“Sosta Forzata” compie dieci anni di Carla Chiappini Ristretti Orizzonti, 1 dicembre 2013 Da bambina sognavo in grande, sapevo di voler scrivere, da presto ho cominciato a leggere i giornali e il mio punto d’arrivo era “Il Corriere della Sera”. Come minimo. Poi chissà. Ora festeggio i primi dieci anni di un giornale molto piccolo che parla di carcere già dal suo nome “Sosta Forzata” per ricordare alle persone chiuse e a quelle libere che la pena detentiva, tranne in casi molto rari di ergastolo ostativo, ha un inizio e una fine. È molto importante non perdere di vista questa inoppugnabile verità; le persone dentro dovrebbero sforzarsi ed essere aiutate a dare un senso al proprio tempo perlopiù vuoto e inutile perché la libertà non li colga del tutto impreparati; le persone fuori dovrebbero disporsi a un’ accoglienza attenta e sapiente. Per non stupirsi troppo, poi, di fronte ai numeri in realtà deprimenti della recidiva. Perché l’ingenuità è tanto affascinante nei bambini quanto fastidiosa e irritante negli adulti, soprattutto in quelli che hanno l’impegno del governo a tutti i livelli. Dovrebbe essere un percorso virtuoso e parallelo, una riflessione comune sul tema spinoso delle responsabilità individuali. E delle responsabilità sociali. In tutti questi anni di galera ne ho sentite tante! Tante storie, alcune molto dure, altre tristi o irritanti. Ma una cosa è certa; la società esterna in troppi percorsi scellerati non è innocente. Non c’è un fiume che separa il mondo buono dall’inferno. In carcere ci sono stranieri senza permesso di soggiorno che hanno lavorato in nero per irreprensibili cittadini italiani che magari, poi, non li hanno nemmeno pagati. Ci sono giovani donne straniere che si prostituiscono con altrettanto irreprensibili cittadini italiani. Ci sono ragazzi - tanti e in genere stranieri o tossicodipendenti - che al momento dell’arresto sono stati malmenati. E non pare essere previsto dalla Costituzione. Anche queste storie ho sentito in più di dieci anni di carcere. E poi ci sono altre storie più incoraggianti; di mamme e mogli - tante - che non lasciano soli i loro uomini, di datori di lavoro - pochi in verità - che concedono fiducia a chi è caduto, di cooperative sociali che resistono alla crisi, pronte a offrire una via d’uscita onorevole a chi non ha più nulla. Di un volontariato che è cresciuto negli anni e si è sempre più avvicinato alle persone, incontrandole nelle loro paure, negli sbagli e nelle fragilità. Finalmente c’è chi ha pensato a un’accoglienza ai parenti delle persone recluse e ai bimbi in particolare, vittime innocenti di un reato mai commesso. Finalmente diversi Comuni e Regioni hanno istituito un Garante che si occupa di tutela di diritti deboli come quelli delle persone condannate anche se manca ancora il Garante Nazionale! Finalmente si parla di umanizzare la pena. E poco importa se la svolta si è resa necessaria per evitare una pesante sanzione dall’Europa, intanto l’idea di umanità si è fatta strada attraverso lo spioncino del blindo e ha cercato di forzarlo, di aprirlo. Almeno un pò. Il nostro giornale ha seguito questo percorso, si è immerso un queste vicende umane, ha cercato di raccontarle in modo corretto, chiaro e onesto. Ha dato voce a chi era ridotto al silenzio perché espiasse sì la propria pena, ma senza essere del tutto rimosso dalla vita e dalla coscienza delle persone libere perché, ne sono sempre più convinta, la rimozione non serve a nessuno. È una forma di vigliaccheria e non una crescita. Meglio discutere, arrabbiarsi, confrontarsi. Meglio guardarsi negli occhi e provare a cercare la verità. La propria reciproca verità. Con tanta pietas ma grande autenticità. Tutto il resto è marketing, pubblicità. Non giornalismo. E nemmeno politica. Giustizia: in un carcere colabrodo rinuncio ai miei principi e dico sì a indulto o amnistia di Mario Iannucci (Psichiatra della Casa Circondariale di Sollicciano) La Repubblica, 1 dicembre 2013 Forse è bene che un magistrato non lo faccia. O almeno che non lo faccia pubblicamente. Io invece lo farò, anche perché non sono un magistrato. Comincerò col dire che sono assolutamente contrario, in linea di principio, a provvedimenti di amnistia, di indulto, di condono. Si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione assolutamente opposta a quella dell’assunzione di una responsabilità che riscatti e riabiliti. L’articolo 27 della Costituzione Italiana parla della rieducazione come finalità della pena. Io preferirei che si parlasse di riabilitazione, nelle varie accezioni che questo termine ha. Tuttavia la riabilitazione (anche in senso giuridico) implica l’assunzione soggettiva di una pena. Fatta la debita distinzione (che ritroviamo anche nell’etimo) tra penare e punire, debbo dire che una esperienza di trentacinque anni di carcere mi ha insegnato il valore fondamentale della pena ai fini della riabilitazione. Contrarietà assoluta dunque, in linea di principio, a provvedimenti di amnistia, di indulto e di condono (non mi esprimo sulla grazia: la grazia è materia troppo alta, da un punto di vista morale, perché la si debba infangare con vicende il cui squallore è sotto gli occhi di chiunque). Tuttavia io vivo quotidianamente in questo carcere, di questa Italia che ha questo apparato giudiziario/penitenziario. Allora siccome non sono un moralista e nemmeno un ipocrita, occorre che mi pronunci anche sullo stato della giustizia e della riabilitazione italiana prima di bocciare, qui e ora, provvedimenti di amnistia e di indulto. Vedo con puntualità gli effetti di una giustizia mediamente molto scadente, distratta, abborracciata