La “Campagna” di Musumeci, anche una lettera al Papa 9Colonne, 12 dicembre 2013 “Che cosa ci fa in Alta Sicurezza un detenuto che, entrato in carcere con la quinta elementare, si è laureato in Scienze Giuridiche prima, in Giurisprudenza dopo, ha pubblicato quattro libri, da tanti anni si impegna con tutte le sue energie per l’abolizione dell’ergastolo, in particolare quello ostativo, quello che lui chiama “la Pena di Morte Viva”, facendosi in qualche modo carico del destino di tanti, e non solo del suo? Che da anni su questi temi collabora con la Comunità Papa Giovanni XXIII, che insieme a noi chiede con testarda convinzione la sua declassificazione? Da detenuto “cattivo per semprè a detenuto come lo vuole la Costituzione”. È quanto si legge in un appello di Ristretti Orizzonti al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ed al capo del Dap Giovanni Tamburino a favore di Carmelo Musumeci, ergastolano 58enne con pena ostativa e con già 23 anni di carcere scontati ininterrottamente in Alta Sicurezza e che dalla sua cella, da anni, denuncia la disumanità del “Fine pena mai” in una campagna arrivata anche a Papa Francesco con due lettere aperte. L’ultima pochi giorni fa. In essa Musumeci racconta al pontefice un episodio della sua infanzia, suggestionato da quel Marcellino che parlava con un crocifisso di Gesù. “Gli parlai guardandolo negli occhi. Gli domandai cosa dovevo fare nella vita. Se c’era differenza fra morire e vivere. E poi piansi davanti a lui per essere nato diverso dagli altri bambini. Piansi per i sogni che avevo diversi dagli altri bambini. Piansi per essere nato grande. Piansi per essere nato senza amore intorno a me. Piansi perché immaginavo che un giorno sarei diventato quello che non avrei voluto”. Nella sua lettera al pontefice l’ergastolano racconta poi che, nella speranza che il crocifisso gli parlasse, “gli portai un po’ di pane e un po’ di vino che avevo rubato dalla dispensa dei preti. Si potrebbe dire che il primo furto l’ho fatto per Gesù”. E conclude: “Papa Francesco, ti ho raccontato questo episodio della mia infanzia perché nella mia prima lettera ti avevo scritto che gli uomini ombra del carcere di Padova ti aspettavano, io per primo. Tu però non sei venuto, non ancora. Lo so che hai tante cose da fare, devi vedere tante persone e non puoi sprecare il tuo tempo per un migliaio e poco più di ergastolani ostativi, né morti né vivi. Io lo sapevo che non saresti potuto venire, non so se neppure Papa Francesco potrebbe osare tanto da andare a trovare gli ultimi dannati della terra, ma il bambino dell’episodio che ti ho raccontato, che è ancora dentro di me, crede ancora ai miracoli”. Carmelo Musumeci, 58 anni, è stato condannato all’ergastolo ostativo per un omicidio maturato in una guerra tra bande rivali quando, in Versilia, gestiva bische clandestine e un traffico di stupefacenti: per questo motivo e per la natura della sua associazione è stato condannato in base al 416 bis, senza però avere mai contatti con la mafia siciliana. Detenuto a Padova, ha scontato finora 23 anni di carcere in regime di Alta Sicurezza. Ha una famiglia vicino a Viareggio. Oltre alla compagna, ha due figli, Barbara e Mirko e due nipotini, Lorenzo e Michael, che definisce “la luce dell’Uomo Ombra”. Entrato in carcere con la licenza elementare, quando era all’Asinara, sempre in regime di 41 bis, ha ripreso gli studi e da autodidatta ha terminato le scuole superiori. Nel 2005 si è laureato in giurisprudenza con una tesi in sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”. Si è iscritto all’università di Perugia al corso di laurea specialistica e sta preparando la tesi di laurea con il prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto processuale penale. È promotore della campagna “Mai dire mai” per l’abolizione dell’ergastolo, riproponendo i temi che diffonde attraverso il suo sito web www.carmelomusumeci.com. È autore di diverse raccolte di racconti e poesie, tra le quali Le avventure di Zanna Blu (pseudonimo che Musumeci si è dato) e Gli Uomini Ombra, editi da Gabrielli Editori. Ha scritto nella conclusione della sua tesi di laurea: “Spesso si vuole che il Detenuto, in quanto prigioniero, debba accettare di essere punito ingiustamente, si vuole che il Detenuto sia sempre e soltanto ciò che il carcere lo farà essere. Spesso al Detenuto conviene non avere mai un pensiero autonomo e conviene essere sempre d’accordo con il suo carnefice. Invece il carcerato ha tanto da trasmettere e da comunicare. In carcere convivono: dolore, prostrazione, fede, abbandono, odio, pentimento, talvolta brutalità, ma anche un senso infinito di umanità e la possibilità di rinascere”. Nel febbraio del 2010, ha scritto in uno dei suoi post: “Non mi sento innocente, ma neppure colpevole, piuttosto mi sento innocente di essere colpevole. La mia storia giudiziaria è semplice, lo dice la motivazione di condanna che mi ha condannato per un omicidio alla pena dell’ergastolo, che, nonostante la grande differenza fra verità vera e quella processuale, ha stabilito: “In un regolamento di conti il Musumeci Carmelo è stato colpito da sei pallottole a bruciapelo, salvatosi per miracolo, in seguito si è vendicato e per questo è stato condannato alla pena dell’ergastolo”. In molti casi non ci sono né vittime, né carnefici, né innocenti, né colpevoli, perché sia i vivi che i morti si sentivano in guerra. E quando ci si sente in guerra, al processo non ci si difende, si sta zitti e ci si affida alla Dea bendata. Non si maledice la buona o la cattiva sorte, anche se si pensa spesso che i morti sono stati più fortunati dei vivi se i vivi sono stati condannati all’ergastolo”. Laura Coccia, Deputato Pd, risponde a una lettera di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 12 dicembre 2013 Caro Carmelo, è stato un piacere ricevere la tua lettera e le tue parole mi hanno molto colpita. Chi vive da quest’altra parte del muro di cinta, infatti, non si sofferma mai a pensare che dentro il carcere vivano persone con sentimenti e affetti. La nostra società ci ha abituati a criminalizzare e ghettizzare chi sbaglia senza considerare che il tempo cambia gli animi, li plasma a seconda delle esperienze vissute. Nel bene e nel male. Entrare negli istituti penitenziari mi ha insegnato ad andare oltre le apparenze, a considerare coloro che si trovano lì dentro come uomini e donne, al di là di ciò che hanno commesso. Può sembrare strano che io, disabile che lotta da una vita contro stereotipi e pregiudizi, dovessi imparare una cosa così semplice. Tuttavia crescere vuol dire imparare e imparare significa anche cambiare le proprie opinioni. La mia adolescenza è stata segnata da un libro che sicuramente conoscerai, "I Miserabili" di Victor Hugo. Questa lettura ha modificato radicalmente il mio modo di concepire i reati e chi li commette: il protagonista cambia perché comprende i suoi errori, così decide di cambiar vita. Eppure la legge continua a perseguitarlo, rimanendo rigida nelle sue convinzioni. Ti verrò