Giustizia: nelle carceri 3mila detenuti in meno, oggi il decreto del governo di Liana Milella La Repubblica, 17 dicembre 2013 Un decreto legge svuota carceri con braccialetto elettronico, affidamento in prova e liberazione anticipata e un ddl delega sul processo civile. È il pacchetto di misure che il ministro Cancellieri, porta oggi in Consiglio dei ministri. Il provvedimento dovrebbe produrre tremila detenuti in meno, che si aggiungono ai 4 mila già usciti. Dopo tante parole sul carcere, oggi si passa ai fatti. È decreto legge, in dieci articoli, per non far entrare, o per far uscire, tremila detenuti in cella. Ne restano oltre 66mila, ma la filosofia del Guardasigilli Annamaria Cancellieri, e del suo maggiore sponsor Giorgio Napolitano, è che il mare non si può svuotare tutto d’un colpo. Una "manovra" carceraria coraggiosa perché, sui numeri delle scarcerazioni, già piovono le critiche leghiste. Attenta ai diritti dei detenuti, visto che per la prima volta nasce la figura del Garante. Con il merito di erodere la legge Fini-Giovanardi sulla droga (nasce il "piccolo spaccio") e la Bossi-Fini sull’immigrazione. In consiglio dei ministri oggi arriva anche una corposa legge delega per il processo civile, che potrebbe passare alla storia come quella della "sentenza breve", mentre è destinata al rinvio un’altra legge delega, questa davvero rilevantissima, frutto del lavoro della commissione presieduta da Giovanni Canzio, il presidente della Corte di appello di Milano, che riduce i tempi del processo penale. Niente "processo breve" come voleva Berlusconi, ma interventi sulle impugnazioni e sui ricorsi in appello e in Cassazione. Non sarà una passeggiata convertire il decreto e neppure spuntare le due deleghe in Parlamento, perché basta scorrere la materia scottante per prevedere le contestazioni. Chi esce dal carcere Cominciamo dall’istituto di cui si è parlato moltissimo, da agosto in avanti, per via della condanna di Berlusconi, i famosi 4 anni per Mediaset. L’affidamento in prova ai servizi sociali. Fino a oggi è possibile per tutte le pene effettive che non superano i tre anni. Col decreto Cancellieri invece il limite passa a 4 anni. La stima della Direzione delle carceri è che possano uscire tra i mille e i 1.500 detenuti. Non è misura da poco. Berlusconi l’ha ottenuta perché ha usufruito dell’indulto, e quindi la sua pena si è ridotta a un anno. Con questa nuova legge, anche a pena integra, l’ex premier avrebbe potuto evitare il carcere. Viene aggiunta anche un’ulteriore facilitazione per il detenuto. Se subisce una seconda condanna mentre è in affidamento oggi torna in carcere magari per uscire di nuovo. Col decreto, invece, il giudice di sorveglianza valuta se concedergli "la prosecuzione della misura in corso". Cinque mesi in meno È la misura che, fino all’ultimo momento, è stata ballerina. Si chiama "liberazione anticipata speciale". Modifica la famosa legge Gozzini del 1975. È una misura a tempo, "dura due anni". Recita il decreto che "per ogni semestre di pena scontata la detrazione di pena concessa è di 75 giorni". Era di 45 fino a oggi. Trenta giorni in più, un mese, non sono bruscolini. Significa che nell’arco di un anno un detenuto - ma solo un vero carcerato, non uno che ha una misura alternativa - si guadagna, se si comporta bene e il giudice è d’accordo, ben 5 mesi di sconto. Sempre secondo il Dap potrebbe "liberare" altre 1.500 persone. I domiciliari obbligatori Finora è stata una misura a tempo. Prima proposta dall’ex Guardasigilli Angelino Alfano (12 mesi) e poi da Paola Severino (18). Adesso entra definitivamente nel codice. Se un detenuto è condannato, o deve ancora scontare, 18 mesi di carcere deve passare subito ai domiciliari. Naturalmente spetta al giudice valutare la sua pericolosità. Dannazione del braccialetto Repubblica l’aveva anticipato già sabato. Il braccialetto elettronico torna in grande stile. Articolo 1 del decreto. Il contestato strumento di controllo, gestito da Telecom, e finora costato all’erario 81 milioni di euro, diventa obbligatorio per chiunque sconti la pena fuori dal carcere. Domiciliari, servizi sociali, lavoro esterno. Il giudice, qualora decida di esentare il condannato dal braccialetto, deve assumersene la responsabilità e mettere per iscritto la ragione. Anche questa misura è stata in dubbio fino all’ultimo momento, perché il ministero dell’Interno ha sollevato dubbi su questo obbligo, che comporterà ovviamente un enorme quantità di controlli, perché spesso il braccialetto fa cilecca e segnala "false evasioni". Il piccolo spaccio e le espulsioni Anche questa potrebbe essere una svolta rispetto alla Fini-Giovanardi e all’equiparazione tra spacciatori di qualsiasi sostanza. Ora, è scritto nel decreto, "se per la qualità e quantità delle sostanze", lo stupefacente è "di lieve entità", è prevista una pena da 1 a 5 anni e una multa da 3 a 26mila euro. Fuori dal carcere anche gli immigrati clandestini grazie a una procedura di espulsione modificata. Detenuti al lavoro È stata l’ultima aggiunta al decreto Cancellieri, giusto quando il ministro è tornato dal carcere di Bollate. Per le imprese che "decideranno di assumere" dei carcerati sono previsti "agevolazioni e sgravi fiscali già per l’anno in corso". Il processo civile "breve" Non sarà ovviamente un decreto quello che mette mano al disastro del processo civile italiano, quello che dura 2.866 giorni, pari a ben 8 anni. Sarà una legge delega per il governo. Con dei punti rilevanti. Eccoli. Innanzitutto la "sentenza breve ", cioè una motivazione delle sentenze "succinta" e che diventerà "estesa" solo se saranno le parti a richiederlo. Una stretta sui ricorsi. Ma soprattutto la possibilità di ampliare la ricerca dei mezzi di prova. Nuovi poteri all’ufficiale giudiziario, il quale potrà consultare ogni tipo di banca dati per ricercare beni e crediti da pignorare. Il penale in attesa Bisognerà aspettare dopo Natale per due misure rilevanti per il processo penale. Anche questa una legge delega al governo. Ricorsi in Cassazione possibili, in caso di sentenze omogenee in primo e secondo grado, solo per violazione della legge. Non per altri motivi. Un’inversione di tendenza per il patteggiamento, finora limitato al primo grado. Sarà possibile anche in appello. Una misura che non piacerà affatto agli avvocati. Se in un processo cambia il giudice, si prosegue normalmente, e non sarà necessario ricominciare daccapo. Quei dubbi sulla copertura spazzati via dal Colle La svolta della giornata si chiama Napolitano. Il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, dal carcere di Bollate, annuncia i suoi interventi sulla giustizia, ma soprattutto sul carcere, sin dalla mattina. Ma a palazzo Chigi i dubbi si affastellano. Innanzitutto perché la Ragioneria generale ha grossi dubbi di copertura sul decreto legge. Mentre non convince del tutto il ddl sul penale. Le bocce sono ferme. Ancora intorno alle 16 i boatos dal palazzo del governo dicono che il decreto potrebbe slittare ancora. Sarebbe, ormai, la terza o quarta volta. Troppo per Cancellieri che invece, soprattutto dopo il calvario del caso Ligresti, ci tiene a dimostrare che davvero i detenuti sono una sua preoccupazione vera e seria. Che quella famosa telefonata dopo gli arresti della famiglia dell’imprenditore s’inquadravano in un suo patema generale per chi finisce in galera e magari rischia pure di restarci. Ma tutto sembra perso finché, poco dopo le 17, Napolitano riceve al Quirinale le alte cariche per gli auguri di rito e parla di carcere. Pochissime, ma sentite parole, come s’usa dire. "Le condizioni disumane che si vivono in celle sovraffollate e degradate sono un problema che non possiamo trascurare nemmeno un giorno di più". Ad ascoltare il presidente ci sono gli alti funzionari che contano nei ministeri, quelli di palazzo Chigi compresi. Passa mezz’ora, e i dubbi sul decreto spariscono. Interviene il premier Enrico Letta per dire che le parole di Napolitano "avranno un seguito". L’unico possibile è approvare subito il decreto. Neanche un’ora dopo in via Arenula tirano un sospiro di sollievo e il dl compare nell’ordine del giorno ufficiale del consiglio dei ministri. È fatta, Cancellieri può confessare che "aspettava con ansia che il testo arrivasse in consiglio". Può parlare del lavoro dei detenuti, della possibilità che "dialoghino direttamente con i datori di lavoro", come di un fatto concreto. Soprattutto il Guardasigilli può guardare con meno preoccupazione all’appuntamento con l’Europa, quando dovrà recarsi di nuovo a Strasburgo, alla Corte dei diritti umani che ha già condannato l’Italia per via del sovraffollamento, e spiegare che il suo piano deflattivo funziona. Certo, è ancora presto per dirlo. Il dl dovrebbe produrre 3mila detenuti in meno. Molti di più - circa 20mila - ce ne sarebbero se il Parlamento decidesse di varare un indulto seguito da un’amnistia. Lei è favorevole, non ne ha mai fatto mistero. Giovedì ne spiegherà le ragioni alla commissione Giustizia del Senato. Per ora deve incassare la critica del leghista Nicola Molteni che vede nel decreto "un nuovo indulto mascherato". Giustizia: Napolitano; nelle carceri una situazione disumana, serve riforma Italpress, 17 dicembre 2013 "Un problema che non possiamo trascurare nemmeno per un giorno - perché si avvicina la scadenza postaci da una dura sentenza della Corte di Strasburgo - è quello delle condizioni disumane che si vivono in carceri sovraffollate e degradate. È il tema che ho posto nel mio messaggio del 7 ottobre, da cui Parlamento e governo già stanno traendo - e ancora trarranno, ne sono certo - impulso a decisioni che siano anche di riforma della giustizia". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso del suo intervento alla Cerimonia per lo scambio degli auguri di Natale e Capodanno con le Alte Cariche dello Stato, al Quirinale. Leva (Pd): subito sessione parlamentare per riforma giustizia "Il Parlamento e le forze politiche devono fare proprio l’appello del Capo dello Stato. Vi è l’esigenza di intervenire in tempi rapidi per ridare piena credibilità e operatività alle istituzioni, al fine anche di prosciugare l’ondata populista che sta interessando il Paese". Lo afferma in una nota Danilo Leva, vicepresidente della Giunta per le Autorizzazioni e componente del Pd in Commissione Giustizia alla Camera. "Come chiede da tempo il Pd, dobbiamo approvare una nuova legge elettorale e predisporre, contemporaneamente, le riforme istituzionali necessarie - aggiunge -. Serve inoltre una sessione parlamentare ad hoc per avviare una profonda riforma del sistema giudiziario che preveda in ambito penale l’affermarsi di una cultura delle garanzie, da troppo tempo dimenticata, e che consenta anche di affrontare il drammatico sovraffollamento delle nostre carceri. Serve inoltre un intervento che metta al centro il tema dell’efficienza della giustizia civile. Il Pd è pronto, gli altri vogliono invece solo il mantenimento di questo statu quo?". Giovani deputati Pd in visita a Padova: per le carceri serve riforma radicale Dei 70 ergastolani detenuti presso il Carcere Due Palazzi di Padova, almeno una decina sono "ostativi", cioè privati di ogni beneficio penitenziario, permesso, semilibertà o affidamento ai servizi sociali. Li hanno incontrati questa mattina i giovani deputati del Partito democratico, Laura Coccia, Giulia Narduolo e Fausto Raciti, segretario nazionale dei Giovani democratici, che sottolineano "la necessità di una radicale riforma del sistema carcerario" italiano in quanto versa in una "condizione intollerabile per un paese civile". Negli scorsi giorni, infatti - come spiega una nota - Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo, uno degli "uomini ombra" che vivono questa condizione di non-esistenza, aveva scritto un appello proprio all’on. Laura Coccia, chiedendole di andarlo a trovare nel suo penitenziario per confrontarsi e capire cosa voglia dire "fine pena mai" e "privo di ogni beneficio". Una punizione - si osserva - forse peggiore della morte stessa, in quanto condanna a vivere senza la possibilità di avere una vera vita, 22 ore al giorno chiuso in cella, e impossibilità per sempre di vedere e abbracciare i propri cari fuori dal penitenziario. "L’ergastolo è una condizione davvero orrenda", osserva Coccia. "Ma - aggiunge - l’impossibilità di poter usufruire di alcun beneficio rende queste persone uomini ombra, come definite dalle stesse Musumeci, persone per cui non esiste nulla al di là delle mura che li circondano". Sul tema carceri l’opinione pubblica appare spesso distante, ma oltre l’indulto il nostro Paese ha davvero bisogno di provvedere a creare una riforma radicale del sistema carcerario. Secondo i dati del ministero della Giustizia, a noi contribuenti ogni detenuto comporta un esborso di 110-120 euro a giorno e ogni 100 posti a disposizione nelle carceri ci sono 147 detenuti, in diversi istituti il sovraffollamento supera quindi il 50%. Una condizione "intollerabile per un paese civile", conclude la nota. Giustizia: Cancellieri; il Governo è al lavoro per la riforma del sistema penitenziario Ansa, 17 dicembre 2013 Il Governo "sta lavorando" per una riforma del sistema carcerario, anche se "i problemi non si risolvono in un giorno perché hanno origini antiche". Ad affermarlo è il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, a margine di una visita al carcere di Bollate (Milano). "Ci saranno dei grossi cambiamenti nel modo di gestire le carceri - ha sottolineato - si sta facendo moltissimo, anche se ci vorranno tempi e mezzi. Abbiamo iniziato un percorso, vedremo quanto tempo ci vorrà per completarlo". Organismo controllo su lavoro detenuti Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, parlando in un convegno nel carcere di Bollate, ha voluto sottolineare che una delle questioni fondamentali per arrivare a una soluzione del problema carcerario in Italia è quella del lavoro. "Il grimaldello - ha detto Cancellieri - è il lavoro. Per questo creeremo una cabina di regia, un organismo che controlli e sviluppi le opportunità di lavoro per i carcerati". Il ministro, inoltre, ha fornito dei