Giustizia: "A scuola di libertà", gli studenti imparano a conoscere il carcere di Valter Vecellio www.lindro.it, 13 dicembre 2013 Il carcere, in Italia, negli ultimi dieci-quindici anni, grazie a leggi criminogene come la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, o la Bossi-Fini sull’immigrazione, è diventato una discarica sociale, dove relegare gli ultimi tra gli ultimi: colpevoli non tanto per quello che fanno, piuttosto perché "sono". Una realtà che viene da anni condannata dalle Corti di giustizia europee, che ha fissato termini perentori -il mese di maggio del 2014- per uscire dallo stato di flagranza continuata di reato in cui il nostro Paese è precipitato, proprio per il trattamento che riserva ai detenuti. Se lo stato di civiltà di un Paese, come ha detto Fëdor Dostojevskj, si misura dallo stato delle sue carceri, noi siamo al livello di quei Paesi che un tempo si dicevano del terzo o del quarto mondo. Esiste tuttavia una Rete di Volontariato, laici e credenti, che cerca di attenuare la situazione, e spesso ci riesce. Se nelle carceri italiane sopravvivono fiammelle di civiltà e rispetto della dignità umana, questo lo si deve al loro prezioso, silenzioso, quotidiano lavoro. In occasione del 45esimo anniversario della fondazione dell’associazione La Fraternità, a Verona ha avuto luogo una settimana di iniziative che meritano di essere segnalate. È stata per esempio ricostruita una cella-tipo di un carcere "normale", e in quello spazio ristretto sono stati portati gli studenti di numerose scuole. Giornate dedicate a progetti che intendono far incontrare il carcere e la scuola: due mondi, dicono i volontari della Fraternità, che devono imparare a conoscersi e confrontarsi: "Per riflettere insieme sul sottile confine tra trasgressione e illegalità, sui comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro ognuno di noi". Sono in proposito interessanti le reazioni e i giudizi di alcuni di questi ragazzi, dopo gli incontri e il confronto con i detenuti, e l’intera comunità penitenziaria. Ho cercato di raccoglierle come venivano man mano manifestate. Carolina: "È proprio dalle testimonianze dei detenuti che si percepisce l’importanza di un programma sociale che permetta loro, una volta scontata la pena, di reinventarsi all’interno della società. Attraverso le loro parole è apparso evidente che spesso i detenuti vengono abbandonati a loro stessi. Uscire dalla galera sapendo di portarsi dietro una croce che la società non è disposta ad accettare, è già di per sé un peso. Se le istituzioni non creano piani di rientro, di educazione sociale e di reinserimento lavorativo, dando a chi ha sbagliato una seconda possibilità, ci troveremo ad affrontare un numero sempre maggiore di delinquenti pronti a reiterare gli errori commessi. È giusto che chi ha commesso un reato paghi e sconti una pena equa, ma è altrettanto necessario che la società affronti il problema. Sicuramente delicato, della rieducazione e del recupero sociale dei condannati". Giovanni: "Prima dell’incontro credevo che fosse giusto per quelli che avevano commesso un reato di stare in carcere il più a lungo possibile e senza vedere nessun conoscente, in modo che potessero ragionare sulla loro colpevolezza. Ma in realtà mi sbagliavo, perché la maggior parte dei detenuti in questo modo non riesce a riconoscere il suo errore e per questo avrebbero bisogno di una vera e propria riabilitazione psicologica, se così la si può definire, anche se non è possibile a causa del sovraffollamento". Giulia: "Mi è piaciuto come voi detenuti avete raccontato la vostra storia: sinceramente, senza giustificazioni. Penso che sia difficile parlare di una cosa brutta, di cui non si va fieri, senza giustificazioni. Io per esempio dico sempre: "Ma non è colpa mia!". Al momento delle domande mi sono alzata e vi ho chiesto perché lo fate, se per aiutare noi, voi stessi, o solo per passare una giornata fuori dal carcere. Secondo me voi mirate a farci capire chi sono i detenuti, che non siete persone diverse, cattive o psicopatiche, ma uomini e donne come tanti. Che non dobbiamo giudicarvi ma, anche se nel nostro piccolo, aiutarvi nel vostro percorso di crescita e di reinserimento nella società. A parer mio comunque aiutandovi a crescere cresciamo anche noi". Andrea: "Prima del progetto da voi proposto ero un tipico ragazzo forcaiolo, ossia quel tipo di ragazzo che riteneva che tutti i detenuti che avessero commesso dei reati alquanto gravi dovessero essere messi al muro: uso questa espressione non molto bella, ma che tuttavia rene l’idea di ciò che provavo. Credevo infatti che non si dovesse dare una seconda possibilità a criminali come assassini, stupratori e così via. In questo mio cammino ho potuto cambiare opinione sull’argomento molto vasto e delicato del carcere, effettuando una vera e propria terapia di cura dei miei pregiudizi". Giada: "La scuola deve educare anche alla vita. A capire cosa sia giusto fare e questi incontri fanno veramente riflettere, non solo nel momento presente in cui li senti, ma per molto tempo. Ti fanno capire quanto la vita sia il bene più importante che si ha e che renderla dipendente da qualcosa ti rende uno schiavo, ti fa soffrire fisicamente ma soprattutto, reca un dolore inspiegabile ai tuoi cari che si sentono traditi e colpevoli". Elisa: "Da un’impensabile e surreale alleanza tra scuola e carcere noi studenti abbiamo avuto la possibilità di renderci veramente conto di questa realtà che ci sembra così lontana dalla nostra quotidianità, ma che si è rivelata utile e costruttiva per la nostra formazione". Alessandra: "Ammiro tutti quei detenuti ed ex detenuti che hanno avuto il coraggio di raccontare la loro storia senza mezzi termini, senza giustificazioni, consapevoli che avevano sbagliato e che l’unica cosa davvero utile ora è informare soprattutto noi giovani di cosa vuole dire non pensare alle conseguenze dei propri gesti perché ci si vede tutta la vita davanti e il mondo sotto il nostro controllo, perché anche noi adolescenti possiamo vedere le vicende da un altro punto di vista e soprattutto perché le persone come me, prima di giudicare imparino ad ascoltare e a pensare che tutti possono commettere errori e che la differenza sta nel voler ricominciare". Fermiamoci qui, ma il vostro cronista, di opinioni e pensieri come questi ne ha raccolte tante da poterci fare un libro. Chiedo a Maurizio, l’animatore di questo gruppo di volontari veronesi che ha organizzato queste giornate di incontri tra studenti e detenuti, perché lo fa, perché sottrae tempo e denaro alla moglie, ai figli, ai genitori, ai suoi hobby. "Il carcere", risponde, "è meno lontano dalle nostre vite di quello che immaginiamo, perché il reato non è sempre frutto di una scelta e noi esseri umani, tutti, possiamo scivolare in comportamenti aggressivi e finire per "passare dall’altra parte". Le pene non devono essere necessariamente carcere, perché la certezza della pena significa scontare una pena che può anche essere fatta non di galera, ma che come dice la nostra Costituzione, deve "tendere alla rieducazione". Una pena costruttiva, che accompagni le persone in un percorso di responsabilizzazione rispetto al loro reato. Parlare di pene umane, che abbiano un senso e che non abbiano come scopo di "rispondere al male con altrettanto male" significa rispettare di più anche le vittime. Perché per chi subisce un reato e per la società è più importante che l’autore di quel reato sia consapevole del male che ha fatto e cerchi di riparare il danno creato, piuttosto che "marcisca in galera". senza neppure rendersi conto delle sofferenze provocate". Al termine dell’incontro, mentre mi avviavo all’uscita e raggiungere la stazione, una ragazza un po’ timidamente, Alessandra, con una semplicità sconcertante, mi ha fatto la domanda da cento milioni: "Perché televisioni e giornali si occupano di tante sciocchezze, ma per questi problemi e queste questioni non c’è quasi mai spazio? Perché voi giornalisti queste cose non le raccontate?". A quel "perché" ho potuto e saputo rispondere solo che evidentemente, e non solo sulle carceri, si vuole impedire di conoscere, di sapere; e che lei e i suoi compagni non devono stancarsi di chiedere ogni volta "perché?". Giustizia: decreto-carceri (rinviato) prevede liberazione anticipata di 75 giorni per semestre di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2013 Nel dl anti-sovraffollamento ancora rinviato si prevede una liberazione anticipata di 75 giorni ogni sei mesi ma non automatica. Slitta ancora il decreto legge sulle carceri, mentre approda finalmente al Consiglio dei ministri il disegno di legge sul processo civile. Un provvedimento destinato a restituire efficienza alla macchina giudiziaria nel settore più esposto alla violazione della ragionevole durata del processo. Il ddl - i cui contenuti sono stati ampiamente anticipati dal Sole 24 Ore del 5 dicembre - introduce una delega al governo da esercitare entro nove mesi, per introdurre una serie di misure sostanziali e processuali: il giudice unico anche in appello, la motivazione della sentenza a richiesta, il passaggio d’ufficio al rito sommario, la revisione dell’esecuzione forzata e della disciplina delle garanzie mobiliari reali. Resta al palo dunque, l’atteso decreto legge sul carcere, sebbene il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri lo abbia già inviato a Palazzo Chigi. Il provvedimento (otto articoli per abbassare il sovraffollamento e garantire ai reclusi il rispetto dei diritti fondamentali) è infatti pronto da almeno un mese, ma è stato più volte rinviato per volontà di Palazzo Chigi. Ieri sarebbe stato stoppato (in serata) dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, per ragioni non del tutto chiare, tanto più alla luce della conclamata emergenza-carceri. Tra le numerose misure del Dl spicca, per l’impatto sul sovraffollamento, l’estensione da 45 a 75 giorni della liberazione anticipata. In sostanza, per il periodo che va dall’1 gennaio 2010 ai due anni successivi all’entrata in vigore del decreto, ogni detenuto potrà beneficiare di uno sconto di due mesi e mezzo per ogni semestre o, se si preferisce, di cinque mesi per ogni anno di pena. Il beneficio non è automatico, ma scatterà previa valutazione del magistrato di sorveglianza sulla "meritevolezza" dello "sconto" speciale. Non un indulto mascherato, dunque, ma forse un indultino, simile (per certi versi) a quello approvato dal Parlamento nel 2003 e poi corretto dalla Consulta, che consentì di aprire le porte del carcere a circa 7mila detenuti. Infatti, mentre l’indulto è automatico, la liberazione anticipata "speciale" presuppone la valutazione del magistrato (analoga a quella introdotta dalla Consulta per beneficiare dell’indultino, altrimenti incostituzionale). Inoltre, si applicherà a tutti i reati anche se, per quelli più gravi, sarà necessaria una motivazione rafforzata. A differenza della liberazione anticipata ordinaria che si applica anche a chi sconta la pena in misura alternativa (per esempio in affidamento in prova ai servizi sociali), quella "speciale" non dovrebbe valere per chi è in misura alternativa (come Silvio Berlusconi). Ma si tratta di un punto ancora aperto. Salvo ripensamenti, invece, il decreto prevede di aumentare a 4 anni il limite di pena, anche residua, per l’affidamento in