Giustizia: il Cdm vara decreto-carceri. Letta: "non sarà un indulto, nessun pericolo per i cittadini" di Alberto Custodero La Repubblica, 18 dicembre 2013 Tutti lo chiamano svuota-carceri. Ma il dl approvato ieri dal Consiglio dei ministri, ha spiegato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, "non è né un indulto, né un indultino". "Non c’è nulla di automatico - ha aggiunto il Guardasigilli - tutto viene affidato al giudice il quale prevede, se lo ritiene, l’uscita agevolata". Con il decreto legge "è stato stabilizzato l’istituto degli arresti domiciliari per gli ultimi 18 mesi di pena, che sarebbe scaduto a fine anno. E che ha dato ottimi frutti". Le misure sulla liberazione anticipata - la facoltà di trascorrere gli ultimi mesi di pena ai domiciliari - consentiranno l’uscita dalle carceri di 1.700 detenuti. Il premier Enrico Letta ha precisato che nella risposta del governo "alla terribile situazione delle carceri non ci sono in nessun modo elementi di pericolosità per i cittadini". Il presidente del Consiglio ha motivato il dl con la necessità "di calmare una situazione esplosiva". E al fine di "evitare interventi sanzionatori da parte dell’Europa". Dopo annose polemiche sullo strumento del braccialetto elettronico, costosissimo e pressoché inutilizzato, il dl introduce quasi l’obbligatorietà del suo uso. In sostanza, è stata ampliata l’adozione di questo strumento per la detenzione domiciliare: i magistrati che non ricorreranno al braccialetto elettronico, saranno obbligati a spiegarne i motivi. Il governo è intervenuto anche sulla questione della presenza dei tossicodipendenti e degli immigrati nelle carceri che costituiscono la stragrande maggioranza dei detenuti. "Da oggi - ha sottolineato la Cancellieri - sarà più efficace l’identificazione dei detenuti stranieri che negli ultimi due anni di pena possono essere espulsi, dietro parere del magistrato di Sorveglianza". Questa misura, ha commentato, "potrebbe portare all’espulsione di parecchi stranieri". Lo stesso discorso vale per le nuove norme sui detenuti tossicomani che "rendono più semplice, per loro, la possibilità di cure nelle comunità di recupero". Anche in questo caso, ha precisato il ministro, "si riduce l’affollamento nelle carceri, senza tuttavia creare problemi per la sicurezza". Altra novità importante è la nascita del Garante nazionale dei detenuti. Si tratta di una figura che viene nominata dal presidente del Consiglio, sentito il ministro della Giustizia, e avrà il compito di vigilare, visitare le strutture carcerarie e coordinare i vari garanti regionali. Insomma, ha poi chiarito forse non a caso la Cancellieri (viste le polemiche che l’hanno investita per il caso di Giulia Ligresti): "Il Garante nazionale è un istituto che darà voce nelle carceri a chi non ce l’ha. È uno strumento di grande civiltà giuridica". "Era un impegno che si era preso in Parlamento - ha detto Letta - e che portiamo a compimento". Approvato anche un ddl sulla giustizia civile che punta a ridurre i tempi dei processi. Ma i due provvedimenti non esauriscono certo le "pendenze" della politica in tema di Giustizia. Letta ha chiarito di non aver voluto intervenire sulla custodia cautelare essendo "una materia che è in avanzata discussione in Parlamento". "Auspichiamo - ha aggiunto il premier - che la discussione della custodia cautelare possa avvenire in Parlamento con gli altri temi in modo che le materie possano sovrapporsi e andare ad approvazione rapidamente, possibilmente a inizio anno". Ha colto la palla al balzo Danilo Leva (Pd), vicepresidente della Giunta per le Autorizzazioni della Camera, per dire che "in fase di conversione parlamentare è necessario agganciare al treno del decreto carceri il vagone della riforma della custodia cautelare". Sulla stessa linea Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera. "Il dl - spiega - si affianca a provvedimenti già approvati come la messa alla prova e la detenzione domiciliare". Giustizia: decreto-carceri, Alfano prova a bloccare tutto, ma Letta sbotta: "ora voglio fatti" di Silvia Barocci e Alberto Gentili Il Gazzettino, 18 dicembre 2013 Non è un caso che Angelino Alfano abbia disertato la conferenza stampa. Quella con cui Enrico Letta e il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri hanno celebrato il varo del decreto svuota-carceri. Prima che cominciasse la riunione del governo, infatti, è andato in scena un braccio di ferro tra il vicepremier e la Guardasigilli. Ma Letta, pressato da Matteo Renzi, ha invitato Alfano a non mettersi di traverso: "Ci chiedono fatti e noi dobbiamo dare risposte al Paese. Il decreto s’ha da fare". E così è stato. "Anche perché se le cose non le facciamo, rischiamo di non mangiare il panettone del 2014. Invece se continuiamo a lavorare bene, contiamo di mangiarlo anche l’anno prossimo. In questi mesi molti hanno lavorato affinché il governo cadesse", ha scherzato (ma non troppo) Letta con i dipendenti di palazzo Chigi. La gestazione del decreto non è stata facile. Anzi. Dopo il nuovo appello di Giorgio Napolitano ad affrontare "le condizioni disumane nelle carceri" e dopo l’invito di Bruxelles a intervenire, tutto sembrava pronto per il battesimo del provvedimento. Ma di buon mattino Alfano ha fatto scattare lo stop. Obiettivo: tentare di dare una sterzata alla svolta di "sinistra sinistra" imposta da Renzi. Il vicepremier avrebbe fatto pervenire una serie di osservazioni volte a fermare il decreto: troppi favori ai tossicodipendenti e ai carcerati stranieri, nessuna attenzione agli abusi della custodia cautelare. E proprio per questo, "per bilanciare il provvedimento", Alfano avrebbe chiesto di inserire nel decreto le norme contenute nel disegno di legge sulla custodia cautelare in esame alla Camera. Forse con l’obiettivo di far entrare anche il divieto del carcere agli ultrasettantenni come Berlusconi, arriva a mormorare qualcuno. Ma sia l’entourage del vicepremier, sia palazzo Chigi, smentiscono quest’ultimo tentativo di zampata. I collaboratori di Alfano, invece, si limitano a confermare che "effettivamente il vicepremier ha chiesto e ottenuto il rafforzamento dell’espulsione, fuori dal territorio nazionale, degli extracomunitari finiti in carcere". Inutile dire che di fronte alla frenata di Alfano, Cancellieri ha fatto fuoco e fiamme. Il ministro si è lamentata con Letta, ha fatto presente che il decreto era fermo da mesi, che un nuovo rinvio sarebbe suonato come uno schiaffo agli appelli di Napolitano e una violazione palese delle norme europee. Così è scattata la mediazione. Insieme al ministro Dario Franceschini e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi, è stato deciso di portare il decreto in Consiglio dei ministri nonostante non fosse stato inserito nell’ordine del giorno. "Servono fatti...". La riunione è cominciata con una lunga relazione della Cancellieri. Poi è scattato un giro di tavolo. Con Alfano, anche nel ruolo di ministro degli Interni, che ha fatto presente come "parlare di svuota carceri sia pericoloso, l’opinione pubblica potrebbe ricavarne l’idea che premiamo i delinquenti e non garantiamo la sicurezza". In più "sembra che liberiamo gli spacciatori". La replica, "in un clima molto sereno" garantiscono a palazzo Chigi, è stata affidata da Letta alla stessa Cancellieri. La Guardasigilli ha rassicurato Alfano che non ci sarà alcun libera-tutti e che le norme sui tossicodipendenti sono rivolte a garantire "un’assistenza adeguata" a chi fa uso di droghe. Non agli spacciatori: "I tossicodipendenti si curano meglio in comunità...". Nella conferenza stampa Letta ha fatto solo un’allusione al braccio di ferro e alle richieste di Alfano. "Il governo", ha spiegato il premier, "ha ritenuto di non intervenire sulla custodia cautelare, all’esame del Parlamento c’è già un testo che è avviato verso l’approvazione in tempi a nostro avviso compatibili". Dedicato a Renzi, invece, è il passaggio legato alla sicurezza. Il nuovo segretario aveva fatto sapere di non essere entusiasta del decreto svuota-carceri, e Letta ha messo a verbale: "Il governo dà risposte alla terribile situazione del sovraffollamento delle carceri senza che questo abbia elementi di pericolosità per i cittadini e realizza un intervento che serve a accelerare la giustizia civile e il processo civile". Insomma: "fatti". Giustizia: Cancellieri; nel decreto-carceri misure per tossicodipendenti, stranieri e Garante Asca, 18 dicembre 2013 Il decreto sulle carceri che va oggi in Consiglio dei ministri "toccherà principalmente il settore dei tossicodipendenti, degli stranieri e dell’istituzione del Garante, una figura per dare voce a chi non ha voce". Lo ha detto il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, parlando con i giornalisti a margine della firma di un accordo con la Regione Toscana a Firenze. "Il carcere - ha detto il ministro - non è una cosa da ignorare e dimenticare ma un problema di tutta la collettività. In carcere i detenuti dovrebbero ritrovare se stessi ed uscire in condizioni diverse, purtroppo non è così, la situazione è grave, difficile e per certi versi anche ripugnante, come ha detto il presidente della Repubblica". Leva (Pd): fatto passo avanti, Parlamento sia all’altezza "Il decreto carceri che oggi va all’esame del Cdm di oggi è un significativo passo in avanti che migliora sensibilmente il quadro normativo di riferimento. Sono previsti interventi capaci di incidere strutturalmente sulle cause del sovraffollamento. Per questo ne auspichiamo l’approvazione, dopodiché toccherà alle forze politiche presenti parlamento porsi all’altezza dell’obiettivo e completare il percorso di riforma". È quanto scrive in una nota Danilo Leva, vice presidente della Giunta per le Autorizzazioni e componente Pd in Commissione Giustizia. Bernardini: (Radicali): decreto governo non rimuove lo stato di illegalità "Tutto va nella direzione giusta, ma stiamo parlando di quel millimetro che non rimuove lo stato di illegalità. Il documento consegnato dal ministro Cancellieri alla Corte europea dei diritti dell’uomo diceva che è necessario partire da un provvedimento di amnistia e indulto per fare le riforme". Lo dice durante una conferenza stampa nella sede del Partito radicale la segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, commentando il decreto Carceri oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri. Brunetta (Fi): iniziative del governo sono pannicelli caldi In tema di giustizia "le iniziative del Governo sono alquanto confuse e adesso, per quanto ne sappiamo da fonti di scouting interno, si tratta di pannicelli caldi a coprire la cattiva coscienza sulla giustizia". Lo dice Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, durante una conferenza stampa alla Camera. Le misure prese dal Governo, secondo l’ex ministro, sono "provvedimenti parziali e minimalisti che non rispondono alle esigenze europee, a quelle delineate dai saggi e dal discordo del presidente Napolitano alle Camere. Processi penali e civili, responsabilità civile dei magistrati e sovraffollamento delle carceri sono urgenze non trattate dai provvedimenti del ministro Cancellieri". "Per parte nostra abbiamo presentato 10 proposte di legge in materia di giustizia - continua Brunetta - 6 ripropongono i quesiti dei Referendum e gli altri 4 riguardano la riforma del titolo IV della Costituzione, la custodia cautelare, la responsabilità civile dei magistrati e l’incertezza dei processi. Questo è il nostro pacchetto Giustizia - dice ancora Brunetta - mentre in relazione a quanto farà il Governo oggi aspettatevi l’ennesima presa in giro natalizia, per quanto ne sappiamo, sul decreto svuota-carceri". Sulla giustizia il Governo si dimostra "indeciso a tutto e incapace a tutto, dispiace per il mancato riscatto di Cancellieri e anche per Alfano", conclude il presidente dei deputati di Forza Italia. Carceri: Nuti (M5S): dl non risolve problema, politica se ne avvantaggia "Il decreto svuota-carceri, così come altri provvedimenti sulla giustizia fatti da questa classe politica, non hanno l’appoggio della popolazione italiana. Svuotano per qualche mese le carceri ma non risolveranno il problema". Così al quotidiano online Intelligo News, diretto da Fabio Torriero, Riccardo Nuti, deputato di M5S. "In realtà così non si affronta il problema ma si cerca di avvantaggiarsene. E grazie a questi partiti che cambiano il nome, non cambierà nulla", conclude Nuti. Cirielli (Fdi): terzo svuota-carceri in sei mesi, autentica vergogna "Il terzo svuota-carceri in sei mesi del Governo Letta e della sua maggioranza: un’autentica vergogna". Lo dichiara Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia e componente dell’Ufficio di Presidenza di Montecitorio: "L’ennesimo provvedimento tampone che dimostra che non c’è alcun rispetto per le vittime dei reati, né per la sicurezza della nostra Nazione. Nessun intervento per costruire nuove carceri, né tantomeno accordi con i Paesi stranieri per far scontare la pena ai detenuti nei paesi d’origine. Nessun intervento serio sulla custodia cautelare, vera emergenza nazionale. Nessuno sblocco del turnover per la polizia penitenziaria. Nessun programma valido di rieducazione e lavoro per favorire il reinserimento nella società". "Solo soldi - aggiunge - per una nuova poltrona, quella del Garante dei detenuti, quando esistono già la Magistratura di sorveglianza e il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, che svolgono un ottimo lavoro. Un nuovo sconto di pena per i detenuti con liberazione anticipata ampliata e affidamento in prova per ben quattro anni. Pena gravissima che non viene inflitta neanche per le rapine oramai, senza potenziare i servizi sociali già al collasso. Impunità di fatto per i tossicodipendenti, purtroppo tra i criminali più pericolosi proprio per il loro stato psicopatologico. Un’autentica vergogna per il nuovo Pd di Renzi". Nencini (Psi): venga commutata la pena in servizi per i cittadini "Decreto Carceri: 3.000 uscite per sconti buona condotta, esteso l’uso del braccialetto elettronico, più alto il tetto di pena per i servizi sociali. Bene. E le vittime dei reati? Rischiano di essere vittime due volte perché i responsabili non pagano come giustizia dovrebbe". Lo scrive su Facebook il senatore e segretario del Psi Riccardo Nencini. "Il reato - aggiunge - si sconta. Devono essere alleggerite le Carceri? Venga commutata la pena restante in servizi a vantaggio dei cittadini. In Italia c’è troppa carcerazione preventiva e si esce troppo presto dopo la condanna". Maroni (Lega): misura sbagliatissima, aumenteranno reati "Il sovraffollamento delle carceri non si risolve mettendo fuori i detenuti, mi sono sempre opposto a misure come queste". Così a "Prima di tutto" su Rai Radio 1 il governatore della Lombardia Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno in merito alle misure sulle carceri annunciate oggi in Cdm. "Questa misura avrà una sola conseguenza: l’aumento dei crimini e dei reati, È una misura sbagliatissima, il sovraffollamento delle carceri si risolve realizzando nuove strutture carcerarie. E aprendo le tante costruite ma mai aperte", conclude. Tocco (Coordinatore Garanti Regionali): il decreto rappresenta svolta Il decreto carceri rappresenta "una svolta" che darà "un po’ di respiro e ci consentirà di rispondere alla Corte dei diritti umani" per le procedure di infrazione aperte nei