Giustizia: entra in vigore oggi il decreto-carceri varato dal Governo Letta di Calogero Giuffrida news.supermoney.eu, 24 dicembre 2013 Il decreto punta a "diminuire, in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero delle persone in carcere". È stato pubblicato ieri sera in Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore oggi il nuovo decreto "svuota carceri". Si tratta del nuovo decreto legge approvato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri presieduto dal premier Enrico Letta su proposta del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Il decreto legge in materia penitenziaria nasce dalla necessità, come spiegato in una nota di Palazzo Chigi, di restituire ai detenuti i diritti fondamentali e di affrontare il problema del sovraffollamento carcerario nel rispetto della sicurezza della collettività. Il provvedimento del Governo è arrivato dopo le sanzioni della Corte di Strasburgo e le sollecitazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha chiesto con un messaggio alle Camere anche provvedimenti di clemenza generale come indulto e amnistia che però sono più difficili da attuare e non trovano ampia condivisione tra le forze in Parlamento. Intanto con questo primo decreto legge il Governo Letta punta a "diminuire, in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero delle persone in carcere". Vengono quindi introdotte misure finalizzate ad incidere sia sui flussi di ingresso nelle carceri che su quelli di uscita estendendo la possibilità di accesso all’affidamento in prova ai servizi sociali. Una novità riguarda ipotesi di lieve entità relative agli stupefacenti e consiste nell’introduzione di una nuova ipotesi di reato al posto della circostanza attenuante. Per quanto riguarda la "liberazione anticipata" viene ampliato il beneficio dell’aumento dei giorni di detenzione (che passano da sessanta a settantacinque) per ciascun semestre di pena espiata. Tre le altre novità l’istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti e si interviene inoltre sulla disciplina della espulsione per detenuti non appartenenti all’Unione Europea. "Restano ferme - ha sottolineato il consiglio dei ministri - le misure di rigore nei confronti della criminalità organizzata". E a proposito di provvedimenti di clemenza, cresce l’attesa a Roma per la marcia di Natale per l’amnistia promossa dai Radicali italiani. Giustizia: in attesa della riforma delle carceri… che non arriva mai di Adriana Tocco (Garante regionale dei detenuti della Campania) La Repubblica, 24 dicembre 2013 Non conoscevo Federico Perna, la famiglia non si è mai rivolta all’Ufficio del Garante, sicché non ci è stato possibile incontrarlo e aiutarlo in qualche modo. È in corso un’indagine, non sono ancora noti i risultati dell’autopsia, al di là di quanto sembrano mostrare le immagini a noi presentate. Non sappiamo perciò a quali conclusioni giungeranno le indagini amministrative e della Procura, sappiamo però con certezza che Federico era molto malato, dichiarato incompatibile con il regime carcerario. Ci domandiamo allora perché non sia stata prevista per lui una misura alternativa, vista anche l’esiguità della pena restante. Ci domandiamo, ancora, per quale motivo sia stato mandato proprio a Poggioreale, un carcere cioè in cui la densità di detenuti è tale da renderlo francamente ingovernabile. A Poggioreale tra i circa 2.800 detenuti ve ne sono almeno 300 afflitti da patologie gravi, ai quali si provvede come si può, nella scarsezza di medici specialisti, nella difficoltà di rapporto con le Asl, nella mancanza di continuità nell’assistenza infermieristica. A questi malati, tutte le volte che ci sono le condizioni giuridiche, è doveroso concedere la sospensione pena o la detenzione domiciliare. Detenzione: voglio chiarire bene questo alla sempre allarmata opinione pubblica, chi va in detenzione domiciliare viene controllato assiduamente e anche l’uscire sulla soglia del portone viene considerata evasione, con aggravio di pena e ritorno in carcere. Dunque nessuna liberazione indiscriminata. Ma le misure alternative per motivi di salute vengano concesse molto raramente dalla magistratura, sulla base della presunzione che i detenuti possono teoricamente essere curati in carcere. Ma si verifica se le cure sono realmente adeguate? E questo avviene nonostante i reiterati inviti a concedere con maggiore larghezza le misure alternative. Qualche tempo fa il capo del Dap, Tamburino, scrisse che almeno per 20.000 detenuti c’erano le condizioni per uscire dal carcere. E allora? Di chi la responsabilità? Certamente gli articoli del codice destinati alla salute parlano genericamente di "infermità grave", lasciando alla discrezionalità del singolo decidere della misura della gravità e cioè della vita delle persone. E veniamo ai pestaggi di cui si è parlato anche nella penosa trasmissione "Linea gialla" del 10 dicembre scorso. Io, come altri Garanti, ricevo numerose denunce di maltrattamenti. Anche a me i detenuti hanno parlato del famoso "piano zero", citato telefonicamente da alcuni ex detenuti; c’è però, da parte di coloro che riferiscono di essere stati picchiati, il rifiuto a presentare denuncia firmata per paura di peggiori ritorsioni e mi è capitato non di rado di ricevere tale denuncia soltanto dopo l’uscita dal carcere. È chiaro che ove vi siano denunce circostanziate e firmate, queste vengono doverosamente presentate alla Procura, a cui spetta verificarne la veridicità e procedere di conseguenza. E da questo punto di vista sarebbe auspicabile che presso le Procure si istituissero sezioni dedicate alla vita del carcere, proprio per la situazione di assoluta minorità in cui si trovano i detenuti. Ormai tempo di porre fine a tutto ciò. La violenza in carcere non è ammissibile. Ogni episodio accertato va punito in maniera esemplare, ma è soprattutto improrogabile la riforma complessiva del sistema penitenziario. Il ministro della Giustizia ha istituito varie commissioni che hanno, in tempi rapidi, prodotto documenti contenenti proposte e tempi di attuazione. La commissione di cui ho fatto parte ha indicato provvedimenti attuabili per via amministrativa in parte già avviati. Ma si tratta di interventi frammentari, ancorché rilevanti. Spetta al Parlamento intervenire sulle leggi cancerogene, quelle che riguardano il ricorso alle misure cautelari, la lentezza dei processi, le tossicodipendenze, la depenalizzazione dei reati di scarso danno sociale. Da qui il pressante invito: venga prodotto in tempi brevi un decreto legge e si dedichi una sessione del Parlamento al carcere. Se questo non avvenisse, perché chi ha il potere e il dovere di agire, si sottrae ancora una volta e ripete stancamente sempre le stesse parole, il ricorso all’amnistia sarà inevitabile, per evitare le sanzioni europee che irrimediabilmente torneranno a colpire l’Italia allo scadere dell’anno concesso e cioè alla fine di maggio 2014. Il tempo è poco e non è più quello del dire ciò che "occorre", è quello del fare, senza sbandierare sempre l’allarme sociale. Ché se uno esce due anni prima del fine pena non diventa per questo più pericoloso, se lo è lo sarà anche dopo due anni, o si vuol richiedere l’ergastolo per ogni reato? E se poi l’amnistia fosse intelligente? Intervenisse cioè sulla qualità del reato e non semplicemente sugli anni restanti, scarcerando cioè chi in carcere non dovrebbe proprio più starci? Il carcere così com’è oggi è un luogo di immensa sofferenza umana, dal quale si esce feriti e incattiviti, certo non rieducati. Giustizia: III Marcia per l’amnistia e l’indulto… perché lo Stato esca dalla flagranza di reato di Valter Vecellio Notizie Radicali, 24 dicembre 2013 Cosa hanno in comune don Antonio Mazzi, fondatore delle comunità Exodus, e don Ettore Cannavera, una vita nelle carceri come cappellano; il segretario della UIL Penitenziaria Eugenio Sarno, e Luigi Manconi, presidente Commissione Diritti Umani del Senato; Sandro Gozi, presidente della delegazione italiana presso Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e il presidente dell’Unione delle Camere Penali Valerio Spigarelli; Luigi Amicone, direttore di "Tempi", rivista legata a Comunione e Liberazione, ed Enrico Sbriglia, provveditore regionale amministrazione penitenziaria del Piemonte; Il segretario del Sindacato Direttori Penitenziari Rosario Tortorella e il senatore Franco Marini, il segretario dell’Organizzazione Autonoma Polizia Penitenziaria Leo Beneduci; Antonio Savino, Segretario del Sindacato Autonomo Lavoratori Polizia penitenziaria e suor Fabiola Catalano, volontaria del Carcere Velletri; don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e il senatore Felice Casson, vicepresidente della commissione Giustizia; Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e il sindaco di Roma Ignazio Marino; il vice-presidente della Camera Roberto Giachetti e Fabrizio Fratini della CGIL Funzione Pubblica; Gian Mario Gillio, direttore di "Confronti" e Mario Marazziti di Sant’Egidio… (potrei continuare a lungo, con l’elenco)? Hanno in comune che hanno deciso di promuovere, aderire, partecipare alla III Marcia per l’amnistia, la giustizia, la libertà del 25 dicembre prossimo. La partenza è fissata da San Pietro, per arrivare davanti la sede del governo a palazzo Chigi; durante la marcia saranno fatte brevi soste simboliche davanti al carcere di Regina Coeli, al ministero della Giustizia, al Senato e alla Camera dei Deputati. Perché una simile iniziativa? Tutti noi ricordiamo l’accorato e pressante messaggio alle Camere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (il primo e unico dei suoi due mandati): "Non ci sono più alibi per fare ciò che è obbligo fare, se vogliamo che il nostro Paese interrompa la flagranza criminale in cui si trova da troppo tempo per le condizioni inumane e degradanti nelle nostre carceri e per le condizioni della nostra Giustizia, massacrata dall’insopportabile zavorra della sua decennale "irragionevole durata dei processi". Era l’8 ottobre scorso. Il presidente, dopo aver ricordato tutta una serie di misure legislative e amministrative da perseguire congiuntamente, scriveva: "Tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza "Torreggiani" scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a "rimedi straordinari". Successivamente, il 22 novembre scorso, la Corte Costituzionale, nel depositare le motivazioni della sentenza n. 279/2013, riferendosi alla sentenza Torreggiani e alla scadenza del 28 maggio 2014 dalla Corte Edu, scriveva: "…È da considerare però che un intervento combinato sui sistemi penale, processuale e dell’ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l’attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare…". Insomma: non c’è più tempo, come ci avvertono le massime autorità istituzionali: un provvedimento di amnistia e di indulto è strada obbligata se si vogliono interrompere le torture di Stato in carcere e con la Giustizia negata, perché troppo "irragionevolmente" lunga. Perché da San Pietro, dalla sponda destra del Tevere? ""Anche Dio è un carcerato, non rimane fuori dalla cella…è dentro con loro, anche lui è un carcerato", non si stanca di dire papa Francesco nei suoi incontri; ma soprattutto perché proprio all’inizio del suo mandato ha fatto due gesti concreti: ha abolito l’ergastolo all’interno dello Stato Vaticano, e introdotto nell’ordinamento il reato di tortura, cosa che in Italia ancora non si è fatta a distanza di venti anni dalla firma della Convenzione Onu. Perché la Marcia si conclude davanti a Palazzo Chigi? Perché il Governo è l’interlocutore principale dell’iniziativa. È per aiutarlo a svolgere un ruolo di impulso, attivo, nei confronti di un Parlamento, che sembra aver lasciato cadere nel vuoto il messaggio di Napolitano. D’altra parte, a giugno, era stata proprio la guardasigilli Cancellieri a dire: "L’amnistia è imperativo categorico morale. Dobbiamo rispettare la Costituzione". Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali 65.000 detenuti sono ammassati in celle che potrebbero ospitarne al massimo 37.000, ma della vita di milioni di cittadini italiani e delle loro famiglie, che sono o direttamente parti in causa, o comunque coinvolti negli attuali oltre 10 milioni di procedimenti penali e civili pendenti nei nostri tribunali, molti dei quali destinati a risolversi dopo troppi anni, altri cancellati dalla prescrizioni; in media sono infatti 500 ogni giorno le prescrizioni di reati che maturano nel silenzio: un’amnistia nascosta di cui nessuno si assume la responsabilità politica. Per far fronte a questa grave situazione, quale strumento tecnico e costituzionalmente previsto, se non quello di un’amnistia, che riduca drasticamente il carico processuale dell’amministrazione della Giustizia, perché sia sollevata dal peso immane di un arretrato comunque impossibile da smaltire, e possa così tornare al più presto a operare con efficienza? amnistia come premessa e traino di quella Riforma della Giustizia da anni invocata e mai realizzata. amnistia accompagnata da un indulto, per ripristinare la legalità nelle nostre carceri ponendo fine alla tortura dei trattamenti inumani e degradanti. Perché non è credibile uno Stato che viola costantemente le sue leggi, ed è - come dicono le corti di giustizia d’Europa - in flagranza di reato. Ma di tutto questo, come mai e perché non si discute, non si dibatte, non ci si confronta? Giustizia: III Marcia di Natale, il ministro Cancellieri risponde alla presidente di Radicali Italiani Notizie Radicali, 24 dicembre 2013 Il 9 dicembre "Notizie Radicali" ha pubblicato una lettera della presidente di Radicali Italiani Laura Arconti indirizzata al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri il cui obiettivo era invitare la Ministro Guardasigilli a partecipare alla III Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà. Il Ministro Cancellieri ha risposto con una lunga lettera in cui esordisce assicurando che "le Sue parole costituiscono per me un ulteriore stimolo a proseguire nel difficile e complesso percorso volto ad addivenire ad una riforma profonda e articolata del modello trattamentale all’interno dei nostri Istituti penitenziari". Ma ecco il testo integrale della lettera. "Carissima, voglio preliminarmente, ringraziarLa sinceramente per le squisite espressioni di stima che ha voluto riservarmi nella Sua cortese nota del 9 dicembre u.s., pervenutami per il tramite della comune amica Rita Bernardini. Le assicuro che le Sue parole costituiscono per me un ulteriore stimolo a proseguire nel difficile e complesso percorso volto ad addivenire ad una riforma profonda e articolata del modello trattamentale all’interno dei nostri Istituti penitenziari. Sin dai primi momenti in cui ho avuto l’onore di essere chiamata a svolgere il ruolo di Ministro della Giustizia, ho avvertito, anche da un punto di vista morale, la necessità di riservare una particolare attenzione alla questione carceraria, in quanto ritengo che le condizioni in cui si trovano a vivere la maggior parte dei detenuti non siano degne di un Paese civile. Proprio per tali ragioni, uno dei primi provvedimenti che o ritenuto di dover adottare ha riguardato la situazione emergenziale dei nostri Istituti penitenziari e si è tradotto in un intervento di urgenza finalizzato ad introdurre delle iniziali, ma necessarie, misure per ridurre le presenze e gli ingressi in carcere. Nella consapevolezza dell’esigenza di porre in atto delle ulteriori incisive iniziative per superare lo strutturale problema del sovraffollamento carcerario, ho sottoposto proprio in questi giorni al Consiglio dei Ministri un ulteriore provvedimento d’urgenza con il quale vengono, fra l’altro, implementate le misure alternative al carcere e viene istituita, aspetto che ritengo particolarmente importante, la figura del Garante nazionale dei detenuti. Come ho avuto modo di affermare in più occasioni, sono fermamente convinta che, in questo contesto contraddistinto da importanti riforme, l’eventuale adozione di misure straordinarie di clemenza possa rappresentare un essenziale volano per giungere ad un vero e profondo cambiamento del sistema detentivo e al definitivo superamento della situazione di sovraffollamento. La testimonianza più alta della bontà di un siffatto intervento, in un momento caratterizzato da significative progettualità innovatrici, è certamente costituita dal messaggio che il Presidente della Repubblica ha voluto inviare alle Camere. L’auspicata approvazione da parte del Parlamento di un provvedimento di amnistia e di indulto consentirebbe, infatti, di anticipare alcuni effetti urgenti delle riforme in campo, potenziandone in maniera esponenziale l’efficacia complessiva, e creerebbe un miglior contesto ambientale per il loro sviluppo. Del resto, la significativa riduzione della popolazione detenuta, conseguente all’adozione di un provvedimento di clemenza, contribuirebbe in modo determinante a garantire che il sistema penitenziario nel suo complesso recuperi le necessarie condizioni di funzionalità nonché ad assicurare la migliore cornice possibile per l’implementazione di un nuovo modello trattamentale, su cui stiamo già lavorando, che esalti, finalmente, le finalità rieducative e di risocializzazione della pena. Sono, infatti, intimamente convinta che le prescrizioni e le scadenze temporali derivanti dalla nota condanna del nostro Paese, con la così detta sentenza pilota "Torreggiani", costituiscano un’imperdibile opportunità per addivenire ad una radicale e profonda rivisitazione del sistema di esecuzione penale. Non vanno, altresì, sottaciute le ricadute positive di un intervento di clemenza sull’efficienza degli Uffici giudiziari, in quanto l’ovvia riduzione, per reati di minimo disvalore sociale, dei carichi pendenti, con una contrizione stimata di circa un terzo di cause, consentirebbe una razionalizzazione dell’intera macchina giudiziaria. Nel venire al Suo gentile invito a partecipare all’importante manifestazione organizzata dal Partito Radicale nella giornata di Natale proprio per richiamare l’attenzione sulla necessità che venga approvato un provvedimento straordinario di amnistia e indulto, ritengo, per ragioni che mi auguro Lei comprenda, che il mio ruolo istituzionale non mi consente di partecipare personalmente. Mi creda, però, le mie non sono parole di circostanza, nel corso della "marcia", che costituisce un ulteriore testimonianza dell’impegno civile costantemente profuso dalla Vostra Organizzazione per l’affermazione della dignità e dei diritti umani, vi sarò idealmente vicina. Nella certezza che la manifestazione riscuoterà il meritato successo e nell’esprimerle i miei sentiti e sinceri sentimenti di stima, Le invio i miei (ndr scritto a mano) più cordiali ed affettuosi saluti. Giustizia: ripristinare ovunque la legalità, dalla politica… alle carceri di Claudio Giua La Città di Salerno, 24 dicembre 2013 Sentite quest’elenco, alimentato ogni giorno dalle cronache, che sere fa mi ha snocciolato uno dei più titolati sportivi italiani, A.B., incontrato a una cena d’auguri: abbiamo visto premier che trafficano con prostitute, ministri e sottosegretari conniventi con mafia o camorra, parlamentari disposti a tradire per un pugno di quattrini, consiglieri regionali che si fanno pagare mutande e gioielli dalla comunità, giudici che vendono le sentenze, comandanti di navi che si schiantano sugli scogli per fare i gradassi. Sfinito e quasi afono, A.B. ha concluso: "Il nostro è un paese senza futuro. Lo Stato ci ha abbandonati. Personalmente, mi ha deluso. Per questo in febbraio ho votato Grillo". Non ho saputo replicargli su due piedi e, se anche avessi avuto argomenti bell’e pronti, non m’avrebbe ascoltato, tant’era fuori di sé. Ora gli direi che delle malefatte dei singoli sappiamo, chiunque potrebbe aggiungerne altre alla sua Top Ten. Ma che non condivido questa cosa dello Stato "che ci ha abbandonati" perché lo Stato lo vedo in faccia ogni giorno quando vado in un pronto soccorso, prendo un treno, chiedo aiuto a un carabiniere, sento i racconti dei ragazzi dopo la scuola. Conosco tanti impiegati comunali solleciti, insegnanti che non si risparmiano, magistrati che rischiano la vita, perfino politici capaci e onesti. Servitori dello Stato, appunto. Per individuare ed espellere chi invece si serve cinicamente dello Stato, serve una precondizione non eludibile: ripristinare la legalità ovunque manchi. Due esempi di legalità di sistema assente o non garantita: la condizione delle carceri, luoghi di tortura anziché di rieducazione; il contrasto alle criminalità organizzate che stanno approfittando della crisi economica per insinuarsi nel tessuto vivo del paese. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scritto al Parlamento l’8 ottobre per denunciare "la drammatica questione carceraria" partendo "dall’eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo" che "ha accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea che pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento". Numeri e fatti descrivono la bancarotta della giustizia: 10milioni di procedimenti penali e civili aperti, 500 prescrizioni ogni giorno per l’impossibilità di arrivare a sentenza, 65mila detenuti in spazi dove ne starebbero al massimo37mila, suicidi di detenuti e guardie con frequenza quasi quotidiana. Tecnicamente, il nostro paese è in costante flagranza di reato. Il Parlamento finora non ha dato seguito al messaggio di Napolitano, che quindi ha dato pieno appoggio alla Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà organizzata dai radicali, partenza da San Pietro, arrivo a palazzo Chigi, soste simboliche davanti a Regina Coeli, al ministero della Giustizia, al Senato e alla Camera. Durante le feste, mafiosi, ‘ndranghetosi e camorristi brinderanno intanto alla salute della spending review che taglia i fondi alle forze dell’ordine e consente la loro avanzata territoriale in tutta Italia, come certifica la drammatica relazione semestrale della Direzione investigativa Antimafia. La più dinamica e pericolosa organizzazione malavitosa, quella calabrese, in Lombardia "continua a manifestarsi attraverso lo sviluppo di strutture proprie e l’estensione della rete relazionale con la cosiddetta area grigia", in Veneto "conferma interessi verso il settore dell’edilizia con ditte riconducibili ad aggregati criminali", in Toscana "mantiene un basso profilo, utilizzando capitali di provenienza illecita con l’obiettivo di acquisire appalti pubblici". Camorra e mafia fanno lo stesso. È in ambiti come questi che le attività di progettazione, riforma e contrasto dello Stato devono tornare a livelli accettabili. Caro A.B., le ruberie e i comportamenti scorretti dei singoli vanno denunciati e repressi, ma lo Stato deve costruire giorno per giorno la propria credibilità dove la società concentra le proprie tensioni e paure. Se non tornerà a a farlo, allora avrai ragione tu. Giustizia: dai Radicali una lettera urgente ai Presidenti di Senato e Camera di Laura Arconti Notizie Radicali, 24 dicembre 2013 A Pietro Grasso, Presidente del Senato della Repubblica e Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati. Gentili Signori, chi scrive è a sua volta presidente, ma di un organismo infinitamente più modesto: il movimento “Radicali Italiani”, associazione costituente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. Converrà però che io scriva questa lettera aperta non nella mia veste ufficiale, bensì come privata cittadina, tutt’al più come militante -da poco meno di mezzo secolo- del Partito Radicale. Se scrivessi nella mia veste di Presidente di “Radicali Italiani” violerei lo Statuto dell’Associazione, che assegna al Presidente soltanto pochi compiti specifici legati al Congresso annuale, e non la rappresentanza verso l’esterno. Per noi Radicali la forma è importante, perché è la misura della sostanza, e io mi sono firmata come semplice militante anche quando –pochi giorni fa- ho scritto al Ministro Guardasigilli Annamaria Cancellieri, ricevendone cortese ed ampia risposta. Ma