Giustizia: caro Renzi, sulle carceri ascolta il Papa… bisogna agire prima che sia troppo tardi di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 14 dicembre 2013 L’Europa ci ha ripreso più volte e continua a farlo incessantemente. Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato la politica ad agire. I Radicali non smettono di fare della loro battaglia un credo e adesso anche Papa Francesco invoca una soluzione immediata per la “vergogna” delle carceri italiane. Condizioni inumane, degradanti, quelle vissute in celle troppo strette da tanti detenuti arrestati nel nostro Paese. Una vera e propria emergenza che ieri è finita nel discorso del Santo Padre sul tema “Fraternità, fondamento e via per la pace”. Bergoglio ha sottolineato con forza le “condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto”. Un messaggio di denuncia e di fiducia che dovrebbe arrivare al cuore di tutti, e che tuttavia, rischia di cadere ancora una volta nel vuoto. Preoccupa, infatti, sentir parlare in certi termini quella che dovrebbe essere la “nuova” classe dirigente politica. Il riferimento è alla responsabile Giustizia del Pd, Alessia Morani, che ha totalmente frainteso il senso di provvedimenti come “amnistia e indulto”, sostenendo che “non risolvono il problema del sovraffollamento carcerario e creano nei cittadini l’idea che non esistono pene certe e fanno venire meno la funzione fondamentale del carcere, cioè la rieducazione”. Sarebbe bello che la giovane Morani ci spiegasse come si può, secondo lei, perseguire l’obiettivo del reinserimento sociale in celle anguste, in carceri fatiscenti, senza uomini e mezzi a disposizione a tal punto da far diventare anche l’ora d’aria un privilegio per pochi. Le parole di Papa Francesco toccano il cuore e non solo: aprono la porta alla discussione di un problema che non deve riguardare solo pochi, interessa tutti. Un’opinione, quella della responsabile Giustizia del Pd, che rispecchia anche quella abbracciata dal neosegretario democratico Matteo Renzi. La mia speranza, dopo il discorso di Bergoglio, è che il sindaco di Firenze possa cambiare idea: del resto ad esprimersi è stata un’autorità religiosa, super partes rispetto alle beghe politiche, merita ascolto. A Renzi non chiedo tanto, se non di soffermarsi a riflettere in maniera obiettiva sulla situazione emergenziale dei nostri penitenziari. A lui va la preghiera di non esprimersi prima di aver fatto qualche visita approfondita in un carcere. Ne basta uno qualunque, perchè il problema esiste ed è condiviso da nord a sud del Paese. Il provvedimento di amnistia è necessario, lo scoprirà certamente anche il segretario del Pd, ma comunque rappresenta solo il primo passo. Sul fatto che la Giustizia vada riformata da cima a fondo per evitare la lentezza atavica dei processi e i casi “alla Tortora” - come Ambrogio Crespi ha ben raccontato nel suo documentario “Enzo Tortora, una ferita italiana” - siamo tutti d’accordo. E tuttavia l’una via non esclude l’altra, sono due strade obbligate per arrivare allo stesso obiettivo. Se nonostante tutto questo discorso e le parole eloquenti di Papa Francesco non si fosse creato un varco nel cuore e nella mente di Morani e Renzi mi affido agli esempi tangibili, alla dura cronaca che racconta di morti in cella, dell’aumento del numero di suicidi tra detenuti ed agenti di polizia penitenziaria, al di sopra di ogni media accettabile. Infine, se nemmeno questo bastasse, le mie parole diventerebbero superflue. Preferisco, quindi, lasciare spazio a chi questo incubo di cemento e sbarre lo ha vissuto sulla sua pelle. Di seguito parte della testimonianza di un detenuto della Casa Circondariale “Due Palazzi” tratta dal sito Ristretti Orizzonti. “Mi ritrovai in una cella angusta con i sanitari a vista, a meno di un metro dal letto che, sporgendo, impediva l’apertura completa della finestra. Era una delle celle dell’isolamento in cui fui segregato per alcuni giorni per ordine del giudice delle indagini preliminari. Dopo alcuni giorni, iniziai ad andare all’”aria”: un corridoio largo circa due metri e mezzo e lungo una ventina, circondato da cemento e filo spinato. Il regime di alta sorveglianza, a cui ero stato sottoposto in via precauzionale, cessò nel giro di meno di una settimana e venni “declassato” a detenuto comune. Purtroppo però, a causa del sovraffollamento, venni trattenuto nel reparto isolamento, nonostante la mia pericolosità sociale fosse stata dichiarata scemata e nonostante l’ordinanza emessa da parte del giudice. Nel frattempo tale reparto iniziò a popolarsi di altri detenuti, tanto da riempire le celle d’isolamento con tre detenuti per cella, cosa, questa, che mi pare entri in conflitto con il significato della parola isolamento, a rigore di logica. Capii però ben presto che nel mondo in cui ero entrato di logica ve ne fosse ben poca. L’acqua che fuoriusciva dal rubinetto era limacciosa, i sanitari erano fatiscenti e, per di più, non si potevano avere in dotazione i detergenti, a causa del reparto in cui illogicamente eravamo costretti a stare. Ci si poteva fare una doccia una volta alla settimana, perché l’intero braccio era pressoché sprovvisto di docce. Ben presto alcune persone detenute presso le celle contigue alla mia iniziarono a protestare e non mancarono atti di autolesionismo. Per tranquillizzare gli animi, mi ricordo che venne il comandante e ci disse che nel giro di pochi giorni saremmo stati collocati presso il reparto dei comuni”. Giustizia: nelle carceri italiane continuano le violazioni dei diritti umani di Federica Nota www.comunicareilsociale.com, 14 dicembre 2013 L’Osservatorio dei Diritti Umani ha recentemente pubblicato le nuove statistiche sullo stato delle carceri in Italia, aggiornate al 30 novembre 2013: i detenuti attualmente presenti sono 64.047, contro una capienza regolamentata di 47.649. Dunque mediamente ci sono 134 detenuti per ogni 100 posti: il tasso di sovraffollamento si attesta al 134,4%. La situazione non sembra quindi migliorare molto, nonostante si avvicini la data ultima concessa all’Italia dalla Corte di Strasburgo per porre rimedio al problema di sovraffollamento in cui versano le nostre carceri: il 27 maggio 2014. La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato numerose volte l’Italia, l’ultima sanzione è di 100.000 euro e risale al gennaio di quest’anno, per la violazione dell’art. 3 della Convenzione, secondo il quale: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti”. Se l’Italia quindi non offrirà risposte concrete incapperà in pesanti problemi economici, oltre che politici. La finalità rieducativa - e non distruttiva - del carcere è sancita dalla Costituzione. È ormai accertato che il sovraffollamento carcerario costituisce una delle principali violazioni dei diritti umani perpetuate sul territorio italiano. L’Italia sembra avvicinarsi sempre più a indecorosi primati accertati anche in Russia, Turchia, Ucraina. La situazione si fa ancora più drammatica quando vengono resi noti i dati che fotografano l’aumento delle morti in carcere: suicidi, assistenza sanitaria disastrata, decessi per cause non chiare. Nel solo anno 2013, il totale delle morti in carcere per causa incerta è salito a 145. Un suicidio ogni settimana, un morto per malattia vaga e indefinita ogni dieci giorni. Ogni anno 60 detenuti e 10 poliziotti penitenziari si tolgono la vita. Chi sbaglia paga, ma deve pagare in relazione alla pena comminata dalle istituzioni e non dai “colleghi” detenuti. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato più volte del problema delle carceri, invitando il Parlamento e il Governo ad agire. Un passaggio della lettera inviata dal Capo dello Stato alle Camere il 18 ottobre scorso: “La stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale. Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell’insensibilità e nell’indifferenza, convivendo con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari”. Nella sentenza della Corte di Strasburgo dell’8 gennaio, relativa al caso Torreggiani e altri, si legge che “la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare in futuro numerose persone”. Giustizia: Comitato #3Leggi “per le carceri serve una sessione parlamentare straordinaria” Agenparl, 14 dicembre 2013 Pubblicata oggi sul settimanale Left la lettera aperta delle Associazioni che hanno dato vita al Comitato promotore delle #3leggi su Tortura, Carcere e Droghe rivolta al Ministro della Giustizia e ai Parlamentari della Repubblica Italiana. Dopo l’attenzione istituzionale e mediatica sul carcere, prima grazie al messaggio del Presidente della Repubblica, e poi per il caso “Ligresti” pare infatti tornato il silenzio sulla drammatica situazione nelle nostre prigioni. Nel testo le associazioni ricordano che entro la primavera del 2014 l’Italia dovrà non solo dar vita ad “un organismo terzo di garanzia nei luoghi di detenzione” ma soprattutto “dare alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che è pronta a condannare per tortura l’Italia e a risarcire migliaia di detenuti per il trattamento subito nelle nostre carceri sovraffollate”. Vista l’urgenza umanitaria, sociale e politica determinata dall’inazione di Governi e Parlamenti che si sono succeduti negli anni, sono state depositate alla Camera dei Deputati quattro proposte di legge (PdL Camera 1799/1800/1801/1802 a prima firma Coccia, Migliore, Raciti e Scalfarotto) che riprendono le proposte di iniziativa popolare e contengono “provvedimenti seri ed efficaci” per risolvere in modo duraturo il problema del sovraffollamento carcerario. Le Associazioni propongono “un cambio radicale della legislazione sulle sostanze stupefacenti per smettere di reprimere i consumatori e far uscire i tossicodipendenti dal carcere; politiche di decongestionamento delle carceri a partire dall’abrogazione della legge Cirielli sulla recidiva, da un minore uso della custodia cautelare e dalla depenalizzazione di tutto ciò che riguarda l’immigrazione; l’introduzione del delitto di tortura nel codice penale; l’istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti”. Per questo propongono di “finirla con gli interventi retorici o le polemiche strumentali” e avviare una sessione parlamentare straordinaria sulle carceri che permetta di incardinare ed approvare in tempi brevi “riforme che durino nel tempo” come quelle contenute nelle #3leggi. Giustizia: Ferranti (Pd); custodia cautelare meno automatica, ma Silvio si scordi leggina per lui di Liana Milella La Repubblica, 14 dicembre 2013 Una leggina per Silvio? “Non se ne parla”. Manette troppo facili? “Devono finire gli automatismi”. Donatella Ferranti, presidente Pd della commissione Giustizia della Camera, autrice del ddl sulla nuova custodia cautelare, stoppa qualsiasi ipotesi di norme salva-Silvio. Che farà se si materializza l’emendamento per evitare l’arresto di chi ha più di 75 anni? “Se ne sente parlare, ma nessuno finora lo ha messo nero su bianco. In ogni caso, l’epoca delle leggi ad personam è finita in tutti i sensi”. È certa che non ci siano spiragli possibili nella maggioranza per evitare il carcere agli anziani per qualsiasi reato? “La norma per gli over 70 già c’è, e la custodia cautelare in carcere è consentita solo in casi di eccezionale rilevanza. Con questo ddl si sono voluti escludere gli automatismi. Ma qualsiasi divieto così insuperabile andrebbe contro il principio di ragionevolezza. Nel testo, che mi auguro sia approvato il prima possibile in aula, abbiamo già rafforzato la regola che la custodia cautelare in carcere deve essere solo l’extrema ratio e che debba essere sempre valutato il caso concreto”. La cronaca ci offre due spunti di riflessione. Le paure di Berlusconi per un arresto e la morte di Rizzoli con la destra che colpevolizza i giudici per averlo arrestato. I suoi ex colleghi pm esagerano con le manette? “Il mio attuale incarico e il fatto che non conosco gli atti processuali di nessuno dei due non mi consente di entrare nello specifico. Certo è che, se abbiamo sentito il bisogno di mettere in calendario un ddl sulla custodia cautelare in carcere e metterlo tra le priorità della commissione vorrà dire che il problema esiste e che qualcosa da modificare c’è”. Nel ddl lei insiste sul fatto che pm e gip dovranno valutare la situazione concreta e non la gravità del reato? Che significa? “Prima di decidere se arrestare o no una persona prima del processo bisognerà valutare bene e anche motivare che non ci sia un’altra misura coercitiva o interdittiva sufficiente, anche applicata insieme, che possa essere adeguata a soddisfare l’esigenza cautelare in quel caso concreto”. Tra gli alfaniani è diffusa l’idea che il suo ddl sia acqua fresca. Vorrebbero misure molto più drastiche verso pm e giudici. Pensa che la maggioranza terrà comunque? “In aula si vedrà come si comporteranno i singoli gruppi. Certo è che i relatori, Rossomando per il Pd e Sarro, ex Pdl ora in Forza Italia, si sono trovati d’accordo fino a votare quasi all’unanimità in commissione (ma la Lega era contraria, ndr.)”. Dalla nascita del governo Letta, sulla giustizia, non si è fatto granché. Molti annunci, soprattutto su un minor ricorso al carcere, ma alla fine niente di concreto. Come mai? “Noi, dalla Camera, già a luglio, abbiamo mandato a palazzo Madama un ddl importantissimo sulla messa alla prova e la detenzione domiciliare come pena principale in alternativa alla reclusione. Ma purtroppo stiamo ancora aspettando che il Senato lo approvi”. Giustizia: soltanto amnistia e indulto possono risolvere il problema del sovraffollamento di Giuseppe Maria Meloni (Movimento Clemenza e Dignità) Affari Italiani, 14 dicembre 2013 In considerazione dell’opinione diffusa che circola sulle carceri e per cui servirebbero delle riforme e non dei provvedimenti di amnistia o di indulto, giudicati del tutto inutili, è opportuno chiarire, seguendo un approccio non teorico ma meramente realistico, che le riforme, da sole, non hanno la forza di risolvere veramente l’attuale sovraffollamento delle nostre carceri. Solamente i provvedimenti clemenziali, l’amnistia e l’indulto, costituiscono, ormai, delle effettive soluzioni a questo problema divenuto enorme. Allo stesso tempo, le riforme, sotto il profilo penale e processuale penale, si rendono essenziali al fine di poter mantenere il più possibile immutate nel tempo, quelle condizioni di vivibilità delle carceri, da determinarsi a seguito degli stessi provvedimenti clemenziali. Giustizia: Telefono Azzurro; per i bambini in carcere il Natale è… il 14 dicembre! www.italynews.it, 14 dicembre 2013 Sapevi che alcuni bambini passeranno il Natale in carcere? Oltre a loro esistono poi più di 100 mila bambini su tutto il territorio italiano, che vivono in condizioni difficili perché figli di detenuti. Telefono Azzurro dedicherà il Natale a loro grazie all’impegno dei suoi volontari, a una speciale alleanza con HP e a tutti coloro che si vorranno unire. Il Natale di Telefono Azzurro è fissato per il 14 dicembre I bambini che per Natale andranno a far visita a un loro genitore in carcere sono circa 100 mila. Di questo piccolo esercito di ragazzi che vivono in condizioni affettive e anche economiche molto difficili si parla poco. Telefono Azzurro ha scelto di dedicare questo Natale a loro chiedendo l’impegno delle