ricorrere al Tar della Lombardia per costringere lo Stato a pagare il dovuto. Prima che il Tar provvedesse, la Corte d'appello ha scucito. Di storie come queste l'Italia è ormai sommersa. Costretta dall'Europa a fare qualcosa contro la intollerabile durata dei suoi processi, Roma invece di accorciare i processi ha stabilito che chi passa una vita in attesa di una sentenza ha diritto poi a venire risarcito. Il risarcimento è modesto, quasi irrisorio. Ma la massa di processi dalla durata assurda è talmente vasta che non bastano i soldi per risarcire tutti quelli che ne avrebbero diritto. A dodici anni da quando è entrata in vigore la cosiddetta “legge Pinto”, lo Stato ha accumulato un debito di oltre 340 milioni di euro verso le vittime della giustizia-lumaca. Soldi che verranno pagati chissà quando: nel bilancio del ministero della Giustizia esiste un apposito capitolo di spesa, il 1264, per fare fronte ai risarcimenti. Quest'anno, come gran cosa, sono stati stanziati 50 milioni per smaltire una parte dei debiti. Ma nel frattempo si accumulano altre condanne, anche se nel 2012 il governo Monti ha cercato di ridurre i risarcimenti. E il ciclo non si chiude mai. Così si è innescato un altro piccolo universo di contenzioso giudiziario, come se non ce ne fosse abbastanza. Il meccanismo è questo. Le lentezze dei processi celebrati in una città, vengono sanzionate - per evitare eccessi di colleganza - da un'altra Corte d'appello: Torino decide su Genova, Milano su Torino, Brescia su Milano eccetera. Ognuno fa un po' a modo suo: Torino risarcisce i ritardi di Genova al minimo della cifra (la legge stabilisce una somma tra i 500 e i 1.500 euro all'anno); Milano risarcisce i ritardi di Torino con 500 euro per i primi tre anni e con 750 dal quarto anno; e così via. Ma soprattutto quelli che cambiano sono i tempi di pagamento. “Alla Corte d'appello di Milano - spiega Massimo Tribolo, l'avvocato che ha seguito la richiesta dei creditori della Alba - va dato atto di avere imboccato la strada dell'efficienza. Ma non dappertutto è così, anzi. Torino è ferma ai risarcimenti del 2009, e non credo che sia la situazione peggiore d'Italia”. Per fare fronte ai ritardi dei risarcimenti, i creditori hanno inventato un'altra strada: si rivolgono al Tar della regione in cui si trova la Corte d'appello che ha emesso la sentenza, ottengono la nomina di un cosiddetto commissario ad acta, un signore cioè che si impadronisce della cassa della Corte e provvede al pagamento. I soldi in quei casi saltano fuori, anticipati dalla Banca d'Italia ma di fatto sottratti a qualche altra voce di bilancio. Nel frattempo gli anni passano, le aziende creditrici falliscono, i giudici vanno in pensione, i curatori muoiono... Che senso ha parlare di giustizia per una giustizia che dovrebbe arrivare in sei anni e invece ne impiega trentaquattro? Con nove milioni di processi pendenti, e visti i tempi medi di durata, nel giro di qualche anno acquisiranno il diritto al risarcimento altri milioni di italiani. Non tutti, fortunatamente, chiederanno il risarcimento previsto dalla legge Pinto, altrimenti non basterebbe l'intero bilancio del ministero della Giustizia. Ma comunque il debito continuerà ad accumularsi, e ogni italiano con le sue tasse si troverà a dover risarcire danni di cui non ha colpa. Ma in nessun caso lo Stato busserà alla porta di chi ha tenuto fermo il fascicolo chiedendo spiegazioni. Giustizia: Tamburino (Dap); festeggiare calo detenuti, verso 62mila, anno scorso 65mila Ansa, 27 dicembre 2013 "Da festeggiare nella situazione del sistema penitenziario c’è il fatto che corriamo verso le 62 mila presenze nelle carceri italiane; l’anno scorso erano 65 mila. Un calo da salutare con soddisfazione". Lo ha detto il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino al pranzo di Natale organizzato oggi dalla Comunità di Sant’Egidio nel carcere di Regina Coeli a Roma. Tamburino ha ricordato "il decreto approvato giorni fa che ha aumentato le possibilità di liberazione anticipata, al quale abbiamo lavorato". "Pensate che c’è anche chi sta peggio di voi fuori - ha detto Tamburino ai 150 detenuti seduti a tavola. Quello che facciamo nel carcere è sempre in proiezione verso l’esterno, verso il dopo, per questo è molto importante il comportamento nel carcere". Il capo del Dap ha ringraziato Sant’Egidio per l’iniziativa di Natale, giunta alla quinta edizione, e il personale e i volontari che lavorano a Regina Coeli. Giustizia: Alfano; ok a certezza pena, ma dobbiamo garantire anche certezza dei diritti Ansa, 27 dicembre 2013 Costruire nuovi istituti? Intanto rendiamo vivibili questi. "Svuota carceri" è una parola che non rende il senso dell’iniziativa del governo. Non c’è nessun automatismo nel nostro provvedimento, c’è piuttosto la seria volontà, conforme a giustizia, di rendere le nostre carceri luoghi più vivibili e più conformi al ruolo che gli assegna la Costituzione: espiazione della pena e reinserimento dei condannati nella vita sociale". Lo afferma in un’intervista a Ilsussidiario.net il ministro dell’Interno, Angelino Alfano sottolineando come "le condizioni di sovraffollamento sono incompatibili con questo compito e spesso con la stessa dignità umana delle persone ristrette. Ce lo ha ricordato il presidente Napolitano, ci ha ammonito più volte l’Europa". Non servirebbero nuove carceri? "Se a questo scopo servono nuove carceri - risponde Alfano - le costruiremo. Intanto cerchiamo di rendere praticabili alle persone non socialmente pericolose tutte le forme alternative alla detenzione. Non c’è nessun allarme per la sicurezza dei cittadini. I due gravi casi di non rientro dai permessi che hanno riempito le cronache di questi giorni non hanno nulla a che vedere con questo provvedimento, e sono dovuti a responsabilità precise per le quali chi ha sbagliato dovrà pagare. Io dico che assieme alla certezza della pena - conclude - ci vuole la certezza del diritto. Non ha senso, ad esempio, tenere in cella gente in custodia cautelare che nel 50 per cento dei casi risulterà poi innocente". Carceri: Marazziti (Pi); vorrei visitare prigione con Renzi, amnistia per Italia più sicura Ansa, 27 dicembre 2013 "L’amnistia e l’indulto renderebbero l’Italia più sicura. I dati dicono che chi ha ricevuto l’indulto è stato poi recidivo nel 33% dei casi, mentre chi ha scontato la pena per intero lo è stato nel 67% dei casi". Lo ha detto il deputato di Per l’Italia Mario Marazziti, presidente del Comitato diritti umani della Camera, parlando con i giornalisti prima del pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nel carcere di Regina Coeli a Roma. Marazziti ha poi detto di voler proporre al segretario del Pd Matteo Renzi di visitare un carcere assieme. "È contrario all’amnistia, ma l’ha detto durante la campagna per le primarie", ha spiegato. "Il carcere in Italia è illegale - ha affermato Marazziti -. Ci sono 65 mila detenuti per 45 mila posti, l’Unione europea ci ha già condannati e abbiamo tempo fino a maggio per rimediare. Ci sono 20 mila persone in attesa di giudizio. Il 33% dei detenuti è per reati di droga, in Francia e Germania sono il 14%. Ma in Italia non si commettono un maggior numero di reati simili, semplicemente è l’effetto di due leggi, la ex Cirielli che impedisce ai recidivi di usufruire di benefici e la Giovanardi-Fini sugli stupefacenti. Bisogna cancellarle". "Amnistia e indulto sono necessari - ha poi detto Marazziti tra gli applausi dei detenuti. Aiuteranno l’Italia a essere migliore e a fare del carcere un luogo dove si capisce che si è sbagliato per poi tornare nella società". Lettere: carceri, questa non è una vera riforma dì Adriano Sansa (Magistrato) Famiglia Cristiana, 27 dicembre 2013 Scopo del sistema penale è punire secondo giustizia, rieducando e proteggendo la vita sociale: non lo "svuotamento". Ma è una cosa seria questo legiferare con il respiro corto? Qualche cosa di buono c'è, nel decreto governativo sul carcere. Come l'attenzione alla differenziazione tra piccolo e grande spaccio di stupefacenti e l'incremento delle possibilità di cura. 0 un principio di diverso atteggiamento verso l'immigrazione