Giustizia: 25 dicembre, una marcia di speranza e di dialogo di Valter Vecellio Europa, 21 dicembre 2013 Da piazza San Pietro a palazzo Chigi, in tanti hanno accolto l’invito di Marco Pannella. La lista è sterminata: don Antonio Mazzi, fondatore delle comunità Exodus; don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele; don Ettore Cannavera, presidente dei cappellani penitenziari sardi; Eugenio Sarno, segretario della Uil penitenziaria; e ancora: Luigi Manconi, presidente della commissione diritti umani del senato; Sandro Gozi, presidente della delegazione italiana presso assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle camere penali; il direttore di Tempi Luigi Amicone, il provveditore regionale amministrazione penitenziaria Piemonte Enrico Sbriglia; il segretario del Sindacato direttori penitenziari Rosario Tortorella; Franco Marini; Mario Marazziti di Sant’Egidio; suor Fabiola Catalano, volontaria del Carcere Velletri; Felice Casson, vicepresidente della commissione giustizia del senato; Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale volontariato giustizia; il sindaco di Roma Ignazio Marino, Roberto Giachetti, vice-presidente camera dei deputati, Fabrizio Fratini, Cgil Funzione pubblica, Gian Mario Gillio, direttore di Confronti… Loro, e molti altri, hanno accolto l’invito del mai domo Marco Pannella (per cambiare: in sciopero della fame e della sete, per richiamare l’attenzione di noi tutti sull’iniziativa), e il 25 dicembre, festeggeranno il Natale marciando da piazza San Pietro a palazzo Chigi. Perché questa iniziativa? Tutti noi ricordiamo l’accorato e pressante messaggio alle camere del presidente della repubblica Giorgio Napolitano (il primo e unico dei suoi due mandati): “Non ci sono più alibi per fare ciò che è obbligo fare, se vogliamo che il nostro paese interrompa la flagranza criminale in cui si trova da troppo tempo per le condizioni inumane e degradanti nelle nostre carceri e per le condizioni della nostra giustizia, massacrata dall’insopportabile zavorra della sua decennale “irragionevole durata dei processi”“. Era l’8 ottobre scorso. Il presidente, dopo aver ricordato tutta una serie di misure legislative e amministrative da perseguire congiuntamente, scriveva: “Tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a “rimedi straordinari”…”. Perché da San Pietro, dalla sponda destra del Tevere? “Anche Dio è un carcerato, non rimane fuori dalla cella… è dentro con loro, anche lui è un carcerato”, non si stanca di dire papa Francesco nei suoi incontri; ma soprattutto perché proprio all’inizio del suo mandato ha fatto due gesti concreti: ha abolito l’ergastolo all’interno dello Stato Vaticano, e introdotto nell’ordinamento il reato di tortura, cosa che in Italia ancora non si è fatta a distanza di venti anni dalla firma della Convenzione Onu. Perché la marcia si conclude davanti a Palazzo Chigi? Perché il governo è l’interlocutore principale dell’iniziativa. È per aiutarlo a svolgere un ruolo di impulso, attivo, nei confronti di un parlamento, che sembra aver lasciato cadere nel vuoto il messaggio di Napolitano. D’altra parte, a giugno, era stata proprio la guardasigilli Cancellieri a dire: “L’amnistia è imperativo categorico morale. Dobbiamo rispettare la Costituzione”. A chi dice che la questione è poco popolare, rispondo che si tratta di informare, chiarirci, essere messi nella condizione di sapere. Giorni fa a Verona in occasione del 45esimo anniversario della fondazione dell’associazione di volontari “La Fraternità”, ha avuto luogo una settimana di iniziative che meritano di essere segnalate. È stata per esempio ricostruita una cella-tipo di un carcere “normale”, e in quello spazio ristretto sono stati portati gli studenti di numerose scuole. Giornate dedicate a progetti che intendono far “incontrare” il carcere e la scuola: due mondi, dicono i volontari della “Fraternità”, che devono imparare a conoscersi e confrontarsi: “Per riflettere insieme sul sottile confine tra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ognuno di noi”. Sono interessanti le reazioni e i giudizi di alcuni di questi ragazzi, dopo gli incontri e il confronto con i detenuti, e l’intera comunità penitenziaria. Carolina: “Dalle testimonianze dei detenuti si percepisce l’importanza di un programma che permetta loro di reinventarsi all’interno della società. Attraverso le loro parole appare evidente che spesso i detenuti sono abbandonati a loro stessi”. Giovanni: “Prima dell’incontro credevo che fosse giusto che chi aveva commesso un reato stesse in carcere il più a lungo possibile. Mi sbagliavo, perché la maggior parte dei detenuti in questo modo non riesce a riconoscere il suo errore; avrebbero bisogno di una vera e propria riabilitazione, anche se non è possibile a causa del sovraffollamento”. Giulia: “Mi è piaciuto, i detenuti hanno raccontato la loro storia: sinceramente, senza giustificazioni, per farci capire chi sono i detenuti, che non sono persone diverse, cattive o psicopatiche, ma uomini e donne come tanti; e non dobbiamo giudicarli ma aiutarli nel loro percorso di crescita e reinserimento nella società”. Andrea: “Prima ritenevo che tutti i detenuti autori di reati gravi dovessero essere “messi al muro”: uso questa espressione non molto bella, per dare l’idea di ciò che provavo. Ora ho cambiato opinione, effettuando una vera e propria terapia di cura dei miei pregiudizi”. Elisa: “Da questa “alleanza” tra scuola e carcere noi studenti abbiamo avuto la possibilità di renderci veramente conto di questa realtà che ci sembra così lontana dalla nostra quotidianità, ma che si è rivelata utile e costruttiva per la nostra formazione”. Alessandra: “Ammiro tutti quei detenuti ed ex detenuti che hanno avuto il coraggio di raccontare la loro storia senza giustificazioni, consapevoli che avevano sbagliato e che l’unica cosa davvero utile ora è informare di cosa vuol dire non pensare alle conseguenze dei propri gesti. Prima di giudicare dobbiamo imparare ad ascoltare e a pensare che tutti possono commettere errori e che la differenza sta nel voler ricominciare”. Fermiamoci qui, ma il vostro cronista, di opinioni e “pensieri” come questi ne ha raccolti tanti da poterci fare un libro. Maurizio, è l’animatore di questo gruppo di volontari che ha organizzato questi incontri. Perché lo fa, perché sottrae tempo e denaro alla moglie, ai figli, ai genitori, ai suoi hobby? “Il carcere”, risponde, “è meno lontano dalle nostre vite di quello che immaginiamo, perché il reato non è sempre frutto di una scelta e noi esseri umani, tutti, possiamo scivolare in comportamenti aggressivi e finire per “passare dall’altra parte”. Le pene non devono essere necessariamente carcere, perché la certezza della pena significa scontare una pena che può anche essere fatta non di “galera”, ma che come dice la nostra Costituzione, deve “tendere alla rieducazione”. Parlare di pene umane, che abbiano un senso e che non abbiano come scopo di “rispondere al male con altrettanto male”, significa rispettare di più anche le vittime. Perché per chi subisce un reato e per la società è più importante che l’autore di quel reato sia consapevole del male che ha fatto e cerchi di riparare il danno creato, piuttosto che “marcisca in galera”, senza neppure rendersi conto delle sofferenze provocate”. Al termine dell’incontro, Alessandra, un po’ timidamente, mi chiede: “Perché televisioni e giornali si occupano di tante sciocchezze, ma per questi problemi e queste questioni non c’è quasi mai spazio? Perché voi giornalisti queste cose non le raccontate?”. A quel “perché” non ho saputo dare una risposta; solo dirle che lei e i suoi compagni non devono stancarsi di chiedere ogni volta “Perché?”. Giustizia: Napolitano a Bernardini, apprezzamento per Marcia amnistia Asca, 21 dicembre 2013 “In occasione dello svolgimento della III Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà, organizzata per il giorno di Natale dai Radicali italiani, desidero esprimere il mio apprezzamento per l’iniziativa che intende riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica, con una larga partecipazione del mondo cattolico e del volontariato, temi tradizionali delle vostre battaglie, dei quali ho più volte sottolineato l’importanza e l’urgenza”. Lo scrive il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una lettera inviata alla segretaria dei Radicali, Rita Bernardini. “Di recente, il 7 ottobre scorso, ho inviato un messaggio alle Camere e vi ringrazio di averlo posto al centro della manifestazione. In quel testo, come è noto, ho affrontato la drammatica questione carceraria partendo dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal severo pronunciamento con il quale nel gennaio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo in mora il nostro paese, dopo aver giudicato già quattro anni fa la situazione delle nostre carceri incompatibile con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In quella sede - ha ricordato Napolitano - ho sottolineato come la necessità di cambiare profondamente le condizioni delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, imposto sia dalla Convenzione Europea sia dalla nostra Carta Costituzionale, ma anche e soprattutto un dovere morale. Se infatti lo Stato deve farsi carico della sicurezza dei cittadini e delle sacrosante aspettative di giustizia delle vittime dei reati, ciò non deve esimere dal dovere di far sì che i luoghi di detenzione non umilino la dignità delle persone e corrispondano alla funzione rieducativa della pena”. Il Capo dello Stato ha ricordato di aver “indicato una molteplicità di possibili interventi legislativi e amministrativi nonché, data l’urgenza di ottenere in tempi brevi, entro il prossimo 8 maggio come richiesto dalla Corte, sostanziali riduzioni del sovraffollamento delle carceri, la possibilità di accompagnare tali interventi con provvedimenti di clemenza generale, che avrebbero altresì l’effetto di accelerare i tempi di amministrazione della giustizia, anch’essi attualmente incompatibili con i principi della richiamata Convenzione europea e con l’articolo 111 della nostra Costituzione”. Boldrini: detenzione non sia abbrutimento ma rieducazione “La detenzione non può essere tempo morto o abbrutimento ma occasione di rieducazione”. Lo ha detto la Presidente della Camera, Laura Boldrini, nel video settimanale sui lavori di Montecitorio. “Il carcere non può essere un luogo sovraffollato dove manca il minimo spazio fisico. Non può riservare un trattamento disumano e degradante come lo ha definito la Corte Ue per i diritti dell’uomo”, ha sottolineato Boldrini. “I diritti dei detenuti - ha aggiunto Boldrini - vanno rispettati ma anche perché e la società ha interesse anche per la propria sicurezza a recuperare le persone che hanno sbagliato. Insomma, dalle celle devono potere uscire a fine pena uomini e donne migliori di quelli che vi sono entrati e ciò accade solo se la detenzione non è un tempo morto o peggio un abbrutimento, ma è tempo, come dice la Costituzione, dedicato alla rieducazione”, ha concluso. Giustizia: Natale con Marco Pannella, per aiutare il governo “a fare quello che non può” di Cristina Giudici Il Foglio, 21 dicembre 2013 L’antico combattente ha imbracciato come un’ascia l’ennesimo Satyagraha. E nel giorno della nascita di Gesù farà due atti di profonda riverenza, e insieme di sfida. Uno di natura spirituale e l’altro di carattere istituzionale. Marco Pannella sarà la guida morale della terza Marcia di Natale per ottenere l’amnistia e riaprire il dibattito sulla riforma della giustizia (dopo il naufragio dei referendum) a cui parteciperanno politici, avvocati, preti, direttori penitenziari. Partendo da San Pietro, in omaggio a Papa Francesco che ha abolito l’ergastolo e introdotto il reato di tortura nell’ordinamento penale vaticano ben prima dell’Italia. E, ricorda Pannella, “si è battuto anche per l’amnistia in Argentina”. La marcia si concluderà a Palazzo Chigi, per sostenere simbolicamente il capo dello stato, Giorgio Napolitano, poiché si continua a disattendere la sua richiesta di riformare la giustizia e il sistema penitenziario e “per aiutare il governo a fare ciò che non può più fare: prendere un provvedimento per l’amnistia, l’unico strumento per intervenire in modo strutturale”. Cosa si deve fare questa volta per farle interrompere lo sciopero della fame e della sete? “Adottare un provvedimento di amnistia per costringere lo stato italiano a interrompere la flagranza criminale. Ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede in modo imperativo il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, e ce lo chiede soprattutto Napolitano, che recentemente ha ribadito la sua volontà, ricorrendo a termini drammatici: ‘Non si può più perdere un solo giornò”. Nel frattempo, in Parlamento non si è mossa foglia: “Il presidente della Repubblica ha fatto ricorso a uno strumento eccezionale, consentito dalla Costituzione, per inviare un messaggio alle Camere sulle carceri e sulla giustizia. E i presidenti delle Camere non hanno nemmeno riunito la conferenza dei Capigruppo per calendarizzare il dibattito in Aula sul suo messaggio. Il tema non è solo l’emergenza carceraria, bensì la riforma di tutta la giustizia: alla base delle condanne della Cedu e del Consiglio d’Europa c’è l’irragionevole durata dei processi. Il nostro obiettivo è quello di ricorrere a un atto di non violenza per trasmettere energia al governo e andare incontro alle richieste del presidente della Repubblica, che in due passaggi del suo messaggio alle Camere ha usato il termine ‘obbligò, per sottolineare l’urgenza della riforma. Hic et nunc”. Intanto ora è arrivato Matteo Renzi. Sarà d’aiuto in questo? “Renzi ha espresso sin da subito una posizione contraria a quella del capo dello stato. E ora, nella sua segreteria, ha affidato l’incarico sulla Giustizia ad Alessia Morani, che ha sempre avuto posizioni reazionarie in materia. E infatti appena è stata nominata ha affermato che amnistia e indulto non risolvono il problema delle carceri. Eppure rispetto a questo tema, ci sono posizioni molto diverse all’interno del Pd. E Renzi ha già dimostrato di essere molto veloce nel saper cambiare la sue ‘posizioncellè”. La marcia di Natale è anche un tentativo di difesa dell’umanità dolente, ma non è la prima marcia di Natale per chiedere l’amnistia. Ce ne fu una precedente, cui partecipo’ anche un senatore che si chiamava Giorgio Napolitano… “Certo! C’era lui, e c’erano diversi ex presidenti della Repubblica, come ad esempio Francesco Cossiga. Purtroppo i problemi erano gli stessi di oggi. Ecco perché credo che dopo decenni di illegalità, se il Parlamento e il governo non troveranno una soluzione, oltre a rischiare di fallire verranno definitivamente sputtanati e delegittimati. Ribadisco: si deve aiutare il governo a fare quello che non può non fare”. Giustizia: emergenza carceri, la sfida della marcia di Natale di Walter Verini (Deputato Pd) L’Unità, 21 dicembre 2013 Ho deciso di aderire, a titolo personale, alla marcia di Natale promossa da un Comitato di personalità di grande spessore, condividendone valori e ispirazione di fondo. Penso anch’io, infatti, che l’emergenza che le carceri italiane stanno vivendo rappresenti una vergogna. E che anche il funzionamento della giustizia costituisca un peso non degno di un Paese moderno. La pena per chi ha sbagliato deve essere certa e giusta, ma non può essere una vendetta. In Italia, purtroppo, non è così. Le persone che si trovano detenute devono poter scontare la condanna in condizioni umane e non bestiali. Nel nostro Paese non è così. E la vicenda delle gravissime evasioni di Genova e Pescara, per fortuna risolta, oltre a imporre accertamenti delle responsabilità soggettive e delle questioni strutturali del sistema, non può mettere in discussione questi principi La detenzione, come dice la Costituzione, deve essere momento e periodo di rieducazione e reinserimento nella società. Garantire questo non vuol dire solo investire in civiltà e umanità. Non vuol dire solo evitare le sanzioni europee, che pure vanno evitate, per motivi di credibilità e immagine internazionali e per motivi finanziari. Significa anche investire in sicurezza, perché - ce lo dicono i dati - una detenzione umana e un fine rieducativo contribuiscono sostanzialmente ad evitare recidive e nuovi comportamenti illegali fuori dal carcere. Alla Camera, in Commissione Giustizia e in aula, in questi mesi abbiamo lavorato e stiamo lavorando intensamente, per rendere legge applicabile provvedimenti strutturali che eliminino in radice il drammatico sovraffollamento (che crea problemi insopportabili, come vediamo ogni giorno, anche al sempre più esiguo personale di custodia). Il filo conduttore è stato quello di prevedere forme alternative alla detenzione in carcere (naturalmente entro certi limiti di tipologie di reati). E quello di prevedere sempre di più la possibilità di formazione, lavoro, socialità. Il gruppo Pd in Commissione (che ho l’onore di coordinare) e la presidente Ferranti hanno svolto un ruolo davvero importante e di traino. Se incrociamo il lavoro della Camera (e quello che avrà fatto e dovrà fare il Senato) con i provvedimenti del governo assunti proprio in questi giorni, in un tempo rapido potremo vedere approvate norme che renderebbero meno pesante il sovraffollamento carcerario ma anche più rapidi i procedimenti giudiziari, che aiuterebbero anche a sgravare il carico di una giustizia lenta, farraginosa, elefantiaca e spesso barocca. Una giustizia che la troppo lunga stagione di berlusconismo di questi anni ha impedito di riformare nell’interesse dei cittadini, perché - senza dimenticare ritardi e anche pigrizie nel nostro campo - in questo lungo tempo il centrosinistra è stato costretto a giocare in difesa, contro le leggi ad personam, contro la voglia di colpire l’autonomia della magistratura. Per difendere - e dovevamo farlo -ma non per cambiare e innovare, come necessario. Non c’è tempo da perdere, come ci ricorda il presidente della Repubblica, anche nel suo messaggio alle Camere. Messaggio che ha costretto la politica a guardarsi allo specchio. E un po’ a vergognarsi per troppe insensibilità sull’emergenza carceraria. Credo sia giusto ringraziare Giorgio Napolitano anche per questa sensibilità, oltre che, più in generale, per il modo in cui ha svolto e svolge il suo mandato di Capo dello Stato. Non condivido - mi è capitato, mi capita - alcune modalità e alcune proposte con cui i radicali vogliono raggiungere questi obiettivi di civiltà. Ma la Marcia di Natale è un appuntamento che serve a smuovere coscienze, a sensibilizzare, a scuotere e a rimuovere pigrizie, paure, demagogie e populismi. E personalmente penso che si possa e si debba fare questo anche attraverso mirate misure di clemenza, inquadrate nell’ambito di provvedimenti strutturali ed escludendo reati di particolare gravità e di allarme sociale. Con serietà. Con responsabilità. Con coraggio. Giustizia: evasi riacciuffati, la Guardasigilli tira un sospiro di sollievo “ora amnistia” di Eleonora Martini Il Manifesto, 21 dicembre 2013 Al senato la ministra Cancellieri: “Atti di clemenza, un buon viatico per la riforma”. La notizia arriva a metà giornata giusto in tempo per non dichiarare fallita la mission impossible della Guardasigilli Annamaria Cancellieri intenta a spiegare ai parlamentari che “non è da un singolo episodio che si possono trarre conclusioni affrettate ed emotive su istituti irrinunciabili per l’attuazione del principio costituzionale della rieducazione della pena”. Ma quando con un “evviva” saluta la notizia dell’arresto dei due detenuti evasi durante un permesso premio dai carceri di Genova e Pescara - il pluriomicida con gravi disturbi psichici Bartolomeo Gagliano catturato a Mentone dalla polizia francese, e l’ex pentito di camorra Pietro Esposito rintracciato a casa di sua sorella, a Forlì - la ministra di Giustizia può finalmente difendere a cuor leggero il suo decreto legge sulle carceri varato martedì dal governo e già mezzo bruciato, ed esplicitare senza più remore le proprie convinzioni garantiste. “Amnistia e indulto non sarebbero un fuoco di paglia ma un buon viatico per la riforma del sistema penale e penitenziario cui legislativo ed esecutivo stanno concordemente concorrendo”, dice Cancellieri rassicurando il Parlamento a cui “resta la responsabilità di scegliere se ricorrere a quegli strumenti straordinari evocati dal presidente della Repubblica, e che certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa”. Con i titoli ansiogeni dei giornali sulla pericolosità dei due “killer” ancora a piede libero, la Guardasigilli ieri mattina aveva provato ad argomentare che “su 21.923 permessi premio concessi a detenuti nel 2011 solo 48 sono stati i mancati rientri e nel 2012 solo 52 su 25.275: una percentuale di violazione molto inferiore all’1%, senza contare che nella maggior parte dei casi gli evasi vengono riarrestati”. E perfino da Kabul, il presidente del Senato, Pietro Grasso, aveva lanciato un appello ai due evasi di “costituirsi” perché così “non aiutano il processo di alleggerimento del sovraffollamento delle carceri”. In generale, certo un errore di valutazione da parte dei magistrati di sorveglianza è sempre possibile, ma nel caso specifico di Gagliano ci sarebbe stata la sottovalutazione della pericolosità sociale del detenuto da parte del direttore del carcere, il Marassi di Genova, che non avrebbe trasmesso le informazioni adeguate al magistrato. La ministra Cancellieri ha disposto un’indagine conoscitiva sulla vicenda e intanto ha optato per il trasferimento del direttore, Salvatore Mazzeo, non avendo gradito le “dichiarazioni temerarie” rilasciate ieri ad alcuni quotidiani nelle quali il dirigente penitenziario spiegava che il detenuto stava scontando una pena solo per rapina, essendo stato riconosciuto incapace di intendere e volere durante i precedenti crimini. Gagliano comunque sarebbe stato liberato nell’aprile 2015, mentre Esposito nel giugno 2014. Ma per la Guardasigilli, Mazzeo va allontanato “visto che il carcere era in possesso di tutti i documenti della storia del detenuto: c’è stata leggerezza da parte sua, ha gettato allarme sulla popolazione e discredito sulle istituzioni”. Al capo della polizia Alessandro Pansa invece sono andate le congratulazioni della ministra, con “soddisfazione e personale gratitudine per il successo delle due operazioni odierne”. Grazie al lavoro degli inquirenti e alla collaborazione delle forze dell’ordine francesi, infatti, la ministra ha potuto difendere più facilmente le norme contenute nel suo decreto legge con le quali “possiamo arrivare a prevedere entro la fine del 2014 una significativa riduzione del gap tra ricettività e presenze in carcere almeno nell’ordine del 50%”. Una mano le è arrivata anche dai sindacalisti della