aziende del territorio e di tutti quelli che hanno a cuore questa emergenza. L’impegno di Telefono Azzurro in questo campo è nato nel 1993 con il progetto “Bambini e Carcere”, sviluppato in collaborazione con il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e con l’obiettivo di tutelare i minori che entrano in contatto con la realtà penitenziaria. Il progetto prevede la creazione di spazi e di tempi a favore dei minori con l’obiettivo di instaurare un clima sereno e accogliente e di facilitare la relazione tra bambino e genitore detenuto. L’anno scorso Telefono Azzurro ha raggiunto con il suo supporto oltre 10mila bambini. Per l’Associazione il Natale per tutti sarà il 14 dicembre (a Treviso il 20 e a Roma il 21), grazie al progetto Rimettili in gioco. Il progetto prevede di portare un giocattolo al numero più alto possibile di bambini che ha uno o entrambi i genitori in carcere. Per farlo sono stati allestiti centri di raccolta nelle principali città, dove tutti potranno portare un gioco in dono. I volontari di Telefono Azzurro si occuperanno poi di distribuirli negli Istituti di detenzione in cui l’associazione è presente con progetti di aiuto e sostegno ai bambini figli di detenuti. Per saperne di più e scoprire il centro di raccolta Telefono Azzurro più vicino è stato attivato un numero verde 800.090.335, si può seguire l’hashtag su Twitter e Facebook #rimettilingiocoo basta scrivere una mail a: coordinamentovolontari@azzurro.it. Le città coinvolte al momento sono: Albenga, Bari, Biella, Cerignola, Firenze, Iesi, Lavagna, Massa, Martina Franca, Milano, Napoli, Novara, Padova, Palermo, Quarrata, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso. “Siamo sempre stati vicino a tutte le problematiche dei bambini con genitori reclusi. In questi giorni di festa noi ci siamo, anzi consideriamo una priorità riuscire a portare un pò di calore anche in famiglie e in contesti dove le condizioni sono più difficili. Contiamo anche sul sostegno di aziende del territorio, ma anche di tutti i privati cittadini che vorranno aderire” ha detto Ernesto Caffo, professore di Neuropsichiatria infantile dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Presidente di SOS IL Telefono Azzurro Onlus. In collaborazione con i dipendenti HP - Hewlett-Packard. I Civic Council HP Italia hanno aderito all’iniziativa raccogliendo giocattoli tra i dipendenti Hp da destinare ai bambini in difficoltà. I dipendenti HP Italia daranno il loro contributo alla raccolta di giochi da distribuire ai bambini allestendo dei punti di raccolta interni all’azienda nelle sedi di: Bari, Napoli, Bologna, Torino, Milano e Roma. Lettere: aria nuova in carcere, ricambio generazionale degli psicologi di Antonella Lettieri (Psicologo Opg di Montelupo Fiorentino) Ristretti Orizzonti, 14 dicembre 2013 Un piccolo grande passo nel processo di rinnovamento: i padri di questo iniziale cambiamento, semplice ma originale, sono i dirigenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, animati da uno spirito innovativo, hanno valutato che l’esperienza decennale degli esperti psicologi non rappresenta più un patrimonio intellettuale da tesaurizzare, come solitamente accade in tutte le realtà istituzionali, ma è al contrario una zavorra ingombrante da sostituire velocemente con “risorse nuove “ che solo giovani laureati, senza esperienza, possono apportare. Apprezziamo la solerzia con cui alcuni Provveditorati Regionali si sono impegnati ad applicare la circolare e ad indire tempestivamente un bando di selezione sottoponendo i professionisti esperti ad una nuova valutazione al fine di verificare, se le loro competenze sono compatibili oggi con lo spirito di rinnovamento. In linea con tale approccio, auspichiamo però che questo ricambio generazionale avvenga anche nelle aree dirigenziali del Dap dove sarebbe opportuno verificare, per esempio tramite una selezione per titoli ed esami, la compatibilità della vecchia dirigenza con il processo innovativo cosi caldamente sostenuto dallo staff che ha introdotto tale provvedimento. Siamo certi che per superare le criticità del sistema-carcere sia opportuno disperdere un patrimonio culturale fatto di professionalità e competenza ? Basta sostituire vecchie forze intellettuali per migliorare le buone prassi operative o questo è solo un cambiamento di facciata? Sorge un ulteriore dubbio che tutta questa manovra serva al Dap per tutelarsi da eventuali rivendicazioni visto che da 30 anni gli esperti hanno un rapporto di lavoro libero-professionale. Tale cornice contrattuale, a dir poco anomala, per una Istituzione pubblica, è un “punto debole” a rischio di possibili azioni giudiziarie da parte dei professionisti. Se ciò fosse vero, il provvedimento di dismissione dei vecchi esperti, legittimato da un bando di selezione, acquisterebbe il suo vero significato difensivo raggiungendo così l’obiettivo primario che sembra aver sostenuto tale scellerata operazione. Bergamo: detenuto di 44 anni muore in cella stroncato da infarto Il Giorno, 14 dicembre 2013 Un detenuto bresciano di 44 anni, R.R., in espiazione di condanna definitiva con fine pena nel 2020, è morto nel carcere di Bergamo, colpito probabilmente da infarto mentre dormiva nella sua cella. A scoprirlo l’agente di Polizia Penitenziaria della sezione, il quale appena accortosi dell’ accaduto, avvisava prontamente il Sanitario di turno. Quest’ultimo avviava le procedure d’ urgenza ma non ha potuto far altro che constatarne il decesso. Lo comunica il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “È una notizia triste - dice Donato Capece, segretario generale Sappe, che colpisce tutti noi che in carcere lavoriamo in prima linea, 24 ore al giorno. Ma va anche detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria”. Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: “Nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2013 si sono registrati 3.287 atti di autolesionismo, 545 tentati suicidi, 1.880 colluttazioni e 468 ferimenti: 3.965 sono stati i detenuti protagonisti di sciopero della fame, mentre purtroppo 18 sono i morti per suicidio e 64 per cause naturali. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici, con oltre 64mila reclusi per una capienza di 40mila posti letto regolamentari e il Capo Dap che alza le mani di fronte alla sentenza Torreggiani. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo, come dimostrano i gravi episodi in nostro danno accaduti”. Bari: lo Stato deve risarcire un ex detenuto “non arriverò alla sentenza… sono malato” La Repubblica, 14 dicembre 2013 Il pessimismo di un uomo affetto da un male incurabile che si è fatto, da innocente, mesi di carcere. Giustizia lenta: “Un processo dura 10 anni”. Beffato dalla giustizia e dalla vita. Un uomo di 55 anni ha trascorso sei mesi della sua vita in carcere, condannato per violenza sessuale, e rischia di non poter assistere alla sentenza che proclama la verità. La verità è che l’uomo non doveva essere arrestato perché non ha commesso mai il fatto sostenuto dall’accusa. Il procedimento sulla riparazione per ingiusta detenzione - ce ne sono tanti - è stato fissato, ma l’uomo rischia di non arrivarci perché gravemente malato. Il caso fa gridare allo scandalo e non è poi tanto isolato, indice del malfunzionamento della giustizia italiana, notoriamente lenta. “Un cittadino ingiustamente detenuto deve attendere anche quindici anni per ottenere la riparazione”, spiega il presidente della Camera penale di Bari Gaetano Sassanelli, all’interno di “un processo penale, dalla carcerazione preventiva alla sentenza definitiva - continua l’avvocato - che mediamente dura dieci anni”. Il sigillo