confronti dell’Italia. Il Garante dei detenuti della Campania e coordinatrice dei garanti regionali, Adriana Tocco, dà un giudizio sostanzialmente positivo del provvedimento in discussione in Consiglio dei ministri. Ricordando la scadenza del 28 maggio per evitare le sanzioni di Strasburgo, mette in evidenza le modifiche previste dal decreto per ridurre il sovraffollamento, come la derubricazione di alcuni reati meno gravi o la decisione di estrapolare il comma della Fini-Giovanardi che prevede la detenzione anche solo per il possesso di piccoli quantitativi di stupefacenti. Se il Parlamento convertirà in legge il decreto, aggiunge, "potremo evitare le sanzioni, altrimenti ci troveremo di fronte alle oltre mille istanze pendenti, che aumentano quotidianamente". Rivolgendosi poi alla politica, Tocco ricorda che "in questi anni tutti hanno parlato delle carceri come se il problema fosse degli altri. Per fortuna il ministro Anna Maria Cancellieri si sta mostrando molto concreta e determinata e sono fiduciosa in questo senso". Intervenire sul problema carceri può essere un modo per scongiurare il ricorso ad amnistia e indulto, che per il garante "non risolvono il problema, ma senza provvedimenti di legge diventano indispensabili per evitare le sanzioni". Il decreto prevede la realizzazione di tre nuovi istituti penitenziari, uno dei quali potrebbe essere costruito a Nola. "Sarà un modo per deflazionare la situazione, ma è insufficiente - spiega Tocco - anche perché non riusciamo a garantire il rispetto della territorialità della pena, in quanto ci sono 12 mila detenuti campani in Italia e degli 8mila detenuti presenti nella regione non tutti sono campani". Giustizia: emergenza carceri, un decreto che va nella direzione giusta di Luigi Manconi L’Unità, 18 dicembre 2013 Con un certo tremore - troppe volte siamo rimasti delusi - gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e diciamo che forse, questa volta, il Governo ha davvero preso la direzione giusta. Sia chiaro: siamo sempre in un perimetro di piccoli passi e di iniziative prudenti ma, se non altro, le scelte sembrano andare per il verso più opportuno e intelligente. Le decisioni prese dal Consiglio dei ministri in materia carceraria rispondono a una esigenza indifferibile: rafforzamento delle alternative al carcere e dei benefici penitenziari e tutela dei diritti dei detenuti. Certo, se il quadro politico e gli orientamenti del Parlamento lo consentissero, si dovrebbero assumere provvedimenti più ragionevoli ed efficaci, quali l’amnistia e l’indulto (come suggerito dal Capo dello Stato e da alcuni tra i più autorevoli giuristi e come costantemente richiesto dai Radicali). Solo quelle due misure di clemenza, infatti, sarebbero capaci di riportare con l’urgenza necessaria il nostro sistema penitenziario agli standard di legalità internazionale e ai livelli di civiltà affermati solennemente dalla Carta costituzionale. Considerata l’attuale difficoltà di simili - saggi e sacrosanti - provvedimenti, e ribadito il dovere morale di provarci ancora, quanto deciso oggi va considerato comunque assai positivo. Le misure di alleggerimento dell’apparato sanzionatorio nei confronti dei tossicomani sono indubbiamente utili e dovrebbero anticipare una seria revisione della legislazione in materia. Lo stesso può dirsi di un provvedimento come l’identificazione degli stranieri in carcere che, se efficacemente attuato, può eliminare quella pena accessoria rappresentata dal trattenimento nei Cie (Centri di identificazione e di espulsione) per gli immigrati che abbiano già scontato la propria pena. E poi il consolidamento della detenzione domiciliare e l’allargamento dei termini per l’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale, il sostegno al lavoro in carcere e la riduzione di pena per chi dimostri di partecipare alla "offerta trattamentale" per il reinserimento a fine pena. Per la prima volta da molti anni, il governo va chiaramente nella direzione di una diversificazione della risposta punitiva, nella prospettiva di una concezione del carcere che per primo Carlo Maria Martini, e molti dopo di lui, definì "come extrema ratio". In ultimo, va apprezzata particolarmente l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Questa nuova autorità può rappresentare, da un lato, un sostegno di particolare prossimità alle esigenze di protezione dei diritti e delle garanzie delle persone private della libertà; e, dall’altro, può costituire uno strumento di interlocuzione con l’attività dell’amministrazione. Tra i compiti del Garante nazionale: vigilare affinché l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai princìpi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti; visitare, senza necessità di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, le comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunità di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria; esaminare, previo consenso anche verbale del recluso, gli atti riferibili alle condizioni di detenzione e richiedere all’amministrazione interessata di attenersi alle norme di legge, ove si riscontri che la stessa se ne sia discostata, anche formulando specifiche raccomandazioni. Quella del Garante dei diritti dei detenuti è una figura presente in molti Paesi europei e richiesta, ormai da tempo, dalle Convenzioni internazionali e da tutti gli operatori del settore. E può considerarsi, tra l’altro, una risposta efficace alla recente polemica, spesso così pretestuosa, sulla contrapposizione tra "detenuti di serie A" e "detenuti di serie B". Solo un’autorità terza e indipendente può assicurare garanzie e diritti a quanti sono privati della libertà a prescindere dalle condizioni sociali, economiche, culturali. In conclusione le misure adottate ieri rappresentano un passo avanti assai significativo. Si tratta di evitare, ora, contraccolpi regressivi e arretramenti codardi. Giustizia: un decreto che aiuta lo stato di diritto, ma ancora resta il sovraffollamento di Andrea Pugiotto Il Manifesto, 18 dicembre 2013 Il disegno costituzionale della pena è come l’area di un triangolo ai cui vertici troviamo la funzione di risocializzazione del reo, il divieto di trattamenti inumani e quello di violenze fisiche e morali sui soggetti ristretti. "L’ormai endemico sovraffollamento carcerario" - così definito a Via Arenula - rompe questa geometria. Fino a violare il divieto di tortura. È "un problema che non possiamo trascurare nemmeno per un giorno" - ha ripetuto il Presidente Napolitano - "perché si avvicina la scadenza postaci da una dura sentenza della Corte di Strasburgo". Il decreto legge deliberato dal governo si muove dentro quel triangolo. Alcune sue misure mirano a ridurre le entrate in carcere. Dietro le sbarre ci sono troppi tossicodipendenti: la creazione di un autonomo reato per il piccolo spaccio punito con pene più lievi delle attuali, renderà loro accessibili misure alternative come l’affidamento terapeutico, peraltro possibile ora anche in caso di recidiva. Dietro le sbarre ci sono troppi imputati: l’attesa del loro giudizio potrà avvenire fuori dal carcere mediante sorveglianza elettronica, modalità che solo in Italia poco ha funzionato e troppo è costata. Dietro le sbarre ci sono troppi extracomunitari: si amplia la platea di coloro che potranno essere espulsi invece che reclusi, intervenendo sui tempi e le modalità della relativa procedura. Altre misure mirano a incrementare le uscite dal carcere. Il beneficio della liberazione anticipata di 75 giorni ogni semestre di detenzione è uno sconto significativo (pari a 5 mesi ogni anno), applicato per di più retroattivamente. Si stabilizza la regola - finora temporanea - per cui la pena, anche residua, fino a 18 mesi si sconterà ai domiciliari e non dietro le sbarre. Il decreto legge, dunque, segue una geometria costituzionale. E va dato atto al Guardasigilli di fare ciò che dice, trattandosi di misure anticipate nei suoi più recenti interventi pubblici. Tutto bene, dunque? Inviterei alla prudenza. E non solo perché alcune soluzioni (il braccialetto elettronico, la misura alternativa dell’espulsione) già in passato si sono rivelate velleitarie. Il decreto andrà convertito in legge. Il nuovo che avanza sull’onda delle primarie leghiste e democratiche ha già fatto sentire la propria voce, con risaputi toni intimidatori. Di altre voci oggi all’opposizione già conosciamo le grida scomposte. Le risentiremo tutte, all’unisono, in Parlamento. Per tacitarle, non basterà segnalare che, finalmente, abbiamo un decreto legge che soddisfa i presupposti costituzionali di necessità e urgenza: siamo stati messi in mora a Strasburgo. Né che il decreto non maschera alcuna clemenza: i benefici previsti non sono automatici, passando per il prudente vaglio dei giudici di sorveglianza. La sirena della forca e dei forconi sarà più suadente di ogni richiamo alla intollerabile illegalità delle nostre carceri. Il rischio è che, colpendo il decreto, affondino alcune sue misure strutturali, attese da tempo, miranti a rafforzare la tutela delle persone detenute. Penso all’istituzione della figura del Garante Nazionale dei diritti dei detenuti, doveroso adempimento di un obbligo internazionale a lungo inevaso. Penso all’introduzione di un reclamo giurisdizionale del detenuto al giudice di sorveglianza, contro misure dell’amministrazione penitenziaria lesive di un suo diritto. Si tratta di misure entrambe sollecitate dalla Corte costituzionale e di Strasburgo. Anche il detenuto, infatti, è persona titolare di diritti. E in uno Stato di diritto si va in galere perché si è puniti e non per essere puniti. Resta, irrisolto, il problema fondamentale. Secondo stime ministeriali, convertito il decreto, l’attuale sovraffollamento carcerario (66.000 detenuti stipati in 47.000 posti) diminuirà di 3.000 unità. La prepotente urgenza di un atto di clemenza generale resta l’unica misura come ha scritto il Capo dello Stato nel suo messaggio. Quel messaggio che le Camere - senza alcun imbarazzo istituzionale - si ostinano a non discutere. Giustizia: istituti di detenzione e civiltà… proviamo a sognare di Giuseppe Anzani Avvenire, 18 dicembre 2013 Che cosa vuol dire un "pacchetto giustizia" sotto l’albero di Natale? Che cosa regala a chi? Che cosa promette? Il primo indirizzo che c’è scritto è quello dei detenuti ristretti nelle nostre carceri, quelle che ancora l’altro ieri il capo dello Stato chiamava "disumane". Diventeranno umane? Il problema, come si sa da anni, è che scoppiano; e seppure qualcuno ancora una volta chiamerà "decreto svuota carceri" un provvedimento che lo lascerà comunque strapieno, non potendo far rientrare la situazione neanche nel limite del "tutto esaurito", del pienone di minima decenza (bisognerebbe metterne fuori 20mila o traslocarli non si sa dove), sarà una breve pioggia dentro una fornace. Ma è un primo passo, non guastiamo gli auguri, cominciamo la strada; la direzione è giusta se contiene quel senso di umanità che ha ispirato nella nostra storia giuridica la legislazione "premiale". Il premio, simmetrico al castigo, appartiene alla medesima grezza pedagogia della correzione della condotta; ma dove il castigo costringe, il premio invoglia. Il castigo da solo può inchiodare all’ostilità e alla rivolta repressa, il premio può incoraggiare la collaborazione e l’emenda. Per questo vediamo con favore aumentati gli sconti di pena per i detenuti di buona condotta (liberazione anticipata), e allargato l’affidamento in prova ai servizi sociali. E in questo medesimo solco è segnale umanizzante il ricorso alla detenzione domiciliare, in luogo delle sbarre. Ed è promessa di tutela, per i diritti che spettano all’uomo pur sottoposto alla pena, la nuova figura del Garante nazionale (che vorremmo appassionato, concreto e provvido) e la nuova procedura davanti al giudice di sorveglianza. Qualche riflessione in sospeso: a chi è nel laccio di reati connessi alla tossicodipendenza può offrirsi la speranza di recupero in comunità, invece del carcere, ma nel contrasto allo spaccio, anche quello minuto e diffuso, non si deve gettare la spugna. Un altro indirizzo, nel pacchetto sotto l’albero, riguarda la giustizia civile. Le cause che non a migliaia, ma a milioni "pendono" nei tribunali e non finiscono mai. I rimedi annunciati sono simili a quelli già proposti, introdotti, tentati, attuati in passato; adesso è il turno del rito sommario, delle sentenze spicce, del giudice unico anche in appello per certe materie "semplici", della scommessa sulle vie telematiche. Rimedi d’affanno, non privi di rischi, che vanno provati e sorvegliati, eventualmente corretti sul campo. Senza pessimismo ma senza illusioni, finché un giorno o l’altro non ci sveglieremo tutti a chiederci il perché cruciale. Perché siano milioni le liti che appendiamo all’albero della giustizia civile, e se invece che ai rami non sia il caso di guardare finalmente alle radici, cioè al rispetto delle regole, quello che ci manca. Milioni di inadempienze e torti fanno milioni di liti, sul dorso di un apparato che non le regge. Il diritto romano l’aveva compreso, aveva chiuso il teorema giustizia in tre parole: vivere onestamente, non far male a-gli altri, dare a ciascuno il suo. Almeno a Natale, proviamo a sognare. Non dico i tribunali vuoti, ma almeno il desiderio di un costume onesto come "normale", di regole rispettate, di promesse mantenute, di torti evitati, sicché l’ingiustizia divenga la solitaria eccezione e il "chiedere giustizia" un pronto soccorso. Anche a noi tocca metter qualcosa sotto l’albero. Giustizia: ancora una proroga per chiusura ospedali psichiatrici giudiziari Ansa, 18 dicembre 2013 Presentata in Parlamento relazione ministeri Salute e Giustizia. Servirà una nuova proroga per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari ma, dopo mesi di lentezza, le regioni hanno spinto sull’acceleratore e quasi tutte hanno consegnato i programmi per realizzare le strutture che sostituiranno gli ex manicomi giudiziari. È quanto emerge dalla relazione sulla chiusura degli Opg, elaborata dai ministeri della Salute e della Giustizia, appena trasmessa al Parlamento, in base all’art. 3-ter comma 8-bis del decreto legge 211/2011. Secondo il documento che monitora "Lo stato di attuazione dei programmi regionali relativi al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari", inviato oggi ai Presidenti di Camera e Senato, le stime per la chiusura di strutture che lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito "autentico orrore indegno di un paese appena civile", non erano realistiche. Non tenevano in considerazione i ‘tempi congrui’ che sarebbero stati necessari dal punto di vista tecnico per avviare i piani regionali. Piani che, attraverso appalti pubblici, prevedono la costruzione dei nuovi Rems, ovvero "residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza", pensate per ospitare poche persone per volta e di competenza del Ministero della Salute, e non più della Giustizia, come oggi avviene. Da 6mesi a tre anni per realizzare programmi alternativi Dai 6 mesi della Basilicata o 24 del Piemonte, dai quasi tre anni di Lombardia, Abruzzo e Molise a meno di 15 mesi la Calabria e la Campania. Molto diversi fra loro i tempi stimati per la realizzazione dei programmi regionali alternativi agli Ospedali psichiatrici giudiziari. È quanto emerge dalla Relazione sulla chiusura