prova, sempre che il giudice abbia valutato positivamente la condotta del condannato (anche se libero) nell’anno precedente alla decisione sulla concessione dei servizi sociali. Giustizia: i diritti che lo Stato deve restituire… anche a chi sta in carcere di Stefano Rodotà La Repubblica, 13 dicembre 2013 Sapevamo che la povertà si estendeva, che dilagavano le diseguaglianze, che la percentuale della fiducia dei cittadini nelle istituzioni era precipitata al 2%. Eppure questi dati venivano considerati come pure registrazioni statistiche. Valutate alla stregua di variazioni di sondaggi e non come lo specchio di una situazione reale che rivelava quanto la coesione sociale fosse a rischio. Ora quel momento è arrivato, e bisogna chiedersi come una situazione così difficile possa essere governata democraticamente. È problema capitale per le istituzioni, che non possono ridurlo ad affare di ordine pubblico. Ma è compito pure delle forze politiche che non possono trasformare le critiche legittime nella tentazione di raccogliere consensi nella logica della spallata al sistema, della tolleranza di metodi violenti. I cittadini si sono sentiti privati della rappresentanza, affidati alle pure dinamiche economiche, amputati dei diritti. Da qui bisogna ripartire. La provvida decisione della Corte costituzionale mette di fronte alla necessità di una legge elettorale centrata non solo sulla governabilità, ma sul recupero della rappresentanza. E la dimensione dei diritti è quella dove si fa più evidente l’intreccio tra le varie questioni. Torniamo per un momento a Prato, dove la drammatica morte dei cinesi non è stata causata da un semplice incendio, ma proprio alla negazione dei loro diritti. Se ad essi fossero stati garantiti un lavoro legale e la sicurezza, il diritto alla salute e quello all’abitazione, dunque il rispetto minimo della dignità della persona, nessuno di loro sarebbe morto. Questo non è un caso eccezionale, ma la testimonianza di una separazione sempre più diffusa dell’economia dai diritti, che trascina con sé anche quella tra politica e diritti, causa non ultima della disaffezione dei cittadini. L’azione del Governo è in grado di colmare questa distanza? Oggi la risposta non può che essere negativa. L’attuale maggioranza ha come sua componente essenziale il Nuovo Centrodestra, apparso a qualcuno come una sorta di destra moderna e che, al contrario, al posto dei diritti civili pone i "valori non negoziabili", ribaditi come irrinunciabile segno di identità. Al posto dei diritti del lavoro ha insediato una logica che ha fatto deperire le garanzie. Al posto del rispetto dell’altro ha collocato il reato di immigrazione clandestina e l’ostinato rifiuto di allargare la cittadinanza. Al posto della legalità costituzionale vi è ancora la coda lunga delle norme che hanno distorto la legge in custode di interessi privati. Ognuno di questi casi ha nomi e cognomi, corrispondenti esattamente a quelli di esponenti della nuova forza politica. E questo è un ostacolo che continua ad impedire una esplicita strategia di uscita dalla non politica dei diritti che ci affligge da anni. Cominciamo dalle clamorose inadempienze del Parlamento. Fin dal 2010, prima la Corte costituzionale, poi la Corte di Cassazione hanno riconosciuto che le persone dello stesso sesso, unite in una convivenza stabile, hanno "il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia". Parole che non hanno trovato ascolto nelle aule parlamentari, sì che un diritto fondamentale continua ad essere ignorato. Il silenzio, che riguarda anche il riconoscimento delle unioni tra persone di sesso diverso, è destinato a continuare? Non meno scandaloso è quanto sta accadendo a proposito dell’accesso alle tecniche di procreazione assistita. La legge del 2004, il più scandaloso prodotto delle ideologie fondamentaliste, è stata demolita nei suoi punti essenziali da giudici italiani ed europei, ma per il Parlamento è come se nulla fosse accaduto e non vi è stato quell’intervento che, riconducendo a ragione quel che resta della legge, è necessario per restituire alle donne l’esercizio pieno dei loro diritti. Inoltre, è fallito per fortuna il tentativo di approvare una legge sulle decisioni sulla vita in contrasto con il diritto fondamentale all’autodeterminazione e con la norma costituzionale che vieta al legislatore di "violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Ma non si fa nessun passo nella direzione di approvare le poche norme necessarie per eliminare ogni dubbio intorno al diritto della persona di morire con dignità. E così il diritto di governare liberamente la propria vita - il nascere, il costruire le relazioni personali, il morire - è ricacciato in una precarietà che testimonia di una vergognosa indifferenza del legislatore. Sarà mai possibile rovesciare questa attitudine? La restaurazione della legalità attraverso i diritti investe direttamente l’essenziale tema del lavoro, che ha conosciuto una sua "riduzione privatistica" soprattutto attraverso l’articolo 8 del decreto 138 del 2011, dove si consente la possibilità di stipulare, a livello aziendale o territoriale, contratti collettivi o intese in deroga alle leggi. Il negoziato tra datori di lavoro e sindacati non avviene più con la garanzia della legge a tutela di diritti essenziali, ma torna ad essere affidato ai rapporti di forza, mai così "asimmetrici" come in questo tempo di crisi pesantissima. Questa norma deve essere cancellata, così come ha fatto la Corte costituzionale dichiarando illegittime norme limitative della rappresentanza sindacale, con una decisione che ci ricorda la necessità di una legge in materia che, nella logica costituzionale, riconosca ai lavoratori i diritti strettamente connessi alla loro condizione. E la questione del reddito di cittadinanza, della quale ci si vuol liberare con qualche mossa infastidita, rappresenta una buona occasione per ripensare il tema difficile del rapporto tra lavoro, cittadinanza, eguaglianza, dignità. Il filo è sempre quello che connette diritti e restaurazione della legalità. Lo vediamo discutendo di carcere, dove i diritti si scontrano con trattamenti inumani e degradanti e dove la responsabilità del Parlamento non si individua soltanto intorno ad amnistia e indulto, ma con la pari urgenza di incidere sulle cause del sovraffollamento, che hanno le loro radici in reati legati all’immigrazione o al traffico di stupefacenti, all’inadeguatezza del codice penale. Lo vediamo a proposito della tutela della privacy che, da una parte, esige maggior rigore all’interno; e, dall’altra, impone di non considerarla una questione "domestica", ma un tema che imporrebbe una presenza del governo italiano in quella dimensione internazionale dove si gioca una inedita partita di legalità costituzionale. Lo vediamo nel deperimento continuo del diritto alla salute e di quello all’istruzione. Viviamo ormai in una situazione in cui la Costituzione è ignorata proprio nella parte dei principi e dei diritti. E lo stesso accade nell’Unione europea, amputata della sua Carta dei diritti fondamentale, che pure ha lo stesso valore giuridico dei trattati. La simmetria tra Italia e Europa è rivelatrice. La lotta ai populismi, anche nella prospettiva delle prossime elezioni europee, passa proprio attraverso l’esplicito recupero del valore aggiunto assicurato proprio dalla garanzia dei diritti. Questo catalogo, ovviamente parziale, consente di cogliere i nessi tra politica e società, i limiti delle impostazioni solo economicistiche, la rilevanza dei principi di eguaglianza, dignità, solidarietà. Ma serve anche a mostrare non solo l’inaccettabilità di qualsiasi sottovalutazione dei diritti, ma pure la debolezza d’ogni posizione che ritenga possibile separarli dalla democrazia. È vero, i diritti sono deboli se la politica li abbandona. Ma quale destino possiamo assegnare ad una politica svuotata di diritti e perduta per i principi? Giustizia: la psichiatria utilizzata per il controllo sociale di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito La Repubblica, 13 dicembre 2013 Chi vive quotidianamente l’universo della sofferenza psichica se ne è reso conto da tempo: centri di salute mentale aperti sempre meno ore, personale sempre più ridotto, attività terapeutiche di sostegno alla farmacopea sostanzialmente annullate, esponenziale aumento dei ricoveri in strutture private convenzionate. Nel corso di un convegno di Firenze tenutosi alla fine dello scorso novembre, la Società italiana di psichiatria ha presentato uno studio che denuncia come nei centri di salute mentale, nel corso degli ultimi dieci anni, le risorse umane (dai medici agli infermieri, dagli psicologi agli assistenti sociali e agli operatori della riabilitazione) si siano ridotte del 50 per cento, passando da 0,8 a 0,4 ogni 1.500 abitanti. Questo drastica riduzione di risorse umane si traduce in una incapacità della presa in carico e quindi nell’inadeguatezza della proposta di cura, conseguenze drammatiche nei momenti di crisi e acuzie psichiatriche. Nel frattempo, si registra un aumento della richiesta di assistenza psichiatrica da parte della popolazione. Le famiglie vivono situazioni di sempre più drammatica solitudine, il ricorso massivo agli psicofarmaci diventa logica imperante volta, prevalentemente, ad attenuare le sintomatologie. Si consuma il più profondo tradimento della legge 180, e mentre sarebbero necessari dipartimenti di salute mentale aperti sulle 24 ore, nel napoletano, ad esempio, li si trova aperti solo in orari d’ufficio. Investimenti e risorse si spostano massivamente su un privato non sempre limpido e trasparente, spesso legato a logiche di istituzionalizzazione, ispirato troppe volte da un approccio volto all’esclusiva massimizzazione del profitto. Così, nel sottobosco dell’offerta di case di cura, si sviluppano veri e propri cronicari della sofferenza. In questo contesto, l’ancora ipotetica chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, luoghi fino ad oggi destinati al contenimento di una parte dell’universo della sofferenza psichica, continua ad essere rimandata, il reale superamento rischia di risolversi nella costruzione di piccoli manicomi regionali. Le Aziende sanitarie locali, che dovrebbero garantire la presa in carico di parte degli internati, sono nelle condizioni cui abbiamo accennato. Così, nel carcere di Secondigliano, ad esempio, si attrezzano a realizzare una speciale sezione psichiatrica per i detenuti con disagio mentale, come tra l’altro sembra aver già fatto, in silenzio, Poggioreale. Per discutere di queste tematiche prendendo spunto dalla denuncia diretta di chi ha vissuto la realtà manicomiale, oggi a partire dalle 18 al Pan di via dei Mille, il Festival del cinema dei diritti umani di Napoli ha organizzato uno specifico approfondimento cui parteciperanno, tra gli altri, Aldo Masullo, Assunta Signorelli, Francesco Schiaffo. Si partirà dalla discussione sul libro "Cronache da un manicomio criminale", in cui chi scrive ha riprodotto il manoscritto originale che un internato, Aldo Trivini, realizzò nel 1974 nel manicomio criminale di Aversa. Ne seguì una complessa vicenda giudiziaria che, come si ricostruisce nel libro, ebbe inizialmente una grande eco pubblica determinando anche tragici risvolti (il suicidio del direttore del manicomio). Ben presto, però, il tutto cadde nel