non intendo intrattenervi, signori Presidenti, sul tema delicato della violazione dei compiti prescritti da leggi e regolamenti, perché ben so che si tratta di una vostra incombenza quotidiana, che ha il rischio di “scivolate” sempre dietro l‘angolo. Entrambi avete a che fare con Assemblee tumultuose e disobbedienti fino all’ingovernabilità: e si capisce che, nel quotidiano difficile mantenimento della propria autorevolezza sulle intemperanze di certi scostumati parlamentari, sia possibile perder di vista le cose che contano veramente. Signori Presidenti di Senato e Camera, l’otto ottobre scorso il Capo dello Stato ha inviato al Parlamento un Messaggio solenne -a norma dell’art. 87, secondo comma, della Costituzione- «ponendo con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti» (testuale). Il testo del Messaggio è pubblico, e non starò a ripeterne i punti salienti, tanto meno i riferimenti alla «sollecitazione pressante» da parte della Corte di Strasburgo per i diritti umani, che letteralmente obbliga lo Stato Italiano ai prescritti adempimenti o alla «inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo», o al fatto che il Presidente ritiene «necessario intervenire nell'immediato» (citazioni testuali). Ciò che intendo sottolineare è che sono trascorsi quasi tre mesi, ed un silenzio cimiteriale è calato sul Messaggio del Presidente; le parole brucianti del Capo dello Stato sono passate sui giorni e sulle settimane parlamentari come l’acqua scorre su un vetro pulito, scivolando via nel silenzio più assoluto. Nel silenzio della maggioranza, delle opposizioni, di tutti, dai Capigruppo fino all’ultimo dei peones, quel documento è stato semplicemente ignorato, archiviato, cestinato, come fosse il volantino pubblicitario di un pizzaiolo. Anche da voi, signori Presidenti! Ma voi, almeno, vi siete consultati, anche solo per telefono? Avete discusso se fosse o meno il caso di convocare d’urgenza la conferenza dei Capigruppo, magari anche solo per rovesciare loro addosso la responsabilità di ignorare il Messaggio formale alle Camere da parte della Prima Carica dello Stato? Oppure il sottaciuto disprezzo insito nella trascuratezza silenziosa è partito proprio da Voi, per condivisione? Se è così, questa semplice cittadina si pone una domanda: si chiede se il silenzio e la noncuranza da parte della Seconda e della Terza Carica dello Stato verso il messaggio del Presidente non raffiguri un gesto di inspiegabile e grave insubordinazione, una totale mancanza di rispetto. Ora il Parlamento è chiuso per le vacanze di Natale, e quand’anche riconosceste un vostro errore non potreste rimediarvi fino alla riapertura dei lavori il 27 dicembre. Noi Radicali, e con noi una imponente raccolta di associazioni, gruppi, periodici, direttori ed operatori penitenziari, sacerdoti e cappellani di carcere, famiglie di detenuti e semplici cittadini, non faremo vacanza il giorno di Natale, ma marceremo da San Pietro a Palazzo Chigi per chiedere ciò che il Capo dello Stato ha chiesto al Parlamento: amnistia e indulto come misure di immediata clemenza, e riforma strutturale del sistema Giustizia. Perché i detenuti, anche quelli in custodia preventiva non ancora giudicati, di cui metà almeno risulterà alla fine innocente, e con loro gli operatori carcerari che ne condividono la difficile vita, non vanno in vacanza dalla loro quotidiana tortura, signori Presidenti di Senato e Camera! Anche se il Parlamento è in vacanza voi, Presidente Grasso e Presidente Boldrini, avete una possibilità immediata di riaffermare la vostra autorevolezza e la vostra fedeltà alla Costituzione ed al Capo dello Stato. Se non vi basta l’animo per marciare con noi il giorno di Natale da Piazza Pia a Largo Chigi, almeno scrivete un messaggio pubblico al Comitato promotore della Marcia impegnandovi formalmente a convocare la Conferenza dei Capigruppo il 27 dicembre stesso, o a calendarizzare d’autorità il dibattito sul Messaggio del Presidente Napolitano alle Camere. Signori Presidenti, vi affido questa proposta, con fiducia e speranza. Buon Natale! Giustizia: oltre 50 parlamentari passeranno il Natale negli istituti penitenziari, con i detenuti La Presse, 24 dicembre 2013 Oltre 50 parlamentari di tutti i gruppi di Camera e Senato vogliono quest’anno dare lasciare un segno tangibile di solidarietà ai detenuti delle carceri di alcune province italiane e hanno deciso di trascorrere con i carcerati il Natale e le altre festività. I parlamentari hanno predisposto un documento che mostreranno ai detenuti, e che verrà presentato oggi alle 11 alla stampa a Montecitorio, con riflessioni e proposte a fronte dei dati allarmanti che riguardano la questione carceraria. Allegate anche alcune proposte di legge su aspetti sensibili come l’affidamento a case famiglia delle recluse con figli in tenera età, alcune agevolazioni per il lavoro in carcere. L’iniziativa è promossa da "Argomenti 2000 - Associazione di amicizia politica", per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su una drammatica emergenza del Paese. l deputato Pd Ernesto Preziosi che parteciperà all’iniziativa spiega: "È un gesto che da credenti, insieme ad altri parlamentari di buona volontà, vuole testimoniare quella attenzione agli ultimi che deve caratterizzare l’impegno politico. È una risposta al discorso del presidente Napolitano alle Camere l’8 ottobre scorso ed vuole essere in sintonia con le parole espresse più volte dal Santo Padre". Giustizia: premier Letta; troppi carcerati in attesa giudizio, modificare la custodia cautelare Tm News, 24 dicembre 2013 Dopo l’intervento del Governo sulle carceri, "nel provvedimento che stiamo mettendo a punto per gennaio sulla giustizia ci sarà un altro passaggio su questi punti, perché vogliamo continuare, vogliamo spingere il Parlamento perché la riforma delle norme di custodia cautelare vada nella direzione" di rendere la vita dei carcerati "meno drammatica di come purtroppo oggi avviene". Lo ha detto il presidente del Consiglio Enrico Letta nella conferenza stampa di fine anno. Il premier, in particolare, ha sottolineato che "ci sono molte altre possibilità per scontare la custodia cautelare: ai domiciliari, con il braccialetto elettronico, e mille altre cose che abbiamo già iniziato" a prevedere. "Un terzo dei detenuti nelle carceri italiane è in attesa di giudizio, questa è una situazione abnorme", ha detto Letta. Rispondendo ad una domanda su amnistia e indulto, Letta ha precisato che sono questioni "di competenza delle Camere". Il premier ha inoltre ripreso le parole del giornalista che aveva fatto la domanda, concludendo: "Lei ha perfettamente ragione, l’Italia non può permettersi di iniziare il semestre di presidenza europea con questo pesante spread che ha a che fare con i diritti umani". Giustizia: Sappe; bene Napolitano su emergenza carceri, ma politica è sorda su questi problemi Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2013 "Ancora una volta il Capo dello Stato ha sottolineato l’invivibilità delle condizioni delle carceri italiane e richiesto alla classe politica del Paese atti concreti per risolvere l’emergenza penitenziaria in Italia. Sono pessimista e penso che anche questa importante sollecitazione sarà sostanzialmente ignorata così come lo è stato il suo autorevole messaggio al Parlamento dell’8 ottobre scorso sui problemi penitenziari italiani". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, commentando la lettera giunta dal Quirinale al segretario dei Radicali italiani Rita Bernardini. Il Sappe, che si è detto scettico sulle possibilità che il Parlamento possa votare un provvedimento di clemenza come l’amnistia e l’indulto, sottolinea una volta di più come "la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose. Amnistia e indulto da soli non bastano: serve una riforma strutturale dell’esecuzione della pena". "Ogni tanto si varano provvedimenti che impropriamente si definiscono svuota-carceri" conclude il leader del Sappe "ma la realtà è che la situazione di affollamento dei penitenziari è sempre drammaticamente grave, a tutto danno del lavoro dei poliziotti penitenziari. Basta un dato: il 31 dicembre 2009 i detenuti erano 64.791 e, nonostante tre leggi presunte svuota-carceri i detenuti sono 64.047, lo scorso 30 novembre 2013. E il Parlamento, su questo scandalo delle sovraffollate carceri italiane nelle quali il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, ignora persino l’autorevole messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso. Noi ribadiamo di non credere che amnistia e indulto, da soli, possano risolvere le criticità del settore carceri. Quello che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena. La realtà oggettiva è che le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E neppure la vigilanza dinamica, voluta dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e dal Capo del Dap Giovanni Tamburino in primis, ha migliorato la situazione". Giustizia: Fns-Cisl; bene Napolitano e provvedimenti Governo, servono misure straordinarie Agi, 24 dicembre 2013 "Siamo grati al Presidente Napolitano per l’ulteriore comunicazione fatta al partito radicale dopo il messaggio istituzionale alle Camere sulla crisi della giustizia e sullo stato drammatico delle carceri". Lo dichiara in una nota, il Segretario Generale della Fns Cisl (Federazione della Sicurezza della Cis), Pompeo Mannone. "Tutto quello che viene deciso sul miglioramento del sistema giustizia e sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri - continua Mannone - è un fatto positivo. Confidiamo che il Parlamento migliori i provvedimenti governativi da poco emanati e li renda più incisivi perché il malfunzionamento della giustizia e la lunghezza dei processi civili e penali e la condizione drammatica delle carceri è una vera emergenza Paese. C’è necessità di interventi strutturali ed organici e anche di misure di carattere eccezionale. Il Governo poteva essere più coraggioso ed agire anche sul versante dell’eccessivo uso della custodia cautelare in carcere e sui gradi di giudizio nonché intervenire sulle annose carenze del personale che opera negli istituti di pena". "Il bilancio dell’attività svolta dall’Amministrazione Penitenziaria nel 2013 - conclude Mannone - è stato in parte positivo ma le soluzioni prospettate, legislative ed amministrative, non colgono appieno la necessità di operare con misure veramente straordinarie per attenuare in modo deciso e forte l’emergenza che attanaglia le carceri, che determina situazioni pesantissime per i detenuti, ma anche su coloro che spesso vengono dimenticati: i poliziotti penitenziari che subiscono sulla proprio pelle i disagi complessivi di un ambiente spesso invivibile". Giustizia: Garanti territoriali; bene il Garante nazionale, ma mai dipendente dall’esecutivo Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2013 "Non possiamo che esprimere sconcerto e imbarazzo per l’iniziativa legislativa, tanto attesa e voluta dai Garanti regionali e locali, di istituire il Garante nazionale delle persone private della libertà personale con caratteristiche diverse da quelle che impongono le convenzioni internazionali ed ancor prima la logica. Tra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio ricordiamo il potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, e l’indipendenza e autonomia dal potere politico. Il Parlamento italiano ha provveduto con la legge 195/2012 ad autorizzare la ratifica e ad adottare l’ordine di esecuzione al Protocollo opzionale sulla tortura (Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, fatto a New York il 18.12.2002). Ai sensi del comma 2 dell’articolo 4 del Protocollo, per "privazione della libertà" s’intende "ogni forma di detenzione o imprigionamento o collocazione di una persona in un luogo sotto custodia che non le sia consentito lasciare volontariamente, su ordine di un’autorità giudiziaria, amministrativa o di altro tipo". All’articolo 1, il Protocollo si prefigge di istituire un sistema di visite