Giustizia: le carceri scoppiano, l’amnistia può attendere di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 dicembre 2013 Nello spazio dove dovrebbero vivere 100 detenuti, nelle carceri italiane ci sono 173 reclusi. Il 26,9% sconta una condanna minore di 3 anni. Un dato che sale tra i soli stranieri al 37,9% e diventa abnorme tra le donne con il 65,4%. È quanto emerge dal X Rapporto nazionale dell’Osservatorio Antigone presentato ieri. Nulla è cambiato rispetto all’estate 2011, quando il presidente Giorgio Napolitano parlò di "prepotente urgenza costituzionale e civile". Marco Pannella è di nuovo in sciopero della fame e della sete, e tra poco sarà a capo della III Marcia di Natale. Ma di amnistia non se ne parla. La "prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile" pesa ancora, due anni e mezzo dopo, come un macigno sulla credibilità dello Stato italiano, come dimostrano i dati dell’Osservatorio Antigone pubblicati ieri nel X Rapporto nazionale sulle carceri. In uno spazio adeguato ad ospitare al massimo100 detenuti ce ne sono 173; uno su quattro è tossicodipendente e uno su cinque è straniero. E a lavorare è solo un recluso su sei. Condizioni disumane e degradanti che producono altro crimine, con la recidiva che schizza al 57%. E morte: dall’inizio dell’anno sono decedute in carcere 99 persone di cui 47 suicidi (23 stranieri) e 28 per cause ancora da accertare. Come nel caso di Alfredo Liotta, morto in una cella del carcere di Cavadonna a Siracusa dopo aver perso 40 chili di peso in tre mesi. "Nell’indifferenza generale", denuncia Antigone. Da quel primo monito di Giorgio Napolitano, dunque, poco o nulla è cambiato, tranne un paio di decreti chiamati erroneamente "svuota carcere" e le ultime - più sostanziali - norme varate dal consiglio dei ministri all’inizio della settimana. E tranne il tempo che ormai volge al termine per l’Italia se vuole evitare di affogare nelle sanzioni europee che potrebbero scattare dal 28 maggio prossimo, termine ultimo imposto dalla Corte Edu di Strasburgo a causa del trattamento riservato nel nostro Paese alle persone recluse. E come nell’estate del 2011, Marco Pannella, da cui il Capo dello Stato attinse allora ispirazione per lanciare il suo primo grido d’allarme sulle condizioni detentive, da qualche giorno è tornato in sciopero della fame e della sete. Tra meno di una settimana sarà pure di nuovo alla testa della Terza Marcia di Natale per l’amnistia e l’indulto indetta dai Radicali: un appuntamento tutt’altro che rituale, molto partecipato anche quest’anno da esponenti politici di tutti gli schieramenti, tranne che da leghisti e grillini, ma che pure non riesce a bucare l’indifferenza politica, e non solo per il "boicottaggio mediatico" lamentato da Pannella. Eppure la presidente della Camera, Laura Boldrini, è ottimista: "Il presidente Napolitano ha fatto un messaggio molto chiaro alle Camere sulla situazione delle carceri. C’è stato un decreto, ci sono dei disegni di legge, credo che arriveremo presto a segnali e fatti concreti ", ha detto ieri rispondendo a chi le chiedeva della possibilità di approvare per tempo un provvedimento di amnistia. In effetti il decreto legge approvato martedì scorso dal Cdm contiene alcune interessanti novità che vanno nella direzione delle riforme strutturali richieste dalla Corte dei diritti umani. Prima tra tutti l’introduzione del collegio del Garante nazionale dei detenuti, una figura richiesta da anni e che ci porta più vicini all’Europa anche se al momento non è prevista copertura finanziaria e rimane qualche dubbio sul fatto che a nominare i suoi componenti sia lo stesso Consiglio dei ministri. Importante è anche la piccola modifica alla legge Fini-Giovanardi che trasforma lo spaccio di lieve entità da circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, punito perciò con pene inferiori (la detenzione massima passa da 6 a 5 anni) e di conseguenza l’immediato affidamento in prova per motivi terapeutici. Lo sconto di pena per la liberazione anticipata, inoltre, passa da 45 a 75 giorni a semestre, ma senza automatismi: a decidere, caso per caso, sarà sempre il magistrato di sorveglianza. Infine, molto rilevante è il provvedimento che permette l’avvio della procedura di identificazione dei detenuti stranieri direttamente in carcere, evitando così l’illegale reclusione degli ex detenuti nei Cie. In questo modo si accelerano anche i provvedimenti di espulsione dei cittadini extracomunitari. E si allunga l’elenco dei reati per cui è previsto il rimpatrio. Misure che però, nell’insieme, sono ritenute insufficienti dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe: "Non chiamateli svuota-carcere - dice il segretario Donato Capece - Saranno infatti pochissimi i detenuti in possesso dei requisiti necessari per uscire dai penitenziari, meno di 3 mila: un numero assolutamente inconsistente rispetto agli oltre 64 mila detenuti oggi presenti in strutture costruite per ospitarne circa 40 mila (in realtà sono 37 mila, secondo i dati di Antigone riconosciuti anche dalla Guardasigilli Annamaria Cancellieri, ndr). E la media degli ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari è circa 1.500 persone". E se il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio definitivo, ricorda Antigone che il 26,9% è recluso per una condanna inferiore a 3 anni. Un dato che sale al 37,9% se si guarda ai soli stranieri, e che diventa abnorme per le donne: il 65,4%. Davanti a questi numeri, il motivo per cui bisogna ancora aspettare per un provvedimento di amnistia e indulto - a parte il no di Renzi - è uno dei tanti imperscrutabili misteri italiani. Giustizia: Antigone; diminuiscono risorse del sistema penitenziario, ma solo per i detenuti Redattore Sociale, 20 dicembre 2013 Decimo rapporto dell’Associazione sulle condizioni di detenzione. I tagli di bilancio non sono lineari: + 12% per il personale nonostante l’Italia abbia uno rapporti agenti-detenuti più anti in Europa. Sovraffollamento al 173%. Sono in costante calo le risorse per il sistema carcere in Italia: dal 2003 a oggi si è passati da un bilancio di 2.970 milioni a uno di 2.783,5 milioni. Ma la mannaia dei tagli si è abbattuta solo su alcune voci di spesa: mantenimento, assistenza, rieducazione, trasporto dei detenuti hanno subito un calo del 47 per cento. In compenso altri capitoli di spesa, come i costi per il personale, hanno registrato un aumento del 12,1 per cento. Lo scrive nero su bianco l’Osservatorio Antigone nel suo decimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia "L’Europa ci guarda" presentato oggi a Roma, a soli due giorni dall’approvazione del nuovo decreto del governo per decongestionare i penitenziari. Mentre i costi lievitano, il personale di polizia penitenziaria cala, perdendo oltre cinquemila unità (da 45.899 nel 2003 a 40.865 nel 2011). Numeri che comunque fanno dell’Italia uno tra i paesi con più polizia penitenziaria in Europa. Secondo Antigone "la vera carenza di personale sta altrove: 1.506 persone tengono in piedi, dagli Uepe sparsi per il paese, il sistema delle misure alternative". Il sovraffollamento. Al 30 novembre 2013 negli istituti di pena italiani erano stipate 64.047 persone, a fronte di una capienza stimata di 47.649 posti e contestata da Antigone, secondo cui i posti effettivi sono 37 mila. Secondo questo calcolo, il tasso di sovraffollamento non è quello ufficiale del 134 per cento, ma è di 173 detenuti ogni 100 posti disponibili, ed è tra più alti in Europa. Liguria, Puglia, Emilia Romagna e Veneto le regioni più sovraffollate. La popolazione detenuta. Circa due terzi dei detenuti sono italiani, un quarto tossicodipendente. Le donne non raggiungono quota tremila e nei 16 asili nido penitenziari ci sono 51 madri con 52 bambini. Poco meno di un terzo delle persone detenute è in custodia cautelare, cioè ancora in attesa di giudizio. In tredicimila devono scontare una condanna inferiore ai tre anni e tra questi circa 2.500 hanno una condanna a meno di un anno. In 28 mila sono alla prima carcerazione. Le misure alternative coinvolgono 21.726 persone. Poco più di tredicimila sono i detenuti impegnati in attività lavorative, di cui la maggioranza alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Sul fronte dell’istruzione, sono stati attivati 953 corsi scolastici e 251 di formazione. I decessi in carcere. Antigone conta 99 morti da inizio anno. 47 i suicidi, in calo rispetto ai 60 del 2012. Il primato delle morti spetta a Roma Rebibbia (11 decessi), seguita da Napoli (6 a Poggioreale e 3 a Secondigliano). Gli Opg. Sono ancora 1.015 le persone internate ad aprile 2013: erano 1.419 due anni prima. "Entro aprile 2014 gli Opg devono essere chiusi. Dovevano essere chiusi lo scorso aprile 2013. Si rischia un nuovo rinvio" avverte Antigone. I minori. Negli istituti penali per i minorenni nel 2012 c’erano 1.252 ragazzi. Il calo registrato, di oltre il 30 per cento dal 1988, è dovuto soprattutto ai minori ingressi di stranieri. Ma i giovani immigrati restano comunque la maggioranza all’interno degli Ipm: nel primo semestre del 2012 erano la metà a Nord Ovest e la maggioranza assoluta a Nord Est e al Centro. Giustizia: a Natale in marcia per chiedere a Cesare l’amnistia, con le parole di Pietro di Rita Bernardini (Segretaria nazionale Radicali italiani) Tempi, 20 dicembre 2013 Uno che il 25 dicembre potrebbe non partecipare, a Roma, alla terza Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia, la libertà, è Lucio Bertè. Bertè abita a Milano. Qualche giorno prima della festa di sant’Ambrogio è venuto a Roma per far sapere a Papa Francesco che, nel capoluogo lombardo, sull’antico cimitero dei primi martiri cristiani è stato costruito, nonostante le mozioni contrarie del Consiglio comunale di Milano e della Regione, un volgare parcheggio. Senza forcone, ma in sciopero della fame e indossando un cartello giallo, Lucio Berte ha sostato per alcuni giorni e notti ai margini di piazza San Pietro, chiedendo solo di poter consegnare una lettera al Papa. La questura di Roma gli ha consegnato il foglio di via, a firma del questore Fulvio Della Rocca, ingiungendogli di non rimettere piede nella capitale per due anni. C’è da rimanere basiti. Ecco come Lucio Bertè viene descritto: "Nel comune di Roma non ha fissa dimora e non vi svolge alcuna attività lavorativa, si presume che qui si trattenga al solo scopo di commettere azioni che mettano in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica". Sì, essendo residente a Milano Bertè non ha fissa dimora a Roma e, essendo pensionato, non svolge attività lavorativa né a Roma né a Milano. Un criminale, insomma. Che sia un ex consigliere regionale lombardo, l’unico - a quel che mi risulta - a non riscuotere vitalizi, e un radicale che da una vita si batte per i diritti umani, al questore di Roma non interessa. Un’identità, armata solo di nonviolenza, cancellata da un foglio di via. Lucio Bertè, ne sono convinta, è uno che piacerebbe a papa Francesco, perché con la sua azione rivolge un richiamo alla Chiesa dei poveri, della nonviolenza e della parola. La sua vicenda ci richiama al significato della imminente terza Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia, la libertà. Il 25 dicembre partiremo da San Pietro, anzi - come direbbe Marco Pannella - da "Pietro", per arrivare a "Cesare", alla sede del governo. Sì, perché papa Francesco non solo ha pronunciato sulle carceri parole che ci hanno colpito: "Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, il suo amore paterno e materno arriva dappertutto", ma, nello Stato del Vaticano, ha abrogato l’ergastolo e introdotto il reato di tortura, cosa che di qua dal Tevere siamo molto lontani dal fare. Certo, anche in Italia abbiamo avuto parole importanti come il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, o quelle pronunciate dalla guardasigilli Annamaria Cancellieri secondo la quale "l’amnistia è un imperativo categorico morale". Ma ora occorre che queste parole siano concretizzate, consentendo allo Stato italiano di uscire dalla condizione di "sorvegliato speciale" da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per i trattamenti "inumani e degradanti" che riserva ai detenuti, e per l’irragionevole durata dei processi con il portato di milioni di procedimenti penali e civili pendenti, che distruggono il tessuto democratico, sociale e civile del nostro paese. Chi camminerà con noi La Marcia attraverserà tutte le sedi istituzionali del centro e si concluderà dinanzi a Palazzo Chigi, in piazza della Colonna Antonina. Forti delle parole di Pietro, chiediamo a Cesare, al governo, di attivarsi urgentemente nei confronti del Parlamento che fino ad oggi ha taciuto sul messaggio del presidente Napolitano. Il giorno di Natale, don Antonio Mazzi e don Luigi Ciotti marceranno con i familiari dei detenuti e gli ex detenuti, con Marco Pannella, Emma Bonino, Luigi Amicone, Enrico Sbriglia, cappellani e direttori dei penitenziari, i parlamentari Luigi Manconi, Mario Marazziti, Sandro Gozi, Luigi Compagna, Nitto Palma, Roberto Giachetti, Lucio Barani, Felice Casson, Franco Marini, i sindacati degli agenti penitenziari Uilpa, Osapp e Snalpe, la Comunità di Sant’Egidio, l’Associazione Antigone, il Detenuto Ignoto, L’Unione delle Camere penali italiane, la Conferenza nazionale Volontariato Giustizia, la Lega italiana per i Diritti dell’uomo, la Nazionale italiana cantanti, il Partito Radicale e i cittadini democratici che hanno a cuore la democrazia e che sanno che non c’è pace senza giustizia. Ho un presentimento: anche il vietato Lucio Bertè troverà un modo per marciare con noi. È il caso di dirlo? Le vie del Signore sono infinite. Papa Francesco più avanti di noi, ha abolito ergastolo e introdotto reato tortura "Questa volta partiamo da San Pietro perché abbiamo avuto un Papa che non solo ha detto parole importanti sulle carceri ma ha fatto anche qualcosa di concreto: ha abolito l’ergastolo - mentre noi lo abbiamo ancora nel nostro ordinamento - e ha introdotto nell’ordinamento dello Stato del Vaticano il reato di tortura - noi in Italia ancora non lo abbiamo fatto". Così Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani, nella conferenza stampa di presentazione della III Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà. "L’arrivo è a Palazzo Chigi perché intendiamo chiedere al Governo di svolgere un ruolo attivo nei confronti di un Parlamento, che sembra aver lasciato cadere nel vuoto il messaggio di Napolitano dell’8 ottobre alle Camere. Da allora sono passati oltre due mesi e come hanno agito Camera e Senato? Forse anche con uno sgarbo istituzionale, non è seguito in Parlamento alcun dibattito. Dunque il nostro interlocutore principale è ora il Governo: d’altra parte, a giugno, era stata proprio la guardasigilli Cancellieri a dire "L’amnistia è imperativo categorico morale. Dobbiamo rispettare la Costituzione". Giustizia: Pannella in sciopero fame per l’amnistia, Marcia di Natale parte da San Pietro Ansa, 20 dicembre 2013 Il 25 dicembre la III Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e la libertà indetta dai radicali attraverserà il centro di Roma con partenza da San Pietro (Piazza Pia) alle ore 10:00, e arrivo a Palazzo Chigi. L’obiettivo è quello di chiedere al Parlamento di approvare un provvedimento di amnistia. Un "obbligo" secondo il leader radicale, Marco Pannella, cui l’Italia non può sottrarsi in ragione della sentenza Torreggiani con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fissato al 28 maggio 2014 il termine ultimo entro il quale il nostro Paese deve porre fine al "trattamento inumano e degradante" delle persone detenute nelle carceri. L’amnistia secondo Pannella è anche un provvedimento strutturale: "Liberare le scrivanie dei magistrati dai 10 milioni di processi pendenti è la condizione preliminare per ogni tipo di intervento". Dalla mezzanotte del 17 dicembre Marco Pannella è di nuovo in sciopero della fame per richiamare l’attenzione sull’iniziativa contro il persistere di quello che definisce un vero e proprio "boicottaggio mediatico". "Il Presidente della Repubblica - conclude Pannella - ha detto che quello delle carceri è un problema che non si può trascurare nemmeno per un giorno, ma come dimostrano le notizie che ogni giorno ci giungono dalle carceri - da ultimo il suicidio- omicidio di un agente e un ispettore di polizia penitenziaria nel carcere di Torino - qui si trascura per anni". Il Sindaco di Roma Marino parteciperà a Marcia Radicali "Ringrazio davvero, in un modo molto sentito Marco Pannella e tutti i