dimenticatoio, lasciando inalterata la brutale realtà che Trivini con straordinaria forza aveva denunciato. La sensazione è che questo processo di rimozione sia tutt’altro che episodico e innocente. Rimanda piuttosto ad un sistema biopolitico del contenimento dell’anormalità che, ancora oggi, nonostante le innovazioni portate dal pensiero e dall’opera di Franco Basaglia, in un più generale contesto di smantellamento del welfare, rischia di precipitare nuovamente la psichiatria alla condizione di mero strumento per il controllo sociale, che abbandona la sua vocazione di cura per rispondere a necessità custodialistiche e mercantili. Giustizia: libri e interrogativi… un nuovo carcere è possibile? di Barbara Conti L’Avanti, 13 dicembre 2013 In un momento in cui si discute di giustizia col caso Berlusconi, in cui la sorella di Stefano Cucchi ha ottenuto il risarcimento, ma le condizioni delle carceri - visitate anche da rappresentanti socialisti - sono in condizioni pessime ci si chiede: un altro carcere è possibile? All’interno della fiera "Più libri più liberi" si è tentato di rispondere a questa domanda, raccontando la vicenda di "Gorgona una storia di detenzione, lavoro e riscatto", al centro del libro "Ne vale la pena" di Gregorio Catalano e Carlo Mazzerbo. È possibile un carcere in cui siano rispettate le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza, in cui il detenuto possa essere anche riabilitato al reinserimento sociale, senza perdere il contatto con la realtà? Quello di Gorgona rimarrà un unicum o potrà essere un esempio da seguire? Interrogativi che mettono in evidenza l’incertezza di una situazione gestita con difficoltà, in cui non sempre vige quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione che, oltre a non ammettere la pena di morte, afferma: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Molto spesso, invece, si verifica il contrario, con celle sovraffollate, in cui si supera la capienza massima consentita, dove le condizioni sono disumane, dove non c’è alcun vero percorso di reinserimento. Questa condizione molte volte conduce il detenuto al suicidio, soprattutto durante il Natale e nei periodi di festa. "Ho deciso di parlare della mia storia nel carcere di Gorgona - ha affermato Mazzerbo - quando mi sono stancato di sentire che eravamo l’eccezione, mentre eravamo noi la normalità. Il carcere realizzato sull’isola di Gorgona mi ha permesso di trovare condizioni ottimali di lavoro, in un istituto dal regime meno duro. Di solito nei penitenziari, dopo le 16 c’è la chiusura definitiva e diventano un luogo di sofferenza, mentre lì fino alle 21 c’è un’atmosfera rilassata. Mi sono reso conto che era una realtà che andava difesa e fatta conoscere". Ero molto determinato poiché mi sembrava un posto che andava valorizzato al massimo - ha poi proseguito l’autore del libro. Un detenuto una volta rimase a lavorare fino a tardi, oltre l’orario stabilito, poiché aveva ricevuto la fiducia dalle istituzioni; l’ho abbracciato sinceramente in quanto mi ha fatto vedere i detenuti quali persone in cui avere fiducia. Grazie a una condizione serena ed umana il carcerato non era più oggetto del trattamento, ma soggetto ed artefice, protagonista attivo del suo destino, del cambiamento di vita di cui farlo sentire partecipe attivo. Si tratta di storie di uomini che hanno trovato se stessi poiché trattati nel rispetto umano e hanno imparato a valorizzare ciò che avevano, a fare proprie le opportunità di vita che si davano loro. Se ci legate i piedi come facciamo ad essere noi stessi? Ci domandavano. Ed era vero". Il problema è cambiare, anche strutturalmente, le carceri per poterle aprire, in modo che i detenuti non perdano il contatto con l’esterno, e per poter reintrodurre attività formative (anche lo stesso sport). Tuttavia la criticità consiste nel fatto che "esistono troppi casi singoli che non riescono a diventare sistema, a fronte di un carcere che tende a rendere tutto indifferenziato, anche dal punto di vista del sistema delle pene" ha evidenziato Mauro Palma - a capo della Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani - istituita dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. "Si deve reinvestire nelle carceri che versano in condizioni strutturali precarie, facendo un piano di base delle parti recuperabili, sfruttando gli spazi esistenti ripensandoli per la socializzazione e quali palestre ad esempio" ha continuato Palma. "Il nostro è uno dei sistemi più dispendiosi e si spreca troppo. Occorre anche motivare meglio il personale penitenziario, puntando più sul lavoro di squadra. Rompere alcune rigidità per far sì che le carceri non siano gabbie. Far creare ad esempio gli spazi per i bimbi ai detenuti stessi, per far ritrovare loro i propri affetti, o portarli fuori dalle carceri. Quello dei penitenziari è un problema più etico che sociale oggi. Dovrebbe essere politico, invece. Con un progetto condiviso che diffonda una cultura diversa delle carceri. Altrimenti il caso dell’isola di Gorgona non sarà replicabile: sono anni che non ci sono concorsi per personale penitenziario" ha infine ammonito il presidente della Commissione istituita ad hoc. Giustizia: il Papa; detenuti spesso in stato sub-umano, violata la loro dignità Adnkronos, 13 dicembre 2013 "Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto". Lo scrive papa Francesco nel messaggio per la 47* Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2014 sul tema: "Fraternità, fondamento e via per la pace". "La Chiesa - sottolinea il papa - fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili". Giustizia: Telefono Azzurro; "Rimettili in gioco", per Natale giocattoli a figli dei detenuti Ansa, 13 dicembre 2013 Sono circa 100 mila in Italia i bambini che hanno un genitore in carcere: a loro Telefono Azzurro dedica il Natale 2013, con l’iniziativa "Rimettili in gioco" che prevede di portare un giocattolo al numero più alto possibile di bambini che hanno uno o entrambi i genitori detenuti. Per farlo sono stati allestiti centri di raccolta nelle principali città, dove tutti potranno portare un gioco in dono. I volontari di Telefono Azzurro si occuperanno poi di distribuirli negli istituti di detenzione in cui l’associazione è presente con progetti di aiuto e sostegno ai bambini figli di detenuti. La distribuzione avverrà il 14 dicembre (a Treviso il 20 e a Roma il 21). L’impegno di Telefono Azzurro in questo campo è nato nel 1993 con il progetto "Bambini e Carcere", sviluppato in collaborazione con il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e con l’obiettivo di tutelare i minori che entrano in contatto con la realtà penitenziaria. Il progetto prevede la creazione di spazi e di tempi a favore dei minori con l’obiettivo di instaurare un clima sereno e accogliente e di facilitare la relazione tra bambino e genitore detenuto. L’anno scorso Telefono Azzurro ha raggiunto con il suo supporto oltre 10mila bambini. Giustizia: morto Angelo Rizzoli, malato di Sla è rimasto in carcere fino agli ultimi giorni Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2013 Angelo Rizzoli, l’ex produttore cinematografico coinvolto in numerose vicende giudiziarie è morto a Roma, al Policlinico dove era ricoverato. "Mio marito era malato, ma questa vicenda giudiziaria gli ha spezzato il cuore, lo ha sfinito. Angelo era ricoverato da 13 giorni nell’unità intensiva coronarica al Gemelli, è morto questa notte tra le mie braccia. E pensare che solo quattro mesi fa una perizia della procura di Roma ha certificato la sua compatibilità con il regime carcerario, pur con l’evidenza delle sue condizioni, già allora gravi". Questo il commento della moglie, Melania de Nichilo. Il settantenne produttore cinematografico accusato di bancarotta per un crac da 30 milioni di euro, era anche affetto da una grave forma di sclerosi fin da quando era ragazzo. Appena appresa la morte dell’imprenditore monta la polemica politica bipartisan sulle modalità della carcerazione decise dai magistrati. La prima a rilasciare dichiarazioni critiche sui magistrati è stata la deputata di Forza Italia Michaela Biancofiore: "Apprendo con sgomento e commozione della prematura scomparsa dell’amico Angelo Rizzoli e non posso esimermi dal denunciare con forza che è stato ucciso dall’ennesimo incomprensibile accanimento giudiziario - dimenticato da tutti gli amici politici che si avvicendavano a casa sua - e che troppo spesso passa sotto silenzio nel nostro Paese. Angelo Rizzoli, come tutti sanno, era malato di Sla - una delle malattie più invalidanti che si conosca- i magistrati ne erano perfettamente coscienti e lo hanno sottoposto comunque all’umiliazione degli arresti e allo stress fisico derivante . Non ci sono parole - dice ancora Biancofiore - se non quelle di continuare a denunciare un sistema che non è da Paese civile sul quale tutta la politica e le istituzioni devono riflettere e velocemente". Ancora più critica la deputata Stefania Prestigiacomo: "Adesso quel medico che ha detto che la sua condizione era compatibile con il carcere, rispetto al fatto che le sue condizioni generali sono precipitate proprio a seguito di questo calvario, pagherà in qualche modo? Che bisogno c’era di arrestare un uomo malato ma non terminale?". Dello stesso parere anche se con toni diversi si sono espressi il presidente della commissione Finanze della Camera Daniele Capezzone, Jole Santelli, Renata Polverini, Deborah Bergamini, tutti rappresentanti politici di Forza Italia, ma anche alcuni deputati del Pd Danilo Leva, Walter Verini e Andrea Manciulli che in una nota congiunta hanno dichiarato: "Insieme al dispiacere per la scomparsa di un uomo che ha a lungo sofferto, la morte di Angelo Rizzoli deve essere l’occasione di stimolo per intervenire senza più rinvii per la riforma della custodia cautelare. Un sistema che negli anni ha purtroppo dimostrato degli aspetti disumani". Manconi: non è "morto di carcere" ma c’è da riflettere sull’ingiustizia A dar retta ai luoghi comuni più diffusi e, se posso dire, più reazionari, dovremmo definire Angelo Rizzoli, morto questa notte all’Ospedale Gemelli di Roma, un "detenuto di serie A", che avrebbe goduto dei privilegi di rango e di censo negati ai "detenuti di serie B". Come non era difficile da accertare, si tratta di una sesquipedale sciocchezza. Il carcere non annulla, ma certamente riduce drasticamente i vantaggi di classe e livella i diritti di tutti al gradino più basso". Lo afferma il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama. "Angelo Rizzoli ha conosciuto sul proprio corpo e sulla propria dignità questo processo di mortificazione: un anno e mezzo fa, prima di ottenere gli arresti domiciliari, ha dovuto attendere quasi cinque mesi nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, senza poter ricorrere all’uso delle stampelle che gli erano indispensabili per qualsiasi movimento. Più di recente, una perizia del giudice per le indagini preliminari di Roma aveva stabilito la sua compatibilità con il regime carcerario. Lo sappiamo: non è certo morto per questo, per quella dichiarazione di compatibilità, ma forse non sarebbe inutile tornare a riflettere su quali colossali iniquità vengono consumate giorno dopo giorno nel nostro sistema penitenziario. A danno dei detenuti di serie A e di serie B, conclude. Giustizia: le "carte" sull’agonia