dati secondo i quali a giugno la percentuale di detenuti che svolgeva un’attività lavorativa era del 20%, "una percentuale molto bassa, bisogna estenderla il più possibile - ha detto - occorre creare un modello aperto dell’organizzazione del lavoro e avviarsi verso una gestione del lavoro data all’esterno e non più all’amministrazione. Il detenuto deve confrontarsi con il mondo del lavoro". A questo si affiancano dei corsi di formazione in modo che "il detenuto - ha proseguito Cancellieri - abbia un mestiere in mano e che possa trovare una collocazione all’esterno e possa vivere la sua vita da cittadino senza incorrere in rischi. Il detenuto deve confrontarsi con il mondo del lavoro". Vicini ad agenti Polizia penitenziaria "Siamo vicini agli agenti della Polizia penitenziaria: faremo il possibile per venire incontro alle loro esigenze". Lo ha spiegato il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri dopo che stamani, in occasione di una sua visita al carcere di Bollate (Milano), una cinquantina di agenti della polizia penitenziaria di diverse sigle sindacali hanno organizzato una protesta davanti ai cancelli del penitenziario contro "i tagli delle risorse e la carenza di organico". Per quanto riguarda gli adeguamenti del contratto scaduto nel 2009, altro tema al centro della protesta, il ministro ha sottolineato che "il problema economico è noto a tutti e, se ci saranno possibilità, le percorreremo fino in fondo". Giustizia: Confcooperative; investire nel lavoro abbatte la recidiva dall'80% al 10% Ansa, 17 dicembre 2013 "Da Bollate parte il Giro d’Italia delle carceri italiane: dalla condanna al riscatto. Un convegno all’anno per presentare i modelli più virtuosi che fanno scuola per il reinserimento dei detenuti nella società con il rigoroso abbattimento della recidiva. La cooperazione sociale sta facendo la sua parte ed è pronta a intensificare la sua azione". Così Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza Cooperative Sociali e presidente di Federsolidarietà - Confcooperative, dal carcere di Bollate dove si è confrontato con il ministro di Giustizia Anna Maria Cancellieri al convegno dedicato all’inserimento lavorativo dei detenuti. "Occorre valorizzare la funzione rieducativa della pena attraverso la formazione e il lavoro - aggiunge Andrea Fora, coordinatore Area Giustizia Federsolidarietà Confcooperative. I numeri dimostrano che investire nell’inserimento lavorativo abbatte la recidiva dall’80% al 10%. Su 100 detenuti che seguono percorsi di formazione e di inserimento lavorativo in carcere - conclude Fora - torna a delinquere il 10%, al contrario torna a delinquere l’80%. Va da sé che è una piaga sociale che non si rimargina e contribuisce solo a intasare il sistema giudiziario e gli istituti di pena". Giustizia: Pannella; inizio sciopero fame e sete contro black-out su Marcia Natale Adnkronos, 17 dicembre 2013 "Dalla mezzanotte di oggi sarò in sciopero totale della fame e della sete per superare, denunciandola, una situazione di sabotaggio vero e proprio della realtà di quel che sta accadendo per impedire al popolo italiano di prendere coscienza che ci troviamo, come Stato in una situazione di flagranza criminale, malgrado presidenti della Repubblica, malgrado personalità di primo piano delle istituzioni e Corte costituzionale". Lo ha preannunciato Marco Pannella in un collegamento con Radio Radicale, denunciando l’assenza di informazione sulla mobilitazione in corso per la Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia, la libertà. "Occorre difendere - ha detto Pannella - anche il presidente della Repubblica, in presenza di un comportamento scorretto e indelicato del Parlamento: e per questo marceremo da San Pietro a Palazzo Chigi, sede del governo. Vogliamo in questo modo indicare che è per difendere quello che il governo italiano, in tante sue componenti sappiamo vorrebbe fare e non fa. Andiamo davanti a Palazzo Chigi per sostenere quegli obiettivi che sono indicati dalla Corte europea dei diritti umani, dalla Corte costituzionale, dal presidente della Repubblica, dal ministro della Giustizia". "Vogliamo fare in modo che il governo non si trovi ad essere l’ultimo ad adempiere ad un obbligo, secondo le sue proprie funzioni, secondo quanto ricordato dal Presidente della Repubblica, garante del diritto. Vogliamo aiutare il governo ad intenderlo, aiutarlo a pronunciarsi per l’uscita formale dalla flagranza criminale di stampo nazista, comunista. Ne parlerò domani - ha preannunciato Pannella- in una conferenza stampa che terremo insieme al direttore di Radio Radicale presso la sede del Partito radicale in via di Torre Argentina a Roma". Giachetti (Pd): parteciperò a marcia natale per amnistia "Avendo partecipato a tutte le marce di Natale è difficile che possa non partecipare anche a questa. Ci sarò come sempre, a titolo personale, assolutamente convinto". Lo ha detto a Radio Radicale il deputato del Pd Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, nel dare la propria adesione alla Marcia per l’amnistia che si terrà a Natale da San Pietro a Palazzo Chigi, organizzata dai Radicali e da Don Mazzi. "Non mi pare ci siano grandi spinte a intervenire sul tema in Parlamento, al di là del fatto che il presidente della Repubblica abbia scritto alle Camere un messaggio molto esplicito, che magari a parole tanti dicono di condividere e con cui lealmente c’è anche chi dice di non essere d’accordo. Ma il fatto che io non sappia se ci sia o meno lo spazio per un intervento del genere in Parlamento non significa -conclude Giachetti- che io non continui ad impegnarmi in questa battaglia nella quale sono impegnato da sempre". Giustizia: alla Marcia di Natale per l’amnistia ci sarà anche Sindacato direttori carceri Ansa, 17 dicembre 2013 Il Sindacato Direttori Penitenziari (Si.Di.Pe.) parteciperà, il 25 dicembre 2013, alla marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia, la libertà che si svolgerà a Roma, a partire dalle ore 10, da San Pietro a Palazzo Chigi. Il Si.Di.Pe. - che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari di diritto pubblico - ha ritenuto di "aderire a questa civile e pacifica iniziativa - si legge in una nota - per tornare ad esprimere la posizione dei direttori, di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, a favore di un sistema penitenziario che sia coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena, rispetto alla grave situazione di disagio che si registra nelle carceri italiane. I dirigenti penitenziari, infatti, sono i primi garanti dei principi di legalità nell’esecuzione penale". "I dirigenti penitenziari vivono le conseguenze della grave emergenza carceri che incide pesantemente anche sulle condizioni di lavoro di tutti gli operatori, poiché essa determina per essi maggiori rischi professionali, esponendoli a più elevate responsabilità, amministrative, civili e finanche penali", afferma il sindacato, ricordando che i dirigenti penitenziari "in questo difficile momento storico, pur profondendo un impegno straordinario per gestire l’attuale difficilissima situazione sono privati del trattamento economico a cui hanno diritto per legge, unici dirigenti senza contratto di lavoro, fanalino di coda di tutta la dirigenza pubblica, con il trattamento economico più basso, senza la retribuzione economica di posizione e di risultato, privati del loro diritto alla ricostruzione giuridica ed economica della propria carriera". Giustizia: Alfano dopo le esternazioni di Riina "pronti a inasprire il 41 bis per i boss" di Alberto Custodero e Salvo Palazzolo La Repubblica, 17 dicembre 2013 "Lo Stato è pronto a indurire ulteriormente il carcere duro per i boss mafiosi, il regime 41bis". Lo ha annunciato il ministro dell’Interno, ieri, alla commissione parlamentare Antimafia che per due giorni si riunisce a Milano per indagare sulle infiltrazioni mafiose nell’economia del Nord, a poco più di un anno da Expo 2015. Angelino Alfano (che al suo insediamento da segretario del Ncd aveva detto di "non volere i voti dei mafiosi"), non ha voluto chiarire, però, cosa intenda per "indurire" il 41bis, visto che si tratta già di una condizione di detenzione durissima. Quel che è certo è che il vicepremier si riferiva alle "esternazioni" di Totò Riina il quale, negli ultimi mesi, ha minacciato più volte i magistrati che si stanno occupando dell’inchiesta sulla "trattativa" tra Stato e mafia, in particolare il pm palermitano Nino di Matteo. Riina, va precisato, si trova al 41bis, ma da tempo non è più in isolamento, quindi l’ora d’aria al giorno della quale ha diritto la trascorre in compagnia di un altro detenuto, il boss della Sacra corona unita Alberto Lo Russo. A lui Totò Riina ha affidato, il 16 novembre, l’ultimo ordine di uccidere Di Matteo. Ed è a questo episodio che Alfano s’è riferito quando ha parlato di inasprimento del carcere duro. "I boss devono sapere - ha dichiarato Alfano - che, se proveranno a far uscire informazioni o ordini dal carcere, lo Stato non avrà nessuna timidezza per impedirlo ed è pronto a rendere più dura la normativa sul 41 bis". Va precisato, a questo proposito, che se il Viminale o le procure ritenessero "pericoloso" il contatto di Riina con altri detenuti, non ci sarebbe bisogno di alcun indurimento normativo, ma basterebbe rimettere in isolamento il boss dei boss come prevede la legge vigente. Ma il ruolo del Lorusso appare sospetto, tant’è che la procura di Palermo ha deciso di aprire un’indagine sul suo conto. Venerdì scorso i pm di Palermo lo hanno interrogato per capire chi sia per davvero l’uomo del quale Riina si fida tanto. Un’ipotesi inquietante si fa avanti alla procura di Palermo, che Lorusso possa essere stato pilotato da ambienti delle istituzioni. Se così fosse, tuttavia, ancora non si comprende a che titolo: per carpire notizie dal capo di cosa nostra, o per aizzarlo contro i magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia? Ma i magistrati nel mirino della mafia, ha chiarito il titolare del Viminale alla Commissione, sono quattro. "A loro - ha assicurato il neo segretario del Ncd - abbiamo offerto ogni disponibilità che è nei poteri dello Stato di dare. Oltre quello che abbiamo messo a disposizione non c’è nulla in natura". A proposito delle infiltrazioni al Nord, il vicepremier ha assicurato che sarà realizzato "un Expo mafia free". "Faremo di tutto per impedire le infiltrazioni di tutte le mafie" la cui presenza, ha sottolineato infine il vicepremier, "è la principale causa del sottosviluppo del Sud". Di Carlo (Radicali): inasprimento 41 bis contrario a prescrizioni comunitarie Il Ministro Alfano - che oggi ha preannunciato l'intenzione del Governo di inasprire il regime del 41 bis (cd. carcere duro) - dovrebbe essere a conoscenza del fatto che appena un mese fa il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa ha censurato il nostro Paese proprio riguardo all'inasprimento del 41 bis introdotto nel 2009". Lo ha dichiarato Alessio Di Carlo, del comitato nazionale di Radicali italiani. L'esponente radicale ha ricordato che il Consiglio d'Europa, già lo scorso maggio, aveva invitato l'Italia ad adottare misure che raddoppiassero il tempo da passare fuori dalle celle, concludendo con l'auspicio che "l'esercizio del fondamentale compito della tutela della sicurezza pubblica, non deve mai tradursi nella inflizione di trattamenti disumani o degradanti". Lumia (Pd): 41-bis va inasprito e applicato con più rigore "Il 41-bis non è ancora un sistema sicuro, in grado di impedire la comunicazione dei mafiosi verso l’esterno. Sono innumerevoli gli episodi di boss che dal carcere continuano a dare ordini e a gestire il sistema degli appalti, delle estorsioni e delle collusioni. Ecco perché il 41-bis va inasprito e applicato con più rigore. È questa la migliore risposta, insieme all’adozione di altri provvedimenti antimafia, che il Governo ed il Parlamento possono dare alle minacce di Cosa nostra nei confronti del giudice Di Matteo e dei magistrati impegnati nei processi e nelle indagini sulle stragi e sulla trattativa". Lo dice il senatore Giuseppe Lumia, capogruppo del Pd in Commissione giustizia e componente della Commissione parlamentare antimafia, a margine dei lavori della Commissione antimafia a Milano. "Da tempo - aggiunge - chiedo la riapertura di Pianosa anche al regime di massima sicurezza. Non capisco perché nelle carceri delle isole minori non possano esserci delle sezioni di 41-bis. E non possiamo permetterci ancora ritardi. Ad esempio in Sardegna negli istituti di Cagliari e Sassari da due anni si attende il completamento e l’apertura delle sezioni di 41-bis". "Sia chiaro - conclude Lumia - il 41-bis non lede nessun diritto umano, ma è uno strumento indispensabile, accanto ad altre misure come l’aumento delle pene da 20 anni fino all’ergastolo per tutti i reati di stampo mafioso e all’introduzione nel nostro ordinamento del reato di auto riciclaggio, per rafforzare la lotta alle mafie". Turco (Radicali): ogni scusa è buona per inasprire il 41-bis "Per il momento le informazioni dai detenuti in 41 bis le fa uscire lo Stato". È quanto afferma il radicale Maurizio Turco, che aggiunge: "E sono informazioni di prima scelta, quelle di Totò Riina che, se lo Stato non gli avesse fornito i microfoni, non sarebbero mai trapelate dall’area riservata in cui vegeta". "Poi -conclude Turco- com’è accaduto per la stabilizzazione, ogni scusa è buona per indurire il 41bis. Anche se c’è un trattamento migliore, quello riservato a Provenzano, il cui stato vegetativo non è figurato". Giustizia: 41-bis per circa 700 reclusi, già inasprito nel 2009 e più volte sotto lente Ue Ansa, 17 dicembre 2013 Nato nel 1986 per tenere a bada i detenuti che agitavano le rivolte nelle carceri, l’art. 