radicali per il loro instancabile impegno a favore dei diritti umani e a favore della legalità. Sono felice che Roma ospiti questa Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà. È una iniziativa importante che da sindaco sostengo con convinzione, e quindi ho deciso di partecipare". Lo ha detto il sindaco di Roma Ignazio Marino, intervistato da Radio Radicale sulla Marcia per l’amnistia promossa dai Radicali nel giorno di Natale. Porterà il gonfalone del Comune? "Questo non posso farlo, dovrei avere un voto del Consiglio comunale, perché il gonfalone rappresenta tutto il Comune", ha replicato il sindaco, che ha aggiunto: "Ma la presenza mia come sindaco, e sicuramente anche di altri consiglieri comunali e di membri della giunta, penso sia rappresentativa del pensiero di questa città nei confronti di una emergenza che davvero deve trovare soluzione". "Queste carceri - ha avvertito Marino - non sono degne di un Paese civile, all’interno delle carceri viviamo una condizione di illegalità che va sanata anche con misure straordinarie". Sul Pd e la sua linea sul tema (Renzi è contrario all’amnistia), Marino ha detto: "Io non posso rispondere al posto di Renzi, ma posso rispondere spiegando il pensiero di Marino: io non ho nulla in contrario ad un provvedimento di amnistia e indulto, e penso anche che bisognerebbe cancellare le norme su droga e immigrazione che continuano a portare in carcere le persone". Boldrini (Camera): sull’amnistia presto segnali e fatti concreti "Il presidente Giorgio Napolitano ha fatto un messaggio molto chiaro alle Camere sulla situazione delle carceri. C’è stato un decreto, ci sono dei disegni di legge, credo che arriveremo presto a segnali e fatti concreti". Così la presidente della Camera Laura Boldrini ha risposto, durante un incontro con la stampa parlamentare, a una domanda sulla possibilità di giungere a un provvedimento di clemenza, a un’amnistia. Polverini (Fi): condizioni carceri nel nostro Paese disastrose "Stamattina ho visitato la casa circondariale di Civitavecchia per consegnare ai detenuti ed al personale della polizia penitenziaria 800 panettoni acquistati grazie ai Club Forza Silvio della provincia nord di Roma. Si è trattato di un’iniziativa scaturita anche dalla sollecitazione arrivata dal Presidente Silvio Berlusconi che vuole impegnare il Partito in attività di solidarietà soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo vivendo". Lo afferma Renata Polverini, deputato di FI. "Un gesto di attenzione - prosegue - può lasciare un segno importante le condizioni delle carceri in Italia sono disastrose, ma si possono fare tante cose pur avendo poche disponibilità finanziarie. Essere qui significa anche continuare nel mio impegno sulla grave situazione carceraria che ho sempre seguito, con grande attenzione, sin dalla mia presidenza alla Regione Lazio". Giustizia: la Cancellieri; l’amnistia è il volano essenziale per superare l’emergenza carceri Agi, 20 dicembre 2013 "Sono fermamente convinta che, in questo contesto contraddistinto da importanti riforme, l’eventuale adozione di misure straordinarie di clemenza possa rappresentare un essenziale volano per giungere ad un vero e profondo cambiamento del sistema detentivo e al definitivo superamento della situazione di sovraffollamento". Lo scrive il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, in una lettera inviata al presidente dei Radicali italiani, Laura Arcioni. "La testimonianza più alta della bontà di un siffatto intervento, in un momento caratterizzato da significative progettualità innovatrici, è certamente costituita - ricorda Cancellieri - dal messaggio che il Presidente della Repubblica ha voluto inviare alle Camere". Sin dai "primi momenti in cui ho avuto l’onore di essere chiamata a svolgere il ruolo di ministro della Giustizia - assicura il Guardasigilli - ho avvertito, anche da un punto di vista morale, la necessità di riservare una particolare attenzione alla questione carceraria, in quanto ritengo che le condizioni in cui si trovano a vivere la maggior parte dei detenuti non siano degne di un Paese civile". L’auspicata approvazione da parte del Parlamento di un provvedimento di amnistia e indulto, secondo Cancellieri, "consentirebbe di anticipare alcuni effetti urgenti delle riforme in campo, potenziandone in maniera esponenziale l’efficacia complessiva, e creerebbe un miglior contesto ambientale per il loro sviluppo: del resto - osserva il ministro - la significativa riduzione della popolazione detenuta, conseguente all’adozione di un provvedimento di clemenza, contribuirebbe in modo determinante a garantire che il sistema penitenziario nel suo complesso recuperi le necessarie condizioni di funzionalità nonché ad assicurare la migliore cornice possibile per l’implementazione di un nuovo modello trattamentale, su cui stiamo già lavorando, che esalti, finalmente, le finalità rieducative e di risocializzazione della pena". Infine, "non vanno sottaciute - conclude Cancellieri - le ricadute positive di un intervento di clemenza sull’efficienza degli uffici giudiziari, in quanto l’ovvia riduzione, per reati di minimo disvalore sociale, dei carichi pendenti, con una contrazione stimata di circa un terzo di cause, consentirebbe una razionalizzazione dell’intera macchina giudiziaria". Giustizia: Morani (Pd); dalla Cancellieri risposte timide per affrontare l’emergenza carceri intervista a cura di Liana Milella La Repubblica, 20 dicembre 2013 La nuova responsabile Giustizia del Pd Alessia Morani, renziana doc, punta i piedi e chiede che nel dl entri la custodia cautelare. Un’altra evasione a Pescara, dopo Genova, mentre il governo vara il dl svuota-carceri. Non è una contraddizione? "Sono episodi su cui il ministro deve fare assolutamente chiarezza. La politica dei permessi è positiva, ma bisogna sempre valutare caso per caso e individuare modalità di controllo che garantiscano dalla fuga. Sul braccialetto elettronico siamo clamorosamente in ritardo. In altri paesi è usato da tempo con buoni risultati". A palazzo Chigi si è molto litigato sul dl. A lei il piace? "In parte sì, ma Cancellieri avrebbe dovuto avere più coraggio vista l’emergenza nelle carceri per cui Napolitano ha mandato il suo unico messaggio alle Camere". Perché, cosa manca? "Le risposte del ministro sono inadeguate. Io sarei partita dalla riforma della carcerazione preventiva, visto che il 40% dei detenuti è in custodia cautelare. È un principio di civiltà giuridica dare la priorità a chi non è stato ancora dichiarato colpevole, piuttosto che a un condannato definitivo. Anche sulla Fini-Giovanardi e il reato di piccolo spaccio c’è stata troppa timidezza. Anziché da 1 a 5 anni, io sarei calata almeno a 4 per agganciare i vantaggi della messa in prova". Come Alfano, vorrebbe inserire nel dl anche il ddl Ferranti? "Sì, ma - sia chiaro - senza mettere lì dentro niente che possa essere utile ad ex senatori eccellenti". Parla della norma per evitare l’arresto degli over 75 su cui punta Forza Italia? "Se dovessero solo provare a presentarla, troverebbero un Pd compatto nel respingerla al mittente". Parliamo del ministro invece. Durante il caso Ligresti, proprio lei ha chiesto le dimissioni. Oggi lo rifarebbe? "Per noi quel caso è chiuso, ma rimane l’ombra di un rapporto coni membri di una famiglia finita troppe volte sotto processo". S’è detto che Renzi, da segretario, avrebbe chiesto un rimpasto e la sostituzione di Cancellieri. Ora che succede? "Il segretario valuterà con il premier se ci sono ancorale condizioni per mantenere la stessa compagine di governo". Scusi, ma non è che siete duri con Cancellieri e poi con le manette più difficili fate un favore a Berlusconi? "Cominciamo col dire che anche io ho delle perplessità su quella norma. Ne ho già parlato con la presidente Ferranti che è disponibile a discutere. Col testo attuale abbiamo ristretto troppo i margini di discrezionalità del magistrato. Questo certamente non va bene, perché potremmo trovarci di fronte al caso di una persona che non viene arrestata e magari poi scappa o commette di nuovo lo stesso reato o peggio inquina le prove". L’Anm può stare tranquilla? "Sì, perché il nostro obiettivo è riformare la custodia cautelare in modo equilibrato, ma senza mettere a rischio la sicurezza dei cittadini". Non state salvando Berlusconi da un ipotetico arresto? "Ci piace pensare che sia un cittadino come gli altri e che riceverà esattamente lo stesso trattamento che sarà riservata alla gente comune. È finitala stagione delle leggi ad personam. Vogliamo inaugurare quella delle leggi per tutti". Però gli alfaniani come Costa giudicano il ddl sulla custodia troppo morbido... "Invece io sono convinta che va già bene, ma che le perplessità dell’Anm vanno tenute in debito conto". Giustizia: la Cancellieri e l’Operazione Braccialetto… di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 20 dicembre 2013 Il senso del ministro Cancellieri per i braccialetti elettronici sta in otto parole: "Salvo che il giudice non li ritenga non necessari". Poche sillabe che spuntano dal decreto del governo sulle carceri di tre giorni fa, e che rendono prassi i braccialetti per i detenuti agli arresti domiciliari. Prima applicarli era rimesso alla discrezionalità del giudice ("se lo ritiene necessario"): d’ora in poi sarà la normalità, salvo casi eccezionali, da giustificare. Così prevede il testo (non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale) fortemente voluto dalla Guardasigilli. Nonostante una storia di fallimenti, segnata da oltre 80 milioni di soldi pubblici spesi in otto anni per 14 bracciali funzionanti (sì, 14). E nonostante due sentenze, che hanno bocciato la convenzione da 521 milioni tra Telecom e Viminale su braccialetti e servizi di telefonia fissa e mobile, rimandando però l’ultima parola alla Corte di Giustizia europea. È in bilico, il maxi appalto assegnato all’azienda nel 2011 proprio dall’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri: senza bando. E un bel pezzo della torta sono i 9 milioni e mezzo annui per i braccialetti elettronici. Eppure il ministro insiste, anzi rilancia su quei "mezzi di controllo" che dovrebbero aiutare a svuotare le carceri, ma che finora sono stati solo l’ennesimo affluente al fiume di sprechi dello Stato. La linea: "Co sto s i , ma da provare" Due giorni fa, a Radio24 , il ministro ha ribadito la sua linea: "Con il decreto si è cercato di dare la possibilità di usare di più il braccialetto elettronico. È costoso, ma Inghilterra se ne fa un uso incredibile, così come in Francia e in Spagna. E poi Strasburgo ci chiede di adoperarlo. Proviamoci, poi se non sarà necessario bisognerà dire che non vanno, ma qualcuno dovrà assumersi questa responsabilità". Parole nette, quasi impazienti. Attualmente i braccialetti elettronici disponibili sono 2000, in uso circa una cinquantina. Non piacciono granché ai magistrati, questi dispositivi. Uno dei motivi, a sentire poliziotti e giudici, è la mancanza del Gps (ma ultimamente qualcuno ne sarebbe stato dotato). Tradotto: se il detenuto scappa da casa, non è possibile localizzarlo. C’è anche chi parla di problema culturale. La certezza è che i braccialetti sono un lusso, anzi uno spreco. Il primo a ordinarne la sperimentazione, nel 2001, fu il ministro dell’Interno Enzo Bianco. Poi, nel 2003, la convenzione tra Viminale e Telecom: 81 milioni, tra costo dell’attivazione e canone annuo, per 400 braccialetti e tutti i servizi annessi. Almeno sulla carta, perché in realtà di dispositivi ne entrano in funzione solo 14. Un flop rumoroso. Eppure, a fine 2011, il neo ministro Cancellieri rinnova ugualmente la convenzione con Telecom, fino al 2018. O meglio, inserisce la fornitura di 2000 braccialetti nell’appalto da 521 milioni. All’azienda viene affidato tutto: dai servizi di telefonia alla trasmissione dati e alla videosorveglianza. Fino, appunto, ai braccialetti. Pochi giorni dopo, il vicecapo di Polizia Francesco Cirillo parla così in un’audizione alla Camera: "Se fossimo andati da Bulgari per i braccialetti avremmo speso di meno: per di più non hanno il Gps, sono grandetti e ingombrantucci". Nel frattempo Fastweb fa ricorso contro l’appalto a Telecom, basandosi sulle normative europee: un servizio di quelle dimensioni, sostiene, va assegnato con un bando, e di solito viene diviso in lotti. Nel giugno 2012, il Tar dà ragione a Fastweb e annulla la convenzione, prorogandone però l’efficacia fino al 31 dicembre 2013 "per non interrompere i delicati servizi oggetto di affidamento" vie, soprattutto, per "prevedere tempi adeguati per garantire una eventuale migrazione degli stessi ad altro fornitore". Insomma, il Viminale, cioè la Cancellieri, dovrebbe emanare un bando. Ma non si muove nulla. Nel frattempo (settembre 2012) in Telecom viene nominato un nuovo responsabile della Direzione Administrative, Finance and control. Si chiama Piergiorgio Peluso, ed è figlio di Annamaria Cancellieri. Arriva dalla Fonsai della famiglia Ligresti. Intanto i braccialetti elettronici rimangono in larghissima parte inutilizzati. Corte dei Conti: "Spesa sbagliata" A muoversi sono solo i giudici. La Corte dei Conti boccia il rinnovo della convenzione: "Ri - guardo ai braccialetti elettronici è stata reiterata una spesa antieconomica ed inefficace, che avrebbe dovuto essere oggetto, prima della nuova stipula, di un approfondito esame". Nel gennaio 2013 il Consiglio di Stato respinge il ricorso di Telecom contro la sentenza del Tar sulla convenzione. Ma demanda la decisione finale sulla sua efficacia alla Corte di Giustizia europea. Cambia l’inquilino al Viminale: il nuovo titolare è Angelino Alfano. Ma l’inerzia rimane: neppure l’ombra di bandi. La scorsa estate, Cinque Stelle presenta un’interrogazione alla Camera in Senato, nella quale critica "le spese folli per i braccialetti elettronici targati Telecom, dove è dirigente il figlio del ministro", e in cui invita la Cancellieri a "dirimere tutti i possibili dubbi circa eventuali conflitti di interessi in capo ai vertici dell’esecutivo". La Guardasigilli si batte per un decreto svuota carceri: emanato in agosto, si rivela presto ininfluente. Il Viminale invece si muove sulla convenzione con Telecom. Ma non per indire una nuova gara. Al contrario, chiede al Consiglio di Stato di prorogare l’efficacia dell’accordo con Telecom oltre il 31 dicembre. Richiesta accettata. La convenzione rimarrà in vigore fino alla decisione della Corte europea, ma in cambio il giudice amministrativo impone al Viminale e all’azienda di versare a Fastweb una cauzione di 26 milioni (il 5 per cento dell’affare). Telecom chiede una sospensiva. Ieri il Consiglio di Stato l’avrebbe respinta. Il 17 dicembre è il giorno del (nuovo) decreto sulle carceri. Nel primo comma, le otto parole che cambiano l’articolo 275 bis del codice di procedura penale, allargando l’utilizzo dei braccialetti elettronici. Il Fatto ne avrebbe voluto discutere con il ministro. Il suo portavoce ha chiesto domande scritte: sono state inviate, ma nessuna risposta. Proprio come Report, che nella scorsa puntata chiedeva lumi sui braccialetti elettronici. La convenzione intanto rimane lì. "La sentenza della Corte europea potrebbe arrivare anche tra un anno" spiega un avvocato. Giustizia: più facili espulsioni detenuti stranieri, abbassato limite pena per piccolo spaccio di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 20 dicembre 2013 Il decreto-carceri anticipa i tempi della procedura di identificazione. Esclusa la necessità di passaggio dai Cie. Dal momento dell’entrata in vigore, che sarà immediata, scatterà il limite di pena per il piccolo spaccio e diventerà più agevole l’identificazione degli stranieri extracomunitari destinatari di un eventuale provvedimento di espulsione. Sono questi due degli elementi del decreto legge approvato martedì dal Consiglio dei ministri che saranno subito operativi. A confermarlo lo stesso ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che, intervenendo ieri a Rai Radio, ha messo l’accento, tra l’altro, su queste due misure strutturali per affrontare l’emergenza carceri. Con la prima misura, quella dedicata al piccolo spaccio, il decreto rivede una parte del Testo unico sulla droga, stabilendo una diminuzione della pena massima per il reato di detenzione e traffico di lieve entità: in questo caso la pena potrà essere compresa tra un minimo di 1 anno e un massimo di 5 (al posto del precedente tetto di 6) e da una multa tra 3.000 e 26.000 euro. La modifica è stata introdotta, spiega la Giustizia, perché, per ipotesi minori di