Fp-Cgil, convinti che la strada intrapresa dalla Guardasigilli vada “nella giusta direzione”, anche se auspicano di vedere presto altri provvedimenti “capaci di risolvere definitivamente l’emergenza e realizzare quella riforma del sistema necessaria per attuale i principi sanciti dall’articolo 27 della Costituzione”. Esattamente a questo potrebbero essere utili amnistia e indulto. “Un provvedimento di indulto nella misura di tre anni, come l’ultimo approvato in parlamento nel 2006, consentirebbe una riduzione di presenze in carcere di circa 20 mila unità e in questo modo il sistema tornerebbe in equilibrio con la capienza regolamentare ed effettivamente disponibile “. E con “un’amnistia per tutti i reati punibili con pena edittale massima fino a tre anni - ha aggiunto Cancellieri - si determinerebbe un abbattimento dei processi penali pendenti nell’ordine del 25-30%”. Tra le 266.720 e le 308.966 pendenze in meno su un totale di 993.942. Un modo per riattivare la funzionalità del sistema penale, quella che i Radicali chiamano la “Giustizia giusta”. Giustizia: le alternative al carcere sono giuste, non per buonismo ma per i risultati di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 21 dicembre 2013 Nel 1999 a Milano ci furono 9 omicidi nei primi 9 giorni di gennaio: ma gli incendiari aedi del presunto Far West sotto il Duomo dovettero andare a nascondersi a fine dicembre quando l’annata statistica mostrò una diminuzione del numero di delitti. Ora siccome in due giorni si sono concentrate due evasioni da permessi premio, ecco i lucratori di disgrazie speculare di nuovo sull’amnesia della realtà. La quale da un lato vede la sicurezza dei cittadini incontestabilmente incrementata dal fatto che la recidiva di chi è progressivamente ammesso a misure alternative al carcere sia tre volte più bassa di chi torna in libertà dopo aver scontato l’intera pena in carcere; e dall’altro ricorda anche ai finti sordi che negli ultimi 3 anni le evasioni da permessi premio sono state 133 su 66.859. Una percentuale da prefisso telefonico. Di questo “zero virgola” mantengono il diritto di dolersi le vittime dei reati vecchi o nuovi, non certo gli avvoltoi politici che oggi irridono gli esiti delle valutazioni psicologiche e comportamentali dei detenuti evasi dal permesso, ma che mai risultano aver presentato in Parlamento un qualche emendamento volto a destinare maggiore spesa pubblica (bestemmia!) ad esempio agli organici spaventosamente vuoti di psicologi, educatori, assistenti sociali e agenti penitenziari. Vale però anche per l’ultimo decreto legge del governo. Alzare a 75 giorni la liberazione anticipata per ogni 6 mesi di pena ha ad esempio senso solo se il beneficio è dato a chi in cella davvero partecipa a un percorso di rieducazione, ma per capirlo occorre appunto una adeguata (per numeri e per qualità) struttura di valutazione nel carcere. Se invece la liberazione anticipata continuerà a essere concessa come oggi in maniera sostanzialmente automatica per il solo fatto che un detenuto non abbia creato problemi, al punto che le informative ai magistrati si limitano ad attestare l’assenza di contestazioni disciplinari al detenuto, allora lo sconto di 75 giorni ogni semestre produrrà solo l’assurda trasformazione di 1 anno teorico di pena in 7 mesi reali. E anche le norme sul maggiore accesso per i tossicodipendenti piccoli spacciatori alle comunità di recupero, quale pena alternativa, restano carta straccia se, come accade oggi in molte sedi, il budget disponibile per le comunità terapeutiche accreditate lascia scoperti fino al 60% dei posti letto. Giustizia: Dap; in un anno detenuti sono diminuiti di 2.500 unità, ora sotto 64mila Ansa, 21 dicembre 2013 Il grafico della popolazione carceraria degli ultimi 12 mesi indica un calo di 2.482 detenuti, che salgono a 2.901 se si paragonano i dati di novembre 2012 con quelli del 18 dicembre scorso. Nel novembre 2012, infatti, i detenuti erano 66.529, contro i 64.047 di un anno dopo. E due giorni fa si è scesi sotto quota 64 mila, con 63.628 persone. È quanto emerge dai dati del Dap, i cui dirigenti avrebbero dovuto tenere ieri una conferenza stampa, che è stata annullata. L’esame dei dati indica un primo calo significativo tra novembre e dicembre dello scorso anno, quando i detenuti scendono a 65.701, con una diminuzione di oltre 800 detenuti. Le cifre si mantengono pressoché stabili, con piccole oscillazioni fino a giugno, che ha registrato un lieve aumento (da 65.886 a 66.028). Poi è iniziata con una curva discendente più accentuata, con un salto a luglio di circa 1.200 detenuti in meno. Poi è seguito un calo progressivo fino ai dati attuali. Dai dati del Dap, aggiornati in questo caso al giugno 2013, emerge inoltre che il personale di polizia penitenziaria conta 45.047 unità: 37.967 uomini e 7.080 donne. Sul totale del corpo, 6.513 unità sono distaccate presso ministeri. Le norme introdotte nel 2010 che consentono di scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di pena hanno consentito l’uscita dal carcere di 12.741 detenuti: di questi 818 sono donne e 3.679 stranieri. È quanto emerge dai dati del Dap. Le norme, contenute nella legge 199/2010 e nelle successive modifiche, sarebbero andate a scadenza a fine dicembre, ma sono state rese permanenti dal decreto carceri varato pochi giorni fa. Sono 10.992 i condannati in affidamento in prova ai servizi sociali. È quanto emerge dai dati del Dap aggiornati al 30 novembre scorso. I condannati in semilibertà sono invece 838 e 10.189 quelli ai domiciliari. La statistica riferita al 31 dicembre 2012 sui soggetti fruitori di benefici indica che il 44% del totale ha avuto i domiciliari, il 33% l’affidamento in prova ai servizi sociali, il 15% l’affido a scopo terapeutico, il 4% il lavoro esterno e un altro 4% la semilibertà. I detenuti lavoranti sono 13.727, di cui 12.968 uomini e 759 donne; la quota maggiore, 11.579, lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Nel biennio 2011-2012 sono 1.816 i detenuti per cui è stata disposta l’espulsione come misura alternativa agli ultimi due anni di detenzione: 896 il primo anno e 920 il secondo. È quanto emerge dai dai resi noti dal Dap. Dei 920 espulsi nel 2012 il 28,5% proveniva dall’Albania, il 21,3% dal Marocco, 11,6% dalla Tunisia, il 4,3% dalla Nigeria e il 34,2% dal altri Paesi. La norma sull’espulsione è stata rafforzata dall’ultimo decreto carceri varato il 17 dicembre. Giustizia, Anm; con decreto-carceri misure concrete, ma servono interventi strutturali Il Velino, 21 dicembre 2013 L’Associazione nazionale magistrati, in merito alle riforme proposte dal Consiglio dei ministri in tema di esecuzione penale e di processo civile, “apprezza lo sforzo di intervenire con misure concrete su alcuni degli aspetti di maggiore criticità”. “In attesa di poter esprimere un parere compiuto nel momento in cui saranno resi pubblici i testi ufficiali - spiega l’Anm in una nota, formula, sulla base delle notizie finora diffuse, alcune prime osservazioni. Quanto alle misure incidenti sulla fase dell’esecuzione penale, considerata la situazione di emergenza in cui versano le carceri, le proposte vanno incontro alle indicazioni che provengono dall’Europa e, almeno in parte, ai suggerimenti dell’Anm: così, ad esempio, l’ampliamento dei casi di espulsione dei detenuti non appartenenti alla Ue e la trasformazione delle ipotesi di spaccio lieve in fattispecie autonoma di reato. Parere positivo va espresso anche sulla trasformazione in misura permanente della detenzione domiciliare negli ultimi 18 mesi di espiazione, previsione già introdotta in via transitoria dalla legge 199/2010, e sull’ampliamento dei poteri del magistrato di sorveglianza (rafforzamento del reclamo in materia disciplinare, attribuzione allo stesso magistrato di sorveglianza del giudizio di ottemperanza, potere del magistrato di applicare in via provvisoria l’affidamento in prova, di cui si prevede, fra l’altro, l’estensione a quattro anni). Peraltro, a fronte delle accresciute competenze della magistratura di sorveglianza, dovrà porsi il problema dell’incremento delle relative risorse”. “Corretto è, inoltre - continua l’Anm, l’intervento diretto da un lato a semplificare la procedura dinanzi al magistrato di sorveglianza (procedimenti in camera di consiglio in materia, ad esempio, di remissione del debito, rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie), dall’altro ad ampliare, viceversa, i suoi poteri di intervento in materia di tutela dei diritti delle persone detenute. Apprezzabile anche l’istituzione del Garante dei detenuti. Quanto alla liberazione anticipata speciale, che, con effetto retroattivo al gennaio 2010, aumenta a 75 giorni la misura della riduzione di pena per ogni semestre di espiazione, previa valutazione di meritevolezza da parte del magistrato di sorveglianza, si tratta di intervento che può trovare giustificazione solo in via transitoria - così come previsto - alla luce della straordinaria gravità della situazione carceraria. Le misure proposte offrono, però, solo parziale risposta all’attuale critica condizione delle carceri, sicché resta ferma la necessità degli ulteriori interventi strutturali già indicati dall’Anm, che dovrebbero toccare anche la quantità delle strutture detentive e la qualità del trattamento”. Giustizia: Marco Pannella confermato presidente dell’Associazione “Nessuno tocchi Caino” Tm News, 21 dicembre 2013 Il Quinto Congresso di Nessuno tocchi Caino, tenuto nella Casa di Reclusione di Padova nel ventennale dalla sua fondazione avvenuta nel dicembre del 1993, in collaborazione con “Ristretti Orizzonti”, si è concluso ieri con la elezione degli organi dirigenti e l`approvazione della mozione generale. Marco Pannella, Sergio D`Elia ed Elisabetta Zamparutti sono stati confermati, rispettivamente, Presidente, Segretario e Tesoriera dell`Associazione. L`oncologo Umberto Veronesi ha accettato la presidenza onoraria di Nessuno tocchi Caino. Il Congresso, che aveva per tema il “No alla pena di morte e alla morte per pena”, ha approvato una mozione generale che individua gli obiettivi di lotta per il biennio 2014-2015. Sul piano internazionale della lotta alla pena di morte, la mozione congressuale impegna gli organi dirigenti a intensificare l`azione di lobbying volta a ottenere altri sostegni alla nuova Risoluzione pro-moratoria in discussione all`Assemblea generale Onu nel 2014. Nessuno tocchi Caino chiede che il nuovo testo sia rafforzato con la richiesta di istituire un Inviato Speciale Onu che abbia il compito di far superare i “segreti di Stato” sulla pena di morte ancora vigenti in molti Paesi, che sono causa di un maggior numero di esecuzioni. Il Congresso ha deciso inoltre di rafforzare il fronte di iniziative di non collaborazione internazionale nella pratica della pena di morte, attraverso una nuova campagna volta a fermare il contributo finanziario all’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine elargito dai Governi per i programmi di lotta al narcotraffico in Paesi come l`Iran, il Pakistan e il Vietnam dove centinaia di persone sono state giustiziate o condannate a morte negli ultimi anni per reati non violenti legati alla droga. Sul fronte più strettamente italiano, Nessuno tocchi Caino ha rilanciato gli obiettivi della “Marcia di Natale per l`Amnistia”, promossa dai Radicali per il 25 dicembre prossimo a Roma e volta a ottenere un provvedimento ampio di amnistia