e arrogante. Certo: nel nostro Paese, che forse ancora per poco rimarrà una delle culle del Diritto, ci sono non poche individualità che si salvano, ma che finiscono per galleggiare in un mare di inadempiente sciatteria. Cosa dire, poi, della condizione dell’apparato penitenziario? Basterebbe entrare in un qualsiasi giorno di pioggia a Sollicciano, la più grande casa circondariale della Toscana, per rendersi conto di come l’immagine del colabrodo rappresenti in maniera compiuta lo stato di quell’istituto nella realtà architettonica, lo stato del trattamento penitenziario nella realtà generale della detenzione nel nostro Paese. Il personale per le operazioni trattamentali è del tutto insufficiente e, inoltre, impreparato ad affrontare i nuovi e immensi problemi della popolazione detenuta. Problemi legati alla dipendenza da sostanze, alle malattie mentali, alla prevalenza dei prigionieri di altre culture, altre lingue e altri mondi. Non c’è alcun serio tentativo di coinvolgere nelle operazioni trattamentali, in modo compiuto e responsabile, gli operatori della polizia penitenziaria, che costituiscono un patrimonio prezioso, inutilizzato e mortificato (i suicidi del penitenziario riguardano anche loro in maniera estesa). Quella appena descritta è la incontestabile situazione del sistema giudiziario/penitenziario italiano. Una situazione che è senza dubbio al limite della tortura per coloro che abitano il carcere, al di là e al di qua delle sbarre. Una situazione che è stata riconosciuta come illegale dalla Cedu e per la quale lo Stato Italiano, se non corre subito (subito!) ai ripari rischia risarcimenti per miliardi di euro. Che senso avrebbe allora, per me che entro in carcere quasi tutti i giorni, continuare a esprimere un no di principio all’amnistia o all’indulto? Molto senso non ce l’avrebbe davvero. Per questo, con molta sofferenza, mi trovo a dover rinunciare ai miei principi e ad ammettere che l’amnistia o l’indulto sono pressoché inevitabili e che, adesso e in questa Italia, l’indulto o l’amnistia andrebbero adottati (pensiamo, fra l’altro, alle forti aspettative generate in tutti i detenuti che ormai attendono qualcosa in questo senso e alla pericolosa delusione di tali speranze). Siccome però ai miei principi non rinuncio volentieri, a una sola condizione vorrei che l’amnistia o l’indulto fossero adottati: insieme dovrebbe necessariamente essere varato un provvedimento, magari sollecitato dal Presidente di questa povera Repubblica, con il quale lo Stato fosse vincolato a spendere una somma adeguata (almeno il doppio di quei due miliardi di euro che rischiamo di spendere in risarcimenti) per avviare una riabilitazione del sistema giudiziario e penitenziario: premiando i magistrati (inquirenti e giudicanti) che giungono in breve tempo a sentenze giuste ed efficaci; promuovendo gli operatori penitenziari che credono nell’utilità sociale (anche da un punto di vista economico) delle operazioni di rieducazione; finanziando progetti di salute in carcere gestiti da personale competente. Se questo provvedimento fosse varato, costituirebbe un segno tangibile di un desiderio del legislatore di cambiare davvero la rotta di questa nave colabrodo che è il nostro Paese, restituendo una speranza a tutti coloro che, nonostante le procelle degli ultimi decenni, sono rimasti, per usare una espressione di Gemma Brandi, dalla parte della conoscenza invece che delle conoscenze. Giustizia: stop alle leggi ad hoc ma divisi sui giudici, decolla a fatica il dialogo tra Pd e Ncd di Liana Milella La Repubblica, 1 dicembre 2013 Sette mesi di governo Letta, e niente sulla giustizia. Ma ora che Berlusconi è all’opposizione la musica potrebbe cambiare. Tant’è che in due giorni Pd e Ncd si misurano sul terreno di questa riforma. Angelino Alfano, leader di Ncd, si butta alle spalle il fardello d’essere stato il Guardasigilli di Berlusconi che firmò il lodo blocca processi, e sfida il Pd. Vediamo “se non ha più alibi e può procedere insieme a noi alla riforma della giustizia nel suo aspetto penale”. A strettissimo giro, con l’aria evidentemente seccata, gli replica sulle agenzie la presidente Pd della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti: “Non so di quali alibi Alfano parli, il Pd non ha certo remore a mettere mano al sistema giustizia, occorre però intendersi: per noi significa garantire qualità e tempi rapidi dei processi, non inseguire stravolgimenti punitivi o vendicativi contro la magistratura”. Con Repubblica non è meno polemico il responsabile Giustizia del Pd Danilo Leva: “Giusto 24 ore fa ho proposto che all’indomani del voto sulla legge di stabilità si apra subito una sessione parlamentare ad hoc dedicata alla giustizia”. Poi un passaggio ironico: “Le nostre proposte sono e sono state sempre lì, sulla giustizia è possibile perché siamo fuori da una logica ad personam”. Il dato di fatto nuovo è questo. Prosegue Costa: “I nostri obiettivi sono chiari, vogliamo una nuova responsabilità civile dei giudici, un Csm meno schiacciato dal correntismo, una legge sulle intercettazioni che magari ripartendo dal testo Prodi eviti un uso anomalo da parte della stampa. Depenalizzazione e processo telematico. Confronto e intesa sono possibili, come dimostra il testo sulla custodia cautelare, noi magari avremmo voluto regole più oggettive, ma alla fine il risultato c’è stato”. La sfida di Forza Italia ai giudici invece resta sempre la stessa, separazione delle carriere e un’azione penale non più obbligatoria, bavaglio sulle intercettazioni, un doppio Csm in cui i magistrati non abbiano più la maggioranza, Alta corte per le sanzioni disciplinari, responsabilità civile in cui le toghe paghino di tasca propria. Di tutto questo qualcosa resta nel programma di Ncd, ma senza l’acredine preconcetta verso la magistratura. Vero è semmai, come dice Ferranti, che Forza Italia detiene no tutti. Semmai altri sono stati distratti dai problemi giudiziari di una persona...”