spaccio, si arrivava spesso a pene molto alte anche per effetto del bilanciamento delle circostanze. Tuttavia, la norma non impedisce l’arresto e l’applicazione di misure cautelari. Nella direzione di alleggerire le carceri, proponendo strade alternative e più efficaci per alcune categorie di detenuti, il decreto legge interviene sulle condizioni per l’affidamento terapeutico del condannato tossicodipendente ampliando le ipotesi di concessione anche ai casi di precedenti violazioni (come indicato dalla Corte Costituzionale). Nessun automatismo però, visto che i vari casi di concessione continuano ad essere sottoposti a valutazione dell’autorità giudiziaria. Sui detenuti non appartenenti all’Unione europea il decreto interviene da una parte per estendere le possibilità di espulsione. Sinora vietata per i reati previsti dal testo unico, adesso diventa possibile per quei reati della Bossi Fini che sono al di sotto del limite di pena di 2 anni e per alcune fattispecie di rapina e di estorsione. Inoltre, sottolinea ancora il decreto legge, nel caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l’espulsione scatterà anche quando è già stata scontata la parte di pena relativa alla condanna per i reati che non la permettono. Anche queste misure dovrebbero contribuire a un parziale svuotamento degli istituti di pena, tenuto conto che al 30 luglio 2013 su 22.182 detenuti stranieri (circa un terzo del totale) ben 18.000 erano extracomunitari. Sulla procedura di identificazione, la nuova versione del Testo Unico stabilisce che, nel caso in cui è possibile procedere all’espulsione, al momento dell’ingresso in carcere del cittadino straniero, la direzione del carcere richiede al questore le informazioni disponibili sull’identità e nazionalità della persona interessata. In queste situazioni, il questore avvia la procedura di identificazione coinvolgendo le autorità diplomatiche e procedendo successivamente all’espulsione dei cittadini stranieri identificati. Quanto alla procedura, a meno che il questore segnali che non è stato possibile effettuare l’identificazione dello straniero, la direzione dell’istituto penitenziario trasmette gli atti utili per l’adozione del provvedimento di espulsione al magistrato di sorveglianza competente. Quest’ultimo poi decide con decreto "senza formalità"; il decreto è poi comunicato al pubblico ministero, allo straniero e al suo difensore che possono proporre opposizione davanti al tribunale di sorveglianza entro 10 giorni. L’anticipazione delle procedure di identificazione dovrebbe permettere, nelle intenzioni del ministero della Giustizia, di evitare il transito dal carcere al Cie, mettendo a regime su tutto il territorio nazionale quanto oggi previsto a livello sperimentale solo a Milano e Brescia. Giustizia: Sappe; con decreto Governo usciranno pochi detenuti, il sovraffollamento resta Ansa, 20 dicembre 2013 "Immaginare effetti salvifici per il sistema penitenziario nazionale dal decreto-legge varato dal Governo vuol dire nascondere la testa sotto la sabbia rispetto all’emergenza carceri. Saranno infatti pochissimi i detenuti in possesso dei requisiti necessari per uscire dai penitenziari, meno di 3mila, un numero assolutamente inconsistente rispetto agli oltre 64mila detenuti oggi presenti in strutture costruite per ospitarne circa 40mila. E la media degli ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari è circa 1.500 persone". Lo afferma in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). "Ogni tanto si varano provvedimenti che impropriamente si definiscono svuota-carceri - prosegue Capece - ma la realtà è che la situazione di affollamento dei penitenziari è sempre drammaticamente grave, a tutto danno del lavoro dei poliziotti penitenziari. Basta un dato: il 31 dicembre 2009 i detenuti erano 64.791 e, nonostante tre leggi presunte "svuota-carceri" i detenuti sono 64.047, lo scorso 30 novembre 2013. E il Parlamento, su questo scandalo delle sovraffollate carceri italiane nelle quali il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, ignora persino l’autorevole messaggio alle Camere del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso. Noi ribadiamo di non credere che amnistia e indulto, da soli, possano risolvere le criticità del settore carceri. Quello che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena. La realtà oggettiva è che le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E neppure la vigilanza dinamica, voluta dai vertici dell’amministrazione penitenziaria, ha migliorato la situazione". Giustizia: Aiga; bene decreto-carceri e braccialetto elettronico, ma serve una riforma vera 9Colonne, 20 dicembre 2013 "Siamo confortati dalla sensibilità mostrata dal Governo per il problema del sovraffollamento carcerario, ma non è più rinviabile una riforma organica di tutto il sistema penale, sia sostanziale che processuale. Certamente positiva appare la rivisitazione degli istituti della liberazione anticipata, che contempla un aumento dello sconto di pena per buona condotta da 45 a 75 giorni per ogni 6 mesi di detenzione". Lo afferma la presidente Nicoletta Giorgi dei Giovani Avvocati di Aiga in merito al decreto legge sulle carceri. Aiga promuove anche la scelta di un maggiore utilizzo del braccialetto elettronico: "Uno strumento - commenta Giorgi - oggi esistente solo sulla carta, che può essere utilizzato solo per chi è agli arresti domiciliari. La novità, invece, è l’applicazione esterna per l’affidamento in prova, permessi, lavoro esterno. Riteniamo che l’allargamento del suo utilizzo anche per le misure alternative alla detenzione vada letta anche come un incentivo ad adottarla per i magistrati che finora l’hanno applicata poco e che da ora in avanti avranno l’obbligo di motivare il diniego all’utilizzo ritenendo il soggetto troppo pericoloso. Anche i correttivi all’istituto dell’affidamento in prova con l’innalzamento del tetto di pena da scontare da tre a quattro anni, rappresenta un ulteriore passo avanti nel segno dalla funzione rieducativa della pena". Giudizio positivo anche per l’affido terapeutico dei tossicodipendenti e sull’istituzione del Garante nazionale dei detenuti. Giustizia: Cappellano di Regina Coeli; bene il decreto che istituisce il Garante nazionale Intervista a cura di Francesco Rossi www.romasette.it, 20 dicembre 2013 Il cappellano di Regina Coeli padre Vittorio Trani analizza le novità del dispositivo approvato dal Consiglio dei ministri: "La priorità è ridurre il numero dei detenuti, riservando la detenzione a reati molto gravi". Carceri meno sovraffollate, con l’adozione di misure alternative quando possibile - tra cui l’uso dei braccialetti elettronici -, e un garante nazionale dei diritti delle persone detenute. Parte da questi presupposti il decreto legge varato mercoledì 18 dicembre dal Consiglio dei ministri, che entro 60 giorni dovrà essere approvato da entrambi i rami del Parlamento se si vuol dare un futuro a queste misure. Al riguardo il Sir ha interpellato il francescano padre Vittorio Trani, da 35 anni cappellano del carcere romano di Regina Coeli. "Speriamo che questo decreto venga tramutato in una linea fatta di scelte concrete e condivise", esordisce Trani, convinto che "se il carcere funziona a trarne beneficio è tutta la società". Qual è, a suo avviso, l’emergenza maggiore all’interno del carcere? La prima priorità è ridurre il numero dei detenuti, per consentire una gestione che altrimenti finisce per essere compromessa. La pena detentiva da scontare dietro le sbarre andrebbe riservata ai reati molto gravi. Per il resto bisogna essere capaci di utilizzare quegli strumenti che già la legge prevede in alternativa alla detenzione: ad esempio i tossicodipendenti potrebbero andare in strutture che possano aiutare, invece di finire dietro le sbarre. L’uso "leggero" della carcerazione appesantisce terribilmente e fa vivere drammi alle persone. Dal suo osservatorio, qual è l’identikit del detenuto? La carcerazione è effettivamente commisurata alla gravità del reato? Direi che rischia di più la persona meno protetta in termini di visibilità, risorse, sostegno. In una vicenda giudiziaria chi si può permettere una buona assistenza legale magari si trova più avvantaggiato… Chi ha meno risorse dal punto di vista economico, oppure è privo di sostegno - come tanti ragazzi che finiscono in carcere senza avere nessuno che li aiuti - è senz’altro la parte debole di questo sistema, che non ha attenzione per la persona. Fra gli strumenti menzionati nel decreto legge vi è il braccialetto elettronico. È uno strumento utile, che potrà veramente trovare applicazione? Forse finalmente si smetterà di buttare via soldi: da anni, infatti, si pagano milioni di euro a Telecom per un accordo sottoscritto proprio per l’utilizzo dei braccialetti elettronici, e poi non li si usano. Perché finora è stata una risorsa pagata ma non utilizzata? C’è un meccanismo farraginoso per farvi ricorso, con tutta una serie di adempimenti che finisce per scoraggiarne l’uso. Bisogna snellire le prassi. È una questione di burocrazia, ma pure di mentalità: il braccialetto elettronico non è entrato nella nostra cultura, ci sono resistenze a tutti i livelli. Poc’anzi parlava dei tossicodipendenti. Il decreto prevede per loro l’affido terapeutico in comunità di recupero. Bisogna porsi in un atteggiamento diverso: il tossicodipendente ha perso la sua capacità di autodeterminarsi, si trova in balia di queste sostanze, va aiutato. Per cui, oltre a punire il reato, bisogna individuare la soluzione più idonea per "liberare" questa persona dal dominio delle droghe. In questi casi il grande problema è la situazione complessiva che il reato compiuto rivela. Penso quindi che la comunità sia una risposta che va nella giusta direzione: il carcere non educa e non aiuta. Il decreto legge prevede tra l’altro l’istituzione di un garante dei detenuti. È effettivamente necessario e quale può essere la sua funzione? Se le strutture funzionano sono positive, ma se si appiattiscono finiscono per essere doppioni di altre realtà già presenti. Servono buon senso e responsabilità: il garante in un certo modo s’inserisce per supplire la non funzionalità del giudice di sorveglianza. Plaudo al fatto che ci sia gente pronta a prendere sul serio queste tematiche e speriamo che non diventi un mero ufficio burocratico, senza la necessaria funzionalità per aiutare le carceri. Giustizia: Cardinale Bagnasco ai politici "disoccupati e carceri sono emergenze del Paese" www.genova24.it, 20 dicembre 2013 Le fasce deboli della popolazione, come poveri e disoccupati, aspettano risposte "urgenti" dalla politica che, chiamata a grandi "responsabilità", non può voltare lo sguardo da un altro grave dramma del Paese, la condizione "penosa" in cui versano i detenuti nelle carceri, sempre più "strutture inadeguate" per una giusta riabilitazione. In vista del Natale il presidente della Cei, il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, incontra i politici nella messa in Santa Maria sopra Minerva. E l’appuntamento non può che trasformarsi in un’occasione per rivolgere un monito ai responsabili della cosa pubblica e per tirare le fila dell’anno trascorso, che si avvia alla conclusione segnato dall’episodio di Lampedusa, con i migranti disinfestati dalla scabbia, suscitando "un senso profondo di dolore e vergogna". "Mai più!", scandisce Bagnasco. Nella chiesa dietro al Pantheon i banchi si riempiono alla spicciolata. C’è la presidente della Camera, Laura Boldrini, ci sono Rosy Bindi, Paola Binetti, Pierferdinando Casini, Maurizio Sacconi, Ernesto Preziosi, l’ex ministro Renato Balduzzi, Edoardo Patriarca, Carlo Giovanardi, Franco Carraro. Le imprese, i giovani che "bussano invano alla porta del lavoro", i disoccupati, gli anziani e i poveri del Paese aspettano "risposte urgenti e decisive dal mondo della politica", ammonisce nell’omelia il presidente della Cei, indicando l’esempio "di servizio" di papa Francesco che richiama anche la politica alla sua "responsabilità" e a costruire "insieme la casa comune dove tutti - specialmente i poveri e i deboli - possano trovare giustizia e solidarietà". Come vescovi, sottolinea quindi il porporato rivolgendo un altro appello, "non possiamo non richiamare l’attenzione" verso "i detenuti" che versano in "condizioni precarie e penose dovute al sovraffollamento" in "strutture spesso inadeguate per una corretta e doverosa riabilitazione in vista del reinserimento nella società". Anche qui un pressante richiamo a un tema più volte sollevato dalla conferenza episcopale. "Un sano orgoglio - esorta quindi Bagnasco - deve diffondersi, ed ispirare a tutti i livelli atteggiamenti di fiducia e comportamenti non disfattisti di snellimento burocratico, di miglioramento di sistema, di intrapresa lavorativa". Giustizia: "Nessuno tocchi Caino", sono aumentati Stati che ricorrono alla pena di morte Ansa, 20 dicembre 2013 "Sono sempre di più i paesi cosiddetti democratici che fanno un passo indietro e ricorrono alla pena di morte: nel 2011 erano in due ovvero Usa e Taiwan, nel 2012 sono stati in cinque e quest’anno sei". Così Sergio D’Elia, segretario dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, all’apertura del Congresso tenutosi oggi pomeriggio nella casa di reclusione di Padova. "No alla pena di morte, No alla morte per pena" il titolo della due giorni, cui domani parteciperanno il ministro di Giustizia Annamaria Cancellieri e Marco Pannella. "Non basta abolire la pena di morte - ha aggiunto - serve anche che lo Stato non diventi il Caino a seguito di suicidi, morti per malattia o "fine pena mai"". Il direttore del carcere di Padova, Salvatore Pirruccio ha citato ad esempio lo Stato Vaticano che ha recentemente abolito l’ergastolo e ha poi aggiunto che il "fine pena mai è incostituzionale e incompatibile con l’ordinamento che vede nel carcere una struttura finalizzata alla rieducazione". Giustizia: proseguono le polemiche dopo l’evasione del serial killer Bartolomeo Gagliano Ansa, 20 dicembre 2013 Giudici, sociopatia portò a dichiarazione incapacità intendere Sociopatico, narciso, convinto di essere "qualcuno". È questo il disturbo di personalità di cui era affetto Gagliano, il killer detenuto a Genova e evaso durante un permesso premio, il cui profilo si evince dalle perizie allegate ai fascicoli che lo riguardano. Il disturbo antisociale di personalità è caratterizzato dal disprezzo patologico per regole e leggi della società, da un comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi la responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti degli altri. A questo si associa la mancanza del senso di colpa o del rimorso. Il manuale diagnostico dei Disturbi mentali lo colloca all’interno dei disturbi di personalità del cluster B, che comprende oltre al disturbo antisociale di personalità anche il disturbo borderline di personalità, il disturbo istrionico di personalità e il disturbo narcisistico di personalità. Questa patologia, hanno sottolineato i giudici della Sorveglianza, aveva portato il tribunale a assolvere Gagliano dall’imputazione di omicidio per manifesta incapacità di intendere e di volere e, dopo averlo collocato in un ospedale psichiatrico giudiziario, trasferirlo in seguito in una casa lavoro. Dal 2010 Gagliano aveva sospeso la terapia farmacologica e secondo le relazioni psichiatriche depositate presso il tribunale di sorveglianza aveva "compensato la patologia, era risultato lucido, collaborativo, tranquillo". Psicologa: permessi troppo facili a detenuti psicolabili "In Italia non viene valutato a sufficienza lo stato psicolabile dei detenuti". Ad affermarlo è Paola Vinciguerra, psicoterapeuta, presidente Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di panico, in merito al caso di Bartolomeo Gagliano, l’uomo evaso dal carcere di Marassi durante un permesso premio. "È paradossale come ad un soggetto così pericoloso siano stati dati permessi premio. Gagliano entra e esce dal carcere dagli anni 80 - aggiunge la Vinciguerra. Evidentemente non c’è stata una valutazione precisa dello stato psicologico del detenuto, una diagnosi accurata che doveva essere continuamente rivalutata. In questi casi è necessario seguire la persona attraverso gli anni e chi ha il compito di concedere permessi deve assolutamente tener conto della valutazione psichiatrica del soggetto". "Queste persone, come Gagliano che ha commesso tre omicidi e un tentato omicidio, non hanno un’aderenza alla realtà e quindi non rispondono in maniera certa agli stimoli - spiega la psicoterapeuta - Rispondono