della riparazione è un riconoscimento morale oltre che economico, che potrebbe costare fino ad un milione di euro, al quale però il 55enne, assolto in via definitiva, crede poco perché “l’insorgere di un male incurabile gli faceva presagire che non sarebbe sopravvissuto fino alla data dell’udienza”, si legge nella missiva inviata al suo difensore. Gli avvocati penalisti, raccogliendo la sfiducia di tanti cittadini, si sono rivolti al presidente della Corte d’Appello di Bari auspicando una soluzione ai tempi tanto dannosamente prolungati. L’ingiustizia degli innocenti Sono 613 ad oggi i procedimenti pendenti sulla riparazione per ingiusta detenzione. Il dato è reso noto dalla Camera penale di Bari e si riferisce al distretto. I tempi di attesa per le udienze si attestano sui 4-5 anni dal deposito dell’istanza, senza contare l’attesa fino alla liquidazione materiale del danno. Attualmente, fanno sapere i penalisti baresi, si stanno fissando le udienze per l’ultimo trimestre del 2009. “Un processo penale mediamente dura anche 10 anni (dalla carcerazione preventiva alla sentenza definitiva) e un cittadino ingiustamente detenuto - hanno detto i penalisti - si trova costretto ad attendere anche quindici anni per ottenere la riparazione”, con quantificazione del danno fino a un milione di euro. Ma al di là dell’aspetto economico, “aspettano quel sigillo - ha sostenuto il presidente della Camera Penale di Bari Gaetano Sassanelli - che attesti che lo Stato ha sbagliato nei loro confronti”. Brescia: entro un mese “sfollati” un terzo dei detenuti, 150 saranno trasferiti a Cremona Corriere della Sera, 14 dicembre 2013 Presto non sarà più uno dei tre peggiori carceri d’Italia per sovraffollamento; i detenuti avranno un po’ più dell’attuale metro quadrato e rotti di cella a testa e, magari, non si rischieranno altre class action dei reclusi alla Corte per i diritti umani di Strasburgo, come quella partita a gennaio 2013. A Canton Mombello inizia oggi l’operazione “sfoltimento”. La direzione non fornisce cifre ma, entro metà gennaio, almeno un detenuto su tre (quindi oltre 150 dei 470 attuali) dovrebbe essere trasferito a Cremona, penitenziario fresco di ampliamento. L’operazione è il compimento di un piano di ridistribuzione dei detenuti di cui si era parlato quasi un anno fa. I lavori di completamento dei nuovi padiglioni a Cremona avevano subito però dei rallentamenti. Finalmente, però, l’ampliamento è stato ultimato e il piano di sfoltimento della popolazione carceraria di Canton Mombello può partire: i primi detenuti lasceranno Brescia forse già oggi. “Era un’operazione che attendevamo da tempo - dice la direttrice Francesca Gioieni -. Entro il 15 gennaio, saremo in grado di riportare Canton Mombello a condizioni di vivibilità vicine alla soglia di tolleranza”. In proposito, va ricordato che il carcere di via Spalti San Marco, omologato per 208 detenuti, può ospitarne fino a 298. Un così drastico calo della popolazione carceraria di Canton Mombello non si registrava da anni, forse solo l’indulto aveva svuotato le celle in modo tanto massiccio. “La vera sfida - osserva ancora la direttrice - sarà capire quanti mesi poi impiegheremo a tornare in condizioni di sovraffollamento come le attuali”. L’esperienza dice che se non cambieranno le cose potrebbero bastare solo sei mesi per tornare ai livelli di guardia. Intanto, però, sono partite le misure per garantire al carcere bresciano condizioni migliori: da quest’estate le celle sono aperte durante il giorno e i detenuti possono circolare liberamente nelle sezioni. Canton Mombello è stata la prima casa circondariale d’Italia a rendere operative queste indicazioni del ministero. La fase di sperimentazione avrebbe dovuto chiudersi nel giro di pochi mesi, ma a Brescia la “sorveglianza dinamica”, come viene chiamata l’apertura delle celle durante il giorno, è diventata uno standard operativo destinato a diventare la regola. Il carcere bresciano tenta dunque di riportarsi in linea con il dettato costituzionale secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” (va ricordato che, secondo un sentenza della Corte di Strasburgo, avere un metro quadrato o poco più a disposizione in cella è considerato “tortura e trattamento inumano e degradante”). Certo, la soluzione vera sarebbe un carcere nuovo. Sul quale s’era impegnato anche il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. “Ho promesso al sindaco - aveva detto il 21 ottobre scorso, di passaggio a Brescia - che nell’arco di quindici giorni tornerò, giusto il tempo di risolvere alcuni miei problemi. Ci rincontriamo e porto una soluzione per Canton Mombello”. È vero che, da allora, i problemi del ministro si sono moltiplicati (con l’affaire Ligresti). Ma ormai sono passati quasi due mesi e del nuovo carcere (per il quale erano già tramontate le ipotesi Verziano, Montichiari e dell’ex caserma Papa) non s’è saputo più nulla. Larino (Cb): il carcere, la libertà e il lavoro… 20 detenuti coinvolti nel progetto Isfol www.primonumero.it, 14 dicembre 2013 Il carcere di Larino si conferma una realtà “virtuosa” in termini di attività finalizzate al miglioramento della qualità della vita dei detenuti e alla creazione di opportunità socioculturali e lavorative lungo e dopo il percorso detentivo. L’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori ha proposto il progetto O.De - Orientamento Detenuti - nell’ambito dell’attività di ricerca che si propone di sperimentare percorsi di orientamento al lavoro innovativi destinati ai reclusi prossimi alla scarcerazione. L’iniziativa è stata presentata questa mattina - 13 dicembre - nella sala conferenze del carcere. Sono intervenuti il direttore, Rosa La Ginestra, la responsabile del gruppo di lavoro Isfol, Antonietta Maiorano, lo psicologo Francesco Basilico dell’Abc form che si è occupata della selezione e della formazione, il direttore del centro per l’Impiego di Termoli, Marcello Vecchiarelli e l’assessore provinciale alle Politiche del lavoro, Alessandro Di Labbio. Il progetto che vede il carcere di Larino come struttura pilota a livello regionale è stato articolato in due momenti paralleli. Il primo dedicato allo sviluppo di reti territoriali di servizi che sostengono il percorso di inserimento socio lavorativo dei detenuti sia per favorire un raccordo tra i diversi soggetti istituzionalmente coinvolti (Regione, Centri per l’impiego, Direzioni penitenziarie, uffici di esecuzione penale esterna, Camera di Commercio e altre) sia per combattere la scarsa conoscenza da parte delle imprese e la debole circolazione di informazioni sulle normative, sui benefici riservati ai detenuti e altro. Il secondo momento è stato invece dedicato alla sperimentazione del percorso di orientamento al fine di favorire e fornire gli strumenti idonei alla ricerca di lavoro ai detenuti in vista della scarcerazione. All’interno di questo momento composto da due fasi distinte (selezione detenuti e formazione di base) sono stati selezionati venti detenuti sulla base degli anni di pena da scontare (“detenuti dimittendi” - sotto i 4 anni) e delle competenze in possesso (colloqui per stendere un profilo lavorativo). I partecipanti hanno poi seguito una formazione sulla sicurezza sul lavoro con l’intento di fornire conoscenze di base. Al termine della formazione i detenuti sono stati iscritti al Centro per l’Impiego di Termoli per permettere i responsabili di individuare delle aziende interessate all’assunzione dei partecipanti al progetto. L’iniziativa è stata apprezzata dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Fanno parte del gruppo di lavoro Isfol il dirigente Amedeo Spagnolo, la responsabile