clandestina. Ma ci sono misure imprudenti. Si allarga, temporaneamente, a dismisura, il premio per chi si comporta correttamente, fino a condonargli due mesi e mezzo ogni sei; per crimini gravi - scippi, rapine, violenze (ma non abbiamo appena chiesto severità contro la violenza alle donne?) - si sconterà assai poco in prigione, con pregiudizio dell'incolumità pubblica, rinuncia alla rieducazione, scorno per le vittime. Non basta, per i fatti precedenti al 2006, data dell'ultimo indulto, per effetto della somma tra le misure, si starà a casa per delitti gravissimi. Contemporaneamente poi l'affidamento ai servizi sociali si allarga a chi deve scontare non più di quattro anni. Ma quale sarà il limite agli espedienti che tengono luogo di strutture decenti, lavoro, rieducazione effettiva, protezione sociale? E le terribili violenze di recenti morti in carcere non spariranno perché si accorciano le permanenze. È altro la riforma del carcere. Lo scopo del sistema penale è punire secondo giustizia, rieducando e proteggendo la vita sociale: non lo "svuotamento" del carcere, che si potrebbe avere abolendo processi e sentenze. Non confondiamoci. Lo scolmatore casuale e periodico è un ripiego. I veri riformatori di giustizia e carcere devono ancora venire. E alle prossime elezioni, chiedendo ordine, qualcuno che ha votato il decreto avrà milioni di voti? Lettere: la paura del "fuori" dopo una vita in carcere di Claudio Pomes Il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2013 Ho passato più tempo dentro il carcere che in libertà. Sono un detenuto da quando ero giovanissimo. Ho 47 anni e ora sono nel carcere di Enna. Purtroppo, e mentre lo scrivo sorrido, tra poco sarò scarcerato. Un momento che sogno da anni, ogni giorno che passa si trasforma in un incubo. Fuori da qui, infatti, io sono solo e non so dove andare. Il carcere di Enna tra i tanti che ho girato mi ha ridato la speranza e la fiducia nella vita. Da qualche mese infatti lavoro pulendo le stanze dell’amministrazione e della direzione. Dopo anni di diffidenza la fiducia che mi è stata data, sia dalla direttrice del carcere che dal capo dell’area educativa, mi hanno ridato forza. Qui a Enna ho trovato degli operatori che mi ascoltano, che mi hanno guardato, per la prima volta, come un uomo. Lavoro e ho avuto l’opportunità di frequentare la scuola e un corso professionale di computer dove ho imparato tanto. Dentro il carcere sono al caldo, ho un pasto, ho un letto, posso lavarmi. Ma appena fuori? Quando questi cancelli si apriranno io mi troverò davanti al baratro. Non ho un lavoro, non ho una famiglia, non ho soldi, non ho una casa. lo il mio debito con la giustizia l’ho pagato e voglio cambiare vita. Vivo nel terrore perché so già che se nessuno mi aiuterà io in carcere ci tornerò presto. Si parla tanto di carceri sovraffollate, di disumanità, di disservizi. Nel carcere di Enna ho ricominciato a sorridere e vorrei poterlo fare anche fuori, in quella società che oltre che civile dovrebbe essere responsabile, dando corso a quel reinserimento di cui tanto si parla. Lettere: il dolore di vivere il Natale in una cella di Angelo Busetto www.ilsussidiario.net, 27 dicembre 2013 "Per me Natale è un’altra nota dolente. Ci sono fuori le luci, i presepi, pure gli alberi di Natale, ma niente di tutto questo sembra cambiare i cuori delle persone. E io non faccio di certo eccezione. Per me Natale è un giorno da vivere da vero recluso, senza lavoro e in assoluta assenza di compagnia; di diverso dagli altri però, quest’anno vedrò il mio piccolo figlio in più di un’occasione; così avrò il mio bambinello a ricordarmi la gioia del cuore e il senso di questo periodo dell’anno." Non conosco il volto di questo amico in carcere con il quale - per una coincidenza fortuita - ho intrapreso da qualche anno una fedele corrispondenza. Conosco invece almeno un poco il suo cuore. Ha commesso un reato gravissimo in un momento di stralunamento, ma vive con cocente pentimento e si riscatta giorno per giorno con varie occupazioni, nella solitudine del carcere. "Mi manca la mia famiglia, e vorrei essere in grado di dare di più dei semplici oggetti da me fabbricati e che consegno ai miei familiari nell’ora di colloquio". In carcere ha avuto diverse occasioni di lavoro, ma adesso "il lavoro è diventato un problema tanto quanto lo è di fuori: mancano i soldi e ahimè mancano anche persone che entrino in carcere senza pregiudizi". "L’altro giorno - continua - sono venuti in visita un gruppo di preti e sono rimasto stupito; ho visto preti giovani completamente spaesati di fronte a questa realtà e ai bisogni che molti di noi hanno, come un posto per dormire, il lavoro, il semplice conforto. Il cappellano spiegava e, a parte qualcuno più in là con gli anni, gli altri guardavano questa realtà come se fosse una novità; lo racconto perché ho visto entrare un sacco di giovani degli oratori e comportarsi nella stessa maniera, quando alle soglie del 2014 questa dovrebbe essere una realtà di dominio pubblico come il gossip su Balotelli e non un tabù". La conclusione è amara: "Alle volte quando ci sono queste visite mi viene da dire ad alta voce: "Non avvicinatevi alle gabbie e non date da mangiare agli animali’" Capisci la sofferenza, la solitudine che questo può creare?" Mentre leggo, avverto nel cuore l’eco delle parole di Gesù: "Ero in carcere e mi avete visitato". Sicilia: primo Natale senza Garante dei detenuti, Presidente Crocetta decida di Claudio Porcasi www.blogsicilia.it, 27 dicembre 2013 "Dopo tanti anni, è il primo Natale durante il quale non visitato i detenuti. Il motivo lo conoscete tutti. Mi dispiace molto, in cambio ho assistito gli infermi. Tantissimi auguri a tutti". È questa l’amara considerazione postata qualche ora fa su Facebook da Salvo Fleres, per sette anni garante dei detenuti siciliani. Una carica che da settembre è vacante perché il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, non ha ancora scelto il successore di Fleres. Una situazione che stride con gli appelli del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al governo e al Parlamento per affrontare i problemi causati dal sovraffollamento degli istituti di detenzione. Condizioni che potrebbero presto causare delle sanzioni all’Italia da parte dell’Unione europea. È da settembre, infatti, che i detenuti siciliani non hanno più il loro Garante. Il mandato di Fleres è scaduto il 3 agosto, dopo è scattata la proroga automatica di 45 giorni prevista dalla legge, il 16 settembre è terminata anche questa. Salvo Fleres, nominato sette anni fa era divenuto il punto di riferimento della popolazione carceraria nell’Isola. L’ex garante, che rimane l’unico candidato ufficiale per ricoprire un ruolo che è a titolo gratuito attende ormai da tre mesi di sapere che fine farà questo ruolo. Sono ormai migliaia le lettere e le segnalazioni di detenuti e loro familiari che ha ricevuto da quando non ha più poteri d’intervento. E questa vacatio non è priva di ripercussioni: Fleres non ha più titolo per presentarsi alle udienze contro le amministrazioni penitenziarie scaturite da sue denunce sulle carenze del sistema carcerario siciliano e quindi finiranno in un nulla di fatto. Cagliari: Sdr; a Natale due neonati con le madri in carcere a Buoncammino Agi, 27 dicembre 2013 Due neonati di 26 e 28 giorni sono dalla sera di Natale nel carcere cagliaritano di Buoncammino, assieme alle loro madri, due rom di 24 e 31 anni, arrestate per furto e condannate a due anni e due mesi. "Ancora una volta, nonostante le dichiarazioni dei ministri della Giustizia susseguitisi nell’incarico, bambini e neonati continuano a varcare le porte del carcere", accusa la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, Maria Grazia Caligaris, che ha segnalato il caso. "Una vergogna che rende evidente l’inefficienza del sistema giudiziario". L’ex consigliera regionale esprime "vivo rammarico per la presenza di due creature in una struttura in cui le condizioni igienico-sanitarie non sono a misura di neonato". "Da troppi anni si attende in Sardegna la disponibilità di un istituto a custodia attenuata per garantire