a quello che percepiscono. Se il soggetto scappa perché sta vivendo una fase persecutoria, non a caso il fratello ha detto che era stanco di essere considerato un pazzo, può sentirsi minacciato anche dal passante che per caso lo guarda. In quella situazione può davvero accadere di tutto, anche il peggio, perché si deve proteggere. Il fatto che in carcere sia stato tranquillo non dà la giusta misura di valutazione di un soggetto di questo tipo". Silp Cgil: errore clamoroso senza giustificazioni "C’è stato un errore clamoroso, non ci sono giustificazioni". Così il segretario genovese del Silp Cgil, Roberto Traverso, ha attaccato duramente la direzione del carcere di Marassi commentando il caso di Bartolomeo Gagliano, il pluriomicida evaso dopo un permesso premio. "È imbarazzante - ha sottolineato Traverso in un’intervista ad un’emittente televisiva locale - sentire giustificazioni come quella del direttore del carcere di Marassi, che ha detto di non essere al corrente dei precedenti di questo personaggio". Il segretario provinciale del Silp non ha poi risparmiato critiche neanche alla magistratura: "Il giudice di sorveglianza con leggerezza - ha affermato - ha concesso dei premi ad un personaggio che ha reiterato più volte questa volontà di fuga, addirittura 5 volte". Mantovano: sarebbe comunque uscito con svuota carceri Con il pacchetto svuota carceri in vigore il serial killer di Savona sarebbe stato già fuori. Lo sottolinea Alfredo Mantovano, consigliere di corte di appello a Roma ed ex sottosegretario all’Interno. "Ã veramente singolare il clamore sul mancato rientro in carcere di Bartolomeo Gagliano, oltre il termine del permesso premio concessogli - rileva Mantovano. Gagliano ha semplicemente (e improvvidamente) anticipato di qualche giorno quel che sarebbe accaduto quando fra breve sarà operativo il decreto legge sul carcere, appena approvato dal Consiglio dei ministri". "Se è vero, infatti, che egli espiava una pena definitiva di sette anni di reclusione, che sarebbe terminata nell’aprile 2015 - dice il magistrato - l’entrata in vigore del nuovo provvedimento gli avrebbe già permesso di lasciare l’istituto di pena: lo sconto di cinque mesi di reclusione per ogni anno di condanna avrebbe comportato la riduzione di quasi tre anni della sanzione inflittagli, mentre la retroattività al 1¸ gennaio 2010 prevista dalle nuove norme avrebbe reso il decreto applicabile anche al suo caso". "Piuttosto che scandalizzarsi per un singolo detenuto che non rientra in carcere, e che oggi viene attivamente ricercato, - conclude - non varrebbe la pena di pensare a quanti usciranno legalmente dal luogo di detenzione in condizioni simili?". Pagano (Dap): nessun errore, caso rientra in imponderabile umano "Stiamo valutando gli atti, ma a mio parere il permesso a Gagliano non è stato un errore. Il sistema funziona al 98%, la sua evasione rientra nell’imponderabile umano. Fa parte di una quota di rischio racchiusa nel restante 2%". Lo dice all’Adnkronos Luigi Pagano, vice capo del Dap, sul caso di Bartolomeo Gagliano, il pluriomicida evaso ieri dal carcere genovese di Marassi. "L’uomo - sottolinea Pagano - stava scontando la pena e sarebbe uscito nel 2015. L’istruttoria per concedergli il permesso è stata condotta bene, con una sinergia tra operatori, carcere e magistratura di sorveglianza. Il detenuto aveva già beneficiato di due permessi, non premiali, per ragioni di necessità. Il terzo, dopo un’attenta istruttoria sul caso, ci poteva stare". "In Italia vengono concessi quasi 20.000 permessi l’anno - ricorda il vice capo del Dap - i nostri istituti lavorano in un rapporto di collaborazione positiva con la magistratura di sorveglianza, tanto è vero che i detenuti in permesso rientrano tutti, tranne casi molto isolati". "In questo caso - ribadisce Pagano - l’unico fattore imponderabile era quello umano. Ma la professionalità dei nostri operatori e della magistratura di sorveglianza non deve essere posta in discussione". "Le misure alternative e i permessi premio rimarca il Dap - vanno a salvaguardia della sicurezza sociale, perché abbassano notevolmente la soglia di recidiva, come è stato ampiamente dimostrato". Insomma, taglia corto Pagano, "non gettiamo via il bambino con l’acqua sporca: le misure alternative e i permessi premi funzionano. E sono necessari. Non dimentichiamoci che l’Europa ci condanna proprio perché manca un adeguato sistema di misure alternative". Psichiatra carcere: Gagliano aveva cambiato stile vita Bartolomeo Gagliano, il serial killer evaso ieri dal carcere di Marassi dopo un permesso premio, era stato valutato dalla equipe medica della casa circondariale "una persona decisamente adeguata nelle relazioni, aveva proprio cambiato il suo stile di vita". Nell’ultimo anno, inoltre, non aveva dato segni di gravi problemi psichiatrici, che avrebbero comportato un uso di farmaci più "aggressivi". Il serial killer era seguito da una psichiatra e una psicologa che lavorano all’interno del carcere. "Era detenuto in una sezione ordinaria - spiega all’Ansa Gianfranco Nuvoli, responsabile del gruppo medico - e se avesse avuto dei problemi più gravi sarebbe stato ospitato in una sezione dedicata. Noi lo seguivamo da un anno, sporadicamente e su segnalazione del medico di sezione che ce lo inviava di tanto in tanto". Un comportamento, dunque, che non lasciava presagire nulla di grave. "Sapevamo che aveva una importante storia criminale alle spalle - continua Nuvoli - ma con noi non ha dimostrato gravi problematiche psichiatriche. I suoi erano solo problemi lievi, qualche episodio di ansia e di comportamento. Sapevamo che era una persona con cui non era facile interagire, con una sua personalità di tipo criminologico, tendente a trasgredire, influenzata pesantemente dal lungo tempo passato in carcere. Nel corso della vita, però, si può modificare la personalità, anche attraverso un percorso con i medici". Giustizia: permessi premio ai detenuti, bisogna evitare di fare marcia indietro di Emanuele D'Onofrio www.aleteia.org, 20 dicembre 2013 Il caso dell’uomo evaso dal carcere di Genova durante una licenza premio rischia di compromettere il faticoso cammino verso un sistema punitivo più moderno. L’effetto mediatico, non c’è dubbio, è stato eclatante. Notiziari della sera e prime pagine della mattina hanno dedicato ampio spazio all’evasione di Bartolomeo Garigliano, detenuto per rapina, che non è rientrato nel carcere di Marassi a Genova allo scadere di un permesso premio concessogli per visitare la madre. In realtà, l’aspetto più sconvolgente di questo episodio non è stata la fuga in sé, quanto le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell’istituto penitenziario che ha affermato di non avere avuto informazioni sul passato di Garigliano, uomo che negli anni Ottanta ha ucciso serialmente, che al tempo fu giudicato “totalmente infermo di mente” e che da allora e prima di questa era evaso già cinque volte da vari istituti di pena. Questo fatto, increscioso per il già malandato sistema giudiziario italiano, fa emergere alcuni interrogativi e diverse perplessità che Aleteia intende approfondire, grazie soprattutto al contributo del prof. Pasquale Bronzo, docente alla Luiss e ricercatore di Diritto Processuale Penale presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, e a Valentina Calderone, direttrice dell’Associazione “A Buon Diritto”, che si occupa tra le altre cose di questioni legate agli abusi commessi in situazioni di privazione della libertà. Da quello che ha letto, che idea si è fatto di quanto è successo a Genova? Bronzo: Dalle cose che ho letto, è appunto un caso singolo. Nel senso che la percentuale delle evasioni, cioè dei non ritorni, nei permessi premio è bassissima, siamo intorno allo 0,2%. Quindi è ovvio che quando il mancato ritorno, e quindi il fallimento di questa scommessa che sono i permessi premio, riguarda una persona particolarmente pericolosa, il fatto fa notizia. Eppure è poco rilevante, rientra in quello 0,2%. Il caso particolare di quest’evento riguarda non l’evasione, ma il fatto che si tratti di una persona che ha una storia criminale lunga. Però neanche questo è del tutto strano, perché non ci sono preclusioni assolute ai permessi premio se non per alcune categorie di delitti e di condannati, e lui non è fra quelli. Non possono godere di permessi premio gli affiliati di mafia o gli organizzatori di un traffico di droga. Per altre categorie di persone pericolose ci sono restrizioni ai permessi premio, ma non preclusioni. Quello che fa notizia sui giornali è la dichiarazione del direttore del carcere, che sosteneva che per lui fosse un rapinatore. Infatti le chiedo: com’è possibile che un direttore del carcere non conosca il curriculum criminale di un suo detenuto? Bronzo: Tecnicamente non è possibile che questo accada, perché nel regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario (che risale al 2000), c’è un istituto che si chiama “cartella personale”. È vero che la “cartella personale” del detenuto è relativa a quella particolare detenzione e al reato per cui è prevista, però c’è una norma che dice che nel caso di pregresse detenzioni è compito dell’amministrazione penitenziaria acquisire le cartelle personali degli altri eventuali periodi di detenzione che il condannato abbia scontato. Quindi si fa una specie di ricongiungimento delle cartelle, che vanno poi incluse nel fascicolo che serve anche agli educatori penitenziari per seguire l’evoluzione del trattamento del detenuto; dunque le cartelle pregresse ci dovrebbero essere, anche se non automaticamente, nel senso che qualcuno le deve richiedere. La dichiarazione del direttore del carcere di Genova secondo me è la reazione emotiva di una persona che ha dato parere favorevole al permesso premio, un parere sulla cui scorta il magistrato ha poi concesso la licenza, e che ora tende a giustificare la sua prognosi non troppo accurata circa la non pericolosità del soggetto, e si sente sotto accusa. La persona alla quale compete dare il permesso premio non è il direttore del carcere ma è il giudice, monocraticamente, una volta sentito - questo dice la legge - il direttore del carcere. Il problema è che nella pratica queste relazioni che dovrebbero fornire i direttori sono spesso burocratizzate, cioè appaiono come dei prestampati che recitano “vista l’istanza ecc. si rende parere favorevole”. Nella routine, nell’affaticamento degli uffici, diciamo che c’è poca ponderazione, ma il procedimento è abbastanza garantito. Anche perché i requisiti sono molto precisi: la buona condotta nel periodo immediatamente precedente, l’assenza (ma sarebbe meglio dire la ridotta) pericolosità e la finalizzazione del permesso premio, che deve essere destinato a coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. Dobbiamo ricordare infatti che il permesso premio è diverso dal permesso ordinario, che l’autorità penitenziaria concede per brevi periodi per umanizzare il trattamento penitenziario. Il permesso premio, che è più recente (legge Gozzini del 1986), è uno strumento di trattamento, cioè serve a valutare se il periodo di libertà e di vicinanza agli affetti riesce a migliorare l’evoluzione della progressione della persona nel trattamento rieducativo. È uno strumento utilissimo agli educatori per vedere il comportamento durante e dopo il permesso. Il decreto “svuotacarceri” di quest’estate ha potenziato questo strumento, rendendolo più largamente fruibile, mostrando quanto il legislatore ci creda. E ora i permessi premio non vanno certo buttati a mare per questo che rimane un episodio. Che impatto può avere questo episodio sul dibattito attuale rispetto al tema del sovraffollamento carcerario? Bronzo: Distinguerei l’influenza che può avere a livello di comunicazione e l’influenza che può avere a livello di politica penitenziaria e della giustizia. In questo secondo caso, direi nessuna influenza: chiunque abbia esperienza come magistrato e come avvocato difensore di questi istituti sa benissimo che un singolo caso non ha grosso significato nella valutazione di impatto di un istituto che resta uno strumento buono, che va verso una visione moderna del trattamento penitenziario come messa alla prova di una persona che potrebbe essere soggetta a misure extracarcerarie. E queste ultime sono il modo moderno di vedere la pena. Ma l’opinione pubblica certamente si lascia influenzare, per questo il legislatore saggio deve valutare con freddezza le cose, e non farsi influenzare dalle pagine dei giornali, dallo scandalo che giustamente produce un caso singolo come questo. Del resto, la tendenza è quella di potenziare l’istituto dei permessi premio, e sarebbe sbagliato fare marcia indietro ora. Cosa l’ha colpita di più della vicenda di Genova? Calderone: Mi colpisce come ci sia sempre una certa esasperazione su questo tipo di vicende, cioè su cose che non vanno a lieto fine. Mi ricorda un po’ quello che è successo dopo l’indulto del 2006, quando le cronache dei giornali erano piene di notizie di persone che una volta uscite grazie a quella misura erano tornate dentro: c’è una sovraesposizione di un certo tipo di notizie rispetto alla realtà dei fatti su queste cose. C’è sempre un tentativo di suscitare un sentimento d’indignazione e una risposta di pancia. Mi aveva colpito una statistica fatta un po’ di tempo fa in cui si vedeva negli ultimi vent’anni quanto era stata importante la diminuzione dei reati più gravi, come gli omicidi volontari, e quanto invece di converso fosse aumentata nello stesso periodo lo spazio dei giornali dedicato alla cronaca nera, circa del 25%. È vero che da un certo punto di vista negli ultimi due anni si sta cercando di dare una dimensione un po’ diversa a questo fenomeno, e quindi il carcere non è più un tabù, se ne parla, anche se a volte correttamente e a volte un po’ a sproposito, ma c’è un’attenzione maggiore a questi temi; da un altro punto di vista, però si continua a trattare l’argomento come una cosa su cui fare scandalo e scalpore piuttosto che come qualcosa su cui cercare di ragionare. Nella sua battaglia dei diritti dei detenuti, come giudica la gestione dell’istituto della licenza premio in Italia? Calderone: Diciamo che è ricompresa in un sistema di misure che sono previste nel nostro ordinamento. La licenza funziona in questo modo: la persona detenuta viene seguita da un’equipe che prepara una relazione, nel momento in cui ha un’esigenza più o meno particolare e ha scontato quel tot di pena che gli concede di accedere alla richiesta per questa misura, il direttore del carcere può proporre al magistrato di sorveglianza il permesso premio. Quindi è sempre un giudice che deve decidere, leggendo le relazioni, cercando di capire dai documenti che riceve la tipologia del detenuto, la sua affidabilità. Una delle critiche principali che si fanno, e che mi sento di condividere - anche se non possiamo generalizzare visto che non in tutt’Italia è così e anche che la magistratura di sorveglianza è gravata da una mole di lavoro impressionante - è che ci troviamo spesso di fronte ad una magistratura di sorveglianza sì poco attenta, ma anche poco coraggiosa. Un altro degli effetti del modo in cui il carcere viene trattato, e in cui l’opinione pubblica è stata abituata a pensare, è che il magistrato di sorveglianza a volte è retrocesso nel suo ruolo, utilizzando una modalità prudente che probabilmente non gli dovrebbe competere. Nel caso di Genova, certo non è stato così, ma il punto è proprio che stiamo parlando di un caso. Le statistiche rispetto alle evasioni da permessi premio o di lavoro sono veramente molto basse nel corso di un anno. Gli errori esistono e devono essere contemplati come cose gravi: ad esempio mi è sembrato davvero particolare che il direttore sostenesse di non avere a disposizione la storia completa di questa persona, quando chiunque ti fermi per un controllo di polizia per strada può sapere tutto di te, anche le multe che hai preso. Ma questo episodio non deve minimamente mettere in discussione il sistema di concessione dei permessi premio e di misure alternative; anzi, il ragionamento da fare è opposto perché noi il problema che riscontriamo spesso è una scarsa attenzione della magistratura di sorveglianza a causa di una mole di lavoro enorme. Per questo motivo, anche le persone che dovevano uscire con la cosiddetta legge “svuota carceri”, hanno presentato domanda e hanno avuto risposte dopo così tanti mesi che la loro stessa domanda era ormai diventata inutile. Fino a che punto, e a che livello - mediatico, di opinione pubblica