e indulto quali riforme prioritarie e di per sé strutturali per interrompere le violazioni al diritto europeo e al diritto interno italiano, quali sono la irragionevole durata dei processi e i trattamenti disumani e degradanti nelle carceri. A tal fine, il Congresso di Nessuno tocchi Caino ha rilanciato l`Atto di Diffida, firmato da Marco Pannella e dall`Avvocato Giuseppe Rossodivita e inviato a tutti i soggetti responsabili dell`Amministrazione della Giustizia e del Carcere italiani, in cui si chiede una sorta di Moratoria delle esecuzioni di pene e detenzioni illegali in Italia. Nessuno tocchi Caino ha deciso, infine, di prendere iniziative, anche in sede giurisdizionale italiana ed europea, volte a cancellare il marchio di infamia del “fine pena mai” dei condannati all`ergastolo, a partire dall`ergastolo “ostativo” che esclude per legge ogni possibilità di misura alternativa e liberazione condizionale anche di coloro che hanno scontato 26 anni di carcere e a superare il regime del 41 bis, il cosiddetto “carcere duro” dal quale si può uscire solo tramite il “pentimento”, una collaborazione con la giustizia considerata autentica solo se a rischio della vita propria e dei propri familiari. Impossibilitata a partecipare perché impegnata in Parlamento a rispondere sulla vicenda del detenuto evaso da un permesso premio, il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha inviato un messaggio al congresso in cui ha ribadito il suo piano di interventi volti a umanizzare le condizioni delle carceri nel nostro paese. Giustizia: reclamo giurisdizionale a garanzia dei detenuti, nuovi margini per la difesa di Roberto Bruni Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2013 Un passo avanti nella giusta direzione: questa la valutazione, a caldo, di un avvocato difensore a fronte del contenuto del decreto legge sul carcere approvato dal Governo lo scorso 17 dicembre. Un primo aspetto positivo, spesso ignorato nei commenti giornalistici, è rappresentato dalla risposta data all’esigenza della tutela dei diritti dei detenuti non solo a seguito della introduzione, del tutto apprezzabile, della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, ma anche e soprattutto con la previsione di un reclamo giurisdizionale che può essere proposto avanti al magistrato di sorveglianza avverso sia i provvedimenti disciplinari, sindacabili anche nel merito nei casi più gravi, sia l’inosservanza da parte della amministrazione penitenziaria (o sanitaria) di disposizioni di legge o di regolamento da cui derivi al detenuto un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei propri diritti. Un terreno inesplorato si presenta quindi davanti all’avvocato difensore che avrà ora modo di affrontare problematiche nuove e potrà contribuire alla creazione di una giurisprudenza in materia di tutela dei diritti. Anche se sotto il profilo dei rimedi compensativi, richiesti dalla sentenza Cedu nel caso Torreggiani, il decreto prevede ben poco: si potrà rimediare, speriamo, durante l’iter di conversione. Altra novità positiva è la previsione dell’affidamento in prova in via provvisoria, che rende l’intero sistema assai più coerente e risparmia il protrarsi di una inutile detenzione, come avveniva attualmente quando il detenuto meritevole della misura alternativa doveva attendere in carcere per il tempo, spesso non breve, della fissazione della camera di consiglio avanti al tribunale di sorveglianza per la decisione sull’istanza di affidamento, in quanto raramente il magistrato di sorveglianza riteneva di dover disporre la sospensione della esecuzione, con conseguente liberazione del condannato. La configurazione dell’articolo 73, comma 5 del Testo Unico in materia di disciplina penale degli stupefacenti, che punisce i fatti di lieve entità, come ipotesi autonoma di reato, e non più come circostanza attenuante, è una altra buona nuova, anche se la formulazione della norma avrebbe potuto essere più esplicita in tal senso: si elimina così l’alea dell’esito del giudizio di comparazione tra circostanze e si dimensiona con sicurezza su livelli medio- bassi il trattamento sanzionatorio per il piccolo spaccio. Perplessità nell’avvocato possono invece sorgere di fronte alla modifica dell’articolo del 678 Cpp nel senso di prevedere, per materie di minore importanza, la decisione de plano del tribunale o del magistrato di sorveglianza, con conseguente eliminazione del contraddittorio: il sacrificio, comunque è relativo perché si tratta a di materie minori dove spesso in udienza nulla vi era da aggiungere rispetto al contenuto dell’istanza già proposta, è compensato però da un recupero di efficienza, tanto più che il contraddittorio può essere recuperato in via differita mediante il rimedio della opposizione. Non convince invece la liberazione anticipata speciale non tanto per la misura dell’aumento della entità della riduzione di pena, quanto perché si tratta di un istituto di durata temporanea e non a regime: come ha osservato l’Unione delle Camere Penali Italiane, “l’innalzamento della detenzione domiciliare per un predefinito arco di tempo determinerebbe una disparità di trattamento di dubbia costituzionalità e vedrebbe mortificata la portata pratica della modifica”. Criticabile è la scelta di prevedere un iter più severo per i delitti di maggior allarme sociale, rafforzando la logica del doppio binario, foriera di discriminazioni e in palese contraddizione con il principio della individualizzazione del trattamento della persona detenuta. Ed è proprio sul fronte della eliminazione o, quanto meno, della attenuazione di ogni doppio binario, che la politica dovrebbe muoversi se davvero si vogliono riportare le carceri a livelli degni di un paese civile. Giustizia: nella Polizia penitenziaria 7mila agenti “imboscati”, dai ministeri alle scorte di Clemente Pistilli www.lanotiziagiornale.it, 21 dicembre 2013 Alle carceri italiane le cose vanno male, anzi malissimo. Lo ripetono da anni gli agenti di polizia penitenziaria e i sindacati che li rappresentano. Sono troppo pochi, i concorsi sono bloccati, l’età media del personale è di 37 anni. Proprio dai dati diffusi ieri dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, in cui è stata sottolineata con soddisfazione la diminuzione del numero di detenuti, emerge però che oltre 6.500 agenti sono imboscati nei Ministeri. I poliziotti che mancano rispetto a quanto prevede l’organico? Settemila. Quasi lo stesso di chi ogni giorno, anziché trascorrere ore dietro le sbarre, siede comodo nei dicasteri romani. Nei dati diffusi ieri dal Dap, il dipartimento che dal 6 febbraio 2012 è diretto dal magistrato Giovanni Tamburino, viene specificato che il personale di polizia penitenziaria in servizio, in base all’ultimo aggiornamento compiuto nel giugno scorso, conta 45.047 unità. A fare la guardia ai detenuti 37.967 agenti uomini e 7.080 donne. Lo stesso Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria ha poi specificato che 6.513 unità sono distaccate nei vari Ministeri. Un dato interessante, visto che proprio pochi giorni fa il Sappe, uno dei sindacati più rappresentativi della categoria, ha tuonato contro la legge di stabilità e le mancate assunzioni di altri 500 agenti, ricordando che il corpo è allo stremo, in sottorganico di settemila unità. Richiamare gli imboscati, chi al posto della divisa indossa giacca e cravatta, chi non si occupa di detenuti, ma di rispondere al telefono o fare da autista a qualche colletto bianco, magari non risolverebbe il problema ma contribuirebbe sicuramente a migliorare la situazione. Per il Dap la situazione nelle carceri sta comunque evolvendo in senso positivo. Le statistiche diffuse ieri mostrano un calo di 2.482 detenuti nell’ultimo anno, passati dai 66.529 del novembre 2012 agli attuali 63.628. Merito in larga parte della legge 199 del 2010, la cosiddetta svuota carceri, che consente ai condannati di scontare gli ultimi 18 mesi di pena ai domiciliari. I condannati che sono stati affidati in prova ai servizi sociali sono stati 10.992, quelli messi in semilibertà 838, ai domiciliari 10.169. In base soltanto alla svuota carceri sono usciti 12.741 detenuti. E ancora: i detenuti che lavorano sono 13.727 (12.968 uomini e 759 donne). Tra il 2011 e il 2012, infine, con la misura alternativa dell’espulsione, prevista per i condannati che devono scontare gli ultimi due anni di pena, sono stati scarcerati 1.816 detenuti. Miglioramenti dunque ci sono stati, ma non sono sufficienti. Oltre all’anomalia che emerge sui distaccamenti degli agenti penitenziari, va evidenziato infatti che se attualmente i detenuti sono 63.628, la capienza massima prevista nei 206 istituti italiani è di 45.225. Dietro le sbarre sono ancora in troppi. Capita così che nei primi sei mesi dell’anno si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 18 suicidi, 1.880 colluttazioni, 468 ferimenti e 3.965 detenuti hanno scelto di fare lo sciopero della fame. Andrà pure meglio con lo svuota carceri, ma la strada è ancora lunga per rispettare quegli standard che impone la stessa Europa. Giustizia: serial killer Gagliano catturato in Francia. Il ministro Cancellieri: “Evviva, evviva!” Corriere della Sera, 21 dicembre 2013 Il serial killer Bartolomeo Gagliano, evaso mercoledì da Genova dopo un permesso premio, è stato catturato venerdì mattina a Mentone, sul confine francese. Lo ha riferito il ministro Cancellieri: “Evviva, evviva! Li hanno catturati entrambi”, ha commentato il ministro, riferendosi anche alla cattura, avvenuta sempre venerdì, di Pietro Esposito, pentito di camorra che aveva abbandonato il carcere di Pescara ed è stato rintracciato a Forlì. “È un regalo di Natale. Ci tenevo un bel po’. La cattura dei due detenuti è una bella soddisfazione, le forze dell’ordine sono state brave, questo vuol dire che il sistema Paese funziona”, ha commentato Cancellieri. Le ha fatto eco il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, secondo cui “questo è lo Stato che funziona, di cui i cittadini italiani possono dare un giudizio positivo”. Entusiasta della cattura di Gagliano anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano: “È un successo della Polizia italiana e del sistema di cooperazione internazionale”, ha twittato a caldo. Più tardi, nella conferenza stampa per illustrarne la cattura, ha confermato che l’allerta aveva raggiunto 189 paesi e che “questo è lo Stato che funziona, nei confronti del quale i cittadini possono nutrire grande fiducia”. La storia giudiziaria di Gagliano, nato in Sicilia 55 anni fa ma residente a Savona, inizia nel 1981 con l’omicidio della sua amante, una prostituta, che minacciava di rivelare la relazione alla fidanzata dell’uomo. Condannato all’ospedale psichiatrico, evade una prima volta, viene catturato e nuovamente ricoverato e fugge ancora nel 1989. In quell’occasione commette altri due omicidi: quello di una transessuale e di un travestito, oltre al ferimento di una prostituta con un colpo di pistola al volto. Nuova cattura, nuova evasione e nuovo ferimento di una fidanzata, sempre con uno sparo alla bocca. Ricoverato nuovamente, tra il 1990 e il 1994 evade altre tre volte. Nel 2002 è considerato guarito, in seguito viene arrestato più volte per delitti minori. Mario Iavicoli, l’avvocato genovese che segue la storia di Gagliano, ha spiegato che il suo assistito “mi ha detto oggi a mezzogiorno che si voleva costituire. E invece l’hanno catturato prima. Avevamo