Antonietta Maiorano e la ricercatrice Giuliana Franciosa. Per il gruppo di lavoro Abc form srls Francesco Basilico (psicologo-psicoterapeuta) per la selezione dei detenuti, Annalisa Cirulli (tecnico prevenzione ambiente luoghi di lavoro) e Pierpaola D’Aloia della segreteria organizzativa. Molto soddisfatti i detenuti selezionati: “Per noi rappresenta una grande opportunità per ricominciare” hanno affermato. Genova: Martinelli (Sappe); lite per il fumo in cella, tensione a Marassi Il Secolo XIX, 14 dicembre 2013 Alta tensione nel carcere di Marassi dove ieri mattina un detenuto marocchino di circa 30 anni, ristretto nella VI Sezione detentiva, ha dato in escandescenza per protestare contro la presenza in cella di un altro detenuto, fumatore. “Sono stati attimi di vera tensione”, commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Il detenuto protestava perché nella cella da lui occupata era presente un detenuto fumatore e quindi voleva essere spostato altrove. Era in evidente agitazione e a nulla sono serviti i nostri richiami a tranquillarsi perché avremmo trovato comunque una soluzione. Lui, improvvisamente, è uscito dall’ufficio del sottufficiale di servizio e si è messo a correre verso i cancelli di uscita della sezione, gettandosi contro uno specchio e frantumandolo a pugni. L’immediato intervento del personale di Polizia Penitenziaria ha scongiurato più gravi conseguenze, ma è evidente che la tensione nelle carceri italiane e liguri resta altissima”. Il Sappe, esprime “solidarietà e vicinanza” al poliziotto che per bloccare il detenuto è rimasto ferito e chiede “urgenti provvedimenti” da parte dell’Amministrazione penitenziaria regionale e nazionale. Martinelli torna a sottolineare le criticità delle carceri liguri: “Nei 7 istituti penitenziari liguri, nel primo semestre del 2013, si sono registrati 142 atti di autolesionismo, 12 tentati suicidi, 71 colluttazioni e 8 ferimenti: oltre mille sono stati i detenuti protagonisti, nei primi sei mesi dell’anno, di proteste pro amnistia e indulto o sciopero della fame, mentre purtroppo 4 detenuti sono morti per cause naturali. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici, con 1.770 reclusi per meno di mille posti letto regolamentari. Il nostro organico è sotto di 7mila unità a livello nazionale e di 400 agenti in Liguria. La spending review e la legge di Stabilità hanno ridotto al lumicino le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo, come dimostrano i gravi episodi in nostro danno accaduti ancora una volta nel carcere di Genova Marassi”. Pisa: Chierchia (Sippe); ieri maxi perquisizione nelle celle detentive, ritrovati stupefacenti www.informazione.it, 14 dicembre 2013 Ieri mattina durante una maxi perquisizione avvenuta nelle prime ore del mattino nel carcere di Pisa, gli agenti della Polizia Penitenziaria, unitamente al gruppo cinofili hanno rinvenuto sostanze illecite all’interno delle camere detentive. Queste cose - commenta il Vice Segretario Generale del Sippe, Romeo Chierchia - “avvengono perché le carceri Italiane sono piene e la stragrande maggioranza dei detenuti sono extracomunitari e ciò penalizza il controllo e l’osservazione da parte di chi espleta la funzione dell’ordine e sicurezza delle carceri”. Intanto gli agenti nell’intuire che l’indotto principale poteva essere il reparto colloqui durante le perquisizioni sono state rinvenuto numerose sostanze stupefacenti illegali pronte ad essere introdotte e passate attraverso i colloqui con familiari. Il risultato - aggiunge il Chierchia - “è encomiabile il lavoro degli operatori di Polizia Penitenziaria, nonostante che siano sottoposti a turni massacranti, costretti a lavorare in un ambiente difficile, magari a centinaia di chilometri da casa, hanno dato il massimo… per mantenere alto il buon nome dell’istituto penitenziario, visto il recente passato negativo.” Intanto la politica, salvo qualche eccezione, ci appare abbastanza distante dai problemi della realtà carceraria. Emanano leggi tampone ma senza effetti come il cd. provvedimento “svuota carceri”. Mi fanno ridere - ironizza il Vice Segretario Generale - “il provvedimento cosiddetto “svuota carceri” rappresenta una goccia nel mare. Se si vuole davvero affrontare il problema del sovraffollamento serve una legge di amnistia non serve l’indulto. Il Parlamento deve assumersi questa responsabilità davanti al Paese. Il carcere deve essere l’ex-trema ratio alla quale il giudice deve ricorrere quando non ha altre alternative. Bisogna anche pensare ad altri strumenti e personalmente suggerisco “la cauzione” per alcuni reati. La classe politica non può restare inerte di fronte anche alle tante condanne in sede comunitaria che il nostro Paese subisce per le condizioni disumane in cui si trovano i nostri detenuti. Se andiamo avanti così le prossime condanne saranno per lo sfruttamento del lavoro degli agenti di polizia penitenziari costretti a lavorare duramente poiché costretti a coprire più posti di servizio contemporaneamente e a volte anche 4 posti consecutivi, con le conseguenze, in termini di salute, stress e tensione e senza riconoscere il giusto equilibro economico”. Intanto il responsabile sindacale Cgil Settore della Polizia Penitenziaria - Colarusso - dichiara: “mi congratulo con gli agenti di Polizia Penitenziaria per il buon risultato ottenuto”. Treviso: Natale in ospedale, nei reparti gli alberi confezionati dai detenuti www.trevisotoday.it, 14 dicembre 2013 Lunedì 16 dicembre al Cà Foncello verranno allestiti un centinaio di alberi realizzati dai giovani coinvolti nel progetto “Diamoci dentro”, Allieteranno i malati dei Geriatria, Medicina e Malattie infettive. In ospedale il Natale è meno triste grazie ai giovani detenuti trevigiani. Lunedì 16 dicembre nei reparti Malattie infettive, Geriatria e Medicina verranno allestiti un centinaio di alberelli natalizi realizzati dai carcerati coinvolti nel progetto “Diamoci dentro”. Per allietare le feste di degenti e familiari verranno installati anche due presepi lignei intagliati dai ragazzi dell’Istituto penale minorile, che verranno posizionati all’ingresso principale e nel reparto Malattie infettive. La collaborazione con l’Ulss 9 non si limita solo a questo. Tramite l’Unità Operativa di Sanità Penitenziaria del Distretto 1 una decina di giovani detenuti potranno partecipare a un corso per la produzione di gelati, da lunedì 16 a sabato 21 dicembre alla Pro Loco di Monigo. Il progetto “Diamoci dentro”, promosso dall’associazione Possibili Alternative in collaborazione con numerose altre realtà attive nel panorama carcerario trevigiano, ha coinvolto una decina di ragazzi al di sotto dei 29 anni detenuti nella Casa Circondariale e nell’Istituto Penale per Minori di Treviso che, per un paio di mesi, hanno lavorato sia nell’ambito dei laboratori occupazionali attivati all’interno del carcere, sia in cella alla realizzazione degli alberi di Natale, realizzati dai detenuti della Casa circondariale, e dei presepi, creati dai ragazzi dell’Istituto penale minorile. L’obiettivo del progetto è quello di proporre alla comunità di guardare alla realtà carceraria cambiando punto di vista: chi è detenuto può fare qualcosa di utile per la società continuando così anche a sentirsi parte di quel mondo “fuori”, aspetto particolarmente importante per i più giovani. Firenze: con l’Apab progetto per l’inserimento di giovani detenuti nel mondo del lavoro www.gonews.it, 14 dicembre 2013 L’installazione continua il programma “Invasioni botaniche” per l’incentivazione dello sviluppo della biodiversità in ambito urbano. Piazza Beccaria ai abbellisce con altre tre aiuole fiorite, realizzate