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario diventa uno strumento di lotta alla mafia nel giugno del 1992 - dopo la strage di Capaci nella quale il 23 maggio fu ucciso il giudice Giovanni Falcone - quando viene introdotto un secondo comma che consente al Ministro della Giustizia di sospendere le normali regole che scandiscono la vita dei detenuti rendendole più severe e restrittive nei confronti di chi è recluso perché è affiliato alla criminalità organizzata. I dati aggiornati ad oggi dei reclusi al carcere duro ne contano 704. Il censimento più aggiornato sul dna di appartenenza, è stato fornito dall’ex Guardasigilli Paola Severino, lo scorso anno in Commissione Antimafia, quando al 41bis c’erano 679 reclusi, di cui quattro donne: 272 camorristi, 208 mafiosi di Cosa Nostra, 47 dei clan pugliesi, sette della Stidda e tre terroristi. La norma è stata inasprita nel 2009 con l’approvazione del ddl sicurezza ed è sempre stata molto criticata dagli organismi comunitari attivi contro i trattamenti disumani o degradanti nelle carceri. Da una indagine del 1995, il nostro regime detentivo di massima sicurezza - che si può applicare anche per altri reati gravi come il terrorismo o la tratta di essere umani - era risultati uno dei più duri in Europa, in grado alterare le facoltà mentali e sociali in modo spesso irreversibile. Tanto da costringere la Corte Costituzionale a mitigarlo con decisioni che lo hanno un po’ stemperato. La norma ha carattere di temporaneità: la sua efficacia, inizialmente, era limitata ad un periodo di tre anni ed è stata prorogata una prima volta fino al 31 dicembre 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre 2000 ed una terza volta fino al 31 dicembre 2002. In quell’anno, il 41bis viene un po’ allentato: si prevede che la sua durata non possa essere inferiore all’anno e non poteva superare i due e che le proroghe successive potessero essere di solo un anno ciascuna. Nel 2009, il ddl sicurezza tuttora in vigore tornò ad aggravare il carcere duro estendendone la durata fino a quattro anni e richiedendo la proroga solo ogni due anni. Il ddl inoltre ha unificato la competenza sui ricorsi dei detenuti affidandola al Tribunale di sorveglianza di Roma dopo le polemiche per decisioni che avevano di fatto disattivato il regime duro. Tra l’altro, il ddl prevede la registrazione dei colloqui mensili con i familiari, quelli con i legali non possono essere più di tre a settimana, le ore d’aria sono al massimo due al giorno e possono trovarsi insieme non più di quattro persone. Innalzate le pene per chi aiuta i detenuti a comunicare con l’esterno con pizzini o altro. In base a una indagine dell’associazione "Ristretti Orizzonti", tra i reclusi al 41bis è più alta del 3,5% l’incidenza dei suicidi rispetto a quella del resto dei carcerati. Negli ultimi ventun anni, si sono tolti la vita in carcere 39 persone in regime di carcere duro il cui numero è in aumento negli ultimi anni. Giustizia: Arpaia (Lega per i Diritti dell’Uomo); le carceri, l’altra città che non vediamo intervista a cura di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 17 dicembre 2013 Sofferenze nelle carceri: le migliori politiche per rendere un po’ più accettabile uno stato di vera e autentica congestione. La Lidu sostiene la marcia per l’amnistia. Lo ha detto alla "Voce" l’ex parlamentare repubblicano Alfredo Arpaia, Presidente della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo. Onorevole Arpaia, perchè ha aderito all’iniziativa Radicale della marcia di Natale per l’amnistia? "Sostengo questa battaglia perché l’amnistia è un provvedimento necessario, ma non risolutivo. Il provvedimento è necessario - come ha sottolineato anche il Presidente Napolitano - per dare una risposta ad una richiesta della Corte europea dei diritti dell’Uomo che ha condannato il nostro paese per il sovraffollamento delle carceri. Per questo è necessario dare una risposta a questi problemi con l’amnistia ed eventualmente con l’indulto, se necessario. Questi potrebbero essere i due provvedimenti necessari. Per risolvere il problema della vivibilità delle nostre carceri però bisognerà varare altri provvedimenti". A quali possibili provvedimenti si riferisce? "Mi riferisco alle cosiddette porte aperte del carcere per il recupero di coloro che sono stati privati della libertà. C’è anche la possibilità di applicare delle pene alternative. Questo è un altro punto necessario. Inoltre non posso far altro che criticare certe leggi assurde, come quelle che hanno introdotto nel nostro ordinamento il reato di immigrazione clandestina. Questo reato ha reso le nostre carceri affollate. La lunghezza dei processi ha contribuito al sovraffollamento carcerario. È stato un grave errore utilizzare la carcerazione preventiva. Ecco perché condivido in pieno questa battaglia e parteciperò alla marcia di Natale a Roma a nome della Lega dei Diritti dell’Uomo". Nel 2007, quando venne approvato l’indulto, dopo un anno le carceri italiane si sono nuovamente riempite. Come andrebbe sfruttato questo periodo in caso di un’amnistia varata dal Parlamento? "Il primo provvedimento da affrontare è quello di riformare la legge sulla legalizzazione delle droghe leggere. Non possiamo dimenticare che in Italia ci sono circa 24 mila detenuti per questo reato in carcere. Una riforma di questa legislazione permetterebbe di rendere gli istituti penitenziari più vivibili. La legalizzazione delle droghe leggere sarebbe un’ottima alternativa. In questi casi la detenzione non risolve i problemi del reo, ma li aggrava. Questo è uno dei punti da affrontare. Tra le iniziative da prendere sarebbe anche necessaria una maggiore sensibilizzazione degli operatori finanziari a difesa dei diritti dell’Uomo. Ci vuole umanità nel trattamento penitenziario. Il provvedimento di amnistia, da solo, non può bastare". Ci sono situazioni che ci può segnalare positivamente? "Sì, quella del carcere di Nisida. È un istituto per minori nel quale i giovani detenuti sono occupati con il lavoro. La rieducazione comincia anche da qui". Giustizia: "braccialetto elettronico"… non si usa perché si ignora che ci sia di Valter Vecellio Notizie Radicali, 17 dicembre 2013 Braccialetto elettronico. In Italia, a differenza di altri paesi, è una sorta di oggetto sconosciuto e misterioso. Si potrebbe parafrasare Pietro Metastasio: "Che vi sia ciascun lo dice, dove sia, nessun lo sa". Facciamone un po’, sia pure sommariamente, la storia: Il 6 novembre 2003 viene definito, in accordo con Telecom Italia, "una nuova modalità di erogazione di queste prestazioni, passando dal noleggio degli apparati alla fornitura diretta del servizio". In sostanza, come avviene da tempo in altri paesi, "il braccialetto elettronico, viene collocato alla caviglia o al polso e invia impulsi radio a un’unità ricevente installata nell’abitazione del detenuto e, tramite linea telefonica, invia segnalazioni alla centrale operativa di Telecom Italia". Un accordo, dice il ministro dell’Interno di allora Roberto Maroni che comporta "un impegno finanziario, una tantum, per l’attivazione del servizio, pari a circa 10 milioni e 369 mila euro, per il 2003, e un canone annuo di 10 milioni 899mila 600 euro, dal 2004 fino al 2011, per la realizzazione della rete, cosa che Telecom ha fatto". Facendo qualche rapido calcolo, l’accordo comporta una spesa di 76 milioni 297mila 200 euro di canone; a questa cifra vanno sommati i costi di attivazione da oltre 10 milioni; si arriva così a 86 milioni 666mila 200 euro. Gianfilippo D’Agostino, ascoltato dalla Commissione Giustizia della Camera nella sua veste di direttore del public sector di Telecom Italia, l’11 maggio 2010 dice: "Il Viminale ci chiese di riorganizzare la sperimentazione, sempre con 400 braccialetti, ma allargandola a tutto il territorio nazionale. E la Telecom dispose un servizio attivo 24 ore al giorno, con una grande centrale di controllo installata a Oriolo Romano, ben protetta e collegata con tutte le questure d’Italia. L’allarme avrebbe suonato al più tardi dopo 90 secondi dalla fuga o dalla manomissione degli apparecchi. E dal 2003 a oggi non abbiamo rilevato alcun problema operativa". Passa un giorno, passa l’altro, si arriva così a fine 2011. La commissione Giustizia del Senato ascolta il vice-capo della Polizia Francesco Cirillo, audizione che fa scalpore. Dice Cirillo: "Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno". Non solo: alla cifra stratosferica, corrisponde un uso assolutamente ridicolo del "braccialetto": otto attivi in tutta Italia. Dice Cirillo che necessario "l’impiego di un nuovo modello che risulti maggiormente affidabile di quello precedente e che consenta la localizzazione e la "tracciabilità" del soggetto". Scoppiano polemiche, e Maroni nel 2008 si chiama fuori: la decisione sull’impiego del "braccialetto", fa sapere, non spetta al ministero dell’Interno, ma alla magistratura, che, dice, "può farlo, ma non lo fa. Stiamo valutando nuove tecnologie per attuare la rete che c’è, visto che in Francia, per esempio, l’uso del braccialetto è massiccio e le evasioni sono praticamente azzerate". Non solo in Francia. Nel corso della settima conferenza sulla sorveglianza elettronica organizzata dal Cep (l’organizzazione europea per la condizionale) di tre anni dopo, viene sottolineato che il "braccialetto" è in vigore in numerosi paesi, anche di fresca costituzione come la repubblica Ceca, la Lituania, la Lettonia. Per quel che riguarda l’Italia "ha provato ad usare il braccialetto elettronico in passato, ma attualmente questo tentativo non è più in corso". Dove il "braccialetto" viene usato, i risultati sono confortanti. In Francia, per esempio, risulta che il 23% di coloro che sono stati condannati alla sorveglianza telematica è poi tornata in carcere e il 42% sono stati poi condannati in seguito. Chi è stato condannato al carcere, nel 61% dei casi è stato reincarcerato e nel 72% dei casi ha subito un’altra condanna. La sorveglianza telematica si diffonde. Nel Regno Unito si passa dalle 18mila persone con braccialetto del 2008 alle 22mila del 2010. In Francia dalle tremila persone ai cinquemila. Per quel che riguarda i costi, si va dai tre euro al giorno spesi per costo di installazione e strumentazione spesi in Estonia ai 121 euro spesi per il costo di connessione con sistema Gps impiegati in Olanda. E in Italia? Come sappiamo, i detenuti sono oltre 67mila, "spalmati" in 206 penitenziari che ne potrebbero e dovrebbero ospitare 45mila; quasi la metà di chi è in carcere è in attesa di un giudizio definitivo. Il problema del sovraffollamento e delle condizioni di vita in carceri che sono una vergogna nazionale, e tantomeno l’emergenza giustizia, non si risolvono certamente con l’applicazione del "braccialetto"; ma certamente utilizzarlo aiuterebbe qualche detenuto a sopportare meglio la carcerazione (soprattutto se preventiva), e denaro pubblico non verrebbe, come di fatto accaduto finora, buttato dalla finestra. Perché non lo si fa, dunque? Perché questi "braccialetti" sono lasciati a far ruggine e polvere in qualche magazzino? Una spiegazione c’è; e l’hanno individuata due magistrati, Alessandra Bassi, GIP presso il tribunale di Torino; e Christine Von Borries, pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Firenze e, a tempo perso, autrice di due storie "gialle" godibili. Bassi e Von Borries hanno scritto per il sito di "Magistratura Democratica" un lungo articolo che riproduciamo più sotto nella sua interezza. Ma ecco cosa si può leggere: "Lo scarso appeal registrato dai dispostivi elettronici - invece largamente utilizzati e con successo in diversi Paesi europei - pare riconducibile, più che ad una preconcetta diffidenza dei magistrati italiani, ad un colossale - quanto incomprensibile - difetto di informazione: pochi di noi sono difatti a conoscenza della concreta possibilità di applicare i braccialetti elettronici pur previsti dal codice di rito". Dunque, un problema, letterale, di ignoranza. A noi, francamente appare una spiegazione che non sta né in cielo né in terra; ma è pur vero che trattandosi di questioni di giustizia - e di giustizia italiana - tutto può essere, perfino questa incredibile cosa. Per non lasciare quindi nulla di intentato, rivolgiamo un accorato e pressante appello al ministro della Giustizia: non dovrebbe essere difficile, e neppure complicato, mandare a tutte le procure una circolare in cui si informa che se si vuole e si ritiene, si può utilizzare il "braccialetto" e l’iter per poterlo fare. Così si risolve quello che Bassi e Von Borries definiscono "difetto di informazione". Anche se, lo confessiamo, siamo piuttosto convinti che non si sa perché si preferisce non sapere. Giustizia: il braccialetto elettronico, un dispositivo dimenticato di Alessandra Bassi* e Christine Von Borries** Notizie Radicali, 17 dicembre 2013 Nonostante il possibile impatto sul sovraffollamento carcerario, su 2.000 braccialetti a disposizione, solo 55 sono in uso su disposizione di appena 8 uffici giudiziari. Con l’art. 16 del D.L. n. 341 del 2000, convertito dalla L. n. 4/2001, il legislatore ha previsto, all’art. 275 bis del codice di rito, che il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari - anche in sostituzione della custodia cautelare - possa prescrivere, in considerazione della natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, l’adozione di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di controllo, cioè il cd. braccialetto elettronico. Con gli stessi provvedimenti normativi, si è previsto all’art. 47 ter comma 4 bis Ord. Penit. che le disposizioni di cui all’art. 275 bis c.p.p. trovino applicazione anche in caso di esecuzione della misura alternativa della detenzione domiciliare. Dopo iniziali difficoltà di natura logistica, legate alla stipula di contratti di noleggio degli apparecchi con cinque diverse società, nel 2003 il Ministero dell’Interno ha firmato una Convenzione con Telecom S.p.A. per la fornitura su tutto il territorio nazionale dei dispositivi elettronici. La convenzione prevede sia il noleggio, l’installazione e l’assistenza (attualmente) di 2000 dispositivi elettronici di controllo nei confronti di persone sottoposte alle misure cautelari e detentive per l’intero territorio nazionale, sia la predisposizione infrastrutturale e la gestione operativa della piattaforma tecnologica. In particolare, il materiale tecnico occorrente - segnatamente i terminali (computer) ed i software necessari - sono stati da tempo installati