appuntamento, in serata, nel ponente ligure. Eravamo d’accordo che subito dopo lo avrei accompagnato dai carabinieri “. L’evaso è stato fermato “dalle autorità francesi”, ha spiegato il procuratore capo di Genova Michele Di Lecce. Ma sembra proprio che Bartolomeo Gagliano avesse progettato l’evasione. Lo sottolinea il gip Adriana Petri che ieri aveva emesso la misura di custodia cautelare in carcere e il mandato di arresto europeo per Bartolomeo Gagliano. Lo testimonierebbe il fatto che il serial killer si era allontanato con tre borsoni che aveva lasciato nei pressi dell’abitazione della madre. A tradire Gagliano è stata la Panda van usata per fuggire, rubata a un panettiere di Savona. La targa CV 848 AW è infatti transitata dal posto di frontiera di Ventimiglia ed è stata rilevata dalle telecamere di sorveglianza. Gli inquirenti italiani avevano ottenuto un mandato di cattura internazionale e venerdì, ritrovata l’auto a Mentone, gli uomini della gendarmerie sono risaliti al killer. Individuata la vettura in un parcheggio, hanno atteso il ritorno del fuggiasco per bloccarlo. Nell’albergo dove alloggiava ritrovata la pistola usata per il sequestro del panettiere e la rapina dell’auto. Ora le autorità italiane sono in attesa dell’estradizione. Gagliano è stato denunciato per sequestro di persona, rapina e detenzione di arma da fuoco. Iavicoli spiega che Gagliano si è scusato: “Mi spiace per quello che è successo. Volevo rientrare in carcere. È stato un colpo di testa. Sono dispiaciuto di avere tradito la fiducia del direttore e della dottoressa Daniela Verrina (magistrato di sorveglianza, ndr)”. Intanto si profila un trasferimento per il direttore del carcere di Genova Marassi Salvatore Mazzeo, che sosteneva che per il carcere Gagliano era soltanto un rapinatore. Si tratta, ribadisce il ministro Cancellieri, di “dichiarazioni sicuramente temerarie”. Istruttoria in corso, invece, per quanto riguarda il magistrato di sorveglianza. La misura non sarebbe legata all’iter di concessione del permesso premio, per il quale anche il direttore del carcere fornisce un parere informato al magistrato di sorveglianza, ma alle dichiarazioni fatte da Mazzeo dopo l’evasione due giorni fa, il 18 dicembre. “Abbiamo valutato Gagliano in base al fascicolo di reato per cui era detenuto, che risale al 2006 e lo indica come rapinatore”, aveva dichiarato. Lo stesso ministro Cancellieri ha invece spiegato, durante la sua informativa alla Camera, che “in carcere tutti erano a conoscenza del percorso di Galliano”. Sappe: buona notizia, ma direttore Mazzeo non sia vittima sacrificale “È una buona notizia l’arresto in Francia del detenuto Bartolomeo Gagliano, che non era rientrato nel carcere di Genova Marassi dopo la concessione di un permesso premio. Buona perché non è successo nulla di violento e perché stempera un clima eccessivamente carico di tensione rispetto a una realtà, quella delle evasioni dai permessi, che è davvero minimale rispetto alle decine di migliaia concessi e andati a buon fine. Mi auguro che questa vicenda sensibilizzi le Autorità competenti a prevedere che ai detenuti in permesso venga applicato il braccialetto elettronico di controllo, costato peraltro decine di milioni di euro pubblici e poco utilizzato”. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei poliziotti, che aggiunge: “trovo singolare se Salvatore Mazzeo, direttore del carcere di Marassi, pagasse con sanzioni disciplinari e addirittura col trasferimento da Marassi talune pur improvvide dichiarazioni alla stampa. Se la memoria non mi inganna - e non credo che mi inganni - sono passati meno di tre mesi da quando la Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, in visita proprio a Genova Marassi, definì quello diretto da Mazzeo un carcere “illuminato”, bene organizzato e con un ottimo rapporto con il territorio”. Giustizia: il direttore del carcere di Genova rimosso dalla Cancellieri “ho rispettato la legge” di Erika Dellacasa Corriere della Sera, 21 dicembre 2013 A pagare la fuga del pluriomicida Bartolomeo Gagliano sarà il direttore del carcere di Genova Salvatore Mazzeo, sottoposto a procedimento disciplinare e in via di trasferimento. Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha detto che sia il giudice di sorveglianza che la direzione del carcere sapevano dell’”ampio curriculum criminale” di Gagliano, smentendo le dichiarazioni di Mazzeo. “Io ero a conoscenza dei precedenti? Avevo solo un’informativa generica. Nelle nostre procedure per la valutazione del permesso abbiamo rispettato la legge, è successo l’imponderabile”. Mazzeo all’indomani della fuga disse che il parere sull’idoneità del detenuto per uscire dal carcere per due giorni era riferita “solo” alla condanna per rapina: “Per me Gagliano è un rapinatore”. Parole che gli sono valse le critiche del Guardasigilli: “Frasi intempestive, il carcere aveva tutti i documenti sulla storia del detenuto. Una leggerezza che ha gettato allarme sulla popolazione e discredito sulle istituzioni”. L’amministrazione penitenziaria ha avviato un’azione disciplinare per Mazzeo, che dopo la fuga disse: “È un fallimento se un recluso evade, ma cosa sarebbe accaduto se Gagliano, con fine pena tra un anno, si fosse impiccato in cella perché non aveva speranza di permessi? Ho dato parere favorevole per un’uscita di qualche ora, con accompagnamento, come già avvenuto. Il mio parere non vincolante si riferiva al motivo per cui era detenuto Gagliano, rapina e reati contro il patrimonio. I fatti pregressi non dovevano entrare nella relazione”. Fatti che pur essendo noti al giudice di sorveglianza Verrina non le hanno impedito di autorizzare l’uscita di Gagliano. Giustizia: i fuggiaschi sono stati ripresi, tra burocrazia e istituzioni omertose di Alessandro Ambrosin www.articolo21.org, 21 dicembre 2013 Li hanno catturati i due evasi dai carceri di Genova e Pescara. In manette sono finiti nuovamente sia il temuto pluriomicida catturato in territorio francese, che il camorrista pentito acciuffato a Forlì. Entrambi, approfittando di una vacanza premio, hanno cercato di svignarsela provocando l’indignazione dell’opinione pubblica che si è chiesta come questo sia potuto accadere. Infatti, la vicenda non coinvolge pericolosi “ladri di bicilette”, bensì personaggi il cui curriculum giudiziario è costellato di una serie di reati da far accapponare la pelle. Adesso, saranno le istituzioni carcerarie, o meglio, i responsabili diretti di questi due detenuti a tirare un sospiro di sollievo, visto che la vicenda ha acceso i riflettori su un fenomeno che mette in risalto le negligenze delle istituzioni che, al contrario, dovrebbero garantire alla giustizia i malviventi pericolosi. Non bisogna essere giustizialisti per capire che sarebbe bastato un occhio in più di riguardo per tutte quelle persone che si sono macchiate di terribili delitti e magari, prima di rimetterle in libertà, anche se per poco tempo, sarebbe stato utile accertarsi effettivamente sulla loro completa affidabilità e soprattutto sull’integrità psicologica. Sarà pure un principio costituzionale la rieducazione della pena, ma se uno ha già ammazzato tre persone sarebbe il caso di andarci molto cauti. Invece, sembra che questo particolare venga meno, tant’è che dal carcere si era inizialmente detto che uno degli evasi era solo un ladruncolo e non un pluriomicida. Ma c’è un altro punto che lascia riflettere. Infatti, non si capisce come mai solo in questi giorni si sia parlato di evasioni dal carcere. Il rapporto presentato ieri sugli istituti penitenziari da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, fa luce su un problema non di poco conto. Nel 2012, infatti, 52 detenuti si sono dati alla fuga durante il permesso premio, ovvero almeno 4 ogni mese non hanno fatto più ritorno in carcere. Eppure, nessuno, nemmeno le autorità preposte al controllo, istituzioni comprese, ne hanno parlato. Solo oggi il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri dice che sono in corso i necessari accertamenti sulle relative responsabilità di questi episodi. Ben venga qualunque approfondimento del caso, per carità, anche se arriva con una certa lentezza. Il ministro precisa che il permesso premio costituisce insieme ad altre misure, come l’affidamento in prova, la semi libertà, il lavoro all’esterno, uno strumento essenziale per il reinserimento sociale dei detenuti. E su questo non ci piove sopra. Tuttavia, una cosa andrebbe detta: forse ci vorrebbe meno burocrazia e più presenza di personale qualificato all’interno degli istituti che fosse in grado di monitorare e capire la situazione individuale di queste persone se vogliamo veramente puntare sul recupero. Perché, è evidente, se uno fugge e chi lo deve custodire non sa neppure perché è dietro alle sbarre, c’è davvero da preoccuparsi. Giustizia: “no” ai servizi sociali, Totò Cuffaro rimane in carcere di Giuseppe Lo Bianco Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2013 Natale e Capodanno in carcere per Totò Cuffaro, l’ex governatore siciliano condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha infatti respinto la richiesta dei suoi legali di affidarlo ai servizi sociali per scontare la parte residua della pena, circa quattro anni, perché non ha mostrato di collaborare con la giustizia, condizione necessaria, per i reati aggravati da fatti di mafia, per concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Nonostante il proclama dei suoi manifesti, infatti (“la mafia fa schifo”) con cui aveva tappezzato i muri siciliani, Cuffaro ha sempre mantenuto un atteggiamento reticente, respingendo ogni accusa, senza mai offrire, conseguentemente, alcun elemento utile alle indagini. Per tre anni è stato un detenuto modello, senza però raccontare nulla su quell’accordo politico-mafioso tra lui e il capo-mandamento Giuseppe Guttadauro, che la Cassazione ritiene provato, così come ritiene provata la sua consapevolezza di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo “nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 - com’è scritto nella sentenza - persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti”. È la vicenda delle “talpe” in procura, nella quale Cuffaro, latore ai suoi amici di notizie riservate, non ha mai rivelato le fonti da cui provenivano. In carcere ha pregato, letto e scritto libri, e perfino studiato Giurisprudenza, meritando un 30 in Istituzioni di diritto romano che gli ha dato Oliviero Diliberto, l’ex segretario dei Comunisti Italiani. Per Cuffaro le speranze di lasciare il carcere erano state alimentate dalla decisione del procuratore generale della Cassazione di aderire alla richiesta dei legali, modificando solo il luogo di destinazione: non più la missione palermitana “Speranza e carità” di Biagio Conte, ma l’Istituto romano per i ciechi. E visto che la vicenda delle “talpe in Procura” è stata definita e che altri hanno collaborato, i difensori di Cuffaro, gli avvocati Maria Brucale e Giovanni Vaccaro, hanno ritenuto che non occorresse dimostrare alcuna volontà collaborativa del loro cliente. Il tribunale, presieduto da Alberto Bellet, è stato invece di diverso avviso: se vuole, Cuffaro può ancora offrire un contributo alle indagini che lo hanno visto protagonista di una delle stagioni di maggiore compenetrazione tra politica e affarismo mafioso in Sicilia. Toscana: il Garante Franco Corleone; sull’emergenza carceri la Regione può essere di esempio