ai piccoli una condizione meno afflittiva e alle donne di scontare la pena vicino ai loro figli", aggiunge Caligaris. "L’auspicio è che al più presto i due neonati lascino Buoncammino, ma occorre risolvere il problema una volta per tutte, realizzando una struttura alternativa alla detenzione in carcere". Roma: pranzo di Sant’Egidio a Regina Coeli, i detenuti invocano l’amnistia La Repubblica, 27 dicembre 2013 In 150 a tavola, presenti capo Dap Tamburino e l’attore Flavio Insinna. Centocinquanta detenuti hanno partecipato Applausi dei reclusi seduti a tavola quando nei discorsi degli oratori è stata menzionata l’ipotesi di un’amnistia. Nel penitenziario romano, uno dei più sovraffollati d’Italia - tappa ieri della marcia dei radicali per chiedere il provvedimento di clemenza - ci sono circa 1200 detenuti rispetto a una capienza di 750-800, secondo il direttore Mauro Mariani. Solo 170 hanno ricevuto una condanna definitiva. All’iniziativa hanno partecipato il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino, il deputato di Scelta civica per l’Italia Mario Marazziti (presidente del Comitato diritti umani della Camera), il vescovo di Roma Centro monsignor Matteo Zuppi. Presente anche l’attore e conduttore tv Flavio Insinna. Il pranzo si è svolto nella biblioteca di Regina Coeli, ampliata anche grazie al lavoro gratuito dei detenuti. Il menu prevedeva lasagne al ragù, polpettone, patate al forno e broccoletti ripassati, dolci di Natale, frutta, vino, bibite analcoliche e spumante. Detenuto: questo è un posto disperato "Questo è un posto disperato. Puoi entrare vivo e uscire morto, se non metti la testa a posto". Elison Oman ha 46 anni, è di Capo Verde, detenuto a Regina Coeli, carcere romano tra i più sovraffollati d’Italia, in cui il 60% dei prigionieri è straniero e ci sono anche dei settantenni. Una condanna per spaccio di droga, l’uomo deve scontare ancora 4 anni. È uno dei reclusi autorizzati a parlare con la stampa in occasione del pranzo di Natale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nell’antico penitenziario di Trastevere. Oman sta in una cella con cinque compagni. "Qui la vita può diventare troppo dura, a volte ci sono violenze, incidenti dovuti soprattutto alla rabbia - ha detto Oman -. La rabbia rovina tutto. Ora speriamo che il governo faccia qualcosa". Giuseppe Rampello invece ha 67 anni, è in carcere da 5 anni e mezzo e con altri 9 da scontare per omicidio, dice. Scrive racconti ed è stato anche premiato. "Ormai di professione faccio il detenuto - dice -. Conosco le leggi e molti compagni fanno riferimento a me. Dovete guardare al carcere come a un posto dove ci sono delle persone, anche se hanno sbagliato. Siamo in attesa di un provvedimento di clemenza". Sul rapporto con le guardie carcerarie Rampello dice: "Come in un condominio ci sono quelli che si comportano bene e quelli con cui non vai d’accordo. La diversità a volte è un ostacolo". Roma: Natale in carcere, Casini a Rebibbia incontra Salvatore Cuffaro di Calogero Giuffrida www.supermoney.eu, 27 dicembre 2013 "Il sovraffollamento nelle carceri italiane rende abnormi le condizioni di detenzione per uno Stato di diritto". Diversi politici in visita alle carceri italiane per le festività natalizie. Non poteva certo passare inosservata la visita di Pier Ferdinando Casini, leader Udc e presidente della commissione Affari esteri del Senato della Repubblica, al carcere di Rebibbia dove ancora una volta ha incontrato l’ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, che sta scontando una condanna a sette anni di carcere per favoreggiamento alla mafia. "Il sovraffollamento nelle carceri italiane rende abnormi le condizioni di detenzione per uno Stato di diritto", ha detto Casini rispondendo ai giornalisti. A chi gli ha chiesto dell’incontro con l’amico detenuto al quale qualche giorno fa è stato negato l’affidamento in prova ai servizi sociali, il presidente della commissione Affari esteri del Senato ha spiegato, riporta l’Ansa, che "Cuffaro ha espresso amarezza per la mancata concessione di affidamento ai servizi sociali, ma vive la sua reclusione con una dignità e un rispetto per le Istituzioni e per lo Stato eccezionali". E da Agrigento, la sua terra, arriva oggi una lettera aperta di solidarietà a Cuffaro scritta dall’ambientalista agrigentino Giuseppe Arnone: "Caro Totò, per Natale ti invio alcune mie considerazioni pubbliche con cui intendo prendere le distanze da uomini dello Stato che non rappresentano i miei valori che stanno alla base del mio impegno per la legalità e contro la mafia in Sicilia. La tua vicenda - ha aggiunto Arnone - va messa insieme a quella che riguarda Bernardo Provenzano ed il suo ingiustificabile ed intollerabile, nella sua situazione sanitaria attuale ed irreversibile, stato di detenzione". Secondo Arnone "la mafia si batte con lo stato di diritto, con il rispetto delle regole. A coloro che hanno ucciso il piccolo Di Matteo calpestando ogni sentimento di umanità, si risponde applicando le regole garantiste e cariche di umanità previste dalla Costituzione italiana". Intanto, a proposito di sovraffollamento carcerario per il quale l’Italia è stata già sanzionata dalla Corte di Strasburgo, il deputato di Sel Gianni Melilla, dopo una visita natalizia al carcere di Pescara, ha sottolineato "la necessità di una delocalizzazione dell’istituto penitenziario" proponendo di "costruire un nuovo carcere in grado di ospitare in modo adeguato 350 detenuti e far lavorare in condizioni dignitose i 150 agenti di polizia penitenziaria". Udine: l’on. Gigli (Pi) dopo visita in carcere chiede un impegno per i carcerati Il Friuli, 27 dicembre 2013 "Un impegno trasversale del Parlamento per migliorare le condizioni di vita dei carcerati". Così il deputato dei Popolari "Per l’Italia" Gian Luigi Gigli, visitando i detenuti del carcere di Udine, ha definito in una nota la rete degli oltre 50 parlamentari di diversi partiti aderenti all’iniziativa "Ero carcerato e siete venuti a visitarmi" che, nel giorno di Natale, si sono recati nelle carceri italiane per rilevarne i problemi e incontrare i reclusi. Accolto dalla direttrice dell’istituto penitenziario di via Spalato, Dr.ssa Iannucci, e dalla comandante delle guardie, Dr.ssa Senales, con le quali ha esaminato i problemi della struttura, caratterizzata da sovraffollamento e mancanza di spazi per la socializzazione e il lavoro, Gigli ha incontrato i detenuti ricordando loro l’arrivo in Parlamento del decreto ‘svuota carceri’ del Ministro Cancellieri. "Ben il 18 per cento della popolazione carceraria è in attesa di giudizio - ha evidenziato Gigli-. Per sfollare le carceri occorre dunque anzitutto ridurre il troppo facile ricorso alla carcerazione preventiva, ma è necessario anche estendere la possibilità delle pene non detentive e il ricorso alla detenzione non carceraria. Senza queste misure, il ricorso a provvedimenti di clemenza rischia di avere ancora una volta solo effetti transitori, anche se forse sarà necessario per evitare le sanzioni dell’Europa. Per un’efficace riabilitazione, occorre investire risorse sul lavoro dei carcerati, perché senza lavoro, soprattutto in tempi di crisi, la spinta a rientrare nel circuito malavitoso sarà altissima. Si tratta di un investimento molto meno oneroso delle spese di sorveglianza e dei costi sociali prodotti dalla reiterazione delle azioni delittuose". Genova: detenuto dà fuoco alla cella, salvato dalla Polizia penitenziaria Ansa, 27 dicembre 2013 Ancora problemi nel carcere genovese di Marassi dove, ieri pomeriggio, proprio nella sesta sezione dove era recluso l’omicida Bartolomeo Gagliano, un detenuto magrebino, ha dato fuoco alla cella e solo grazie all’intervento degli agenti della polizia penitenziaria, è stato salvato. Sul fatto è intervenuto il segretario regionale della Uil-Pa Penitenziari, Fabio Pagani, chiedendo un intervento del ministro della Giustizia Cancellieri per chiedere la "drastica riduzione degli ospiti del penitenziario" e ribadendo come "il carcere genovese di Marassi non sia "assolutamente in grado di ospitare soggetti con caratteristiche di ingestibilità". Sappe: espellere