o politico - un episodio del genere può danneggiare il lavoro di chi come lei lavora per un sistema di pene alternative alla detenzione? Calderone: Direi in una combinazione delle dimensioni che lei ha citato. Lavorando su questi temi ci troviamo prima di tutto a dover intervenire a livello culturale, nel senso che la forte esigenza rispetto a questo lavoro che viene fatto è proprio di cercare di far capire e di filtrare in maniera diversa quella che è la realtà. Quindi è ovvio che cose del genere ti mettono i bastoni tra le ruote, perché poi diventa difficile fare discorsi complessivi. Episodi di questo genere messi così in evidenza fanno emergere tutta una parte di sentimenti che sono anche comprensibili, ma che non dovrebbero governarci. L’esempio che le facevo rispetto all’indulto del 2006 per noi è evidente: nel senso che sono stati mesi in cui è stato disconosciuto sia dai parlamentari che l’avevano firmato due ore prima, sia dai giornali e dalle televisioni che hanno fatto una campagna incredibile contro questa misura. Eppure i dati ti dicono che se un detenuto sconta la pena completamente in carcere è a rischio di rientrarci per il 70%, se invece la sconta almeno per una parte in misura alternativa la possibilità che rientri in carcere è del 30%. Nella realtà, dunque, se tu hai come vicino di casa una persona che commette un reato, è meglio che non se li sconti tutti in carcere gli anni che si deve fare, ma che magari si faccia una parte in carcere e che dopo possa fare qualcos’altro prima di tornare a vivere vicino a casa tua. Giustizia: Pagano (Dap); le fughe sono prezzo da pagare, quei premi sono un segno di civiltà Intervista a cura di Corrado Zunino La Repubblica, 20 dicembre 2013 Luigi Pagano è il vicedirettore del Dap, il dipartimento del ministero della Giustizia che amministra le carceri italiane, ed è stato direttore di San Vittore, a Milano, per sedici anni. Comprende lo sbigottimento generale per le due evasioni con il timbro: un serial killer e un camorrista accompagnati alla fuga. Dice, però, che questi due casi non possono mettere in discussione “un sistema che funziona”. Perché il sistema funziona? “Lo dicono i numeri. Cinquantadue evasioni nel 2012, a fronte di 25.200 permessi premio richiesti. Tenendo conto che ogni detenuto può richiedere e usufruire di più di un permesso, la percentuale di non rientri è intorno al due per cento. E se allarghiamo le evasioni a tutte le misure alternative, lavoro all’esterno, semilibertà, l’evasione resta intorno al 5%”. Si possono concedere permessi premio a un assassino seriale di prostitute e travestiti e a un camorrista contiguo con il clan? “Nella storia italiana abbiamo concesso permessi premio e misure alternative a quasi tutti i brigatisti rossi. Non è scappato nessuno. Da quindici anni abbiamo dato il lavoro esterno a Vincenzo Andraous, il boia delle carceri. Non è scappato e non è tornato a uccidere. Il recupero del detenuto è un pezzo della nostra Costituzione e non esiste altro modo di certificarlo se non concedendo un graduale ritorno alla società, facendolo uscire. Ci sono margini di rischio, certo, ma l’Europa ci ha già detto che dobbiamo osare di più non di meno”. Si può parlare dei due casi di cronaca? “Sì, iniziando a dire che a Gagliano mancava poco più di un anno alla fine pena, a Esposito mancavano sei mesi. Erano nelle condizioni di usufruire di permessi”. Tecnicamente, tutto regolare. Ma si può dare un premio a Gagliano? Ascolti questa psichiatra: “È paradossale come a un soggetto così pericoloso siano stati dati permessi. Gagliano entra e esce dal carcere dagli anni 80, non c’è stata una valutazione precisa dello stato psicologico del detenuto”. “Nel caso di Genova la valutazione è stata attenta, mi stanno arrivando le relazioni. Il magistrato di sorveglianza conosceva il soggetto e il suo passato, il direttore del carcere di Marassi pure. A lui spetta una sintesi da girare al magistrato insieme a un parere non vincolante. Lo psichiatra del carcere è intervenuto e non ha trovato nulla da obiettare. Per Gagliano parliamo del secondo permesso concesso, dopo il primo era rientrato. No, non c’è stato errore”. E nel caso del pentito di camorra di nuovo riallineato? Aveva partecipato alla faida di Scampia, aveva già tentato un’evasione. “Lì ho informazioni ancora da valutare. Sabato mattina è uscito beneficiando di un permesso orario e la sera non è rientrato. Anche per lui era il secondo. Che vogliamo fare, cancellare ventisette anni di civiltà? I permessi premio sono stati introdotti dalla legge Gozzini nel 1986 e, dice la mia esperienza, hanno funzionato, stanno funzionando. Le poche fughe sono uno scotto che devi pagare”. La regola generale è aurea, l’applicazione ha delle falle. Un camorrista, se esce, viene risucchiato dal gruppo criminale: o riparte con loro o dovrà fuggire per sempre. “Tutto vero, ma abbiamo esempi di camorristi e mafiosi che, permesso in mano, non sono scappati”. Concedere i permessi è una questione di umanità? “Di più, aiuta la società. Un recuperato è un pericolo in meno per tutti quanti, due casi non possono inquinare il sistema”. Giustizia: perché nessuno isola Riina? di Lirio Abbate L’Espresso, 20 dicembre 2013 Il padrino in regime di 41 bis è libero di minacciare il pm Di Matteo e riorganizzare Cosa nostra. Un detenuto ottiene la libera uscita (e riesce a evadere) perché il direttore del penitenziario non era stato informato che fosse un serial killer. Che sta succedendo al Ministero della Giustizia? Perché nessuno isola Riina? Come è possibile che il capo di Cosa nostra, Totò Riina, si possa permettere di minacciare il pm di Palermo Nino Di Matteo, comunicando con un altro detenuto mafioso, scombussolando con le sue affermazioni i vertici dell’organizzazione, anche loro in carcere, magari nello stesso istituto, e nessuno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) muova un dito per impedirlo? E nessuno al ministero della Giustizia se ne accorga? Come è possibile che un serial killer venga rinchiuso in carcere per un reato minore e nessuno del Dap prenda informazioni o si informi sul passato criminale del detenuto che ottiene poi permessi per uscire e adesso ce lo ritroviamo latitante? C’è qualcosa che non va nella gestione dei detenuti che spetta proprio al Dap. Cominciando dalla vicenda Riina non è possibile che per mesi si lasci il capo della mafia siciliana a lanciare strali, minacce e offese verso i magistrati che lo stanno processando. E non è possibile che questo possa accadere se, come dicono gli inquirenti siciliani, Riina "vuole mandare all’esterno messaggi" e quindi "vuole riorganizzare Cosa nostra o preparare attentati". Non so quanto vera possa essere questa ipotesi, sta di fatto che il ministro dell’Interno Angelino Alfano si è premurato di convocare a Palermo un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, temendo un imminente attentato e proponendo a Di Matteo di girare per la città a bordo di un mezzo militare corazzato, il Lince. E il presidente della commissione antimafia Rosy Bindi anche lei precipitatasi a Palermo per incontrare i magistrati della procura, ha assicurato il proprio appoggio. E domani (venerdì 21 dicembre) scende in massa il Csm per stringersi accanto ai colleghi "in pericolo di vita". Ben venga tutto ciò. Ma se accanto a queste azioni pubbliche e mediatiche si operasse per neutralizzare (il termine va inteso come detenuto da isolare) Totò Riina, forse qualcosa in più si potrebbe ottenere. O evitare. Si sarebbe potuto iniziare, e questo va rivolto al Dap - e Alfano, Bindi e Cancellieri potrebbero sollecitarlo - applicando norme e regolamenti interni al carcere che avrebbero portato a rendere inerme il vecchio padrino di Corleone. Sarebbe bastato che il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, viste che le parole del boss possono aver provocato problemi interni al carcere, e non solo, a Riina si sarebbe potuto applicare un decreto in base all’articolo "14 bis" dell’ordinamento penitenziario che restringe ancor di più il carcere duro al quale è sottoposto in base al 41 bis. Basta questo per mettere in isolamento il capo dei capi per sei mesi. La procura di Palermo l’ha proposto ma per il Dap, in base agli elementi che la direzione del dipartimento dice di aver raccolto, non può essere applicato a Riina. Ma come, il padrino dal carcere pensa ad una strage, la comunica a un detenuto, che dovrebbe farla arrivare all’esterno, qui i comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica fanno alzare il massimo livello di allerta e di protezione perché dicono che il pericolo è imminente tanto da proporre al pm Di Matteo di viaggiare su un carro blindato, e invece i magistrati in servizio al Dap stanno tranquilli, dicono che il 14 bis non si può applicare a chi vuole provocare - dal carcere - questo pericolo per l’ordine pubblico? In passato il 14 bis è stato applicato a Leoluca Bagarella (dopo che ha minacciato l’autore di questo articolo durante un’udienza di un processo in cui il boss era imputato) e a Bernardo Provenzano. Isolamento per sei mesi, niente tv e giornali. Quando i difensori di Bagarella impugnarono il decreto davanti ai giudici del tribunale di sorveglianza di Bologna, questi lo hanno rigettarono sottolineando che: "Data la particolare situazione di apparente movimento ai vertici di Cosa nostra e di cui Bagarella potrebbe ancor far parte, non appare irragionevole la scelta del Dap". E poi i giudici aggiungevano: "Considerato non contra legem il doppio regime speciale poiché le due norme (art 41 bis e 14 bis ordinamento penitenziario) hanno presupposti e finalità diverse, anche se il loro concorso avvicina il carattere della detenzione al confine dei paventati "mero contenimento e trattamento inumano", ritenuto che detto confine non venga attinto nel caso in esame, poiché l’atto reclamato è legato a una contingenza straordinaria ed ha durata limitata". Lettere: investire nel dolore, ma per curarlo di Marcello Pesarini (Antigone Marche) Ristretti Orizzonti, 20 dicembre 2013 Nel 2013 le possibilità di investire nelle carceri, ossia di aprire sbocchi lavorativi per detenuti ed ex detenuti sono cresciute notevolmente grazie ai decreti attuativi legati alla Legge Smuraglia, e molte amministrazioni regionali ne stanno approfittando, investendo nel verde, nel riciclaggio e nel riuso, come nelle Marche. Lo scopo di tali provvedimenti si inserisce nel medesimo solco che ha dato vita al decreto carceri approvato dal Consiglio dei Ministri nel dicembre 2013, dal quale si prevede di ottenere un calo di presenze di circa 3mila detenuti. Lo scopo è di procedere verso la piena applicazione dell’art.27 della Costituzione Italiana, per il quale lo scopo della reclusione è far pagare secondo la regola retributiva il reato ed agevolare il reinserimento del colpevole, non "condannare a 5 anni per far comprendere le proprie mancanze quando ne sarebbero bastati 2". Sono queste le parole pronunciate da uno degli autori di "Lettere, parole da dentro" ultima raccolta di scritti e poesie che condensano il lavoro annuale di detenuti e detenute ad Ancona, Casa delle Culture, il 18.12.2013. Scommettiamo quindi più che mai sul lavoro autoprodotto, derivante dalle stesse associazioni impegnate nelle attività ludiche e didattiche, poi evolutesi a creare possibilità future sia per l’anima che per la previsione pensionistica. La Cooperativa L’Officina (www.cooperativalofficina.com) organizza, con la sua casa editrice, iniziative e progetti editoriali. Inoltre produce, realizza e promuove spettacoli e manifestazioni di interesse culturale in ambito sociale. I laboratori di scrittura creativa promossi dalla Cooperativa L’Officina promuovono la lettura, la scrittura, la creatività, come il tema del percorso del 2013 presso la Casa Circondariale di Pesaro: scrivere e ricevere lettere, lettere a qualcosa che se n’è andato e a qualcosa che rimane, lettere alla vita, lettere alla libertà, lettere all’amicizia, alla bellezza, all’anima, alla parola, alla stanza incarcerata. Ci troviamo quindi di fronte a corsi la cui partecipazione è libera, produzione letteraria che ha fra i suoi significati di diminuire la distanza fra chi è stato condannato e chi lo segue, riducendo sicurezze fuorvianti e parametri di giudizio preconcetti, e responsabilizzando tutti gli attori autori. La distanza fra i ruoli è ormai ridotta, come recitano le caratteristiche delle persone che ci propongono la serata: Alberto Ramundo: poeta, scrittore, formatore, direttore di teatro e fondatore della Casa Editrice L’Officina, Giulietta Cardellini: direttore editoriale della Casa Editrice L’Officina, Paolo Ettore Vachino: poeta, scrittore, editorialista di inserti culturali, Monia Caroti: scrittrice, conduttrice di corsi di auto mutuo aiuto presso la Casa Circondariale di Pesaro, Enrichetta Vilella: pittrice e Direttrice dell’area pedagogica della casa Circondariale di Pesaro, Marco Nocchi: sociologo, autore di testi teatrali, responsabile dell’area "prevenzione disagio sociale e dipendenze patologiche" della Regione Marche, Marcello Pesarini: impegnato in ambito sociale da molti anni, Servizio Politiche Sociali della Regione Marche. Ma il tempo ha dato, il tempo può togliere. Non ci dobbiamo ingannare: ogni conquista va mantenuta e rafforzata. Le testimonianze dei detenuti, che anche in questa occasione hanno potuto lasciare la cella per leggere e commentare le loro ed altrui opere, per descriverne i passaggi mentre le foto dei seminari scorrevano sullo schermo, saranno terreno di studio, oltre che di diffusione, perché nelle Marche della crisi economica, delle centinaia di fabbriche chiuse, vanno individuate le forme di auto mutuo aiuto anche per l’arcipelago delle cooperative e delle associazioni. In nome di un welfare d’attacco motivato dalla sua stessa ragione d’essere, non di resistenza né di rimessa, i progetti sperimentali sulle Biblioteche Carcerarie e sul Teatro Carcerario, iniziati nel 2011 raccogliendo le migliori pratiche presenti sul territorio, riproposti dalla Regione Marche per 2014 e 2015, dovranno rafforzare la loro efficacia attraverso cartelloni teatrali, partecipazione già avviata a concorsi letterari, produzione di documenti cartacei e telematici, trasmissione di periodici via web e via cartacea, integrati fra loro come portatori di notizie dall’interno all’esterno. Di fronte al rischio di tagli al sociale ed alle sue parti ritenute più marginali è bene che terzo settore, editoria, biblioteche, si sappiano proporre al mondo della cultura e dell’istruzione "urbi et orbi" come baluardo alla barbarie che si nasconde fra le pieghe della disperazione. Ad episodi di censura ai libri in quanto tali, che ci ripropongono nelle ultime settimane movimenti popolari latori di disperazione, si affianca l’analfabetismo di ritorno che affligge la nostra gioventù e non solo. L’allargamento della base dei produttori di cultura e di nuova coscienza è l’investimento più immediato da raggiungere, per impedire che esperienze come quelle narrate in questo articolo falliscano per mancanza di fondi o di pubblico. Estendendo l’esperienza si raggiungeranno anche i detenuti che inizialmente possono avere guardato alla scrittura creativa o al teatro con disinteresse, fastidio o sufficienza, e come nella sanità un maggior numero di esperimenti darà risultati più probanti. Tutte le forme di conversione dell’inoperosità lesiva della dignità in lavoro sono auspicabili ed in linea con l’articolo 27 della Costituzione, ma l’esperienza insegna che sarebbe meglio privilegiare quelle autoprodotte, coscienti e autoironiche come le magliette di Made in Jail di Rebibbia, note al vasto pubblico che ne ha fatto un simbolo. Proponiamo l’estensione delle pratiche trattamentali di alfabetizzazione di linguaggi e di diritto, di Costituzione Italiana, all’interno ed all’esterno delle carceri, e spingiamo perchè questo lavoro produca borse lavoro, formazione, informazione: libertà. La Spezia: detenuto 27enne muore in cella per un "arresto cardiocircolatorio" www.ligurianotizie.it, 20 dicembre 2013 Un detenuto di 27 anni è morto nel carcere Villa Andreino, a La Spezia. Il giovane è deceduto per un arresto cardiocircolatorio. Sul posto sono intervenuti i medici del 118 che ha messo in atto le manovre rianimatorie, già iniziate sul posto dalle infermiere della struttura carceraria, che si sono concluse con la constatazione di decesso. Livorno: la denuncia un ex detenuto; nelle celle lisce ora usano il "metodo Lonzi" www.articolotre.com, 20 dicembre 2013 