met.provincia.fi.it, 21 dicembre 2013 Secondo il garante regionale dei detenuti è possibile chiudere subito l’Opg di Montelupo, avviare progetti per l’uscita dei tossicodipendenti, presentare proposte di legge al Parlamento. Il saluto del presidente Alberto Monaci e i dati forniti dall’assessore al Diritto alla salute Luigi Marroni. L’emergenza del sovraffollamento nelle carceri va affrontata con estrema rapidità. Ma “mentre in un paese normale, condannato dalla Corte europea per i diritti umani per trattamenti crudeli e degradanti, si sarebbe sviluppato un dibattito per chiedersi come era potuta accadere una tragedia simile e come rimediare immediatamente, in Italia le parole gravi di Giorgio Napolitano, in cui si sollecitavano provvedimenti adeguati, sono state accolte con fastidio”. Questa la denuncia del garante regionale dei diritti delle persone detenute della Toscana Franco Corleone, nel suo intervento di stamattina durante il seminario “Il carcere a giudizio”. Corleone, nella sua relazione, ha ricordato come l’Italia paghi lo scotto dell’appuntamento eluso della riforma della giustizia. “Serve - ha detto il garante - una volontà politica forte e una determinazione feroce: il lavoro, le misure alternative, il sopravvitto sono solo alcuni nodi che farebbero la differenza” per diminuire il numero dei detenuti e rendere le condizioni di vita in carcere accettabili. Secondo Corleone “è evidente che per ottenere risultati efficaci occorrerebbe un carcere con un numero di presenze legato al diritto penale minimo e mite”; dunque “è necessario aggredire la legislazione affolla carcere, dalla legge sulle droghe alle norme sulla custodia cautelare e prevedere misure in positivo”. Per quanto riguarda la questione di una misura di clemenza, il garante toscano ha ribadito di ritenere “inopportuno un provvedimento a pioggia” e di sostenere “una misura limitata a reati che hanno una portata enorme sull’affollamento carcerario”. La Toscana, prima regione ad abolire la pena di morte con una scelta coraggiosa, ha concluso Corleone, “può indicare al resto dell’Italia un modello per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), chiudendo subito la struttura di Montelupo fiorentino, può avviare progetti per l’uscita dei tossicodipendenti dal carcere, può presentare al Parlamento proposte di legge per cambiare la legge sulle droghe”. Il garante ha infine preannunciato che nel marzo prossimo sarà presentata alla Regione una proposta di riutilizzo della struttura che ospita l’Opg. Il seminario di questa mattina, promosso dal Consiglio regionale della Toscana, dal Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Toscana e dalla Fondazione Giovanni Michelucci, e che ha visto la presentazione del volume degli atti del convegno “Il carcere al tempo della crisi”, si è aperto con il messaggio di saluto del presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci. “Le condizioni in cui si vive nelle carceri italiane sono vergognose, indegne di un paese civile - ha affermato Monaci - ma la sentenza europea sembra non aver scalfito più di tanto l’indifferenza per questo problema. Per questo è necessario agire, con iniziative come questa, per mantenere accesi i riflettori sulla questione delle carceri, affinché tutto non torni nell’oblio”. All’assessore regionale al Diritto alla salute Luigi Marroni è stato affidato il compito di fare il punto sulla condizione attuale delle carceri in Toscana e sulle strategie messe in atto dalla Regione. In Toscana i detenuti sono attualmente 4060, il 24% in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri. Marroni ha ricordato che sono stati recentemente stipulati protocolli di intesa con il ministero e le autorità competenti. “Un numero consistente di detenuti secondo noi potrebbe essere indirizzato a pene alternative e ci siamo mossi in questo senso - ha spiegato l’assessore -. Il presidente della Regione Rossi ha chiesto garanzie al ministro affinché i posti liberati non siano di nuovo occupati in una spirale senza fine, fatto che migliorerebbe le condizioni di vita dei detenuti e che ci risparmierebbe la salatissima multa, 70 milioni di euro, che se le cose rimangono immutate ci verrà inflitta dalla Commissione europea”. È anche una questione di conti, oltre che di diritti civili: Marroni ha spiegato che mentre un detenuto in carcere costa 125 euro al giorno, un detenuto in comunità dedicate costa 30-35 euro al giorno. Per quanto riguarda l’Opg di Montelupo, Marroni ha riportato che nel 2012 sono stati dimessi 25 internati, affidandoli ai servizi territoriali che hanno elaborato per loro percorsi di cura e di recupero personalizzati; nel 2013 le dimissioni sono state 31. L’obiettivo è far rientrare i restanti internati non toscani nelle regioni di provenienza, agendo in accordo con le altre amministrazioni, e per tutti i toscani elaborare soluzioni alternative. Realacci: tornare carcere non può essere il futuro di Pianosa “Il drammatico sovraffollamento delle nostre carceri è una questione scottante che va affrontata con urgenza. Ma l’intesa siglata nei giorni scorsi tra regione Toscana e Ministero della Giustizia per il contenimento del sovraffollamento carcerario in regione e che vorrebbe riportare tra gli 80 e i 100 detenuti, oltre agli agenti di custodia e alle relative famiglie, sull’Isola di Pianosa rischia di non di risolvere il problema sovraffollamento e di compromettere sia il delicato e prezioso ecosistema dell’Isola, parte integrante del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, che la vocazione al turismo ambientale individuata per l’Isola stessa da Ente Parco e Regione. Per sapere se le notizie apparse sulla stampa in questi giorni circa l’accordo corrispondano al vero e se le presenze preventivate dall’accordo stesso siano compatibili con gli atti di pianificazione previsti per Pianosa, ho presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e dell’Ambiente”, così Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, depositando una interrogazione sull’intesa Ministero della Giustizia regione Toscana che interessa anche Pianosa. “Dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza - ricorda Realacci - disposta per inadeguatezza della struttura e per i suoi alti costi, l’Isola è stata inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e da allora si è cominciato a riconvertirne l’utilizzo verso la tutela ambientale e il turismo sostenibile. E nel 2010 la Regione ha approvato il “Piano del Parco” che sancisce e regolamenta per Pianosa le forme di utilizzo stabilendo, tra l’altro, che per preservarne l’ecosistema è fissato a 250 il numero massimo di visitatori giornalieri. Ai ministri interrogati chiedo quindi se non ritengano che una presenza di circa 100 detenuti, più gli agenti di custodia necessari, non configuri una effettiva riapertura del carcere di Pianosa, se sia stata fatta una valutazione economica di quanto costerebbe allo stato una simile riapertura, se non si ritiene utile coinvolgere nel predetto progetto di fruizione dell’isola di Pianosa il ministero dell’Ambiente e l’Ente Parco”. La Spezia: entra in carcere e poco dopo si uccide inalando gas, è successo a Villa Andreino La Nazione, 21 dicembre 2013 Era da poco entrato in carcere per la revoca degli arresti domiciliari. Ma poco dopo il personale medico lo ha trovato riverso sul pavimento della sua cella. M. R., 27enne, di origine magrebina, ha deciso di porre fine alla sua vita. Ed è riuscito nel gesto estremo. Era entrato alle 16 nel carcere di Villa Andreino, dalla comunità spezzina che lo stava aiutando ad uscire dal tunnel della droga. Ma proprio in quella comunità non aveva tenuto comportamenti idonei, tanto che ieri è rientrato nella casa circondariale. Alle 18, quindi due ore dopo il suo arrivo, un altro detenuto ha lanciato l’allarme. Il giovane aveva inalato gas proveniente dalla stufetta in dotazione, quella che i detenuti utilizzano magari per riscaldarsi il caffè. Da lì l’arrivo del personale medico e della direttrice Anna Maria Bigi. M. R. era in arresto cardiaco. Sul posto i medici e infermieri del 118, che hanno praticato le manovre rianimatorie, con l’utilizzo del defibrillatore. Purtroppo per il ragazzo non c’è stato nulla da fare. Il suo corpo, senza vita, è stato trasportato all’obitorio del Sant’Andrea. Padova: messaggio della Cancellieri al Congresso dell’Associazione Nessuno tocchi Caino Il Mattino di Padova, 21 dicembre 2013 Il ministro della Giustizia non è potuta intervenire di persona. C’era invece Galan: “Imbarazzante il provvedimento del governo sui detenuti” “Non possiamo permetterci di perdere altro tempo, dobbiamo garantire che la pena, nella sua primaria funzione rieducativa, consenta quella crescita civile e culturale essenziale al reinserimento sociale”. Lo afferma il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, in un messaggio al quinto congresso dell’associazione Nessuno tocchi Caino che si è svolto oggi al carcere di Padova. “È vero, ce lo chiede l’Europa - prosegue Cancellieri -, ma prima ancora ce lo chiede il senso di civiltà e umanità che caratterizza in nostro Paese”. Il ministro Cancellieri si dice convinta “che la costruzione di ponti, anche culturali, tra il mondo esterno e quello del carcere consenta a chi ha sbagliato di avere la reale ed effettiva opportunità di intraprendere un sano percorso di reinserimento nel contesto sociale. Come sapete - continua nel messaggio inviato al congresso, fin dall’inizio del mio mandato, come cittadina, come persona, prima ancora che come ministro, ho assunto l’impegno, anche sotto il profilo morale, di risolvere la delicata questione carceraria per migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti. È un impegno - sottolinea - che sto affrontando ogni giorno, agendo su fronti diversi, perché non possiamo permetterci di perdere altro tempo”. Nel messaggio Cancellieri ringrazia anche l’associazione Nessuno tocchi Caino per l’attività portata avanti in questi anni contro la pena di morte, e sottolinea come l’evento organizzato oggi nel carcere di Padova sia “un esempio concreto che attraverso la sinergia di forze tanto si può fare in questa direzione”. Al convegno di Padova ha partecipato anche l’ex presidente della Regione Veneto ed ex ministro Giancarlo Galan. “Il consiglio dei ministri, in risposta all’appello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha presentato una roba che non serve a niente, una roba imbarazzante e inadeguata a combattere lo sfacelo che la giustizia rappresenta in Italia”. Così il presidente della Commissione Cultura alla Camera ha commentato il decreto carceri. Galan ha voluto ricordare anche “lo sfacelo” dei dati riguardanti anche la casa di reclusione di Padova: “Questo carcere, che non è tra i peggiori, tutt’altro - ha osservato Galan -, vede nella casa circondariale 48 posti disponibili e 245 ospiti, nella casa di reclusione 350 e 856 carcerati”. “Quando sono orgogliosi di un provvedimento i ministri fanno a cazzotti per essere presenti alla conferenza stampa - ha concluso Galan - L’attuale ministro dell’Interno Angelino Alfano non era presente alla conferenza stampa di presentazione del decreto carceri, vuol dire che si vergognava, che giustamente non aveva nemmeno il coraggio di presentarla”. Salerno: detenuto e diabetico, Angelo è il simbolo della marcia dei Radicali Corriere del Mezzogiorno, 21 dicembre 2013 Angelo ha perso una gamba per via della