i detenuti stranieri Il giorno prima aveva distrutto la cella, ieri - nel giorno di Natale - ha nuovamente ha dato in escandescenza dando fuoco alla nuova camera di detenzione. È accaduto nel carcere genovese di Marassi ed ha visto protagonista un giovane detenuto nordafricano. "Che il grave fatto, peraltro gestito con grande professionalità e competenza dal Personale di Polizia Penitenziaria in servizio a cui va il plauso del primo Sindacato del Corpo, sia avvenuto nel pieno delle note polemiche per effetto delle quali sarebbe stato destinato a nuovo incarico il direttore Salvatore Mazzeo dimostra le problematiche del carcere della Valbisagno. E conferma chiaramente come siano assolutamente urgenti i provvedimenti promessi più di tre mesi fa dal Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nel corso di una visita nel carcere di Genova. A cominciare dallo sfollamento del carcere per ricondurlo alla capienza regolamentare dei circa 400 posti rispetto alle presenze che stabilmente si attestano invece sulle 800 unità. Peccato che le promesse siano rimaste tali", commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. L’evento critico in carcere ha coinvolto un detenuto straniero. E Martinelli sottolinea come "più del 60% dei detenuti a Marassi non è italiano. Queste presenze accentuano le criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati, che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi". Il Sappe torna dunque a chiedere al Governo Letta di "recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria e di avviare le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché scontino la pena nei Paesi d’origine". Parma: "la pena non sia una vendetta", visita al carcere per On. Pagliari e Maestri www.parmadaily.it, 27 dicembre 2013 Hanno scelto la mattina del 24 dicembre il senatore Giorgio Pagliari e la deputata Patrizia Maestri per una visita al carcere di Parma, nel corso della quale si è svolto prima un incontro con la direzione della struttura e poi è stata visionata la stessa, con particolare attenzione alle condizioni dei detenuti. Un incontro, quello con i vertici del penitenziario, utile per comprenderne le criticità. È così apparso chiaro come il carcere di massima sicurezza di Parma, destinato ad ospitare detenuti che si sono macchiati di reati per i quali sono previste pene severe e detenzioni molto lunghe, oltre che detenuti paraplegici e afflitti da gravi patologie, sia anche una struttura con disagi simili a quelli di altri penitenziari, almeno per quanto riguarda la carenza di personale, che si attesta intorno al 30%. Un problema cui si fa quotidianamente fronte attraverso il ricorso al lavoro straordinario, ma che necessita di interventi strutturali e soluzioni definitive. Un carcere poi dove, essendo ospitati detenuti condannati a pene lunghe quando non all'ergastolo, è più che altrove necessario fare fronte all'esigenza di condizioni detentive corrette. L'occasione anche, per il senatore Pagliari, per rimarcare l'importanza del tema dell'emarginazione, comune a tante persone detenute ma che riguarda anche tanti cittadini al di fuori delle carceri e che è più drammatico in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo. "Avere visitato il carcere di Parma, dove il sovraffollamento è limitato, ci dà l'idea di quale possa essere lo stato di altri carceri, dove questo problema è forte e sentito - ha affermato dopo la visita il senatore Pagliari. Dare una risposta è dunque una assoluta necessità. Ma non c'è solo il sovraffollamento. Oggi ci troviamo di fronte a detenuti che non potranno in molti casi usufruire delle pene alternative per la necessità di un tessuto familiare e sociale all'esterno che queste richiedono. Nel visitare queste strutture si comprende dunque il dramma della emarginazione, che non riguarda però solo le persone detenute, anzi. Non voglio dimenticare il dramma dell'emarginazione che riguarda tante persone libere e che provoca una grande angoscia, deve essere il primo punto nell'agenda del 2014. È un dramma che riguarda anche tante persone fuori dalle carceri, un problema cui dare risposte, anche per evitare di spalancare le porte a populismi autoritari". Un elogio al lavoro svolto dal personale, pur in condizioni difficili e di disagio, è stato pronunciato dall'onorevole Patrizia Maestri: "Si è trattato di una visita estremamente importante per comprendere le problematiche del carcere - ha affermato la Maestri - Oggi tutti, dalle guardie penitenziarie alla direzione, lavorano per colmare lacune e per ovviare ai problemi legati al sovraffollamento e alla carenza di personale. Quello che ci siamo trovati di fronte è una struttura in cui si cerca di rendere più vivibile il sistema di carcerazione, e penso soprattutto alla possibilità di visita, per i più piccoli, in una sala dedicata, con personale volontario e tanti giochi a loro disposizione. Un modo per rendere meno duro l'impatto con una realtà difficile come il carcere. Quello cui assistiamo è un forte impegno da parte del personale pur in un regime di forte contenimento delle spese. Un impegno che deve essere volto alla piena realizzazione di quelle che, secondo la legge e la stessa Costituzione, devono essere le funzioni del carcere: la pena per chi ha sbagliato deve essere certa e giusta ma non può essere una vendetta, e la detenzione deve diventare sempre di più rieducazione per garantire maggiore sicurezza sociale". Pescara: Melilla (Sel) chiede delocalizzazione della Casa circondariale Agi, 27 dicembre 2013 Il deputato abruzzese Gianni Melilla (Sel), che ieri mattina ha visitato il carcere di Pescara toccando con mano carenze e problematiche della struttura, mette in evidenza "la necessità di una delocalizzazione" dell'istituto penitenziario e parla del bisogno di "costruire un nuovo carcere in grado di ospitare in modo adeguato 350 detenuti e far lavorare in condizioni dignitose i 150 agenti di polizia penitenziaria". Melilla parla anche della "grave carenza di organico del personale di polizia, che comporta turni onerosi e stressanti per gli addetti in servizio". Essendo invece stata ultimata la realizzazione di una nuova sezione, "il sovraffollamento dei detenuti non è grave, anche se gli spazi sono ancora insufficienti" e le carenze strutturali "sono state ulteriormente dimostrate in occasione della recente alluvione, con l'allagamento del carcere e l'evacuazione del piano terra". Il deputato di Sel segnala la presenza nella struttura della droga, "che gira e viene spacciata aggirando i controlli" e mette in evidenza, piu' in generale per i penitenziari abruzzesi, il problema della assistenza sanitaria specie per chi ha problemi psichiatrici. "Il lavoro per i detenuti, poi, è insufficiente e riguarda solo una minoranza". Macerata: sindaco Camerino visita detenuti "bisogna intervenire per dare dignità" di Filippo Ciccarelli www.cronachemaceratesi.it, 27 dicembre 2013 Sindaco, a che punto è l’iter per la nuova casa circondariale di Morro? "Cercherò di riprendere insieme ai parlamentari marchigiani la costruzione del nuovo carcere. Si tratta di una struttura che non riguarda solo il territorio di Camerino. Si è visto in questi giorni, un po’ su tutti i media nazionali, quanto sia difficile e indegna la vita dei detenuti. E nonostante tutto, non si costruiscono nuove carceri. La struttura di Camerino era prevista nel piano di edilizia carceraria, in attesa di andare a gara. Poi però sono venuti a mancare i finanziamenti, e allora è stata sfilata dal piano carceri. Ma noi ci riproveremo: è tutto pronto, serve la volontà politica del Ministero. A proposito della politica nazionale, penso che sia giusto consentire ai sindaci delle città dove ci sono carceri di poterle visitare come avviene per i Parlamentari, senza cioè richiedere tutte quelle autorizzazioni e permessi che servono". Quanti sono i posti previsti nel nuovo carcere? "Il piano ne prevede 400. Nell’attuale casa circondariale ci sono invece 50 detenuti, la stragrande maggioranza dei quali sono uomini. Ai carcerati ho detto che siamo disponibili a riattivare l’articolo 21, con cui l’Amministrazione