Marcello Lonzi, morto in carcere per "infarto". Un ex detenuto svela: "Nelle celle lisce ora usano il "metodo Lonzi". La sua storia la conoscono in pochi. Coloro che la conoscono la paragonano a quella di Giuseppe Uva o di Stefano Cucchi. È quella di Marcello Lonzi, morto nel carcere Le Sughere di Livorno l’11 luglio del 2003, a ad appena trent’anni. Marcello era finito in carcere per tentato furto. Aveva quasi finito di scontare la sua pena: mancavano tre mesi alla sua scarcerazione. Eppure, quella libertà, lui la ritrovò. Morì lì, e la madre Maria lo scoprì solo il giorno dopo. Ci sono fotografie che suggeriscono un pestaggio in carcere -non adatte ad un pubblico sensibile, ma disponibili in Rete- ma tre diverse procure, nel corso degli anni, hanno archiviato il caso, smentendo la morte violenta. Per il medico legale, Marcello è morto per cause naturali, un infarto. Ed effettivamente anche il perito nominato dalla famiglia è dello stesso parere: ma cosa accadde, prima, nessuno lo sa. Sul corpo di Marcello vennero dapprima rinvenute "un’unica frattura costale e tre lesioni occipitali, ma senza nessuna incidenza". Poi, successivamente, un nuovo esame autoptico confutò quanto precedentemente detto: le costole rotte erano sette, e lo sterno fratturato. Per il consulente medico si trattò di conseguenze di un massaggio cardiaco. Eppure c’è ancora qualcosa che non torna: altre lesioni, tracce di vernice blu nella testa ferita, polso fratturato, mandibola rotta. Così spiega la madre, che cerca tutt’ora verità. Inizialmente, un testimone, le disse che il figlio era caduto dal letto. Ora, un altro, un ex detenuto di Le Sughere, intervistato ai microfoni di Linea Gialla, spiega quanto sa al riguardo e ricorda l’esistenza delle "celle bianche", stanze in cui i carcerati vengono massacrati di botte. "C’era un detenuto accanto a me, chiedeva del dottore", racconta l’uomo. "Una guardia fece: "Il dottore viene appena ha voglia". Poi passa un’altra guardia, più giovane, che chiede: "Ma cosa vuole questo qui che urla, urla, urla". Gli risposero: "Vuole il dottore". Questo qua, il poliziotto giovane, si girò verso il detenuto e disse: "Cosa vuoi che ti curiamo noi, come si è fatto al Lonzi?". E io questo l’ho dichiarato al pm". "A Livorno esistono le cosiddette celle lisce", ha poi proseguito il testimone. "Sono celle in cui non c’è né il letto né altro. Solo un materasso in terra. È lì dove ti menano. A me hanno spaccato i denti davanti solo per essere tornato con dieci minuti di ritardo da un permesso. Quando sei giù all’isolamento prendono il telefono e dicono: "Mi mandi la squadretta?". Vengono in quattro, cinque, sei. E vengono con le tute mimetiche, gli scarponi, i manganelli, i sacchi pieni di sabbia. E te le danno anche con quelli. Perché all’esterno non vedi l’ematoma, con quelli", ha concluso. Modena: la Garante regionale visita il carcere e lancia un appello all'imprenditoria locale Ristretti Orizzonti, 20 dicembre 2013 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, il 13 dicembre scorso ha visitato la Casa circondariale di Modena. La situazione si riassume innanzitutto in questi numeri: 568 i detenuti presenti, di cui 330 condannati in via definitiva, 112 in attesa di primo giudizio, 200 tossicodipendenti (15 in terapia metadonica), 22 gli ammessi al lavoro all’esterno, 7 i semiliberi. È sempre molto alta, prossima al 70%, la presenza di stranieri (392). È attivo il servizio di accoglienza dei nuovi giunti con spazi dedicati (13 celle per due persone ognuna) per le persone condotte in carcere, in attesa di effettuare uno screening sanitario prima dell’assegnazione alle sezioni detentive; parimenti attiva, la sezione per dimittendi (con spazi dedicati alla scuola e ai corsi di formazione), dove vengono assegnate le persone quando resta da scontare un breve periodo detentivo. La direzione del carcere di Modena aveva da tempo proceduto a “aprire” le celle, o meglio le camere di pernottamento: le sezioni detentive risultano ormai tutte “aperte”, a parte una (per motivi di incolumità personale, quella in cui sono allocati i detenuti cosiddetti “protetti promiscui”), e i detenuti passano parte della giornata fuori dalla cella. Nel vecchio edificio non ci sono tendenzialmente più di due detenuti per cella, con gli imputati separati dai condannati. Permangono le criticità legate al nuovo padiglione, sebbene si siano finalmente risolte le problematiche relative al malfunzionamento dell’impianto idraulico, che non ha fornito per diverso tempo l’acqua calda. Aperto circa un anno fa per migliorare le condizioni di sovraffollamento, il nuovo padiglione è più idoneo, con camere di pernottamento più ampie (ospitano quattro detenuti) e in regola con i parametri europei. Il controllo è garantito da un sistema di videosorveglianza esterno alla sezione, con l’intervento del personale a chiamata del detenuto, attraverso un citofono, ovvero quando se ne ravvisi l’opportunità. Nel nuovo padiglione sono presenti circa 200 reclusi “comuni”, condannati in via definitiva, lì collocati con la speranza di poter svolgere attività lavorative. Molti di questi, infatti, hanno chiesto espressamente di essere trasferiti a Modena, auspicando che il progetto relativo all’offerta trattamentale del nuovo padiglione, con possibilità di partecipare a corsi di formazione e di espletare attività lavorative, potesse compiutamente dispiegarsi. Ma la Garante registra che la situazione è ben diversa. Nonostante gli sforzi della Direzione, lavorano all’interno dell’Istituto 58 persone: 50 impegnati nei lavori domestici, per brevi periodi non continuativi, e per il disbrigo delle ordinarie occupazioni all’interno della struttura, e 8 nella tenuta agricola. Desi Bruno rivolge un pressante appello all’imprenditoria locale, sul modello di quanto già avvenuto nel carcere di Bologna. Il lavoro in carcere rappresenta un investimento per tutti, anche per la collettività in termini di sicurezza: solo il lavoro, infatti, può abbattere la recidiva. Chiede agli imprenditori di scommettere su un progetto di lavoro in carcere: ci sono gli spazi, gli sgravi fiscali, una manodopera meno costosa e con voglia di fare… Ricorda che a Bologna si sono messi insieme tre grandi imprese industriali (Ima, Gd e Marchesini) e assieme alla Fondazione Aldini Valeriani hanno dato vita a un’impresa sociale, aprendo un’officina in carcere che sta dando ottimi risultati e impegna una dozzina di detenuti in lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici. L’auspicio è che qualche imprenditore modenese voglia fare altrettanto. Roma: la Cancellieri a Rebibbia Femminile inaugura struttura di "detenzione dinamica" www.giustizia.it, 20 dicembre 2013 Roma, Casa Circondariale Femminile di Rebibbia. Il primo modulo per attrezzare spazi dove i detenuti possano trascorrere otto ore fuori dalle celle e dalle sezioni, impegnandosi in attività e costruendo anche un’organizzazione responsabile del proprio tempo detentivo, è da oggi realtà. Il nuovo modello di spazio trattamentale, proposto dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e predisposto dal Commissario straordinario per l’Edilizia Penitenziaria, è stato presentato questa mattina al guardasigilli Annamaria Cancellieri dal capo del Dap Giovanni Tamburino e dal prefetto Angelo Sinesio. La struttura, realizzata in legno e vetro, si caratterizza oltre che per l’economicità dei costi e la rapidità di costruzione (max 90 giorni) e montaggio, anche per essere estremamente flessibile ed adattabile alle diverse esigenze degli Istituti penitenziari. Il singolo modulo, che può arrivare ad una superficie massima di seicento metri quadrati coperti, è dotato di servizi igienici, climatizzazione e ha caratteristiche di elevata efficienza energetica; al suo interno, lo spazio può essere organizzato in base alle diverse esigenze di istituto e al programma di trattamento previsto. Questa prima sperimentazione fornirà ai provveditori regionali del Dap elementi utili per dare indicazioni ai direttori affinché in ciascun istituto si predisponga una nuova organizzazione della giornata dei detenuti a cui la struttura è destinata: saranno le osservazioni dell’Amministrazione periferica a suggerire eventuali modifiche del modulo proposto per permettere poi la sua adozione su base nazionale. La necessità di passare da un modello di detenzione centrato sulla permanenza nelle celle ad un modello centrato sull’organizzazione della giornata al di fuori di esse è alla base delle raccomandazioni europee all’Italia: proprio queste, oltre a indicare l’urgenza di ridurre il grave affollamento carcerario, hanno anche sollecitato l’altrettanto urgente necessità di ridisegnare l’attuale sistema detentivo. Da qui le indicazioni elaborate nei mesi scorsi dalla Commissione insediata dal ministro Cancellieri e presieduta da Mauro Palma per gli interventi in materia penitenziaria, che, appunto, ha individuato nella necessità che i detenuti (non in alta sicurezza) trascorrano almeno otto ore al giorno di fuori delle celle, impegnati in attività e in spazi appositamente attrezzati, uno dei principi fondamentali a cui ispirare il nuovo sistema carcerario. Livorno: Cancellieri; detenuti lavorano per valorizzare Pianosa, modello per tutto il Paese di Annamaria Rusciano news.supermoney.eu, 20 dicembre 2013 Da un progetto avviato con la firma di un protocollo di intesa tra il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze Antonietta Fiorillo ed Enrico Rossi, Governatore della regione Toscana, saranno trasferiti all’incirca 100 detenuti sull’isola di Pianosa. Lavoreranno per ristrutturare il vecchio carcere di massima sicurezza e tutte le strutture già esistenti, nonché gli alloggi per le guardie carcerarie. L’isola, ha detto il Ministro: "non tornerà ad essere un carcere speciale; i detenuti oltre a ristrutturare gli immobili, si dedicheranno anche ai lavori agricoli, rendendo l’isola un gioiello dell’agricoltura e sarà valorizzata la sua naturale bellezza. Al momento c’è un investimento sul lavoro, poi ci saranno anche le risorse". Questo disegno fa parte del programma per migliorare il sistema carcerario italiano: durerà tre anni e il suo obbiettivo è di recuperare alla società civile un numero di 300 detenuti provenienti da esperienze di tossicodipendenza e di utilizzare diversamente le case circondariali di Grosseto, Empoli e Massa Marittima, ai fini agrituristici e di costruire un asilo nido in prossimità del carcere per accogliere oltre ai bambini dei detenuti anche quelli delle persone libere, e di costruire alloggi per le madri che devono scontare una pena. Tanti progetti sul tavolo ma poche risorse economiche. Il Ministro Anna Maria Cancellieri è però ottimista e dice: "Porterò il mio progetto in conferenza nelle varie regioni, voglio che diventi un modello da seguire e adottare anche in altri siti che ospitano case circondariali, in modo da recuperare quanto più detenuti possibili legati alla tossicodipendenza". Infatti il 30% dei detenuti è in carcere per reati legati alla droga e a loro volta ne sono anche vittime. Parma: prevista nuova sezione da 200 detenuti, il padiglione sarà pronto a inizio 2015 di Gian Luca Zurlini La Gazzetta di Parma, 20 dicembre 2013 Se il 2013 è stato un anno particolarmente impegnativo per il carcere di via Burla (vedi l’evasione dei due detenuti albanesi), uno dei penitenziari più grandi e importanti d’Italia, il 2014 parte all’insegna di importanti novità dovute ai "lavori in corso" per ingrandire ulteriormente la struttura detentiva parmigiana. Da qualche settimana è stato infatti installato all’interno delle mura del penitenziario il grande cantiere che servirà per realizzare un nuovo padiglione carcerario. (...) Il programma dei lavori prevede il completamento del nuovo padiglione di via Burla tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015. Una volta pronto, sarà in grado di ospitare altri 200 detenuti. Bologna: in carcere come all’Università, sì polo multidisciplinare per i detenuti-studenti di Chiara Affronte L’Unità, 20 dicembre 2013 Una serra per aspiranti floricoltori e per studenti del Corso di laurea in Verde ornamentale e una sartoria per artigiani e aspiranti allievi del corso di laurea in Tecnico della moda. Sarà il primo polo universitario pluridisciplinare quello che sorgerà il prossimo anno accademico a Bologna, al carcere della Dozza dove un’intera sezione dell’istituto ospiterà una ventina detenuti che intendono iscriversi all’università, anche in arrivo da altri istituti. E che già lo fanno studiando però soli nella loro cella. Come è successo proprio nei giorni scorsi, quando sotto le due torri si è laureato un detenuto 47enne con ancora 10 anni da scontare, Giuseppe Stefano Mollace, noto come "Occhialini" quando era esponente della cosca Cordì di Locri. Oggi questa possibilità sarà un’occasione in più per un numero maggiore di detenuti che, in una vita costellata di tanti aspetti negativi e di tanta sofferenza - subita e inflitta - troveranno una ragione per cambiare direzione grazie ad un protocollo firmato tra l’Alma mater di Bologna e il carcere della Dozza. La "svolta" sta nella direzione dell’umanizzazione della pena, come sottolinea la direttrice del carcere Claudia Clementi: "Così lavoriamo per riempire la pena di contenuti", scandisce il provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria Pietro Buffa, costruendo dignità a partire dalla sofferenza. E per questi studenti-detenuti cambia la modalità di approccio allo studio: potranno accedere ad internet utilizzando un sistema protetto per "dialogare" virtualmente con i loro corsi di laurea, dalle segreterie ai docenti, saranno seguiti da tutor con una maggiore frequenza, potranno seguire delle lezioni a distanza. Ma il valore aggiunto del polo bolognese rispetto a quelli esistenti nel resto d’Italia starà nelle multidisciplinarietà dell’offerta. "Certe facoltà dagli studenti-detenuti sono escluse a priori perché prevedono una parte pratica che non è possibile seguire se ci si trova in carcere, come medicina o chimica", spiega il professore emerito dell’ateneo bolognese Giorgio Basevi, economista e figura chiave del progetto. ma si può pensare ai corsi di laurea nuovi a partire da ciò che il carcere bolognese offre. "La serra ormai da tempo è inutilizzata perché la crisi morde e l’attività imprenditoriale in questo senso non reggeva - spiega Massimo Ziccone, responsabile dell’area educativa dell’istituto bolognese - ma noi vogliamo rimetterla in piedi dal punto di vista della formazione". Nella serra, insomma, potrebbero lavorare i detenuti tossicodipendenti svolgendo attività da cui trarrebbero vantaggi enormi dal punto di vista terapeutico e intanto potrebbero fare esperienza gli studenti di corsi di laurea che duna serra hanno necessità per fare pratica. Stesso discorso per la sartoria, ad oggi ancora in produzione, ma che potrebbe anche in questo caso, assumere un ruolo doppio. Prima del protocollo appena firmato i docenti entravano già nel carcere, per spirito di volontariato, per missione. E una convenzione tra Dozza e Alma mater era in essere già dal 2000. A Bologna, poi, molto noto per i suoi progetti in carcere, c’era Pier Cesare Bori, docente di Filosofia morale recentemente scomparso, che ha passato molto tempo con i detenuti, con i quali teneva lezioni e faceva meditazione. Ma è l’istituzione del polo universitario a fare la differenza. "L’università di per sé è inclusiva - commenta il rettore dell’Alma mater Ivano Dionigi, noi non escludiamo nessuno, giriamo il mondo come ateneo e non posiamo non accorgerci di chi c’è a pochi chilometri da noi". Benevento: detenuto non vuole stare in cella con altri e tenta suicidio, salvato dagli agenti Ansa, 20 dicembre 2013 Non gradiva la presenza in cella di altri due detenuti e per questo un carcerato ha cominciato a ferirsi con delle lamette all’avambraccio per poi minacciare i presenti di recidersi la gola ma alla fine è stato convinto a desistere dal gesto dagli agenti di polizia penitenziaria. Å l’ennesimo episodio di autolesionismo in carcere che si è registrato, questa volta, nella casa circondariale di Benevento. A denunciare l’episodio è il delegato regionale, Nicola Schipani, ed il segretario provinciale, Luigi Napolitano, della Ugl Federazione Nazionale Polizia Penitenziaria. "Dopo una lunga e paziente trattativa - si legge nella nota sindacale - portata avanti dal personale della Polizia Penitenziaria, il detenuto è stato convinto a desistere dall’insano gesto ed è stato poi accompagnato dagli