sua malattia, arrivata ad uno stato molto avanzato. Condivide la cella con altri quattro detenuti, di cui tre disabili. Nella cartelletta verde che stringe tra le mani custodisce le armi rastrellate nel tempo per vincere la sua battaglia. L’ultima carta da giocare, per il momento, è una lettera inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per chiedere la grazia. Carmela è la figlia di Angelo Rosciano e la grazia è per suo padre. Angelo è un uomo di Sala Consilina, malato di diabete e rinchiuso nel padiglione San Paolo di Poggioreale. Deve scontare una pena di oltre cinque anni per ricettazione di auto. Il reato lo ha commesso 15 anni fa e la sentenza di condanna è passata in giudicato. Angelo ha perso una gamba per via della sua malattia, arrivata ad uno stato molto avanzato. Condivide la cella con altri quattro detenuti, di cui tre disabili. Non può mangiare pasta e dovrebbe attenersi ad un regime alimentare corretto. Ma in carcere questo è impossibile. La storia di Angelo apre (il 25 dicembre) la marcia di Natale a Roma per l’amnistia dei Radicali. E da Salerno, supportata dal segretario Donato Salzano, Carmela lancia il suo appello al Quirinale e alla Guardasigilli. “È giusto che sconti la sua pena - dice - ma che almeno gli permettano di farlo a casa propria, di modo da poter ricevere tutte le cure di cui ha bisogno e che in carcere nessuno può dargli”. La moglie di Angelo, Irene Di Donato, è troppo emozionata per parlare. “Non deve capitare a nessuno ciò che sta vivendo mio marito”, sono le uniche parole che la donna riesce a dire. Al suo fianco ci sono i legali che stanno accompagnando Carmela e Irene nella loro lunga battaglia, Pierluigi Spadafora e Gianluca Salzano. Angelo è a Poggioreale dall’estate scorsa. Da quando gli agenti penitenziari sono andati a prelevarlo a casa, dove stava scontando i domiciliari, dopo che gli è stato revocato il provvedimento di incompatibilità carceraria. Cinque anni di reclusione sembrano troppo lunghi per uno malato come lui. E come Vincenzo Di Sarno, 37 anni, napoletano: anche lui a Poggioreale, anche lui invalido civile al 100% (perché operato di una grave metastasi di un ependimoma intramidollare cervico-dorsale), anche lui si è rivolto a Napolitano. Lo ha fatto ad ottobre scorso, implorando il Capo dello Stato di mettere fine alle sue sofferenze. Preferirebbe la pena di morte ai dolori che lo affliggono. Vincenzo Di Sarno è la seconda storia che la marcia dei Radicali incontra nel suo tragitto prima di approdare a Roma per dire che di Federico Perna, il ragazzo che ha sputato sangue una settimana prima di morire a Poggioreale di cirrosi epatica, non ce ne siano più. Indipendentemente da quale sia il loro cognome. Belluno: istituito il Garante dei diritti dei detenuti, il bando sarà pubblicato a gennaio Corriere delle Alpi, 21 dicembre 2013 Istituito il garante dei diritti dei detenuti in comune di Belluno. Si tratta di una figura che farà da tramite tra la comunità e il carcere rendendo conto sulle condizioni di vita dei detenuti e sul rispetto dei loro diritti. “Si tratta di una persona fisica”, spiega l’assessore Valentina Tomasi, “che individueremo tramite la pubblicazione di un avviso pubblico con presentazione del curriculum. In base alle domande che arriveranno sarà il sindaco, insieme con la direttrice della casa circondariale di Baldenich, a scegliere il garante”. Il bando sarà pubblicato a gennaio. All’iniziativa palazzo Rosso lavora dal giugno scorso insieme con l’associazione Extra moenia che ha presentato la proposta. “Dopo questo incontro il sindaco ne ha avuto uno con la direttrice del carcere, che ci ha inviato tutta la normativa in materia e così abbiamo lavorato insieme, a stretto contatto”, spiega ancora Tomasi che specifica come “il garante potrà entrare nel carcere, potrà parlare con i detenuti e accertare appunto le loro condizioni e quindi verificare anche l’effettiva tutela dei loro diritti”. Il garante dei diritti dei detenuti non dovrà avere precedenti penali, dovrà essere una persona con riconosciuta sensibilità sulla materia, riconosciuta dalla direttrice del carcere e dalle associazioni specifiche che lavorano sul territorio. Sarà un volontario, senza alcun pagamento. Potrà usufruire del telefono e della carta che sarà messa a disposizione dal Comune e durerà in carica tre anni. Dovrà riferire periodicamente in consiglio comunale, nelle commissioni competenti e alla giunta sulla sua attività. Se vorrà potrà proporre interventi o denunciare alcune situazioni. Il suo incarico è incompatibile con impegni nell’ambito della sicurezza pubblica e della professione forense. E non potrà essere parente di amministratori comunali fino al terzo grado di parentela. Pordenone: a fine 2015 sarà completato il nuovo carcere di San Vito del Tagliamento Messaggero Veneto, 21 dicembre 2013 I lavori per realizzare il carcere di San Vito, che si presenta come modello per il recupero dei detenuti, partiranno a metà 2014 e si concluderanno entro il 2015: i tempi sono dettati dal bando di gara europeo per appaltare il cantiere, la cui emanazione è stata annunciata ieri dal commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, il prefetto Angelo Sinesio, e dal sindaco, Antonio Di Bisceglie. Soltanto la scorsa settimana c’era stata l’approvazione della variante al piano regolatore comunale per prevedere il carcere: formalità che recepiva le intese tra Regione e struttura commissariale che già avevano sancito la realizzazione del penitenziario a San Vito, dando il via al Piano carceri nazionale. L’ufficio del commissario ha emanato il bando, che sarà pubblicato a giorni nella Gazzetta ufficiale europea. Tempi rispettati: si era detto entro l’autunno e così è stato. Di Bisceglie “papale” nell’annunciare entusiasta la svolta alla sua giunta (via sms ne ha dato notizia “cum gaudium magnum”). D’altronde, l’importanza della struttura per il territorio è riconosciuta all’unanimità. “Va a incidere sull’impianto cittadino anche dal punto di vista urbanistico - ha osservato il sindaco -. Risponde alle esigenze manifestate dal presidente della repubblica e all’inadeguatezza dell’attuale carcere di Pordenone, denunciata sin dagli anni 80. Vogliamo un istituto di pena in linea con l’articolo 27 della Costituzione, laddove indica che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ci sarà, per i detenuti, la possibilità di lavorare e sono previste sale comuni”. Il bando contempla l’assegnazione di un appalto integrato (comprende progettazione ed esecuzione): l’importo soggetto a ribasso sarà di 25,5 milioni di euro. Si basa su un progetto redatto dalla struttura commissariale, che prevede un penitenziario per reati minori e comunque non di massima sicurezza. In esso si dispone il recupero delle due palazzine principali dell’ex caserma Dall’Armi (il perimetro murario in sostanza coinciderà con l’attuale), dove troveranno posto gli alloggi per 60 agenti di polizia penitenziaria e altri tre (due andranno a direttore e comandante degli agenti). Metà dell’area, quella verso via Divisione Garibaldi, sarà invece rinnovata: al centro una struttura per ospitare 300 detenuti, all’esterno della quale si prevedono aree comuni, anche ricreative (come campi di calcio e da tennis). Quest’area sarà cinta da un’altra struttura muraria, stando al progetto di massima. I tempi annunciati da Sinesio: concludendosi la gara in 90-120 giorni, con l’assegnazione, il cantiere partirà non prima di sei mesi, ovvero si prevede a giugno 2014, e durerà al massimo 630 giorni, ma è possibile anche un ribasso di 150 giorni. Ciò significa che entro la fine del 2015 la struttura dovrebbe essere pronta. “L’emanazione del bando è una scommessa andata in porto - ha esultato anche Sinesio. Una struttura che non sarà impattante, non consumerà suolo, prevede la ristrutturazione di immobili e sarà volta al recupero dei detenuti, abbattendo il muro della recidiva. A questo proposito, a San Vito e in Friuli, si valuteranno percorsi formativi e lavorativi per i detenuti, oltre che all’interno del carcere, sul territorio”. Si verificherà la disponibilità di aziende per un opificio ad hoc. “Le celle - ha specificato Sinesio - saranno da due e tre detenuti, ma serviranno soltanto per il riposo: almeno per 8 ore al giorno i detenuti saranno fuori della cella”. Andrea Sartori Parma: la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ha visitato gli Istituti penitenziari Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2013 Questi i numeri: 600 detenuti presenti (la capienza regolamentare è di 385 posti, quella “tollerata” di 652), di cui 429 condannati in via definitiva, 395 i detenuti comuni, 16 gli ammessi al lavoro all’esterno, 243 stranieri. 27 i ricoverati al Centro diagnostico e terapeutico, 9 nella sezione per tetra-paraplegici. Del circuito dell’alta sicurezza, fanno parte 128 detenuti (52 in regime di 41bis, 76 gli ergastolani). La varietà di tipologie di detenuti sintetizza la complessità del carcere di Parma, che nel progetto dipartimentale di realizzazione dei circuiti regionali verrà sempre più a caratterizzarsi per la presenza di detenuti classificati in “alta sicurezza”. Negli spazi adibiti alla Casa di Reclusione si è proceduto ad “aprire” le celle per alcune ore al giorno in una sezione detentiva - Sezione Alfa: circa 50 persone per lo più impegnate nel disbrigo delle ordinarie occupazioni interne all’istituto -, dove sono allocati detenuti “comuni” con un grado di pericolosità di lieve significatività che hanno siglato un patto trattamentale con la Direzione. Andrà invece a regime con l’inizio del 2014 l’apertura della sezione detentiva negli spazi adibiti alla Casa Circondariale - Sezione Aurora. Il nuovo padiglione ha visto proprio nei giorni scorsi l’avvio dei lavori, seguiti direttamente dal Commissario delegato al Piano carceri, che dovranno essere ultimati entro 450 giorni, e potrà ospitare 200 detenuti. Ponendo l’attenzione sulle criticità negli Istituti Penitenziari di Parma, la Garante ha sottoposto all’attenzione delle istituzioni competenti e in particolare al Ministro di Giustizia, la inidonea allocazione di persone malate negli ambienti delle sezioni comuni, con un peggioramento delle condizioni di vita complessive: si registra, infatti, la presenza di un numero eccessivo di persone portatrici di gravi malattie provenienti da tutto il territorio nazionale che, per scelta dipartimentale, vengono assegnate a Parma in ragione della presenza del Centro diagnostico e terapeutico, con personale medico ritenuto idoneo e sufficiente per affrontare gravi problematiche sanitarie, in spazi però non congrui a far fronte al numero delle persone lì collocate. È stata ancora segnalata la condizione delle persone condannate all’ergastolo, molte delle quali in regime di ostatività, rispetto alle quali sarebbe necessario valutare l’opportunità di assicurare spazi detentivi a uso esclusivo, con particolare riguardo al pernottamento in camere singole: una soluzione che, ritenuta anche dalla Corte di Cassazione oggetto di una mera aspettativa, in concreto pare necessaria nel percorso di “umanizzazione” della pena intrapreso con grande vigore dal Provveditore alle carceri dell’Emilia-Romagna. Oggi la permanenza nelle celle singole non è possibile in assenza di spazi adeguati , ma l’apertura del nuovo padiglione potrebbe possa consentire questa soluzione. Di recente, grazie al contributo di una cooperativa