a trovare con immenso piacere il 16 dicembre. Per parlare direttamente con te, guardandoci negli occhi. A presto. Laura Coccia, Camera dei Deputati, Dicembre 2013 Giustizia: aboliamo l’ergastolo di Alberto Laggia Famiglia Cristiana, 12 dicembre 2013 Nonostante la Costituzione reciti che la pena "deve tendere alla rieducazione del condannato", vige ancora in Italia il carcere a vita, ma che meglio si dovrebbe definire "carcere a morte". Lo diciamo subito: siamo per l’abolizione dell’ergastolo, o meglio, della "pena di morte lenta". Lo siamo per un principio elementare di civiltà e per essere fedeli alla Carta costituzionale. Il dibattito sulla necessità del carcere a vita riemerge, in genere, ogni qual volta un delitto particolarmente efferato scuote l’opinione pubblica. Perciò se ne discute sempre "con la pancia", sull’onda dell’emozione o del raccapriccio. Quasi mai a mente lucida. Altre volte l’ergastolo è preda del solito luogo comune che vuole che in Italia una pena non si sconti mai fino alla fine. Non è forse vero che il primo argomento usato per dimostrare che la giustizia italiana non funziona è quello che dalla galera si esce in fretta, che "tanto, prima o poi, escono tutti, anche i criminali più incalliti e gli ergastolani"? E invece non è così. Basta andare a vedersi i numeri per rendersene conto: dai dati ufficiali del Ministero della Giustizia sappiamo, per esempio, che al 31 dicembre 2012 i detenuti ergastolani presenti nelle carceri italiane erano 1.581, quattro volte di più di vent’anni fa. E che un centinaio tra questi ha già superato i trent’anni di detenzione, mentre pochissimi di loro godono del regime di semilibertà. Altro che scomparsa dell’ergastolo, o sua mancata applicazione. C’è di più: da anni in Italia esiste, nei fatti, un altro "fine pena mai", un’altra forma, cioè, di carcere a vita. Si chiama "ergastolo ostativo" (art.4 bis O.P.), ed è quella forma d’ergastolo che impedisce al detenuto che abbia commesso gravi reati associativi, o di stampo mafioso, e che abbia deciso di non collaborare con la giustizia, di usufruire di qualsiasi forma di beneficio o sconto di pena: nessun permesso premio, né tantomeno semilibertà o affidamento in prova ai servizi sociali. Questa sospensione "estrema" delle normali regole di trattamento penitenziario fu introdotta nel 1992, in un clima sociale ben diverso dall’attuale, all’indomani della strage di Capaci, quando il giudice Giovanni Falcone fu fatto saltare in aria con la moglie e la scorta. Da allora questa sospensione non è più stata rimossa. Oggi sono circa 700 gli ergastolani ostativi rinchiusi nelle carceri italiane. Ma è giusto che una pena non debba avere una fine? Non pochi osservano che l’ergastolo è in contraddizione con l’articolo 27 della nostra Costituzione, quando afferma che "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Come conciliare la rieducazione e il reinserimento nella società con il "fine pena mai"? La giustizia peraltro, in questo modo, non rischia di diventare vendicativa, invece che retributiva? Esigere la certezza della pena, non esclude affatto volere anche la certezza di un fine della pena. Di fatto l’ergastolo non permette di "scontare la pena, pur scontandola nel modo più duro. Se "scontare" significa "estinguere" un debito, in questo caso, il debito resta sempre pendente per intero, come il macigno di Sisifo, che non si ridimensiona al trasporto successivo. E ogni mattino dietro le grate, quindi, è sempre e soltanto un nuovo inizio di pena. Non è un caso che il mondo dell’associazionismo, cattolico e laico, si sia mosso per richiedere la cancellazione dell’ergastolo. E non è un caso se Papa Francesco, nel recente "motu proprio" sulla riforma della giustizia penale vaticana abbia abolito definitivamente il carcere a vita. Se stiamo nel novero dei Paesi civili è anche perché abbiamo rifiutato la schiavitù e la pena di morte. Ma non del tutto, almeno fino a quando vigerà qualcosa che assomiglia a quest’ultima. Il giorno in cui la pena "di morte lenta" sarà cancellata, com’è già accaduto altrove, finalmente si farà ammenda di un furto sacrilego: quello della speranza. Cioè della risorsa ultima e indisponibile che possiede ogni coscienza umana, fosse anche la più disgraziata e infelice. Quando rimetteremo in moto, davvero per tutti, le lancette dell’orologio che conta la pena da scontare, potremo dirci uno stato di diritto. La voce dei cattolici contro il "fine pena mai" Papa Francesco ha di recente abolito l’ergastolo nel sistema penale vaticano. Ma già da tempo i cattolici dicono "no" alla pena perpetua. Nonostante un referendum abrogativo che nel 1981 sancì la sconfitta di coloro che volevano cancellare la pena del carcere perpetuo, contro l’ergastolo e sulla sua incostituzionalità, da tempo si sono espressi autorevolmente associazioni, fior di giuristi e intellettuali, cattolici e non. Nell’area cattolica già Giuseppe Dossetti ebbe a dichiararsi a favore dell’abolizione della pena perpetua. Aldo Moro, nel 1976 in una lezione universitaria, due anni prima di essere sequestrato, processato e ucciso dalle Br, diceva ai suoi studenti in aula: "Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta". E definiva l’ergastolo "agghiacciante, psicologicamente crudele e disumano". Tra i leader carismatici dell’associazionismo Don Oreste Benzi, fondatore della della Comunità Papa Giovanni XXIII, da sempre impegnata nel volontariato dentro le carceri italiane e nell’accoglienza di carcerati nelle comunità dell’associazione, commentava così uno sciopero della fame contro "l’ergastolo ostativo" dentro il carcere di Spoleto: "Hanno ragione i detenuti. Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? È una contraddizione in termini. Perché non devono avere il diritto di dar prova che sono cambiati?". "A causa di queste norme ci sono nelle nostre carceri ragazzi quarantenni che sono stati condannati all’ergastolo a soli 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita tra le mura di una prigione che fuori. Persone che non hanno la cella del carcere come letto dove rientrare per dormire, ma ce l’hanno come tomba", afferma Giovanni Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII. Anche Stefano Anastasia, difensore civico dell’associazione "Antigone", che si batte per i diritti nelle carceri, non ha dubbi: "L’ergastolo è una pena detentiva non paragonabile ad altre pene, perché condanna a morire in carcere. È cioè una pena capitale a tutti gli effetti o, come la chiamava Cesare Beccaria, "una pena di morte lenta". Ma di più: è una doppia pena di morte, perché prima di quella fisica c’è quella civile". Eppure mai come oggi l’argomento ergastolo sembra impopolare: "Di fronte alla crisi del sistema penitenziario italiano e alle sue gravi emergenze, purtroppo, ragionare di ergastolo può sembrare un assurdo. E poi, in tempi in cui si sente invocare la pena di morte, figuriamoci quali reazioni potrebbe scatenare una campagna per l’abolizione dell’ergastolo", afferma sconsolato