. Il fattore B, che riduceva la politica della giustizia ad arma anti - giudici per la salvezza dell’allora premier, non c’è più. Tant’è che Enrico Costa, oggi capogruppo di Ncd alla Camera, dopo aver sentito Alfano a Milano, spiega perché politicamente si può andate avanti: “In questa maggioranza un dialogo tuttora una poltrona chiave, quella di presidente della commissione Giustizia del Senato strettamente in mano al super falco Nitto Palma. Tant’è che Ferranti parla di “situazione kafkiana” proprio per via dei ddl già varati a Montecitorio, ma arenati da mesi a palazzo Madama. “Se si chiudesse tutto, saremmo già all’80% della riforma” dice Ferranti. Ed elenca: “Depenalizzazione, messa alla prova, sospensione del processo per gli irreperibili, detenzione domiciliare come pena principale, omofobia, diffamazione, voto di scambio". Alla Camera: “Custodia cautelare, nuovo reato di piccolo spaccio, riforma dei reati ambientali e della responsabilità civile, indagine sulla durata ragionevole dei processi civili e penali “. Cui si aggiungono le prossime iniziative del Guardasigilli Annamaria Cancellieri sul processo penale e civile. Certo, nessuno parla più di riforma della prescrizione, dove pure la commissione presieduta dal procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco aveva dato sagge indicazioni. E si è arenata al Senato pure il ddl Grasso per cambiare la legge anti - corruzione, il falso il bilancio e creare l’auto - riciclaggio. E l’amnistia? Resta solo nel programma di Forza Italia. Giustizia: Pannella non molla sui referendum "farò ricorso" di Jacopo Granzotto Il Giornale, 1 dicembre 2013 Quando parla Pannella Giacinto, detto Marco, ti devi rassegnare. Primo, il ritmo lo detta lui. Secondo, se lo contraddici finisci all'angolo e da lì non ti muovi. Detto questo, è sempre un piacere ascoltarlo e non solo perché generalmente ci azzecca, con lui hai sempre il titolo giusto. L'ultima è un'illuminante intervista riportata da Il Tempo a proposito della bocciatura dei referendum sulla giustizia. Sarebbe stata colpa dell'inesperienza dei vertici Pdl e del metodo inefficace di raccolta delle firme. E lo dice uno che di referendum se ne intende. Inoltre, a suo dire, nel "vecchio" Pdl c'era un piano per boicottare Berlusconi. Silvio sì che credeva nella battaglia radicale. L'anarchico più che l'allineato viene fuori in tutto il suo splendore. E fa sapere di aver preparato il ricorso anche se la situazione sembra disperata. Il quesito con più sottoscrizioni sarebbe quello sulla responsabilità civile dei giudici, a cui la Cassazione avrebbe riconosciuto 420mila firme (ne servono 500mila). Peggio tutti gli altri. "Siamo troppo esperti - racconta al quotidiano diretto da Gian Marco Chiocci - per poter avere sorprese nel campo dei referendum. Sapevamo di avere un handicap, visto che ci sono stati anche altri che hanno raccolto le firme. Di certo c'è stata mancanza d'esperienza, aggravata dall'assenza di informazione. Ancora oggi arrivano decine di migliaia di firme da alcuni Comuni. Bisogna vedere come le valuterà la Cassazione". Nella campagna per la raccolta delle firme sapeva di non poter contare sul Pd, ennesimo colpo al cuore di un rosso a metà. "Ricordo che quando si discuteva del referendum sul divorzio il Pci disse che avrebbe diviso la classe popolare. La tesi del Pci era che la legge doveva essere cambiata dal Parlamento. È la stessa cosa che sostiene ora Renzi, anche se lui nemmeno lo sospetta. L'unico che su queste cose è intellettualmente onesto è Violante. Ormai il Pd ha rafforzato le sue posizioni giacobine". Il centrodestra invece lo ha aiutato. "L'ottimo Silvio - fa sapere nell'intervista - ha fatto un mucchio di cavolate, che gli ho rimproverato, ma sui nostri 12 referendum ci ha provato. Li ha firmati, si è detto a favore dell'amnistia e ha avviato la raccolta di firme ma nel suo partito non gliel'hanno fatta passare. Li hanno definiti falchi e colombe ma si sono mossi da avvoltoi. Pensavano fosse finito e non lo hanno accontentato sui referendum". Unici nel centrodestra ad impegnarsi sarebbero stati Fitto e Nitto Palma. Ancora sul Cavaliere e c'è di che stupirsi. "A Silvio ho consigliato di espatriare per un paio di giorni. Gli dissi di andare a Ginevra e da lì fare una conferenza stampa per dimostrare che il combinato disposto tra l'obbligatorietà dell'azione penale e l'accanimento fa uscire l'Italia dalla ragionevolezza della legge". Poi sarebbe rientrato e, magari, l'avrebbero pure arrestato. "Ma a quel punto anche i comunisti lo avrebbero difeso". Giustizia: Sottosegretario, Fadda; martedì relazione su Opg chiusura verrà trasmessa a Parlamento Ansa, 1 dicembre 2013 Verrà trasmessa martedì prossimo al Parlamento la relazione sullo stato di attuazione dei programmi regionali relativi al superamento degli Opg. Lo dichiara all’Ansa il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda che sottolinea come il documento, che dovrà indicare i tempi necessari per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari e per la presa in carico dei malati da parte dei Dipartimenti di salute mentale, sia frutto anche dell’avvio di “un dialogo con le regioni”. “Abbiamo chiuso il lavoro entro i tempi, mancano ormai solo le firme dei Ministeri della Salute e della