periodiche, effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, nei luoghi in cui si trovano persone private della libertà, allo scopo di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. L’articolo 3 prevede, poi, che ogni Stato Parte istituisca, designi o gestisca - a livello nazionale - uno o più organi con poteri di visita incaricati di prevenire la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. L’istituzione di un Garante nazionale, oltre all’assolvimento di obblighi di carattere internazionale, sarebbe il naturale coronamento del percorso intrapreso in via di sperimentazione a livello territoriale con i Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale a livello comunale, provinciale e regionale, che rappresenta la novità degli ultimi anni in materia penitenziaria. Come è noto, la positività dell’esperienza ha ottenuto pieno riconoscimento con la modifica dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario (legge 354/75), per effetto della legge 14/2009 (conversione del decreto-legge 207/2008), che prevede anche il Garante, con riferimento al territorio di cui l’ente che l’ha istituito è espressione, fra quei soggetti che, laddove istituiti, possono visitare gli istituti penitenziari senza necessità di preventiva autorizzazione, alla stregua dei membri del Parlamento, nonché con la modifica dell’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, che prevede i colloqui da parte del Garante con le persone detenute anche al fine di compiere atti giuridici. Nel corso degli anni sono state presentate varie proposte di legge, e anche i Garanti territoriali hanno predisposto un proprio testo nell’ambito del quale, fra i tratti salienti dell’organismo di vigilanza e monitoraggio munito del potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, emergono i requisiti della collegialità e dell’indipendenza, essendo prevista una designazione di tipo parlamentare, con la previsione di un continuo raccordo con i Garanti territoriali presenti nelle realtà locali. Ora assistiamo all’introduzione con decreto legge di un ufficio istituito presso il Ministero di Giustizia, e di componenti, compreso il Garante nazionale, nominati dal Consiglio dei Ministri. Ciò viola in modo palese il protocollo aggiuntivo Protocollo opzionale sulla tortura (Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, fatto a New York il 18.12.2002) sopra richiamato e delinea la figura di un Garante non autonomo, non terzo, non indipendente. Chiediamo che la figura del Garante sia oggetto di una separata iniziativa legislativa , e che vengano assicurati i requisiti già richiamati. Un Garante dipendente dall’esecutivo svuota di significato il lavoro difficile di questi anni, la assunzione di un ruolo authority , l’affermazione della propria autonomia pur nella incerta genesi e struttura di molti Garanti territoriali". Sottoscrivono i Garanti delle persone private della libertà personale: Desi Bruno, Garante Regione Emilia-Romagna; Giorgio Bertazzini Garante Provincia Monza-Brianza; Enrico Formento, Garante Regione Valle D’Aosta; Alberto Gromi, Garante Comune Piacenza; Angiolo Marroni, Garante Regione Lazio; Armando Michelizza, Garante Comune Ivrea; Fabio Nieddu, Garante Comune Pescara; Rosanna Palci, Garante Comune Trieste; Piero Rossi, Garante Regione Puglia; Italo Tanoni, Ombudsman Regione Marche; Sergio Steffenoni Garante Comune di Venezia. Giustizia: nel decreto-carceri un Garante dei detenuti. Marroni: Ora siamo ancor più legittimati di Marzia Paolucci Italia Oggi, 24 dicembre 2013 Nasce il garante nazionale dei detenuti e con lui un ufficio legale in ogni carcere. La promessa del ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri l’indomani dell’ennesima morte in carcere, questa volta toccata a Federico Per-na, il detenuto del carcere di Poggioreale, è diventata realtà con l’approvazione del decreto legge contro il sovraffollamento carcerario da parte del consiglio dei ministri di martedì 17 dicembre. "Quella della morte di Federico Perna è una foto drammatica che tocca tutti noi, non ci sono parole per descriverla. L’amministrazione sta guardando verso se tessa nel massimo del rigore. La figura del garante che io proporrò al primo consiglio dei ministri in tema di giustizia, sarà proprio per quello, affinché in ogni carcere ci sia un ufficio legale per dare voce a chi non ce l’ha", aveva detto giorni fa il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri nel corso di un’intervista televisiva su La7. L’istituto fa parte di una serie di misure contenute nel disegno di legge del governo che tra affidamento in prova, ampliamento dello sconto temporale per buona condotta, braccialetto elettronico e più possibilità di affido terapeutico per i tossicodipendenti, aprirà presumibilmente le porte degli istituti di pena a un totale di altri 3 mila detenuti dopo i 4 mila già interessati dal precedente decreto "svuotacarceri" di agosto. ItaliaOggi ne parla con Àngiolo Marroni, da otto anni garante regionale dei detenuti per il Lazio arrivato al suo secondo mandato. Come valuta questa decisione di istituire il garante nazionale dei diritti dei detenuti? "Vedo positivamente la nascita di un istituto nazionale che tra garanti territoriali abbiamo sempre richiesto perché sicuramente ne trarremmo una maggiore legittimazione al nostro ruolo che oggi spesso in alcune parti del paese è contestato. E non parlo per me che nella mia regione sono molto ascoltato sia dall’autorità giudiziaria che penitenziaria". Quali sono i vostri poteri? "Siamo un organo di vigilanza che non ha bisogno di alcuna autorizzazione per andare a colloquio con i detenuti o entrare nelle carceri, equiparati ai parlamentari, vigiliamo sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e di qui ci rivolgiamo all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Va però ricordato che non abbiamo alcun potere ispettivo o di intervento sull’autorità giudiziaria e penitenziaria ma solo persuasivo". Quali saranno le differenze rispetto ai garanti regionali, provinciali e comunali già attualmente presenti in Italia? Vede il rischio di contrapposizioni? "Non lo so, penso non lo sappia nessuno, bisognerà vedere la normativa di riferimento, so che si tratta di un disegno di legge, nulla più. Certamente ci saranno contrapposizioni e non certo tra noi garanti, è evidente però che ce ne saranno se pensiamo che già oggi un sindacato di polizia esprimeva la sua contrarietà alla figura. Ciò che è più importante però sono proprio le misure per svuotare le carceri di 3 mila persone, in verità poca cosa rispetto ai 64 mila che ci restano: servono alternative al carcere, serve l’ampliamento dello sconto temporale per buona condotta oggi nel pacchetto del governo che noi avevamo richiesto già da tempo. Sono critico invece verso il braccialetto elettronico: non funziona, ci avevamo già provato. Basta che si scenda in cantina per risultare evaso. Una sceneggiata del nostro stato che ci ha speso un sacco di soldi". Veneto: il Consigliere Bottacin "le carceri regionali sono sovraffollate… al limite della tortura" Corriere della Sera, 24 dicembre 2013 Le condizioni dei detenuti nelle carceri venete sono al limite della tortura". Lo dichiara il consigliere regionale Diego Bottacin, che sulla questione ha scritto al Tutore dei Minori, Aurea Dissegna, chiedendole un incontro per illustrare la grave situazione degli istituti di detenzione del Veneto. Fino alla nomina del Garante dei diritti della persona, nel 2015, il Tutore dei minori assume, infatti, le funzioni di garanzia anche delle persone sottoposte a misure restrittive. In Veneto ci sono quasi 3.200 detenuti in istituti che ne possono ospitare al massimo duemila. "In qualità di consigliere regionale - afferma Bottacin - ho avuto modo di visitare il carcere di Belluno, prima ancora quelli di Treviso e Padova. Una percentuale elevata di queste persone è ancora in attesa di giudizio. Nel carcere di Belluno, ad esempio, ho accertato il persistere di condizioni contrarie ai criteri stabiliti dall’articolo 3 della Cedi, i quali prescrivono che "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradantI". I detenuti si trovano in celle di circa 19 metri quadri in cui sono ospitati in 6 per cella. Poco più di 3 metri quadri a testa, ampiamente insufficienti per assicurare gli standard minimi". Caltanissetta: suicida in carcere un ex agente Polizia penitenziaria, imputato per mafia Agi, 24 dicembre 2013 Un ex agente della polizia penitenziaria, imputato di reati di mafia, si è suicidato nel carcere di Caltanissetta. È stato trovato morto stanotte all’interno del carcere di Caltanissetta dove si trovava detenuto, Rosario Bellavia, 50 anni, agente di polizia penitenziaria di Siculiana arrestato ed attualmente sotto processo con l’accusa di concorso in associazione mafiosa nell’ambito del processo "Nuova cupola". Ancora non chiari i dettagli della vicenda di cui si sa pochissimo. L’unica cosa certa è che Rosario Bellavia è stato trovato morto in cella e che, in attesa di conferme sicure, il suo decesso potrebbe essere avvenuto per malore o suicido. Questa ultima ipotesi, peraltro, è stata paventata con innumerevoli scritti inviati ai suoi familiari che al suo legale di fiducia, avvocato Salvatore Pennica. Quest’ultimo ha raggiunto poco fa l’obitorio di Caltanissetta dove Bellavia è stato trasportato per rendersi conto di persona di quanto accaduto. I familiari dell’uomo morto vogliono fugare ogni ragionevole dubbio sulla dipartita dell’ex agente di polizia penitenziaria che, come detto, attualmente è sotto processo, rito ordinario, davanti al Tribunale Penale - Seconda Sezione - presieduto da Luisa Turco. Cagliari: Sdr; ultimo natale a Buoncammino con circa 400 detenuti, 50 in permesso-premio Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2013 "Il Natale 2013 nella Casa Circondariale del Buoncammino è destinato a restare nella memoria di tanti: detenuti, agenti, operatori ministeriali, medici e volontari. È infatti l’ultimo della storia ultracentenaria dell’Istituto di Pena, costruito tra il 1887 e il 1897. Un Natale speciale che vedrà un numero di ristretti decisamente ridotto. Sono stati infatti concessi dalla Magistratura di Sorveglianza oltre 50 permessi premio. Un dato che porta le presenze a un numero di circa 400 detenuti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, esprimendo soddisfazione per l’accelerazione, nonostante la mole di lavoro negli Uffici, nella concessione dei permessi per buona condotta. "Quello natalizio - sottolinea Caligaris - è l’appuntamento annuale maggiormente atteso anche da coloro che resteranno dietro le sbarre. Dopo i numerosi giorni dedicati all’allestimento del presepe, nell’ala maschile destinata all’alta sicurezza sarà celebrata la Messa officiata dall’arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio con il cappellano della Casa Circondariale Padre Massimiliano Sira. L’appuntamento, alle 8.30 del mattino del 25 dicembre - e successivamente nella sezione femminile - vede tradizionalmente presenti il Direttore Gianfranco Pala, il Comandante Barbara Caria e il Presidente dell’Ufficio di Sorveglianza Paolo Cossu, oltre ai volontari che svolgono costantemente attività all’interno della struttura. Nel corso della Messa si esibirà il Coro a tenores del carcere con i canti tradizionali in sardo. "Natale - conclude la presidente di Sdr - è un appuntamento carico di significati e di speranze. L’auspicio è che il 2014 porti davvero un miglioramento nelle condizioni di vita di quanti devono scontare la pena detentiva". Genova: arresto Gagliano in Francia, 1 anno per estradizione, avvocato chiede perizia psichiatrica La Repubblica, 24 dicembre 2013 Gagliano potrebbe non tornare più in carcere, almeno non in Italia. Il pluriomicida, catturato venerdì a Mentone dopo una fuga di quattro giorni, ieri mattina è comparso davanti a un giudice di Nizza per l’interrogatorio di convalida dell’arresto. Con lui un avvocato d’ufficio e un interprete. Rischia circa un anno di reclusione per il possesso