degli Opg arrivata oggi ai presidenti di Camera e Senato e che verrà trasmessa, per essere esaminata, alle commissioni competenti. Indispensabile quindi una nuova proroga, la terza, per il definitivo superamento di queste strutture lesive della dignità umana. "La nuova richiesta di proroga per la definitiva chiusura degli Opg ci sarà - spiega il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda - ma intende anche mettere le regioni nelle condizioni di poterlo fare. Per questo conterrà anche misure per aiutarle a velocizzare l’iter da un punto di vista burocratico e vedrà il massimo impegno per la sottoscrizione di accordi politici tra diversi enti locali". Altro aspetto su cui punta il ministero della Salute, è un marcato accento sull’inserimento sul territorio. "Oltre ai programmi per le spese dovute alla costruzione di nuove strutture - conclude Fadda - chiediamo alle regioni anche i programmi per le spese correnti, ovvero quelle destinate a potenziare i servizi territoriali, proprio per sottolineare quanto sia importante una corretta presa in carico del paziente, una volta dimesso". Veneto indietro, ok Emilia Romagna e Liguria Virtuoso per la sanità che offre ai cittadini, meno per l’attenzione che rivolge ai pazienti psichiatrici condannati a internamento: era il Veneto la sola regione che, al 15 maggio 2013, data di scadenza prevista dall’ultima Legge Proroga che fissa al primo aprile 2014 la chiusura degli Opg, non aveva ancora presentato il programma per la costruzione di strutture alternative dove ospitare pazienti presenti negli ospedali psichiatrici giudiziari. È quanto si legge nella relazione sul superamento degli ex manicomi giudiziari consegnata al Parlamento. Tutte le altre regioni hanno presentato invece progetti che ora passeranno al vaglio del Ministero dell’Economia. Molte, come Liguria ed Emilia Romagna, da quanto emerge, si distinguono per aver utilizzato finanziamenti in modo virtuoso, riducendo la spesa in conto capitale, ovvero per il mantenimento delle strutture, e investendo invece in risorse per la parte corrente, ovvero servizi sul territorio. Una procedura "complessa" e con profili di "estrema delicatezza sia dal punto di vista istituzionale che umano" quella avviata per la chiusura degli Opg, si legge nella relazione, che richiederà anche "iniziative di coinvolgimento dei cittadini", volte "a contrastare lo stigma e il pregiudizio nei confronti di soggetti affetti da malattia mentale". Accanto ad aspetti legati alla promozione di "una nuova cultura", però, anche aspetti molto più concreti che incentiveranno l’adeguamento delle regioni: per chi non lo farà, infatti, sono previsti tagli sul fondo per la sanità regionale. Giustizia: progetti per il lavoro dietro le sbarre, dalla cucina all’archiviazione digitale Adnkronos, 18 dicembre 2013 Dall’arte della cucina all’archiviazione di patrimoni digitale. Sono diversi i progetti che, in Italia, sono finalizzati al reinserimento lavorativo dei detenuti. È il caso di "Buoni dentro: tecniche di preparazione artigianale di pietanze tipiche umbre", che ha coinvolto complessivamente sessanta detenuti della casa circondariale di Perugia (30 uomini e 30 donne) in un corso di formazione professionale di 240 ore permettendo loro di acquisire un bagaglio di esperienze che potranno mettere a frutto nel mondo del lavoro. In Veneto c’è, invece, il progetto "Esodo", che nelle province di Verona, Vicenza e Belluno cura percorsi giudiziari di inclusione socio-lavorativa per detenuti, ex detenuti e persone in esecuzione penale esterna. Negli ultimi 3 anni, il progetto Esodo ha consentito l’avvio di 643 percorsi di inclusione lavorativa, modulati in base alla capacità e alla tenuta delle persone prese in carico. In particolare, 240 azioni di orientamento, 51 inserimenti in laboratori occupazionali, 239 tirocini presso cooperative, imprese, enti e 113 contratti di lavoro. Un altro esempio di reinserimento lavorativo dei detenuti è dato da "Il muro di carta", progetto della fondazione Fincantieri che coinvolge alcuni detenuti della casa circondariale di La Spezia, regolarmente assunti dalla società Il Golfo srl. L’iniziativa prevede la digitalizzazione e l’archiviazione di una parte del fondo fotografico della Fincantieri. Nel carcere di Larino, invece, venti detenuti hanno avuto accesso a un programma sperimentale dell’Isfol, in collaborazione con il centro per l’impiego di Termoli e la Provincia di Campobasso, allo scopo proprio di valorizzare le proprie competenze in previsione di un loro reingresso nella società da uomini liberi. Sul fronte imprese gli investimenti sono incentivati dalla cosiddetta "Legge Smuraglia", provvedimento con cui lo Stato prevede agevolazioni economiche per le aziende e le cooperative che assumono lavoratori detenuti, promuovendo attività interne ed esterne agli istituti penitenziari. Le imprese possono usufruire, ad esempio, di una riduzione dei costi fissi di locazione, di riduzioni e agevolazioni contributive, fiscali ed economiche. In particolare, la legge prevede la riduzione dell’80% a favore dei datori di lavoro, relativamente alla retribuzione corrisposta ai detenuti e agli internati assunti a tempo determinato purché per un periodo non inferiore a 30 giorni. Inoltre, è previsto un credito d’imposta fino a 516,46 euro mensili proporzionalmente ridotto in base alle ore prestate. Agevolazioni che proseguono per ulteriori sei mesi successivi alla fine della detenzione. Giustizia: Corbelli (Movimento Diritti Civili); scarcerare detenuti gravemente malati Ansa, 18 dicembre 2013 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, da oltre 20 anni impegnato a denunciare il dramma delle carceri, in una nota, plaude all’iniziativa del Governo che grazie all’utilizzo del braccialetto elettronico e allo sconto di pena consente ad alcune migliaia di detenuti di poter lasciare il carcere, ma chiede al governo che "insieme a questo provvedimento si preceda immediatamente anche affrontando la prima vera drammatica emergenza delle carceri italiane: i detenuti gravemente malati che continuano a morire in cella". Corbelli chiede che "si proceda alla immediata scarcerazione di tutti quei reclusi che versano in gravi condizioni di salute e che sono stati per questo dichiarati incompatibili con il regime carcerario". Il leader di Diritti Civili ricorda a questo proposito "l’ultima recente tragedia consumatasi nel carcere di Poggioreale a Napoli dove un detenuto gravemente malato, Federico Perna, è stato lasciato morire in cella. Sempre nello stesso carcere napoletano, un altro detenuto, Vincenzo Di Sarno, affetto da tumore al midollo spinale, dimagrito di 60 chili, nonostante sia in fin di vita, continua a restare recluso. Per questo ultimo caso la mamma del detenuto e Diritti Civili hanno chiesto al Presidente della Repubblica, Napolitano, la concessione della grazia, prima che sia troppo tardi". Lettere: una Marcia di Natale per tenere alta l’attenzione su amnistia e giustizia di Desi Bruno (Garante dei detenuti della Regione Emilia-Romagna) Ristretti Orizzonti, 18 dicembre 2013 Anche la Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, Desi Bruno, aderisce alla III Marcia di Natale per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà che si svolgerà a Roma il giorno di Natale a partire dalle ore 10 (con percorso previsto da San Pietro a Palazzo Chigi). Si tratta di un’iniziativa trasversale, che vedrà impegnato il Comitato promotore insieme a svariate personalità della politica, del terzo settore, del volontariato, dell’avvocatura e del sindacato (tra cui il Si.Di.Pe.: Sindacato Direttori Penitenziari). L’iniziativa risulta particolarmente opportuna: proprio in questi giorni il Ministro Cancellieri sta presentando al Consiglio dei Ministri l’ennesimo pacchetto di riforme che dovrebbe consentire di ridurre il numero complessivo dei detenuti presenti negli istituti di pena italiani, leggermente in calo dalla scorsa estate ma non in maniera significativa. Due, fondamentalmente, le misure proposte: innalzamento a 75 giorni di liberazione anticipata ogni singolo semestre di pena scontata (in luogo dei 45 attuali) e possibilità di concedere la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali quando mancano 4 anni di pena ancora effettivamente da scontare (in luogo degli attuali 3). Accanto a queste misure, il Ministro intende proporre il ricorso all’utilizzo del braccialetto elettronico e finalmente mettere mano all’istituzione di un Garante nazionale dei diritti dei detenuti, onere a cui l’Italia non può sottrarsi dopo aver ratificato - con la legge n°195/2012 - il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti. Queste novità legislative, seppur auspicabili, non sarebbero comunque in grado di fronteggiare, da sole, la conclamata emergenza carceraria. Si parla di circa 3.000 detenuti che dovrebbero uscire per effetto di queste riforme: troppo pochi, se si pensa che attualmente sono circa 18.000 quelli eccedenti rispetto alla capienza regolamentare degli istituti. Custodia cautelare, tossicodipendenza, immigrazione e carenza di risorse restano nodi ineludibili della questione carceraria, che richiedono necessariamente riforme strutturali. Troppo spesso l’utilizzo della custodia cautelare continua ad essere una vera e propria anticipazione di pena, con buona pace della presunzione di non colpevolezza: questo è un tema nodale, che richiede certo modifiche normative (soprattutto per restringere le ipotesi di reato che consentono la privazione della libertà personale in corso di indagini e per porre limiti all’emanazione dei provvedimenti de libertate a distanza anche di anni dalla commissione del reato), ma soprattutto occorre un diverso approccio al tema della custodia cautelare, che già con la normativa vigente potrebbe essere di molto contenuta. Attualmente conosciamo una percentuale di detenuti non definitivi che supera il 40% della popolazione detenuta, anomalia tipicamente italiana alla quale bisogna mettere un freno. Per quanto riguarda la presenza massiccia di persone tossicodipendenti in carcere (circa il 25% della popolazione carceraria in percentuale pressoché costante da molti anni), il tema richiede un piano straordinario, normativo ma soprattutto di predisposizione di risorse. Salvo in casi di assoluta eccezionalità, persone che comprovatamente presentano problemi di tossicodipendenza non devono entrare in carcere: o, quantomeno, devono essere collocate altrove il prima possibile. Occorrono strutture a disposizione già al momento dell’arresto ed è altresì fondamentale la possibilità di ricorrere ai servizi territoriali già nella fase delle indagini, prima ancora che nella fase di cognizione e in quella dell’esecuzione. Inoltre, occorre dare effettiva concretizzazione a quelle disposizioni dell’ordinamento penitenziario che prevede sezioni di custodia attenuata per le persone tossicodipendenti, mai veramente realizzate se non in proporzioni modestissime. Certo si può lavorare sul dato normativo: ma prima ancora è indispensabile assicurare il diritto alla cura, condizione imprescindibile per realizzare un effettivo abbassamento della recidiva. Altro nodo è certamente rappresentato dall’immigrazione. Serve, da tempo, una riforma della legge Bossi-Fini: le novità introdotte a seguito dell’entrata in vigore della "direttiva rimpatri" 2008/115/CE di fatto non hanno risolto il problema. Se il reato di immigrazione clandestina di per sé non è in grado di portare nessuno in carcere (perché alla sua commissione è collegata un’ammenda), la riscrittura delle leggi sull’immigrazione si impone perché indubbiamente realizza effetti criminogenetici. Un problema che è - e rimane - estremamente complesso perché deriva in gran parte dalle condizioni di miseria e sofferenza di molte persone in fuga da situazioni di estrema povertà e guerra. In un’ottica di riduzione del danno si potrebbe ampliare l’istituto dell’espulsione, eliminando incomprensibili preclusioni giuridiche e accompagnando con forme di "rimpatrio assistito" gli stranieri nel loro Paese, laddove possibile: ovvero stringendo accordi con altri Stati che spesso non vogliono riaccogliere i propri concittadini. Per gli stranieri comunitari esistono oggi strumenti giuridici ad hoc affinché l’esecuzione della pena possa avvenire nei Paesi di provenienza, il cui livello di civiltà giuridica si assume simile al nostro. Ma per gli stranieri non comunitari la strada spesso invocata di rimandare "tutti a casa a scontare la pena" non può essere praticata. Oggi questo carcere sempre più povero e sempre più misero, totalmente fuori dai parametri di legalità costituzionale e convenzionale merita doverosamente di essere ridimensionato nei numeri da provvedimenti di clemenza che specificamente dovrebbero prendere la forma della l’indulto (perché l’amnistia aiuta a realizzare le riforme del sistema penale e giudiziario, ma non riduce le presenze in carcere). Le riforme, pure parziali, degli ultimi anni danno il segno di un qualche ripensamento dell’idea del carcere come sanzione centrale del sistema penale, nonostante i compromessi che spesso avvengono in sede di definizione politica delle stesse. Bisogna proseguire su questa strada: introdurre anche nell’ordinamento degli adulti l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova e finalmente rivisitare l’ordinamento ispirandosi ai principi di un diritto penale "minimo". Ma, nell’attesa, non si può fare finta di niente. Un provvedimento di clemenza, in questo preciso momento storico, non rappresenterebbe una resa nei confronti del fenomeno criminale: ma una precisa assunzione di responsabilità dello Stato di fronte alla propria incapacità di garantire un livello minimo di dignità delle persone. Lettere: il carcere, i volontari e lo Stato… di Angelo Parolari (Presidente Comunità Terapeutico Riabilitativa "Voce Amica") Il Trentino, 18 dicembre 2013 Un importante e qualificato momento di riflessione e di proposte ha trovato concretezza a Milano al convegno organizzato dalla Sesta Opera San Fedele, al quale ha partecipato una delegazione di Voce Amica, che ha voluto essere l’occasione per mettere a sistema le migliori riflessioni e proposte alle Istituzioni da parte del mondo del volontariato intorno agli argomenti "sicurezza", "gratuità" e "meno carcere", come stimolo per una maggiore efficienza del sistema penale. Per la maggior parte degli italiani di qualsiasi schieramento politico il carcere viene considerato il pilastro della sicurezza sociale, perché prevale la convinzione che, una volta incarcerato l’autore di un qualsiasi reato, la società sia "al sicuro". Ma è una percezione errata, infatti le statistiche dimostrano che la recidiva di chi è condannato e sconta la pena in misura alternativa alla detenzione è decisamente più bassa rispetto a quella di chi ha scontato tutta la condanna in carcere. Un’altra percezione largamente diffusa è che la pena alternativa al carcere sia un modo per evitare la condanna. Questa convinzione porta i più ad essere immediatamente contrari a questo tipo di pena, nella convinzione che solo il carcere assicuri i colpevoli alla giustizia. Gli effetti di queste errate convinzioni si sono visti anche recentemente addirittura presso esponenti dello stesso Parlamento. Il Convegno è entrato nel vivo della drammatica situazione in cui versa il mondo della penalità: da una parte le condanne europee per trattamento inumano o in relazione all’ergastolo, dall’altra le conseguenze di una crisi economica senza precedenti che si abbatte primariamente su coloro che sono più ai margini della nostra società. Un volontario con profilo corrispondente al bisogno e sostenuto da una robusta e specifica formazione è in grado oggi, e lo sarà ancora più in futuro, visti i tagli progressivi di personale del Ministero di Giustizia, di accompagnare le singole persone impegnate in un percorso di reinserimento sociale personalizzato, a costi decisamente inferiori a quelli istituzionali. Avendo a cuore primariamente la dignità della persona, è inoltre soggetto privilegiato nel rendersi conto in concreto di ciò che non va negli attuali regolamenti e leggi dello Stato e nell’indicare percorsi virtuosi in vista di una vera sicurezza sociale che può solo nascere da una piena collaborazione tra società civile e Istituzioni. L’operatività di questa nuova collaborazione, richiede da parte delle Istituzioni il riconoscimento delle competenze, della autonomia e, al tempo stesso, del livello paritario che il volontariato è in grado di esprimere sui "tavoli" che decidono. Risulta più che evidente che i tossicodipendenti, in gran numero presenti nelle carceri italiane, non possono essere disgiunti da questa tipologia di pensiero. È doveroso peraltro sottolineare che sia il Ministro Cancellieri che il Sottosegretario di Stato del Ministero delle Giustizia Cosimo Maria Ferri hanno in larga misura condiviso le riflessioni avanzate, assicurando nel contempo il massimo dell’impegno istituzionale. Toscana: accordo tra Ministero e Regione, per migliorare la situazione delle carceri www.gonews.it, 18 dicembre 2013 Migliorare la situazione delle carceri toscane e insieme quella dei detenuti è possibile. Ne sono convinti il Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, quello del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo e quello dell’Anci Toscana, Alessandro Cosimi, che hanno sottoscritto questa mattina a Firenze presso la presidenza della Regione un protocollo tematico volto a migliorare le condizioni dei detenuti e del sistema carcerario toscano, valido tre anni e unico in Italia. Prevede di recuperare e reinserire nella società fino a 300 detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza, di utilizzare in maniera diversa le case circondariali di Massa Marittima, Grosseto ed Empoli, di valorizzare anche ai fini agrituristici e ricettivi, l’isola di Pianosa (che dal 1856 ha ospitato detenuti e dal 1968 fino al 1998 è stata sede di un carcere di massima sicurezza) attraverso il lavoro agricolo e di restauro immobili da parte di 80-100 detenuti, di formare al lavoro per reinserirli almeno altri 20 detenuti, di realizzare un asilo nido in prossimità di un carcere che possa accogliere anche i figli di persone non detenute, di completare l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri situato a Firenze, di valutare la possibilità di realizzare una nuova casa circondariale a Grosseto idonea ad ospitare almeno 200 detenuti. Prevede inoltre altre misure che insieme compongono un quadro complessivo che si pone l’obiettivo di intervenire a tutela della salute della popolazione carceraria, sul potenziamento delle strutture penitenziarie, per l’ampliamento degli interventi di supporto all’esecuzione penale e di favorire l’integrazione tra sistema detentivo e contesto territoriale. La Regione si impegna poi ad individuare, d’intesa con i Comuni, strutture idonee ad ospitare case di semilibertà. Occorre considerare che oggi in Toscana ci sono circa 4.200 detenuti contro una capienza massima delle strutture carcerarie di 3.200: il 31% in più. Tra gli intenti del protocollo figurano anche l’istituzione di percorsi che estendano le opportunità di lavoro esterno concesse ai detenuti anche per pubblica utilità, una maggiore integrazione con il territorio coinvolgendo gli Enti locali e le associazioni del volontariato. I progetti che verranno messi in atto a favore dei detenuti tossicodipendenti riguarderanno le carceri di Pisa, Prato, Firenze, Lucca, Pistoia e Livorno e contemporaneamente il Ministero si impegnerà a non far entrare nelle carceri toscane altri detenuti che ne prendano il posto, così da ridurre il sovraffollamento degli istituti toscani. Il documento sottoscritto questa mattina prevede di istituire presso la Regione Toscana un tavolo permanente operativo composto oltre che da un rappresentante per ognuno dei firmatari, anche da un rappresentante dei 17 istituti penitenziari toscani. Presso l’ufficio di gabinetto del Ministro della giustizia è istituita invece una cabina di regia composta da Ministero, Regione e Anci. L’accordo su carceri toscane e detenuti in cifre Quelle che seguono sono alcune delle cifre che servono ad illustrare l’attuale situazione delle carceri toscane, i progetti previsti dall’accordo che la Regione firma stamani con il Ministero della giustizia e i relativi costi, i risparmi attesi da un progetto che è unico in Italia e che potrà rappresentare un prototipo per tutto il territorio nazionale, ed altri aspetti del complesso pianeta-carcere della Toscana. 300 detenuti. Sono quelli, prevalentemente con problemi di tossicodipendenza, che beneficeranno del progetto di formazione e reinserimento lavorativo. Proverranno dagli istituti di Pisa, Prato, Firenze, Lucca, Pistoia e Livorno e abiteranno in strutture residenziali appositamente individuate. 20 detenuti. Sono quelli che beneficeranno dei percorsi di reinserimento. 80-100 detenuti. È la "task force" che si trasferirà nell’isola di Pianosa e la trasformerà in una realtà dedicata all’agricoltura e all’agriturismo, recuperando le strutture esistenti che erano servite sia per il vecchio carcere che per gli alloggi delle guardie. 4.200 detenuti. È l’attuale popolazione carceraria della Toscana. 3.200 detenuti. È la capienza massima prevista per gli istituti penitenziari della Toscana. 17 carceri. È il numero degli istituti di pena presenti nella regione: Casa Circondariale Sollicciano, Casa Circondariale Mario Gozzini, Casa Circondariale Empoli, Casa Circondariale Arezzo, Casa Circondariale Pistoia, Casa Circondariale Prato, Ospedale Psichiatrico Giudiziario Montelupo Fiorentino, Casa Circondariale Livorno, Casa Reclusione Porto Azzurro, Casa Reclusione Gorgona, Casa Circondariale Pisa, Casa Circondariale Lucca, Casa Reclusione Volterra, Casa Circondariale Siena, Casa Circondariale Grosseto, Casa Reclusione San Gimignano, Casa Circondariale Massa Marittima. 30% È l’attuale percentuale di sovraffollamento delle carceri toscane. 116 euro. È il costo medio giornaliero per detenuto in Italia. 35 euro. È il costo giornaliero previsto dal Progetto Ministero-Regione per quei detenuti che non abbiano problemi di dipendenza da sostanze. 70 euro. È il costo giornaliero previsto dal Progetto Ministero-Regione per i detenuti che hanno problemi di dipendenza da sostanze. 52 euro. È il costo medio giornaliero previsto dal Progetto Ministero-Regione per i detenuti che vi parteciperanno. 5,7 milioni di euro. È il costo annuo previsto per i 300 detenuti che entreranno a far parte del progetto. 12,7 milioni di euro. È il costo per il mantenimento attuale degli stessi 300 detenuti. 610.000 euro. È la cifra stanziata dalla Regione Toscana per l’adeguamento dell’Istituto a custodia attenuata per detenute madri di Firenze. Ne potrà ospitare al massimo 8 con i loro figli fino a 6 anni di età. Se ne prevede il completamento entro 9 mesi. 38,5 anni. È l’età media dei detenuti in Toscana. Questo e i dati che seguono sono tratti dall’indagine condotta nel 2012 dall’Agenzia regionale di sanità e presentata nel giugno scorso. 96,5%. È la percentuale dei detenuti maschi. 50,2%. È la percentuale dei detenuti stranieri nelle carceri toscane. 71,8%. È quella dei detenuti che presentano almeno una patologia. Tra le più diffuse i disturbi psichici (sono il 41% del totale), quelli dell’apparato digerente (14,4%) e le malattie infettive (11,1%). 1,2%. È la percentuale dei detenuti positivi all’hiv. La media internazionale è del 10%. Il che significa che molti altri di coloro che sono in carcere in Toscana hanno questa patologia ma non lo sanno in quanto si rifiutano di sottoporsi ai test e mettono quindi a rischio la loro salute e quella degli altri aumentando il pericolo di contagio. 6,1%. È la percentuale di coloro che nell’ultimo anno hanno messo in atto azioni di autolesionismo. Il dato nazionale è il 10,6%. 1,3%. È la percentuale di coloro che hanno tentato il suicidio. Il dato italiano è 1,9%. Si tratta di 300 volte in più di ciò che accade nella popolazione generale. Brogi (Pd): bene protocollo per la toscana "La direzione è quella giusta, i detenuti tossicodipendenti devono poter accedere a misure alternative, che prevedano percorsi di recupero specifici. L’intesa che il presidente Rossi ha portato avanti e che stamani è stata firmata dal ministro Cancellieri, servirà a favorire questo percorso per 300 detenuti toscani. Un protocollo unico in Italia che speriamo sia preso a modello. Contemporaneamente il ministro ha presentato il decreto legge che oggi sarà discusso in Consiglio dei Ministri, e che prevede una serie di provvedimenti utili per alleviare le condizioni vergognose delle nostre carceri sovraffollate". È il commento di Enzo Brogi, consigliere regionale Pd, al protocollo tematico sottoscritto questa mattina a Firenze dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, dal presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze Antonietta Fiorillo, e dal presidente Anci Toscana Alessandro Cosimi, volto a migliorare le condizioni dei detenuti e del sistema carcerario toscano, valido tre anni e unico in Italia. "Si parla di un effetto immediato su 3.000 detenuti, ma soprattutto si vedono i primi interventi su norme affolla-carceri come la Fini-Giovanardi, che anche in Toscana riguarda quasi un detenuto su quattro - prosegue Brogi - A fronte di oltre 65mila detenuti su una capienza di 47mila, delle condizioni in cui versano i nostri penitenziari e di una condanna europea per trattamento inumano e degradante dei detenuti, occorrono però interventi più incisivi, per un sistema giudiziario che dia pene certe in tempi ragionevoli, che privilegi le pene alternative alla detenzione e il reinserimento del condannato, e che metta fine all’abuso della carcerazione preventiva. Solo con questi elementi l’Italia potrà finalmente avere carceri degne di un civile paese europeo". Campania: la Garante; istituire una sezione giudiziaria ad hoc per le denunce dei detenuti Agi, 18 dicembre 2013 Istituire una sezione giudiziaria ad hoc per le denunce che riguardano i detenuti per agevolare il lavoro della magistratura e tutelare maggiormente i diritti di questi cittadini. È la proposta lanciata dal Garante per i detenuti della Campania e coordinatrice dei garanti regionali, Adriana Tocco, che ha incontrato la stampa per fare il punto sul lavoro svolto nel 2013. La proposta al momento riguarderebbe solo la Campania, spiega Tocco, che ne ha già parlato con il procuratore generale, ma potrebbero essere estesa anche alle altre regioni. A tal proposito il garante ricorda dell’invito a visitare il carcere di Poggioreale rivolto alcuni mesi fa ai pm di Napoli, "che in questo modo hanno potuto toccare con mano l’oggettiva situazione di illegalità, che ha portato la Corte dei diritti umani a intervenire più volte nei confronti del nostro Paese". Tocco parte proprio da Poggioreale per dare le cifre del sovraffollamento in Campania. L’istituto penitenziario napoletano, che è il peggiore in Europa su questo fronte, ospita 2.800 dei circa 8.000 detenuti presenti nelle carceri della regione, a fronte di una capienza massima di 1.300". La situazione è allarmante anche a Secondigliano, dove si tocca quota mille, così come a Santa Maria Capua Vetere. Altri edifici sono meno affollati, ma le cifre stanno crescendo, come nel caso di Benevento, dove "siamo sui 700-800 detenuti, anche perché sta accogliendo anche quelli sottoposti ad alta sicurezza". All’ordine del giorno c’è anche la scadenza del 31 marzo, quando è prevista la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Tocco auspica che "non ci siano altre proroghe" e si augura che "vengano trovate le strutture necessarie per accogliere queste persone", molte delle quali sono affette da gravi patologie. "Sappiamo di 300 di questi casi a Secondigliano - aggiunge - oltre alle situazioni limite. Se lo Stato non è in grado di curare i detenuti che prende in carico, deve mandarli ai domiciliari", fa notare il garante, annunciando poi che il ministro Cancellieri sta incontrando i presidenti delle Regioni per arrivare alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa sulla salute. Federico Perna? fu sbaglio tenerlo in cella Non entra nel merito della vicenda prima di conoscere l’esito dell’autopsia, ma giudica "sicuramente sbagliata" la decisione di far restare in carcere una persona gravemente malata. Il giudizio è del Garante dei detenuti della Campania e coordinatrice dei garanti regionali, Adriana Tocco, dopo la morte di Federico Perna nel carcere di Poggioreale l’8 novembre, sulla quale il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha aperto un’indagine interna per accertare eventuali maltrattamenti. "Al momento non sono in grado di dire cosa sia successo - argomenta Tocco - ma sappiamo che l’uomo era affetto da una grave forma di cirrosi epatica e non doveva essere in carcere". Partendo da questo "brutto caso", il garante allarga l’orizzonte alle presunte minacce ricevute dai detenuti che decidono di denunciare atti di violenza subiti dietro le sbarre. "Chi denuncia è maggiormente tutelato rispetto a quelli che non lo fanno - spiega - anche se dal punto di vista normativo la tutela deriva dal fatto stesso che c’è un garante che è al corrente e che li sostiene". Su questo punto, aggiunge, non può intervenire il decreto attualmente in discussione in Consiglio dei ministri, "perché le percosse non sono in alcun modo previste e ammesse". Torino: due Poliziotti Penitenziari morti "per un equivoco", Sindacati in stato agitazione Ansa, 18 dicembre 2013 Sono morte per "un equivoco di natura personale" le due guardie del carcere Lo Russo e Cotugno di Torino. È quanto trapela da ambienti vicini alla procura di Torino, che ha aperto un’inchiesta sull’omicidio-suicidio di Giampaolo Melis e Giuseppe Capitano. Il pm Cesare Parodi, che la coordina, non ha disposto l’autopsia sul corpo delle due vittime di questa tragedia. L’agente Capitano era capo sentinella, ovvero responsabile della sicurezza delle mura esterne del carcere e per questo motivo teneva il colpo in canna nella pistola d’ordinanza. Secondo quanto appurato dagli inquirenti, che hanno ascoltato la testimonianza dei numerosi agenti penitenziari presenti nello spaccio al momento della tragedia, era convinto che Melis, ispettore responsabile degli atti di polizia giudiziaria, gli avesse fatto un torto sul lavoro. Una "questione futile", come è stata definita dagli stessi investigatori, che ha spinto l’agente a sparare contro l’ispettore, a una distanza di meno di due metri, e poi a rivolgere l’arma contro se stesso. Stato di agitazione dei Sindacati di Polizia Penitenziaria I sindacati torinesi, Uil-Pa