presso le centrali operative di Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza della maggiore parte delle città italiane. Nonostante siano perfettamente funzionanti ed operativi dal 2005, i braccialetti elettronici sono da sempre applicati dai giudici italiani in numero assai ridotto, di gran lunga inferiore ai 2000 disponibili: si consideri infatti che sono attualmente attivi circa 55 braccialetti, su disposizione di giudici di soli otto uffici giudiziari. Il sottoutilizzo dei braccialetti elettronici è stato stigmatizzato dal Tar del Lazio nella sentenza n. 4997/2012 del primo giugno 2012 (con la quale è stato annullato l’accordo tra il Ministero degli Interni e Telecom Italia, pur lasciando comunque la convenzione in vigore fino al 31 dicembre 2013), dalla Corte dei Conti nella deliberazione n. 11/2012/G (che ha evidenziato il costo esorbitante del sistema - di oltre dieci milioni annui - a fronte di esigue unità applicate dall’A.G.) ed in un’interrogazione al Ministro dell’interno alla Camera dei Deputati nella seduta n.700 del 10 ottobre 2012. Lo scarso appeal registrato dai dispostivi elettronici - invece largamente utilizzati e con successo in diversi Paesi europei - pare riconducibile, più che ad una preconcetta diffidenza dei magistrati italiani, ad un colossale - quanto incomprensibile - difetto di informazione: pochi di noi sono difatti a conoscenza della concreta possibilità di applicare i braccialetti elettronici pur previsti dal codice di rito. D’altra parte, i segnali che vengono dal legislatore sono tutti nel senso di incentivare l’utilizzo dei dispositivi in oggetto. Ed invero, non solo gli artt. 275 bis c.p.p. e 47 ter comma 4 bis Ord. Penit. sono ancora vigenti, ma, con il decreto c.d. svuota carceri (D.L. n. 211/2011, convertito con L. n. 9/2012), è stata ampliata la rosa dei soggetti ammessi alla detenzione domiciliare, cui appunto può applicarsi il braccialetto elettronico e, di recente, con il decreto sulla violenza di genere (D.L. n. 93/2013 convertito con L. n. 119/2013), si è prevista la possibilità di applicare il braccialetto elettronico anche in caso di misura diversa da quella domiciliare, id est in caso di allontanamento dalla casa familiare per i reati previsti dall’art. 282 bis comma 6 c.p.p. Il che impone di apprestare e mantenere attivi tali strumenti elettronici, alcuni dei quali con l’ulteriore funzionalità GPS per consentire il monitoraggio sul territorio del soggetto sottoposto alla misura ex art. 282 bis. D’altra parte, non si può fare a meno di notare come, in un momento - quale quello attuale - di forte emergenza del sistema carcerario del Paese, un maggiore ricorso ai dispositivi elettronici potrebbe consentire in concreto un alleggerimento del sovraffollamento degli istituti penitenziari: l’adozione del braccialetto - in quanto valido deterrente alle violazioni - incide direttamente sulla capacità effettiva di auto custodia dell’indagato o imputato sottoposto a misura e, di fatto, rafforza il divieto di allontanamento dalla propria abitazione, di tal che è suscettibile di riverberare positivamente sul giudizio di adeguatezza della misura domiciliare, consentendone l’applicazione in luogo di quella inframuraria in una casistica più ampia. Tra l’altro, il servizio è già totalmente pagato e il giudice che lo applica non deve liquidare alcun compenso. Da un punto di vista pratico, il braccialetto elettronico si applica alla caviglia della persona, è impermeabile (quindi non deve essere rimosso per le abluzioni), è autoalimentato, sopporta fino a 70 gradi di temperatura e 40 kg. di trazione prima di rompersi. È collegato alla centrale operativa della forza dell’ordine deputata al controllo (solitamente Carabinieri o Polizia di Stato) e segnala in tempo reale la rottura dell’apparecchio ovvero l’allontanamento del soggetto dal perimetro del domicilio. La centralina installata a cura del personale Telecom traccia infatti un sistema di allarme perimetrale che si attiva in caso di allontanamento dell’individuo cui sia applicato il braccialetto, consentendo dunque di avvisare in tempo reale la struttura di P.G. competente sul territorio per un immediato controllo in loco. La centralina è comunque dotata di un telefono che consente alle forze dell’ordine deputate ai controlli di contattare immediatamente il soggetto e riscontrare eventuali falsi allarmi. È opportuno che gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico siano applicati quale misura in sostituzione di quella carceraria - e non quale prima misura -, essendo imprescindibili sia l’acquisizione del previo consenso dell’interessato all’applicazione del dispositivo (da raccogliere in un apposito verbale da trasmettere al giudice che ha emesso il provvedimento e alla P.G. deputata ai controlli); sia e soprattutto la preventiva verifica - mediante sopralluogo a cura della P.G. - dell’idoneità dell’abitazione. È sufficiente che l’alloggio abbia la corrente elettrica ed, in caso di assenza di linea telefonica, provvederà la Telecom a portarla. Lo strumento funziona anche in zone periferiche e campestri, ma può essere installato soltanto in un’abitazione vera e propria (non una baracca o una roulotte di un campo nomadi). È possibile prevedere la disattivazione dell’allarme in caso di concessione di permessi ad allontanarsi dall’abitazione, saltuari o permanenti. Una volta raccolto il consenso dell’interessato e verificata l’idoneità del domicilio, le forze di polizia coordineranno le operazioni necessarie per dare corso all’effettivo svolgimento della misura ed, in particolare, concorderanno con Telecom la data per l’installazione del dispositivo e ne daranno comunicazione alla Polizia Penitenziaria per la traduzione sul posto del detenuto. È importante che la traduzione del soggetto presso il domicilio avvenga a cura della Polizia Penitenziaria, atteso che, in caso di sopravvenuta impossibilità di installazione del braccialetto per problemi tecnici, il detenuto dovrà essere immediatamente ritradotto in carcere. Affinché vi siano i tempi necessari per il completamento delle procedure tecniche da eseguire in loco, è opportuno che l’esecuzione concreta dell’ordinanza di sostituzione sia rinviata dal giudice di almeno tre giorni lavorativi rispetto alla data di deposito in Cancelleria (a Torino si è previsto il termine di quattro giorni lavorativi). Prima di dare avvio all’applicazione dei braccialetti elettronici in un nuovo ufficio giudiziario sarà opportuno fissare degli incontri preliminari sia con il responsabile della convenzione della Telecom, sia con le forze dell’ordine interessate (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria) allo scopo di concordare un protocollo operativo per l’installazione dell’apparecchio e le modalità di controllo. Si consideri, al riguardo, che a Roma il controllo dei braccialetti elettronici è stato centralizzato ed unificato presso la Divisione Anticrimine della Questura, mentre a Torino si è previsto che, in linea di principio, ai controlli provveda l’ufficio della forza di polizia che abbia tratto in arresto la persona destinataria del provvedimento da eseguire, se trattasi di misure da eseguire in città, ovvero la Stazione dei Carabinieri territorialmente competente in relazione al luogo in cui la misura sarà applicata, in caso di misura applicata in provincia. L’esperienza maturata negli uffici nei quali si fa uso da tempo dei dispositivi in oggetto (a Roma dall’ottobre 2012, a Torino dal maggio 2013) è assolutamente positiva. A Torino non si sono mai registrati falsi allarmi, né evasioni. A Roma v’è stato un caso di evasione di un soggetto che è stato tuttavia immediatamente rintracciato dalle forze dell’ordine giunte sul posto a seguito dell’allarme. *Gip presso il tribunale di Torino **Pm presso la Procura della repubblica di Firenze Emilia Romagna: minori, la Garante Desi Bruno dopo le ultime visite all’Ipm del Pratello Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2013 Nelle ultime settimane, la Garante regionale dei diritti dei detenuti, Desi Bruno, ha visitato due volte il carcere del Pratello di Bologna; in entrambe le occasioni, ha visto al lavoro i ragazzi ristretti: una prima volta nell’ambito di una cena organizzata, cucinata e servita per una cinquantina di ospiti, una seconda volta all’interno della rappresentazione teatrale "Il patto con il diavolo" diretta dal regista Paolo Billi. "Mi ha fatto particolarmente piacere essere presente, perché queste esperienze ci dimostrano che è possibile offrire a questi ragazzi esperienze professionalizzanti e di crescita personale", commenta Desi Bruno. Certo, i numeri in questo momento aiutano. All’inizio di dicembre, il carcere del Pratello vedeva la presenza di 13 ragazzi detenuti: 4 in esecuzione di una pena definitiva, 9 in custodia cautelare. In proposito è possibile apprezzare un trend di decremento, dopo i livelli record di presenze registrati nell’aprile del 2012 (con più di 25 ragazzi detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 22). Per quanto riguarda la Comunità ministeriale di Bologna, a ottobre del 2013 si contava il passaggio di 32 ragazzi dall’inizio dell’anno, con una presenza media giornaliera di 5,5 minori. Solo due mesi prima, nella Comunità ministeriale di Bologna si contava il passaggio di 32 ragazzi dall’inizio dell’anno, con una presenza media giornaliera di 5,5 minori. E nel 2012 sono stati 51 i ragazzi passati per la Comunità, di cui 32 stranieri. Istituto Penale per Minorenni e Comunità ministeriale sono le due strutture sostanzialmente deputate alla custodia dei minori autori di reato. Poi ci sono le strutture convenzionate, il regime cautelare o esecutivo in casa, quello alternativo in stato di libertà. Sono centinaia i ragazzi che, ogni anno, a vario titolo vengono presi in carico dagli Uffici dei Servizi Sociali Minorili (Ussm). "Questi dati ci dicono moltissimo dell’attuale sistema di giustizia penale minorile", continua Desi Bruno. La riforma del processo penale minorile operata con il Dpr 448/1988, pur non avendo eliminato la possibilità di ricorrere al carcere per i minori di età, sicuramente l’ha però ridotto ad extrema ratio. In questo senso, fondamentale si è rivelata l’introduzione di due istituti (il proscioglimento per irrilevanza del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova), che hanno ridimensionato l’intervento penale sui minori e, nel caso della messa alla prova, anche il ricorso al carcere per gravi reati. Tuttavia la riforma del 1988, all’avanguardia rispetto al trattamento degli imputati minorenni nel resto d’Europa, non si è spinta fino al punto di individuare un diverso sistema sanzionatorio, che ha ancora come termine di confronto e commisurazione la reclusione, né un diverso e specifico ordinamento penitenziario per i minori autori di reato, ai quali si continua ad applicare quello dei maggiorenni. Da questo punto di vista, dunque, si può ancora fare molto. La fuoriuscita dal penitenziario per i minori in qualche modo equipaggiati di capitale sociale (gli italiani, tipicamente) va in parallelo con una detenzione ormai appannaggio quasi esclusivo dei ragazzi stranieri. Non a caso, dei 13 ragazzi detenuti attualmente al carcere del Pratello, 11 sono nati all’estero e gli altri 2 sono nati in Italia da genitori stranieri. Appare importante dare vita a interventi mirati per la popolazione detenuta straniera, che presenta necessità peculiari. "Da questo punto di vista, il mio Ufficio ha recentemente firmato un protocollo d’intesa insieme al Centro di Giustizia Minorile per la costituzione di uno sportello di informazione giuridica e consulenza extra-giudiziale in favore dei minorenni stranieri dell’area penale interna ed esterna, nonché di consulenza e supporto alle direzioni e agli operatori delle strutture in materia di immigrazione. Credo molto in questo progetto, che considero uno degli interventi necessari per dare effettiva risposta ai problemi indifferibili di questi ragazzi. Il permesso di soggiorno è tipicamente fra questi", prosegue Desi Bruno. Attualmente il carcere minorile conosce una popolazione detenuta che va dai 14 fino ai 21 anni: chi è entrato in carcere prima del diciottesimo anno di età, infatti, per legge vi rimane fino al compimento del ventunesimo. "Si tratta di una fascia di età eccessivamente ampia, che presenta problemi disomogenei e che necessiterebbe di idonei percorsi differenziati", commenta la Garante regionale dei detenuti. Dunque, a parere di Desi Bruno, restano aperte alcune sfide che il sistema della giustizia penale minorile è chiamata ad affrontare, anche a Bologna. In particolare, permane la necessità di garantire spazi adeguati alla realizzazione dei percorsi trattamentali: "da questo punto di vista, è necessario che i lavori dell’area cortiliva vengano presto conclusi", è il commento conclusivo della Garante. Toscana: Regione e Ministero firmano intesa migliorare condizioni sistema carcerario Adnkronos, 17 dicembre 2013 Si firma domani presso la presidenza della Regione Toscana il protocollo tematico volto a migliorare le condizioni del sistema carcerario regionale. Sono quattro i soggetti che lo sottoscriveranno: il Ministero della giustizia, la Regione Toscana, il Tribunale di sorveglianza di Firenze e l’Anci Toscana. L’appuntamento è per le ore 11 nella Sala Pegaso di Palazzo Sacrati Strozzi, in piazza Duomo 10 a Firenze. Interverranno il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, la presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo, e il presidente dell’Anci Toscana, Alessandro Cosimi. Foggia: carcere senza riscaldamento, la Polizia penitenziaria chiederà i danni di Orsola Tasso www.ilquotidianoitaliano.it, 17 dicembre 2013 Si lavora al "fresco", nel vero senso della parola: il personale della polizia penitenziaria del carcere di Foggia denuncia il disagio lavorativo recato dall’assenza di acqua calda e di riscaldamento all’interno della caserma. La situazione nelle carceri del nostro bel Paese, è ben risaputo, non è delle migliori. Se ne discute molto, specie negli ultimi anni, dove i fatti di cronaca su cosa