della Beretta 7,65. In giornata è stato trasferito nella prigione provenzale di Luynes, una struttura attrezzata per le brevi detenzioni. Nel successivo incontro con gli inquirenti - previsto dopo Natale, al tribunale di Aix en Provence - verrà difeso da un legale francese indicato da Mario Iavicoli, l’avvocato genovese di Gagliano. Che preannuncia una richiesta di perizia psichiatrica, anche in Francia: "Il mio cliente ha diritto ad essere valutato per quello che davvero è". Perché dieci anni fa aveva lasciato il manicomio giudiziario e poi era tornato a Marassi, come un delinquente comune. Ma secondo Iavicoli, vale la pena di esaminare di nuovo le condizioni di Gagliano. Se fosse dichiarato infermo di mente, il serial killer lascerebbe la prigione per il manicomio giudiziario. "È un’ipotesi concreta. Prima però dobbiamo vedere come sarà giudicato dalla giustizia francese. Potrebbe tornare in Italia non prima di un anno", conferma il legale, che venerdì aveva ricevuto una telefonata dal ricercato: "Voleva costituirsi la sera stessa" spiega. Gli investigatori francesi non lo lasceranno andare tanto presto. Ci sono ancora troppi misteri da chiarire: il possesso dell’arma e di tutti quei proiettili di un altro calibro, quello delle amfetamine, una certa disponibilità di denaro contante, la misteriosa scomparsa di un telefono cellulare che il pluriomicida avrebbe utilizzato, l’ombra di un complice francese. L’estradizione sarà una cosa lunga. "Io metto in conto almeno un anno di attesa", sostiene Iavicoli. "Poi toccherà alla giustizia italiana: delinquente comune, rischia una condanna tra i quattro e i cinque anni. Pensare che senza quella fuga avrebbe lasciato Marassi a gennaio, tra meno di un mese". È anche per questo che il legale nutre dubbi sulla piena lucidità del suo assistito. "Considerate le sue condizioni, in futuro potrebbe trascorrere lo stesso periodo in un manicomio giudiziario". Napoli: sos madre recluso; mio figlio ha un tumore e in carcere non può essere curato Ansa, 24 dicembre 2013 "Chiedo a chi ne ha il potere di avere un po’ di misericordia per mio figlio che è gravemente malato e detenuto nel carcere di Poggioreale dove non può essere curato adeguatamente". Questo l’appello di Maria Cacace, madre di Enzo Di Sarno, detenuto dal 2009 nel penitenziario napoletano nel Padiglione Avellino e affetto - come riferito dai familiari - da un tumore spinale che necessiterebbe di "una quotidiana terapia in acqua che - come dichiarato dalla madre - il carcere non può garantire". Di Sarno è in attesa di giudizio con l’accusa di omicidio. La famiglia ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere "un intervento compassionevole". L’appello della madre di Di Sarno cade a poche ore dalla terza marcia di Natale indetta dai Radicali, per il 25 dicembre e in programma a Roma, con cui il movimento di Marco Pannella intende tornare a chiedere al Parlamento un provvedimento di amnistia e indulto. "Chiediamo al Parlamento - ha affermato Donato Salzano, segretario Radicali di Salerno - di dare seguito al messaggio alle Camere dello scorso ottobre del Presidente Napolitano in materia di amnistia". Un provvedimento che, secondo Salzano, è "un atto di prepotente urgenza" in virtù delle condizioni "disumane" delle carceri italiane contro cui si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea. "L’amnistia e l’indulto - ha spiegato Salzano - non possono essere ritenuti atti criminogeni perché previsti dalla nostra Costituzione". Dai Radicali sono state portate all’attenzione anche le condizioni di un altro detenuto di Poggioreale, Angelo Rosciano che - come spiegato - si trova nel padiglione San Paolo adibito a reparto clinico perché - secondo quanto riferito - ha una menomazione fisica, è diabetico, cardiopatico e non vede a un occhio. Rosciano è stato condannato per ricettazione. "I familiari di Rosciano - ha detto l’esponente dei Radicali - si sono già rivolti al presidente Napolitano e al ministro Cancellieri che - ha aggiunto Salzano - è un ministro attento a tutte le segnalazioni". L’Aquila: la Uil-Pa Penitenziari ispeziona il carcere, giudizio negativo Ansa, 24 dicembre 2013 Servizi igienici carenti; ingressi e locali posti in prossimità degli stessi sporchi ed igienicamente non idonei; criticità nell’area sanitaria e sala odontoiatrica senza strumentazioni utili per essere autosufficienti: questa la foto del carcere dell’Aquila scattata dalla Uil penitenziari in un’ispezione fatta nei giorni scorsi. Della delegazione sindacale facevano parte il Segretario generale della UIL PA Penitenziari Eugenio Sarno, il Presidente Nazionale Giuseppe Sconza, i Segretari Regionale e provinciale Giuseppe Giancola e Mauro Nardella. "Dal punto di vista dell’organico - scrive la Uil in una nota - molto carente risulta essere il numero di sottufficiali tant’è che per ovviare alle numerose udienze in video conferenza per le quali si richiede la presenza di ufficiali di polizia giudiziaria si è costretti ad attingere, quotidianamente, ad altre sedi spesso distanti più di 150 chilometri, con notevole dispendio di soldi per il pagamento di missioni e ore di straordinario e con logiche che cozzano contra la politica della spending review". "A proposito di videoconferenze altra nota negativa - dice la Uil - ci viene offerta dalla presenza di 10 nuove salette, pronte da tempo immemorabile e che hanno bisogno solo di adeguamento tecnologico, le quali, proprio perché inutilizzabili, costringono, nei periodi di eccessiva produzione di udienze giudiziarie, la traduzione di detenuti in altre realtà carcerarie anche qui con dispendio di uomini e soldi pubblici". Infine, il sindacato ha posto l’accento sulle relazioni sindacali definite "scadenti". Bolzano: sei cordate in gara per l’appalto della costruzione del nuovo carcere Alto Adige, 24 dicembre 2013 Sono scaduti ieri i termini di partecipazione alla gara d’appalto per la costruzione del nuovo carcere a Bolzano sud: "Sono sei le offerte presentate, non poche se si pensa alla complessità di questa specifica procedura e al fatto che si tratta della prima gara bandita in modalità di project financing PPP in Italia per un istituto penitenziario", sottolinea il presidente della giunta provinciale Luis Durnwalder. Il prossimo 8 gennaio saranno aperte le buste ed esaminate le documentazioni nella sede dell’Agenzia per gli appalti pubblici, che segue il bando di gara (la Provincia è soggetto attuatore del progetto). In una nota, la Provincia spiega che spetterà poi a una commissione tecnica condurre una valutazione sulla qualità delle proposte presentate prima di aprire le buste con l’offerta economica. Solo dopo l’esame e la valutazione dell’intera documentazione sarà possibile emettere un verdetto sul nome dell’aggiudicatario. L’importo a base d’asta per la realizzazione del nuovo carcere è fissato in 63,58 milioni di euro, a cui si aggiungono i 14 milioni spesi per l’esproprio dei terreni, per una somma complessiva in linea con i costi sostenuti in altre regioni per la costruzione di istituti penitenziari di analoghe dimensioni. Gli indirizzi di progettazione (studio di fattibilità e costruzione modulare) sono indicati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, responsabile della futura struttura, mentre l’aggiudicatario della gara potrà gestire i servizi - tra cui mensa, lavanderia, spazi comuni - in concessione ventennale. Anche i programmi di socializzazione proposti avranno un peso importante nel punteggio finale. I criteri di valutazione, infatti, puntano molto sulla qualità. Il nuovo carcere, che sorgerà a Bolzano sud vicino all’aeroporto, ospiterà 200 detenuti, 100 operatori di polizia penitenziaria, 30 posti per agenti in caserma, 25 unità di personale civile. Al di fuori della cinta muraria sono previsti il controllo accessi, la direzione e i relativi alloggi, la sezione dei detenuti semiliberi. Entro la cinta muraria, oltre alla sezione di reclusione, saranno ricavati tra l’altro l’infermeria, gli spazi per il lavoro, una sala polivalente, una palestra, i servizi cucina e lavanderia. Il nuovo istituto sarà pronto nel 2016. Sassari: un dentista e un odontotecnico, volontariato per i detenuti del carcere di Bancali La Nuova Sardegna, 24 dicembre 2013 Gli hanno regalato una dentiera, ma loro preferiscono dire che gli hanno restituito il sorriso. Una protesi tutta nuova è stata l’inconsueto dono di Natale fatto ieri mattina, nei locali della Casa della Fraterna solidarietà, a un disabile che non poteva assolutamente permettersi di pagare le cure dentistiche. Autori del regalo sono stati il dentista Paolo Usai e l’odontotecnico Gavino Dettori che collaborano con l’associazione di Aldo Meloni nel progetto che ha già restituito il sorriso a quattrocento persone in difficoltà. È invece rimasto nel cassetto, ma solo per pochi giorni, un analogo dono che Usai e Dettori avevano preparato per un detenuto nel carcere di Bancali. Il destinatario della dentiera aveva un permesso premio a disposizione, ma invece di farsi sistemare la tanto desiderata protesi ha preferito utilizzare il "bonus" per trascorrere la giornata di festa con la propria famiglia. Mangerà con difficoltà, ma almeno mangerà in compagnia, hanno spiegato comprensivi il dentista e l’odontotecnico. Paolo Usai e Gavino Dettori sono gli autori, insieme al dentista Dario Bonelli, del piccolo miracolo dell’assistenza gratuita che si compie ogni giorno nei locali della Casa. "Abbiamo realizzato 400 dentiere nuove - racconta Meloni - ma contiamo di arrivare a cinquecento entro il mese di febbraio". Un traguardo importante, raggiunto grazie alla generosità degli specialisti che hanno già regalato alla causa del sorriso quasi diecimila ore del proprio lavoro. I dentisti si alternano nelle visite, mentre Gavino Dettori realizza tutte le protesi. La Casa autofinanzia l’acquisto del materiale necessario. La loro ricompensa? "Il sorriso dei nostri pazienti". Il più commovente è stato quello di una maestra elementare, ridotta in povertà dal marito che la maltrattava, che aveva rinunciato a insegnare per non spaventare i bambini con la sua bocca sdentata. E che adesso può riprendere a sorridere e a sperare. Sassari: Osapp; detenuto tenta aggressione medico a Bancali, intervengono gli agenti Adnkronos, 24 dicembre 2013 Un detenuto, "non nuovo a simili atteggiamenti", ha inizialmente insultato la dottoressa di turno per poi tentare, addirittura e per cause non note, di aggredirla nel carcere sassarese di Bancali. Lo comunica il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra che rende noto l’ultimo episodio che ha coinvolto un medico del carcere sardo. "Solo grazie al tempestivo intervento della polizia penitenziaria - spiega Nicotra, si può parlare adesso di una tentata aggressione, se questi episodi si reiterano sempre più frequentemente è evidente che qualcosa che non va per il verso giusto nelle patrie galere c’è. Al detenuto, intanto, è stato mosso un rilievo disciplinare che sicuramente inciderà sulle agevolazione previste dall’ordinamento penitenziario". "È innegabile - conclude il sindacalista dell’Osapp, che se la direzione e il comandante dell’istituto isolano non daranno un segnale forte alla popolazione detenuta per farle capire che il trattamento penitenziario è direttamente legato al rispetto dell’ordine, la disciplina e la sicurezza penitenziaria, casi analoghi non potranno escludersi in futuro". Tolmezzo (Ud): festa della famiglia anche in carcere, rapporti fondamentali per rieducare Messaggero Veneto, 24 dicembre 2013 I rapporti con la famiglia sono fondamentali per la rieducazione del detenuto. Motiva così la direttrice della Casa circondariale di Tolmezzo, Silvia Della Branca, l’iniziativa organizzata ieri tra le mura del carcere. Spiega di aver voluto con essa dare un momento di gioia a detenuti e familiari e che occasioni di incontro come queste sono importanti soprattutto per i bambini più piccoli. Della Branca ha sottolineato l’importante supporto che trova in questo come in altri casi nell’ottimo