di Provenzano, l’ex capo di Cosa Nostra è in fin di vita di Simone Di Meo Il Tempo, 13 dicembre 2013 Il fantasma di Corleone è diventato il fantasma di se stesso. Bernardo Provenzano, l’exa capo di Cosa Nostra, è rinchiuso in una cella di 41 bis di un reparto ad hoc dell’ospedale di Parma, immobilizzato a letto, più morto che vivo. I periti che lo hanno visitato l’ultima volta (il 6 settembre scorso) hanno scritto che è affetto da "grave disabilità motoria e cognitiva" con "impossibilità di interloquire validamente, comprendere quanto accade intorno a lui" e "relazionarsi al contesto". Da tempo non riesce più a nutrirsi da solo ed è alimentato con un sondino naso-gastrico che servirà ancora per poco, comunque. I medici che lo tengono in cura, infatti, si sono arresi alle condizioni disperate di Binnu e hanno chiesto il consenso per praticare un delicato intervento chirurgico (la Peg) per bucargli la pancia dall’interno verso l’esterno. Da circa un anno, non riconosce nemmeno più i legali che lo hanno assistito nel processo sulla Trattativa. L’avvocato Rosalba Di Gregorio, da mesi, sta combattendo una battaglia isolata e difficile per il riconoscimento dei diritti del detenuto Provenzano con decine di perizie mediche e ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Perché, insomma, gli sia concesso, come pure la Costituzione sancisce, il diritto alla salute e alle cure di cui ha bisogno. Le ultime immagini pubbliche del boss siciliano sono state trasmesse, con coraggio, dalla trasmissione di Michele Santoro "Servizio Pubblico" a maggio. Sono quelle del circuito di sorveglianza del carcere di massima sicurezza dov’era allora detenuto. Lo ritraevano mentre, completamente spaesato, era a colloquio con il figlio al quale mostrava non senza ritrosia, dietro sua insistenza, un enorme ematoma alla testa nascosto dal cappellone di lana. Un ematoma provocato da una caduta dal letto che gli aveva pure procurato una frattura scomposta allo zigomo destro; una delle tante. Quella scena risaliva a cinque mesi prima. Allora, Provenzano era ancora in grado di articolare a fatica qualche parola, e di camminare nonostante il Parkinson certificatogli nel 2010 le cui cure (dopamina) gli saranno somministrate nel 2011, con un anno di ritardo. Provenzano era in condizioni gravi, ma non disperate. E, comunque, nello studio di Santoro, guardando quel filmato, Bruno Vespa disse di provare "vergogna" da cittadino per uno Stato che trattiene al 41bis una "persona ridotta in quelle condizioni". Due giorni dopo, il 17 dicembre 2012, l’anziano padrino viene ritrovato in coma, a letto. Verrà ricoverato tre mesi, poi di nuovo in 41 bis nonostante i periti nominati dal gup Morosini (il giudice della Trattativa) abbiano concluso che Provenzano presenta un "quadro cognitivo severamente compromesso" e "sensibilmente aggravato" tale da "inficiare la possibilità del paziente di relazionarsi con il mondo esterno e di comunicare in modo congruo e proficuo con gli interlocutori". Resta dentro altri 3 mesi (fino al giugno di quest’anno) ma è una larva: non riesce ad alzarsi dal letto, ha una doppia incontinenza, dev’essere imboccato e lavato. Stavolta, il ministro Cancellieri gli fa applicare delle sbarre al letto per impedire nuove cadute come richiesto, peraltro, dai medici del carcere fin dall’ottobre precedente. Prima dell’estate peggiora. Ricovero d’urgenza a Parma. Il referto parla di un soggetto "disidratato e malnutrito". Va in coma. Da allora, peggiorerà giorno dopo giorno. E se nel novembre 2012, Provenzano nemmeno riconosceva l’avvocato Di Gregorio, ritenendo addirittura di non trovarsi in carcere e di non aver bisogno di un legale perché non aveva più processi a carico, esattamente dodici mesi dopo, nel novembre 2013, il difensore non può nemmeno più rivolgergli la parola perché il detenuto è immobile, nel letto. Tecnicamente, Provenzano è ancora un soggetto pericoloso in 41bis. La richiesta di differimento/sospensione della pena e di arresti ospedalieri, richiesta dal difensore, è stata bocciata dal Tribunale di sorveglianza di Bologna (l’udienza si è tenuta alla presenza di un avvocato d’ufficio, perché la Di Gregorio non è stata avvisata) in quanto, secondo i giudici, quando nell’agosto scorso, parlando con i familiari, Provenzano chiede "La putia come va?" (il negozio, la bottega), potrebbe riferirsi non già alla lavanderia di famiglia a Corleone, sequestrata tra l’altro dieci anni fa, ma "agli affari della mafia". Le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta avevano anche dato parere favorevole alla revoca del 41bis, ma si è opposta la Dna ritenendo che Provenzano possa essere comunque curato in carcere. Il ricorso in Cassazione non è stato ancora fissato. È come se fosse morto... "Ha i tubi che gli escono dal naso, i capelli lunghi fin sotto le orecchie ed è vestito con il camicino dell’ospedale. Non si muove dal letto. E se volesse aggiustarsi la coperta, non potrebbe farlo perché gli hanno legato le mani". L’avvocato Rosalba Di Gregorio ha visto Bernardo Provenzano, nell’ospedale di Parma, l’ultima volta, due settimane fa. "Ci sono stata il 29 novembre scorso. Solo per poterlo incontrare, ho dovuto aspettare un’eternità il pass che il carcere rilascia per entrare nella struttura sanitaria. Mi sa però che tutto quel tempo non fosse una semplice attesa burocratica, ma servisse a dargli una ripulita, a renderlo presentabile". Avvocato Di Gregorio, il suo assistito è finito due volte in coma nel giro di sei mesi. Ora è nell’ospedale di Parma. Può rientrare in carcere in queste condizioni? "Impossibile. Ha il lato sinistro completamente paralizzato, a causa di un ictus. Da circa un anno, non riesco nemmeno più a parlarci. Prima, pur se completamente avulso dalla realtà, tant’è che era convinto di non avere più processi a carico, almeno riusciva ad articolare qualche parola, una frase. Oggi è come se fosse morto. Respira solo. E il peggioramento di questa condizione è dovuto anche alla vergognosa prima perizia medica dove, invece dei test cognitivi, gli hanno fatto i test della personalità". Resta però ferma una cosa: è difficile difendere uno come Provenzano, e non certo dal punto di vista processuale. Raccoglie poco consenso l’idea che uno come lui possa reclamare dei diritti. "Sono diritti sanciti dalla legge costituzionale che valgono per tutti, Provenzano incluso. Se allora esistono delle deroghe, che si abbia il coraggio di ammetterlo. Si sta tenendo detenuto il nome e si stanno confinando al 41bis i figli. Lui, tanto, non capisce che cosa gli accade". Le perizie disposte dal giudice Morosini accertano la completa incapacità di intendere e di volere di Provenzano, tant’è che non parteciperà al processo sulla Trattativa. I referti medici convergono sul fatto che è un uomo scheletrico. Non tutti, però, ci credono. "Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la mia richiesta di revoca del 41bis perché le guardie del carcere, che gli hanno "notificato" l’avviso di fissazione d’udienza, hanno scritto che il detenuto "si rifiuta di firmare" e che "rinuncia all’udienza". Quindi, sarebbe cosciente. Ho denunciato, a Parma, le guardie per falso in atto pubblico: o ha ragione la perizia e lui non capisce, o hanno ragione le guardie che scrivono che ha espresso una volontà, ovvero quella di non firmare e di non andare in udienza". Gli agenti non sono gli unici protagonisti dei suoi esposti, a quanto pare. Lei ha denunciato anche l’allora pm antimafia Antonio Ingroia e il collega Ignazio De Francisci che interrogarono Provenzano senza difensore. "Quella è una storia incredibile, allucinante. Appena ho ricevuto copia dell’interrogatorio, pur sapendo che si trattava di un documento nullo perché ottenuto in violazione del diritto di difesa, ho chiesto al gip Morosini di acquisirlo agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa. L’ho fatto, ovviamente, prima che Provenzano fosse stralciato e sospeso dal processo. La Procura, nella persona del pm Di Matteo, si è opposta perché si tratta di un interrogatorio nullo, riconoscendo insomma di aver fatto un abuso. Il giudice anche l’ha ritenuto nullo spiegando, però, che l’interrogatorio, motivato da Ingroia con la necessità di sentire Provenzano sulla storia del tentato suicidio, in realtà verteva su ben altri argomenti, da Ciancimino ai rapporti con la politica. Dunque, era un interrogatorio sulla Trattativa. E, come tale, doveva essere tenuto in presenza del difensore". E poi che cosa è successo? "Ho preso il provvedimento del gip e l’ho inoltrato al procuratore generale della Cassazione e al Csm per i rilievi disciplinari di competenza. Poi, ho denunciato sia Ingroia che De Francisci a Caltanissetta per la fuga di notizie. Il primo articolo sull’interrogatorio è stato pubblicato il 4 giugno. La trascrizione dell’incontro tra i pm e Provenzano avverrà solo tre giorni dopo, il 7 giugno. E poi nell’articolo si dice che i magistrati avevano trovato il mio assistito in buone condizioni. Ma davvero? E chi gliel’aveva detto al giornalista?". Puglia: Protocollo d’intesa tra Upi e Prap, per dare ai detenuti un’opportunità di lavoro www.puglialive.net, 13 dicembre 2013 Dare un’opportunità lavorativa ai detenuti pugliesi. È questo lo scopo del Protocollo d’intesa che sarà sottoscritto lunedì 16 dicembre, alle 10, nella Sala Giunta della Provincia di Bari, fra l’Unione Regionale delle Province Pugliesi (Upi Puglia) e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Puglia (Prap Puglia). La collaborazione prevede la promozione di un Programma di attività lavorative che possono essere svolte dai detenuti anche fuori dal carcere, ma anche lavori più qualificati che consentano, l’ dove ci sono le caratteristiche idonee, di poter offrire occasioni di inserimento lavorativo del detenuto, che possano valorizzare le sue qualità professionali, ma anche rendere un servizio sociale mentre si sconta una pena. Il Protocollo, però, ha anche progetti più ambiziosi: promuovere progetti sperimentali e formativi in modo da fornire non solo l’acquisizione di nuove professionalità spendibili sul mercato, ma anche l’adeguamento di esperienze già acquisite prima della detenzione. Così come l’Upi Puglia e il Prap Puglia collaboreranno alla preparazione di progetti finanziati dalla Comunità europea. Il Protocollo, poi, prevede il diretto coinvolgimento dei Centri per l’Impiego per la promozione di iniziative ed interventi di politiche attive sul territorio. "Il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione perché solo lavorando la persona acquisisce quella dignità e autonomia che non lo rende servitore di nessuno - sostiene il presidente dell’Upi Puglia, Francesco Schittulli, dare ai detenuti pugliesi l’opportunità di sentirsi non emarginati, può davvero contribuire a quel recupero sociale che dovrebbe essere lo scopo principale e rieducativo della stessa detenzione". Emilia-Romagna: risistemiamo i campi da calcio… e in carcere la pena sarà più lieve di Luca Sancini La Repubblica, 13 dicembre 2013 Non basteranno un pallone, un prato e due porte a risolvere le questioni di un sistema carcerario in profonda crisi, ma l’accordo tra il Provveditorato per l’Amministrazione penitenziaria regionale e la Uisp, siglato ieri, è un segnale d’impegno stringente sul cammino di nuove modalità di reinserimento