sociale, è stata installata una pensilina nello spazio antistante all’ingresso della sala d’aspetto dove i familiari dei detenuti sostano nell’attesa di fare ingresso in carcere per effettuare i colloqui, offrendo così riparo e rendendo meno disagiata l’attesa all’aperto. In prossimità delle feste natalizie i detenuti e loro famiglie, anche quelli in alta sicurezza, potranno effettuare i colloqui negli spazi della palestra, preparata per l’occasione. Taranto: l’esperienza di Franco, ex detenuto “le celle sono piccole, c’è da uscire pazzi…” www.net.news.org, 21 dicembre 2013 Appena approvato dal Consiglio dei ministri il decreto legge sulle carceri, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha rassicurato gli animi di chi mostra contrarietà o diffidenza verso la prevista scarcerazione di 3 mila detenuti, sostenendo che non ci sono rischi per i cittadini. I rischi, semmai, sono presenti all’interno delle case circondariali, dove la vita è sempre più dura. Ne sa qualcosa il signor Franco, cinquantacinquenne che ha fatto l’esperienza del soggiorno nel carcere di Taranto. “Tutto ha avuto inizio cinque anni fa - ricorda l’uomo, che svolgeva l’onesto lavoro dell’operaio - quando stavo andando a Talsano (frazione di Taranto) alla guida della mia auto, e ho fatto un sorpasso azzardato. Complice la pioggia, ho perso il controllo del mezzo e preso in pieno il cancello di una villa; in precedenza mi ero fermato al bar per un bicchierino, così sono stato trovato positivo all’alcol test”. Condannato per contravvenzione - violazione del codice stradale - a sei mesi di arresto, è finito in carcere “grazie” al suo avvocato: per lui è scattata l’esecuzione immediata della pena, piuttosto che la sospensione della stessa prevista dal codice di procedura penale quando viene depositata l’istanza volta ad ottenere una misura alternativa. È stato rinchiuso nella casa circondariale di Taranto, dove ha avuto inizio il suo inferno - piccolo solo perché di breve durata: “I primi cinque giorni sono stato solo in cella, senza mai uscire. E senza fare niente: lì dentro si trascorre il tempo nell’ozio totale, a partire dal mattino quando ci si sveglia ad orario libero. E i detenuti cercano di dormire il più possibile, perché in questo modo, dicono, la giornata è più corta”. Anche perché da svegli la libertà di movimento è ben poca: “Le celle sono piccole, 4 metri per 2, e in ciascuna devono convivere tre persone. Non so come facciano quelli che devono starci vent’anni o tutta la vita: c’è da uscire pazzi. O forse ci si abitua”. Il sentimento dominante non può che essere “la tristezza, unita alla rabbia: fai avanti e indietro tra quatto mura in quello spazio ridotto, sentendoti come un leone chiuso in gabbia”. Il carcere di Taranto, teatro nelle settimane scorse della vivace ed eclatante protesta di tanti detenuti, è non a caso considerato dal signor Franco “tra i più punitivi”, e al suo interno “non si può contare sull’aiuto dagli agenti penitenziari, che quando avvicini se hai bisogno di qualcosa si rendono sempre indisponibili, e nemmeno ti ascoltano: parlare con loro è come parlare al muro”. C’è invece solidarietà tra i detenuti: “Con me c’erano due ergastolani, brave persone come tutti gli altri che, anche se hanno commesso reati, in carcere si comportano bene: mi passavano un piatto di pasta cucinata da loro. Io accettavo ben volentieri il cibo offerto da loro, perché quello dato alla mensa fa schifo”. C’è da chiedersi qual è il senso della reclusione di uomini trattati come bestie o vegetali. Piuttosto che la rieducazione del soggetto che ha commesso reato, la galera produce solo sofferenza e disperazione. Estrema, tanto che “ricordo che ci sono stati due suicidi, di cui uno, tempo addietro, nella cella dove mi trovavo”. Adesso che sta agli arresti domiciliari, grazie all’accoglimento dell’istanza presentata al tribunale di sorveglianza dal suo nuovo difensore, l’avvocato Flavia Albano, non può godere di maggiore libertà: “Sotto sorveglianza continua, i controlli vengono a qualsiasi ora del giorno, e pure di notte. Ma io me ne sto tranquillo: non ho nessuna intenzione di evadere per poi beccarmi due anni di reclusione”. Gli bastano e avanzano i dieci giorni che si è fatto, e mentre sconta la pena nella sua villa con giardino, unico “svago” che può permettersi oltre all’affetto del figlio 19enne, spera di trascorrere un Natale sereno. Magari, beneficiando degli sconti di pena conseguenti alla nuova legge, da cittadino libero. Parma: a pranzo con papà… Natale in famiglia anche per chi dietro le sbarre Gazzetta di Parma, 21 dicembre 2013 In due giorni i figli e le mogli di 33 detenuti del carcere di Parma hanno potuto abbracciare i loro cari e pranzare con loro grazie a “Crescere con noi” e “Per ricominciare”. Oggi erano in 15, ieri 18: tanto sono i detenuti del carcere di via Burla che hanno vissuto un paio d’ore di “vita normale” con le loro famiglie a pranzo nel salone del penitenziario. Fra una pizzetta e una fetta di panettone, qualcuno di loro con gli occhi lucidi per l’emozione, hanno potuto conversare con la moglie e giocare con i bambini. Tutto questo grazie a due benemerite associazioni di Parma, “Per ricominciare” (ha organizzato la festa martedì) e “Crescere con noi”, che mercoledì mattina ha trasformato quell’angolo del penitenziario come luogo di festa, grazie ai clown di VIP (Vivere in Positivo), a un ammiccante Babbo Natale con il suo carico di doni e di sogni, ai giochi di Toyland e ai prodotti gastronomici offerti da “Noi di Parma” di Silvano Romani. “Tutti si sono prestati gratuitamente - ha affermato la presidente dell’associazione Layla Cervi - così non abbiamo neppure speso quel che abbiamo raccolto con la manifestazione di Santa Lucia in Ghiaia. Ma nulla andrà sprecato: useremo quei soldi per portare i ragazzi della Oncoematologia Pediatrica in gita sul peschereccio Speranza”. Nell’occasione, anche le istituzioni non hanno voluto mancare di fare sentire la loro vicinanza ai detenuti e alle loro famiglie per Natale: al rinfresco pre-natalizio erano presenti il prefetto Luigi Viana, il sindaco Federico Pizzarotti e l’assessore Cristiano Casa, che ha collaborato alla manifestazione in Ghiaia, oltre alla direttrice del carcere Anna Albano e ai suoi più stretti collaboratori. Il pranzo in via Burla ha ottenuto anche il riconoscimento del Capo dello Stato, che, tramite il Prefetto, ha consegnato a Layla Cervi una medaglia a nome del Presidente della Repubblica, “premio di rappresentanza al pranzo dedicato ai bimbi e alle famiglie dei detenuti”. “Con la nostra presenza - dice il sindaco fra un gioco e l’altro con i bambini e i clown - vogliamo sottolineare la vicinanza alla popolazione carceraria, che non vogliamo dimenticare come parte della comunità, come dimostra il fatto che abbiamo creato la figura del garante dei detenuti. Ma vogliamo anche ringraziare gli agenti di polizia penitenziaria che svolgono un lavoro prezioso e difficile e l’associazione che ha organizzato questa bella iniziativa”. Poi, inevitabile, per chi vive dietro quelle mura, il ritorno alla noia di tutti i giorni, attendendo lo scorrere del tempo: intanto, davanti alle loro celle vedono una alta palizzata che delimita il cantiere per un nuovo padiglione da 200 posti del carcere di massima sicurezza di Parma, prevedibilmente pronto nel 2015. Ma almeno queste due giornate speciali resteranno nel cuore dei 33 padri e mariti che hanno potuto viverle insieme ai loro cari. Oristano: Sdr; i detenuti del secondo e terzo piano non fruiscono dell’apertura delle celle Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2013 “I detenuti del secondo e terzo piano, della sezione A, della Casa Circondariale di Oristano-Massama, non fruiscono dell’apertura delle celle disposta dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con apposita circolare”. Lo affermano in una lettera inviata all’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, 60 cittadini privati della libertà lamentando un atteggiamento discriminatorio nei loro confronti. “Nei due bracci della sezione B invece - è precisato nella missiva - l’apertura delle celle, così come avviene in tante strutture penitenziarie italiane, è garantita”. “Non è la prima volta che l’associazione - precisa Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - riceve segnalazioni relativamente alla gestione dei tempi e degli spazi per la socialità nel nuovo carcere oristanese. Stavolta però non si tratta di qualche detenuto o di qualche suo familiare, ma di un disagio condiviso da un consistente gruppo di persone che non può essere taciuto. L’apertura delle celle otto ore al giorno, secondo la volontà del Ministro Anna Maria Cancellieri fatta propria dal Dipartimento, ha lo scopo di ridurre la condizione afflittiva della pena e favorire la rieducazione. Non si comprende quindi perché non possa essere applicata a entrambe le sezioni. La vita all’interno delle strutture penitenziarie si regge quasi sempre su un equilibrio particolarmente instabile su cui ha un ruolo molto importante la coerenza nella gestione dei diritti. Quelli relativi alla socialità e all’accesso al lavoro sono particolarmente sentiti e valutati dai ristretti in quanto la loro esistenza è incentrata su un numero irrisorio di attività”. “L’auspicio è che la Direzione del Casa Circondariale, sempre attenta nella valutazione delle situazioni delicate, possa intervenire repentinamente per verificare e risolvere la questione. In queste giornate che precedono il Natale, dove la mancanza di rapporti affettivi rende la carcerazione ancora più dura, una revisione delle limitazioni e una maggiore fiducia verso i cittadini privati della libertà dei due bracci della sezione A potrebbe - conclude Caligaris - rendere meno amara la permanenza dietro le sbarre”. Terni: eventi organizzati in occasione delle Festività Natalizie all’interno della Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2013 Domenica 22 dicembre Mons. Ernesto Vecchi, Vescovo Amministratore Apostolico della Diocesi di Terni - Narni- Amelia, verrà in visita in questo istituto. Il programma prevede, alle ore 11.00, la celebrazione della Santa Messa per i detenuti comuni animata dal coro di detenuti e volontari e, subito dopo, la visita ai ristretti dei circuiti speciali (41 bis e alta sicurezza). L’evento proseguirà con l’inaugurazione e la benedizione dell’icona di Santa Bernardette ai piedi della Vergine Maria nella grotta di Lourdes, donata dall’Unitalsi umbra con il contributo della Fondazione Carit e collocata nell’area verde destinata ai colloqui all’aperto con i familiari. Interverranno il presidente della Fondazione Carit, Dr. Mario Fornaci e il presidente dell’Unitalsi di Terni Dr. Raffaele Natini. La visita si concluderà con il pranzo con i detenuti, preparato e servito dagli alunni dell’Istituto Alberghiero Casagrande di Terni, offerto dalla Caritas - San Martino, associazione che opera all’interno dell’ istituto con lo sportello di ascolto e il laboratorio artistico, ai 380 detenuti dell’istituto e consumato da 100 di loro insieme al Vescovo e ai volontari. L’iniziativa è segno della piena appartenenza della comunità dei fedeli detenuti alla più ampia comunità ecclesiale diocesana e testimonia i valori di fratellanza, di amore e di amicizia che animano il volontariato cristiano all’interno della Casa Circondariale. Si chiede di intervenire e di dare risalto alla notizia.