poteva chiedere di far lavorare alcuni ospiti della casa circondariale con il Comune. Bisogna intervenire per dare dignità a queste persone". Sembra che, da Roma, ci siano novità anche per quanto riguarda il Tribunale (leggi l’articolo)… "Ci sarebbe in effetti una decisione della Commissione Giustizia del Senato che cerca di salvare su 30 tribunali soppressi: 10 di questi dovrebbero rimanere tali, e sono scelti in base a determinati parametri, quali il numero di residenti nel territorio, almeno 170mila, e il numero di cause, almeno 6 mila. Poi ci sono altri 20 Tribunali, tra cui anche il nostro, che potrebbero essere trasformati in sezioni distaccate, sia per il civile che per il penale. Ora l’iter passerà alla Camera. Anche qui, stiamo cercando la massima collaborazione da parte dei Parlamentari eletti nel nostro territorio, per ottenere un risultato che sarebbe importantissimo". Piacenza: rissa tra detenuti sedata dagli agenti della Polizia penitenziaria www.ilpiacenza.it, 27 dicembre 2013 Se le sono date di santa ragione proprio alla pre-vigilia di Natale alcuni detenuti marocchini e tunisini. Ancora ignote le cause. La protesta del sindacato Ugl: "Nel carcere ci sono condizioni igienico sanitarie pessime". "Avevamo preannunciato pochi giorni fa i nostri timori circa la cosiddetta "sperimentazione vigilanza dinamica", ovvero - sulla base del nuovo decreto svuota carceri - di tenere i detenuti più aperti all’interno dei reparti detentivi dando loro più tempo nella socializzazione ai fini del loro recupero". Lo afferma in una nota il sindacato Ugl Polizia Penitenziaria, dando purtroppo notizia di una violenta rissa avvenuto la sera del 23 dicembre nel carcere piacentino delle Novate, e sedata a fatica dagli agenti in servizio. "Ma ciò non basta - spiega il sindacato. I nostri dubbi rimangono, non siamo del tutto contrari alla sperimentazione del progetto, ma l’importante è che ci sia un progetto. Contestiamo la scelta sui detenuti selezionati perché a nostro parere vi erano detenuti che non dovevano entrare a far parte di questo progetto visto il loro passato e un curriculum che non avrebbe fatto sperare in un recupero così veloce; ma si sa poi come vanno le cose dopo che accadono i fatti; ci si chiede di chi sia stata la colpa, chi sapeva e chi non sapeva. La scelta dei detenuti non deve ricadere su una sola figura ma su più preposti, anzi su quel personale che ogni giorno è strettamente a contatto con i detenuti: non certo chi li vede una o due volte al mese può decidere". "Alle Novate manca quasi tutto ciò che necessita il recupero del recluso, non basta la buona volontà dei volontari o insegnanti e qualche ditta che offre lavoro a una decina di reclusi su 300. Anche i soldi arrivati da qualche donazione sono stati mal gestiti, ma su questo ci avremmo scommesso. Basti vedere il campo dei detenuti come è ridotto, causa spesso infortuni agli stessi detenuti, nonché il corpo di guardia degli agenti, non riscaldato, in condizioni igieniche pessime e i colleghi, per vigilare, sono costretti a stare alle intemperie. Speriamo che qualcuno si svegli e, oltre le denunce sindacali, ed avvii una vera ispezione igienico-sanitaria in tutti i luoghi del carcere". Napoli: non rientra da permesso-premio per passare il Natale in famiglia di Marco Di Caterino Il Mattino, 27 dicembre 2013 Casoria. Misteri della giustizia. Detenuto a Padova, Angelo Valletta, 55 anni, pregiudicato di Afragola, aveva ottenuto una licenza premio di sei giorni, per le festività natalizie a trascorrere in famiglia. E mistero della burocrazia penitenziaria, il permesso per Natale, scadeva quarantotto ore prima della festività. Un beffa, che ha indotto il pregiudicato a non rispettare la scadenza della licenza. Immediata è scattata da Padova l’ordinanza di rintraccio e arresto immediato, per quel detenuto che di fatto era un evaso. E il cenone della vigilia per Angelo Valletta è sfumato nel pomeriggio della vigilia, quando gli agenti del commissariato di Afragola, diretto dal vice questore Sergio Di Mauro, lo hanno individuato ed arrestato nell’abitazione della figlia a Casoria, e condotto nel carcere di Poggioreale, in attesa del processo per direttissima. "Dirò al giudice" ha commentato l’evaso per "spirito natalizio", che mi sembrava una crudeltà gratuita avere la licenza premio per Natale, e non poter trascorrere quel giorno in famiglia. Sarei tornato a Padova, già nel pomeriggio del 25". Mantova: il vescovo incontra i detenuti "non spegnete la speranza" Gazzetta di Mantova, 27 dicembre 2013 In carcere la prima messa del giorno di Natale celebrata da monsignor Roberto Busti. Carcerati, agenti e volontari gli stringono la mano. Durante l’omelia: "La salvezza è camminare dentro al mondo. Dio è venuto a casa nostra nascendo in un luogo umile". "Non spegnete la candela della speranza": è questa la frase che ha accompagnato tutta la messa di Natale alla casa circondariale di Mantova, celebrata al mattino dal vescovo Roberto Busti. Parole colme di umanità, che hanno trovato la piena partecipazione dei detenuti seduti nei banchi della chiesa del carcere. Uomini a sinistra e donne a destra, entrati in tempi separati e usciti allo stesso modo, accompagnati dagli agenti di polizia penitenziaria. "La salvezza è camminare dentro al mondo come ognuno di noi" ha detto il vescovo, soffermandosi durante tutta la celebrazione sulla figura di Dio fattosi uomo attraverso Gesù Cristo. Poi Busti ha proseguito: "Dio è venuto a casa nostra, e lo ha fatto venendo al mondo come hanno fatto tutti, attraverso il grembo di una donna, nascendo non vicino a un tempio ma in un luogo umile", per poi citare Papa Francesco, che alcune settimane fa aveva dichiarato di confessarsi ogni due settimane, consapevole della sua natura di peccatore. Presenti alla messa anche le educatrici e i numerosi volontari che ogni giorno si dedicano a svariate attività che coinvolgono i detenuti e che si sono guadagnati da parte degli stessi un caloroso applauso a fine messa. A celebrare, anche il cappellano della casa circondariale, don Lino Azzoni, che ha condiviso i brani e i canti caratteristici della giornata di Natale, accompagnato da un gruppo di cantori venuti ad animare la celebrazione con chitarra e percussioni. Ha toccato gli animi dei presenti la parabola narrata dal vescovo, la cui morale è stata un’eco che ha donato un significato peculiare alla messa che rimarrà impresso in coloro che vi hanno assistito: "In una stanza buia, quattro candele illuminate rappresentano una la pace, una la fede, l’altra la carità e infine la speranza. La prima, in un mondo devastato dalle guerre, non pensa di aver ragione di esistere e si spegne, così come la seconda e la terza. Solo la candela della speranza non si spegne mai e anche se flebile non può che riaccendere gradualmente tutte le altre, ridando la luce a una stanza metafora della vita dell’uomo". Semplice narrazione che ha molto colpito i presenti che ne hanno colto il senso più profondo. "È solo grazie alla luce di quella candela che non si ha paura del buio" ha concluso il vescovo. Sembrava un inno alla speranza anche il piccolo veliero di legno costruito da un detenuto, che spiccava sull’altare. I presenti hanno partecipato con attenzione e condivisione, tanto che anche il segno di pace ha assunto un significato più intenso del solito: è stato per tutti un lungo momento di scambio, durato diversi minuti, durante i quali il vescovo è passato tra i banchi per stringere la mano ai detenuti, che in seguito lo hanno ringraziato attraverso parole di augurio affidate ad uno di loro a nome di tutti. L’essere umano al centro del discorso di Busti, quell’essere umano che pur nella sua intrinseca fragilità è portatore del messaggio di Dio. Al termine della messa, auguri tra tutti, detenuti, volontari, agenti di polizia penitenziaria, persone che fra loro si conoscevano e non. Numerosi gli abbracci, le parole di conforto e di affetto che hanno riportato il Natale al suo senso originale e, ancora una volta, inviti a non abbandonare la speranza. (r.b.) Catanzaro: detenuti affascinati dal "Viaggio di Dante nella Divina