per chi sta scontando una pena. Intanto, questo protocollo prende atto di una attività, quella della Uisp, ormai trentennale, decisa a portare lo sport oltre le mura del carcere. E adesso si prova pure a far rete, consentendo una fruizione di risorse ed investimenti nuovi, in arrivo pure dall’Europa, attraverso fondi dedicati: da tempo infatti viene chiesta all’Italia una svolta sulle condizioni di vita dei detenuti. Per restare a Bologna e in regione, uno degli obiettivi del protocollo sarà quello di risistemare e migliorare i dieci campi da calcio, uno per ogni istituto, sui quali, soprattutto in estate, quotidianamente oltre un centinaio di detenuti ha la possibilità di fare una partitella o partecipare a tornei. Palloni, mute di maglie, scarpe verranno destinate al divertimento, ma pure a un progetto culturale per fare dello sport un veicolo di dignità, lealtà, rispetto delle regole, tra le 3.700 persone attualmente detenute in regione. "Questa iniziativa è in linea con quanto, in questa difficile situazione, ci viene chiesto rispetto alle modalità dello sconto di una pena dice il Provveditore regionale Pietro Buffa -. E’un progetto utile a tutta la comunità, detenuti e operatori del carcere". Sono previste anche attività che possano coinvolgere le famiglie dei detenuti e corsi di formazione per gli operatori. A Bologna, il lavoro della Uisp ha spesso dissodato il terreno: basti ricordare l’impegno dell’ex rossoblù Gaby Mudingay e la recente sfida tra una squadra della Dozza ed ex campioni del Bologna. Napoli: Psichiatria Democratica visita Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa Ansa, 13 dicembre 2013 Una delegazione di Psichiatria Democratica è ritornata ancora una volta nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) per incontrare il personale e verificare, insieme, "lo stato di attuazione del programma di dismissioni così come previsto per legge nel nostro Paese, nel mentre circola, insistentemente, la voce che ci sarà una nuova proroga del termine stabilito e così di tutto quanto era stato realizzato dalla Commissione Marino, non resterà che un ricordo sempre più sfocato". Nell’Opg di Aversa sono ospitate, riferisce la delegazione di Psichiatria Democratica 150 persone, tra 19 straniere. Cinquanta i campani, 60 i laziali e 12 gli abruzzesi. Per la delegazione di Pd si registrano ancora tante difficoltà "nei processi di presa in carico dell’utenza da parte di Dipartimenti, ASL e Regioni ma anche nuovi invii, come una sorta di tela di Penelope che non consentirà di mettere il catenaccio a quei luoghi di sofferenza". Volterra (Pi): trenta detenuti della Sezione "Alta sicurezza" trasferiti a San Gimignano Il Tirreno, 13 dicembre 2013 Sono una trentina i detenuti della sezione Alta sicurezza del carcere di Volterra che nella giornata di ieri vengono trasferiti nella struttura carceraria di San Gimignano. Come annunciato nel febbraio scorso, ecco che si compiono le disposizioni della circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, in attuazione dell’ex art.115 Dpr 231 del 30 giugno 2000. Un provvedimento destinato a ridisegnare la geografia dell’istituto penitenziario che sarà solo per detenuti in regime di media sicurezza. La circolare ministeriale era dello scorso 29 gennaio si delinea una "realizzazione ritmata, secondo una attenta gradualità, di un sistema integrato, coerente con la previsione dell’articolo 15 Dpr 231 del 2000". E l’obiettivo è chiaro: "la differenziazione delle strutture per tipologia detentiva sarà la premessa di un miglioramento complessivo delle condizioni sia del personale sia dei detenuti". Emigrano a San Gimignano, quindi, quegli attori della Compagnia teatrale Alta Sicurezza: attività decennale portata avanti dal prof. Alessandro Togoli. I detenuti trasferiti, con tutta probabilità saranno rimpiazzati, con altri carcerati in regime di media sicurezza. Nei mesi scorsi il prof Togoli aveva parlato di passaggio traumatico, considerata anche l’importanza del teatro nelle attività di recupero dei detenuti. Firenze: Radicali; domani una marcia da piazza San Marco per chiedere l’amnistia www.gonews.it, 13 dicembre 2013 Una marcia a Firenze, sabato mattina 14 dicembre, in fila indiana, con partenza da piazza San Marco fino a Palazzo Sacrati Strozzi, in piazza Duomo, con variazione verso Palazzo Vecchio, per chiedere l’amnistia per i detenuti. "Abbiamo in mente i carcerati di Sollicciano, dell’Opg di Montelupo, che devono essere destinatari di misure alternative più umane, e degli altri penitenziari toscani", dichiarano Massimo Lensi, consigliere provinciale, e gli altri esponenti radicali Maurizio Buzzegoli e Emanuele Baciocchi. I tre radicali ricordano innanzitutto che l’amnistia serve a far rientrare lo Stato italiano nella legalità "rispettando i precetti dell’art. 27 della Carta costituzionale". Il 25 dicembre, giorno di Natale, i radicali italiani hanno organizzato a Roma una marcia per l’amnistia a cui fino ad oggi hanno aderito, da Firenze, la Dott.ssa Michelini, direttrice dell’istituto Gozzini, e don Vincenzo Russo, cappellano di Sollicciano. I radicali rivolgono "un pressante appello al Presidente della Provincia di Firenze Andrea Barducci e al Governatore della Regione Toscana Enrico Rossi affinché aderiscano alla marcia contribuendo a questa battaglia di civiltà istituzionale nel nostro Paese". Padova: Papa Francesco ordina 232 panettoni della "Pasticceria Due Palazzi" Il Mattino di Padova, 13 dicembre 2013 La lettera partita dal Vaticano è arrivata. Come fece l’anno scorso Benedetto XVI, anche questa volta, alla vigilia delle festività natalizie, Papa Francesco ha ordinato all’Officina Giotto, guidata da Nicola Boscoletto, 232 panettoni. I venticinque pasticcieri-detenuti ci stanno mettendo il cuore per inviare a Roma i dolci che considerano i più importanti di tutta la loro vita. I 232 panettoni che il papa poi regalerà ad amici e familiari, saranno avvolti in una confezione speciale, tutta di colore rosso (nella foto), con a fianco un bigliettino bianco, scritto in spagnolo, italiano, francese, tedesco e inglese. Quest’anno, come già nel 2012, saranno sfornati in tutto 70.000 panettoni, tra cui quello classico e quello, denominato Kabir, preparato con il moscato passito di Pantelleria. Al dettaglio costa 25 euro. È possibile acquistare i prodotti che escono dai Due Palazzi anche via Internet. La società, che li produce e li mette in confezione, è anche in grado d’inserire nelle scatole-regalo i biglietti personalizzati degli auguri di Natale e di Capodanno e di praticare un prezzo speciale per le aziende. Un ristoratore italiano di Chicago ne ha ordinati duecento. Il panettone Made in Padova finirà anche sulle tavole di un locale nei Caraibi Olandesi e di altri ristoranti del Brasile. Per il resto la produzione in carcere da parte dei 25 detenuti-pasticcieri, addetti al laboratorio è diventata più variegata. "Inutile negare che l’ordinativo di Papa Francesco è stato accolto con grandissima soddisfazione", spiega Boscoletto. "Ora i detenuti sognano una visita del Papa nei laboratori di pasticceria del Due Palazzi". Teramo: Sinappe; detenuto picchia agente, poliziotto portato al pronto soccorso Il Messaggero, 13 dicembre 2013 Un agente della polizia penitenziaria di Teramo, ieri pomeriggio, è stato aggredito e ferito a pugni e calci da un detenuto con problemi mentali. Il poliziotto è stato soccorso e medicato. L’episodio accende nuovamente i riflettori sulla condizioni del carcere di Castrogno a Teramo. "Il pestaggio ha causato dei seri danni al collega tanto da ricorrere alle cure del locale pronto soccorso", afferma il segretario regionale Sinappe, Giampiero Cordone. "Come abbiamo denunciato troppe volte - prosegue - la totale assenza di considerazione dei gravi problemi di questo istituto da parte del dipartimento e del provveditorato sta mettendo a rischio persino l’incolumità del personale interno. Chiediamo l’intervento immediato del provveditore regionale per stabilire immediatamente le reali condizioni dell’istituto di Castrogno che non possono fermarsi alla fumosità ludica di una rappresentazione teatrale o concertistica". Opera (Mi): una nuova palestra per i detenuti, grazie a Edison e Fondazione Cannavò Tm News, 13 dicembre 2013 Il degrado e il sovraffollamento delle carceri italiane lasciano poco spazio e zero fondi a strutture in apparenza non fondamentali come le palestre dei penitenziari, per questo nella casa di reclusione di Opera, poco lontano da Milano, ci hanno pensato i privati della fondazione Candido Cannavò e di Edison, che hanno ristrutturato e attrezzato il locale di 500 metri quadrati dedicato allo sport dei detenuti. "La palestra è l’unica cosa bella che c’è in carcere, finché possiamo usarla la sfruttiamo, sarebbe bello poterla usare tutti i giorni". "La palestra è uno spazio di libertà, grazie al quale riusciamo a scacciare la depressione del carcere, dove riusciamo a trovare gli stimoli per andare avanti". Il progetto prevede una seconda fase, nel 2014, che estenda l’uso dell’impianto oltre il calcetto a all’attività individuale come spiega il direttore del carcere Giacinto Siciliano: "Vogliamo valorizzare lo sport non soltanto come occasione per le persone di accedere alle attività a titolo individuale, ma proprio come momenti di gruppo, di confronto e di crescita. Imparare a rispettare le regole della civile convivenza alla fine è l’unico modo per stare bene insieme alla gente". Del resto anche Nelson Mandela, durante i 27 anni trascorsi in isolamento a Robben Island, non rinunciava mai alla sua corsa quotidiana e nello sport, diceva, trovava la libertà della mente, importante quasi quanto quella del corpo. Milano: Stefano Zecchi a San Vittore, per una conferenza sul tema della paternità www.informazione.it, 13 dicembre 2013 Recentemente nel carcere di San Vittore si è tenuta un’interessante conferenza, inseritasi nel Festival Artistico Letterario "Cultura Milano", con Stefano Zecchi e Salvo Nugnes sul ruolo del padre. Il professore e docente di filosofia estetica Stefano Zecchi ha tenuto una conferenza a tema su "La paternità e il ruolo del padre" nel contesto carcerario di S. Vittore a Milano, affiancato dal noto manager Salvo Nugnes, agente di illustri personaggi e promotore di un ricco calendario di iniziative a scopo benefico solidale per i detenuti, che si collocano nel variegato programma di eventi del Festival Artistico Letterario "Cultura Milano". Zecchi accolto calorosamente ha affrontato una tematica molto attuale, ispirandosi anche al libro di recente pubblicazione "Dopo l’infinito cosa c’è, papà?" (Mondadori). Questo testo non vuole fornire la chiave per capire e risolvere tutti gli infiniti problemi, che esistono nella relazione tra genitori e figli, ma analizza con parole semplici il rapporto famigliare, prendendo spunto anche dalla personale esperienza di genitore fatta da lui in quanto padre di famiglia. Per Zecchi oggi il papà in tante situazioni famigliari è ridotto ad un ruolo quasi marginale, considerato come un sostituto materno. Talvolta, le madri offrono ai propri figli questa visione del padre incapace di mantenere un ruolo ben definito all’interno del nucleo. I figli sono spesso dominati dalla figura femminile e dai nonni, che si prendono cura dei nipoti in assenza dei veri genitori. Zecchi sostiene "Si nota soprattutto la carenza della cosiddetta -legge del padre- considerata basilare per l’educazione dei figli. La mancanza contemporanea della legge paterna spezza la continuità con il passato quando il padre svolgeva il ruolo dell’autorità ed era in grado di garantire in famiglia un ordine morale". E cita le parole di Dante Alighieri sulla sacralità del ruolo paterno, tratte dall’opera "Convivio" come esempio palese "dice e comanda la legge, che a ciò provvede, che la persona del padre sempre santa e onesta deve apparire ai suoi figli. E così appare che l’obbedienza sia necessaria in questa etade". Torino: l’economia che nasce nelle carceri in un temporary store per le festività di Adriano Moraglio Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2013 L’economia che nasce nel carcere va in vetrina nel centro di Torino in occasione delle festività natalizie. Da qualche giorno è aperto un temporary store che rimarrà aperto fino alla vigilia di Natale e che metterà in vendita i prodotti realizzati dai detenuti che operano in 14 cooperative e associazioni con attività interne ai penitenziari piemontesi. I locali sono nel cuore di Torino, in via Garibaldi 18. In vendita, dai mobili da giardino di design a eleganti borse, dalla bigiotteria all’oggettistica, dai biscotti al caffè, dalla birra al cioccolato, articoli che raccontano storie di un mondo difficile, il carcere, verso il quale permangono, nell’opinione pubblica, pregiudizi e distacco. È il risultato del lavoro congiunto di cooperative e associazioni impegnate negli istituti di pena del Piemonte per il recupero e il miglioramento della qualità di vita dei detenuti. L’emporio è nato su impulso del Provveditorato regionale del Ministero di Giustizia, con il contributo della Compagnia di San Paolo e con il patrocino della Città di Torino. Il negozio è stato chiamato "Marte", "perché per molti il carcere -spiegano alla Compagnia di San Paolo - è un pianeta lontano che fa paura, abitato da un popolo oscuro, da dimenticare e punire per i suoi errori, mentre è importante dare a queste persone un obiettivo professionale e di vita che significa motivarli alla legalità anche in vista dell’uscita dal carcere". "La Compagnia di San Paolo -dice Piero Gastaldo, Segretario generale della CdS - da molti anni si impegna al sostegno economico, progettuale e operativo in ambito carcerario, con l’obiettivo di favorire l’inserimento sociale e lavorativo dei detenuti, l’educazione al lavoro e il miglioramento della qualità della vita in carcere. Questa iniziativa è particolarmente importante in quanto realizza un modello di economia del carcere innovativo, di cui non vi sono quasi esempi in Italia, puntando ad affrancare l’attività dell’impresa-carcere dal sostegno di enti esterni". Aosta: Natale nel carcere di Brissogne, intervista al direttore Domenico Minervini di Cristina Odero www.aostaoggi.it, 13 dicembre 2013 Continua l’attesa per il passaggio delle competenze in materia di assistenza sanitaria dallo Stato alla Regione. Efficaci le misure per il sovraffollamento ma "serve una riforma organica del sistema". Si respira un clima tutto sommato sereno nel carcere di Brissogne. Intervistato da Aostaoggi.it, il direttore del penitenziario valdostano Domenico Minervini, ha dipinto un quadro abbastanza positivo, nonostante i molti interventi necessari per migliorare le condizioni dei detenuti. "Considerato il fatto che a tutt’oggi non abbiamo ancora l’assistenza sanitaria adeguata, il morale è abbastanza buono" spiega Minervini. "Stiamo aspettando questa riforma da parecchio tempo ormai, ma nell’ultima riunione avvenuta in Regione la bozza del piano ha previsto un taglio dei fondi da 800 mila euro all’anno a 520 mila, il che purtroppo non aiuta". Solo tre giorni fa infatti, l’Osservatorio sulle carceri si era riunito per discutere su nuove iniziative da promuovere all’interno della struttura e sulla questione del trasferimento delle competenze in materia di assistenza sanitaria dallo Stato alla Regione. In quell’occasione, il Presidente della Regione Augusto Rollandin aveva dichiarato che un’ulteriore richiesta formale era stata inviata il 28 ottobre scorso ai Ministri della Salute e della Giustizia per sollecitare la definizione della questione. "Il problema - spiega Minervini - è che l’iter per il passaggio delle competenze all’Azienda Usl risulta molto più lungo nel caso di una Regione a Statuto speciale come la Valle d’Aosta. Il 29 novembre 2012 vi era stata la rinuncia dello Stato ad impugnare la richiesta, e questo è già positivo. Ma purtroppo rimane il fatto che i tempi di attesa sono lunghi e i servizi sanitari al momento non sufficienti." Tale passaggio infatti, dice ancora Minervini, consentirebbe ai detenuti di usufruire di un servizio di guardia medica di 24h, servizio al momento impossibile e che vede necessaria l’alternanza con altri servizi di tipo infermieristico. Sommaria soddisfazione, espressa dal direttore anche in occasione della riunione dell’Osservatorio sulle carceri, riguarda il problema del sovraffollamento dei penitenziari. "Al momento le misure attuate per risolvere il problema qui ad Aosta sono state efficaci. Circa una quarantina di detenuti sono stati spostati e distribuiti in altre strutture consentendo un po’ di "respiro". Ad oggi nel nostro carcere vi sono 240 persone" dice Minervini. Non molti giorni fa lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva rivolto un appello sostenendo la necessità di legiferare in materia di sovraffollamento delle carceri entro maggio 2014, in vista dell’eventuale condanna dello Stato da parte della Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani. "Per il momento lo Stato sta tentando di trovare delle soluzioni - spiega Minervini - riguardo in particolare amnistia e indulto 2013, il ministro Cancellieri e il governo stanno lavorando su misure differenti dal carcere per chi ha compiuto reati minori. Già quest’estate si stavano elaborando modifiche per la legge sulla recidiva, che sicuramente non facilitava la limitazione delle entrate nelle carceri". Ma l’indulto è procedura d’urgenza e, sottolinea il direttore della casa circondariale valdostana, non è pertanto una misura decisiva. "Nel 2006 con l’attuazione dell’indulto avevamo avuto una diminuzione da 67 mila a 40 mila detenuti, ma purtroppo dopo soli due anni il problema si è ripresentato nella stessa misura, se non in maniera più grave". E aggiunge: "Serve una riforma organica del sistema giudiziario e penitenziario, le misure d’urgenza rischiano di essere solo un palliativo". Tra le misure proposte dal Ministro Cancellieri, quelle che prevedono otto ore d’aria per i detenuti, la possibilità di praticare attività sportive e di potenziamento dei contatti con le famiglie. "A Brissogne abbiamo quattro sezioni aperte su sei e questo diminuisce molto la tensione e fa respirare un clima più sereno" spiega Minervini. "Per questo periodo natalizio poi, abbiamo previsto quattro giorni, il 24, 25, 31 dicembre e il 1 gennaio, nei quali le celle rimarranno aperte fino alle 20 per permettere la socializzazione". Una novità per il nuovo anno ci sarà in materia di iniziative formative e professionalizzanti all’interno del penitenziario. Da gennaio infatti, grazie all’iniziativa cofinanziata dall’Fse e gestita dalla Cooperativa sociale Enaip, nel carcere si terrà un laboratorio di panificazione che durerà sei mesi e al quale parteciperanno dieci detenuti, con al termine l’assunzione da parte della Cooperativa. Tale iniziativa si andrà ad aggiungere a quella già presente di servizio lavanderia e inserimento nell’ambiente lavorativo di 5 detenuti, e a quelle di informatica, per le quali vi è una proficua collaborazione tra la casa circondariale, la Sovraintendenza e l’Assessorato. E per le feste natalizie? Come ogni anno, dice Minervini, si terrà la messa di Natale con visita del Vescovo, alla quale seguirà un concerto per risollevare lo spirito e portare un po’ di speranza per il nuovo anno. Cagliari: "Cafè Noir", i recinti dentro il carcere e i muri che chiudono le vite di Daniela Paba La Nuova Sardegna, 13 dicembre 2013 I muri dentro il carcere come li ha descritti Sandro Bonvissuto nella sua raccolta di racconti usciti per Einaudi nel 2102 e intitolato, appunto, "Dentro"; il muro fuori dal carcere, quello che tutti viviamo come limite invalicabile, oscuro. I racconti dal carcere che Marina Cafè Noir ha portato in scena - nella Biblioteca della casa circondariale di Buoncammino prima e nel teatro di Sant’Eulalia poi - sono un esempio di ciò che i Chourmo - organizzatori del festival Marina Cafè Noir - chiamano "letterature applicate". Prima del festival esiste infatti "Biblio - Café Ristretti", il progetto per cui un gruppo di detenuti di Buoncammino si riuniscono a una volta alla settimana per leggere, discutere e scrivere, insieme a quanti hanno ideato il reading con cui è iniziato ieri il festival. Dentro il carcere cagliaritano hanno lavorato, oltre a Sandro Bonvissuto, gli scrittori Marc Porcu e Serge Quadruppani, ma anche musicisti e fotografi, insegnanti e maestri di canto, capaci, tutti insieme, di trasformare quel cono d’ombra in momenti di allegria e speranza. I racconti dei detenuti e quello di Sandro Bonvissuto si alternano sul palcoscenico mentre, sulla parete di fondo, scorrono le immagini in bianco e nero delle giornate letterarie di Buoncammino, documentate da Rosi Giua. Del carcere c’è solo la biblioteca, calda di libri alle pareti e dei sorrisi che animano discussioni e incontri. Se non fosse per quella grata che raddoppia il fermo delle finestre, se non fosse uno sguardo ferito che l’obiettivo della fotografa coglie, sarebbe davvero una Biblioteca-Café. Sui brani di "Dentro", il testo con il quale Sandro Bonvissuto ha vinto nel 2012 il premio "Lo Straniero", campeggia la foto a colori dello scrittore che fuma, un po’ vago, un po’ sfocato. Proprio lui che è capace di descrivere minuziosamente i luoghi e le emozioni di chi vive "dentro"; "speleologo esistenziale" l’ha definito la critica, per la capacità di scendere in profondità. Tra le immagini più belle e forti del suo racconto è la descrizione del muro: "Il muro è il più spaventoso strumento di violenza esistente. Non si è mai evoluto, perché è nato già perfetto (…) Quelli che incontriamo nella vita di tutti i giorni non sono veri muri è come fossero ordigni disinnescati. Dei muri a salve. Quelli che stanno lì dentro no. Funzionano. E bene. (…) Il muro è concepito per agire sulla coscienza. Perché il muro non è una cosa che fa male; è un’idea che fa male (…) i muri sono sempre fatti contro qualcuno, contro gli esseri viventi. Bisognerebbe rifiutarsi di costruire muri di cinta. Anche se ci pagassero". I passi che rimbombano nei corridoi vuoti del carcere scandiscono il ritmo tra il racconto di Bonvissuto e quello dei "ristretti" che scrivono di sé. "A tratti luce - tutto buio. Sentire buio. Freddo. Sentire bianco, a tratti nero. Intorno ogni silenzio. Intorno e dentro di me", ha letto Victor Nwankwo. Carlo Birocchi quei racconti li recita a memoria, con amore: "Il carcere minorile di Quartucciu, quasi un collegio, con un giardino con moltissime piante". L’adolescenza e la giornata scandita dalle attività, tutto organizzato, nessuna responsabilità: "Avevo 16 anni. Sono passati trent’anni. Avrei dovuto