personale del carcere. Sulla collaborazione con il Css Teatro stabile di innovazione del Fvg dice con un sorriso: "Continua ed è spettacolare". La direttrice ricorda anche l’importante sinergia in varie iniziative con Regione, Comune di Tolmezzo e altri enti. Oggi i detenuti nella struttura sono 264. Vari sono i progetti importanti condotti, come ad esempio quello di manutenzione del territorio con detenuti in semilibertà. Alberto Bevilacqua, presidente del Css Teatro stabile di innovazione del Fvg, sottolinea come il Natale sia una festa della famiglia che il carcere ha voluto onorare. "Le istituzioni - osserva Bevilacqua - sono fatte dalle persone. Qui abbiamo trovato persone straordinarie che interpretano il lavoro in prima persona". Ma "questo ci dà la possibilità di vivere il Natale: è nato un bambino - ha detto Bevilacqua riferendosi a Gesù - nel luogo più lontano del mondo, nel nostro piccolo stiamo ricostruendo una nuova nascita per un nuovo futuro". Lodi: i carcerati, i cattolici, i radicali di Luigi Gatti Il Cittadino, 24 dicembre 2013 Succede una cosa singolare da qualche mese nella casa circondariale di Lodi. I volontari di “Radio Maria”, attraverso il cappellano, hanno regalato a tutti i detenuti una radiolina, la quale però, essendo di modesta fattura, anche a spingere fino in fondo la monopolina non arriva al 107,9 di “Radio Maria”, ma si blocca al 107,6, cioè a “Radio Radicale”. E così tutti sanno della manifestazione che i radicali intendono svolgere il giorno stesso di Natale allorquando alle ore 10.00 partirà da San Pietro una marcia per arrivare davanti alla sede del Governo. Dopo il messaggio del presidente della Repubblica Napolitano e dopo quanto affermato dalla Corte Costituzionale non ci sono più alibi per non affrontare l’attuale situazione di sovraffollamento e di giustizia “irragionevolmente” lunga che sembra essere una seconda condanna. Si parte da San Pietro non solo perché papa Francesco ha pronunciato frasi forti incontrando i cappellani delle persone carcerate, più che delle carceri come disse al suo esordio, ma soprattutto perché all’inizio del suo mandato ha fatto due gesti concreti: ha abolito l’ergastolo all’interno dello Stato del Vaticano e ha introdotto il reato di tortura, cosa che in Italia non si è fatta a distanza di vent’ani dalla firma della convenzione ONU, come si evince dal comunicato stampa. Anche qualche detenuto di Lodi ha espresso il desiderio di scrivere al papa avendo avuto l’impressione che non si sia ancora pronunciato sui temi dell’indulto e dell’amnistia, come fece invece Giovanni Paolo II, senza sapere che papa Francesco ha espresso la volontà di non interferire direttamente nelle “questioni” di politica italiana. Tocca si politici affrontare seriamente questi problemi e certo anche alla chiesa italiana alzare la voce si questi argomenti che invece sono diventati appannaggio di Pannella e dei suoi “digiuni”. Anche il noto poeta Guido Oldani a Milano venerdì il 13 dicembre ha coordinato la III edizione de “Il giorno dell’impiccato” per denunciare la condizione carceraria, vergogna dell’Italia e dell’Italia in Europa, riconoscendo agli artisti invitati di portare un soffio di intelligenza e di umanità al dramma dei carcerati che si tolgono la vita. Quando mi invitano per una testimonianza sul mondo del carcere io porto con me sempre due lettere di due giovani, una di chi non ce l’ha fatta, a sostenere il dopo carcere, una di chi nutre speranza di farcela. Scriveva Giorgio al cappellano: “Sono uscito dal carcere. Adesso ho la libertà, la cosa più bella del mondo. Dopo 10 mesi sono tornato a respirare un po’ di pulito, di profumo, di amicizia. Non sono più chiuso in gabbia a subire, marcire, impazzire… Ma purtroppo devo dirti che i sogni che si fanno dentro e i propositi sinceri che ho fatto sono impossibili. Non trovo lavoro, non conosco più nessuno, c’è un mucchio di gente mai vista che non si degna neppure di un’occhiata, di un saluto. C’è un ambiente squallido e vuoto, di una società egoista… Non sto esagerando, sono sbalordito, frastornato, non vedo una minima soluzione alla mia situazione. Se me lo avessero detto prima, non avrei mai pensato che sarebbe stato così duro il dopo-carcere. Non ho ancora incontrato uno che mi abbia fatto un gesto da amico…Doveva essere una lettera di gioia e invece è un grido d’aiuto. Alla peggio mi resta una soluzione ancora: ritornare a San Vittore”. E infatti, è ritornato, per morire di disperazione. Aveva ventidue anni. Ecco i peccati che anche noi dobbiamo confessare, concludeva il cappellano. La seconda: “E’ una sera di quelle in cui non riesco a dormire, non so nemmeno io il perché, la mia mente spazia fra vari pensieri: la nostalgia, l’irrequietezza, lo sconforto, la rassegnazione, e non ultima la speranza…ma più di tutto conserverò per sempre impressi nella mia mente gli occhi di mia moglie Zohra. Quegli occhi tante volte scrutati durante i colloqui per cercare di capire se ci sono problemi in famiglia, se tutto va ben, se non ti tacciono qualcosa per non farti preoccupare o darti dispiacere. A volte tristi o con qualche lacrima, altre pieni di amore e di speranza per buone notizie ricevute, severi quando parlo degli errori commessi, oppure stanchi e rassegnati, ma sempre pieni di amore e di affetto. Mi accompagnano, mi consolano e mi danno la forza per sopportare il carcere. Li rivedo prima di addormentarmi e li ritrovo lì al mio risveglio. E saranno ancora lì alla fine della mia detenzione a darmi il bentornato, pieni di gioia, magari piangendo per la felicità”. Come si fa a non credere che davvero il carcere è il luogo della speranza, come amava dire il cardinal Martini che celebrava sempre la prima Messa del giorno di Natale alla Rotonda di San Vittore? Firenze: il Card. Betori chiede di eliminare le "condizioni disumane" per detenuti Adnkronos, 24 dicembre 2013 Stamattina l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, ha celebrato la messa natalizia per i detenuti del carcere di Sollicciano. Al termine della celebrazione, nello scambiare con loro gli auguri, il cardinale ha auspicato che quanti "hanno responsabilità nella società abbiano a cuore le condizioni dei carcerati". L’arcivescovo Betori ha sottolineato la necessità "che si prendano presto i fondamentali provvedimenti per attuare interventi atti a rendere il periodo della pena un’occasione di recupero della persona e un efficace percorso educativo, eliminando quelle condizioni disumane in cui oggi si trovano a vivere i detenuti, e lo stesso personale di sorveglianza, che non facilitano certo l’uscita dalla spirale della criminalità". Cinema: "À l’ombre de la République", splendori e miserie delle carceri francesi di Gianfranco Cercone Notizie Radicali, 24 dicembre 2013 Quando la regista Stephane Mércurio ha realizzato il documentario: "À l’ombre de la République" (cito il titolo originale perché si tratta di un film inedito in Italia) ha inteso fare probabilmente un’opera di denuncia sulla condizione delle carceri (e dei luoghi di reclusione) francesi. Intervistando i detenuti si apprende che sono a volte impiegati in lavori sottopagati - come telefonisti, ad esempio; che se alloggiano in carceri di recente costruzione, dove le celle contengono soltanto uno o due letti, soffrono di solitudine; che certe detenute godono di speciali privilegi, fanno il buono e il cattivo tempo con le compagne di prigionia, e ciò grazie a speciali relazioni con il direttore; che a volte i detenuti sono soggetti all’arbitrio dei secondini anche soltanto per effettuare una telefonata; o che, all’interno delle celle, attendono all’infinito una risposta alla loro chiamata. Ma, al di là di questi problemi particolari, i più disparati - ne ho citati alcuni soltanto a titolo di esempio - più in generale nel film della Mércurio è messa in discussione l’utilità della pena detentiva specie quando questa è molto lunga, mettiamo: oltre i vent’anni. In una discussione tra detenuti, si osserva che arriva un momento in cui il condannato si rende conto del torto che ha commesso. A quel punto, a che serve prolungare la sua detenzione? Il risultato non è soltanto quello di distruggere quel che resta della sua vitalità? Una persona svuotata, disgustata di sé e del mondo, senza più la forza per costruirsi una nuova vita, uscita dal carcere non tornerà a commettere nuovi crimini? Insomma: il film, in modi sobri e rigorosi, rivolgendosi prima alla ragione che al sentimento dello spettatore, è un’appassionata requisitoria contro il carcere. E tuttavia per lo spettatore italiano acquista un significato ulteriore. A noi viene da considerare che se il lavoro dei detenuti è sfruttato e malpagato, comunque, a quanto pare, nelle carceri francesi, a tanti è garantito un lavoro. Che se nelle celle più moderne, con uno o due letti, si soffre per mancanza di socialità, non sono comunque le celle invivibili perché sovraffollate che vengono tante volte denunciate nelle carceri italiane. E soprattutto - e qui vengo all’elemento centrale del film, forse il più sorprendente - i detenuti possono rivolgere le loro denunce e le loro lamentele a un Controllore Generale dei luoghi di privazione della libertà. Il film accompagna il suo lavoro e quello degli uomini della sua equipe. Si chiama Jean-Marie Delarue. Non ha un’aura eroica, non è un paladino dei diritti civili. È un funzionario statale che appare scrupoloso ed efficiente; che per sei anni non rinnovabili ha ricevuto tale incarico dalla Presidenza della Repubblica; che può accedere in qualsiasi momento nelle carceri come negli ospedali psichiatrici del territorio francese; e portare all’attenzione dei dirigenti o del governo i problemi o le irregolarità che riscontra. Misura la capienza delle celle, controlla il funzionamento delle docce, ascolta personalmente i detenuti sui problemi più gravi o più minuti che essi sottopongono alla sua attenzione. Verifica insomma che le condizioni di detenzione siano legali, che i malati siano curati e che non siano commessi degli abusi. E quando constata che in effetti il direttore di un carcere aveva concesso dei privilegi a delle detenute con cui aveva una relazione, quel direttore viene rimosso. Insomma: se il film ci restituisce con abilità l’atmosfera di desolazione del carcere, allo stesso tempo descrive una realtà che, sotto alcuni punti di vista, rispetto a quella italiana, è ideale. Per questo ritengo che sarebbe utile ed istruttiva la visione di questo film in Italia. In Francia ne è uscito un DVD che comprende anche la versione inglese e russa. Da noi, come anticipavo, è inedito, ma sarebbe auspicabile che un canale televisivo lo doppiasse in italiano e lo trasmettesse; o che un editore lo pubblicasse; o che altrimenti la società civile se ne appropriasse, magari organizzando delle proiezioni anche al di fuori dei cinema (come avvenne per un celebre documentario sui manicomi, firmato da Bellocchio e da altri: "Matti da slegare"). Immigrazione: il decreto-carceri rende più facili espulsioni detenuti stranieri Agi, 24 dicembre 2013 Il decreto legge sulle carceri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, rende più facile l'espulsione degli immigrati condannati a una pena detentiva. La precedente norma escludeva l'espulsione per tutti i delitti previsti dal testo unico sull'immigrazione del 1998. L'attuale decreto legge prevede che l'espulsione non possa essere disposta "nei casi di condanna per i delitti previsti dal testo unico sull'immigrazione, per i quali è stabilita la pena detentiva superiore nel massimo a due anni, ovvero per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli articoli 628, terzo comma e 629, secondo comma, del codice penale". L'articolo 628 del codice penale riguarda le rapine, l'articolo 629 le estorsioni. Il decreto legge aggiunge: "In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l'espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono". Il decreto legge prosegue: "All'atto dell'ingresso in carcere di un cittadino straniero, la direzione dell'istituto penitenziario richiede al questore del luogo le informazioni sulla identità e nazionalità dello stesso. Nei medesimi casi, il questore avvia la procedura di identificazione interessando le competenti autorità diplomatiche e procede all'eventuale espulsione dei cittadini stranieri identificati. A tal fine, il Ministro della giustizia ed il Ministro dell'interno adottano i necessari strumenti di coordinamento. Le informazioni sulla identità e nazionalità del detenuto straniero sono inserite nella cartella personale dello stesso prevista dall'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Salvo che il questore comunichi che non è stato possibile procedere all'identificazione dello straniero, la direzione dell'istituto penitenziario trasmette gli atti utili per l'adozione del provvedimento di espulsione al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. Il magistrato decide con decreto motivato, senza formalità. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, allo straniero e al suo difensore, i quali, entro il termine di dieci giorni, possono proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Se lo straniero non è assistito da un difensore di fiducia, il magistrato provvede alla nomina di un difensore d'ufficio. Il tribunale decide nel termine di 20 giorni". Immigrazione: porre rimedio alla vergogna dei Cie si può, ecco come… di Luigi Manconi L’Unità, 24 dicembre 2013 Ma è possibile abolirli, questi Cie? Penso seriamente, ragionevolmente e persino pacatamente di sì. I Centri di identificazione e di espulsione possono essere aboliti. Svuotandoli delle loro motivazioni costitutive, mostrandone l’inadeguatezza e l’inefficienza, rivelandone la miseria. Ovvero argomentandone la totale insensatezza. Quelle bocche cucite dei trattenuti di Ponte Galeria, a Roma, ci costringono a parlarne. Quel silenzio auto inflitto con gli aghi ricavati in maniera rudimentale dagli strumenti della vita quotidiana ci forza a dire ciò che finora sembrava indicibile. I Cie non rispondono a nessuna ragione né di sicurezza né di umanità; peggio: deridono la sicurezza e oltraggiano l’umanità. Sono "non luoghi" sprofondati in un non tempo: un tempo totalmente vuoto, privo di qualunque attività che non sia quella meramente fisiologica. Ma, accertato tutto ciò, torna la domanda: possono essere aboliti i Cie? In questi centri, allo stato di migrante irregolare, magari disconosciuto dal proprio paese d’origine, o in fuga da esso, si aggiunge talvolta il marchio di una condanna penale, seppure per fatti di minimo disvalore sociale. Ecco, questi sono gli "ultimi", cui si offre un rifugio provvisorio, senza possibilità di uscirne, fino a quando qualcuno non decida che fine fargli fare, se rimandarli in un qualche luogo d’origine o magari, beffardamente, nel paese d’origine della famiglia. Come quel 21enne nato e vissuto sempre ad Aversa, incontrato nel Cie di Roma, che sta per essere espulso in Serbia perché da lì verrebbero i suoi genitori, e che mi dice: "Ma io il viaggio più lungo l’ho fatto per andare a Milano", e non conosce alcuno che abiti in Serbia, non ne parla la lingua, non ne ha mai visto il paesaggio. Inevitabilmente quindi i Cie sono luoghi inospitali, destinati ad accogliere persone che non ci vogliono stare (e che spesso non capiscono perché vi siano costretti) in nome e per conto di una legislazione che non ha alcuna intenzione di "ospitarli", ma vorrebbe solo rimandarli a casa nel più breve tempo possibile. Un’ospitalità senza desiderio (senza il desiderio di ospitare degli uni e senza il desiderio di essere ospitati degli altri) si risolve così necessariamente in un limbo in cui uomini e donne sono costretti a sopravvivere al minor costo possibile per il tempo necessario al disbrigo di pratiche burocratiche. Queste condizioni che attengono al loro stesso mandato istituzionale fanno dei Cie luoghi in qualche modo irriformabili, di cui è necessario perseguire il superamento attraverso il loro svuotamento di funzioni e di persone. Per questo è importante il primo passo compiuto dal Governo con il nuovo decreto-legge voluto dal Ministro Cancellieri. In esso è prevista l’identificazione dei detenuti stranieri passibili di espulsione sin dal loro ingresso in carcere. In questo modo finirebbe l’inutile trasferimento dal carcere ai Cie di tantissimi stranieri che hanno appena finito di scontare la propria pena: se devono e possono essere espulsi ciò avverrebbe direttamente dal carcere; se vi sono ragioni per cui non debbano o non possano essere espulsi, tornerebbero legittimamente in libertà, avendo saldato i propri debiti con la giustizia italiana. Alcune stime valutano in un 30-40% gli ex detenuti trattenuti nei Cie. L’ultima indagine di Medici per i diritti umani (maggio 2013) ci dice, invece, che quasi il 57% dei 924 stranieri trattenuti nei Cie proveniva dalle carceri. Basterebbe una buona applicazione della recente norma del governo Letta per dimezzare lo scandalo che è sotto i nostri occhi. Resterebbe, certo, l’altra metà degli "ospiti" dei Cie da liberare, ma anche qui si può fare qualcosa, fin quasi allo svuotamento dei Centri. È un pregiudizio ingiustificato quello che raffigura qualsiasi irregolare come un fuggitivo di fronte alle autorità italiane. Un pregiudizio alimentato dal cattivo uso della lingua italiana, per cui ogni "irregolare" è "clandestino" (parola oscena e violenta che impazza a destra come a sinistra) e tale intende rimanere. Al contrario, come sappiamo, molti degli "ospiti" dei Cie hanno o hanno avuto relazioni significative con le loro comunità nazionali presenti nel nostro paese, con le realtà territoriali (fatte di italiani e stranieri) in cui hanno vissuto e lavorato, con le stesse istituzioni, quando vi hanno avuto a che fare (per un permesso di soggiorno scaduto, per i contributi versati, per le cure mediche ricevute). Non è un caso se solo il 40% scarso dei trattenuti nei Cie nel 2012 sono stati effettivamente rimpatriati, e probabilmente molti di questi provenivano dalla cella. Insomma, se ci si liberasse dal pregiudizio secondo cui ogni straniero irregolare è un clandestino in fuga e che minaccia la nostra incolumità, si potrebbero adottare altri mezzi per l’accertamento della loro permanenza in Italia e per la loro eventuale espulsione. Non c’è nulla da inventare: basterebbe un obbligo di firma o un obbligo di dimora, vincoli e limiti ai movimenti (peraltro si tratta di misure già previste ma applicate solo in casi eccezionali) per verificare che l’irregolare soggetto a identificazione, o che ha contestato un provvedimento di espulsione, sia reperibile dalle forze di polizia. E così i Cie sarebbero ridotti a pochi locali, necessari a ospitare per qualche notte chi sia in attesa del rimpatrio ormai esecutivo. È l’unico modo affinché quelle bocche cucite riprendano a nutrirsi e le nostre voci afone possano riacquistare un po’ di credibilità. Immigrazione: il Procuratore di Agrigento "ho indagato 16 mila migranti… ora basta!" di Laura Anello La Stampa, 24 dicembre 2013 I 16mila migranti arrivati sui barconi a Lampedusa in fuga da guerre e violenze, negli uffici della procura di Agrigento sono altrettanti fascicoli d’inchiesta, tutti aperti per il medesimo reato: immigrazione clandestina. Mentre il deputato del Pd Khalid Chaouki continua la sua protesta nel centro di accoglienza dell’isola per chiedere il trasferimento dei testimoni del naufragio del 3 ottobre, nella trincea della giustizia si fanno i conti con i numeri e con le contraddizioni della legge: "Checché ne dica il premier Enrico Letta - dice il procuratore Renato Di Natale, affiancato dall’aggiunto Ignazio Fonzo - noi siamo obbligati dalla legge a iscrivere sul registro degli indagati i migranti. E fino a quando la legge non verrà modificata non potremo fare altro, altrimenti sarebbe un’omissione". La stoccata si riferisce alla battuta del presidente del Consiglio all’indomani dell’iscrizione nel registro degli indagati dei naufraghi sopravvissuti alla più grande tragedia del Canale di Sicilia. "Ho provato vergogna di fronte a tanto zelo", disse Letta, mentre Di Natale gli ribatteva che "un componente dell’ esecutivo non può sindacare sull’azione di un ufficio giudiziario che si limita ad applicare una legge dello Stato". Adesso il procuratore rilancia: "La legge non l’abbiamo fatta noi che siamo costretti ad applicarla. Se dovessero abolirla ci farebbero un grande piacere perché iscrivere 16 mila fascicoli e procedere a 16 mila interrogatori a Lampedusa con l’assistenza di un legale non è cosa semplice. Tanto meno con le nostre carenze di organico: ci sono soltanto sette sostituti anziché tredici". In questa catasta di fascicoli, ci sono pure quelli a carico dei sette naufraghi del 3 ottobre che sono il primo obiettivo della protesta di Chaouki, al quale Di Natale riserva una battuta agrodolce: "Il fatto che stia protestando nel centro di accoglienza gli fa onore, certo è strano che non si sia accorto prima di questi problemi". I sopravvissuti sono ancora lì dentro, provati dallo choc, dall’isolamento, dal dolore, nell’indifferenza del mondo che si è commosso invece per i 366 morti. Sono coloro che hanno riconosciuto i presunti scafisti del barcone sventurato, ma non si capisce perché siano costretti a restare a Lampedusa, visto che la procura di Agrigento ha chiuso un mese fa l’incidente probatorio che li riguarda, raccogliendo le loro testimonianze. Se, trasferiti altrove, dovessero scappare, le loro parole sarebbero comunque utilizzabili nel processo. Ma per il deputato Pd che si è "autorecluso" nel centro, si tratta solo della richiesta minima. Perché ieri è tornato a chiedere la liberazione di tutti i migranti accampati nei padiglioni di contrada Imbriacola: sono 219, tra cui sei minorenni. "Resterò qui con loro - dice - fino a quando il governo non assumerà provvedimenti concreti". E se Matteo Renzi, che sabato è andato a visitare Lampedusa, si limita a dire che sta seguendo da vicino la protesta di Chaouki ("Siamo in contatto con lui"), un appello a Letta per il rapido superamento della legge Bossi-Fini arriva dal presidente dell’Assemblea del partito Gianni Cuperlo, il quale ha varcato i cancelli del Cie di Ponte Galeria a Roma, dove la situazione è rovente. La protesta choc di dieci immigrati che hanno deciso di cucirsi la bocca per protesta non ha fermato i rimpatri: ieri due di loro sono stati espulsi, mentre altri si sono aggiunti al fronte della rivolta silenziosa, bucandosi le labbra con ago e filo. Sarebbero adesso una quindicina. "Chiedo al ministro dell’Interno di compiere un atto di ragionevolezza istituzionale e saggezza politica, sospendendo immediatamente queste misure, che hanno il solo effetto di radicalizzare l’azione di protesta in corso", dice Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. E se non c’è pace per i vivi, un atto di pietà arriva per i morti: la fondazione Pier Carlo Messina ha donato 86 targhette per le tombe delle vittime del naufragio sepolte al cimitero di Agrigento. Riavranno almeno il loro nome. Immigrazione: OIM; identificare in carcere quelli detenuti, così da evitare loro il Cie Adnkronos, 24 dicembre 2013 Affrontare in maniera efficace la questione dei migranti che, dopo aver scontato una pena in carcere, vengono trasferiti nei Centri di identificazione ed espulsione al solo fine di procedere a un’identificazione mai eseguita in prigione, e risolvere una serie di criticità rilevate all’interno dei Centri. È un tema che l’Organizzazione italiana per le migrazioni aveva già sollevato oltre un anno fa con una lettera inviata agli allora ministri dell’Interno, degli Esteri e della Giustizia, nelle quale erano esposte le osservazioni scaturite dalle attività svolte all’interno dei Cie nell’ambito del progetto Praesidium, finanziato dallo stesso Ministero dell’Interno. Secondo quanto rilevato dall’Oim, ricorda una nota, "più della metà dei migranti trattenuti nei Cie provengono direttamente dalle carceri, dove però non vengono avviate le procedure