Penitenziari, Osapp, Si.n.a.p.pe, Fns-Cisl, Ugl Penitenziari, dopo la tragedia avvenuta questa mattina nel carcere del capoluogo piemontese, hanno proclamato lo stato di agitazione "contro il perpetrarsi di decisioni unilaterali attuate dalla Direzione della Casa Circondariale di Torino consistenti nell’aver eluso più volte le problematiche segnalate dalle organizzazioni sindacali e senza aver mostrato una sorta di risoluzione delle stesse". In un documento congiunto i sindacati chiedono al direttore della casa circondariale di Torino Giuseppe Forte e al provveditore regionale Enrico Sbriglia la convocazione urgente entro le prossime 24 ore. Nel corso dell’incontro, secondo i sindacati, si dovrà fare il punto, tra l’altro, "sull’organizzazione del lavoro e sul disagio della polizia penitenziaria dell’Istituto e del repartino detentivo Molinette, in quanto il personale operante è in organico ridotto e lasciato al completo sbaraglio, senza direttive reali ed univoche", "sui posti di lavoro assolutamente insalubri"; "sull’utilizzo indiscriminato dello straordinario da parte dei funzionari del Corpo di polizia penitenziaria, assolutamente fuori controllo". Le segreterie regionali, conclude il documento, "restano in attesa di un sollecito riscontro". Di Giacomo (Spp): situazione drammatica, 110 suicidi dal 2000 "110 suicidi dal 2000. Con l’episodio di oggi salgono a 9 in meno di due anni. Dati che rendono l’idea della drammatica situazione in cui è costretta ad operare la polizia penitenziaria, soprattutto in questo momento particolare, in cui la situazione carceraria è caratterizzata da un sovraffollamento divenuto oramai inaccettabile tanto per i detenuti che per i poliziotti penitenziari i quali sono costretti a vivere quotidianamente il dramma del sovraffollamento". Questo è il commento del segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Spp Aldo di Giacomo, secondo cui: "il dramma dell’omicidio suicidio nel carcere di Torino di questa mattina rientra senza dubbio nel quadro appena descritto, deve indurre una profonda riflessione del mondo della politica affinché si adoperi per apportare le necessarie riforme che portino il mondo carcerario a livelli di civiltà". Continua Di Giacomo: "Depenalizzazioni e misure alternative alla detenzione devono essere le parole chiavi all’attuale discussione sul tema delle carceri che camera e senato si apprestano a discutere. L’impegno del sindacato che rappresento sarà rivolto affinché drammi come quello di stamattina non si verifichino più, migliorare le condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari è un imperativo, come un imperativo sarà far riflettere la coscienza della politica indifferente alle problematiche del corpo. Non analizzando le cause del problema carcerario non solo in meri termini ragionieristici ma valutando la questione soprattutto da un punto di vista umano che possa ridare dignità a chi quotidianamente è chiamato a difendere e tutelare la legalità nel nostro paese. Alle famiglie ed ai figli dei colleghi è rivolto il cordoglio di tutto il sindacato". Fp-Cgil: insensato sottovalutare disagio poliziotti "Circa 80 poliziotti penitenziari morti per suicidio negli ultimi 10 anni, 8 solo quest’anno: uno a Lecce lo scorso 30 aprile, uno in Campania a giugno, due a Roma nei mesi di giugno e luglio, uno ad Agrigento ancora nel mese di luglio, uno a novembre a Spoleto e, purtroppo, i due di stamani a Torino. Questo è il tragico elenco dei poliziotti, dei lavoratori, dei cittadini che si sono tolte o a cui hanno tolto la vita operando in carcere in questo breve arco temporale ma molti altri sono caduti negli anni passati per mano omicida, uccisi per non essersi mai piegati al compromesso, alle intimidazioni e/o alle minacce avanzate verso se stessi o nei confronti dei propri famigliari, fieri del lavoro reso al servizio dello Stato e di contribuire a garantire la sicurezza della collettività e la reintegrazione delle persone temporaneamente private della libertà nella società civile una volta scontata la propria pena". Lo affermano il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, e il segretario nazionale della Fp Cgil, Fabrizio Fratini. "Sono anni ormai che lanciamo inascoltati ripetute grida di allarme ai governi e ai ministri della giustizia che si sono fin qui succeduti- affermano i sindacalisti- per evidenziare le pessime condizioni di lavoro imposte alla Polizia Penitenziaria e i rischi a cui questi operatori vanno fatalmente incontro nel quadro di un’emergenza carcere che non sembra trovare mai soluzione. Lo abbiamo fatto con le numerose e tempestive denunce pubbliche fin qui prodotte, con le iniziative di mobilitazione di piazza organizzate per sensibilizzare il parlamento, la politica e l’opinione pubblica, come quella tenuta lo scorso 28 ottobre a Roma dinanzi a Montecitorio e, da ultimo, anche nel piano di analisi e proposta da noi elaborato e consegnato lo scorso 25 novembre al prof. Mauro Palma, presidente della commissione incaricata dal Ministro Cancellieri di individuare le misure necessarie a contrastare il fenomeno del sovraffollamento delle carceri e rendere il sistema penitenziario umano e funzionale al mandato costituzionale affidato, quando in esso sostenevamo che ‘il malcontento manifestato dal personale di Polizia Penitenziaria sta di giorno in giorno lievitando verso una china mai registrata fin ora e, almeno per noi, davvero preoccupante". "Avevamo predetto - proseguono Sorrentino e Fratini, e non ne siamo affatto contenti, abbiamo tentato di spiegare anche in quest’ultima occasione che la fortissima carenza di personale (circa 7.000 unità in meno rispetto all’organico fissato con D.M. dal Ministro della Giustizia, senza contare quello sottratto dal lavoro in carcere) la forte contrazione degli stipendi e dei diritti contrattuali, l’aumento significativo dell’orario di lavoro e dei compiti e mansioni affidati giornalmente ai poliziotti, il disagio lavorativo vissuto in ambienti vecchi e malsani, le pessime condizioni di lavoro imposte dall’amministrazione sia a causa del grande sovraffollamento delle strutture, che per la sostanziale incapacità della dirigenza penitenziaria di misurarsi con le rappresentanze sindacali sul piano dell’organizzazione e/o riorganizzazione del lavoro sollecitata dall’aumentato impegno richiesto agli istituti penitenziari unita a l’essere, più in generale, considerati dall’amministrazione penitenziaria come l’ultimo anello della catena, e non già parte attiva e partecipativa del processo che dovrebbe realizzare le condizioni per garantire la mission affidata dalla nostra Costituzione al sistema penitenziario del Paese, sta provocando tra il personale in servizio negli istituti di pena una forte e pressoché generalizzata demotivazione, se non una vera e propria disaffezione verso un ruolo che non riesce a realizzarsi e ad essere percepito nel modo in cui invece dovrebbe". "Eppure ancora oggi, stando ai fatti, malgrado quanto ripetutamente affermato con puntuale cognizione di causa- continuano i due dirigenti sindacali-, delle difficoltà e della condizione vissuta da quei lavoratori in carcere è palesemente dimostrato che non esiste l’attenzione che occorre per la concreta risoluzione delle numerose problematiche presenti che, invero, potrebbero invece trovare una qualche soluzione praticabile se finalmente si decidesse di confrontarsi e ascoltare il sindacato. Allo stato attuale, invece, tutto finisce inevitabilmente, e consapevolmente a nostro giudizio, per scaricarsi sui poliziotti penitenziari, che rimangono in balia degli eventi e di una insensibile catena di comando, speso pagando un prezzo davvero salatissimo. Una scelta per noi inaccettabile che deve poter trovare soluzione quanto prima, partendo ovviamente dal presupposto che nei confronti di chi ha sbagliato siano adottati i conseguenti provvedimenti. Nelle prossime ore - concludono Sorrentino e Fratini - chiederemo un incontro al Ministro Cancellieri per aprire una discussione seria e approfondita sulla drammatica situazione denunciata". Fns-Cisl: sconcerto per un fatto grave "Quanto accaduto stamattina nel carcere di Torino, a pochi giorni dal Santo Natale, è una vera tragedia: un fatto gravissimo che porta sconcerto non solo a Torino, ma in tutti gli Istituti di pena italiani". Lo dichiara Pompeo Mannone, Segretario Generale della Federazione della Sicurezza della Cisl. "In questo momento conta poco mettersi ad improvvisare su quali siano le vere cause scatenanti l’episodio - continua Mannone - e francamente, come Fns Cisl, troviamo anche inopportune le varie dichiarazioni diffuse da altre organizzazioni rappresentative del Personale di Polizia Penitenziaria, circa le gravi inefficienze organizzative e gestionali nel carcere torinese, che, pur essendo tali, non possono giustificare un fatto di violenza così inaudita. Oggi è un giorno in cui la rabbia e le polemiche devono lasciare il posto al dolore. Come Fns - conclude Mannone - ci uniamo ai familiari dei due colleghi di Torino". Torino: gli agenti "per 1.400 euro al mese viviamo all’inferno, i nostri superiori non ci ascoltano" di Niccolò Zancan La Stampa, 18 dicembre 2013 C’è chi si cuce la bocca con il filo di ferro. Chi si taglia i testicoli. Chi ti piange addosso e implora pietà. "E tu devi resistere. Mantenere i nervi saldi. Avere coraggio, fermezza, comprensione. È il nostro mestiere, un lavoro molto duro. Ma certe volte, come si fa?". A Catanzaro un detenuto ha tirato i suoi escrementi in faccia a un agente. A Padova, olio bollente dalle sbarre. Ad Avellino, sputi e minacce: "Creperai anche tu qui dentro, ti infetto con il mio sangue". Le carceri italiane fanno paura. Sono un mondo angosciante che ribolle di sofferenza esplosiva. Anche quando urli, quando stai male, la tua voce non arriva. Soffrono i detenuti e soffrono i poliziotti, legati dallo stesso quotidiano. Ritmi lenti: chiavi, perquisizioni, ora d’aria, sopravvitto, angherie. È una guerra. Come dimostra il bollettino dei primi sei mesi del 2013: 1880 colluttazioni, 468 ferimenti, 3287 casi di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 18 suicidi fra i detenuti e 7 fra le guardie. In carcere si muore. Si muore di carcere. "L’agente di polizia penitenziaria è un uomo solo", dice Leo Beneduci, il segretario generale dell’Osapp, uno dei sindacati più rappresentativi. "Non vali niente. Non sei niente. Non godi di alcuna considerazione. Purtroppo sei solo l’oggetto passivo di ordini che arrivano dall’alto. Non vedi gli educatori, non vedi i direttori. Sei solo con i carcerati". Questa solitudine la raccontano tutti così. Come un doppio fronte. Da un lato il rapporto delicatissimo con detenuti troppo numerosi e sempre più violenti: "Dove spesso manca anche il minimo rispetto". Dall’altro il regolamento interno, che ordina e condiziona ogni passo. L’agente di polizia penitenziaria può essere sottoposto a procedimento disciplinare per qualsiasi atteggiamento poco meno che impeccabile: 5 minuti di ritardo, capelli lunghi, barba sfatta, scarpe sporche, divise spiegazzate, mancato saluto, dimenticanze minime. Per 38 mila agenti in servizio in Italia (la pianta organica ne prevedrebbe in realtà 45 mila), la media annua dei procedimenti disciplinari supera gli 80 mila casi. Più di due a testa. Significa finire davanti alla commissione, rischiare sanzioni amministrative e punizioni. Molto concretamente, significa vedersi decurtare una parte dello stipendio, che in media è 1440 euro al mese. Eccolo, il secondo fronte. "Noi in gergo diciamo: "Si montano le biciclette"", spiega Donato Capece, il segretario generale del sindacato Sappe. "Si trova il modo di punirti, quando si vuole e con grande discrezionalità. È?un problema enorme, fonte di stress, tensioni, liti. Lo abbiamo sollevato più volte. Dobbiamo rivedere questo sistema sanzionatorio". Pare che proprio il terrore di incappare in un procedimento disciplinare sia stato all’origine della tragedia di ieri mattina, nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Il capo sentinella ha sparato al responsabile degli atti giudiziari, prima di rivolgere la pistola contro se stesso. Tutto è distorto, esasperato, oltre i limiti. Persino quelli della legge quadro del 2002 sono disattesi quotidianamente: gli agenti dovrebbero lavorare sei ore al giorno su quattro turni. Ma i turni sono tre. La media italiana di lavoro supera abbondantemente le otto ore. Con picchi come quello del carcere di Altamura, dove 48 agenti hanno accumulato 12 mila ore di straordinario. Hanno mezzi scassati, divise vecchie di quattro anni, in certi casi neppure un bagno interno. Raccontano questo disagio da anni, mentre la guerra continua. "Chiedevamo un punto di ascolto nelle carceri - spiega Capece - dove l’agente potesse spiegare i suoi problemi e confidarsi. Ma ci hanno dato un numero verde a Roma, l’ennesima dimostrazione di distanza dalla realtà". Sul braccialetto elettronico, tagliano corto: "Una buffonata". Mentre tutti, invariabilmente, ti citano lo stipendio del capo del Dap, Giovanni Tamburino: 330 mila euro annui. "Ma il vero problema è un’amministrazione sorda, distante, che non sa nulla di quello che avviene realmente", dice Leo Beneduci. In carcere non ci si parla. Solo urla e silenzio. Così si torna all’omicidio-suicidio di Torino. "Diranno che è successo per motivi personali - dice Beneduci - ma non è vero. È questa solitudine che uccide. È questa disorganizzazione". Livorno: il carcere di Pianosa riaprirà con 80 detenuti, tutti inseriti in progetti di lavoro Agi, 18 dicembre 2013 Il carcere di Pianosa "riaprirà per i lavori dei detenuti". Lo ha sottolineato Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia intervenendo oggi in regione a Firenze alla firma del primo protocollo nazionale sulle carceri. "Al momento c’è un investimento in lavori, poi ci saranno anche risorse economiche". "Il carcere di Pianosa è una sfida. Diventerà un gioiello dell’agricoltura". "Apriremo un tavolo col comune per capire come e quando partire", ha concluso il ministro. "Quanto a ciò che prevediamo a Pianosa - ha aggiunto il presidente Rossi - se l’isola viene lasciata a se stessa, degrada. In accordo con il sindaco di Campo nell’Elba cercheremo di recuperare, grazie al lavoro di un’ottantina di detenuti, gli edifici in degrado, destinandone alcuni all’accoglienza turistica, e daremo il via ad un programma di coltivazione agricola". "Pensiamo di abbattere il muraglione del carcere di massima sicurezza e di valorizzare l’isola lungo tutto l’anno. Insomma abbiamo in mente qualcosa di molto diverso dal 41bis", ha aggiunto Rossi. Da parte sua il ministro Cancellieri ha sottolineato la questione che riguarda l’isola: "Pianosa è una sfida e un sogno bellissimo. Grazie al lavoro dei detenuti può diventare un piccolo gioiello". Lettera aperta di Legambiente (www.greenreport.it) Oggi il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e la ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, hanno presentato il protocollo per il miglioramento delle condizioni delle carceri e dei detenuti in Toscana firmato a Firenze che punta a ridurre di un terzo la popolazione carceraria in sovrannumero in Toscana, dove ci sono oggi 900 detenuti in più rispetto alla capienza massima degli istituti. Nel farlo Rossi ha detto: "Quanto a ciò che prevediamo a Pianosa, se l’isola viene lasciata a se stessa, degrada. In accordo con il sindaco di Campo nell’Elba cercheremo di recuperare, grazie al lavoro di un’ottantina di detenuti, gli edifici in degrado, destinandone alcuni all’accoglienza turistica, e daremo il via ad un programma di coltivazione agricola. Pensiamo di abbattere il muraglione del carcere di massima sicurezza e di valorizzare l’isola lungo tutto l’anno. Insomma abbiamo in mente qualcosa di molto diverso dal 41bis". La Cancellieri ha aggiunto: "Pianosa è una sfida e un sogno bellissimo. Grazie al lavoro dei detenuti può diventare un piccolo gioiello". Legambiente, dopo aver sottolineato che a Pianosa non c’è solo degrado ma anche una forte ripresa della sua eccezionale biodiversità avvenuta dopo la chiusura del carcere, anche grazie a progetti di tutela dell’Ue attuati dal Parco azionale, e che nell’isola c’è ormai un’attività economica da non sottovalutare, legata al turismo ambientale e da quest’estate anche alle immersioni subacquee in un mare eccezionalmente intatto, rivolge alcune domande al Presidente Rossi ed alla ministra Cancellieri: 1) Quanti agenti di custodia, educatori ed esperti richiederà la presenza a Pianosa di più di 80 detenuti, che sono almeno il doppio della cifra della quale si era fino ad ora parlato? 