succede nelle case circondariali sono, quasi, all’ordine del giorno. Critiche sul sistema giungono dalla polizia penitenziaria che lamenta dell’assenza di riscaldamento e quindi di acqua calda. Questa denuncia è stata avanzata dal personale della polizia penitenziaria femminile e maschile del carcere di Foggia. Non è nuova come situazione. L’anno scorso si presentò nuovamente questo disagio, solo dopo ripetute segnalazioni, tutto riprese a funzionare. Inverno nuovo, problemi vecchi. Quest’anno nulla di nuovo, si lavora, è proprio il caso di dire, al fresco. La caserma, in alcuni dei suoi piani, si presenta con muri ammuffiti, sporchi, docce dalla manutenzione inesistente, il tutto contornato da un clima gelido causato dall’assenza di acqua calda. Non il massimo. "Il Coo.S.P. (coordinamento sindacale penitenziario), responsabilizzando l’amministrazione territoriale, regionale e centrale, che dovrebbero provvedere al ripristino delle condizioni di salubrità dei luoghi citati e della caserma, invita il personale di polizia penitenziaria e dipendenti tutti a richiedere al datore di lavoro gli eventuali danni (spese mediche sostenute, equivalente economico per le giornate di assenza dal lavoro) dei dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, nel caso ci dovessero essere delle ripercussioni sulla salute e dunque mancato svolgimento dell’attività lavorativa", afferma in una nota stampa Domenico Mastrulli, segretario generale nazionale Coo.S.P. Torino: sparatoria nel bar del carcere, poliziotto uccide collega e poi si suicida Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2013 Tragedia nel carcere torinese "Lorusso e Cotugno" delle Vallette di Torino. Un assistente di polizia penitenziaria ha sparato e ucciso un collega nei locali del bar interno alla casa circondariale, poi ha rivolto l’arma verso di sè e si è ucciso. Sul posto i carabinieri. Ignote al momento le ragioni del gesto. "Una notizia agghiacciante": così Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, commenta la tragedia avvenuta poco fa nel carcere torinese delle Vallette dove un assistente di polizia penitenziaria ha sparato a un ispettore, uccidendolo, e poi ha rivolto l’arma contro di sè. "Non si conoscono ancora le ragioni del gesto - prosegue Capece - ma è una tragedia che colpisce tutta la Polizia Penitenziaria di Torino, che tra l’altro è quotidianamente provata da difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli agenti". L'uomo si chiamava Giuseppe Capitano e aveva 47 anni. Il poliziotto ucciso era Gianpaolo Melis ed era un ispettore di 53 anni. Alla base del gesto ci sarebbe un diverbio per un provvedimento disciplinare. Le ultime parole: "Cosa mi state combinando?" "Cosa mi state combinando tu e il comandante?". è la frase, riportata da alcuni colleghi, che l'agente Giuseppe Capitano ha rivolto all'ispettore Giapaolo Melis prima di sparargli nel carcere di Torino e poi rivolgere l'arma contro di sè. Melis è morto sul posto mentre Capitano è deceduto poco dopo l'arrivo all'ospedale Maria Vittoria. La tragedia è avvenuta questa mattina allo spaccio del penitenziario davanti a molti colleghi che stavano facendo colazione. Futili motivi dietro tragedia Ci sarebbe un litigio per futili motivi, forse provocato da divergenze sulle licenze di Natale, dietro l’omicidio-suicidio di due poliziotti penitenziari, un ispettore e un agente, avvenuto questa mattina nel carcere Lo Russo Cotugno di Torino. Il litigio nello spaccio interno della casa circondariale: Giuseppe Capitano, l’agente di 47 anni, ha estratto la pistola di ordinanza e ha sparato all’ispettore Giampaolo Melis, 52 anni. Due i colpi esplosi contro il "rivale", uno l’avrebbe colpito all’addome, l’altro, mortale, alla testa. Subito dopo, l’agente ha rivolto l’arma contro se stesso e si è sparato alla testa. Le sue condizioni sono apparse sin dal primo momento disperate: la corsa in ospedale è stata infatti inutile, l’uomo è morto poco dopo l’arrivo al pronto soccorso del Maria Vittoria. Colleghi agenti: bravi ragazzi, nessun segnale "Erano dei bravissimi ragazzi, non c’era stata alcuna avvisaglia". Sono sconvolti i colleghi di Giuseppe Capitano e dell’ispettore Gianpaolo Melis dopo l’omicidio-suicidio di questa mattina al carcere di Torino. Capitano, con il ruolo di capoposto sentinelle, arrivato allo spaccio del carcere ha iniziato una discussione con Melis, ispettore responsabile degli atti di polizia giudiziaria. A un certo punto Capitano ha estratto la pistola di ordinanza e ha esploso due colpi contro il collega. Poi ha rivolto l’arma contro di se e si è sparato sotto il mento. Melis è rimasto a terra in un lago di sangue mentre Capitano è deceduto poco dopo l’arrivo in ospedale. Sul posto sono arrivati i carabinieri e il pm Cesare Parodi. Entrambi lasciano mogli e figli. "In carcere c’è un clima molto teso - spiega un agente - dovuto alla carenza di organico e al sovraffollamento. Il personale è stressatissimo e qualcosa di piccolo può trasformarsi in una tragedia". Direttore carcere: troppe pressioni su agenti Una "tragedia immane", che ha colpito "due lavoratori instancabili", "due persone che per noi erano come dei famigliari". È scosso Giuseppe Forte, il direttore del carcere delle Vallette di Torino, dove questa mattina un agente penitenziario ha ucciso un ispettore e poi si è suicidato. "Non sapremo mai il perché di questa tragedia - aggiunge - forse un malinteso personale, ma le condizioni delle carceri italiane purtroppo le conoscete tutti". "Il sovraffollamento e la carenza di organico tra le fila della polizia penitenziaria - sottolinea il direttore della casa circondariale - mettono pressione ai nostri agenti. Confidiamo che i provvedimenti del ministro Cancellieri possano migliorare al più presto la situazione, anche quella dei detenuti". Cancellieri: su vicenda Torino c’è inchiesta in corso "C’è una inchiesta in corso e non ho ancora elementi precisi. Credo che sia presto per sapere che cosa è accaduto". Così il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha commentato la tragedia dell’omicidio-suicidio di due agenti penitenziari a Torino, parlando con i giornalisti a Firenze a margine della firma di un protocollo nella sede della Regione Toscana. Capece (Sappe): per agenti pericolose e stressanti condizioni di lavoro "Una notizia agghiacciante": così Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, commenta la tragedia avvenuta poco fa nel carcere torinese delle Vallette dove un assistente di polizia penitenziaria ha sparato a un ispettore, uccidendolo, e poi ha rivolto l'arma contro di sé, e ora è in fin di vita. "Non si conoscono ancora le ragioni del gesto - prosegue Capece - ma è una tragedia che colpisce tutta la Polizia Penitenziaria di Torino, che tra l'altro è quotidianamente provata da difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli agenti". Beneduci (Osapp): da mesi denunciamo inutilmente situazione istituti "Sono mesi e mesi che come sindacato denunciamo le violenze , le precarie condizioni igieniche e le gravi tensioni tra il personale nella Casa Circondariale Lorusso Cutugno di Torino, ma tutto è stato inutile fino alle morti odierne". Così Leo Beneduci, il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), dopo la tragedia avvenuta questa mattina nel carcere torinese, dove un agente ha sparato ad un collega e poi ha rivolto l’arma contro di sé. "Adesso diranno che certe cose accadono per fatti personali, ma non è così, - aggiunge Beneduci - perché la principale responsabilità del disastro penitenziario è di un’amministrazione del tutto inutile, gestita da un vertice altrettanto inutile che fa capo ad un Ministro utile solo a se stessa, e che, mentre i Poliziotti Penitenziari stavano protestando ieri a Milano, si è rifiutata di incontrarli sostenendo che i suoi Sindacati li incontra a Roma". "È più che sintomatico, peraltro, che nella stessa giornata della sparatoria al carcere di Torino, nonostante gli avvisi contrari dei vertici del Ministero dell’Interno, - conclude il segretario dell’Osapp - il Governo si appresti ad approvare una misura che, di fatto, rende obbligatorio l’uso dei dispendiosi, insicuri e quanto mai gravosi per il Personale, braccialetti elettronici. Ma per il carcere in Italia è stato sempre così: chiacchiere, carriere e tanti soldi che vanno nelle tasche di altri e non in favore di chi in carcere vive e lavora". Sarno (Uil-Pa Penitenziari): cordoglio ai famigliari "La tragedia avvenuta all'interno della sala bar del carcere di Torino ci lascia sgomenti, increduli e e frastornati. è un fatto troppo grave perché si possano trarre elementi di analisi a caldo. Per il momento intendiamo far giungere alle famiglie ed ai colleghi del Reparto Lo Russo e Cutugno tutto il nostro vivo cordoglio e la nostra più sincera vicinanza". Lo scrive in una nota Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa Penitenziari, commentando l'omicidio-suicidio di questa mattina, quando un poliziotto ha sparato a un ispettore, uccidendolo e poi si è suicidato. "Le indagini in corso faranno piena luce sull'accaduto, anche se le parole proferite dall'assistente capo verso l'ispettore fanno pensare a questioni interne legate all'attività professionale dell' omicida-suicida. Pur auspicando vivamente che questo dramma - si legge- non costituisca spunto per alimentare polemiche artificiose, non posso non sottolineare come tutte le organizzazioni sindacali del carcere torinese, da tempo, avessero debitamente segnalato un forte disagio lavorativo della polizia penitenziaria, tanto da proclamare lo stato di agitazione". "Proprio ieri, inoltre, il direttore ha incontrato, infruttuosamente, le rappresentanze sindacali che - conclude Sarno - hanno spiegato le ragioni dell'agitazione con particolare riferimento a provvedimenti non condivisi di mobilità interna attuati dallo stesso direttore e dal comandante di reparto". Moretti (Ugl): omicidio-suicidio episodio legato a stress "Quanto avvenuto questa mattina nella Casa Circondariale di Torino è sconcertante e se fosse confermata l’ipotesi secondo cui ci sarebbero questioni legate allo stress lavorativo all’origine dello scontro tra l’agente e l’ispettore, saremmo di fronte all’ennesima testimonianza del grave disagio che vive il personale di Polizia Penitenziaria, costretto a supplire alle carenze organiche con turni massacranti e sentendosi sempre più spesso abbandonato da chi dovrebbe invece garantirne la sicurezza sul lavoro". Lo dichiara in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti. "Pur non conoscendo le motivazioni di quanto accaduto a Torino, resta il fatto innegabile - secondo Moretti - che un elevato stress derivante dalle difficili condizioni operative espone sempre più spesso al possibile crollo psico-fisico di molti operatori della categoria. Ciò è risultato anche dal recente studio effettuato dal Coordinamento Sicurezza Ugl sulle condizioni socio-economiche degli operatori della sicurezza". Sinappe: ennesimo evento tragico, vicinanza alle famiglie dei colleghi Cordoglio e sgomento sono i primi sentimenti che ci assalgono nell’apprendere di altre morti violente fra gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Dopo un anno segnato da infiniti lutti fra i poliziotti penitenziari, questa volta ha lasciare il triste segno del disagio sono stati due poliziotti penitenziari in servizio presso il carcere piemontese. Intorno alle ore 8.00, un poliziotto penitenziario faceva accesso nell’istituto torinese e senza apparente motivo estraeva la propria arma di ordinanza, colpiva mortalmente un ispettore per poi rivolgere la stessa arma verso di sé, sparando un altro colpo. Non si conoscono ancora le ragioni del terribile gesto. Il Si.N.A.P.Pe, di fronte a questa ennesima tragedia, esprime tutta la propria vicinanza alle famiglie dei colleghi coinvolti. Mastrulli (Coo.sp): lo Stato si interroghi su questa tragedia Il Coordinamento Sindacale Penitenziario (Coo.sp) mentre piange sulla tragedia di stamattina nel carcere di Torino, chiede allo Stato di interrogarsi. "Il penitenziario Lorusso Cotugno - commenta Domenico Mastrulli, segretario generale nazionale del Coo.sp - è quotidianamente provata da difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro". "Molti - aggiunge - sono i campanelli d’allarme che provengono dalle difficili insostenibili situazioni emergenziali che i penitenziari Italiani e chi lavora in queste Carceri assorbe nel più profondo drammatico colpevole silenzio". "Il Corpo della Polizia Penitenziaria oggi è in lutto - dichiara Mastrulli - con loro sono in lutto tutte le famiglie dei poliziotti vittime inconsapevoli di un sistema che grida attenzione!". Il Carcere Minorile Torino annulla festa Natale per lutto È stata annullata la Festa di Natale prevista per oggi all’Istituto minorile "Ferrante Aporti" di Torino, in seguito al "gravissimo fatto accaduto questa mattina" presso il carcere del capoluogo piemontese. "L’amministrazione della giustizia minorile - si afferma in una nota - ritiene opportuno annullare la festa ufficiale di Natale, che era in programma per oggi presso l’Istituto Ferrante Aporti, in segno di lutto e di vicinanza ai familiari e ai colleghi dei due poliziotti coinvolti nella vicenda". Osapp: direttore istituto Torino si dimetta L'Osapp il sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria dopo l'omicidio-suicidio avvenuto, oggi, nel carcere di Torino chiede le "dimissioni immediate" del direttore della struttura. "L'unica risposta concreta per riprendere la serenità lavorativa irrimediabilmente compromessa del carcere di Torino - dice il segretario generale Leo Beneduci - è che il direttore, il comandante di reparto e il vicecomandante rassegnino le proprie dimissioni da subito". Uil-Pa: Natale di lutto per la Polizia penitenziaria Quanto accaduto questa mattina a Torino renderà, inevitabilmente, molto triste il Natale di tutti gli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria. Un fatto immane, una tragedia incredibile ha funestato questo giorno. Un assistente Capo che al bar del carcere di Torino dice poche parole all'Ispettore