Giustizia”, spiega Fadda in merito alla relazione che doveva giungere alle Camere entro il 30 novembre 2013. “Lo slittamento di due giorni ci ha dato la possibilità di approfondire il confronto con le Regioni e con le associazioni”, senza il quale non è possibile pensare di superare “quella che è ormai riconosciuta come vergogna nazionale”. Ad aprile 2013, nei 6 Opg presenti in Italia, secondo i dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, le persone internate in Ospedali Psichiatrici Giudiziari erano 1015, tra cui 91 donne. Secondo il comitato StopOpg, che la scorsa settimana ha concluso un tour in giro per l’Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica al tema, oggi gli internati sarebbero 998. Quasi un terzo in meno dei 1419 risultati presenti da un censimento effettuato nel 2011. “Speriamo di arrivare il prima possibile all’obiettivo di creare strutture in cui queste persone possano vivere dignitosamente - aggiunge Fadda - ricordando come “la più grande soddisfazione della vita” il momento in cui, nelle vesti di Assessore alla sanità della Regione Sardegna, decretò la chiusura degli ex manicomi criminali di Cagliari e Sassari. Giustizia: strutture ancora impreparate al dopo-Opg, dove restano internate circa 1000 persone Ansa, 1 dicembre 2013 Sono circa 1.000 le persone che si trovano negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) italiani e 111 quelli ospiti della struttura di Montelupo Fiorentino. Sono alcuni dati emersi nel corso del convegno, oggi a Palazzo Banci Buonamici a Prato, sul tema “...e dopo gli O.P.G.?” organizzato dalla Cooperativa Humanitas e dalla Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato. Per l’aprile 2014 è prevista per la chiusura degli Opg e il passaggio di queste strutture dal Ministero di Grazia e Giustizia al Ministero della Sanità. “Le strutture territoriali, però, non sono ancora preparate per accogliere questa tipologia di utenza - scrivono in una nota gli organizzatori del convegno - Occorrono strutture residenziali specifiche, servizi sul territorio, ma è necessaria la formazione di operatori per un intervento multi professionale, in collaborazione con l’apparato giudiziario. La risposta non può essere data con dei mini Opg, con la detenzione carceraria, ma è anche necessaria una valutazione attenta sulla pericolosità dei soggetti, per non far confluire pazienti in strutture dove non è possibile curare”. Napoli: “Quante bugie sulla morte del mio Federico”… adesso chi sa si faccia avanti di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 1 dicembre 2013 La mamma di Federico Perna: “Non è vero che aveva rifiutato il ricovero. Perché tanto ritardo per l’autopsia?” “Adesso chi sa si faccia avanti. Esca allo scoperto e parli. Io non so se mio figlio sia stato maltrattato in carcere, se qualcuno lo abbia anche picchiato: so solo che è morto e che nessuno me lo potrà riportare in vita. Ma so soprattutto che questo è il tempo della verità e per questo rivolgo un appello a chiunque sia a conoscenza di fatti o particolari utili all’inchiesta aperta dalla Procura di Napoli”. Questo non è il momento della pietà. E nemmeno del perdono. Questo - invoca Nobila Scafuro, madre di Federico Perna - è solo il punto in cui la verità deve venire a galla. In un modo o nell’altro: e se l’indagine ordinata dalla magistratura inquirente napoletana sulla morte di questo 34enne in una cella del carcere di Poggioreale dovesse arenarsi nelle pastoie di una burocrazia fatta di carte, di documenti che talvolta dicono e non dicono, sostengono e smentiscono al tempo stesso, allora questo è il tempo degli uomini di buona volontà: “Che coraggiosamente e dignitosamente vengano allo scoperto - insiste la mamma di Federico in questa intervista rilasciata al “Mattino” - e raccontino ai pubblici ministeri quel che sanno”. A chi si riferisce di preciso? “Ai suoi compagni di cella, e non solo agli ultimi con i quali ha vissuto a Poggioreale. E anche agli agenti della polizia penitenziaria”. Che cosa non la convince in questa storia? “Tante cose”. Da dove cominciamo? “Dalla risposta fornita al deputato Micillo dal sottosegretario alla Giustizia, che ieri ha affermato che Federico rifiutava il ricovero in ospedale. Questo non è vero: e a provarlo ci sono le tante lettere in mio possesso scritte da mio figlio, ma anche un certificato redatto dal responsabile del reparto sanitario del carcere di Secondigliano, nel quale ribadiva “l’inadeguatezza della sua sistemazione in una sezione detentiva comune” e invitava l’autorità preposta “a prendere provvedimenti, anche coercitivi, ai fini di una adeguata assistenza sanitaria, 24 ore su 24”. Cioè in ospedale”. E che altro? “Mi chiedo per quale motivo per svolgere l’autopsia di Federico - morto l’8 novembre scorso - si sia aspettato il giorno 12. Quattro giorni sono tanti. E mi chiedo il perché. E le domande non sono ancora finite”. Quanti trasferimenti carcerari ha dovuto subire suo figlio? “Tanti che non me li ricordo neanche più. Un calvario. Quel che ricordo è che Federico è entrato e uscito dalle case circondariali di Cassino, Viterbo, Roma Regina Coeli, Velletri, Benevento, Secondigliano e poi Poggioreale. A proposito, insieme con i miei avvocati Camillo Autiero e Fabrizio Cannizzo ci siamo posti un altro interrogativo: se Poggio - reale è tanto disumanamente affollato come sanno tutti, se la struttura più sovraffollata d’Italia e d’Europa, per quale ragione allora qualcuno ha deciso di trasferire mio figlio da Secondigliano proprio a Poggioreale, in una cella con altri 10 reclusi?”