2) Come questo numero è compatibile con l’attuale capacità di carico di Pianosa (250 persone) e quindi con l’attuale flusso turistico che sarebbe quindi probabilmente almeno dimezzato? 3) Il progetto è stato sottoposto al Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, che lo Stato ha individuato come Ente di protezione e governo delle risorse dell’Isola di Pianosa e del suo mare ed è compatibile con il Piano del Parco che è uno strumento (anche "urbanistico") di gestione territoriale sovraordinato rispetto alle normative della Regione? 4) Il progetto di collocazione sull’isola di più di un centinaio di persone e le attività che si intendono svolgere sono compatibili con la presenza a terra ed a mare di forme di protezione di Rete Natura 2000 dell’Unione europea (Si, Zps/Zsc delle Direttive Habitat e Uccelli), per altro istituite su indicazione della stessa Regione e del Governo della Repubblica Italiana?. Intendono Presidente Rossi e Ministra Cancellieri far almeno seguire a questo annuncio del raddoppio dei detenuti previsti almeno una valutazione di incidenza, per non incorrere in una procedura di infrazione europea? 5) Il progetto rispetta il protocollo d’intesa firmato da Parco, Regione, Provincia di Livorno e Comune di Campo dell’Elba per un utilizzo di Pianosa che prevede agricoltura biologica, turismo scientifico e scolastico e ricerca scientifica? E come queste attività possono convivere con la presenza massiccia di detenuti e guardie carcerarie e le necessarie misure di sicurezza? Come queste attività possono convivere, senza intaccare gli eccezionali valori naturalistici, con la mancanza di risorse naturali di Pianosa, a partire dall’acqua, e la mancanza di depurazione ed altri servizi essenziali? 6) Intendono il Presidente Rossi e la Ministra Cancellieri coinvolgere in questo progetto che ha aspetti ambientali, economici e sociali così delicati, il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (che non ha ancora il Direttivo) ed il Ministero dell’Ambiente che il Parlamento della Repubblica ha indicato come istituzioni deputate a tutelare, anche dalle attività antropiche che in passato hanno creato seri danni, l’ambiente unico ed eccezionale di Pianosa e del suo mare? Trieste: la Garante dei detenuti "non accetto la doppia pena del diritto negato…" di Rossana Palci www.triesteprima.it, 18 dicembre 2013 Il 29 ottobre 2012 sono stata eletta dal Consiglio Comunale di Trieste, Garante dei Diritti dei Detenuti, il primo per la città di Trieste. Ad un anno di distanza sono qui a parlare del percorso intrapreso e delle tante sfaccettature di questo ruolo quanto mai variegato e permeato dall’umanità delle tante persone che ho incontrato, siano esse detenute che operatori del settore pubblico e/o del privato sociale, che per essi lavorano. Un ruolo nuovo per la città, quindi tutto da definire, strutturare, calibrare, sperimentare: da una parte ciò comportava una sfida e tanti interrogativi, dall’altra però mi metteva nella condizione di poter impostare un lavoro sulle mie capacità, sulle mie esperienze pregresse, con il confronto delle persone che già nel passato avevano condiviso l’esperienza penitenziaria. Perché di questo si tratta, di un’esperienza umana, di un contatto costante con la sofferenza, a dare voce alle persone che voce più non hanno e che , molto spesso, non hanno neanche più la forza di comunicare la "lamentela" e la richiesta… Ho sempre considerato la pena una giusta retribuzione ed un corretto risarcimento sociale, oltre al necessario e fondamentale deterrente preventivo, ma non ho mai accettato la "doppia" pena del diritto negato, dell’impossibilità a vivere degnamente un percorso detentivo, di non sentirsi persona anche dietro le sbarre. Questa non è rieducazione e reinserimento… Ed è questo che invece la Costituzione prevede: un percorso risocializzante affinché la persona venga messa nella condizione di riparare, di risarcire, di poter tornare nella società con nuovi strumenti ed una diversa capacità personale nel rapporto con gli altri e con la stessa legalità. Quanto avviene nelle nostre carceri purtroppo lo sappiamo, lo sa la Corte Europea, lo sanno i nostri politici ed i nostri amministratori, lo sa il Presidente della Repubblica, con riferimento a quanto egli ha scritto nel messaggio inviato al Parlamento lo scorso 8 ottobre. Credo nella capacità del singolo di rialzarsi, di poter ripartire se messo nelle condizioni umane, economiche, culturali e professionali di farlo e sono molte le mie personali esperienze che hanno visto realizzarsi tutto ciò. I numeri però parlano chiaro: si è sempre investito moltissimo sulla "sicurezza" in carcere e meno sulla vera volontà di rieducare. L’arresto e la condanna a significare sì una giusta punizione per il reato commesso ma non sempre si è voluto poi approfondire quanto la persona detenuta è chiamata ad attivarsi nella quotidianità detentiva per il proprio recupero e quali strumenti possiamo offrire durante la permanenza in carcere. Il dettato costituzionale parla chiaramente della rieducazione e del reinserimento ma non parla dell’impotenza di poterlo realizzare a causa dei numeri che da sempre caratterizzano le Aree Educative dei nostri penitenziari. La Legge Gozzini ha avviato la riforma dei nostri istituti carcerari ma a livello nazionale non si è voluto affrontare il tema della vera rieducazione: ne è un esempio la regolare assunzione negli anni di personale della Polizia Penitenziaria a fronte di un ridotto numero di personale Educativo. In media ogni istituto penitenziario ha un numero di due, tre, forse a volte quattro Educatori.. ricordo a tutti che l’Educatore è il motore dell’osservazione scientifica della personalità, redige il documento di sintesi per la Magistratura ed il Tribunale di Sorveglianza, effettua il colloquio di primo ingresso degli arrestati per una valutazione iniziale sulla permanenza detentiva, organizza le attività ricreative, culturali, istruttive e di formazione professionale. In media ogni Educatore dovrebbe essere in grado di poter seguire personalmente 80-90 detenuti oltre ad organizzare quanto sopra esposto.. Fin dall’inizio dell’attività di Garante sono stati tracciati due percorsi che inevitabilmente si sono intersecati: da una parte il lavoro con i Servizi, con le Istituzioni, gli Uffici che gravitano sul mondo giudiziario e strettamente carcerario, dall’altra l’ascolto del singolo detenuto e la ricerca costante per verificare se la richiesta d’aiuto era plausibile, reale e, ove attendibile, l’attivazione concreta per la possibile risoluzione del problema. Devo fin d’ora pubblicamente dire che il lavoro degli Operatori penitenziari dell’Area Sicurezza e dell’Area Educativa risulta encomiabile: sotto ogni punto di vista hanno voluto e saputo collaborare con competenza ogni volta che la scrivente abbia richiesto informazioni e chiarimenti. In situazioni più critiche abbiamo potuto confrontarci - ognuno dal proprio punto di vista professionale ed umano - per pervenire a soluzioni che potessero dare risposte chiare e concrete al detenuto. La mia presenza in carcere è stata inizialmente verificata perché si voleva capire in quali termini mi ponevo rispetto all’istituzione ed agli Operatori stessi. Preso atto che chiunque lavori in carcere vive sulla propria pelle la sofferenza del contesto ambientale in cui quotidianamente opera, non volevo dare adito ad atteggiamenti di controllo o di criticità negative ma sono partita dalla consapevolezza che potevo essere un tassello in più per portare informazioni e/o soluzioni. Ciò ha comportato un regolare confronto con i servizi, interni ed esterni al carcere, con gli Uffici dell’Amministrazione Penitenziaria, con gli Uffici della Magistratura di Sorveglianza, con l’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia, con l’Associazione Camera Penale di Trieste, con diversi studi legali della città e del territorio nazionale, con lo Psicologo del Dipartimento per le Dipendenze dell’Asl, con il gruppo dei volontari penitenziari: Comunità di S. Martino al Campo, Caritas, S. Vincenzo dè Paoli. Confronto operativo che costantemente si è tenuto anche con altri Garanti del territorio nazionale, in particolare i colleghi della nostra Regione, il Garante comunale di Udine - Dott. Maurizio Battistutta - e quello provinciale di Gorizia - Don Albero Denadai. Un altro percorso è stato quello del contatto diretto di familiari che hanno chiesto d’incontrarmi personalmente per i loro congiunti oppure soltanto per ottenere informazioni sull’organizzazione penitenziaria. Essere visibile sulla rete civica del Comune di Trieste, avere fisicamente un ufficio ed un orario per il pubblico, ha consentito a diversi familiari di contattarmi anche per un momento di conforto e di sostegno in gravi situazioni di disagio, personale e familiare. Hanno chiesto un colloquio personale anche persone in attesa di definire la propria situazione giudiziaria con il Tribunale di Sorveglianza (l’udienza per ottenere o meno una misura alternativa al carcere) per informazioni di carattere "generale". Per richieste che entravano nel merito della situazione personale e che non evidenziavano lesione di "diritti", ho rinviato agli Uffici competenti, mantenendo nel contempo un contatto con le assistenti sociali e gli operatori di riferimento. Ho settimanalmente incontrato in carcere i detenuti che ne facessero richiesta. Alla data del 7 novembre ultimo scorso, il Garante ha effettuato in carcere 164 colloqui con i detenuti. Queste le problematiche evidenziate: - Giuridico-Legali (18) - Studio-Lavoro (7) - Territorio (6) - Problematiche strettamente penitenziarie (44 - Ricorso a Strasburgo, Uepe, lavoro interno, alimentazione, telefonate, iscrizione a corsi professionali) - Espulsione e/o richiesta di asilo politico (12) - Famiglia-Figli e situazione economica (30) - Abitativi (9) - Sanitari (31) - Ascolto-Sostegno (7) Busto Arsizio: trasferiti i collaboratori di giustizia, ora si pensa ad ampliamento carcere www.varesenews.it, 18 dicembre 2013 Per la loro particolare condizione dovevano rimanere isolati in un’area definita che ora sarà liberata per fare spazio a palestra e area trattamentale. A cascata si libera uno spazio che potrà contenere fino a 100 detenuti. Finalmente buone notizie per la casa circondariale di Busto Arsizio. I 12 collaboratori di giustizia detenuti all’interno della struttura di via per Cassano, infatti, sono stati trasferiti in altre carceri adeguate al tipo di pena che stanno scontando. Questo spostamento libererà un’area molto grande che potrà, così, ospitare la palestra e strutture dedicate all’area trattamentale e permetterà di trasformare l’attuale area trattamentale e palestra in nuove celle di dimensioni maggiori che potranno aumentare la capienza del carcere di circa 100 posti. La notizia è confermata da un raggiante Orazio Sorrentini, direttore della casa circondariale bustocca, il quale può finalmente tirare un sospiro di sollievo: "È una notizia che non esito a definire positiva per noi - spiega - i detenuti collaboratori, infatti, necessitavano di un’area completamente riservata a loro in quanto non possono stare con gli altri detenuti. Questo ci permetterà di portare avanti il famoso progetto del Ministero per aumentare la capienza della struttura e sopperire ai problemi di spazio che abbiamo avuto fino ad oggi". I detenuti attualmente ospitati in via per Cassano, infatti, scendono a 400 dopo i picchi raggiunti nel 2012 con il numero record di 455 detenuti. Questa situazione aveva portato anche ad una dura condanna dalla Corte europea dei Diritti di Strasburgo che aveva accolto il ricorso di due detenuti che avevano denunciato la situazione disumana nella quale erano costretti a vivere. Naturalmente le nuove celle non saranno pronte entro tempi brevissimi ma, certamente, si tratta di un passo avanti che va a sbloccare una situazione rimasta ferma per molto tempo. In via per Cassano i problemi permangono se si pensa che la capienza massima attuale è di soli 298 posti. Potrebbe, invece, portare benefici il provvedimento che oggi approda al Consiglio dei Ministri. Il testo approvato dal ministro Cancellieri prevede, per fatti non rilevanti, l’eliminazione della recidiva, inoltre i tossicodipendenti verranno aiutati a reinserirsi nella società, attraverso le comunità di recupero. Nel decreto è prevista anche un’altra misura importante per gli extracomunitari colpevoli di reati: in alcuni casi gli ultimi due anni di carcere li sconteranno nelle prigioni dei paesi di origine. Il dl prevede anche l’uso dei braccialetti. Pronti anche due disegni di legge che taglia i tempi per quanto riguarda i processi civili e penali e l’obbligo di notifiche per via telematica. Larino (Cb): il carcere può essere "diverso"… intervista alla direttrice, Rosa La Ginestra di Fabrizio Occhionero www.primonumero.it, 18 dicembre 2013 "In Italia mai come in questo momento si parla così tanto del carcere". Rosa La Ginestra, da 23 anni alla guida della Casa di reclusione di Larino, lo sottolinea con consapevolezza per aprire una riflessione sul senso e la situazione della realtà detentiva in un Paese che oggi si trova a dover "scontare" anche una pesante condanna inflitta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Una sentenza - conosciuta come il caso Torreggiani - che lo scorso gennaio ha accolto il ricorso proposto da alcuni detenuti reclusi in due penitenziari del nord contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea ovvero "la proibizione di trattamenti inumani e degradanti". Si tratta di una sentenza che molti esperti hanno definito "pilota" in merito a tanti aspetti che "non vanno" nel sistema carcerario italiano. Uno Stato considerato sulla carta così civile che in un articolo della Costituzione ricorda che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ma pensa proprio a un carcere "diverso" Rosa La Ginestra, ora che si parla anche di decreto "svuota carceri" e di una nuova figura, il Garante nazionale dei detenuti, l’authority di sorveglianza "per la tutela delle condizioni di vita umane che essere