stessi agenti presso la locale infermeria per le cure del caso. Solo l’alto grado di equilibrio e professionalità del personale ed il pronto intervento dello staff sanitario dell’Istituto, hanno permesso di scongiurare epiloghi ben più gravi". "Questo nuovo gesto di autolesionismo - concludono i rappresentanti sindacali - dimostra, ancora una volta, che l’Istituto di pena beneventano non è avulso dai problemi che interessano l’intero universo penitenziario a livello nazionale, qualcosa di ben lontano dall’essere quell’isola felice che spesso si cerca di rappresentare". Pesaro: droga nel pacco destinato a un detenuto, arrestato marocchino di Roberta Baldini www.viverepesaro.it, 20 dicembre 2013 Brillante operazione di polizia giudiziaria del reparto di polizia penitenziaria di Pesaro che hanno portato all’arresto del marocchino D.A. di 24 anni, già in carcere per altri fatti. L’operazione, che ha dato luogo all’arresto in carcere del marocchino e alla denuncia a piede libero del suo coindagato attualmente irreperibile, è avvenuta nell’ambito degli ordinari controlli amministrativi effettuati sui pacchi inviati dai familiari ai parenti detenuti e finalizzati al rinvenimento di oggetti e/o sostanze non consentite. Ne da notizia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), che si complimenta con i poliziotti di Pesaro. "Grazie alla professionalità mostrata dagli uomini della polizia penitenziaria di Pesaro, coordinati dall’Ispettore capo Claudio Tommasino, sono stati rinvenuti, ben cuciti negli orli dei pantaloni, undici involucri di cellophane per un peso complessivo di 63 gr circa di sostanza stupefacente del tipo hashish, sicuramente destinata allo spaccio all’interno nei reparti detentivi. La persona, già sottoposta a carcerazione preventiva per altri reati e fatti, resta ora associata al penitenziario pesarese anche per detenzione di sostanze stupefacenti aggravata dalla finalità della cessione in ambiente penitenziario e posta a disposizione della Procura della Repubblica di Pesaro, in attesa della convalida". Palermo: con il Progetto "L’errore", i detenuti del Pagliarelli diventano agricoltori palermo.blogsicilia.it, 20 dicembre 2013 Da un errore può nascere un’opportunità di riscatto. Sarà presentata domani alle ore 10 presso la Sala Confesercenti della Federazione provinciale di Palermo la ricerca-studio del progetto "L’errore". L’iniziativa del Programma operativo "Obiettivo Convergenza" 2007-2013 finanziato dall’assessorato alla Famiglia e Politiche sociali della Regione siciliana ha coinvolto per circa due anni e mezzo 40 detenuti della casa circondariale "Pagliarelli" di Palermo. I beneficiari, 30 uomini e 10 donne di cui molti extracomunitari, sono stati inseriti in un percorso integrato di quattro corsi di formazione e lavoro - 1.000 ore di attività teoriche e 3.360 di work experience - per la coltivazione, produzione e commercializzazione di prodotti orto-floro-vivaistici provenienti da un tratto di terra bonificata collocata fuori le mura e all’interno della recinzione penitenziaria in parallelo a viale Regione Siciliana, area di coltivazione che gli allievi detenuti hanno reso fertile e produttiva. L’obiettivo generale del progetto "L’errore", gestito dalla Confesercenti di Palermo in A.T.S. con i partners Associazione Euro, Rem s.r.l. e Movimento per il Cittadino, è stato quello di favorire il reinserimento socio-lavorativo di soggetti in esecuzione penale (in regime di semilibertà, articolo 21 o in conclusione di pena), capace di dare un senso costruttivo alla pena detentiva, contrapponendo così alla cultura dell’emarginazione, la civiltà del recupero e della reintegrazione nella comunità. Numerosi gli ortaggi coltivati, tra i quali lattuga, scarola, broccoli, pomodori, zucchine e fagioli ma anche prodotti di provenienza tropicale come mango e avocado, tutti frutto delle attività lavorative "intra-murarie" del Pagliarelli. La Federazione di Palermo di Confesercenti ha inoltre realizzato un ampio capannone di legno, che è stata la sede delle attività progettuali, e gestito la rete commerciale e di vendita, con l’avvio di alcuni eventi presso il Mercato del Contadino dell’Istituto Zootecnico nei quali i detenuti, remunerati per il loro lavoro e preventivamente autorizzati a uscire dal carcere, sono stati direttamente coinvolti. L’iniziativa progettuale assume particolare rilievo rispetto al nuovo "pacchetto carceri", poiché il lavoro in agricoltura è uno dei settori sui quali il governo intende investire per agevolare la diffusione del lavoro nelle carceri, come terapia riabilitativa. Milano: i regali di Natale si fanno con i prodotti dei detenuti, aperto uno store di 200 mq Ansa, 20 dicembre 2013 Dalle biciclette in bambù con ruote hi-tech sino alle piante ornamentali e officinali, passando per le borse e gli accessori decorati con gli inconfondibili gatti di San Vittore, oltre al design ricercato di lampade e complementi d’arredo in legno realizzati a Bollate e a tanti giocattoli in legno e stoffa per i più piccoli. Sono alcune delle idee regalo e dei prodotti che i milanesi potranno acquistare allo spazio Air, Acceleratore d’Impresa Ristretta in viale dei Mille 1. Lo store di 200 mq e cinque vetrine su strada, nato a febbraio da un’idea del Comune di Milano, del Provveditorato alle Carceri e di 15 realtà imprenditoriali, oggi diventate 22 - spiega una nota - vuole commercializzare e far conoscere ai cittadini quanto di meglio viene realizzato e prodotto dai detenuti di Bollate, Opera, San Vittore e Beccaria. La prima a fare acquisti per un Natale che coniuga solidarietà e originalità è stata l’assessore alle Politiche per il Lavoro, Sviluppo economico, Moda e Design Cristina Tajani, che questo pomeriggio ha visitato gli spazi di AIR: "Proprio in questi giorni - spiega l’assessore - abbiamo chiuso il secondo bando per l’identificazione delle nuove cooperative che vogliono creare impresa all’interno delle case circondariali di Milano e avvalersi delle opportunità offerte dall’Acceleratore d’Impresa Ristretta, avviando produzioni di qualità che consentano, nel contempo, il recupero sociale della persona attraverso il lavoro. Le nuove cooperative, passate in meno di un anno da 15 a 22, - ha concluso Tajani - avranno a disposizione fondi per 600mila euro utili ad iniziare un percorso imprenditoriale all’interno delle carceri". Pescara: detenuto non rientra dopo permesso, in fuga killer di camorra Adnkronos, 20 dicembre 2013 Mentre in tutta Italia sono in atto le ricerche del serial killer Bartolomeo Gagliano, evaso a Genova martedì mattina durante un permesso, si verifica un caso analogo a Pescara. Il napoletano Pietro Esposito, 47 anni, pentito di camorra, non è rientrato nel penitenziario, sempre dopo la concessione di un permesso premio. Doveva restare recluso fino al giugno 2014 per una condanna inflittagli proprio in seguito a una precedente evasione. Esponente del clan De Lucia, Esposito è accusato di due omicidi, tra cui quello di Gelsomina Verde, giovane di 23 torturata e uccisa nel 2004, nell’ambito della faida di Scampia. Per quel delitto ha già scontato sei anni di reclusione. Il 14 dicembre scorso, il giudice di sorveglianza di Pescara, Maria Rosaria Parruti, gli aveva concesso un permesso premio di otto ore, da cui non è più rientrato. Bologna: Dap e Lega nazionale dilettanti insieme per realizzare campo di calcio Adnkronos, 20 dicembre 2013 Con l’incontro tra il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ed il Presidente della Lega nazionale dilettanti Carlo Tavecchio, avvenuto presso l’ufficio della titolare del dicastero di via Arenula, si è dato il via ad una collaborazione strategica tra il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e la famiglia del calcio dilettantistico e giovanile italiano. Lo scopo è realizzare un impianto di calcio di ultima generazione adiacente alla Casa Circondariale di Bologna. Un progetto ambizioso che ha diversi obiettivi che vanno ben oltre l’intervento edificativo, di per sé già di grande impatto (il valore di 500 mila euro ricade nella competenza della Lega Dilettanti). L’opera di bonifica del terreno in uso al Dap, infatti, sarà in capo all’Amministrazione che ha in animo di far lavorare proprio quei detenuti. "Il progetto che sta prendendo forma - ha affermato il Ministro - avrà il merito di riqualificare un’intera area e sarà di grande prestigio per tutta la città. Sotto il profilo sociale offre un’opportunità da non lasciarsi sfuggire per dare dignità ai detenuti nella loro fase riabilitativa, gettando le fondamenta per la costruzione di un ponte culturale tra l’interno e l’esterno del carcere". L’impianto, infatti, sarà cogestito in modo tale da utilizzarlo al massimo, facendolo diventare un polo aperto ai dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria, al calcio di base e a tutta la collettività. "Voglio innanzitutto ringraziare il Ministro Cancellieri per la disponibilità che ha mostrato verso il mondo dilettantistico - ha dichiarato il Presidente Tavecchio al termine dell’incontro - nello specifico sono convinto che un’opera di questa entità sia destinata a lasciare il segno in positivo nel rapporto tra l’amministrazione del sistema carcerario italiano ed il mondo dello sport di base". Motore propulsivo di questa iniziativa, insieme al Comitato Regionale Emilia Romagna della Lnd, è il responsabile del gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre Marcello Tolu che sta lavorando in maniera intensiva per avere tutte le necessarie autorizzazioni entro la fine di gennaio. Quello contiguo alla Casa Circondariale di Bologna è un ulteriore tassello del più ampio progetto inaugurato dalla Lega Nazionale Dilettanti per la realizzazione di 20 nuovi Centri di Formazione Federale Figc-Lnd nel pieno rispetto delle più moderne regole di sicurezza per gli atleti e di efficientamento energetico. Genova: a Marassi, il Natale dei detenuti con i cantanti dell’Associazione Liguria Eventi di Alice Martinelli Il Secolo XIX, 20 dicembre 2013 A poco più di un giorno dalla fuga di Bartolomeo Gagliano, il serial killer sparito dopo aver ottenuto un permesso premio, i detenuti del carcere di Marassi aspettano l’arrivo del Natale nella cappella del carcere dove oggi si esibiscono, a titolo gratuito, i cantanti dell’Associazione Liguria Eventi. Loro sono quelli che hanno potuto partecipare, in base alla disponibilità di posti e di orari, a questo piccolo concerto. Settanta carcerati seduti su sedie e panche di legno, ragazzi per lo più. Una media d’età non alta, capelli con cresta, come vanno di moda adesso. Gli occhi sono rivolti al pulpito dove Francesco Ghiglione, uno dei cantanti, si esibisce nella prima melodia, "L’ultima canzone" di Francesco Paolo Tosti. Subito dopo, un attimo di silenzio. Poi applausi per lui e qualcuno si alza anche in piedi. "È la prima volta che organizziamo questo evento, e ne siamo felici", sorride parlandone Carla Casanova direttrice artistica dell’Associazione. Le fa eco Graziella Scovazzo, soprano lirico che ha appena intonato le note de "Il bacio". "La musica è vita - racconta - Ognuno di noi porta un brano nel proprio cuore ed io sono contenta di aver cantato qui, perché questa platea di spettatori dimostra di apprezzare la musica". Se sia la musica a essere apprezzata o semplicemente i minuti fuori dalle celle non importa. Quel che si percepisce è l’eccitazione dell’appuntamento, il momento di allontanamento da sbarre e corridoi. Qualcuno sonnecchia, qualcuno scherza e tocca il gomito al compagno seduto affianco per ridere di qualcosa sussurrato all’orecchio. Ma in queste file c’è anche chi che ascolta davvero, in silenzio, sempre sotto gli occhi di una decina di agenti penitenziari. Lontano dal piano terra da cui si diramano i corridoi di celle. Lontano dal grande albero di Natale che, sotto stretta sorveglianza, hanno addobbato proprio loro. Televisione: sul tema dell'amnistia un "Report" mal fatto di Marco Beltrandi Notizie Radicali, 20 dicembre 2013 Volevamo noi radicali, approfondimenti in prima serata sulla questione giustizia, e sulle ragioni per cui un'amnistia e un indulto sono misure strutturali obbligate ed ineludibili per fare rientrare l'Italia nella legalità? Li avevano, questi spazi di approfondimento, ordinati - invano - l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni alla Rai, nei mesi fra settembre e dicembre 2012 con la presenza anche dei radicali e di Marco Pannella? Anche in orari di massimo ascolto? Con un po' di ritardo ne è arrivato. Non un dibattito televisivo ma pur sempre un approfondimento, quello che lunedì 16 dicembre 2013 è andato in onda su Raitre, vale a dire l'ultima puntata dell'anno 2013 di "Report" dell'ottima - solitamente - Milena Gabanelli, interamente dedicata alla mala - giustizia. Avevo deciso di dedicare questa edizione della mia rubrica settimanale alla informazione sulle primarie del PD in Rai. Scusandomene con i lettori, rimando l'intenzione alla prossima settimana. Quella di "Report" è stata una puntata a tesi e a senso unico, contro - ferocemente -l'amnistia e l'indulto, contro chi propone queste misure. È bene scriverlo senza mezzi termini, senza alcuna possibilità di replica, senza alcun spazio di dubbio per chi non conosca la materia giustizia anche in chiave comparata. Tutta la puntata di "Report" è stata un suggestivo accostamento impossibile di eventi politici anche del passato, fatti relativi al disfuzionamento della giustizia, prescrizioni brevi, leggi ad personam e del tutto impropri (e non spiegati) paragoni con la giustizia anglosassone. Un grande suggestivo calderone in cui pere e mele sono state allegramente mescolate e frullate con la velocità dei servizi senza pausa di riflessione alcuna. Solo per fare un esempio: il rito processuale accusatorio introdotto dai "cattivi" socialisti in Italia nel 1989, introdotto in forma incompleta, senza contestuale riforma dell'assetto dell'ordinamento giudiziario in coerenza con esso, ed infine falcidiato dalle sentenze della Corte Costituzionale (ma naturalmente alla sua incompletezza, alla sua falcidazione da parte della Consulta, nessun riferimento in trasmissione), presentato falsamente come causa unica di tutti i mail di un ordinamento perfetto in grado in sé di perseguire tutti i crimini. Paragoni impossibili, perché incompleti, con il mondo anglossassone, senza naturalmente dire che li è tutto diverso, dallo stare decisis delle sentenze, al diritto consuetudinario, ai pochi giudici non inseriti giovani in un corpo burocratico come nei paesi continentali, con processi di selezione, formazione e socializzazione del tutto diversi. Ma di queste diversità nessuna menzione, salvo dire che li non vige la prescrizione, ma - aggiungo io - neppure quella follia solo italiana tra i paesi di democrazia consolidata dell'obbligatorietà dell'azione penale, peraltro in Gran Bretagna esercitata da avvocati dell'accusa (non da funzionari facenti parte del corpo dei giudici, come in Italia), oppure da funzionari di polizia nei casi meno gravi. Credo che se in Italia si proponesse al cittadino di importare tutto il sistema inglese pochi sarebbero in disaccordo se totalmente informati. Ma Gabanelli non voleva comparare sistemi giudiziari, voleva dare una immagine superficiale dei problemi, per lei solo dovuti alla lentezza dei procedimenti, alla cattiva politica sporca e criminale, non magari alla mancanza di alcune riforme fondamentali che paesi di tradizione continentale come il nostro hanno fatto molti anni. È in sostanza la tesi Travaglio. Così, in questo quadro, certo non poteva mancare la assoluta non spiegazione delle ragioni dell'amnistia e dell'indulto, del quale solo si dice che in Gran Bretagna sarebbero inconcepibili (e vorrei anche vedere), con contestuale criminalizzazione del Ministro della Giustizia Cancellieri, secondo il nuovo verbo renziano, accompagnata dalla divulgazione di dati allarmanti, senza citare la fonte e il contesto, su un presunto aumento persino del 40 per cento di tutti i reati di criminalità comune, dati smentiti dalle vere e serie statistiche di cui siamo a conoscenza, che sono di segno diametralmente opposto. Proprio di questo aveva bisogno il dibattito sulla giustizia in Italia. Questa la risposta del servizio pubblico radiotelevisivo ad Agcom, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il suo ineccepibile messaggio alle Camere. Senza appello, senza possibilità di replica, politicamente fazioso. Giornalismo politico, anzi neppure giornalismo, direi partitico e basta. Mi dispiace