. A questo punto la madre di Federico sfila da una cartellina azzurra un fascio di fogli protocollo. Sono le lettere che il giovane morto nel carcere di Poggioreale gli scriveva. Ne sceglie una, che porta la data del 19 giugno 2012 e che le venne spedita dal penitenziario di Viterbo. La legge: “Amore mio, mamma: ti aspettavo al colloquio e mi sei mancata tanto. Ho saputo che vuoi riprendermi in casa ai domiciliari, ti amo! Qui c’è il dirigente che vuole ricoverarmi per farmi avere l’incompatibilità carceraria: io voglio venire con te a casa, le cartelle cliniche sono di aggravamento. Mamma, qui mi stanno uccidendo, portami a casa ti prego...” . Signora, chi era Federico? “Mio figlio era un ragazzo buono, ma anche un tossicodipendente di lusso”. Che vuol dire “tossicodipendente di lusso”? “Da ragazzo, a 16 anni, cominciò con gli spinelli. Io con lui avevo un rapporto troppo spartano, ma presto mi resi conto che si stava mettendo sulla strada sbagliata e gli dissi a uso duro che se non l’avesse smessa con la droga l’avrei messo fuori casa. Un giorno poi scavando nei suoi cassetti trovai un laccio emostatico e delle siringhe monouso, e allora capii tutto. E una sera che tornò “fatto” lo misi alla porta dicendogli che l’avrei riaccettato in casa solo quando sarebbe diventato un uomo”. Lui che fece? “Da Latina a 18 anni se ne andò a Roma, dalla nonna, cioè mia madre. Donna troppo buona che alimentò involontariamente il suo vizio. Roma fece il resto. Le notti bianche in discoteca, i rave party, le pasticche... Mia mamma gli passava i soldi, gli faceva passare tutti gli sfizi. Lei sbagliava. Purtroppo senza accorgersene lo assecondava in tutto”. Chi erano gli amici di Federico? “Ne aveva pochi, e quei pochi non ci sono più”. Sono morti? “Sì, tutti. Di droga”. Ha qualcosa da rimproverarsi come madre? “Il mio più grande errore è stato quello di consentire a Federico, a 18 anni, di trasferirsi a Roma da mia madre”. Che cosa chiede adesso allo Stato italiano? “Giustizia, lo so, sembra banale, invece è una risposta molto più complicata di quanto non sembri”. E che cosa direbbe al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri se adesso l’avesse di fronte? “Intanto la ringrazio per le parole che ha inteso rivolgermi due giorni fa. E per aver disposto una rigorosa inchiesta amministrativa sui fatti di Poggioreale. Al ministro vorrei rivolgere molti quesiti relativi alla fine assurda che lo stato ha voluto riservare a Federico. Sono i tanti punti oscuri relativi al calvario di un giovane uomo lasciato morire in un carcere della Repubblica italiana. Ma in questo momento mi preme dire un’altra cosa”. La dica. “Io so che in questo Paese ci sono ancora tanti altri Federico Perna. Sono centinaia e centinaia. Sono i detenuti che non riescono a far sentire la loro voce, al di là delle sbarre. Sono fantasmi dei quali nessuno sembra volersi veramente interessare. Parole, parole, solo parole. Ecco, al di là del mio desiderio di ottenere giustizia, credo che da oggi la mia battaglia sarà in nome di quei ragazzi, di quegli uomini e donne muti. Muti perché lasciati senza più voce”. Laura Coccia (Pd): soddisfazione per apertura inchiesta del ministero L’ennesimo caso di morte sospetta nelle carceri italiane questa volta non è passato inosservato. Il Ministro della Giustizia Cancellieri ha disposto una “rigorosa indagine amministrativa interna” sul caso di Federico Perna, il giovane morto il 9 novembre a Poggioreale in circostanze non chiare. L’on. Laura Coccia (Pd), da mesi impegnata in una campagna per il miglioramento delle disastrose condizioni in cui si trovano i detenuti in Italia: “Esprimo grande soddisfazione per la decisione della Ministra Cancellieri di voler aprire un’inchiesta sulla morte di Federico Perna nella casa circondariale di Poggioreale. Dopo la mia visita di 10 giorni fa nello stesso luogo di reclusione avevo presentato in proposito un’interrogazione parlamentare.” Alfonso Papa (Pdl): detenuto vittima degrado, da inizio anno 139 decessi “La morte di Federico Perna ci pone di fronte al totale degrado in cui versano le nostre carceri. Dall’inizio dell’anno si sono registrati 139 decessi, numeri preoccupanti che non sembrano però in grado di turbare una politica sempre più lontana dai reali bisogni della comunità”. Lo sottolinea, in una nota, Alfonso Papa, portavoce nazionale di Alleanza democratica e presidente del “Comitato per la prepotente urgenza per l’amnistia” che così commenta la morte del giovane nel carcere napoletano di Napoli. “Le mie parole nascono da un’esperienza subìta sulla mia pelle - continua Papa - Anche io sono stato ristretto a Poggioreale per 106 giorni. Ho potuto conoscere e toccare con mano le drammatiche condizioni in cui centinaia di cittadini vengono costretti a scontare la propria pena. Stato in cui diventa difficilissimo far riconoscere i diritti più elementari, come quello alla salute”. “Quella vissuta da Federico è purtroppo una tragedia annunciata - conclude l’ex parlamentare - La sua è stata un’esistenza stritolata da un ordinamento garantista solo a parole ma non nei fatti. Il nostro sistema resta lontanissimo dall’attuazione dello scopo rieducativo della pena così come imposto dalla Costituzione. Nonostante la Corte europea per i diritti dell’uomo abbia già considerato più volte le nostre carceri come luoghi inumani e degradanti in cui si pratica la tortura si continua a girare la faccia dall’altra parte. Evidentemente, queste morti non sono sufficienti a smuovere le coscienze di chi avrebbe il potere di imporre un cambiamento radicale. Un lassismo criminale”. Napoli: Corbelli (Diritti Civili); detenuto malato di tumore, moribondo