il magistrato Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza dell’Emilia Romagna. "Si tratta di operare senza far clamori, ma incidendo sulla sostanza. Perché non offrire una possibilità di cambiamento al detenuto, quando vengano meno i motivi di sicurezza che l’hanno tenuto recluso?". Così, invece, conclude un suo saggio sul tema (anticipato da "Ristretti Orizzonti", la rivista che si scrive dentro il carcere "Due palazzi" di Padova) il professor Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale all’università di Ferrara: "In un sussulto di coerenza politica e razionalità costituzionale, è tempo che l’Italia, da anni impegnata nella leadership della campagna internazionale per la moratoria della pena di morte (in vista della sua definitiva abolizione), torni a porsi il problema della abrogazione dell’ergastolo. Che, della pena capitale, è l’ambiguo luogotenente". Il giurista, scartata l’idea di un referendum abrogativo, propone, piuttosto, una "quaestio di legittimità davanti alla Corte costituzionale". Sull’ergastolo ostativo, "regime col quale lo Stato si comporta da ricattatore vendicativo, poiché solo se collabori con la giustizia ti offre la speranza di veder ridotta la pena, afferma: "È una variante aberrante tutta italiana il cui regime ricalca, a mio avviso, la definizione di "tortura" contenuta nelle carte internazionali dei diritti. È, insomma, l’altra faccia della pena di morte. Un carcere non a vita, ma a morte. Ciò è evidente considerando che l’ergastolo si prende l’esistenza della persona, anche se non gliela toglie, perché la priva di futuro; gli toglie ogni speranza. Direi che, anzi, ne è una variante ancor più crudele. Si resta vivi, ma dichiarati morti". Carmelo Musumeci, "l’uomo ombra" Ergastolano ostativo, scrittore, poeta, s’è laureato in Giurisprudenza in carcere per portare avanti la campagna per l’abolizione dell’ergastolo. Carmelo Musumeci è l’ergastolano ostativo che ha fatto dell’abolizione della pena perpetua la sua battaglia e quella di tutti gli altri 1.500 "uomini ombra" rinchiusi nelle patrie galere. Vent’anni già trascorsi dietro le sbarre, adesso è rinchiuso a Padova, dove è stato recentemente trasferito da Spoleto. Riportiamo l’articolo di Alberto Laggia, uscito su di lui sul n. 21/2011 di "Famiglia Cristiana": lo incontrammo nell’occasione dell’unico permesso speciale di 24 ore da lui ottenuto in tanti anni, per potersi recare a Perugia e discutere la tesi di laurea in giurisprudenza. Silenzio in aula, si comincia. "Cos’è l’ergastolo ostativo?", è la prima domanda che gli pone il suo relatore, il professor Carlo Fiorio, docente di diritto penitenziario presso la facoltà di Giurisprudenza a Perugia. Carmelo, con la copia cartonata blu della sua tesi serrata tra le dita, cerca la saliva per rispondere. Poche frazioni di secondo, poi s’affranca dalla tensione quel che basta e inizia: "È una pena ingiusta perché si basa su un ricatto medievale e instaura il principio che si esce dal carcere non perché il detenuto se lo merita, ma solo se diventa collaboratore di giustizia…". Venti minuti dopo, la discussione è finita. Strette di mano, applauso e corona d’alloro, come vuole il rito. Poi via, a far festa per qualche ora a Bevagna, nella casa d’accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, con i familiari e qualche amico. Alle otto si chiude perché il laureato deve tornarsene da dove è uscito: la cella di una prigione. Così Carmelo, l’ex-fuorilegge, oggi è dottore. In Legge. E con una tesi sulla "Pena di morte viva", come sta scritto in copertina, ovvero: l’ergastolo. Una laurea che è il riscatto di una vita, e che gli vale dodici ore di libertà, le prime dopo anni trascorsi in cella senza un solo permesso ottenuto, neanche per il matrimonio del figlio Mirco o la conclusione degli studi della figlia Barbara. Una laurea che è un po’ un’autobiografia dolente di un detenuto che sconta ciò che non si può "scontare", perché ogni giorno, per un ergastolano, è sempre un nuovo inizio di pena. Una laurea, infine, che è anche un atto d’accusa contro il meccanismo punitivo più crudele che il diritto potesse inventarsi: l’eliminazione della speranza. Carmelo Musumeci, siciliano di Aci Sant’Antonio, oggi ha 56 anni. Ne aveva 36 quando nell’ottobre del 1991 fu catturato dalla polizia. Era a capo di una banda che gestiva i traffici malavitosi in Versilia. Già fin da ragazzo aveva bruciato le tappe: collegio e riformatorio prima, carcere minorile poi. "Ero nato colpevole", dice usando il titolo del suo prossimo libro, "dentro una famiglia dove non c’era amore perché l’amore non si mangia e noi eravamo preoccupati solo di trovare qualcosa da mettere sotto i denti almeno alla sera". Un giorno gli spararono sei colpi di rivoltella. Ma riuscì a scampare all’agguato. "Ho reagito nell’unico modo che conoscevo: facendomi giustizia da solo. Ho seguito solo le regole con cui mi hanno cresciuto". Condannato all’ergastolo, ha scontato finora vent’anni. Adesso è rinchiuso nel carcere di Spoleto assieme ad altri settecento detenuti. È un ergastolano ostativo, cioè uno di quegli ergastolani per i quali, in base a una legge del 1992, è inibito ogni beneficio penitenziario: niente permessi premio, né tanto meno semilibertà o affidamento in prova ai servizio sociale. "E questo per essermi rifiutato di fare il delatore e di far, così, rinchiudere un altro al posto mio", afferma con orgoglio. Musumeci era entrato in carcere con la seconda elementare. Autodidatta, ha raggiunto il diploma e nel 2005 la laurea breve in giurisprudenza, senza mai uscire dal carcere. "Sono stati la lettura e lo studio a salvarmi e a cambiarmi, non certo il carcere, che per me resta un’istituzione cancerogena", ci tiene a precisare. "I romanzi di Dostoevskij, a iniziare da "Delitto e castigo", m’hanno aiutato a sopravvivere all’Asinara dove ho trascorso un anno e sei mesi in regime di 41 bis, in isolamento diurno; ridotto a giocare in cella con le formiche per non impazzire di solitudine". Poi ha scoperto anche di saper scrivere. Poesie, racconti, favole. A tal punto da vincere premi letterari, che altri, però, sono andati a ricevere per lui. Da poco è uscito il suo ultimo libro di racconti "Gli uomini ombra" (Gabrielli editori) in cui narra storie vere o romanzate di ergastolani, ai quali il carcere, "l’assassino dei sogni", rapina felicità e speranza. Giurisprudenza? È stata una scelta naturale. "A cosa serve a un ergastolano una laurea in architettura?", ironizza. "Gli studi giuridici mi appassionano e poi possono servirmi e servire dentro un penitenziario". Così da qualche tempo, nel carcere di Spoleto, se un detenuto deve presentare un’istanza o un ricorso, se la fa scrivere dal dottor Musumeci. "Diciamo azzeccagarbugli", si schernisce. Ma intanto il detenuto-giurista nel 2005 è riuscito a presentare da solo un ricorso davanti alla Corte Europea contro l’Italia, e poi è pure riuscito a vincerlo. La possibilità di discutere la tesi di laurea a Perugia è un piccolo miracolo, un