di dover scrivere questo, sovente ho apprezzato "Report" malgrado la costante censura nei confronti delle iniziative radicali, persino quando ne sono gli unici protagonisti. Ma questo è ciò di cui è capace questo servizio pubblico di Anna Maria Tarantola, di Luigi Gubitosi, del CdA ridotto (possibile? Ci tornerò) al silenzio e all'impotenza, dell'indipendenza dalla politica. Di una Agcom ridicolizzata dalla Rai, di una giustizia amministrativa che non sa far rispettare le sentenze. Chissà se di fronte a tutto questo ci sarà silenzio e complicità del giornalismo italiano, e persino del sindacalismo della categoria, sempre pronto a scendere in piazza per una informazione "libera". Mi sono ricordato così che lo scorso 3 dicembre 2013 il "TG2" si era occupato del rischio Vesuvio, in un servizio in chiusura della edizione delle 20.30. Peccato fosse solo per affermare con perentoria sicurezza che esso non esisterebbe, mentre - chissà perché - esiste per praticamente tutti gli esperti della materia. Rai, di tutto di più. Immigrazione: Mazzoni (Fi), i Cie sono inutili, costosi e non assolvono alla loro funzione Ansa, 20 dicembre 2013 "I Cie così sono inutili, costosi e non assolvono alla funzione per la quale sono costituiti. C’è un principio di legalità da cui non si può prescindere per nessun essere umano". Lo dice il senatore Riccardo Mazzoni di Forza Italia, in un’intervista al quotidiano Corriere Fiorentino, rivelando di aver modificato la sua opinione sui Cie: "Non è che gli immigrati possono entrare senza limiti, è sbagliato e dannoso. Il punto è un altro - dice Mazzoni. L’esperienza di questi mesi della Commissione Diritti umani del Senato mi ha trasformato da sostenitore ideologico dei Cie ad una posizione riflessiva e critica. Sono un giornalista: sono andato sul posto, ho visto". Quindi, prosegue l’intervista "i servizi sono sicuramente insufficienti", ma soprattutto "ci sono casi umani inaccettabili. Dentro trovi di tutto, anche persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che a un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno o richiedenti asilo che devono convivere con ex detenuti". Mazzoni, che è di Prato, parla anche dell’immigrazione clandestina cinese dicendo che "i Cie per questa sono inutili senza collaborazione con le autorità consolari cinesi", mentre sulla Bossi-Fini osserva che "i Cie sono in tutta Europa, è stata l’Europa a imporre i 18 mesi di permanenza e che deve rivedere le politiche per l’immigrazione. Non è abolendo la Bossi-Fini che si risolve il problema. Occorre trovare soluzioni diverse, innovative". Belgio: attendeva estradizione, di nuovo in fuga uno dei due albanesi evasi da Parma www.parmatoday.it, 20 dicembre 2013 Evaso anche dal carcere belga uno dei due albanesi evasi nel febbraio scorso era evaso dal carcere di Parma. È già stato ribattezzato il "mago delle evasioni". Taulant Toma. Era evaso dal carcere di massima sicurezza di Parma il 2 febbraio 2013 insieme a un altro detenuto albanese, Valentin Frokka. Poi, dopo una latitanza durata sette mesi, il giovane albanese di 29 anni era stato intercettato ed arrestato in Belgio. Qualche giorno fa, il 14 dicembre, è evaso dal carcere di Lantin, vicino alla città di Liegi. Il giovane oltretutto era già evaso dal supercarcere di Terni il 9 ottobre 2009: per lui quindi si tratta della terza evasione in 4 anni. Taulant Toma era in attesa di essere estradato in Italia per scontare la pena definitiva. Oltre ai reati per i quali era rinchiusi in via Burla è stato accusato anche di evasione, dopo la fuga dal carcere di Parma. Secondo la ricostruzione dei quotidiano belgi il 29enne sarebbe evaso grazie all’appoggio di alcuni complici che lo hanno aspettato in auto all’esterno delle mura dal carcere di Lantin. Nicaragua: un dialogo nazionale per trovare soluzioni al grave problema delle carceri Agenzia Fides, 20 dicembre 2013 Di fronte al sovraffollamento, alle condizioni di degrado nelle carceri del paese e ai casi di abusi nelle carceri di Juigalpa, il Vescovo di Juigalpa (zona di San Juan e Rio Chontales), Sua Ecc. Mons. René Sócrates Sándigo Jirón, ha suggerito al Ministro del governo Ana Isabel Morales, di promuovere un dialogo nazionale per affrontare la questione, al fine di unire gli sforzi nella ricerca di soluzioni adeguate. In una nota pervenuta all’Agenzia Fides da una fonte locale, si legge: "Le carceri sono una bomba a orologeria, e malgrado questo, la Chiesa cattolica, nel corso degli anni ha sempre dato il proprio sostegno per risolvere le esigenze dei detenuti". Mons. Sándigo Jirón aggiunge: "prima c’era una maggiore disponibilità dei fedeli per questo tipo di impegno e di aiuto. Oggi il canale di accesso ha molti ostacoli e questo ha fatto sì che molti volontari non abbiano lo stesso entusiasmo, siano delusi e quindi calano gli aiuti". Il Vescovo insiste sulla necessità di "aprirsi al dialogo, alla ricerca di una soluzione. Oggi dobbiamo ringraziare le informazioni che vengono dall’interno, perché c’è un giornalismo investigativo, che mette in evidenza tali situazioni". Infine ha ricordato che la Chiesa ha una vasta preoccupazione pastorale per tutta la popolazione, ma la pastorale nelle carceri è una di quelle più importanti. In Nicaragua la Chiesa cattolica, con i suoi operatori pastorali, è presente da sempre nelle carceri (vedi Fides 2/03/2012), non solo per l’assistenza ai detenuti ma anche nella difesa dei loro diritti. Dalle notizie raccolte da Fides, la situazione nelle carceri è tremenda: nelle celle costruite per 5 o 7 persone ce ne sono 40. I detenuti devono addirittura dormire a turno perché non c’è posto se non in piedi (a Rivas). Ci sono luoghi come Juigalpa, Granada, Chinandega, Tipitapa e Jinotega dove la popolazione delle carceri è di molto sopra la media. Sembra che solo nella capitale la situazione sia sotto controllo. Siria: Amnesty, torture ed esecuzioni in carceri create da jihadisti nel nord del paese Aki, 20 dicembre 2013 Amnesty International ha accusato lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo jihadista legato ad al-Qaeda che combatte in Siria contro il regime di Bashar al-Assad, di aver creato nelle zone sotto il suo controllo nel nord del paese carceri segrete nelle quali tortura i suoi prigionieri e mette in atto esecuzioni sommarie. In un rapporto che si basa sui resoconti di alcuni testimoni diretti, l’organizzazione afferma che lo Stato islamico si è "spietatamente fatto beffa dei diritti della popolazione locale". Sono sette, in particolare, i centri di detenzione creati dal gruppo estremista islamico e si trovano nelle province settentrionali di Aleppo e di Raqqa. Vi viene rinchiuso chiunque si opponga al potere dello Stato islamico nei territori che ha conquistato. Ma anche chi si macchia di piccoli furti o di "crimini contro l’Islam", come fumare sigarette. Iraq: pena di morte, negli ultimi due giorni eseguite sette condanne per "terrorismo" Aki, 20 dicembre 2013 Sono state eseguite negli ultimi due giorni in Iraq sette condanne a morte comminate ad altrettanti detenuti accusati per reati di "terrorismo". In un comunicato del ministro della Giustizia Hassan al-Shammari si precisa che i sette erano tutti cittadini iracheni "riconosciuti colpevoli in base all’articolo IV della legge anti-terrorismo". Nonostante gli appelli internazionali affinché Baghdad fermi le esecuzioni nel Paese, da inizio anno sono almeno 144 le condanne a morte eseguite. Di solito le esecuzioni in Iraq vengono effettuate mediante impiccagione. Amnesty International ha denunciato di recente come dopo i dati allarmanti del 2012 (almeno 129 condanne a morte eseguite), quest’anno si stia assistendo a un peggioramento della situazione. Cina: rapporto shock: detenuti uccisi per espiantare i loro organi di Carla Toffoletti www.rainews.it, 20 dicembre 2013 Secondo il rapporto investigativo "Bloody Harvest" in Cina tra il 2000 e il 2005 i praticanti del Falun Gong, disciplina buddista perseguitata dal 1999, avrebbero subito l’espianto forzato di 41500 organi. Audizione shock in Senato, Commissione Diritti Umani, dove si denuncia l’espianto forzato e sistematico di organi dai prigionieri di coscienza, e in particolare dai praticanti del Falun Gong in Cina. "Non posso rendere giustizia in pochi minuti a tutto il lavoro fatto in anni", esordisce l’avvocato canadese per i diritti umani David Matas, candidato al nobel per la Pace 2010, invitato ad esporre i termini di quello da molti denunciato come un neo-cannibalismo di Stato. "Ho iniziato a indagare sulle accuse di espianti forzati in Cina nel 2006 dopo che un reporter di una stazione televisiva giapponese e la moglie di un chirurgo hanno lasciato la Cina per andare negli Stati Uniti, dove hanno raccontato di un campo di lavoro nelle vicinanze di un ospedale della Cina Nord-Orientale in cui i praticanti del Falun Gong erano detenuti per fungere da banca vivente per l’espianto di organi. Quando l’ospedale aveva bisogno di organi per i trapianti, loro cercavano gli organi compatibili tra le persone del campo di lavoro, prendevano la persona ed espiantavano tutti gli organi vendibili, uccidendo il praticante durante l’operazione". L’inchiesta, portata avanti assieme all’ex segretario di Stato canadese David Kilgour, ha dimostrato che questa pratica aberrante sta avvenendo puntualmente e che "le accuse sono vere". Nella Repubblica popolare cinese si praticano oltre 10mila trapianti l’anno e i 165 centri cinesi pubblicizzano la loro capacità di individuare organi compatibili in due/quattro settimane, sebbene il Paese non disponga di un sistema pubblico organizzato per il dono e la distribuzione di organi. Inoltre il sistema di trapianto in Cina non è conforme ai requisiti previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in materia di trasparenza e tracciabilità nel reperimento degli organi, e il governo cinese si è sempre opposto ad un controllo indipendente del sistema. "Pazienti dall’Europa, come da altri Paesi, viaggiano in Cina per trapianti di organo che ottengono in 1-2 settimane, quando il tempo d’attesa comune per le donazioni in Europa è di alcuni anni- denuncia Matas- decine di migliaia di organi non hanno una provenienza legale e, come dimostrato da testimoni e prove corroboranti, provengono dai prigionieri di coscienza non consenzienti". Nel rapporto investigativo "Bloody Harvest" (in seguito ripubblicato in versione aggiornata e come libro), i due autori stimano che tra il 2000 e il 2005, i praticanti del Falun Gong hanno subito l’espianto forzato di 41.500 organi. Tra le altre prove messe in evidenza da Kilgour e Matas: esami del sangue ed esami medici inspiegabili, eseguiti solo sui praticanti del Falun Gong detenuti e non eseguiti su altri; ammissioni telefoniche del 2006 in cui i medici affermano di aver accesso a "organi freschi" di praticanti del Falun Gong; esplosione del numero di trapianti eseguiti in Cina dopo l’inizio della persecuzione del Falun Gong e l’assenza di fonti, diverse da quelle dei praticanti della disciplina, da cui attingere organi per far fronte all’aumento della richiesta, testimonianze dirette di pazienti che si sono recati in Cina ottenendo un trapianto in tempi brevissimi. Bloody Harvest pone l’espianto forzato di organi da praticanti del Falun Gong all’interno della politica di persecuzione lanciata da Jang Zemin nel 1999 . Il leader massimo temeva la crescente popolarità che il Falun Gong stava acquisendo (il numero dei praticanti superava il numero dei membri del Pcc), ed era anche spaventato che gli insegnamenti morali tradizionali, proposti dalla disciplina spirituale, potessero disgregare l’autorità dell’ideologia ateista del regime. Matas racconta di aver viaggiato "quasi ininterrottamente" per oltre sette anni, dopo aver finito di scrivere Bloody Harvest, incontrando organizzazioni e politici per raccontare questi crimini contro l’umanità, ed è arrivato alla conclusione che "continua a tutt’oggi una razzia di organi su vasta scala prelevati forzatamente dai praticanti del Falun Gong: organi vivi, compresi reni, fegato, cornee e cuore, raccolti forzatamente per essere venduti a caro prezzo a volte anche a stranieri che normalmente dovrebbero attendere un lungo periodo di tempo per ricevere una donazione volontaria nel Paese di residenza. "Un sistema militarizzato - incalza Matas- anche gli ospedali militari effettuavano traffico di organi". Se si aggiunge che gli organi dei praticanti di Falun Gong sono particolarmente appetibili per lo stile di vita sano che i praticanti espletano, il cerchio è chiuso. "Ci sono paesi virtuosi che hanno fatto buone leggi contro il traffico di organi, come la Spagna, Israele e l’Australia, ma bisogna creare una buona cultura della donazione- suggerisce Matas- perché la domanda è sempre troppo alta (solo in Italia ci sono 14mila persone in attesa di un organo). Serve sicuramente aumentare il numero di trapianti, ma allo stesso tempo bisogna fermare gli abusi, perché il turismo di organi non è perseguito come crimine internazionale ". Poi incalza il nostro governo a fare pressione affinché in Cina venga rispettata e riconosciuta la libertà religiosa come diritto fondamentale della persona , perché "l’uccisione di persone per l’espianto di organi non è limitato al Falun Gong, ma a tutti i prigionieri di coscienza". La posizione di Strasburgo Il tema degli espianti di organi dai prigionieri di coscienza in Cina è esploso a livello globale. Una proposta di risoluzione per chiedere la fine di questa pratica immorale è stata votata giovedì 12 dicembre al Parlamento Europeo di Strasburgo. In data 10 dicembre sono state consegnate all’Alto Commissario per i Diritti Umani della Nazioni Unite 1,5 milioni di firme, raccolte in più di 50 Paesi nel mondo, per una petizione che chiede la fine immediata degli espianti di organi ai praticanti del Falun Gong in Cina. Migliaia le firme raccolte in Italia. Alla commissione Giustizia del Senato è in discussione un disegno di legge che chiede sanzioni penali per chi è coinvolto nel traffico internazionale di organi. Nel 2008 Israele ha vietato il turismo dei trapianti in risposta, in gran parte, alle prove emergenti sugli espianti di organi in Cina. Russia: Putin concede la grazia all’ex Tycoon del petrolio Khodorkovski Il Sole 24 Ore, 20 dicembre 2013 Il presidente russo, Vladimir Putin, ha dichiarato oggi che intende concedere la grazia all’ex numero uno del colosso petrolifero Yukos, Mikhail Khodorkovski, che è detenuto dal 2003. "Il decreto di grazia sarà siglato molto presto", ha detto Putin spiegando che Khodorkovski gli ha inviato una richiesta di grazia, cosa che si era sempre rifiutato di fare ritenendosi ingiustamente condannato. Khodorkovski, ha detto Putin, "come da legge doveva presentare domanda, cosa che non aveva mai fatto ma di recente ha scritto questa lettera e l’ha rivolta a me chiedendomi di concedergli la grazia". "Sono ormai dieci anni che è in prigione, si tratta di una pena seria e invoca delle circostanze di ordine umanitario - ha aggiunto Putin - e io credo che si possa prendere questa decisione". Gli avvocati di Khodorkovsky hanno dichiarato di non aver alcuna informazione circa un’eventuale lettera scritta dal loro assistito. Secondo uno dei legali, Vadim Kliouvgant, Khodorkovsky "non ha fatto domanda e non abbiamo informazioni secondo cui qualcun altro l’abbia fatta per lui". Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha ribadito per telefono all’Afp che Khodorkovsky aveva invece firmato la domanda. Sarebbe comunque dovuto uscire di prigione nel corso del prossimo anno. Stati Uniti: ok budget Pentagono, facilita trasferimento detenuti e chiusura Guantánamo Ansa, 20 dicembre 2013 Il Congresso degli Stati Uniti ha dato il via libera al budget del Pentagono per il 2014, che contiene anche una disposizione per facilitare il trasferimento dei detenuti da Guantánamo in paesi stranieri. Il bilancio assegna per le spese militari circa 552,1 miliardi di dollari, tra cui un aumento dell’1% del saldo delle forze armate statunitensi. E fornisce anche 80,7 miliardi di dollari per le operazioni al di fuori del territorio americano, la maggior parte dei quali per la guerra in Afghanistan. Il testo contiene anche una disposizione che amplia la possibilità per il presidente degli Stati Uniti di ordinare il trasferimento dei detenuti di Guantánamo in paesi stranieri, cosa che potrebbe consentire al presidente Barack Obama di mantenere la sua promessa elettorale fatta nel 2008 riguardo la chiusura del campo di detenzione sull’isola di Cuba.