Commedia" www.catanzaroinforma.it, 27 dicembre 2013 Un’esperienza emozionante come poche, che perfettamente si sposa con l’atmosfera natalizia di questi giorni. È quella vissuta dall’attore e regista Eugenio Masciari insieme ai detenuti, spettatori del suo spettacolo "Il viaggio di Dante nella Divina Commedia", nella casa circondariale di Siano, diretta da Angela Paravati. Lo spettacolo in anteprima nazionale, realizzato con il patrocinio della Provincia di Catanzaro, ha affrontato il tema del viaggio - di redenzione - nei tre regni dell’Aldilà, per come descritti dall’Alighieri: partendo dai propri demoni infernali, attraverso la purificazione nei gironi, Dante arriva in Paradiso a vedere la propria immagine riflessa in quella di Dio. Masciari, che ha scritto e interpretato interamente lo spettacolo, non è alla sua "prima volta" in carcere: artista eclettico, ha lavorato sei mesi insieme a diciotto detenuti con alle spalle già trent’anni di galera, per la stesura del libro "La mia vita è un romanzo", presenti anche loro all’anteprima. Mesi in cui l’attore si è confrontato con un mondo che imprigiona i corpi e spesso e volentieri anche l’animo: "Anche in questa occasione - ha avuto modo di raccontare, è stata un’esperienza unica, con degli spettatori imprevedibili in tutto". Molto attenti fin dalle prime battute, sono sembrati timidi nell’esprimere le loro reazioni emotive allo spettacolo, ma più lo spettacolo entrava nel vivo, più si sono rilassati e hanno cominciato a lasciarsi andare a risate di condivisione, applausi a scena aperta, in punti in cui neanche lo stesso Masciari si sarebbe aspettato una simile partecipazione. "Che dire? Ancora una volta - ha raccontato ancora l’autore -, ho potuto constatare che il carcere è un luogo dove la spiritualità è così forte che difficilmente lo si può credere dal di fuori, se non si interagisce direttamente ed emotivamente con gli ospiti detenuti". "Alla fine dello spettacolo mi hanno parlato delle emozioni che hanno provato e credo - ha ammesso - che per un autore e interprete, come me in questo caso, è difficile ottenere gratificazioni altrettanto sincere, nobili e profonde, che ti ripagano dei tanti e tanti anni passati in solitudine, ma con tanta passione, studiando la Divina Commedia". C’è un aneddoto in merito che la dice lunga, è lo stesso Masciari a raccontarlo: "Queste persone - ha detto riferito ai detenuti - non comunicano le loro emozioni, e non fanno complimenti non sentiti se non profondamente. Uno di loro mi ha detto: Eugè, io non devo piacere a nessuno, tanto mi hanno già dato l’ergastolo con fine pena mai, e quindi se faccio un sorriso o un complimento lo faccio perché è vero; quanti si possono sentire liberi come me di esprimere sinceramente i loro sentimenti?". Siracusa: domani le reliquie di Santa Lucia tra i detenuti di Cavadonna www.giornaledisiracusa.it, 27 dicembre 2013 Due momenti importanti con la patrona Santa Lucia prima della fine del 2013. Domani, alle 9.30, l’arcivescovo di Siracusa, mons. Salvatore Pappalardo, si recherà in visita nel carcere di contrada Cavadonna a Siracusa. Un incontro con i detenuti per portare un messaggio di pace e serenità. L’arcivescovo porterà con sé nella sua visita le reliquie di Santa Lucia. Sarà inoltre accompagnato dal presidente della Deputazione della Cappella di Santa Lucia, avvocato Giuseppe Piccione, dal maestro di Cappella, Benedetto Ghiurmino, e dal componente della Deputazione, avvocato Pietro Romano. "Sicuramente si tratta di un momento importante - ha detto il presidente Piccione -. Santa Lucia è vicino agli umili, ai puri di cuore e va a trovare le persone in difficoltà". Dopodomani, sabato 28, invece il simulacro di Santa Lucia sarà esposto alla venerazione dei fedeli dalle ore 7,00 alle ore 13,00. L’esposizione del Simulacro di Santa Lucia è collegata al maremoto del 1908 conseguente al terremoto di Messina. Le cronache del tempo, conservate nei giornali presso la biblioteca comunale di Siracusa, raccontano che la mattina del 28 dicembre 1908 Siracusa si svegliò sommersa dalle acque che avevano raggiunto il livello dell’attuale piazzale delle Poste riversando, sino in prossimità di Piazza Pancali, le barche ed i gozzi ormeggiati al ponte umbertino. Erano da poco terminati i festeggiamenti in onore di Santa Lucia, e venne deciso di portare in pellegrinaggio penitenziale il simulacro della Santa presso le rive per invocare la protezione sulla città. Le cronache narrano che le acque iniziarono a placarsi ed il livello del mare tornò alla normalità. Nel luogo dove venne fermato il simulacro venne apposta, l’anno successivo una edicola votiva con all’interno la statua della Santa con tutti i suoi riferimenti iconografici. Sotto la cappellina venne apposta una lapide marmorea che celebra e ricorda quel giorno. Alle ore 9,30 verrà posto un mazzo di fiori nell’edicola votiva in Piazzale delle Poste. Poi le reliquie saranno portate al mercato di Ortigia dal presidente della Deputazione della Cappella di Santa Lucia, avvocato Giuseppe Piccione, dal maestro di Cappella, Benedetto Ghiurmino, e dal segretario della Caritas, don Marco Tarascio. Roma: il circo dà spettacolo nel carcere minorile di Casal del Marmo Il Tempo, 27 dicembre 2013 Nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma, diretto da Liana Giambartolomei, lo scorso marzo è entrato Papa Francesco per celebrare la messa in Coena Domini. Un gruppo di artisti del circo hanno varcato quella stessa porta per regalare uno spettacolo ai ragazzi presenti a Casal del Marmo. Ad organizzare la presenza del circo in quel luogo è stato l’Ente Nazionale Circhi, in collaborazione con l’associazione Vitattiva presieduta da Alfonso Rossi. "Siamo onorati e felici di portare la gioia del circo a persone che soffrono, il Dna stesso del circo è quello di allietare esistenze che, non solo nelle carceri minorili, ma ovunque, si sono fatte pesanti e difficili", dice il presidente Enc, Antonio Buccioni. "Se si capisse la semplicità e la purezza di questa missione e messaggio, forse avremmo quel minimo indispensabile di rispetto che oggi manca e che resta il problema principale, prima ancora della lista dei problemi concreti che attanagliano la nostra Italia". Giocolieri, clown, equilibristi, saltatori trasformisti, contorsionisti… dei 5 circhi presenti a Roma hanno dato vita ad un spettacolo davvero originale e indimenticabile. "Abbiamo chiesto la collaborazione dell’Ente Nazionale Circhi per dar vita a questa iniziativa - spiega la direttrice del carcere Antonella Papi - in quanto lo spettacolo circense richiama in tutte le culture il clima natalizio". Immigrazione: Sel scrive a Napolitano; Cie peggio di carceri, ora basta La Presse, 27 dicembre 2013 I deputati di Sinistra Ecologia Libertà Ileana Piazzoni, Filiberto Zaratti e Nazzareno Pilozzi, dopo la visita al Cie di Ponte Galeria di ieri, hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere, come fatto per la situazione in cui versano le carceri italiane, un intervento forte del Capo dello Stato. Domani mattina gli onorevoli Piazzoni e Pilozzi si recheranno nuovamente al Cie di Ponte Galeria, fanno sapere dall'ufficio stampa di Sel. "Il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, e i Cie italiani - scrivono i deputati di Sel nella lettera al Capo dello Stato - versano in condizioni vergognose e testimoniano come una legislazione sbagliata e inadeguata abbia prodotto situazioni inaccettabili per un Paese civile. La legislazione in materia di immigrazione deve essere al più presto modificata, chiudendo i Cie senza ulteriore indugio. È una corsa contro il tempo ma è arrivato il momento di dire basta". "Abbiamo chiesto un intervento umanitario al Presidente della Repubblica Napolitano - concludono i deputati di Sel - affinché venga restituita dignità e civiltà al nostro Paese, una dignità che ieri, vedendo quel luogo, pareva drammaticamente smarrita". Immigrazione: Cie Roma, riparte la protesta, i migranti scrivono al Pontefice Ansa, 27 dicembre 2013 Quindici degli immigrati detenuti nel Cie di Ponte Galeria a Roma hanno riportato i loro materassi in cortile con