pensarci allora. Non ora che sono qui a Buoncammino". Momenti di commozione sia a Buoncammino, dove i racconti li hanno letti gli stessi detenuti, come a teatro, dove i racconti sono affidati ai Chourmo. E i detenuti ringraziano la poesia, gli scrittori, i volontari. Solo alla fine la figura dinoccolata di Bonvissuto emerge dal fondo e si concede un momento di protagonismo sul proscenio. Tanto gli basta per dire che il montaggio del suo libro - tre racconti, il carcere, la giovinezza e l’ultimo sull’infanzia - è stato deciso a posteriori con le editor. "Io non ero affatto d’accordo. Ma poi l’idea è risultata geniale perché così il racconto del carcere è diventato centrale, nella posizione che merita. E il libro è un viaggio dantesco dal male al bene". L’io narrante del primo racconto non ha nessun tratto personale perché "i riferimenti personali sono poco interessanti. Ci sono cose mie, ma piccole, poco importanti. Quel personaggio non ha un nome, non ha un reato, perché avrei creato una distanza col lettore. Lui non è nessuno, non esiste. La scrittura è mezzo d’immagine potente. Periodi brevi, perché il pensiero è sintetico, non ha retorica. La scommessa era rendere la scrittura del pensare". Piacenza: ex studentessa rinuncia ai regali di nozze e stanzia cifra per i detenuti www.piacenza24.eu, 13 dicembre 2013 Rinuncia ai regali di matrimonio o meglio, stanzia la cifra corrispondente alla lista di nozze e la dona all’attività in aiuto dei carcerati delle Novate. Il gesto è stato fatto da una ex studentessa del professor Alberto Gromi, garante dei detenuti, che preferisce rimanere anonima. E lo sarebbe rimasto anche l’atto di generosità se il Comune non avesse pubblicato sull’Albo pretorio la concessione dei contributi a soggetti del privato sociale, specificando che 3mila e 500 euro erano stati donati proprio con quella finalità. Si tratta comunque solo di una parte della cifra complessiva, visto che quanto riportato dalla delibera (inclusa nell’ultimo bilancio) riporta i soldi che non sono stati utilizzati lo scorso anno, quando avvenne lo stanziamento e che comunque rimarranno nella disponibilità del Garante per le attività di promozione di iniziative in aiuto e sostegno dei carcerati. Ascoli Piceno: a Marino del Tronto taglio del nastro per i murales del carcere www.vivereascoli.it, 13 dicembre 2013 Si è svolta nella mattinata di giovedì 12 dicembre all’interno della Casa Circondariale di Marino del Tronto la cerimonia di inaugurazione dei murales del progetto "Coloriamo il carcere". I lavori hanno riguardato le pareti del lungo corridoio che conduce alle sale comuni, quelle in cui i detenuti incontrano gli insegnanti e i volontari che curano i corsi. Si tratta di uno spazio molto significativo perché è quello che conduce alla libertà: di leggere un libro, di frequentare una lezione, di assistere a una funzione religiosa e di confrontarsi con un pezzetto di mondo esterno. Tema del concorso, indetto dalla Provincia di Ascoli in collaborazione con la direzione e il comando del Marino, era proprio Libertà. Su questa traccia le studentesse del Liceo artistico Licini di Porto San Giorgio, Marta Alvear Calderon, Laura Galetti e Annalisa Accica, e i writers Simone Galiè (di Ascoli), Giorgio Lambiase e Manuele Massessi (di Milano), vincitori del concorso, hanno realizzato le loro opere. A tagliare il nastro, la direttrice dell’istituto, Lucia Di Feliciantonio, e il vice presidente della Provincia, Pasqualino Piunti. Hanno partecipato alla cerimonia l’assessore all’Ambiente del Comune di San Benedetto, Paolo Canducci, e il presidente della Riserva Naturale Sentina, Sandro Rocchetti, enti che hanno contribuito a coprire parte delle spese del progetto e che ospitano ogni estate le giornate ecologiche realizzate con i detenuti. All’inaugurazione sono intervenuti anche i giovani artisti, il prof. Vito Sforza, in rappresentanza del Liceo artistico, la presidente del Club Unesco di San Benedetto, Laura Cennini, che ha collaborato insieme alle architette Anna Rosa Romano ed Elisabetta Schiavone alla giuria del concorso e all’avvio dei lavori, il gruppo di detenuti che ha lavorato ai murales e i ragazzi della redazione di Io e Caino, il giornale del carcere che ha promosso il progetto. "Sentire gli artisti raccontare la propria opera -ha detto il vice presidente della Provincia Pasqualino Piunti - e ascoltare la testimonianza dei ragazzi reclusi ci ha dato la misura di quanto questo progetto abbia fatto centro. Non solo opere che daranno un po’ di sollievo ai detenuti, ma anche un bellissimo rapporto che studenti, writers e reclusi hanno saputo creare". Vasto (Ch): spettacoli in carcere, sabato il concerto della band Highway 61 www.quiquotidiano.it, 13 dicembre 2013 La Casa di Lavoro con annessa Sezione Circondariale di Vasto, sabato 14 dicembre alle ore 15.30, presso la Sala Teatro, ospiterà la band pescarese Highway 61, che ripropone la musica del re del country rock Johnny Cash, morto nel settembre del 2003. Tale evento, che fa seguito a precedenti iniziative, ultima delle quali concretizzatasi sabato scorso con l’esibizione della Corale vastese Warm Up del maestro Alessandro Bronzo che ha suscitato apprezzamento in una platea partecipe ed emozionata, "si colloca - viene evidenziato in una nota - nell’ambito delle attività educative volte ad assicurare la finalità di reinserimento perseguita dall’Amministrazione Penitenziaria". La band proporrà ai detenuti/internati un percorso di canzoni e di letture dell’artista americano che fu protagonista dello storico concerto nella Folsom Prison in California, nel lontano gennaio del 1968. Nell’occasione saranno protagonisti gli stessi detenuti ed internati che avranno cura di leggere le traduzioni delle canzoni e di raccontare le vicende umane dell’artista. L’evento è stato accolto con entusiasmo dal direttore della struttura Massimo Di Rienzo, dal comandante della Polizia Penitenziaria Vincenzo Abbondante e dall’Area Educativa con il coordinamento dell’iniziativa da parte del funzionario giuridico pedagogico Lucio Di Blasio, "anche per la necessità di includere il carcere dentro la città - sottolinea quest’ultimo - attraverso politiche sociali attive, attraverso la definizione di un percorso di produzione culturale che metta l’Istituto penitenziario al centro di un contesto in cui si produce cultura e si fa spettacolo al pari di altre esperienze promosse sul territorio. In un contesto particolare come il carcere tali attività potranno, inoltre, dare ai detenuti e internati l’opportunità di riscoprire dentro di sé un modo di pensare divergente e creativo rispetto agli stereotipi della loro cultura. Ulteriore opportunità di integrazione e riflessione - conclude Di Blasio - per dare un senso positivo alla pena, costruendo un percorso di confronto e progetti finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita quotidiana e alla prospettiva di uscita e ritorno nella comunità". Bologna: con l’Orchestra Mozart, nel carcere i detenuti alzano la voce... e cantano in coro www.orchestramozart.com, 13 dicembre 2013 Appuntamento alla Casa Circondariale "Dozza" sabato 14 dicembre alle 15.00. Sabato 14 dicembre alle 15.00 l’appuntamento è alla Casa Circondariale "Dozza" di Bologna, dove a poco più di un anno dalla sua prima volta, il Coro Papageno, formato da detenuti e da coristi volontari, tornerà ad esibirsi per il pubblico esterno, in un concerto che vedrà anche la partecipazione di un gruppo strumentale formato da musicisti dell’Orchestra Mozart. L’iniziativa si colloca nell’ambito delle attività del Progetto Papageno, che dall’ottobre 2011 l’Orchestra Mozart realizza in collaborazione con la Casa Circondariale, organizzando laboratori corali sotto la guida del maestro Michele Napolitano. Dal primo concerto pubblico del novembre 2012, i progressi del gruppo sono stati concreti ed evidenti: coloro che un anno fa, alle prime armi con la musica, faticavano ad intonare i canti e a seguire i brani sulle parti musicali, oggi supportano i nuovi entrati, dando indicazioni sul rigo da seguire e fungendo da colonne portanti nel guidare le voci dei colleghi meno "esperti". Il 14 dicembre si ripeterà l’opportunità, per la cittadinanza, di entrare a diretto contatto con la realtà del carcere, e di sperimentare in prima persona quanto la musica possa trasformare la vita, regalando benessere e senso di appartenenza ad un gruppo solidale, nel quale ognuno è spronato a rispettare gli spazi altrui e ad offrire il meglio di sé a favore di tutti. Diverse sono le testimonianze che i partecipanti al coro hanno consegnato nel tempo allo staff della Mozart che segue il progetto. Lettere grate, piene di emozioni e anche di stupore per la scoperta di un’esperienza così forte e positiva fatta proprio lì, dentro il carcere, nel momento più buio dell’esistenza. Fra i tanti testi, alcune frasi sintetizzano lo spirito del progetto e danno atto dei concreti risultati: " (…) non sapevo se ero in grado di cantare (…) Non lo so quanto sono bravo, ma so dire che mi piace tanto. Aspetto con molto piacere il mercoledì per stare tutti assieme e cantare e esprimere assieme a voi la mia voce che non conoscevo". "Sensazioni e percezioni intense, l’Orchestra Mozart mi ha fatto scoprire una parte di me che non conoscevo, mi piace, mi fa star bene". "Per me questo periodo è stato bellissimo vorrei tanto che non finisse più (…) io fuori avrei tanta voglia di proseguirlo questo corso, magari ci metteremo in contatto? Mi chiedevo, se ci fossimo incontrati fuori? Chi sa se la mia strada sarebbe cambiata?". Informazioni per l’accesso L’ingresso prevede un’offerta libera a partire da un minimo di 20 euro. Il ricavato sarà interamente devoluto al sostegno del Progetto Papageno per l’anno 2014. Per informazioni e per l’acquisto dei biglietti: Bologna Welcome, Piazza Maggiore 1/E Bologna. Tel. 051-231454. Aperta dal martedì al sabato dalle ore 13.00 alle ore 19.00. Chiusa nei giorni festivi. Sarà possibile acquistare fino ad un massimo di due biglietti a persona SOLO dietro presentazione dei due documenti di identità validi e fornendo un recapito telefonico. I dati personali saranno indispensabili per consentire i necessari controlli da parte dell’Autorità Penitenziaria, che dovrà autorizzare tutti gli accessi. Qualora l’autorizzazione dovesse essere negata, la persona verrà contattata e rimborsata per la somma versata. All’ingresso della Casa Circondariale sarà necessario esibire il documento fornito al momento dell’acquisto del biglietto. È vietato l’ingresso con cellulari o apparecchi elettronici. Ferrara: "La musica dentro", da Jaywork un regalo di Natale ai detenuti dell’Arginone di Ilaria Ghesini www.estense.com, 13 dicembre 2013 Buona musica inedita, cover di grandi successi più o meno recenti, cori e tante emozioni gli ingredienti del concerto di Natale che si è tenuto quest’oggi nella casa circondariale di Ferrara di via Arginone, ad opera degli artisti dell’etichetta ferrarese Jaywork Leonardo Veronesi, Enrica Bolognesi (voce e cori), Ettore Poggipollini (chitarra), Freck Nelli (voce) e War-k. Patrocinato da Comune e Provincia di Ferrara l’obbiettivo era quello di mettere in pratica le direttive di una recente normativa regionale che auspica una maggiore apertura delle carceri ad attività provenienti dal territorio: un modo per far sì che