di identificazione, delegate alle strutture dei Centri. Questa pratica impone un ulteriore lungo e inutile trattenimento a scopi puramente amministrativi, con un impatto gravemente negativo sul rispetto dei diritti umani dei migranti". Una direttiva del 2007 aveva già previsto l’identificazione in carcere ma, "non è mai stata efficacemente applicata". "Dalle visite effettuate dai funzionari dell’Organizzazione emerge come la permanenza dei migranti nei Cie risulti assai più problematica di quella in carcere". L’Oim auspica infine "che quanto già rilevato nel 2012 possa essere esaminato dalle autorità competenti". Immigrazione: nel Cie di Roma continua la protesta "qui siamo come e peggio che in carcere" www.romatoday.it, 24 dicembre 2013 Sabato nove detenuti del Cie di Ponte Galeria si sono cuciti la bocca. Gli altri immigrati continuano la protesta con lo sciopero della fame e il rifiuto delle terapie mediche. Bocche cucite con la molla di un accendino. E ora sciopero della fame per tutti. Continua la protesta nel Cie di Ponte Galeria. Dopo il gesto choc di nove "detenuti" che sabato si sono cuciti la bocca con un filo di ferro, gli altri vanno avanti con il rifiuto del cibo e delle terapie mediche. Secondo fonti di polizia, i nove sono quattro tunisini e 5 marocchini. I primi sono tutti e 4 ex detenuti e saranno rimpatriati al termine della protesta: 3 sono stati in carcere per spaccio mentre il quarto, l’imam, per rapina, lesioni e tentato furto. I cinque marocchini sono invece tutti clandestini. E proprio in attesa di essere rimpatriati, vengono chiamati "ospiti". Un termine che suona come una beffa, almeno a sentire le testimonianze di chi nel Centro ci vive ormai da molti mesi. Ieri a verificare le condizioni degli immigrati sono arrivati numerosi politici, tra cui il presidente del Pd, Gianni Cuperlo, che si è detto "sconcertato" ed "indignato". Così come il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, ed il presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi. "Qui è come stare in carcere", dice Mohamed, 44enne di origine marocchina. "Ci trattano come animali - continua, c’è chi è qui dentro senza aver commesso alcun reato. La struttura è danneggiata, mal funzionante, una situazione bruttissima". "Stare dietro queste sbarre è bruttissimo - sottolinea -. Gli operatori non c’entrano nulla, loro non fanno altro che eseguire degli ordini. La struttura è fatiscente, danneggiata, male organizzata. Per dormire ci danno delle lenzuola di carta, così come gli asciugamani che ci cambiano solo dopo tre giorni. Le docce sono vecchie e non funzionano. È inaccettabile, siamo esasperati. Tutto questo deve finire". Il dramma degli "ospiti" del Cie di Ponte Galeria lo si legge sui loro volti, sui volti di chi ha deciso di cucirsi le labbra per lanciare un disperato appello di aiuto. A parlare non sono le loro bocche, ma i loro occhi, colmi di lacrime e rassegnazione. "Si tratta di luoghi che semplicemente non dovrebbero esistere in un paese civile - afferma Cuperlo. I Cie sono strutturalmente inadeguati e lesivi della dignità di donne e uomini trattenuti in via amministrativa ma reclusi di fatto". "I fatti di Lampedusa e quanto sta accadendo qui a Roma hanno rilanciato il dibattito sulla necessità di superare i Cie così come sono - dice il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Ma per affrontare questa situazione di emergenza non occorrono provvedimenti straordinari, basta solo iniziare ad applicare norme e a portare a regime progetti che esistono già". Garante Lazio: governo approvi decreto su tempi Cie "Auspico a questo punto che il governo passi dalle parole ai fatti e approvi questo decreto che porta da 18 mesi a 30 giorni i tempi di permanenza nel Cie perché non solo consentirà di abbassare la tensione nei Cie di tutta Italia, ma tornerà a fare di questi centri non più luoghi di detenzione ma di accoglienza perché l’Italia è un paese accogliente". Lo ha affermato il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che oggi si è recato in visita nel Cie di Ponte Galeria dove prosegue la protesta choc degli immigrati. Marroni ha inoltre stigmatizzato il fatto che viene impedito ai mezzi di informazione l’accesso nel Cie: "Trovo incomprensibile la decisione di lasciare al di fuori del Cie i mezzi di informazione, in questo momento bisogna garantire un’informazione libera e trasparente". Immigrazione: seconda notte al Cpa di Lampedusa per il deputato Chaouki (Pd) Adnkronos, 24 dicembre 2013 "Sono contento perché oggi il centro d’accoglienza potrebbe svuotarsi e chiudere". Seconda notte al centro d’accoglienza di Lampedusa per il deputato Pd Khalid Chaouki, che ha deciso di barricarsi nella struttura di contrada Imbriacola "fino a quando non migliorerà la situazione". Il parlamentare è arrivato al Cpa di Lampedusa domenica mattina e non è più uscito per stare vicino agli oltre 200 migranti ospiti del centro. "Sono contento - dice Chaouki all’Adnkronos - perché sono iniziati poco fa i trasferimenti di un primo gruppo di immigrati. Questa mattina partirà un primo volo per Palermo e subito dopo un altro volo speciale raggiungerà prima Roma e poi Milano. Insomma, già entro questa sera potrebbe svuotarsi il centro d’accoglienza. Anzi, ne sono certo". Rimane solo lo ‘scoglio’ dei 17 testimoni, tra siriani ed eritrei, che dovranno restare a disposizione dell’autorità giudiziaria. "Ma so che il ministro della Giustizia Cancellieri sta cercando una soluzione anche per loro - spiega Chaouki - Dovrebbero avere della garanzie". Potrebbe così concludersi già questa sera la permanenza di Chaouki al Cpa di Lampedusa al centro di polemiche dopo il video andato in onda con i profughi nudi "disinfettati" contro la scabbia nel cortile. Egitto: 450 detenuti in sciopero della fame contro "trattamento disumano" cui sono sottoposti Ansa, 24 dicembre 2013 Più di 450 membri detenuti della Fratellanza musulmani d’Egitto, tra cui ci sono alcuni stretti collaboratori del presidente deposto, Morsi, hanno iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta contro la loro prigionia e contro il "trattamento disumano" a cui sono sottoposti. Secondo la fonte della notizia, non è permesso ricevere "visite familiari, assistenza legale, cure mediche e le celle sono sovraffollate". Russia: Pussy Riot libere. Nadia: lavorerò per detenuti, ma tutta la Russia è come una prigione Agi, 24 dicembre 2013 Anche la seconda Pussy Riot, scarcerata oggi grazia all’amnistia voluta dal Cremlino, ha promesso che si occuperà di diritti umani e della situazione nelle carceri in Russia. "Il confine tra libertà e non libertà è molto sottile in Russia, in un Paese autoritario", ha dichiarato ai giornalisti a Krasnojarsk, dove scontava la pena a due anni di detenzione. "La libertà è il peso della responsabilità che ho, nei confronti di coloro e che sono rimasti dentro, qui e in Mordovia", ha aggiunto riferendosi all’altro carcere dove era ha trascorso parte della sua detenzione. "Farò di tutto per aiutare i prigionieri - ha promesso - Ora ho un legame di sangue col sistema penitenziario e cercherò di fare in modo che diventi migliore". Non teme per la propria vita, la Pussy Riot Nadia Tolokonnikova uscita oggi dal carcere sotto amnistia dopo due anni di detenzione, ma intende lottare per migliorare la situazione nelle carceri russe, emblema della situazione nel paese. Lo ha dichiarato alla tv russa d’opposizione Dozhd a Krasnoiarsk. La Russia, ha detto Tolokonnikova, "è tutta costruita sul modello di una colonia penale, e bisogna cambiare questa struttura". Il confine tra libertà e non libertà in Russia, ha aggiunto, "è molto sottile". Nei prossimi giorni la ragazza vuole vedere innanzitutto sua figlia. Ma promette di combattere per ottenere le dimissioni del capo del sistema penitenziario della Mordovia, dove è stata detenuta prima del trasferimento in Siberia seguito alle sue denunce e a un lungo sciopero della fame contro le condizioni carcerarie in loco. "Questa non è una amnistia, questo è una burla e una mossa di pubbliche relazioni" del Cremlino. Così Maria Alekhina, componente delle Pussy Riot rilasciata questa mattina in Russia grazie all’amnistia firmata la scorsa settimana dal Parlamento di Mosca. È stata liberata dalla colonia penale di Nizhny Novgorod dove era detenuta per accuse di vandalismo, per aver cantato una "preghiera punk" contro il presidente Vladimir Putin nella cattedrale di Mosca. Ha anche detto che, se avesse potuto, sarebbe rimasta dietro le sbarre per finire di scontare la sua condanna, che si sarebbe conclusa alla fine di marzo. "Se avessi potuto rifiutare, l’avrei fatto, non c’è alcun dubbio", ha dichiarato. Alekhina ha dichiarato che l’amnistia riguarda meno del 10% della popolazione carceraria e solo una frazione delle donne con figli attualmente detenute. Le donne condannate per gravi reati, anche se sono madri, non rientrano nei criteri per aver diritto alla libertà. Ha anche raccontato che gli ufficiali del carcere non le hanno dato la possibilità di salutare le sue compagne di prigionia, ma l’hanno messa in un’auto e trasportata fino alla stazione ferroviaria nel centro di Nizhny Novgorod. Arrivati lì, Alekhina è andata direttamente a incontrare gli attivisti per i diritti umani, ha raccontato la sua legale, Irina Khrunova. Turchia: penalisti italiani inviano osservatore a processo contro 22 avvocati Adnkronos, 24 dicembre 2013 L’Unione Camere Penali ha deciso di inviare un componente della Giunta, l’avvocato Ezio Menzione, come osservatore internazionale alle prime tre udienze del processo che si apre domani nell’aula bunker di Sivrigli a Istanbul, contro 22 avvocati turchi, tutti appartenenti all’associazione Chd (Associazione di avvocati progressisti), di cui 9 detenuti dal gennaio scorso. Menzione, spiegano i penalisti in una nota, assieme ad altri osservatori internazionali, riporterà sull’andamento del processo e la fondatezza o la speciosità delle accuse. Accuse che ruotano intorno all’avere essi difeso gli appartenenti a un gruppo terroristico. Ma le prove che si adducono, a parte il fatto che in alcuni casi sono state estorte con tortura oppure discendono da cosiddette testimonianze segrete, sembrano essere tutte riconducibili al corretto esercizio dei diritti e dei doveri del difensore. Sia pure in una posizione di netta contrapposizione con l’assunto accusatorio. Un esempio per tutti: il fatto che gli assistiti di questi difensori si sono avvalsi della facoltà di non rispondere in sede di indagini. L’Associazione degli avvocati progressisti turchi, sottolinea ancora l’Ucpi, certamente si colloca, nel suo ambito specifico di competenza, dalla parte dell’opposizione all’attuale governo di Erdogan e dunque vi è il concreto sospetto che attraverso il processo (e la prolungata detenzione di alcuni accusati) si intenda mettere a tacere un gruppo attivo di oppositori, e nello stesso tempo disconoscere le più elementari garanzie difensive. Medio Oriente: Israele libera detenuto palestinese, per 8 mesi aveva attuato sciopero fame Nova, 24 dicembre 2013 È tornato oggi in libertà Samer Issawi il palestinese detenuto in un carcere israeliano che per otto mesi portò avanti lo sciopero della fame. Lo riferiscono fonti palestinesi, ricordando che lo sciopero si concluse con un accordo in base al quale lo stato israeliano aveva accettato di rilasciare l’uomo una volta trascorsi altri otto mesi. Issawi, 34 anni, si trova già con la sua famiglia a Gerusalemme Est. Issawi era stato condannato a 20 anni di carcere da un tribunale israeliano per aver aperto il fuoco contro un bus israeliano nel 2002 ed era stato poi rilasciato nel 2011 insieme ad altri mille detenuti palestinesi nell’ambito dell’accordo con Hamas per la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit. L’uomo era poi stato nuovamente arrestato con l’accusa di aver violato i termini dell’accordo recandosi a Gerusalemme Est. Ad aprile Issawi, le cui condizioni si erano aggravate, accetto l’offerta israeliana ed interruppe lo sciopero-