evento straordinario che interrompe i giorni sempre uguali del recluso. "Non me l’aspettavo più", ammette. Anche perché Musumeci non è solo uno dei 1500 ergastolani oggi reclusi nelle patrie galere, ma è diventato negli anni il portavoce, la coscienza ‘politica’ degli ergastolani, il simbolo della campagna civile, anzi "la lotta" come dice lui, per l’abolizione del "fine pena mai". Da dietro le sbarre, Carmelo porta avanti la stessa campagna per l’abolizione ell’ergastolo, di cui s’è fatta promotrice la Comunità Papa Giovanni XXIII quella per l’abolizione dell’ergastolo. Nel 2007 conobbe per caso don Oreste Benzi, fondatore della Comunità. "Venni a sapere che veniva a farci visita e volli incontrarlo. Io portavo tutti i miei pregiudizi sui preti, lui il suo sorriso disarmante. Stavamo facendo partire uno sciopero della fame e io, a muso duro, gli chiesi di aderire al nostro documento contro ergastolo, con la certezza che mi dicesse di no. E invece mi spiazzò e firmò l’appello. E da lì è nata l’amicizia". Ora don Oreste non c’è più, ma la Comunità continua a seguire Carmelo in carcere. A fargli anche da tutor per lo studio è Nadia Bizzotto, responsabile della casa di Bevagna, "il mio angelo-diavolo custode", come la definisce scherzosamente l’ergastolano. "Oggi è come se mi fossi laureata anch’io", ammette emozionata: Musumeci è uscito dal carcere senza scorta, affidato dall’autorità penitenziaria ai soli volontari della "Papa Giovanni". E anche questo ha dell’incredibile. Si fa sera. Carmelo osserva ossessivamente l’orologio. Le lancette qui fuori sembrano correre maledettamente più veloci che in prigione. Tra qualche ora dovrà tornare in cella, togliere l’alloro e rivestirsi da detenuto. E chissà quando potrà rivarcare quel cancello per un’altra manciata d’ore. La "pena di morte viva" non guarda i titoli accademici. Vuole solo anonimi "uomini ombra". Ergastolo, l’Europa lo ha già bocciato è una violazione dei diritti umani: lo ha affermato per la prima volta la Corte di Strasburgo con una sentenza del luglio scorso. L’Europa ha bocciato l’ergastolo. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza n.3896 del 9 luglio scorso, ha affermato, per la prima volta, il principio per cui l’ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata o di revisione della pena è una violazione dei diritti umani, poiché l’impossibilità della scarcerazione è un trattamento degradante e inumano contro il prigioniero. In questo modo, precisa la Corte di Strasburgo, si viola l’art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che dice esplicitamente che "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". In altri termini l’ergastolo per essere compatibile con l’articolo 3 devce prevedere necessariamente la possibilità della scarcerazione, sia quella di revisione della pena stessa. Secondo la Corte il fine rieducativo a scopo di reintegro nella società, che deve avere ogni pena, per l’ergastolo perde qualsiasi significato. La pronuncia della Corte ha una portata storica e assai innovativa in materia di pene detentive, perché inverte una tendenza consolidata negli anni, con sentenze precedenti, sulla stessa questione. L’ergastolo è già stato abolito in Europa dai seguenti Paesi: Norvegia, Svezia, Spagna e Portogallo. In molti altri Paesi è prevista la possibilità della scarcerazione o di una revisione della pena, come in Italia, ma dopo un minor numero d’anni. Giustizia: niente carcere preventivo per chi ha 75 armi, Fi prepara norma salva-Berlusconi di Liana Milella La Repubblica, 12 dicembre 2013 Le notti di Silvio sono turbate dalla paura d’essere arrestato da un pm senza scrupoli? Ci pensa Forza Italia a metterlo tranquillo e a restituirgli il riposo. Lo strumento giusto è un bell’emendamento al disegno di legge Ferranti - Donatella Ferranti, la presidente Pd della commissione Giustizia della Camera - che stringe le maglie sulla carcerazione preventiva e che sarà tra i primi ddl in discussione in aula alla Camera nel nuovo anno. Detto fatto, la soluzione è semplice, come ai vecchi tempi in puro stile norma ad personam: vietare, sic et simpliciter, la custodia cautelare per chi ha superato la veneranda età di 75 anni. Nessuna deroga, stop all’arresto e basta, proprio in ragione dell’età avanzata. Una manna per Berlusconi, perché gli eviterebbe ogni possibile e brutta sorpresa. Qualsiasi reato dovessero contestargli, anche grave, lui sarebbe salvo. La discussione sul ddl è cominciata in aula lunedì, tra gli emendamenti presentati finora non figura quello sui 75 anni, ma buone fonti di Fi spiegano che è solo una questione strategica. Meglio presentare il testo, che ovviamente creerà un caso e un caos, solo quando la discussione sarà entrata nel vivo e il ddl starà marciando verso il voto. Un blitz, come sempre quando si parla di giustizia per Silvio. Nell’entourage di Berlusconi non si parla d’altro. La norma sui 75 anni viene considerata per lui l’ultima spiaggia. Una strada per metterlo in totale sicurezza, nella quale però tutto dipende da come si comporterà il Nuovo Centrodestra di Alfano. Se il gruppo dell’ex Guardasigilli, com’è accaduto al Senato per la decadenza, fa fronte comune anche sui 75 anni, allora una speranza di far passare la norma si apre. Un fatto è certo: appena qualche settimana fa, mentre si discutevano in commissione gli emendamenti al ddl Ferranti, gli allora compagni di partito Francesco Paolo Sisto, rimasto in Forza Italia, ed Enrico Costa, divenuto il capogruppo degli alfaniani alla Camera, avevano firmato assieme un emendamento per escludere dall’arresto gli over 70, anche nel caso di reati gravi come la corruzione. A opporsi, in quell’occasione, è stato il relatore, oggi forzista, Carlo Sarro, vice presidente della commissione Giustizia e avvocato del ben noto Nicola Cosentino. Ma in quel momento Berlusconi era ancora senatore e godeva dello scudo immunitario contro un possibile arresto, mentre adesso, dopo l’avvenuta decadenza, è tornato a essere un cittadino come tutti, esposto anche a una possibile cattura. La norma sui 75 anni rischia di essere una pesante zeppa sul ddl presentato sin da aprile da Ferranti, che ha firmato il testo con altri esponenti del Pd. Il ddl 631 è stato poi fuso con altre proposte, tra cui quelle dei forzisti Brunetta e Sisto e dell’adesso alfaniano Costa. Ne è venuto fuori un ddl che impone al pm e al gip maggiore cautela nel decidere l’arresto preventivo. La principale parola d’ordine è che magistrato e giudice non devono valutare la pericolosità del reato in astratto ma soppesare bene "l’attualità" concreta della necessità di un arresto. Il criterio, come ha detto in aula la relatrice Pd e avvocato torinese Anna Rossomando, dev’essere quello di "una custodia cautelare come extrema ratio", solo quando si è davvero certi che nessuna altra misura possibile, come gli arresti domiciliari, risulti inadeguata. Siamo nel trend di misure che riducono al massimo il ricorso al carcere, anche per evitare il sovraffollamento, nella