l’intenzione di passare la notte all’aperto. Lo ha riferito il direttore del centro Vincenzo Lutrelli. "Sono gli stessi che lo avevano fatto due giorni fa - ha spiegato - e che poi avevano sospeso la protesta per Natale". Lutrelli ha detto che al momento resta un solo immigrato con le labbra ancora cucite per protesta contro le condizioni di vita all’interno del Cie. Alcune decine di immigrati sono tornati oggi a rifiutare il pranzo. Nel corso di un’assemblea con tutti gli ospiti del Cie, oltre 80, gli operatori della cooperativa Auxilium - ha detto il direttore - hanno cercato di convincerli a interrompere la protesta, ma senza riuscirci. Gli ospiti del Cie hanno scritto una lettera al Papa che è stata consegnata ieri al direttore della Caritas diocesana, don Emanuele Giannone. "Gli abbiamo detto di riferire al Papa che non è stato commesso alcun reato - ha detto Nouimy - e che per rispetto del Natale hanno interrotto quasi tutti ogni forma di protesta". Nella lettera gli immigrati hanno ribadito "i motivi della protesta per i tempi lunghi di detenzione e la fiducia nelle istituzioni, ma chiedono una risposta". Intanto, dopo tre giorni, il deputato del Pd Kalid Chaouki ieri è uscito nel centro di prima accoglienza di Lampedusa ed è tornato a casa. Il parlamentare si era barricato dentro il centro per protestare contro il trattamento riservato ai migranti, che stazionavano per mese in un centro che avrebbe dovuto dare loro soltanto un primo ricovero. All’interno del centro ora sono andati via tutti i migranti, ad eccezione di 17 superstiti della tragedia del 3 ottobre, che testimonieranno nell’inchiesta. "L’equipe della Croce Rossa che è arrivata - ha spiegato il deputato - sarà con i 17 superstiti fino al loro trasferimento: riceveranno aiuto e assistenza qualificati. Loro hanno accettato questo compromesso". Immigrazione: ospite Cie Roma scrive al Papa, protesta per tempi lunghi detenzione Ansa, 27 dicembre 2013 Nella lettera al Papa affidata ieri a don Emanuele Giannone gli immigrati del Cie di Ponte Galeria a Roma "ribadiscono i motivi della protesta per i tempi lunghi di detenzione e la fiducia nelle istituzioni, ma chiedono una risposta". A sintetizzare i contenuti della lettera è Mohammed Nouimy, marocchino ospite del Centro e uno dei portavoce della protesta, quasi del tutto rientrata. Giannone, direttore della Caritas di Ladispoli e cappellano del Cie, ha incontrato ieri i detenuti del centro e officiato la messa di Natale. "Gli abbiamo detto di riferire al Papa che non è stato commesso alcun reato - ha detto Nouimy - e che per rispetto del Natale hanno interrotto quasi tutti ogni forma di protesta". Russia: caso Greenpeace, concesso visto agli attivisti di "Arctic 30", tutti a casa Tm News, 27 dicembre 2013 Tutti gli Arctic 30 possono lasciare da oggi la Russia e passare a casa il Capodanno. A cento giorni dal tentativo di scalata della piattaforma artica Gazprom, e dopo l'amnistia per i 20 anni della Costituzione russa gli attivisti di Greenpeace hanno visto cadere le accuse di teppismo e il Servizio federale di migrazione ha emesso i visti necessari per lasciare la Federazione russa. Già 8 di loro hanno lasciato il Paese. Caustico il capitano della Arctic Sunrise Peter Wilcox (e prima ancora della Rainbow Warrior): "Gli investigatori mi facevano pena". Scene di gioia e allegria, dopo la brutta avventura con la giustizia a causa della protesta nelle acque territoriali russe. I 30 - 28 attivisti e due giornalisti - avevano passato mesi prima nel penitenziario di Murmansk e poi qualche settimana alle Croci di San Pietroburgo. Successivamente erano stati rilasciati su cauzione ma gli era stato imposto di non lasciare San Pietroburgo e di vivere in albergo sino alla prossima udienza. Ora potranno tornare tutti a casa per Capodanno, anche Cristian D'Alessandro, che per ultimo ha ottenuto la notifica dell'amnistia. D'Alessandro aveva dichiarato appena uscito dal carcere che avrebbe rifatto tutto. L'avvocato di Greenpeace Andrey Suchkov ha detto che non si sa quando saranno chiuse le cause penali e ha osservato che è improbabile che accada quest'anno. Il rilascio dei visti di transito ai membri dell'equipaggio del rompighiaccio di Greenpeace Arctic Sunrise si concluderà invece oggi, ha detto un rappresentante del servizio stampa di Greenpeace. La Camera Bassa del Parlamento russo ha votato lo scorso 18 dicembre gli emendamenti, che contengono un elenco di casi a cui si allargava l'amnistia, anche per imputati e indagati di "teppismo". Pertanto, decadeva l'accusa per i 28 attivisti e due giornalisti, che avevano già trascorso tre mesi in prigione dopo la protesta sulla piattaforma di Gazprom Prirazlomnaja. Essi non sono tenuti all'ammissione di colpevolezza. "Io vedo sempre di buon occhio chi cerca di difendere la natura, sempre, senza eccezioni" ma con Greenpeace "quanto successo deve servire di lezione" ha sentenziato il leader del Cremlino, all'indomani della decisione. L'azione di Greenpeace è stata ampiamente seguita dalla stampa internazionale e ha rovinato i rapporti tra la Russia e l'Olanda, uno dei principali partner commerciali per i russi. La nave Arctic Sunrise batteva infatti bandiera olandese. Nei fatti la reazione più dura contro Greenpeace è stata quando le forze di sicurezza francesi affondarono la Rainbow Warrior nel 1985, la nave ammiraglia della flotta di Greenpeace, nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda. L'avvenimento provocò lo sdegno della comunità internazionale e non giovò certo alla popolarità dei francesi nelle relazioni internazionali. Notificata amnistia a Cristian D’Alessandro L’attivista italiano di Greenpeace, Cristian D’Alessandro, ha ricevuto notifica dell’amnistia per il reato di teppismo in un’udienza davanti alla Procura di San Pietroburgo. A causa dell’assenza di un interprete, il giorno di Natale il 31enne napoletano era stato l’unico dei 30 che a settembre parteciparono al blitz contro una piattaforma petrolifera nell’Artico a non aver ricevuto comunicazione della chiusura del procedimento a loro carico, come stabilito dal provvedimento di clemenza voluto dal presidente russo, Vladimir Putin. A questo punto D’Alessandro potrebbe rientrare in Italia molto presto, forse già per Capodanno. Come gli altri 26 attivisti stranieri, potrà partire appena sarà pronto un visto di transito per uscire dalla Russia di cui sono tutti sprovvisti in quanto entrati illegalmente in acque territoriali russe. Il 19 settembre 2013 le guardie di frontiera russe avevano arrestato l’intero equipaggio del rompighiaccio Arctic Sunrise per un tentativo di protesta contro i danni all’ambiente provocati dalle trivellazioni petrolifere nell’Oceano Artico. Albania: amnistia di fine anno, prevista la scarcerazione di oltre 500 detenuti www.osservatorioitaliano.org, 27 dicembre 2013 Circa 550 detenuti e svariati condannati in affidamento in prova ai servizi sociali, stando alle previsioni, beneficeranno dell’amnistia in base al progetto di legge consegnato al Consiglio dei Ministri dal Ministero della Giustizia. Potrà contare sull’amnistia ogni condannato a due anni di carcere e quanti stanno scontando una misura alternativa. Usa: Obama firma bilancio Difesa 2014, si va verso chiusura Guantanamo Asca, 27 dicembre 2013 Il presidente americano Barack Obama ha firmato ieri la legge sulle spese per la difesa Usa per il 2014, facendo così il primo passo verso la chiusura definitiva di Guantanamo. Obama ha siglato il National Defense Authorization Act dalle Hawaii, dove stava trascorrendo le festività natalizie con la sua famiglia. "Sono incoraggiato - ha detto - dal fatto che questo atto fornisce una maggiore flessibilità all'esecutivo per trasferire i detenuti di Guantanamo all'estero, e siamo ansiosi di lavorare con il Congresso per prendere le misure supplementari necessarie alla chiusura della struttura". "Il continuo funzionamento della struttura - ha aggiunto il leader della Casa Bianca - indebolisce la nostra sicurezza nazionale, drenando risorse e danneggiando i nostri rapporti con gli alleati. In particolare, il disegno di legge assicura per il