grazie alla collaborazione fra Direzione Ambiente del Comune, Apab (Associazione biodinamica sezione di Firenze) e dipartimento Giustizia minorile del Ministero della Giustizia, nell’ambito di progetti di formazione nel campo dell’agricoltura biodinamica e giardinaggio, per l’inserimento di giovani detenuti nel mondo del lavoro. Le tre aiuole sono state realizzate per completare la simmetria degli spartitraffico semicircolari che caratterizzano la piazza sia sul lato di Borgo la Croce che su quello di via Gioberti, con lo stesso schema geometrico-spaziale della prima, realizzata nel 2011. L’installazione continua il programma “Invasioni botaniche” per l’incentivazione dello sviluppo della biodiversità in ambito urbano, per il quale la Direzione Ambiente ha stipulato un protocollo di intenti con l’Istituto per lo studio degli Ecosistemi del Cnr di Pisa e con l’Orto Botanico dell’Università di Firenze. L’obiettivo è di esaltare gli aspetti naturali che rispondono ad esigenze ecologiche, come semplificare e rendere meno onerosa la manutenzione delle aiuole stradali, e al contempo garantire un alto valore estetico delle superfici a verde. Sul lato di via Gioberti le nuove due aiuole rispecchiano nella composizione quella di Borgo la Croce con la differenza che in queste sono state utilizzate specie non soltanto autoctone (Corbezzolo, Lavanda, Achillea, Garofani e Agli spontanei..) ma anche selezioni da giardino quali il Corniolo “Alba elegantissima” e “Alba Gouchoultii” dagli splendidi rami rossi in inverno, la sempre più apprezzata graminacea Stipa capillata, erbacee perenni quali Salvie in varietà. Ascoli: detenuti al lavoro sugli arenili, primo obiettivo liberare dallo “spiaggiato” www.piazzagrande.info, 14 dicembre 2013 Sei detenuti provenienti dalla casa circondariale di Ascoli Piceno, per un anno, due volte al mese, saranno al lavoro per la pulizia degli arenili di Alba Adriatica: Comune pilota nella convenzione che è stata firmata questa mattina dalla Provincia, ente promotore dell’iniziativa. “Ci sono già altri Comuni che vogliono partecipare al progetto” ha spiegato il vicepresidente Renato Rasicci: “fino ad oggi c’erano state collaborazioni in questo senso con la Casa Circondariale di Ascoli ma si è trattato di eventi episodici. Con la convenzione garantiamo la continuità dell’esperienza”. Alla firma erano presenti la direttrice del carcere, Lucia Di Feliciantonio; la sindaca Tonia Piccioni; il presidente della Poliservice, Giovanni Antelli; il comandante della Polizia Penitenziaria Pio Mancini. Sulla base dell’accordo stipulato con la Provincia, la Poliservice - società di gestione dei servizi ambientali per i comuni della Vibrata - si occuperà degli aspetti logistici: “Noi ci occupiamo di ambiente e non potevamo non sostenere un’iniziativa che oltre a coadiuvare le attività di pulizia delle spiagge ha un forte risvolto sociale. Con i detenuti abbiamo già lavorato ed è stata un’esperienza fortemente positiva” ha affermato stamattina Antelli. Il vicepresidente Rasicci ha ringraziato il comandante Pio Mancini: “per la disponibilità e l’impegno della Polizia penitenziaria in queste iniziative di recupero sociale dei detenuti” e ha sottolineato i risvolti positivi e concreti per la comunità: “visto che la rimozione dello spiaggiato è un problema molto sentito da tutti i comuni costieri che sopportano i costi di un problema che viene determinato a monte del fiume”. “Per i detenuti sono giornate ecologiche - ha affermato la Direttrice del carcere - un lavoro di pubblica utilità con il quale, in qualche modo, risarciscono la comunità per i reati commessi e cominciano un percorso di recupero sociale; percorso che, stando alla nostra esperienza, produce sempre effetti positivi sia sul detenuto sia nel rapporto fra detenuto e comunità”. I detenuti lavoreranno di sabato, ogni quindici giorni, e saranno accompagnati dagli agenti di Polizia penitenziaria. Savona: detenuto 35enne tenta suicidio in cella, salvato da compagni di cella e agenti Il Secolo XIX, 14 dicembre 2013 Suicidio impedito l’altro ieri notte al carcere Sant’Agostino. A tentarlo è stato Nicola Russo, 35 anni, napoletano. È conosciuto come rapinatore seriale delle farmacie di Savona e ieri ha provato ad impiccarsi con un cappio ricavato da una striscia di lenzuolo legato alle sbarre della finestra della sua cella. A dare l’allarme è stato uno dei suoi sette compagni di cella che lo ha visto penzolare. La Polizia penitenziaria è intervenuta prontamente, salvandolo insieme ai sanitari della guardia medica arrivati immediatamente. Tra la penitenziaria e Russo si erano registrati negli ultimi periodi dei dissapori. Il detenuto aveva denunciato gli agenti, accusandoli di mancato rispetto dei suoi diritti. Dall’altro canto, la penitenziaria lo aveva segnalato alla direzione del carcere. Non osservava il regolamento interno. Gli agenti ne hanno segnalato a più riprese i comportamenti altalenanti, e uno stato persistente di irrequietezza. Atteggiamenti probabilmente collegati all’uso di cocaina da cui sta cercando di disintossicarsi, come Russo stesso ha confessato davanti al gip Donatella Aschero, nell’interrogatorio di convalida degli arresti. Un tentato suicidio, quello del rapinatore, che nasconderebbe una forma di protesta per non sentirsi tutelato all’interno del carcere, raccontata in una lettera scritta da lui stesso. Russo è in cella dalla fine del mese scorso. Era stato arrestato dai carabinieri dopo aver seminato il panico in città con i suoi continui furti, che gli servivano per recuperare soldi per l’acquisto della droga. A un farmacista aveva rubato anche un orologio Rolex. Ora è controllato a vista. Rimini: scrittori in carcere… Barbara Magalotti e Marco Missiroli incontrano i detenuti di Stefano Rossini www.newsrimini.it, 14 dicembre 2013 Due scrittori riminesi in carcere, per raccontare le loro esperienze e per avvicinare i detenuti alla scrittura e alla lettura. Il ciclo di incontri, cominciato da poco, è organizzato e seguito dallo sportello della Caritas del carcere di Rimini, che già si occupa della redazione del giornale Libero Dentro. “Gli incontri sono un successo - raccontano - la partecipazione è incredibile”. Gli scrittori vanno in carcere. Non perché vittime di un sistema che vuole imbavagliarli (almeno non per ora), ma perché la scrittura può essere formativa, terapeutica, ed essere uno strumento col quale migliorarsi e mettersi in modo diverso in rapporto col mondo. Da qui nasce l’incontro e il confronto tra chi in carcere ci è finito per i più vari motivi, e chi, invece, ha fatto della scrittura e della ricerca interiore la propria professione. Gli incontri con gli autori sono stati organizzati dal laboratorio di scrittura e lettura del Carcere di Rimini dello sportello Caritas, che già si occupa della redazione del giornale Liberi Dentro. Il calendario è al momento “top secret” come quasi tutto ciò che riguarda il carcere, ma i primi due incontri sono stati un successo, come ci racconta una volontaria Caritas. “La prima ospite è stata Barbara Magalotti, psicologa dell’età evolutiva, autrice del libro Dì a qualcuno che io sono qui, che descrive un duro e triste spaccato della realtà latinoamericana. Barbara, infatti, dal 2001 svolge attività di volontariato in Bolivia, dove ha lavorato con i ragazzi di strada e collaborato con la Pastoral Penitenciaria Catolica de Bolivia, un’organizzazione che difende i diritti umani dei detenuti e dei loro figli presso il Carcere San Pedro di La Paz all’interno del quale ha fondato e coordina il Centro Educativo Alegrìa, per i figli dei detenuti che vivono con essi all’interno del