linea ormai del governo Letta. Ma a questo punto il problema è che gli alfaniani, come Costa, non sarebbero affatto soddisfatti del risultato raggiunto perché ritengono che il testo sia "troppo morbido" rispetto all’esigenza di alzare l’asticella della carcerazione preventiva. Qui s’innesta la possibilità che sul primo e importante ddl sulla giustizia si ritrovino assieme l’ex Guardasigilli e l’ex premier. Giustizia: "l’amnistia non risolve i problemi delle carceri", Renzi ha scoperto l’acqua calda di Vittorio Feltri Il Giornale, 12 dicembre 2013 Non siamo mai stati né comunisti né opportunisti di sinistra (generica), ma confessiamo di aver fatto un po’ di tifo (moderato) per Matteo Renzi, neosegretario del Pd. Il ragazzo non ci era simpatico, ma neppure antipatico quanto la maggior parte dei suoi sodali. Diciamo che tra coloro che non ci piacciono, era quello che ci dispiaceva di meno. Supponevamo che egli, non essendo un prodotto di Botteghe Oscure e nemmeno un figlio del marxismo-leninismo, ma semplicemente un figlio di buona donna, rappresentasse il meglio del peggio. E così, forse ingenuamente, ci siamo lasciati trascinare dalla speranza che il sindaco di Firenze potesse imprimere una svolta al suo partito, portandolo verso le praterie della socialdemocrazia, lontano dai pascoli prediletti dai compagni, quelli del compromesso storico e dell’euro (o neuro) comunismo. L’eloquio sciolto del giovin signore era ed è rassicurante. In certi momenti siamo arrivati ad augurarci che Renzi fosse uno dei nostri, cioè un tipo col quale si potesse parlare e trattare senza paventare inganni. A pochi giorni dalla sua elezione a leader del Pd, temiamo già di aver sbagliato i conti, avendoli fatti senza l’oste. Oddio, qualche dubbio l’avevamo già avuto un paio di settimane orsono, quando "don" Matteo se ne uscì con una bischerata madornale. Questa: sono contrario all’amnistia e all’indulto, perché non risolvono il problema delle carceri, ma lo rinviano sine die. Quando uno scopre l’acqua calda spacciandola per un’idea geniale bisogna diffidarne. Infatti, la maxi sanatoria proposta da madame Cancellieri, e sollecitata da Giorgio Napolitano, non è una panacea. Ma non ha alternative, dato che il sovraffollamento delle galere si combatte solo in due soli modi: primo, costruendo nuove prigioni, il che comporta l’esborso di soldi, dei quali non disponiamo né disporremo a breve termine (forse mai), quindi "salutame a soreta", nel senso di campa cavallo; secondo, depenalizzando reati che oggi sono stupidamente puniti con la detenzione. Ci sarebbe una terza via, ma è impraticabile: fare sì che gli stranieri dietro le sbarre finiscano di scontare le pene nel loro Paese anziché nel nostro. Ma chi è capace in Italia di organizzare un’operazione similmente complicata? Scartiamola. Ecco dimostrato che il rifiuto opposto da Renzi all’amnistia e all’indulto significa non avere capito un tubo, considerato che la situazione nei nostri reclusori è ai limiti dell’umana sopportabilità e richiede interventi d’urgenza. Se lo ha intuito perfino Napolitano, che ha l’età del dattero, lo potrebbe afferrare anche il rottamatore. Invece niente, il concetto non gli entra in testa, poverino. Il che conferma che la questione anagrafica è una boiata pazzesca. Se uno è indietro di comprendonio, lo è a prescindere dalla data di nascita. Si può dire che questo sia un assioma. Renzi, inoltre, non appena conquistata la poltrona in vetta al partito, si è distinto compiendo un’altra porcheria che grida vendetta. Ci si aspettava da lui che desse vita a una segreteria politica innovativa e in grado di ribaltare i vecchi criteri gestionali improntati alla peggiore tradizione comunista; eravamo in ansia, pieni di curiosità, desideravamo verificare l’autenticità della sua propensione a guardare al futuro. Delusione cocente. Matteo ha nominato una dozzina di mattocchi senz’arte né parte, tra cui un certo Taddei, sedicente economista, il quale ha ribadito senza arrossire - essendo costui più rosso del fuoco - che la chiave adatta per recuperare denaro, allo scopo di distribuirne ai lavoratori in affanno, sia l’aumento della tassazione sulle case di proprietà. Altro che Imu, una bazzecola: bisogna massacrare fiscalmente chiunque abbia uno, due, tre immobili; e il ricavato sia utilizzato per fare giustizia sociale, ossia, spartire la ricchezza. La teoria si basa sul seguente principio: poiché gli immobili sono fermi per definizione, mentre la società è in movimento, occorre penalizzare l’inerte mattone e premiare gli operai che, viceversa, sono la rappresentazione fisica del moto perpetuo. Renzi si è affrettato ad aggiungere che non candiderà alle europee - le quali si svolgeranno a maggio - né Rosy Bindi né Massimo D’Alema. Agisca come crede. Il capo è lui. Cerchi soltanto di non buttarci dalla padella nella brace. Non ci faccia rimpiangere i bei tempi andati, quando i comunisti si accontentavano di mangiare i bambini, oltre al caviale, naturalmente. Giustizia: sia forte il "no" alla pena di morte… di Giuliano Amato e Federico Mayor* Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2013 Sessantacinque anni fa la Dichiarazione universale voluta dall’Onu. Questa settimana si celebrano nel mondo i diritti umani, in occasione del 65° anniversario della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite. Ed è proprio in queste giornate che vogliamo ricordare l’importanza della battaglia contro la pena di morte e il ruolo che a questo riguardo l’Italia ha svolto e sta svolgendo nel mondo, ad opera non solo del suo governo, ma anche di altre istituzioni e associazioni, come la Comunità di S. Egidio e Nessuno Tocchi Caino. L’Italia, dopo aver rimosso dal suo ordinamento costituzionale ogni riferimento alla pena di morte, iniziò nel 2007 una lunga e tenace azione in primo luogo (ma non solo) diplomatica, che portò in quello stesso anno al voto dell’Assemblea Generale dell’Orni a favore di una moratoria globale. Altre risoluzioni sono venute al seguito della prima e il prossimo voto dell’Orni sul prolungamento della moratoria è atteso per il 2014, 25 ° anniversario di quel "Secondo Protocollo Opzionale", che fu poi il primo trattato internazionale di respiro globale per l’abolizione della condanna capitale. Ed è significativo che, in vista di ciò, Emma Bonino abbia già annunciato di essere al lavoro per la costituzione di un gruppo di Stati, che riprenda la campagna per la moratoria. La nostra Commissione Internazionale contro la Pena di Morte - un organismo indipendente costituito da commissari dei più diversi paesi del mondo - confida molto nell’impegno italiano e nella sua capacità di trascinare altri nella stessa battaglia. Sono ormai una stragrande maggioranza gli Stati che hanno abolito la pena di morte. Nei tardi anni 70 erano sedici, ora sono attorno ai centocinquanta. È un progresso straordinario, oscurato però da un gruppo pur minuscolo di paesi - Cina, Iran, Iraq, Corea del Nord, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen - che condividono nel loro insieme il poco commendevole primato nella esecuzione di pene capitali. Nel 2013 c’è stata un’impennata sia in Iran che in Iraq, mentre il Texas ha raggiunto le 500 esecuzioni da quando ha ripreso a praticarle trent’anni fa. Si aggiunga che, sempre nel 2013, sono rientrati in campo altri paesi dall’Indonesia al Kuwait, dalla Nigeria al Vietnam. Non sono dunque venute meno le ragioni per insistere. Tanto più quando si può constatare che in un paese come gli Stati Uniti (certo segnato dal dibattito aperto e democratico ben più di tanti altri) il sostegno per la pena di morte è sceso ai livelli più bassi dell’ultimo quarantennio e molti Stati-membri stanno andando verso l’abolizione. Mentre nella stessa Cina c’è stato qualche passo per ridurre i reati puniti con la condanna capitale e migliorare le garanzie procedurali. Coloro che ancora ricorrono all’uccisione legale dei loro cittadini possono solo imparare dall’esperienza di chi ha smesso di farlo. Si accorgeranno che il sostegno pubblico alla pena di morte si riduce se si hanno il coraggio e la tenacia di discuterne con serenità e con dati oggettivi. Si accorgeranno quanto pesa sulle coscienze il rischio dell’errore giudiziario, che con la pena di morte è il rischio di uccidere persone del tutto innocenti. Si accorgeranno che i Paesi che hanno abolito la pena di morte hanno tassi di criminalità mediamente più bassi. E sarà difficile per loro rispondere alla domanda: come può difendere il rispetto per la vita e per la "rule of law" chi ricorre all’uccisione di Stato? La domanda è esattamente quella che ci pone la ricorrenza della Dichiarazione dei diritti che si celebra in tutto il mondo. Tocca dunque a tutti, a partire dai governanti, i leader politici, i leader religiosi e dei movimenti civili, ricordare a chi li ascolta che nessuna società è giusta e sicura se ancora c’è in essa la pena di morte. Nel 1786 la Toscana, allora indipendente, fu il primo Stato ad indicare al mondo la strada per l’abolizione della pena di morte. È stato un lungo, lunghissimo cammino e non lo abbiamo ancora concluso. Ma cominciamo a vederne la fine. Potremo sapere tra non molto quale sarà l’ultimo Stato ad abbandonare questa violenza, la più tremenda, contro i diritti umani. Adopriamoci per arrivarci al più presto. *Giuliano Amato e Federico Mayor sono membri della International Commission against the Death Penalty (www.icomdp.org). Federico Mayor, già direttore generale dell’Unesco e ministro per l’Educazione e la Scienza in Spagna, ne è presidente. Giustizia: 47 casi di suicidio in carcere da inizio anno, dal 2000 un’escalation senza fine di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 12 dicembre 2013 I Radicali chiedono da tempo un provvedimento di Amnistia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lancia appelli alla politica in direzione del miglioramento delle condizioni detentive ma l’Italia continua a rimanere uno dei paesi peggiori per quanto riguarda le sue prigioni. Una condizione, questa, che non può evitare di essere correlata all’alto numero di suicidi che, negli ultimi anni si sono moltiplicate nelle celle dei nostri penitenziari, da nord a sud. I numeri resi noti da Ristretti Orizzonti ci presentano un quadro disarmante. "La frequenza dei suicidi tra i detenuti è 20 volte superiore rispetto alla norma", si legge sul sito. E non finisce qui. Se a togliersi la vita sono spesso i ristretti, anche tra gli agenti di polizia penitenziaria vi sono molti casi di decessi volontari: anche in questo caso il numero è 3 volte superiore alla media. Sul sito Ristretti Orizzonti viene reso noto che, seppur qualcuno di questi casi può e deve essere legato a problematiche personali, circa i due terzi sono da addebitarsi ai fattori ambientali. Morti in carcere, i numeri - Scendendo nel dettaglio dei numeri, resi noti da Ristretti Orizzonti, nel 2013 (dati aggiornati fino al 10 dicembre) i morti in carcere sono stati 145, di cui 47 suicidi. Un tasso elevato seppur in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente: nel 2012, infatti, la popolazione carceraria che si è tolta la vita è stata di 60 unità (totale morti in carcere 154). Facendo lo storico degli ultimi tredici anni, infine, una cifra che induce a riflettere e che dovrebbe essere un monito per la politica: dal 2000 al 2013 i morti nei penitenziari italiani sono stati 2.233, di questi 799 si sono suicidati. Giustizia: Letta; siamo patria di Beccaria, sulle carceri Governo pronto a fare sua parte La Presse, 12 dicembre 2013 "Abbiamo ascoltato tutti l’appello del Presidente della Repubblica sulla drammatica situazione carceraria, su alcuni temi è competente il Parlamento, che deciderà in autonomia, ma su ciò che è di competenza del Governo siamo pronti, siamo la patria di Cesare Beccaria e dobbiamo dimostrarlo". Così il presidente del Consiglio Enrico Letta nel corso del suo intervento alla Camera dei deputati con il quale chiede la fiducia per il suo Governo dopo il passaggio di Forza Italia all’opposizione. Leva (Pd): Parlamento ascolti appello Letta "Dobbiamo raccogliere l’appello del presidente Letta: "Siamo la patria di Cesare Beccaria e dobbiamo dimostrarlo". Il monito lanciato a suo tempo dal presidente Napolitano sulla necessità di riconsegnare il nostro sistema carcerario allo stato di diritto, deve essere fatto proprio dal Parlamento che deve assumersi l’onere e l’onore di una riforma della giustizia, che consenta di portare a soluzione il problema delle condizione del nostro sistema carcerario. Bene quindi rivedere il sistema delle pene e della loro esecuzione, ma soprattutto è necessario affermare in maniera decisa una cultura del garantismo che vada oltre il populismo penale che ha caratterizzato l’ultimo decennio". Lo dichiara, in una nota, Danilo Leva, componente commissione Giustizia del Pd. "Revisione della custodia cautelare, eliminazione della Bossi-Fini, revisione della Fini-Giovanardi, uso di pene alternative al carcere, sono alcun delle misure necessarie per ridare forza al valore dello stato di diritto e per affrontare in maniera strutturale il tema del sovraffollamento carcerario. Al termine di un processo di riforma di tale genere non è da escludere in maniera aprioristica anche il ricorso ad un provvedimento di indulto che naturalmente non potrà valere per i reati di grave allarme sociale. In tal modo potremo riportare il nostro paese nel contesto dei paesi di alta civiltà del diritto, consentendo al sistema giudiziario di poter funzionare in maniera più efficace". Coccia (Pd): bene impegno di Letta per il ripristino legalità "Credo che i detenuti siano cittadini come gli altri e che dunque meritino rispetto e risposte perché il carcere può diventare un abisso senza fine. Spero che la nuova segreteria del Pd sappia cogliere la portata di questa sfida e ci aiuti nel trovare al più presto soluzioni adeguate al dramma Carceri, anche alla luce dell’impegno che oggi il presidente del Consiglio ha assunto