la detenzione conduca a una riammissione nella vita sociale e per considerare il carcere come un pezzo della città e della comunità ferrarese. Una iniziativa in favore dei detenuti che ha visto partecipare anche in rappresentanza dell’amministrazione comunale l’assessore Luciano Masieri, presente inoltre, tra gli altri, anche il garante dei detenuti Marcello Marighelli e il comandante della casa circondariale estense Paolo Teducci. Non un classico concerto natalizio, ma un repertorio più contemporaneo e pop che ha visto alternarsi brani cantautoriali, rock, R&B, dance, cover rivisitate, eseguiti rigorosamente dal vivo e interpretati da cantanti e musicisti dell’etichetta locale, offerto gratuitamente ai detenuti e alle loro famiglie per proporre un momento di aggregazione e svago alle porte del Natale, da sempre periodo dell’anno in cui si è portati a sentirsi più soli, soprattutto se si vive nella realtà della detenzione. "Abbiamo voluto festeggiare con voi il natale -apre il concerto il conosciuto cantautore ferrarese Lonardo Veronesi rivolgendosi ai detenuti della struttura -e farvi conoscere una piccola realtà di Ferrara, l’etichetta Jaywork, che cerca di coinvolgere per lo più artisti locali". La protagonista è senza dubbio la musica che prende il sopravvento con il brano "Da domani" di Leonardo Veronesi tratto dal suo ultimo album "L’anarchia della ragione", si prosegue poi con la cover del nuovo pezzo "L’amore non mi basta" di Emma Marrone eseguita dalla splendida voce di Enrica Bolognesi, a cui seguono War-K con il brano sul terremoto dell’Emilia "Fermo" , Frenk Nelli con la famosissima cover degli anni ‘90 "Sweet Armony", e ancora Veronesi che si cimenta con la storica "Albachiara" di Vasco Rossi e con un suo inedito dal titolo "fantasmi". Brevi intermezzi di Veronesi -che non perde occasione di ricordare quanto il pubblico, composto dai detenuti della struttura, sia uno tra i pubblici più calorosi e partecipativi che abbia mai avuto il piacere di incontrare -e poi ancora musica con la cover di "E la luna bussò" di Loredana Bertè interpretata da Enrica Bolognesi, cui seguono Frenk Nelli con il suo pezzo "Prendo appunti", War-K con un pezzo di Laura Pausini e con la celebre "Hey Jude" dei Beatles; è poi ancora la volta di Frenk Nelli con "Il nastro rosa" di Battisti ed un piacevole intermezzo di freestyle rap ad opera di Bruno, uno dei ragazzi detenuti nella struttura. Ancora War-K che canta la natalizia "Jingle Bells" e infine una corale di tutti i musicisti per il loro gran finale con la classica "Merry Christmas". Firenze: a Sollicciano messa speciale, detenuti incontrano l’Arcivescovo Betori La Repubblica, 13 dicembre 2013 Messa speciale, la mattina del 5 gennaio (ore 10,30) nella basilica di San Lorenzo a Firenze: la celebrazione eucaristica, che sarà tenuta dall’arcivescovo Giuseppe Betori, sarà infatti accompagnata dalle note di Bach, eseguita dai cameristi e dal coro del Maggio fiorentino, mentre ad assistere ci sarà una delegazione di detenuti di Sollicciano. I musicisti suoneranno la Messa in Si minore, Mario Ruffini dirigerà coro e cameristi, con i solisti Giulia Peri, Anastasia Boldyreva, Alfonso Zambuto e Gabriele Spina. Parteciperà la Cappella Musicale della Cattedrale di Firenze, guidata da Michele Manganelli, per i brani del repertorio gregoriano nel corso della liturgia, con l’aggiunta del Credo. Alla messa parteciperà un gruppo di detenuti del carcere di Sollicciano, grazie a uno speciale permesso. Le due Letture che precedono il Vangelo saranno affidate all’assessore Sergio Givone e a uno dei detenuti presenti. L’iniziativa, presentata oggi in Palazzo Vecchio, costituisce il primo evento promosso, congiuntamente dall’Ufficio Cultura dell’Arcidiocesi e dall’associazione onlus ‘La Pasqua di Bach’. Polonia: scarcerati liberati 4 tifosi della Lazio, altri 4 usciranno domani Ansa, 13 dicembre 2013 Lo ha detto il ministro degli Esteri, Emma Bonino, alle Commissioni Esteri di Camera e Senato, riferendosi ai tifosi laziali ancora detenuti a Varsavia. Sono usciti i primi quattro italiani in Polonia. Tibor, Adriano, David e Alessio. Sono questi i nomi dei quattro ragazzi che a momenti dovrebbero abbandonare la prigione di Bialoleka. Il giudice ha infatti accolto il patteggiamento dei ragazzi. Confermate quindi le previsioni. I quattro hanno patteggiato a due anni di reclusione con la condizionale, una multa di 600 euro (dei quali 100 da devolvere in beneficenza) e tre anni di Daspo europeo. Altri quattro tifosi saranno liberati domani. Lo ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino alle commissioni Esteri riunite di Camera e Senato parlando degli italiani detenuti a Varsavia. Regno Unito: nelle nuove carceri celle con telefono e schermi interattivi www.tio.ch, 13 dicembre 2013 Due di queste innovative prigioni sono state inaugurate nel 2012 e la terza è in costruzione. Le nuove carceri di Inghilterra e Galles sono all’insegna dei comfort per i detenuti. Secondo un rapporto del National Audit Office, ente che controlla la spesa pubblica, nei penitenziari di nuova costruzione ci sono i telefoni in alcune celle a disposizione dei detenuti, le docce, e schermi interattivi che permettono di scegliere il pasto e anche il tipo di attività da svolgere dietro le sbarre. Due di queste innovative prigioni sono state inaugurate nel 2012 e la terza è in costruzione. Sono state pensate così dalle autorità del Regno per accelerare la riabilitazione dei detenuti e farli sentire meno lontani dalla società esterna. Non solo, quelli che possono apparire come comfort permettono di impiegare meno personale e quindi di risparmiare soldi pubblici. Nella prigione di Thameside, a sud di Londra, ci sono i telefoni in alcune celle. Per evitare che vengano commessi crimini "su ordinazione" da qualche detenuto le chiamate sono autorizzate e controllate dagli agenti di guardia. Inoltre non è possibile ricevere telefonate dall’esterno. Stati Uniti: carcere di Guantánamo; cala il silenzio sui detenuti in sciopero della fame di Patrizio Cairoli www.america24.com, 13 dicembre 2013 Il silenzio cala sui detenuti di Guantánamo. Le autorità militari statunitensi hanno deciso il blackout mediatico sui prigionieri in sciopero della fame nella struttura creata dall’allora presidente George W. Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Secondo quanto riferito da un ufficiale ad Al Jazeera America, le autorità hanno deciso di non rivelare più il numero di detenuti in sciopero, perché la protesta ha avuto troppo successo nel generare l’attenzione degli organi di stampa. Gli scioperi sono stati più volte lanciati dai prigionieri, che protestano per le loro condizioni e perché in molti sono detenuti da più di un decennio senza un’accusa formale, mentre altri, assolti, non possono essere rilasciati; alcuni mesi fa la protesta ottenne molto risalto, quando più di cento prigionieri scelsero di digiunare per far sentire la propria voce. La scorsa settimana, le autorità militari hanno deciso di non rilasciare più notizie sul numero dei partecipanti alla protesta, nemmeno in caso di domande specifiche da parte dei giornalisti, riporta al Jazeera. "È il desiderio degli scioperanti attirare l’attenzione, così non li aiuteremo" ha detto John Filostrat, capitano di fregata della marina militare e portavoce della Joint Task Force-Guantánamo. Gli scioperi della fame, che si sono intensificati negli ultimi mesi, hanno aumentato la pressione sul presidente Barack Obama affinché chiuda il centro di detenzione, in cui ora si trovano 162 prigionieri. "Tutti sanno che questo posto è qui, tutti sanno che il presidente vuole chiuderlo, e noi lo sosteniamo" ha aggiunto Filostrat. "Nel frattempo, però, siamo concentrati sulla missione e non vogliamo lasciare che lo sciopero della fame continui a uscire da qui. Ci sono molte notizie negative su questo posto e sarà ancora così, sia se daremo notizia giornalmente su quanti si rifiutano di mangiare, sia se non lo faremo". La decisione di non fornire più notizie giornaliere sul numero dei detenuti in sciopero, ha detto Filostrat, è stata presa dai suoi superiori dello United States Southern Command, che supervisiona il lavoro della Task Force. Filostrat non ha né negato, né confermato le parole di un prigioniero britannico, Shaker Aamer, che la scorsa settimana ha dichiarato che "lo sciopero della fame a Guantánamo è tornato" e che in 29 starebbero partecipando alla protesta. "Non gestiremo questo posto attraverso i media. Non siamo qui per nascondere qualcosa. Semplicemente, non riporteremo il numero delle persone in sciopero" ha concluso l’ufficiale statunitense. Iran: liberati gli ultimi due parapendisti slovacchi in carcere per spionaggio www.buongiornoslovacchia.sk, 13 dicembre 2013 Si è conclusa la vicenda degli otto parapendisti arrestati in territorio iraniano nel mese di maggio, con la liberazione degli ultimi due detenuti e la loro consegna alle autorità diplomatiche slovacche ieri, 11 dicembre. L’affare era stato divulgato soltanto a fine giugno, quando le autorità iraniane hanno ammesso per la prima volta di avere arrestato gli slovacchi mentre sorvolavano e riprendevano dall’alto una zona nei pressi della città di Isfahan ritenuta "proibita" agli stranieri, considerando che vi sono diversi impianti nucleari, tra i quali uno dove presumibilmente si svolge attività di arricchimento dell’uranio. Gli otto sono membri della Paragliding Expedition Slovakia, un gruppo che ha svolto negli ultimi anni diverse spedizioni all’estero, e che ha fatto film documentari da presentare a festival del cinema e che si è recato in Iran all’inizio di maggio con un visto turistico. L’accusa per loro era di spionaggio, e possesso di dispositivi non autorizzati, e la diplomazia slovacca, che si era subito attivata, aveva lavorato a lungo con le autorità iraniane, e soprattutto il Ministro degli Esteri slovacco Lajcak aveva più volte visto l’ambasciatore di Teheran a Vienna per richiederne il rilascio. A settembre furono liberati sei degli otto turisti slovacchi, ma gli altri due sono dovuti rimanere fino a conclusione delle indagini. Uno dei sei disse che una delle ragioni per l’arresto era il possesso di trasmettitori dual-band. L’ultimo passaggio diplomatico per risolvere la situazione è stata una visita lampo del Primo Ministro slovacco Robert Fico, accompagnato dal Ministro Lajcak, a Teheran, dove questa mattina hanno incontrato e discusso privatamente con il Vice Presidente Eshaqom Jahangirim. I due funzionari slovacchi hanno potuto anche incontrare e parlare con i due rilasciati presso l’Ambasciata della Slovacchia nella capitale iraniana. Nord Corea: giustiziato lo zio "traditore" del leader Kim Jong Un Adnkronos, 13 dicembre 2013 Jang Song Thaek è stato processato e condannato giovedì da un tribunale militare con l’accusa di voler rovesciare il governo. La Corea del nord ha annunciato oggi l’avvenuta esecuzione di Jang Song Thaek, lo zio del leader Kim Jong Un. Jang Song Thaek era considerato la figura più influente accanto al leader di Pyongyang: è stato processato e condannato giovedì da un tribunale militare con l’accusa di voler rovesciare il governo. La corte che ne ha ordinato l’esecuzione ha definito Jang Song Thaek "un traditore della nazione per tutti i tempi", responsabile di "atti controrivoluzionari".