responsabile delle attività di P.G. e poi gli punta la pistola (leggi comunicato stampa ). Quattro colpi e l'ispettore è a terra privo di vita. Per i presenti nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse succedendo e parte un altro colpo. L'omicida si spara alla tempia. Spirerà dopo qualche minuto all'ospedale. Due corpi, due cadaveri che non potranno non alimentare riflessioni sul disagio lavorativo dei baschi blu. Come sempre l'invito è quello di non alimentare polemiche artificiose e a strumentalizzare queste tragedie. Ma non si può nemmeno pretendere che esse passino sotto traccia. Ed allora proviamo a fare qualche considerazione, che non può non partire dalla difficile realtà che connota le (quasi inesistenti) relazioni sindacali all'interno della Amministrazione Penitenziaria. Da tempo tutte le OO.SS. di Torino avevano proclamato lo stato di agitazione per denunciare l'attività selvaggia della mobilità interna posta in essere dal Direttore e dal Comandante senza alcun passaggio con le rappresentanza sindacali. Solo ieri sono state convocate dal Direttore con un nulla di fatto. Venerdì 20 dicembre incontreranno il Provveditore. Ovviamente non sappiamo se la questione sarà risolta. Tantomeno possiamo prevedere se il diritto e la legittimità saranno ristabilite. Perché questo è il dato di fatto : le angherie, i soprusi e le illegittimità poste in essere da qualche Dirigente-Direttore e da qualche Comandante - padrone vengono sistematicamente ignorate (se non tollerate) dai molti Provveditori e dai dirigenti del DAP. Per costoro vige il principio dell'assoluta impunibilità, anche a fronte di fatti gravi accertati e documentati (Bolzano, Firenze, Napoli Poggioreale, Avellino, per citarne alcuni). Di contro quei dirigenti-direttori e quei comandanti-padroni non perdono occasione per redigere rapporti disciplinari nei confronti di quei subordinati che ogni giorno si caricano sulle spalle il fardello di un sistema alle deriva e ne garantiscono la linea di galleggiamento, sebbene nel mare dell'inefficienza. Da tempo, ahinoi inutilmente, avevamo cercato di sensibilizzare il Capo del DAP ed i suoi Vice sulla necessità di recuperare un rapporto con le rappresentanza sindacali. Il momento è grave. Ed in questi momenti chi detiene il peso della rappresentatività ha due opzioni : o si fa carico di percorsi di responsabilità o alimenta percorsi di mobilitazione. Noi, per storia e cultura, abbiamo scelto la prima opzione. Dapprima accettando ed alimentando una profonda riflessione sulle sorveglianza dinamica, rapportandola ad una necessaria azione di deresponsabilizzazione del personale. Ma soprattutto confidando nella linea del confronto e del dialogo annunciata, più volte, dal Capo del DAP. Confronto, in verità, appena accennato al centro ma mai decollato nelle periferie, a cui pure è stato comunicato (direi ordinato) di provvedere alle convocazioni. Abbiamo cercato di argomentare la necessità del confronto quale strumento di informazione e quale elemento di condivisione di scelte anche impopolari ma, purtroppo, necessarie ed inevitabili. Invece nulla. Nel silenzio complice di quel nuovo DAP che comincia a ripetere gli errori del passato. Quando ci si bea del nulla si sconfina nell'autoreferenzialità. Ed è quello che sta accadendo. Quel silenzio confina i responsabili, ed arma i giacobini disfattisti. Quindi nessuno si rizeli quando manifestiamo, convintamente ed unitariamente, a Milano Bollate come abbiamo fatto ieri. Ma come faremo nelle prossime settimane in tutta Italia se Tamburino e Cancellieri non daranno segnali di attenzione e di soluzione. Se è giusto, ed è giusto, lavorare per ridare dignità alla detenzione questo non può determinare un aggravio di carichi di lavoro e di responsabilità per la sola polizia penitenziaria. Per quanto ci riguarda non possiamo essere soddisfatti dell'operato del Ministro Cancellieri rispetto alle esigenze della polizia penitenziaria. La mancata previsione delle 500 assunzioni straordinarie nel Corpo, giusto per fare un esempio, sono una sua sconfitta. Personale e politica. In verità non abbiamo nemmeno conto dei contatti giornalieri con le OO.SS. come ha incautamente dichiarato ieri la Ministro a Bollate. Delle due l'una : o è una bugia o la UIL (secondo sindacato della polpen) è escluso dal circuito dei contatti della Cancellieri. Ed allora non ci si bei del nulla. Piuttosto si lavori in sinergia per quello che elementarmente può essere definito il bene comune. Noi ci siamo. Tamburino e Cancellieri, voi che dite? E che volete fare? Manfredi (Radicali): basta con le lacrime di coccodrillo Marco Pannella ci ammonisce continuamente che “Dove c’è strage di legalità c’è poi strage di vite umane”. Quanto accaduto questa mattina nel carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino ne è triste conferma. La vita e la morte di ogni persona seguono logiche del tutto uniche, spesso imperscrutabili, ma è innegabile che la tragedia di oggi nasce in un contesto, quello carcerario, in cui il non rispetto delle leggi che tutelano la persona – sia essa carcerato o carceriere – è causa costante, quotidiana, di abusi, violenze, sopraffazione e morte. La vicinanza del Natale scatenerà ora, ancora di più, buone intenzioni e lacrime di coccodrillo. Sarebbe, invece, importante se proprio da un Consiglio regionale nell’occhio del ciclone per firme false e spese pazze arrivasse un atto concreto per ridurre il danno nelle carceri piemontesi: la nomina del garante regionale delle carceri, previsto da una legge regionale approvata da uno schieramento bipartisan (senza radicali) esattamente quattro anni fa (L. R. 28 del 2 dicembre 2009). A livello nazionale, le misure che il Ministro Cancellieri porterà oggi in Consiglio dei Ministri (tra cui l’istituzione di un Garante nazionale dei detenuti) possono essere considerate anch’esse uno strumento di riduzione del danno ma non fanno assolutamente venir meno la necessità e l’urgenza di un provvedimento di amnistia o d’indulto (meglio, molto meglio la prima), come peraltro il presidente Napolitano continua a ribadire con ossessività ormai quasi pannelliana. Venezia: agente di sentinella al muro del carcere colpito e ferito da una bomba carta La Nuova Venezia, 17 dicembre 2013 Agente in servizio di sentinella al carcere di Santa Maria Maggiore centrato da una bomba carta. È successo venerdì sera, intorno alle 20. A darne notizia è il segretario provinciale della Uilpa penitenziari, Umberto Carrano, che racconta: "Nel corso di una manifestazione programmata inveivano cori di protesta verso le forze dell’ ordine e il personale di polizia penitenziaria in servizio in nel penitenziario, a un certo punto hanno iniziato a lanciare bengala e bombe carta sul camminamento del muro di cinta e una di questa bombe carta verso le 20 è esplosa all’ altezza dell’ orecchio di uno degli agenti in servizio di sentinella". La manifestazione era stata organizzata in coincidenza dell’udienza che vede alcune agenti a processo per la morte di un detenuto tunisino che nel 2010, all’età di 22 anni, era stato trovato morto impiccato nella sua cella. Manifestazioni ce n’erano state anche in passato ma, in questa occasione, accusa Carrano, i manifestanti non si sarebbero limitati a protestare e a chiedere di accertare la verità per morte del giovane tunisino. L’agente, dopo essere stato raggiunto dalla bomba carta - ricostruisce il sindacalista - è stato sottoposto alle prime cure mediche all’infermeria del penitenziario e poi portato al pronto soccorso dell’ospedale civile. "Il muro di cinta del penitenziario" accusa Carrano "si trova in condizioni pietose ed è privo di qualsiasi sicurezza per gli operatori penitenziari che vi prestano servizio, come abbiamo già segnalato e denunciato più volte. Forse per prendere provvedimenti per la sua dismissione o per la sua messa in sicurezza si aspetta che accada il peggio e poi si procederà con il da farsi. La speranza è che il governo in carica si muova per permettere alla polizia penitenziaria di svolgere il servizio in modo decoroso, e soprattutto in condizioni di sicurezza per tutti". Firenze: magliette e felpe "Piede libero", vendita on line insieme a biciclette riciclate www.gonews.it, 17 dicembre 2013 Magliette, felpe e borse. Tutte rigorosamente con il marchio "Piede libero". Sono i nuovi prodotti ideati dalla Cooperativa Ulisse insieme alla Mario Catoni Associati che si aggiungono alle biciclette recuperate da detenuti ed ex detenuti nelle officine del carcere di Sollicciano e della cooperativa in via Baccio Bandinelli. "Quando nei giorni immediatamente precedenti ai Mondiali di ciclismo presentammo il brand "Piede libero" tra gli obiettivi, oltre al recupero di vecchie biciclette ad opera di detenuti ed ex detenuti, c’era anche l’allargamento della gamma dei prodotti con il marchio "Piede libero" - sottolinea la vicesindaco Stefania Saccardi. Gli oggetti in vendita da oggi rappresentano il primo step per la creazione di una vera e propria gamma di prodotti realizzati da detenuti ed ex detenuti". Prodotti che uniscono valore sociale, si tratta infatti di un modo per favorire il reinserimento degli ex detenuti, e finalità ambientali, ovvero il recupero di mezzi abbandonati altrimenti destinati alla rottamazione. Il tutto arricchito da una grande attenzione al design e all’estetica tanto da rendere unici, e quindi ricercati, i prodotti "Piede libero". "Le magliette, le felpe e le borse che abbiamo messo in vendita sono per adesso prodotti in via sperimentale da una serigrafia - aggiunge Giovanni Autorino presidente della Cooperativa Ulisse. Se questa prima vendita ha il successo che speriamo, attiveremo borse lavoro per impiegare nelle serigrafie individuate per la produzione ordinaria detenute ed ex detenute. In questo modo contiamo di allargare il progetto, finora rivolto soltanto agli uomini, anche alle donne". Ad oggi per la cooperativa lavorano una decina di persone tra l’officina all’interno del carcere alle attività esterne (ex detenuti e soggetti svantaggiati). I prodotti sono già in vendita on line al sito www.piedelibero.it insieme, ovviamente, alle biciclette. Inoltre nei giorni di mercoledì, giovedì e venerdì uno spazio del Mercatino della solidarietà in piazza Santa Maria Novella. Tornando alle bici, i primi quindici mezzi top gamma della serie "Piedelibero" (prezzi tra 350 e 400 euro) sono esauriti ed è già stata avviata la produzione di nuovi esemplari. Procede anche la vendita delle biciclette modello basic (costo da 40-50 euro circa): "Di queste ne vendiamo una ventina la settimana - precisa Autorino - e anche queste hanno il marchio "Piede libero". Così la community si allarga come pure l’adesione a questo progetto che unisce finalità sociale, reciclo e design". Un’adesione che sta crescendo come testimoniano le richieste di preventivo arrivate alla Cooperativa Ulisse da parte di enti pubblici e aziende private per una flotta di biciclette "Piede libero". Padova: giovedì nella Casa di Reclusione al via V Congresso di "Nessuno tocchi Caino" Adnkronos, 17 dicembre 2013 "No alla pena di morte e alla morte per pena". Questo il titolo del V congresso di Nessuno tocchi Caino che si terrà giovedì e venerdì nella Casa di Reclusione di Padova, nel ventennale dalla sua fondazione, avvenuta nel dicembre del 1993. Il congresso, che si svolge in collaborazione con Ristretti Orizzonti - spiega una nota - si aprirà giovedì alle 13.30 con le relazioni del presidente, Marco Pannella, del segretario, Sergio D’Elia, e della tesoriera, Elisabetta Zamparutti, e concluderà i suoi lavori venerdì in tarda mattinata. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri interverrà al Congresso la mattina del 20 dicembre, mentre la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, terrà una relazione dal titolo "La lunga Marcia per l’Amnistia" in vista della Marcia di Natale che i Radicali hanno promosso per il 25 dicembre, a Roma. Sono previste, inoltre, relazioni di padre Guido Bertagna, Maria Antonietta Farina Coscioni, Prof. Davide Galliani, Marco Perduca, Francesco Radicioni, Giuseppe Rossodivita, Sergio Segio e Maurizio Turco. La redazione di Ristretti Orizzonti e i detenuti iscritti a Nessuno tocchi Caino interverranno al Congresso con le Relazioni di Carmelo Musumeci, Lorenzo Sciacca e Bruno Turci. Porteranno il saluto al congresso Giancarlo Galan, presidente della Commissione Cultura della Camera, Gianluca Pecchini, direttore generale della Nazionale cantanti, don Albino Bizzotto, presidente di Beati i Costruttori di Pace, Annamaria Alborghetti, presidente camera penale di Padova e Anna Pia Saccomandi, segretaria conferenza nazionale Volontariato Giustizia. Firenze: il 20 dicembre seminario del Garante dei detenuti su situazione delle carceri met.provincia.fi.it, 17 dicembre 2013 L’appuntamento è per venerdì prossimo 20 dicembre dalle ore 9.30 in palazzo Bastogi. Intervengono Franco Corleone, il presidente Alberto Monaci e l’assessore al Diritto alla salute Luigi Marroni. Le condizioni in cui vivono i detenuti in Italia sono di assoluta emergenza, tanto da aver procurato una condanna della Corte europea. Per fare il punto su quali siano la situazione attuale e le prospettive future è stato organizzato un seminario dal titolo "Il carcere a giudizio". L’appuntamento, promosso dal Consiglio regionale della Toscana, dal Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Toscana e dalla Fondazione Giovanni Michelucci, è per venerdì prossimo 20 dicembre dalle 9.30 alle 14, nella sala delle Feste di palazzo Bastogi in via Cavour 18 a Firenze. Dopo l’apertura dei lavori affidata al presidente del Consiglio Alberto Monaci e all’assessore regionale al Diritto alla salute Luigi Marroni, sono previste la presentazione del libro "Il carcere al tempo della crisi" da parte di Alessio Scandurra (Fondazione Michelucci) e la relazione di Franco Corleone, garante regionale dei diritti delle persone detenute della Toscana, dal titolo "La lotta contro il tempo. La Toscana lancia la sfida della riforma?". Sono previsti inoltre relazioni e interventi di esperti e addetti ai lavori, nonché