in aula in occasione del voto di fiducia". Lo dice Laura Coccia, deputata del Pd, componente della commissione Cultura, che ha ricevuto una lettera da Carmelo Musumeci dopo la sua visita nel carcere di Padova. "Da mesi - prosegue Coccia - mi sto battendo per il miglioramento delle condizioni dei detenuti e credo che sia arrivato il momento di riflettere seriamente su quali azioni concrete mettere in campo per fare in modo che il nostro Paese smetta di non rispettare sistematicamente i diritti dei detenuti". "Dobbiamo ripristinare la legalità internazionale e costituzionale. Non c’è più tempo da perdere - prosegue Coccia. Le Carceri devono diventare per davvero quello che dovrebbero essere: luoghi di rieducazione, al fine del reinserimento sociale, e non luoghi di repressione. Per questo il 16 dicembre ho deciso di accogliere l’invito di Carmelo Musumeci andandolo a trovare nel carcere di Padova. Musumeci è stato condannato all’ergastolo ostativo che significa nessun beneficio, nessuna speranza di ottenere misure alternative nonostante il parere espresso dalle autorità. È necessario che la politica accenda un faro di luce su tutti i detenuti e sulle loro storie e non solo su quelli famosi. Serve uscire dall’inedia. Serve un’assunzione collettiva di responsabilità". Formigoni (Ncd): amnistia e indulto assolutamente necessari "Amnistia e indulto sono provvedimenti assolutamente necessari, e per questo sono d’accordo con la Marcia per l’amnistia del 25 dicembre". Lo ha detto il senatore del Ncd Roberto Formigoni, intervistato da Radio Radicale sulla Marcia promossa dai Radicali, insieme a Don Mazzi, a Valerio Spigarelli delle Camere Penali e a molti altri per la mattina di Natale, da San Pietro a Palazzo Chigi. "La partenza da San Pietro è giusta, perché sappiamo che i Papi si sono sempre pronunciati per dedicare attenzione al mondo delle carceri, carcerati e agenti, che spesso hanno problemi non diversi da quelli dei carcerati. E da Palazzo Chigi, dal governo, e soprattutto dalle forze politiche, ci aspettiamo un atto forte", ha detto Formigoni. "Non potrò essere presente fisicamente, ma aderisco idealmente", ha concluso Formigoni. Marazziti (Per Italia): parteciperò a marcia amnistia "Parteciperò certamente alla Marcia per l’amnistia". Lo ha detto il deputato del gruppo "Per l’Italia", intervistato da Radio Radicale sulla Marcia per l’amnistia promossa dai Radicali per la mattina di Natale. "Il Natale per noi la Comunità di Sant’Egidio è sempre stato il Natale con i poveri e i deboli, e non potrebbe iniziare in modo più degno, con una Marcia per l’amnistia", ha detto Marazziti. "Per noi è anche la chiave per uscire dalla logica dell’occhio per occhio, dalla idea di un giustizialismo a tutti i costi, da uno scontro che aumenta giorno per giorno. Credo che una marcia per l’amnistia sia la cosa giusta da fare. E penso che l’appello del Capo dello Stato, insieme ad un abbassamento dei toni, possa portare il nostro Paese ad essere di nuovo presentabile, anche con l’amnistia", ha concluso Marazziti. Giustizia: Iacolino (Fi); serve uno "spazio unico europeo", per Italia problema carceri Ansa, 12 dicembre 2013 "È essenziale creare uno spazio unico di giustizia in Europa, con una cooperazione basata sulla fiducia tra gli Stati membri per arrivare a creare ovunque nella Ue dei sistemi giudiziari indipendenti ed efficaci, cosa che non avviene ancora in diversi" paesi. È questa la richiesta avanzata oggi dall’eurodeputato Salvatore Iacolino a nome della delegazione di Forza Italia a Strasburgo. "In Italia - ha osservato Iacolino durante una conferenza stampa a cui hanno partecipato anche il capodelegazione Raffaele Baldassarre e Licia Ronzulli - 8 milioni di fascicoli penali e civili sono fermi con un’incidenza diretta sul Pil, una situazione che ha portato il Consiglio d’Europa ha sollevare diversi rilievi" sul paese. Primo tra tutti, ha ricordato Iacolino, quello del "sovraffollamento carceri" che è "l’effetto di un processo civile su 3 stadi e con tempi lunghi" che porta ad avere in prigione "24 mila persone in attesa di giudizio finale" ed il "13% dei detenuti in attesa della sentenza di primo grado". Altre priorità per arrivare ad un sistema giudiziario indipendente ed efficace, ha sottolineato la pattuglia di Forza Italia a Strasburgo, sono la "responsabilità civile dei magistrati" e la "separazione delle carriere" dei giudici. "Questi dati - ha concluso Baldassarre - indicano la drammaticità della situazione italiana" Giustizia: 41bis; Turco (Radicali); le "parole" di Riina… non sono le "minacce" di Riina Notizie Radicali, 12 dicembre 2013 Dichiarazione di Maurizio Turco, già deputato radicale: "Da anni denunciamo che è una inutile misura afflittiva il vetro divisorio nei colloqui tra detenuti in 41bis e famigliari; per cautelarsi dal fatto che i detenuti affidino ai propri famigliari ordini da portare all’esterno è sufficiente registrare i colloqui alla presenza degli agenti, come già accade. Ma accade anche che due detenuti in 41bis, peraltro in area riservata, ovvero un 41bis nel 41bis, che hanno diritto ad 1 ora d’aria al giorno, senza alcuno sforzo sono in grado di far pervenire messaggi all’esterno peraltro senza che il messaggero sia immediatamente trattato come sono trattati detenuti e parenti accusati di dare e ricevere ordini magari sulla base di articolate e complesse "decodificazioni" di parole, gesti, smorfie, disegni. In questo caso non c’è nulla da decodificare. Totò Riina parla ma non minaccia perché lui dovrebbe avere la certezza che quelle parole finiranno al massimo sul tavolo di un magistrato, non su tutti gli organi di stampa, pubblici e privati, cartacei, radiofonici, televisivi e negli orari di massimo ascolto. Che se minaccia concreta fosse stata la si sarebbe tenuta segretissima e si sarebbe fatto di tutto per non farla pervenire a chi avrebbe dovuto o potuto eseguirla, con tutte le varianti più o meno logiche del caso". Giustizia: la Cassazione conferma revoca dell’affidamento in prova per Fabrizio Corona Ansa, 12 dicembre 2013 Confermata, dalla Prima sezione penale della Cassazione, la revoca del beneficio dell’affidamento in prova per Fabrizio Corona, detenuto nel carcere di Opera dove deve scontare la condanna in continuazione per diversi reati pari a 7 anni, 10 mesi e 17 giorni di reclusione. La Suprema Corte, infatti, ha respinto il ricorso con il quale il fotografo contestava l’ordinanza con la quale lo scorso 5 febbraio il tribunale di Sorveglianza di Milano aveva revocato l’affidamento in prova di cui aveva usufruito per alcuni mesi. Corona è stato condannato a 5 anni di reclusione per l’estorsione al calciatore Trezeguet, a un anno e 5 mesi per tentata estorsione ai calciatori Coco e Adriano, a 1 anno e 6 mesi per detenzione e spaccio di banconote false e ricettazione di una pistola. Sicilia: Uil-Pa; no alla chiusura di tre penitenziari regionali, intervenga la Cancellieri Adnkronos, 12 dicembre 2013 Il coordinamento regionale Uil-Pa penitenziari