a Poggioreale Adnkronos, 1 dicembre 2013 “Un altro gravissimo caso si sta consumando nello stesso istituto di pena napoletano” dopo la morte nel carcere di Poggioreale di un detenuto gravemente malato, “quello di un uomo affetto da un tumore al midollo spinale che ha perso 60 chili e che è ridotto a uno scheletro, che si sta lentamente spegnendo in una cella”. Lo scrive in una nota Franco Corbelli, di Diritti civili. Corbelli auspica che “su queste tragedie e ingiustizie faccia sentire la sua voce anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Chiedo al ministro Cancellieri un suo immediato intervento per questo nuovo, drammatico caso, di un detenuto malato di tumore che sta morendo in carcere. Le chiedo di intervenire prima e non dopo la morte del detenuto. Faccia tutto quello che è nei suoi poteri - conclude - per porre fine a questa altra ingiustizia e disumanità”. Teramo: detenuti puliscono spiagge di Alba Adriatica. Cisal: utilizziamo anche i disoccupati Il Centro, 1 dicembre 2013 “Bene il coinvolgimento dei detenuti, ma facciamo lavorare anche i disoccupati di Alba Adriatica”. Il coordinatore provinciale del sindacato Cisal Rosario Dalli Cardillo manda il messaggio al sindaco Tonia Piccioni, che nei giorni scorsi ha “chiamato” i detenuti della casa circondariale di Ascoli Piceno per impiegarli, in aiuto degli operai comunali e della Poliservice, nella pulizia della spiaggia dai detriti causati dalle mareggiate, ma anche in altri lavori sul territorio albense. Il primo cittadino ha infatti accolto un progetto pilota dell’assessorato al sociale della Provincia di Teramo, che prevede il recupero sociale dei detenuti di Marino del Tronto i quali, dal primo dicembre e per un anno, lavoreranno ad Alba un sabato ogni 15 giorni, sotto il controllo di agenti di polizia e al solo costo di un pasto caldo al giorno. Il coordinatore locale della Cisal dice così la sua: “Questa è un’iniziativa senz’altro lodevole, ma che non tiene conto anche di altri soggetti socialmente deboli, che potrebbero essere coinvolti in piccole opere. Si tratta dei tanti disoccupati, persone in cerca di lavoro, anziani e donne che fanno la spola quasi giornaliera in questa organizzazione sindacale e nella sede dell’assessorato al sociale del Comune, per richiedere una qualsiasi forma di occupazione, anche di breve entità ed occasionale. Ci sembra opportuno coinvolgere anche questi lavoratori, in modo che anche loro possano trovare un piccolo sollievo, seppur temporaneo. Un gesto del genere, soprattutto in vista del Natale, restituirebbe dignità e sarebbe di sollievo morale, oltre che economico, per chi deve lottare tutti i giorni contro disagi e privazioni, perdendo sempre di più fiducia nel futuro e nelle istituzioni che sentono lontane”. Palermo: detenuti del Pagliarelli ripuliscono gli scavi archeologici, un modello da esportare Asca, 1 dicembre 2013 È finita l'epoca dei detenuti che spaccano i sassi lungo le autostrade, come nei film americani. Oggi, molti carcerati vengono impiegati in lavori sociali: meno faticosi ma ben più utili come portare alla luce gli scavi archeologici del rione San Pietro a Palermo. I protagonisti sono alcuni detenuti del carcere Pagliarelli, come ci spiega Maurizio Artale, presidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro di Palermo. Milano: Colletta Alimentare; nelle carceri cittadine raccolti 1018 Kg di prodotti Ansa, 1 dicembre 2013 Oltre mille chilogrammi di prodotti sono stati offerti dai detenuti delle carceri milanesi in occasione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. La raccolta è stata organizzata da Incontro e Presenza, associazione che opera da oltre 25 anni negli istituti di pena di Milano e provincia. Per la precisione a San Vittore sono stati raccolti 385 chilogrammi, a Opera 425 chilogrammi e a Bollate 208. Da Bollate sono inoltre usciti in permesso speciale 20 detenuti che hanno partecipato come volontari alla raccolta che si teneva in cinque supermercati della zona. Altri cinque detenuti del carcere di Opera hanno invece prestato la loro opera al magazzino centrale di raccolta di Paderno Dugnano. Firenze: chiusi in “cella” in Piazza Beccaria, la protesta dei Radicali per le carceri La Repubblica, 1 dicembre 2013 Chiusi dentro le gabbie in piazza Beccaria hanno letto uno per uno i nomi dei detenuti morti a Sollicciano e in altre carceri e che davvero non potranno più oltrepassare le sbarre che li tengono chiusi. Lo stesso giorno in cui la Toscana festeggia l’abolizione della pena di morte - soppressa dal granduca Leopoldo di Lorenza nel 1786 - i Radicali dell’Associazione Andrea Tamburi ricordano ai fiorentini che c’è un altro tipo di morte inflitta nella nostra società, quella della prigionia senza speranza di recupero che porta tanti, troppi, detenuti a togliersi la vita. Il sit-in è iniziato ieri alle 11. Sui cartelli portati in braccio dai manifestanti si chiede a governo e Parlamento di applicare i provvedimenti di amnistia e indulto sollecitati dal presidente della Repubblica e rimasti lettera morta dopo una prima convulsa fase polemica. Dei detenuti morti in carcere negli ultimi tredici anni sono stati letti i nomi e l’elenco è lungo, sono 2.229, la grandissima parte di loro si è tolta la vita. “Ci sono almeno 12.333 detenuti in attesa del primo giudizio in Italia” si legge su uno dei cartelli e ancora “47.715 posti letto e 64.758 posti letto: questa è tortura”. Il segretario e tesoriere dell’associazione Tamburi Maurizio Buzzegoli ed Emanuele Baciocchi considerano “gravissimo che le proposte di Napolitano siano cadute nel dimenticatoio parlamentare in