un dibattito finale. Le conclusioni sono affidate ad Alessandro Margara, già garante regionale dei diritti delle persone detenute. Rimini: così la Casa Circondariale di Rimini esprime la propria vicinanza ai bambini… Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2013 Per le prossime festività natalizie la Casa Circondariale di Rimini esprimerà la propria vicinanza ai bambini attraverso due iniziative che si svolgeranno il 18 dicembre. La prima: il personale di Polizia penitenziaria e amministrativo, hanno deciso di devolvere il "buono befana" concesso dall’Amministrazione per i figli dei dipendenti, in favore dei bambini ricoverati presso l’Unità di Pediatria Oncoematologica dell’Ospedale "Infermi" di Rimini. L’iniziativa, sorta spontaneamente, ha raccolto numerosissime adesioni, anche tra coloro che non potendo contribuire offrendo il "buono befana" hanno partecipato economicamente all’iniziativa. Sono stati acquistati numerosissimi giocattoli e apparecchiature elettroniche che verranno donati, in data 18 dicembre 2013, ai piccoli pazienti del reparto pediatrico oncoematologico di Rimini. Il contributo donato è un ringraziamento all’impegno dello staff della Pediatria di Rimini e ai loro piccoli pazienti affetti da alcune malattie croniche dell’infanzia, malattie che coinvolgono nel loro percorso terapeutico, oltre ai bambini, i loro parenti e tutto il personale sanitario che quotidianamente li assiste con cure e attenzioni particolari. Ma questi riconoscimenti rimangono finì a sé stessi senza l’impegno delle persone, senza gli strumenti e le strutture adatte a svolgere un compito così importante con professionalità e sempre nei pieno rispetto dì tutti i soggetti coinvolti. Per quanto sopra, il personale interessato, ha dichiarato la propria disponibilità a partecipare all’iniziativa, rinunciando ad offrire regali ai propri figli per donarli a bambini in momenti delia vita molto difficili: la spensieratezza di questi bambini è la risposta più bella e positiva a tutte le difficoltà. La seconda: sempre mercoledì 18 dicembre si effettuerà, come negli anni scorsi, la visita di Babbo Natale ai figli dei detenuti, presso la sala colloqui del nostro Istituto. Sicuramente porterà un regalo per ogni bimbo che passerà un po’ di tempo con il suo papà. Gioia, serenità e calore sono garantiti. Anche Babbo Natale ci aiuta, insieme a molti volontari e al comune di Rimini, a perseguire l’obiettivo che ci siamo posti quest’anno che mira a facilitare la genitorialità in carcere. La Direzione della Casa Circondariale Ancona: Associazione Casa delle Culture; detenuti e detenute presentano il libro "Lettere" www.vivereancona.it, 17 dicembre 2013 Mercoledì 18 dicembre, ore 18.30, la Casa delle Culture di Ancona ospita i detenuti e le detenute della Casa Circondariale di Pesaro, a presentare il libro Lettere. Parole da dentro, frutto del laboratorio di scrittura creativa all’interno del carcere promosso dalla Cooperativa "L’Officina". Lettere, parole da dentro è l’ultima raccolta di scritti e poesie che condensano il lavoro annuale dei detenuti e delle detenute della Casa Circondariale di Pesaro che, mercoledì 11 dicembre, ore 18.30, alla Casa delle Culture, ex-mattatoio, via Vallemiano 46, saranno presenti come autori, nell’ambito della rassegna Ebbri di libri, progetto Cosmoteca. Il libro è frutto del laboratorio di scrittura creativa della Cooperativa L’Officina che promuove la lettura, la scrittura, la creatività all’interno delle carceri. Il Tema del percorso 2013 che ha portato alla pubblicazione di questo libro è "Scrivere e ricevere lettere", lettere a qualcosa che se n’è andato e a qualcosa che rimane, lettere alla vita, lettere alla libertà, lettere all’amicizia, alla bellezza, all’anima, alla parola, alla stanza incarcerata. Con questo libro uomini e donne del nostro tempo si ritrovano nell’essenza del cercare parole che possano oltrepassare le mura insieme ai fogli di carta, e avvicinare attraverso la scrittura il mondo esterno, ancora ricco di pregiudizi nei confronti del mondo carcerario. Insieme agli autori e le autrici saranno presenti: Alberto Ramundo: poeta, scrittore, formatore, direttore di teatro e fondatore della Casa Editrice L’Officina. Ha pubblicato raccolte di poesie. Giulietta Cardellini: direttore editoriale della Casa Editrice L’Officina. Paolo Ettore Vachino: poeta, scrittore, editorialista di inserti culturali, collabora con riviste letterarie e dà vita a incontri di lettura, è conduttore di corsi di scrittura creativa in alcune officine letterarie in diverse città italiane. Ha pubblicato raccolte di poesie. Monia Caroti: scrittrice, conduttrice di corsi di auto mutuo aiuto presso la Casa Circondariale di Pesaro, collabora con il garante dei diritti dei detenuti. Enrichetta Vilella: pittrice e Direttrice dell’area pedagogica della casa Circondariale di Pesaro. Marco Nocchi: sociologo, autore di testi teatrali, responsabile dell’area "prevenzione disagio sociale e dipendenze patologiche" presso il Servizio Politiche Sociali della Regione Marche. Esperto dei processi d’integrazione socio-sanitaria e di modelli organizzativi integrati. Consulente e relatore in convegni internazionali relativi a progetti nell’ambito di servizi sanitari, promozione della salute e cooperazione internazionale. Docente in corsi di formazione presso l’Università Politecnica delle Marche. Marcello Pesarini: scrittore, impegnato in ambito sociale da molti anni collabora e coordina organizzazioni nazionali ed internazionali per la salvaguardia dei migranti e la tutela dei diritti dei detenuti. Modena: Sappe; internato aggredisce agenti nella Casa Lavoro di Castelfranco Adnkronos, 17 dicembre 2013 "Sabato scorso, nella casa di lavoro di Castelfranco Emilia, a Modena, un internato è stato trovato privo di sensi all’interno della sua cella e immediatamente soccorso dalla polizia penitenziaria. Subito dopo è stato sottoposto alle cure dei medici in ospedale. Al rientro lo stesso detenuto ha aggredito un sovrintendente e un agente della polizia penitenziaria". È quanto denunciano Donato Capece, segretario generale del Sappe e Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto dello stesso sindacato dei baschi azzurri. "Ci riferiscono che si tratta di una persona tossicodipendente e non conosciamo al momento le ragioni del malore - proseguono i due sindacalisti del Sappe - nella casa di lavoro gli internati sono 90, per una capienza di circa 50 posti. Molti di questi hanno problemi di natura psichiatrica". "Encomiabile - sottolineano Capece e Durante - il lavoro del personale di polizia penitenziaria che continua ad operare con scarse risorse e sotto organico. Ricordiamo che a causa dei tagli proposti nella legge di stabilità perderemo, nei prossimi tre anni, circa 2.000 agenti a livello nazionale, che andranno ad aggiungersi agli oltre 7.000 che già mancano". Caltanissetta: libro dei detenuti di Gela... la poesia non ha catene Ansa, 17 dicembre 2013 Si intitola "La poesia non ha catene" il libro realizzato dai detenuti del carcere di Gela, che in 115 pagine hanno raccolto alcune loro lettere e i versi con cui, durante la detenzione, hanno voluto descrivere il proprio stato d’animo, certi momenti di riflessione, la voglia di perdono, di riscatto e di reinserimento sociale. Il volume, presentato oggi nella casa circondariale di Gela, è stato pubblicato con gli auspici del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e con la collaborazione e il sostegno finanziario della comunità di Sant’Egidio, nell’ambito di un progetto di formazione denominato "scrittura creativa" coordinato da Viviana Savarino. Nella raccolta si passa dalla classica "lettera alla mamma" alla richiesta di perdono di un padre-detenuto ai figli ("chiedo scusa a voi per quello che ho fatto"); dalla speranza verso la libertà e verso una nuova vita, al "cosa vorrei da me stesso". "Il Dap - ha detto Angelo Belfiore, direttore dell’istituto penitenziario - vuole fare del carcere di Gela oltre che un luogo di pena un centro di rieducazione e di riscatto, in una scelta di legalità. Se la società esterna si farà carico di questo impegno sarà un proficuo investimento". Il parroco della chiesa S. Lucia, don Luigi Petralia, ha allora sollevato il problema del lavoro per quanti, finito di scontare la pena e tornati in libertà, risulterebbero "socialmente deboli e indifesi". "Bisogna rivedere i protocolli di legalità nel sistema degli appalti - ha detto il sacerdote - perché essi non contemplano aperture al reinserimento sociale e occupazionale degli ex carcerati; spetta alle istituzioni provvedere". Tra i detenuti-scrittori c’è il 38enne Bruno Di Giacomo, che sta per finire di scontare la condanna a 20 anni per omicidio e che è riuscito a diplomarsi (geometra) e a iscriversi all’università. "Il carcere mi ha cambiato - ha detto ai cronisti - a marzo spero di iniziare un’altra vita". Verona: grande musica per i detenuti studenti del carcere di Montorio Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2013 Si è tenuto ieri, presso il carcere di Montorio, il concerto di Natale riservato alla popolazione detenuta che frequenta corsi scolastici. A cura di un ensamble di musicisti, professori d’orchestra della Fondazione Arena, e di una straordinaria voce soprano, su musiche di Vivaldi, Mozart, Boccherini, Paganini, è stato possibile offrire "un tempo" di libertà", come lo ha definito uno dei presenti, concludendo anche il ciclo di lezioni tenuto nelle scorse settimane proprio dai Maestri Viktor Csanyi, Alberto e Francesco Danelon. Presenti il direttore, dr Mariagrazia Bregoli, la direttrice del Ctp Carducci, dr Luciana Marconcini e la Responsabile delle attività Uepe, dr Mariateresa Cacciatori, il corpo insegnante. educatori e assistenti sociali. Una colazione in piedi, preparata dagli studenti del primo anno del corso alberghiero dell’istituto Berti ha concluso una mattinata di suoni, parole augurali, strette di mano e molti "tornate". Margherita Forestan, Garante dei diritti delle persone detenute, che a tutto ciò ha dato vita ha concluso con un grazie collettivo "archi, clarinetti e arie ci hanno offerto suoni e parole ricchi di messaggi e per qualcuno di memorie, emozioni che accompagneranno sicuramente a lungo chi ha potuto partecipare a questa emozionante mattinata". Santa Lucia non dimentica il carcere di Montorio Con un carico di giocattoli, di dolci, accompagnata dal suo fido gastaldo e con l’inseparabile asino, Santa Lucia ha fatto una lunghissima sosta anche al carcere di Montorio per incontrare gli oltre 50 bambini in visita ai genitori detenuti. Un sabato speciale che rientra nel progetto dei "sabati dei bambini", solitamente l’ultimo del mese, che in questo dicembre avrà un doppio turno: Santa Lucia e sabato 21. Sono ore di giochi, di chiacchiere, di musica, di spettacoli, di pranzi insieme che vengono gestiti dagli operatori di Essere Clown Verona Onlus, dal personale della Polizia Penitenziaria, dalla direzione del carcere che sostiene e incentiva ogni azione volta a favorire questi incontri. "Un grazie va alla Fondazione Biondani Ravetta per il contributo a sostegno di queste attività, all’Associazione La Fraternità che nell’occasione di Santa Lucia ha provveduto a garantirne la presenza. Ogni azione volta a favorire il mantenimento delle relazioni famigliari ed accrescerle in presenza di difficoltà quali quelle generate dalla carcerazione di un congiunto - commenta Margherita Forestan - garante delle persone private della libertà personale - trova sempre l’appoggio incondizionato di istituzioni carcerarie, operatori e volontari". Augusta (Sr): concerti detenuti con coro polifonico "Brucoli Swing Brothers" www.siracusanews.it, 17 dicembre 2013 Al via da giovedì alle ore 17.30 i concerti per pubblico interamente esterno della Brucoli swing brothers band presso la sala teatro del carcere di Augusta. Ad esibirsi saranno i detenuti del coro polifonico dell’istituto diretti da Maria Grazia Morello. Sarà un’altra tappa dell’operazione carcere e territorio dopo la rappresentazione teatrale " Quel bandito sono io " ed i concerti estivi all’aperto a cui hanno assistito 1.200 spettatori esterni, autorità, attori, cittadini comuni, studenti. I concerti saranno l’occasione per raccolta fondi per l’acquisto di generi di pulizia e di vestiario per detenuti indigenti. Oltre settecento persone sono state già autorizzate ad assistere agli spettacoli, che si svolgeranno in due date, il 19 ed il 20 sempre alle ore 17.30 . il concerto inizierà con un Tribute To Madiba, ricordo di Nelson Mandela, con il brano Pata Pata di Miriam Makeba, che pagò con l’esilio la sua opposizione al regime di Apartheid. Televisione: domani a "Pane quotidiano" (Rai 3) lo sport oltre le sbarre Tm News, 17 dicembre 2013 Giocano nel campionato di serie C. Sono 25 giocatori tra i 25 e i 35 anni, detenuti di massima sicurezza della casa circondariale di Frosinone. Sono i "Bisonti": quando il rugby regala una seconda possibilità. Martedì 17 dicembre, alle 12.45 su Rai3, ne parlano a "Pane quotidiano", condotto da Concita De Gregorio, Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, e Alejandro Villalon, allenatore. Polonia: Cicchitto chiede all’ambasciatore polacco di trovare soluzione per tifosi laziali Adnkronos, 17 dicembre 2013 Il presidente della commissione Affari esteri e comunitari della Camera, Fabrizio Cicchitto, ha ricevuto stamane a Montecitorio l’ambasciatore della Repubblica di Polonia, Wojciech Ponikiewski, per uno "scambio di valutazioni sui temi all’ordine del giorno dell’imminente Consiglio europeo, anche alla luce del vertice bilaterale svoltosi all’inizio del mese". Cicchitto, si legge in una nota, ha colto l’occasione per "ribadire al diplomatico polacco il profondo rammarico per il trattamento riservato ai tifosi laziali a Varsavia, mettendo in evidenza come in analoghe circostanze verificatesi a Roma le conseguenze subite dai tifosi polacchi siano state assai più lievi ed auspicando pertanto una rapida soluzione positiva della vicenda con il rientro in patria dei connazionali ancora detenuti, anche in vista delle