nuovo anno 552,1 miliardi dollari in spese militari, di cui 80,7 miliardi per le operazioni di emergenza all'estero, vale a dire la guerra in Afghanistan. Fissa inoltre l'aumento dell'1 per cento per il personale militare e cancella i 63 miliardi dollari di tagli arbitrari che sarebbero dovuti entrare in vigore dal 1 gennaio. Siria: a Londra funerale di medico britannico morto in detenzione Agi, 27 dicembre 2013 Si sono svolti in una moschea di Londra i funerali del medico britannico morto nelle carceri siriane. Abbas Khan, chirurgo, è morto pochi giorni prima di quando avrebbe apparentemente dovuto essere rilasciato dalla detenzione del governo siriano. Secondo quest’ultimo l’uomo si è tolto la vita. La famiglia ha respinto queste conclusioni. Il fratello del defunto, Shahnawaz Khan, ha definito il chirurgo "l’uomo più gentile e semplice che io abbia mai conosciuto". Le esequie si sono svolte nella Regent’s Park Mosque. Khan, 32 anni, è stato catturato a novembre lo scorso anno dopo essere entrato in Siria per lavorare in un ospedale. Il primo ministro britannico David Cameron ha definito la morte di Khan una tragedia ripugnante, affermando che il regime siriano dovrebbe risponderne. L’avvio di un’inchiesta è previsto per domani. Pakistan: americano detenuto da Al-Qaeda chiede l'intervento di Obama Ansa, 27 dicembre 2013 Un lavoratore statunitense rapito in Pakistan da Al Qaeda due anni fa appello al presidente Barack Obama di intervenire e aiutare a negoziare la sua liberazione, in un video pubblicato giovedì scorso. In una clip di 13 minuti pubblicato su diversi siti web di notizie, Warren Weinstein, 72 anni, appare scarno e stanco. "Signor Presidente, per la maggior parte della mia vita adulta, per oltre 30 anni ho servito il mio paese. Ora, quando ho bisogno del mio governo mi sembra che sono stato completamente abbandonato e dimenticato". Weinstein è stato rapito nel 2011 nella città orientale di Lahore, dove ha lavorato per una società di consulenza statunitense. Argentina: l’inferno delle carceri, diritti umani violati costantemente di David Lifodi www.peacelink.it, 27 dicembre 2013 - Il rapporto della Comisión Provincial por la Memoria (Cpm) sulla situazione delle carceri argentine nel 2013 è impietoso e, allo stesso tempo, preoccupante. Il lavoro della Cpm segnala che le prigioni del paese si caratterizzano sempre più per essere un deposito di poveri cristi dove proliferano torture, maltrattamenti e, più in generale, condizioni di vita insostenibili. Inoltre, l’impunità è di casa, con i poliziotti dal grilletto facile responsabili di vere e proprie esecuzioni all’interno delle carceri. Il lavoro della Cpm, che prende in considerazione il biennio 2012-2013, ha ricevuto un plauso anche dal Premio Nobel per la pace argentino Adolfo Pérez Esquivel, che ha lodato l’indagine per aver denunciato le continue violazioni della libertà personale, il mancato rispetto dei diritti umani ed il costante peggioramento della situazione: nelle carceri del paese si rischia la vita. Nel solo 2012, esclusivamente nelle prigioni della Provincia di Buenos Aires, sono morte 123 persone, compresi 16 suicidi. Oltre il 30% delle morti hanno come responsabili gli agenti penitenziari e, sempre negli istituti di pena della sola provincia di Buenos Aires, su 1.430 donne detenute ci sono 130 bambini che vivono con loro all’interno delle celle. La lista di denunce relative al deteriorarsi delle condizioni di vita nelle prigioni argentine è lunga. A molti detenuti è negata anche la classica ora d’aria, sono costretti a rimanere reclusi in celle d’isolamento a tempo indeterminato senza alcuna comunicazione, vengono impedite arbitrariamente le visite dei parenti ed i trasferimenti da un penitenziario all’altro sono utilizzati a scopo punitivo. In buona parte delle case di reclusione si fa strada la tolleranza zero e l’utilizzo della mano dura, che si traduce nella quotidiana violazione dei diritti umani fondamentali, come confermato dalla Coordinadora Anticarcelaria di Córdoba. I racconti riportati dalla Coordinadora fanno rabbrividire, ad esempio quello sulla storia del giovane Iván, che ha trascorso la sua vita in varie prigioni del paese vedendosi negati i suoi diritti ineludibili, come quello di ricevere visite dei suoi familiari in più di una circostanza. Il giorno dopo aver visto la figlia di due mesi e la moglie, il ragazzo è stato addormentato dai funzionari del Servizio Penitenziario, che ne hanno disposto il trasferimento ad un altro penitenziario, dove però non è mai arrivato perché è deceduto in carcere. Altri racconti riferiscono di gravi carenze dal punto di vista medico. Nel Seccional 6 di Comodoro Rivadavia due carcerati sono morti intossicati dal fumo sprigionatosi nel padiglione dove si trovavano a causa di un incendio, un episodio simile è accaduto a Rosario, mentre nella Unidad 31 di Florencio Varela (Buenos Aires) la mancanza delle attrezzature mediche è costata la vita ad un'altra persona. Altro aspetto comune dei penitenziari argentini riguarda la folta presenza di giovani, in gran parte poveri, reclusi all’interno delle strutture carcerarie. Alcune visite a sorpresa del personale Onu nelle carceri bonaerensi hanno tracciato un quadro ancora peggiore: il regime di isolamento dura almeno 23 ore al giorno, per periodi non inferiori a nove mesi, e spesso viene imposto ai prigionieri più indisciplinati. Anche la manutenzione degli edifici non è delle migliori e molti sono in condizioni fatiscenti (in media è presente un bagno ed una doccia per oltre sessanta detenuti), senza contare che in inverno manca il riscaldamento, il cibo è pessimo e le attività ricreative ed educative sono inesistenti, sia per la scarse motivazioni del personale sia per la poca attenzione dedicata all’acquisto del materiale didattico. In carcere restano assai diffusi anche i sistemi di tortura utilizzati dall’equivalente della nostra polizia penitenziaria, dalle botte sul corpo dei detenuti tramite bastoni o i calci delle armi da fuoco alle bruciature imposte con lo spegnimento delle sigarette sulla pelle dei carcerati fino al “submarino” già utilizzato ai tempi della dittatura militare. Un articolo pubblicato sul sito dell’agenzia di notizie on line Rodolfo Walsh evidenzia che la situazione delle carceri argentine è peggiorata sensibilmente, per quanto possa sembrare paradossale, durante gli anni del kirchnerismo, con una morte ogni 37 ore e migliaia di casi di tortura: il numero dei reclusi è il più alto di tutti i governi che si sono succeduti dal ritorno del paese alla democrazia. Cristina Beute, magistrato di Neuquén, in occasione della presentazione del libro Cárceles de Mala Muerte, ha sottolineato come in Argentina esista un piano sistematico di repressione dello Stato e che non sia mai stata prestata particolare attenzione ai soggetti che finiscono in carcere. Secondo Beute, prima di condurre in cella un detenuto, andrebbero verificate almeno le sue condizioni di salute (e, nel caso in cui non siano delle migliori, farlo curare prima in ospedale), accertarsi che sia maggiorenne, tutelare le giovani e giovanissime in stato interessante e che invece vengono sbattute in carcere senza alcuna attenzione. Roberto Cipriano García, ex direttore del Comité contra la Tortura e attuale funzionario della Procuración contra la Violencia Institucional, sostiene che il compito dello Stato dovrebbe essere quello di istituire una serie di politiche istituzionali dedicate espressamente alle carceri, sulle quali finora si è lavorato in maniera esclusivamente repressiva, questo soprattutto a causa della guerra al narcotraffico che in tutto il continente ha finito con il favorire lo stato d’assedio e la militarizzazione dei territori come “eccezioni permanenti”. L’Argentina, che pure a fatto tanto nel campo dei diritti umani nel corso degli ultimi anni, è rimasta colpevolmente indietro per quanto riguarda le garanzie minime a cui dovrebbero aver diritto di accedere i suoi detenuti, a partire dai penitenziari militarizzati che stridono con un paese che, almeno a parole, cerca di indirizzarsi sulla strada del progressismo.