nome di qualche populismo e demagogia”. E nonostante la quasi quotidiana condanna dalle corti europee”. Il disagio sconfina nella violenza a volte. Venerdì un detenuto ha aggredito un agente di polizia penitenziaria durante una perquisizione personale, nel carcere Don Bosco di Pisa. Lo fa sapere il sindacato autonomo di polizia Sappe, che sottolinea come il detenuto sia lo stesso che qualche tempo fa aggredì un altro agente, nel carcere di Lucca. Pavia: indetto Concorso per nomina a Garante dei detenuti, ecco come candidarsi La Provincia Pavese, 1 dicembre 2013 C’è ancora tempo per presentare le candidature come per la nomina del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Provincia di Pavia. Le candidature devono essere presentate in carta semplice o sul modello scaricabile dal sito della Provincia di Pavia (www.provincia.pv.it) e vanno presentate entro le 12 di mercoledì 11 dicembre. “Le candidature dovranno essere corredate da un dettagliato curriculum e contenere la dichiarazione specifica di non trovarsi in alcuna delle condizioni ostative alla carica - spiegano da Piazza Italia. Per l’incarico non è prevista alcuna indennità, salvo il rimborso delle spese sostenute”. Quale sarà il ruolo del garante? “È un tramite tra chi vive l’esperienza del carcere e la società civile per vincere il pregiudizio e per dare ai detenuti la speranza di potersi costruire una vita nuova - spiega l’assessore provinciale Francesco Brendolise. Una figura fondamentale per aiutare chi vive in regime di detenzione a percepirsi come cittadino, a sentirsi parte di una società che un domani lo potrà accogliere”. Tempio Pausania: “E chiamale se vuoi ... evasioni”, libro dei detenuti, ricavi in beneficenza La Nuova Sardegna, 1 dicembre 2013 Sarà un evento di notevole importanza, più sul piano umano che su quello letterario, la presentazione del libro “E chiamale se vuoi ... evasioni”, una raccolta di poesie, racconti, testimonianze e ricordi scritti dai detenuti della casa di reclusione di Nuchis - Tempio, realizzata e curata da Paola Scano, presidente dell’Associazione “Amici di Monica” e sponsorizzata dall’Unione dei Comuni. Un risultato che giunge al termine di un percorso portato avanti con un gruppo di “studenti”, che ci si sono dedicati con la possibilità di evadere almeno con penna e inchiostro, come rappresentano le eloquenti immagini di copertina affidate all’abilità pittorica e alla sensibilità dell’artista Simone Sanna. Il libro sarà presentato il 2 dicembre nel carcere di Nuchis, alla presenza di molte autorità del mondo istituzionale, religioso, politico e forense e, due giorni dopo, mercoledì 4, alle 18, nei locali dell’Ufficio turistico. A presentarlo al pubblico esterno sarà Antonio Masoni, mentre le letture dei brani saranno affidate a Mari Pirrigheddu, con l’ accompagnamento musicale di Vincenzo Murino. Il ricavato dalla vendita sarà interamente devoluto in beneficenza per un progetto scelto e voluto dagli ospiti del carcere, che verrà reso noto nel corso della presentazione a Nuchis. Grande soddisfazione è stata espressa, ovviamente, dalla direttrice del carcere, Carla Ciavarella, per la realizzazione di un progetto da lei fortemente appoggiato e per il quale è stata formalizzata anche la procedura di adesione del Presidente della Repubblica. Un modo per avvicinarsi a un universo difficile e doloroso, che farà cadere qualche pregiudizio e riserverà non poche sorprese. Un ulteriore progetto ha riguardato invece la realizzazione di due grandi presepi, che parteciperanno all’ottavo concorso di “Natale è una stella”, che prenderà il via l’8 dicembre. Pisa: detenuto aggredisce agente durante perquisizione, “recidivo” a simili comportamenti Adnkronos, 1 dicembre 2013 Resta sempre alta la tensione nel carcere toscano di Pisa, dove ieri un giovane detenuto marocchino ha aggredito un poliziotto durante una perquisizione personale. Lo denuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), sottolineando che il detenuto “è lo stesso che qualche tempo fa aggredì un altro agente nel carcere di Lucca”. “Quella di ieri a Pisa è stata un’aggressione tanto improvvisa quanto vile”, commenta Donato Capece, segretario generale Sappe, esprimendo la “solidarietà e la vicinanza del Sindacato più rappresentativo al poliziotto aggredito. Ed è tanto più grave che chi si è reso responsabile di tale atto violento sia stato responsabile di analoghe aggressioni ad altri poliziotti nel recente passato”. Ma l’aggressione di Pisa, ultima in ordine di tempo in un carcere italiano, racconta ancora una volta l’emergenza penitenziaria: “Nei 206 istituti italiani nel primo semestre del 2013 si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni e 468 ferimenti”. E ancora “sono stati 3.965 i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 18 sono i morti per suicidio e 64 per cause naturali. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici - denuncia - con oltre 65mila reclusi per una capienza di 40mila posti letto regolamentari, mentre il nostro organico è sotto di settemila unità. La spending review e la legge di stabilità hanno ridotto al lumicino le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo, come dimostra il grave episodio in nostro danno accaduto a Pisa”, conclude. Napoli: Sal Da Vinci in concerto tra i detenuti di Poggioreale, per restituire un po’ di speranza La Repubblica, 1 dicembre 2013 Due ore di musica, tra applausi, cori da stadio e standing ovation. Sul palco c’è Sal Da Vinci, che venerdì pomeriggio si è esibito nell’insolita location della Chiesa centrale del carcere di Poggioreale davanti a 247 detenuti del Padiglione “Napoli”. In scaletta, alcuni dei suoi brani più famosi, e qualche canzone tratta dal suo ultimo spettacolo “Carosone l’americano di Napoli”. L’evento è stato organizzato dalla direzione della casa circondariale coordinata da Teresa Abate. A fine concerto, Da Vinci ha annunciato anche che nei prossimi mesi condurrà un laboratorio musicale e teatrale proprio con i detenuti di Poggioreale, nelle aule di sicurezza adibite a “Sala musicale”. “Sono particolarmente felice di essere qui - ha dichiarato il cantautore - Mi piace ripetere spesso al pubblico che la mia voce mi ha salvato. So infatti cos’è la strada: sono nato a New York, ma sono cresciuto nel quartiere Torretta, e comprendo quanto sia facile alle volte cadere in scelte sbagliate. Per questo è un orgoglio per me restituire un po’ di speranza tramite la musica, a persone la cui vita non ha sempre sorriso”. È la terza volta che Da Vinci canta a Poggioreale: sul palco si accompagna con la tastiera o su basi preregistrate. Inizia con “Mercante di stelle”, proseguendo con “In due” e “Guaglione” di Carosone, e altri brani ancora. Il pubblico, guidato dal suo beniamino, risponde entusiasta: si diverte, canta, batte le mani. Non gli è permesso alzarsi in piedi, ma le guardie penitenziarie chiudono un occhio, sulle note di “ ‘O surdato ‘nnammurato” e “Napule” (incisa con Gigi D’Alessio e Lucio Dalla). “Desidero ringraziare questo grande musicista - ha dichiarato la direttrice Abate - da sempre così attento a iniziative di tal genere. È la prova del suo rande valore, non solo artistico, ma umano e sociale”. Polonia: ancora detenuti 23 ultrà laziali, dopo maxi-retata di 150 supporter biancocelesti Ansa, 1 dicembre 2013 Un centinaio di tifosi già liberi, 23 ancora in stato di fermo e, soprattutto, un mare di polemiche che hanno investito Farnesina e canali diplomatici. A due giorni dal match di Europa League tra i polacchi del Legia e la Lazio si stanno definendo i contorni della maxi-retata che ha portato nei vari commissariati della capitale polacca ben 150 supporter biancocelesti. Due anni di prigione con la condizionale per cinque anni e la multa di 2000 zloty (500 euro circa) sono le pene più alte inflitte per ora ai tifosi italiani del Lazio Roma fermati a Varsavia due giorni fa. Lo ha reso noto la mittente privata polacca Rmf24. Secondo questa fonte una ventina di tifosi se la cavata con delle ammende di circa 100 - 120 euro. Ai diversi tifosi è stato inflitto il divieto d’ingresso negli stadi per due o tre anni. Per qualcuno di loro, ha fatto sapere il ministro degli Esteri, Emma Bonino, che sta seguendo da vicino la vicenda, “non si può escludere che possa essere soggetto a misure restrittive della libertà personale per aver commesso reati di diversa gravità”. In ogni caso, il titolare della Farnesina ha fatto sapere di aver incaricato l’ambasciatore italiano in Polonia, Riccardo Guariglia, di adoperarsi presso le autorità locali perché vengano “immediatamente rilasciati” i tifosi laziali ancora in stato di fermo “che non hanno precise responsabilità penali” per gli incidenti avvenuti prima della partita di giovedì scorso. “L’Ambasciatore e altri funzionari si trovano in diversi commissariati per seguire da vicino lo sviluppo dei procedimenti giudiziari”, ha spiegato la Bonino, ricordando che una sessantina di tifosi laziali sono ancora sotto fermo e sono in queste ore sotto processo per direttissima da parte delle autorità giudiziarie polacche, aggiungendo che tutti i connazionali che sono stati già rilasciati stanno facendo rientro in Italia. Da Varsavia, l’ambasciatore aveva annunciato in mattinata che “oggi sono cominciati tutti i processi con rito abbreviato e, come comunicato dalle autorità polacche, dovrebbero essere tutti liberati in giornata anche perchè stanno per scadere le 48 ore relative allo stato di fermo. Le autorità polacche pensano di terminare tutti i processi entro oggi, processi che sono in corso in otto tribunali sparsi nella città. Posso confermare - aveva concluso Guariglia - che nessun tifoso è rimasto nei commissariati”. Detto delle giudiziarie a parte, la retata dei tifosi al seguito della Lazio ha ovviamente avuto anche strascichi di natura diplomatica e politica. A cominciare dalle interrogazioni parlamentari presentate in queste ore in parlamento: è il caso della presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che ha inviato alla presidente della Camera, Laura Boldrini, una lettera per chiedere che il governo riferisca in Aula già martedì: “Non appare chiaro, infatti, - scrive Meloni - a quale titolo i nostri connazionali sono stati trattenuti in uno Stato estero senza che siano stati comunicati loro né i motivi del fermo, né una data di probabile rilascio, in evidente violazione di qualunque norma di diritto internazionale”. “Senza voler entrare nel merito di una vicenda che presenta, allo stato attuale, ancora dei punti poco chiari, auspichiamo che il caso si risolva nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile”, ha scritto l’assessore alla Qualità della Vita e Sport di Roma Capitale, Luca Pancalli. Libia: uomini armati assaltano carcere nella città di Sabha, in fuga 40 detenuti Adnkronos, 1 dicembre 2013 Sono una quarantina i detenuti evasi da una prigione nella città meridionale libica di Sabha. A renderlo noto sono state fonti delle forze di sicurezza locali citate dall’agenzia Lana, precisando che i detenuti sono fuggiti dopo che il carcere in cui erano rinchiusi è stato attaccato da uomini armati non identificati che hanno fatto irruzione nella struttura e fatto uscire decine di carcerati.