mantenute per i reclusi". Chissà. La incontriamo a margine di una conferenza stampa convocata per presentare uno dei numerosi progetti attivati nel tempo e con successo - in questo caso sull’orientamento socio lavorativo dei detenuti - confermando un’ottica di rete e di raccordo con il territorio "esterno" alla grande struttura di contrada Monte Arcano dove la libertà rappresenta un domani per quasi trecento persone. Insieme a lei, l’inseparabile Dasy, che gironzola nella sala al piano terra e non si allontana mai dalla direttrice. Dottoressa La Ginestra, una donna a dirigere un carcere di uomini, e lei non rappresenta certo un’eccezione... "In Molise, come del resto in tante altre realtà italiane, ci sono solo direttori donne che si trovano a gestire un carcere. Riflettendoci, non so se questo aspetto costituisce un fatto casuale oppure se alla fine si tratta di un percorso graduale che porta proprio le donne a ricoprire questo ruolo. Forse perché maggiormente sensibili e disponibili a interessarsi di altro le porta a questo mestiere o se tutto è casuale. Ad ogni modo, penso che l’ottanta per cento dei penitenziari italiani sia diretto da donne". Lei come si trova a gestire una realtà così grande come il carcere di Larino? Una lunga esperienza... "Sono qui da 23 anni su totale oramai di 30 anni di attività lavorativa. Mi ritengo una fortunata perché svolgo un lavoro che mi dà soddisfazioni. Mi piace moltissimo e mi coinvolge l’interessarmi delle persone detenute, dell’organizzazione dello stabile, delle varie attività insieme al personale che vi lavora con professionalità mi dà tante soddisfazioni". Quali sono le maggiori criticità e quali gli aspetti positivi che ha rilevato nel corso della sua attività? "Da un lato, ritengo che in questo momento la maggiore criticità sia quella economica intesa come scarse risorse in termini di uomini e in termini di mezzi. Dall’altro, un periodo di crisi ti aiuta anche a utilizzare al meglio quello che si ha, a scoprire delle capacità che ognuno di noi possiede e, spesso, non vengono utilizzate in quanto è molto più semplice ricorrere a progetti realizzati all’esterno quando, invece, si assume consapevolezza di avere tanto personale che sa fare tante cose; ci sono, ad esempio, tanti detenuti capaci di mettersi in gioco e fare altro e quindi ad utilizzare al meglio le risorse disponibili". In questi giorni si parla di decreto "svuota carceri". Anche a Larino, rispetto a una capienza base di circa cento detenuti, ci sono circa trecento persone che stanno scontando la loro pena, breve o lunga che sia. Il sovraffollamento rappresenta un problema cronico delle carceri italiane e non è solo una questione di numeri ma di qualità della vita... "Il problema del sovraffollamento c’è e c’è sempre stato. Qui a Larino non è maggiore di altri istituti. Tuttavia, si sta cercando di affrontare questo aspetto in qualche modo. Il ministero della Giustizia, lo Stato più in generale, ha costretto il Dipartimento ad adottare politiche diverse, a immaginare un carcere che può essere diverso. Per questo dico sempre che da crisi, da eventi negativi può sempre derivare qualcosa di positivo. In questo momento la nota sentenza Torreggiani che condanna l’Italia per i metodi inumani del carcere ha costretto comunque lo Stato a mettersi in discussione e a trovare nel frattempo dei percorsi diversi, immaginando un carcere diverso che io condivido pienamente". Per lei che cos’è il carcere? "È un momento di sosta in cui determinate persone devono essere messe in grado di riflettere su quello che hanno commesso, dove hanno sbagliato ma, soprattutto, per scoprire in sé quali sono le risorse e gli obiettivi reali della loro vita. Ecco, in carcere si riscoprono le capacità lavorative, il mondo degli affetti, tutto ciò che si perde rimanendo costretti in uno spazio più o meno vasto". Di recente è uscito nelle sale "Come il vento", il film che ricorda Armida Miserere, una delle prime direttrici di carcere, originaria di Casacalenda e morta suicida al carcere di Sulmona nel 2003. Che idea si è fatta di questa donna? "La conoscevo personalmente e quindi so che persona era. Armida era una persona, un direttore che ha vissuto esperienze molto forti in ambienti carcerari particolari e diversi uno dall’altro. Il cosiddetto carcere duro, un carcere molto lontano da quella che è la mia concezione, ma probabilmente era il carcere giusto per quegli ambienti dove lei si è trovata. Il problema forse va ritrovato in questa considerazione e cioè che il carcere un po’ ti isola e bisogna cercare di superare questo momento di isolamento. Il direttore spesso è solo o si sente solo, quindi in qualche maniera bisogna cercare di superare questo momento di isolamento, cercando di fare rete con il resto del personale e soprattutto con la società libera esterna perché altrimenti il carcere diventa un feudo". Tra pochi giorni sarà Natale, quali parole si sente di rivolgere ai detenuti e alle loro famiglie? "Certamente un messaggio di speranza. Oggi c’è una società che si sta interessando a loro mai come prima. In questo momento si parla di carcere, nel bene e nel male. Sussiste un forte allarme sociale ma, probabilmente, oggi un po’ tutti si stanno chiedendo se ci sono modalità diverse di affrontare questo problema in un modo diverso. Aspettiamo una risposta, io sono pronta a dare il mio contributo". Fermo (Ap): detenuti impegnati nei prossimi giorni per la pulizia della spiaggia Il Resto del Carlino, 18 dicembre 2013 La direttrice Eleonora Consoli: "Un impegno per la città che fa parte del progetto di recupero dei detenuti". I detenuti della Casa di Reclusione di Fermo saranno impegnati nei prossimi giorni per la pulizia della spiaggia di Lido di Fermo. Lo sottolinea la direttrice Eleonora Consoli che parla di un progetto già in piedi da tempo: "Su sollecitazione delle massime istituzioni del territorio, da tempo abbiamo ragionato su iniziative che vedano impegnati i detenuti in attività lavorative per la città, per il decoro e la pulizia. In questo momento particolare, con l’emergenza maltempo che c’è stata, abbiamo chiesto al Magistrato di sorveglianza la possibilità di inviare tre persone a lavorare per ripristinare un minimo di pulizia sulla spiaggia disastrata dalle recenti alluvioni". Il sindaco Nella Brambatti ha proposto una giornata di lavoro dal valore anche fortemente simbolico, per un impegno che vale per la comunità tutta. "L’essenziale, spiega ancora la direttrice Consoli, è che si capisca che si tratta di un progetto di recupero che rientra nel percorso individuale di ciascun detenuto. Manderemo le persone che hanno posizioni tali da poter andare a lavorare fuori, sempre di concerto con le alte cariche del territorio, dal Prefetto al primo cittadino. Da parte nostra c’è l’ampia disponibilità a collaborare in questo senso. Sbagliato parlare di "usare" i detenuti che non hanno questo ruolo, non sono forze lavoro da poter utilizzare, sono persone che hanno un obiettivo e che hanno bisogno di ricostruire una seconda possibilità. Sono qui perché hanno una pena da scontare e svolgono delle attività che rientrano nel loro personale percorso, con l’obiettivo di recuperare il senso di una convivenza civile, nel rispetto delle regole e degli altri. Con l’iniziativa per la spiaggia in particolare ci piace vederli impegnati nella cura del bene comune, di sicuro con un giorno solo non potranno recuperare tutto il disastro che c’è stato con l’alluvione ma ci sembra già un passo avanti. Contatti in questo senso ci sono anche con una cooperativa sociale del territorio, perché l’occasione di una volta diventi un progetto reale". Bolzano: il vescovo Ivo Muser in carcere, per portare un messaggio di speranza ai detenuti di Antonella Mattioli Alto Adige, 18 dicembre 2013 "Dio non vi abbandona, ma bussa alla porta di ogni uomo e non si fa vincere dallo sconforto". Come da tradizione, ieri, il vescovo Ivo Muser è andato in carcere, per portare un messaggio di speranza a chi trascorrerà le feste di Natale dietro le sbarre. Attualmente nella struttura di via Dante ci sono 117 detenuti a fronte di una capienza massima di 115: qualcuno otterrà il permesso per trascorrere in famiglia le festività. Il 60-65% dei carcerati però sono extracomunitari che non ha nessuno qui. Questo spiega anche perché alla cerimonia religiosa c’erano quasi più autorità che detenuti. La visita del vescovo è comunque sempre apprezzata anche dalle persone di altre fedi. "Quando entro qui dentro - ha detto monsignor Muser - sono sempre colpito nel vedere tante porte chiuse. Ma il Natale è la festa della porta, perché Dio viene a bussare alla porta di ciascuno di noi e a portarci un messaggio di speranza: lui è accanto a noi sempre e ci perdona. Voi che dovete vivere qui, potete onorare Dio vivendo nel rispetto reciproco". La preghiera dei fedeli è stata affidata ai detenuti, tra questi Paul Johann Oberkofler che nell’autunno del 2012 a Lutago in Valle Aurina ha massacrato a martellate la moglie Brigitte Steger: la donna è viva, ma in coma irreversibile. Quindi a nome di tutti i carcerati ha parlato un detenuto che ha trascorso gli ultimi sei anni dietro le sbarre: i primi quattro in altre strutture, gli ultimi due a Bolzano, tornerà libero ad aprile. "Questa casa - ha detto - è vecchia e inadeguata, ciononostante qui si sta meglio che altrove. Merito della direttrice Anna Rita Nuzzaci che collabora con alcune associazioni per promuovere una serie di iniziative che rendono meno pesante la nostra vita qui dentro. Merito di Bruno Bertoldi e Karl Fink della San Vincenzo che ci forniscono biancheria, sapone, dentifricio, scarpe e camicie". L’importanza della presenza dei due volontari, che operano grazie al contributo di Provincia, Comune ma soprattutto Fondazione Cassa di risparmio, è stata sottolineata anche dalla direttrice. I fondi messi a disposizione dallo Stato sono ormai ridotti all’osso per questo è fondamentale l’opera e il sostegno economico che arriva ai carcerati attraverso i due volontari: il fatto che il 60% dei detenuti siano extracomunitari significa che queste persone non hanno nessuno che le possa aiutare. Significa, in concreto, che non avrebbero neppure il sapone o il dentifricio, se Bertoldi ogni mese non distribuisse loro una confezione. Nonostante le ristrettezze economiche e la struttura fatiscente, la direttrice sta lavorando per far sì che il Natale sia un momento di serenità anche per chi è in carcere. Il 25 dicembre ci sarà un pranzo speciale e la vigilia, giorno di visita dei familiari, ci saranno dei regalini per i figli dei detenuti. Il 20 dicembre intanto scadono i termini per la presentazione delle offerte per il nuovo carcere. "Se tutto va bene - ha spiegato la direttrice - la struttura sarà pronta nel giugno del 2016. È quello che tutti ci auguriamo". Il nuovo carcere sorgerà a Bolzano Sud, a fianco dell’aeroporto, e costerà 63 milioni di euro, cui sono da aggiungere i 14 milioni già spesi dalla Provincia per espropriare i terreni necessari. Potrà ospitare 200 detenuti più altri venti in semilibertà. Non disporrà di una sezione femminile, perché al momento le detenute altoatesine sono poche, in media fra le 3 e le 5. Economicamente, non conviene. La nuova casa disporrà di teatro-auditorium, sala di culto, campi da basket, campo da calcio regolamentare, giardinetto per i colloqui con i familiari dei detenuti. Ma la vera novità è un’altra: tolta ovviamente la parte sicurezza, di competenza statale, l’intera struttura, sarà gestita direttamente per 20 anni da chi vincerà l’appalto. Il volontario amico dei detenuti Lo hanno ringraziato il vescovo, la direttrice e uno dei detenuti a nome di tutti gli altri. Lui è Bruno Bertoldi, 83 anni bolzanino, fondatore dell’Us Piani, che da 44 anni, assieme a Karl Fink, fa il volontario della San Vincenzo in carcere: per i detenuti rappresenta il collegamento con il mondo esterno, la possibilità di avere quel qualcosa in più rispetto al nulla che passa il carcere. In via Dante ha la "sua" cella, ricavata in quella che era, anni fa, la sezione femminile. L’ha trasformata in magazzino e riempita di armadi pieni di scatole di scarpe, camicie, biancheria: tutte cose da distribuire ai detenuti. In questi anni ha conosciuto centinaia di persone passate per la struttura di via Dante, dove è di casa, visto che ci va due-tre volte in settimana e tutte le domeniche a messa e a ritirare le lettere dei detenuti da affrancare e spedire a casa. Com’è cambiato in questi anni il carcere? "Sono cambiati soprattutto i detenuti, una volta erano tutti italiani, al massimo c’era qualche germanico o austriaco. Adesso la stragrande maggioranza è rappresentata da extracomunitari". Che qui non hanno nessuno. "Proprio così. Non hanno neppure un euro in tasca. Per questo il nostro aiuto è fondamentale. La direzione della casa circondariale fa quello che può, ma i fondi che arrivano da Roma sono sempre più scarsi". Chi sostiene le spese per dare ai carcerati una vita minimamente dignitosa? "Ho un budget di 30-40 mila euro l’anno grazie a Provincia, Comune, San Vincenzo e San Vincenzo San Martin presieduta, assieme a tutte le conferenze di lingua tedesca, dal conte Ulrich Toggenburg. Una persona molto generosa: acquistò lui l’appartamento dove vivono 4-5 detenuti ai quali è concesso di uscire in anticipo dal carcere a patto di avere un lavoro. Fondamentale poi è il contributo della Fondazione Cassa di risparmio". Con questo budget cosa dà ai carcerati? "Biancheria, scarpe, camicie. Una volta al mese distribuisco saponette, dentifricio, shampoo e 10 sigarette a testa. Per Natale poi c’è per tutti un regalo". Cosa ha preparato? "Li faccio scegliere tra una tuta da ginnastica, tre camicie, pigiama più asciugamano e accappatoio. Ad ogni cella regalo anche un mazzo di carte. E poi c’è il regalino per i bambini che vengono a fare gli auguri al papà il giorno della vigilia di Natale". Lanciano (Ch): Natale con papà per i figli dei detenuti, con la cooperativa Abacos Il Centro, 18 dicembre 2013 Padri detenuti e figli si incontrano in carcere lontano dalle sbarre. È l’iniziativa della direzione della Casa circondariale di Lanciano che, con la collaborazione della cooperativa Abacos, che opera all’interno del carcere, organizza la festa del "Natale con papà". I detenuti padri avranno così modo di incontrare i figli, accompagnati dalle madri, in uno spazio che allontani la mente, almeno per un po’, dal contesto detentivo e in cui i genitori potranno scambiarsi gli auguri e i doni con l’allegria di un simpatico Babbo Natale. A creare l’atmosfera di festa sono oggi gli animatori della cooperativa e giovedì della scuola di teatro di Stefano Angelucci Marino, che in carcere ha già tenuto un laboratorio di improvvisazione. "Il tempo del Natale è un tempo forte dell’anno, poiché il suo significato più vero di rinascita, di ripensamento del personale vissuto, spesso induce gli animi a maggiore mestizia", dice la direttrice del carcere, Lucia Avantaggiato, "tutto ciò per le persone che trascorrono il Natale in carcere si amplifica ed allora in senso di lontananza dalla società libera e, soprattutto, il senso di lontananza dagli affetti aggiungono sofferenza ulteriore a quella già intrinseca nella pena detentiva. Non bisogna dimenticare che la commissione del reato miete molte vittime, tra le quali anche i familiari degli autori