festività natalizie". Iran: Human Rights; rischia esecuzione giovane che commise omicidio da minorenne Aki, 17 dicembre 2013 È a rischio imminente di esecuzione un giovane iraniano di 23 anni, Mohammad Reza Haddadi, condannato a morte in Iran per un omicidio commesso quando era minorenne. A lanciare l’allarme è Iran Human Rights (Ihr), un’Ong con sede a Oslo che si batte contro la pena di morte nella Repubblica islamica. Secondo Ihr, Haddadi è stato condannato a morte nel 2004 per un crimine commesso quando aveva solo 14 anni. Nel luglio dell’anno successivo la Corte Suprema ha confermato la condanna. Da allora l’esecuzione è stata rinviata quattro volte. Il giovane si trova rinchiuso nel carcere Adelabad di Shiraz, nell’Iran centrale. Il portavoce di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha rivolto un appello alla delegazione del Parlamento Ue attualmente in visita in Iran perché "metta nell’agenda" dei colloqui con le autorità locali la questione delle "esecuzioni di minorenni" e "faccia tutto il possibile per salvare Mohammad Reza Haddadi". Stati Uniti: in Florida, rischia l’esecuzione dopo 38 anni nel braccio della morte Corriere della Sera, 17 dicembre 2013 Askari Abdullah Muhammad, al secolo Thomas Knight, è stato condannato a morte in Florida, nel 1975, per l’omicidio dei coniugi Sydney e Lillian Gans avvenuto nel 1974 nei pressi di Miami. Nel braccio della morte, otto anni dopo, ha ucciso una guardia carceraria, James Burke, e ha ricevuto un’ulteriore condanna a morte. Dall’anno della prima condanna a morte di Askari Abdullah Muhammad, decine di paesi hanno abolito la pena capitale, mentre negli Usa sono state eseguite oltre 1350 sentenze - alla fine del 2013 potrebbero essere una quarantina - di cui 81 in Florida. Nel 1988, la Corte d’appello dell’11° Circuito revocò la condanna a morte del 1975 per la scarsa considerazione in cui erano state tenute le prove attenuanti, circa lunga storia di grave malattia mentale di Askari Abdullah Muhammad: ricoverato in ospedale nel 1971, aveva seguito terapie per i primi stadi di schizofrenia, per poi ricevere una diagnosi di schizofrenia paranoide prima del processo del 1975. Durante il processo, un esperto aveva concluso che l’imputato fosse incapace di intendere e di volere al momento del crimine, mentre altri tre esperti avevano dichiarato che non lo fosse, ma che soffrisse comunque di disordini mentali. La Corte d’appello stabilì che lo stato, "in un tempo ragionevole", avrebbe dovuto emettere una nuova sentenza oppure imporre una pena inferiore a quella capitale. Per otto anni questa sentenza non venne emessa. Nel frattempo, le condizioni di Askari Abdullah Muhammad nel braccio della morte erano peggiorate: una perizia lo aveva definito "uno schizofrenico paranoide" e "un uomo con un grave problema psichiatrico, per il quale si rendono necessarie opportune terapie mediche e farmacologiche". Poi ci fu l’omicidio Burke e la seconda condanna a morte, seguita da un nuovo processo per l’omicidio dei coniugi Gans, conclusosi nel 1996 con la conferma della precedente sentenza. Il balletto di sentenze è proseguito anche in questo secolo. Nel 2001 la condanna a morte per l’omicidio Burke è stata annullata in quanto l’accusa aveva ignorato le prove che indicavano che Askari Abdullah Muhammad soffrisse di una grave malattia mentale al momento dell’uccisione della guardia penitenziaria. In seguito, la Corte suprema della Florida ha riconfermato la condanna affermando che la presunta negligenza da parte dell’accusa non avrebbe comunque cambiato l’esito del procedimento. Veniamo al 2013, 38 anni dopo la prima condanna. Il 21 ottobre, il governatore della Florida Rick Scott ha firmato un mandato di esecuzione per il 3 dicembre. Quel giorno l’esecuzione è stata sospesa dalla Corte suprema, almeno fino al 27 dicembre. Entro quella data un tribunale di grado inferiore dovrà tenere un’udienza probatoria sul protocollo di revisione del metodo di esecuzione adottato nel settembre 2013. Il tema dei nuovi protocolli per l’esecuzione con l’iniezione di veleno è oggetto di costante dibattito, e di sentenze controverse. Nel nuovo metodo di esecuzione, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha sostituito il pentobarbital, primo dei tre farmaci nel procedimento, con il midazolam, un’altra tipologia di anestetico che si suppone debba indurre lo stato di incoscienza prima che gli altri due farmaci, che provocano paralisi e arresto cardiaco, possano essere iniettati. Gli avvocati di Askari Abdullah Muhammad hanno messo in discussione l’efficacia del midazolam, utilizzato finora in sole due esecuzioni in Florida. Se la corte delibererà contro di lui, una nuova data di esecuzione potrebbe essere fissata già per la prima settimana di gennaio 2014. "Esprimo solidarietà alla famiglia e agli amici di Sydney e Lillian Gans e di James Burke. Non è mia intenzione minimizzare le circostanze della loro morte o sottovalutare la sofferenza che ne è conseguita. Tuttavia, ritengo che la pena di morte abbia come unico effetto l’alimentazione di un doloroso ciclo di violenza". Questo è il testo dell’appello di Amnesty International, indirizzato al governatore della Florida, cui si chiede di fermare l’esecuzione di Askari Abdullah Muhammad. Turchia: no a richiesta liberazione deputati Partito pace e democrazia, Ayhan e Yildirim Nova, 17 dicembre 2013 L’Alta Corte penale di Diyarbakir ha respinto la richiesta del pubblico ministero di scarcerare i deputati del Partito per la pace e la democrazia, Ibrahim Ayhan e Gulser Yildirim. Lo riferisce il sito del quotidiano d’informazione "Zaman". La richiesta era stata effettuata anche in seguito alla decisione di rilasciare il deputato del Partito Repubblicano del popolo turco (Chp) Mustafa Balbay. Per lo stesso motivo sono arrivate anche altre richieste di liberazione da parte di altri deputati condannati come il Partito del Movimento Nazionalista, Engin Alan. "Non c’erano informazioni sufficienti o argomenti validi per giustificare la detenzione del deputato del Partito Repubblicano del popolo turco (Chp) Mustafa Balbay", ha affermato la settimana scorsa la Corte costituzionale della Turchia, pubblicando sulla gazzetta ufficiale le motivazioni della scarcerazione del deputato. Secondo quanto si legge nelle motivazioni della Corte, la prigionia di Balbay ha violato i suoi diritti costituzionali. Il deputato era stato condannato nel processo Ergenekon con l’accusa di aver pianificato un colpo di stato contro il governo e condannato a 34 anni di carcere nel mese di agosto. Nell’ambito del processo Ergenekon, il tribunale di Istanbul ha comminato, lo scorso 5 agosto, pesanti condanne al carcere nei confronti degli ex ufficiali e altri cittadini turchi coinvolti. Nel processo sono stati condannati al carcere a vita il giornalista Tuncay Ozkan, i generali in pensione Veli Kucuk, Hursit Tolon, Hasan Ataman Yildirim, Hasan Igsiz e Nusret Tasdelen, i colonnelli in pensione Fikri Karadag, Fuat Selvi, il leader del Partito dei lavoratori Dogu Perincek e l’avvocato Kemal Kerincsizm. Il tribunale ha comminato una sentenza pesante anche per Alparslan Arslan, noto per aver ucciso il membro del Consiglio di stato, Mustafa Yucel Ozbilgin. L’ex presidente della Camera di commercio, Sinan Aygun, è stato invece condannato a 13 anni e sei mesi di carcere. Condanna pesante anche per il colonnello in pensione Arif Dogan che dovrà scontare 47 anni: quest’ultimo, insieme al generale Kucuk, è stato accusato di aver fondato e guidato un’organizzazione terroristica e di aver cercato di rovesciare il governo. Il tribunale ha condannato il tenente colonnello Mustafa Donmez a 49 anni di carcere, mentre lo scrittore Yalcin Kucuk dovrà scontare una pena di 22 anni e sei mesi di carcere. Fra le persone coinvolte nel caso Ergenekon ci sono anche l’ex direttore del Consiglio nazionale dell’istruzione, Kemal Guruz, che è stato condannato a 13 anni e undici mesi, lo storico Mehmet Perincek a sei anni e il presunto capo mafia Sedat Peker a dieci anni. I giornalisti Erol Manisali e Guler Komurcu sono stati condannati, rispettivamente, a nove e sette anni e sei mesi, mentre allo scrittore Ergun Poyraz è stata comminata una condanna di 29 anni e quattro mesi. I dirigenti del Partito dei lavoratori, Hayrettin Ertekin e Hikmet Cicek dovranno scontare 16 e 21 anni e nove mesi, mentre il rappresentante legale del partito Emcet Olcaytu 13 anni e due mesi. L’ex capo della polizia, Adil Serdar Sacan, è stato condannato a 14 anni di prigione, mentre l’ex sindaco del distretto Esenyurt di Istanbul, Gurbuz Capan, sconterà la pena di un anno. Il generale in pensione Ismail Hakki Pekin è stato condannato a sette anni, il giornalista Adnan a sei, mentre sono 21 i sospettati che sono stati assolti dalle accuse. Il procedimento è stato archiviato per tre sospetti che sono deceduti durante il corso delle indagini. Il vicepresidente del Partito repubblicano del popolo, Mehmet Haberal, precedentemente condannato a dodici anni e sei mesi è stato rilasciato: Haberal ha infatti concluso il suo periodo di reclusione. Il caso Ergenekon rientra nella disputa, in corso dal 2002, tra le forze armate turche, baluardo della laicità del paese, e il governo filo-musulmano di Erdogan. Come riferisce il quotidiano "Hurriyet", nella seconda metà del secolo scorso in Turchia si sono verificati tre colpi di stato militari. Dal 2002, il partito di governo "Giustizia e sviluppo" si è costruito un’ampia maggioranza in parlamento, ha riformato il sistema giudiziario e usato la sua autorità, rafforzata dal successo economico del paese, per ridurre il potere dei militari. Il processo Ergenekon è iniziato nel 2008 con 275 imputati, 66 dei quali si trovavano in carcere in attesa di verdetto. Tra le persone accusate di far parte del gruppo Ergenekon vi sono, oltre ai militari, esponenti politici, accademici e giornalisti. Kazakhstan: caso Shalabayeva; Procura Roma acquisisce intervista a "Report" Adnkronos, 17 dicembre 2013 La Procura della Repubblica di Roma ha acquisito copia del programma Report andata in onda il 25 novembre scorso riguardante l’inchiesta in corso sulle presunte irregolarità avvenute nel rimpatrio in Kazakhstan di Alma Shalabayeva moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov che attualmente detenuto in Francia. La decisione del pubblico ministero Eugenio Albamonte deriva dal fatto che il magistrato vuole chiarire se nella vicenda come è stato ventilato nell’intervista di Report possa avere avuto un ruolo l’Eni. Ruolo di cui ha parlato una persona intervistata. Il programma di indagine prevede una serie di attività e tra queste la convocazione del giornalista che ha raccolto le dichiarazioni. non è escluso che possano essere anche ascoltati l’ad dell’Eni Paolo Scaroni e altri dirigenti. Nel fascicolo dell’indagine il pm Albamonte ha anche messo la denuncia per diffamazione presentata dall’Eni contro Report tramite l’avvocato Carlo Federico Grosso. L’inchiesta sull’espulsione della Shalabayeva e di sua figlia Alua di 6 anni vede già indagati l’ambasciatore del Kazakistan in Italia Adrian Yalemehsov e l’addetto agli affari consolari Yerzhan Yessirkepov. Stati Uniti: due detenuti di Guantanámo trasferiti in Arabia Saudita, ne restano 160 Tm News, 17 dicembre 2013 Gli Stati Uniti hanno rimpatriato due cittadini sauditi detenuti nel campo di prigionia di Guantánamo, creato dall’allora presidente George W. Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Lo ha reso noto il Pentagono. "Il dipartimento della Difesa ha annunciato il trasferimento di Saad Muhammad Husayn Qahtani e di Hamood Abdulla Hamood dal centro di detenzione della baia di Guantánamo al governo dell’Arabia Saudita" ha affermato il Pentagono, precisando che, con la partenza dei due prigionieri, il numero di detenuti nella prigione è sceso a centosessanta. "Gli Stati Uniti si sono coordinati con il governo dell’Arabia Saudita per controllare che i trasferimenti rispettino la nostra politica di trattamento umano e che abbiano luogo nel quadro di una sicurezza adeguata" ha aggiunto Washington. Paul Lewis, l’uomo incaricato dal presidente Barack Obama della chiusura di Guantánamo, si è felicitato "dei progressi reali" nel trasferimento dei prigionieri, nonostante "le pesanti restrizioni legislative" e ha garantito il suo impegno "per facilitare altri trasferimenti". L’ottimismo cresce, visto che la Camera ha ammorbidito le restrizioni per il trasferimento all’estero dei detenuti di Guantánamo, ora al vaglio del Senato. Alla fine del quinto anno alla Casa Bianca di Obama, che aveva promesso di chiudere il carcere già nel suo primo mandato, restano 160 persone nel carcere di Guantánamo, dove sono stati tenuti 779 presunti terroristi. La maggior parte dei prigionieri è nel campo di prigionia da una dozzina di anni, senza un’incriminazione e senza un processo. Circa venti detenuti sono accusati di legami con al-Qaida e dei peggiori attentati compiuti dalla rete terroristica, compresi quelli dell’11 settembre 2001, e per questo considerati prigionieri "di grande valore". Ma molti prigionieri sono "liberabili", secondo i criteri dell’amministrazione Obama, perché non esistono prove contro di loro. Nei giorni scorsi, anche il primo comandante della prigione, il generale Michael Lehnert, ha dichiarato che "è arrivato il momento di chiudere Guantánamo". "A posteriori, tutta la strategia di detenzione e interrogatori è stata sbagliata" ha scritto sul Detroit Free Press. Dieci giorni fa, invece, si era creata una polemica per la decisione del Pentagono di rimpatriare contro la loro volontà due algerini detenuti a Guantánamo. Ecuador: polizia a caccia di decine di detenuti evasi da centro di detenzione della capitale Ansa, 17 dicembre 2013 È caccia all’uomo a 360 gradi a Quito, in Ecuador. Si tratta per la precisione di una caccia a 56 uomini, detenuti evasi da un centro di detenzione della capitale. Il Ministero di Grazia e Giustizia sottolinea che nessuno dei prigionieri rappresenta un pericolo per i cittadini. I detenuti sono fuggiti durante il cambio di turno delle guardie del centro.