carcere. “La sala della biblioteca in cui si è svolto l’incontro - continua la volontaria - era piena. Barbara ha raccontato la sua esperienza di volontaria a La Paz, in Bolivia, in cui passa 6 mesi all’anno con i detenuti e i loro figli, che vivono lì abusivamente. Poi in estate torna a fare la stagione a Rimini. La platea è stata molto colpita da questa scelta di vita, completamente volontaria e non stipendiata. E ci sono state molte domande. “Tutti i presenti le hanno manifestato la propria grande stima e un infinito rispetto umano per il coraggio, la dedizione e la passione in quello che fa, e che vive senza pesantezza”. “Quello che mi ha colpito di Barbara - ha detto un detenuto - è la forza che trova nel vivere con persone così pericolose che hanno commesso cose atroci, la forza”. Anche dall’altra parte l’incontro è stato un successo, come ci racconta Barbara Magalotti. “Devo dire che nonostante più di 10 anni di lavoro all’interno di un carcere latinoamericano (il carcere San Pedro di La Paz, Bolivia) la mia emozione all’ingresso del carcere della mia città natale è stata grande. “Altra struttura, altra organizzazione, altro clima umano e soprattutto altre storie di vita. Personalmente sono stata piacevolmente sorpresa dall’interesse dimostrato dai detenuti e dagli operatori riguardo alla realtà carceraria boliviana. Molto piacevole e interessantissima la sensazione di discutere di tematiche che in fondo uniscono e ridondano anche in due realtà così geograficamente e culturalmente lontane: il senso della detenzione, le modalità tutte personali di utilizzare il tempo sospeso della detenzione, l’importanza e insieme la difficoltà di dare un senso positivo e costruttivo a questa esperienza così forte, l’importanza di stabilire un punto di partenza nuovo per una vita proiettata nel futuro e non più nel passato. “Le domande, le curiosità, le affermazioni, gli spunti di discussione proposti dagli stessi detenuti sono stati per me fonte di riflessione e di nuove rielaborazioni rispetto al mio lavoro in carcere e mi hanno convinta ancor di più (semmai ce ne fosse stato ancora bisogno) della importanza fondamentale della relazione nel percorso di crescita personale di ognuno, di tutti. “Incontrare queste persone è stato per me un privilegio, un onore, e ringrazio ognuno di loro per i loro preziosi interventi che hanno animato questo bellissimo incontro”. Lo scorso 7 dicembre si è svolto il secondo incontro, con lo scrittore Marco Missiroli, che ha portato il suo libro Il senso dell’elefante. “Anche il secondo incontro è andato molto bene - ci conferma la volontaria - Per noi è importante sottolineare il valore terapeutico della scrittura. Avvicinare i detenuti al mondo della scrittura e lettura. Evadere, con la fantasia, e avvicinarli alla scrittura. E in questo gli scrittori ci stanno aiutando tantissimo”. Ci sono detenuti che leggono e altri che non leggono, e gli incontri sono un modo per avvicinare chi non mostra troppo interesse per la scrittura a questa attività. “è un processo che pian piano appassiona e interessa - conclude la volontaria Caritas - alla fine di ogni incontro distribuiamo i libri e chiediamo la recensione. E in più portiamo in carcere persone interessanti, che altrimenti sarebbe difficile conoscere nella vita ordinaria”. Chieti: le iniziative casa circondariale Madonna del Freddo per le festività natalizie www.cityrumors.it, 14 dicembre 2013 In occasione del S. Natale sono state previste, presso la Casa Circondariale di Chieti, diverse iniziative quali momenti di serenità a beneficio dell’intera Comunità penitenziaria che attualmente, a causa dell’alluvione, accoglie anche gli arrestati della Provincia di Pescara. Il 16 dicembre, dalle ore 17:00 alle ore 22:00 “Giornata della Solidarietà”, che vede protagonista il personale di Polizia Penitenziaria e del comparto Ministeri nell’ospitare i bambini della Comunità “Vita e Sorriso”. La serata, durante la quale il direttore ed il comandante scambiano gli auguri con il personale, i familiari e i volontari tutti, prevede l’offerta di doni ai bambini della Comunità, animazione, buffet e spettacolo offerto dal cabarettista ‘Nducciò. Il 17 dicembre, dalle ore 16:00 Concerto di Natale in favore dei detenuti tenuto dagli alunni dell’Istituto Comprensivo di Cepagatti. Il 19 dicembre, dalle ore 19:00 “In questa notte fantastica…”, Cena di Gala per le detenute e i detenuti, tutti insieme a tavola serviti nella Sala Teatro addobbata a festa con sottofondo musicale. La Sala Teatro dell’Istituto sarà allestita con addobbi Natalizi appositamente concepiti e realizzati nell’ambito di laboratori di sostegno alla genitorialità e verranno sistemati tavoli sufficienti a garantire che tutte le persone ristrette nell’Istituto di Chieti possano cenare sedute in un ambiente diverso, grazie a pietanze elaborate e servizio organizzato in collaborazione con l’Istituto Alberghiero (Ipser) “De Cecco” di Pescara. La serata sarà allietata da sottofondo musicale garantito da un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria che, nel tempo libero, ha sviluppato ottime competenze artistiche nel suono del Sax. Partecipano all’organizzazione due associazioni di volontariato (Solideando di Pescara, Voci di Dentro di Chieti), un’Istituzione scolastica, 8 volontari oltre al personale specificamente individuato nell’ambito dell’Area Sicurezza e dell’Area Pedagogica, affinché siano garantiti i presidi di sicurezza e gli scopi, non solo conviviali, ma innanzitutto trattamentali dell’iniziativa. L’evento è destinato ad incrementare il benessere psico-fisico delle detenute e dei detenuti anche in considerazione dell’elevato numero di ristretti che non beneficiano di colloqui e pacchi perché stranieri, perché poveri o perché emotivamente lontani dalla famiglia. Il 25 dicembre, ore 9:00 Santa Messa di Natale celebrata dall’arcivescovo Bruno Forte, che continua a dimostrare grande affetto e vicinanza per le persone in detenzione. Torino: Osapp, detenuto aggredisce agente… ministro si occupi anche della Polizia penitenziaria Adnkronos, 14 dicembre 2013 Un detenuto di 38 anni, in carcere per il duplice omicidio dei genitori, ha aggredito un agente di polizia penitenziaria nel repartino ospedaliero delle Molinette a Torino, colpendolo con un pugno a un occhio. A riferirlo è l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “L’agente ha dovuto essere medicato al pronto soccorso dell’ospedale” spiega il sindacato. “È l’ennesimo episodio che vede la polizia penitenziaria vittima della violenza del carcere” commenta Leo Beneduci, segretario generale Osapp. “Attendiamo che un nuovo ministro della giustizia, e non l’attuale guardasigilli che sembra sentirsi di più un ministro dell’Interno, si occupi finalmente anche delle donne e degli uomini del corpo, e non solo di detenuti” dice Beneduci. Siria: liberati “per ragioni umanitarie” 366 prigionieri dal carcere di Aleppo Tm News, 14 dicembre 2013 Le autorità siriane hanno deciso di liberare, “per ragioni umanitarie”, più di 360 detenuti dalla prigione di Aleppo, nel nord del paese. Lo ha reso noto oggi l’agenzia di stampa ufficiale Sana. L’agenzia ha scritto che “le autorità hanno liberato 366 detenuti dalla prigione centrale di Aleppo su raccomandazione del ministro della Giustizia dopo l’esame della situazione umanitaria dei detenuti alla luce dell’assedio dei terroristi”. Il termine terrorista viene usato da Damasco per indicare i ribelli che da quasi tre anni combattono per rovesciare il regime. La prigione è assediata dallo scorso aprile dai miliziani jihadisti del Fronte al Nusra e da altri gruppi di combattenti islamici; si trova nella periferia settentrionale della grande metropoli. Sarebbero tra 4.000 e 5.000 i prigionieri detenuti nel carcere, perlopiù criminali comuni, ma anche estremisti islamici, attivisti e minori. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha denunciato condizioni sanitarie “spaventose”, segnalando casi di tubercolosi e scabbia. Secondo l’Ong, “la liberazione dei prigionieri è iniziata ieri (giovedì)”. Ucraina: presidente Yanukovych tratta con l’opposizione “amnistia per i manifestanti detenuti” L’Huffington Post, 14 dicembre 2013 Dopo giorni di proteste, qualcosa si muove nella crisi ucraina. Il presidente ucraino, Viktor Yanukovych, ha proposto un’amnistia per tutti i manifestanti pro-Ue arrestati in questi giorni dalla polizia. Lo fa sapere l’agenzia Ukrinform. “Credo che si debba voltare pagina”, ha detto il presidente parlando con un gruppo di studenti, “le persone arrestate dovrebbero essere liberate e così anche quelle condannate”. L’opposizione ucraina ha accettato l’invito a partecipare al negoziato offerto da Ianukovich. “I leader delle tre principali forze di opposizione”, ha riferito un portavoce di Vitali Klitschko, capo del partito Udar, “andranno alla tavola rotonda” voluta dal presidente ucraino. Ad annunciare la notizia ai manifestanti radunati in piazza Indipendenza a Kiev è stato lo stesso Klitschko, amato dalla piazza che nei giorni scorsi ha protestato contro il governo ucraino. Lui, il leader nazionalista Oleg Tyagnibok e il capo del partito di Yulia Tymoshenko, Arseniy Yatsenyuk, diranno al presidente Yanukovych cosa l’opposizione chiede. “Abbiamo l’impressione che Yanukovych non ci stia ascoltando”, ha detto l’ex pugile, “forse la sua tv non funziona o forse non è stato informato. Vogliamo guardarlo negli occhi, formulare le nostre richieste prioritarie e ascoltare la risposta”. Il negoziato prenderà avvio oggi nel pomeriggio. Tra le istanze degli europeisti vi sono la punizione di quei poliziotti che hanno represso con durezza le manifestazioni del 30 novembre scorso e le dimissioni del governo. “Combatteremo fino alla vittoria”, ha sottolineato Klitschko. L’incontro di oggi ha l’obiettivo di trovare una soluzione condivisa alla crisi in atto in Ucraina, dove da circa tre settimane migliaia di persone manifestano contro il congelamento della firma di un accordo di associazione con l’Ue. Finora l’opposizione aveva sempre rifiutato di scendere a compromessi con il presidente, chiedendo le dimissioni del capo dello Stato. La stessa leader dell’opposizione Iulia Timoshenko, condannata a sette anni di reclusione nel 2011, aveva affermato nei giorni scorsi che “il popolo ucraino ha la necessità urgente di prendere il potere nelle sue mani e non di avere cortesi colloqui con un dittatore”. Iraq: 22 detenuti evasi da un carcere di Baghdad, 13 sono stati catturati, uno ucciso La Presse, 14 dicembre 2013 Ventidue detenuti accusati di terrorismo sono evasi da una prigione nella zona nord di Baghdad, in Iraq, dopo avere ucciso una guardia. Lo riferiscono due alti ufficiali della sicurezza irachena rimasti anonimi, affermando che, nella caccia all’uomo seguita all’evasione, un fuggitivo è stato ucciso e altri 13 sono stati catturati. Gli ultimi otto restano per ora a piede libero. Gli evasi, hanno spiegato ancora le fonti, sono fuggiti stamattina dal carcere di al-Adela dopo avere ucciso la guardia e fuggendo da un’uscita posteriore. Dopo l’evasione alcuni guardiani sono stati fermati e interrogati perché sospettati di essere complici dei fuggitivi. Turchia: Corte Costituzionale, non c’erano argomenti validi per detenzione deputato Balbay Nova, 14 dicembre 2013 Non c’erano informazioni sufficienti o argomenti validi per giustificare la detenzione del deputato del Partito Repubblicano del popolo turco (Chp) Mustafa Balbay. è quanto affermato dalla Corte costituzionale della Turchia, che oggi ha pubblicato sulla gazzetta ufficiale le motivazioni della scarcerazione del deputato e riportato dal sito del quotidiano turco “Zaman”. Secondo quanto si legge nelle motivazioni della Corte la prigionia di Balbay ha violato i suoi diritti costituzionali. Il deputato era stato condannato nel processo Ergenekon con l’accusa di aver pianificato un colpo di stato contro il governo e condannato a 34 anni di carcere nel mese di agosto. Nell’ambito del processo Ergenekon, il tribunale di Istanbul ha comminato, lo scorso 5 agosto, pesanti condanne al carcere nei confronti degli ex ufficiali e altri cittadini turchi coinvolti. Nel processo sono stati condannati al carcere a vita il giornalista Tuncay Ozkan, i generali in pensione Veli Kucuk, Hursit Tolon, Hasan Ataman Yildirim, Hasan Igsiz e Nusret Tasdelen, i colonnelli in pensione Fikri Karadag, Fuat Selvi, il leader del Partito dei lavoratori Dogu Perincek e l’avvocato Kemal Kerincsizm. Il tribunale ha comminato una sentenza pesante anche per Alparslan Arslan, noto per aver ucciso il membro del Consiglio di stato, Mustafa Yucel Ozbilgin. L’ex presidente della Camera di commercio, Sinan Aygun, è stato invece condannato a 13 anni e sei mesi di carcere. Condanna pesante anche per il colonnello in pensione Arif Dogan che dovrà scontare 47 anni: quest’ultimo, insieme al generale Kucuk, è stato accusato di aver fondato e guidato un’organizzazione terroristica e di aver cercato di rovesciare il governo. Il tribunale ha condannato il tenente colonnello Mustafa Donmez a 49 anni di carcere, mentre lo scrittore Yalcin Kucuk dovrà scontare una pena di 22 anni e sei mesi di carcere. Fra le persone coinvolte nel caso Ergenekon ci sono anche l’ex direttore del Consiglio nazionale dell’istruzione, Kemal Guruz, che è stato condannato a 13 anni e undici mesi, lo storico Mehmet Perincek a sei anni e il presunto capo mafia Sedat Peker a dieci anni. I giornalisti Erol Manisali e Guler Komurcu sono stati condannati, rispettivamente, a nove e sette anni e sei mesi, mentre allo scrittore Ergun Poyraz è stata comminata una condanna di 29 anni e quattro mesi. I dirigenti del Partito dei lavoratori, Hayrettin Ertekin e Hikmet Cicek dovranno scontare 16 e 21 anni e nove mesi, mentre il rappresentante legale del partito Emcet Olcaytu 13 anni e due mesi. L’ex capo della polizia, Adil Serdar Sacan, è stato condannato a 14 anni di prigione, mentre l’ex sindaco del distretto Esenyurt di Istanbul, Gurbuz Capan, sconterà la pena di un anno. Il generale in pensione Ismail Hakki Pekin è stato condannato a sette anni, il giornalista Adnan a sei, mentre sono 21 i sospettati che sono stati assolti dalle accuse. Il procedimento è stato archiviato per tre sospetti che sono deceduti durante il corso delle indagini. Il vicepresidente del Partito repubblicano del popolo, Mehmet Haberal, precedentemente condannato a dodici anni e sei mesi è stato rilasciato: Haberal ha infatti concluso il suo periodo di reclusione. Il caso Ergenekon rientra nella disputa, in corso dal 2002, tra le forze armate turche, baluardo della laicità del paese, e il governo filo-musulmano di Erdogan. Come riferisce il quotidiano “Hurriyet”, nella seconda metà del secolo scorso in Turchia si sono verificati tre colpi di stato militari. Dal 2002, il partito di governo “Giustizia e sviluppo” si è costruito un’ampia maggioranza in parlamento, ha riformato il sistema giudiziario e usato la sua autorità, rafforzata dal successo economico del paese, per ridurre il potere dei militari. Il processo Ergenekon è iniziato nel 2008 con 275 imputati, 66 dei quali si trovavano in carcere in attesa di verdetto. Tra le persone accusate di far parte del gruppo Ergenekon vi sono, oltre ai militari, esponenti politici, accademici e giornalisti.