di reato, i figli, le mogli". Ragusa: un Natale di solidarietà per i detenuti, iniziativa della Provincia www.ondaiblea.it, 18 dicembre 2013 Anche quest’anno il commissario straordinario della Provincia di Ragusa ha raccolto l’invito della direzione delle due strutture per rendere meno triste il Natale nelle carceri. Si è proceduto così ad organizzare nelle due case circondariali di Modica e Ragusa due momenti di festa per il Natale con la consegna di panettoni ai detenuti grazie anche alla collaborazione con la Conad Ragusa. "Abbiamo sensibilizzato la Conad per la riuscita dell’iniziativa nelle carceri - dice Scarso - e grazie alla disponibilità dei loro dirigenti e ad un minimo di impegno finanziario della Provincia siamo riusciti a mantenere una tradizione e a rinnovare il Natale di solidarietà tra i detenuti. L’occasione è stata utile anche per verificare l’impegno dei detenuti nelle due sedi che trovano momento di svago e di utilizzo del tempo con attività artistiche e culturali rilevanti. A Modica ho avuto la possibilità di assistere ad alcune poesie scritte e lette dai detenuti che mi hanno commosso e a Ragusa invece grazie alla disponibilità del regista Gianni Battaglia è stata allestita una opera teatrale di grande carica umana". Immigrazione: da Lampedusa un video-choc, migranti come detenuti nei lager, nudi nel cortile www.dazebaonews.it, 18 dicembre 2013 Immigrati trattati come in un lager. Nelle immagini drammatiche mandate in onda dal TG2 si possono vedere decine di migranti in fila costretti a spogliarsi nudi nel cortile del centro di accoglienza di Lampedusa, dove gli viene successivamente spruzzato un liquido disinfettante con una pompa. Le immagini , riprese con un telefonino due giorni fa, hanno provocato lo sdegno generale. Primo tra tutti quello del presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini: "Il trattamento riservato agli immigrati nel Centro di Lampedusa, documentato nel servizio trasmesso ieri sera dal Tg2, è indegno di un Paese civile. Uomini e donne- agginge-, per essere sottoposti ad un trattamento sanitario, vengono fatti denudare all’aperto in pieno inverno. Quelle immagini non possono lasciarci indifferenti. Tanto più perchè vengono dopo i tragici naufragi di ottobre e dopo gli impegni che l’Italia aveva assunto in materia d’accoglienza. Quei trattamenti degradanti gettano sull’immagine del nostro Paese un forte discredito e chiedono risposte di dignità. Ringrazio il Tg2 per la testimonianza fornita: la buona informazione ci aiuta a non convivere rassegnati con le vergogne del nostro tempo". Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) è intervenuto sulla vicenda ed ha chiesto al governo italiano "soluzioni urgenti" per migliorare gli standard di accoglienza nel Centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa per tutti coloro che "costretti alla fuga da guerre e persecuzioni, giungono sul nostro territorio in cerca di protezione". È fondamentale - si legge in una nota dell’agenzia Onu - rispettare la natura di soccorso, prima accoglienza e transito del centro di Contrada Imbriacola, le cui condizioni di accoglienza sono definite "inaccettabili". "Accerteremo le responsabilità e chi ha sbagliato pagherà", ha detto invece il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Entro 24 ore - ha spiegato il ministro - il prefetto di Agrigento avrà sul suo tavolo la relazione che ha chiesto all’ente che gestisce il Centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa. "Siamo trattati come animali", commenta un ragazzo siriano, autore del filmato intervistato dal Tg2, "uomini e donne subiscono lo stesso trattamento, la stessa umiliazione ogni tre, quattro giorni, per curare la scabbia, una malattia che molti di noi hanno preso proprio all’interno del centro". "Quelle immagini dei profughi, denudati, in mezzo al cortile, all’aperto, disinfettati con una pompa sono agghiaccianti, semplicemente agghiaccianti. Una pratica che ricorda i campi di concentramento di Auschwitz. È come se non si avesse rispetto per la dignità umana". Lo ha detto all’Adnkronos il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, commentando il filmato choc. Romania: dibattito per legge sull’amnistia rinviato al primo febbraio 2014 Nova, 18 dicembre 2013 La Camera dei deputati della Romania ha deciso oggi a maggioranza il rinvio alla commissione Giustizia della legge sull’amnistia, da rivedere entro il primo febbraio dell’anno prossimo per il dibattito in aula. Il presidente della Camera, Valeriu Zgonea, che ha proposto il rinvio della legge in commissione, ha detto che il tempo concesso servirà a consultare tutte le istituzioni interessate. Il primo ministro Victor Ponta ha dichiarato ieri che la Legge dell’amnistia, nella sua formulazione iniziale riguardante le persone con condanne fino a sette anni, può essere approvata per i motivi di ordine pratico e di politica penale", solo dopo la consultazione della Commissione europea e solo se dall’amnistia saranno esclusi i reati di violenza e corruzione. Il presidente del Partito liberale democratico (formazione politica all’opposizione, ndr), Vasile Blaga, aveva minacciato oggi il boicottaggio parlamentare se l’iniziativa legislativa fosse tornata all’ordine del giorno della Camera dei deputati. Russia: votata in prima lettura amnistia russa, applicabile a Pussy Riot Tm News, 18 dicembre 2013 I deputati russi hanno votato oggi in prima lettura il progetto di legge sull’amnistia in occasione dei 20 anni della Costituzione, di cui potrebbero godere i membri del gruppo punk-femminista Pussy Riot e i militanti di Greenpeace sotto processo per le loro attività nell’Artico. Il perdono non dovrebbe, invece, essere applicabile all’ex numero uno del gruppo petrolifero Yukos Mikhail Khodorkovski. Il testo è stato presentato il 9 dicembre dal Cremlino ed è stato approvato dai 442 deputati della Duma con voto unanime. È formulato in maniera assai più restrittiva rispetto a quanto era stato proposto dal Consiglio per i diritti dell’uomo del presidente, un organismo meramente consultivo. Il testo dovrebbe essere approvato in seconda e terza lettura domani. Secondo alcuni parlamentari, citati dai media, riguarderà circa 25mila detenuti su un totale di 700mila. Invece, il capo della Commissione giustizia della Duma Pavel Krachenennikov gli interessati sono soltanto 10mila. Il testo prevede l’amnistia per le persone condannate a pene inferiori a 5 anni di detenzione, tra cui quelle condannate per "teppismo", che è il reato contestato alle sue Pussy Riot che si trovano in galera e ai 30 membri dell’equipaggio dell’Arctic Sunrise, la nave di Greenpeace, 26 dei quali sono stranieri. Per Greenpeace tuttavia esiste un dubbio: l’amnistia prevede il perdono per i detenuti già condannati e loro non lo sono. Il perdono arriverà anche per i minorenni, i detenuti con più di 60 anni e le madri di bambini minorenni - anche in questo caso "copre" le Pussy Riot - e i portatori di disabilità. Ancora, saranno amnistiati militari e poliziotti coinvolti in conflitti armati, per esempio in Cecenia. L’amnistia non dovrebbe invece coprire i reati finanziari per i quali è in carcere ormai da 10 anni Khodorkovski. L’ex magnate, avversario del presidente Putin, dovrebbe uscire il prossimo anno dal carcere, ma rischia un prolungamento della pena, visto che la Procura generale ha annunciato a inizio mese che sta indagando su ulteriori ipotesi di reato. Siria: medico britannico morto in carcere, dopo oltre un anno di detenzione Tm News, 18 dicembre 2013 Un medico britannico, che operava come volontario in degli ospedali da campo in Siria, è morto in carcere dopo oltre un anno di detenzione. Lo ha annunciato il fratello. Trentadue anni, Abbas Khan, chirurgo ortopedico londinese, era stato arrestato nel novembre 2012 ad Aleppo, nel nord della Siria, dove si era recato per soccorrere dei civili feriti. Secondo il fratello Afroze, le autorità siriane avevano promesso di liberarlo questa settimana prima di annunciare ieri il decesso alla madre che si trovava in Siria da quattro mesi per reclamarne la scarcerazione. "Mio fratello era pronto a ritornare a casa. Era felice e aspettava con impazienza la sua liberazione", ha dichiarato Afroze Khan alla Bbc, aggiungendo di non essere a conoscenza delle circostanze del decesso. "Siamo distrutti e arrabbiati con il Foreign Office che ha temporeggiato per tredici mesi", ha aggiunto il fratello del medico che era padre di due bambini. Il decesso non è stato direttamente confermato dal Foreign Office. Russia: Pussy Riot, Nadia Tolokonnikova in concerto nelle carceri siberiane per i detenuti Tm News, 18 dicembre 2013 Il prossimo fine settimana si esibirà in un concerto di Capodanno in alcune prigioni siberiane la Pussy Riot Nadezhda Tolokonnikova, detta Nadia, in carcere dal marzo 2012 per una preghiera punk anti-Putin cantata con la sua band musicale nella cattedrale ortodossa di Mosca. Nadia si trova attualmente in un ospedale carcerario di Krasnoiarsk dove è stata trasferita dalla Mordovia, in attesa che la sua pena scada ufficialmente, agli inizi di marzo 2014. Ad annunciare il prossimo concerto di Nadia è stato l’avvocato della detenuta, Irina Khrunova, alla tv russa d’opposizione Dozhd. "Mi ha detto al telefono che il 20 e 21 dicembre visiteranno alcune colonie nella regione di Krasnoyarsk tenendovi concerti, in quanto nel suo ospedale esiste un gruppo musicale, e Tolokonnikova lì si è inserita molto bene, e faranno concerti di Capodanno" ha spiegato la legale. Aggiugendo, in riferimento al progetto di amnistia del presidente Vladimir Putin che sarà discusso domani in prima lettura alla Duma: "Spero molto, incrociamo le dita, che dopo questi concerti in cui canterà per i detenuti, sia rilasciata in base all’ amnistia". Turchia: deputati curdi in carcere, 4 parlamentari in sciopero della fame per protesta Aki, 18 dicembre 2013 Quattro deputati turchi del Partito democratico popolare (Hdp) hanno iniziato uno sciopero della fame in Parlamento in segno di protesta dopo la decisione di due tribunali di Diyarbakir di non autorizzare la scarcerazione di cinque deputati del Partito per la pace e la democrazia (Bdp, filo-curdo). È quanto si legge sul sito web del quotidiano turco Hurriyet. "Esistono una legge per i curdi e i deputati curdi e un’altra per i turchi e i parlamentari turchi", ha detto il leader di Hdp, Ertugrul Kurcu, che partecipa allo sciopero della fame insieme all’altro leader della forza politica, Sebahat Tuncel, e a Sirri Sureyya Onder e Levent Tuzel. Il partito Hdp è nato sulla scia delle proteste dello scorso giugno in Turchia e raggruppa parte della sinistra turca e i curdi. I politici del Bdp Gulser Yildirim, Selma Irmak, Ibrahim Ayhan, Faysal Sariyildiz e Kemal Aktas sono stati arrestati nel 2009 e nel 2010 con l’accusa di legami con il Pkk e nel giugno del 2011 sono stati eletti in Parlamento. Sono tuttora detenuti in attesa di giudizio. Ad alimentare le speranze per il loro rilascio è stata la liberazione del numero due del Partito repubblicano del popolo (Chp), Mustafa Balbay, scarcerato il 9 dicembre dopo che la Corte Costituzionale ha stabilito che la sua detenzione in attesa di giudizio violava i suoi diritti. Il presidente del Parlamento turco, Cemil Cicek, ha già criticato l’iniziativa dei deputati in sciopero della fame. "Il Parlamento - ha detto - è un luogo di dialogo, non un posto in cui manifestare". Cina: Amnesty; abolizione campi di lavoro è solo di facciata, abusi e torture continuano Tm News, 18 dicembre 2013 In un documento reso pubblico oggi, Amnesty International ha dichiarato che l’abolizione del sistema della rieducazione attraverso il lavoro rischia di essere una modifica di facciata, poiché le autorità cinesi stanno già mettendo in opera altre forme di persecuzione. Secondo Amnesty International, mentre i campi della rieducazione attraverso il lavoro vengono chiusi, le autorità cinesi ricorrono sempre di più alle cosiddette "celle nere", dei centri per la riabilitazione obbligatoria dei tossicodipendenti e dei "centri per il lavaggio del cervello". "Abolire il sistema della rieducazione attraverso il lavoro è stato un passo nella giusta direzione. Tuttavia, sembra trattarsi di una mera modifica di facciata per evitare la condanna dell’opinione pubblica nei confronti di un sistema in cui la tortura era la norma" - ha dichiarato Corinna - Barbara Francis, ricercatrice di Amnesty International sulla Cina. "È evidente che la politica di fondo di punire le persone per le loro attività politiche o per la loro fede religiosa, non è mutata. Gli abusi e le torture continuano, solo in modo diverso". Il 15 novembre 2013 la Cina ha annunciato l’abolizione del longevo sistema della rieducazione attraverso il lavoro, che per decenni era stato usato per trattenere arbitrariamente centinaia di migliaia di persone senza accusa né processo. Il percorso "rieducativo" prevedeva spesso la tortura affinché gli attivisti rinunciassero alle loro idee politiche o religiose e alle loro opinioni personali e per farli desistere dal portare avanti le loro azioni. Le ricerche di Amnesty International dimostrano che le autorità stanno incrementando l’uso di altri sistemi per punire le stesse categorie di persone. Spesso, i vecchi campi per la rieducazione attraverso il lavoro vengono ristrutturati o viene loro semplicemente cambiato nome. Alcuni hanno riaperto o sono stati meramente chiamati centri per la riabilitazione dei tossicodipendenti: la maggior parte di questi offre ben poco trattamento e opera in modo praticamente identico ai campi per la rieducazione attraverso il lavoro, in cui i detenuti possono rimanere per anni, sottoposti a duro lavoro forzato e a maltrattamenti. Le autorità hanno inoltre aumentato l’uso dei "centri per il lavaggio del cervello", talvolta denominati ufficialmente "classi per l’educazione legale", destinati prevalentemente ai praticanti del Falun Gong con l’obiettivo che, attraverso i maltrattamenti e la tortura, rinuncino alla loro fede. Risulta in aumento anche l’uso delle cosiddette "celle nere", strutture detentive non ufficiali, spesso allestite casualmente in alberghi o edifici abbandonati, per imprigionare i promotori delle petizioni di protesta. Queste carceri non hanno alcuna base legale nella legge cinese e le autorità continuano a negarne l’esistenza, lasciando i detenuti potenzialmente ancora più a rischio di subire violazioni dei diritti umani che nei campi per la rieducazione attraverso il lavoro. Molti detenuti, dopo aver trascorso anni nei campi per la rieducazione attraverso il lavoro, ora vengono trasferiti nelle "celle nere", nei "centri per il lavaggio del cervello" o nei centri per la riabilitazione dei tossicodipendenti, poiché si ostinano a non rinunciare ai loro diritti e alle loro idee - ha denunciato Francis. "Le autorità cinesi devono porre immediatamente fine a ogni forma di detenzione arbitraria e assicurare che le leggi a tutela dei detenuti siano in linea con gli standard internazionali sui diritti umani. Occorre un cambiamento profondo nelle politiche cinesi che sono alla base della repressione e che privano i detenuti dei loro diritti più elementari. Fino a quando queste politiche saranno in vigore, le autorità cinesi si limiteranno a trovare una forma al posto di un’altra per punire le persone che considerano una minaccia".