Sicilia dice no alla chiusura di tre penitenziari regionali. "Dopo la chiusura del carcere di Marsala si vuole passare a quelli di Mistretta, Nicosia, e Modica", spiega in una nota Gioacchino Veneziano Coordinatore Regionale della Uilpa Penitenziari che annuncia la trasmissione di una lettera aperta al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri e al presidente della Regione Rosario Crocetta. Inoltre, secondo il sindacalista, "la chiusura delle carceri provocherà un peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti, che andranno a sovraffollare le carceri siciliane già straripanti di oltre 3.500 reclusi rispetto la capienza regolamentare, e mancano oltre 1000 poliziotti penitenziari". "Infine - conclude Veneziano - in una regione come la Sicilia, ad alta densità mafiosa, in cui forze dell’ordine e magistratura si spendono senza sosta portando a termine importanti operazioni, ma in cui ancora esistono pericolose sacche di illegalità e su cui pesa la presenza di latitanti eccellenti, la battaglia per la legalità e la sicurezza non può contemplare risparmi di sorta, e la chiusura di presidi di legalità, quali sono le carceri, costituiscono una prova inconfutabile della grave sconfitta dello Stato". Emilia Romagna: più sport per i detenuti, accordo tra Provveditorato alle carceri e Uisp Ansa, 12 dicembre 2013 Il Provveditorato delle carceri dell’Emilia-Romagna e Uisp hanno firmato un’intesa per azioni comuni per più sport per i 3.700 detenuti dei dieci istituti della regione. Un accordo che rinverdisce una collaborazione trentennale, e pone le basi non solo per interventi di sport, benessere e formazione. Per la prima volta infatti, ha detto il provveditore Pietro Buffa, saranno studiate azioni comuni per raccogliere fondi, puntando soprattutto a quelli del Fondo Sociale Europeo. Ogni giorno, è stato spiegato durante una conferenza stampa, in ogni istituto ci sono circa una cinquantina di detenuti che partecipano ad attività sportive, con ovvie fluttuazioni dovute alle presenza e alla stagioni. In estate infatti ci sono veri e propri picchi di partecipazione grazie soprattutto ai tornei di calcio, di fatto l’attività agonistica più praticata dietro le sbarre. Non a caso in ognuno degli istituti della regione c’è un campo da calcio, anche se più o meno tutti necessitano di quella manutenzione che - appunto - è uno degli obiettivi da realizzare grazie alla raccolta fondi. Mauro Rozzi, presidente Uisp Emilia-Romagna, ha ricordato che i volontari dell’associazione lavorano nei carceri regionali da oltre 30 anni. In maniera stabile - è stato spiegato - a Reggio Emilia, Parma, Bologna e Ferrara. In modo più sporadico a Modena e Forlì. Ma non c’è solo calcio: ci sono anche attività di corsa (con partecipazioni ad attività esterne) o di pallavolo. L’obiettivo ora di Uisp e Provveditorato è fare squadra e studiare provincia per provincia le azioni da fare per realizzare poi un piano organico di interventi che, in tempi brevi, dovrà diventare la base per cercare i fondi. Puntando soprattutto, è stato aggiunto, vista la penuria di risorse disponibili, a cofinanziamenti da più enti. Milano: Comune, esperti e cittadini discutono le proposte contro il sovraffollamento www.mnews.it, 12 dicembre 2013 Garante Naldi: "Il sistema penitenziario deve rispettare i diritti e la dignità delle persone recluse". Un seminario pubblico per discutere dei problemi delle carceri italiane. L’incontro si terrà venerdì 13 dicembre, dalle 14 alle 17, nella sala Vitman dell’Acquario civico, in via Gadio 2. L’appuntamento è organizzato dal Garante per il Comune di Milano dei diritti delle persone private della libertà personale, Alessandra Naldi, in collaborazione con il Servizio integrazione sociale Area Carcere dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune, l’Osservatorio carcere e territorio di Milano, l’Unione delle camere penali italiane. Tema dell’incontro, gli interventi amministrativi e legislativi da attuare per affrontare le criticità del sistema penitenziario italiano. In particolare, verranno illustrate alcune delle indicazioni della Commissione sul sovraffollamento degli istituti di pena, il gruppo di lavoro costituito dal Ministro della Giustizia con lo scopo di riportare a condizioni più accettabili il trattamento penitenziario e la vita all’interno delle carceri. Al seminario interverranno due esponenti della Commissione, Giovanni Di Rosa, magistrato e membro del Consiglio superiore della magistratura, e Lucia Castellano, consigliere regionale della Lombardia ed ex direttrice del Casa di reclusione di Milano Bollate. Sarà presente anche Antonella Calcaterra, componente dell’Osservatorio carceri delle camere penali. "Dobbiamo riportare il sistema penitenziario del nostro Paese in una condizione di rispetto dei diritti e della dignità delle persone recluse - ha detto il Garante Alessandra Naldi. Siamo stati condannati anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha imposto all’Italia di intraprendere azioni urgenti per affrontare il problema del sovraffollamento. Con il seminario intendiamo fare il punto sui provvedimenti adottati o ancora in discussione in materia penale e penitenziaria e presentare agli operatori milanesi, ma anche a tutti i cittadini interessati, i risultati dei lavori della Commissione ministeriale". Alghero: detenuti al lavoro in tipografia, grazie a un progetto tra ateneo e carcere www.sassarinotizie.com, 12 dicembre 2013 I detenuti del carcere di Alghero lavoreranno in tipografia. Il Protocollo di intesa tra la società Alldigital, la casa circondariale e il Dipartimento di Architettura, design e urbanistica è stato firmato oggi. Un accordo nato mesi fa e frutto di intensi colloqui atti a trovare la giusta direzione per poter dare reali opportunità ai detenuti algheresi e allo stesso tempo creare impresa. "La firma del Protocollo è solo il primo passo, l’atto dovuto per dimostrare la volontà e l’impegno a portare avanti un progetto che rende onore a tutti i partner; ma ora inizia la vera strada verso il lavoro. Ancora non abbiamo preso possesso dei locali e messo in moto i macchinari e non appena avremmo la disponibilità dei detenuti idonei all’impiego valuteremo le collaborazioni da mettere in atto - fanno sapere dalla società tipografica - lavorare all’interno di un carcere è sicuramente un processo lungo e delicato ma che consente di fare impresa sociale, lavorare permettendo a qualcun altro di gettare le basi per un reinserimento nella società, ristampare a colori la propria vita. Come Alldigital avevamo già l’idea di ampliare il comparto macchinari e l’offerta produttiva e l’incontro all’interno del penitenziario cittadino ha favorito lo sviluppo aziendale". Opera (Mi): carcere collegato a Rete territoriale biblioteche, primo con sistema interscambio Tm News, 12 dicembre 2013 La casa reclusione di Opera (Milano) è il primo carcere collegato a un sistema bibliotecario territoriale. La sua biblioteca è stata infatti connessa a tutte le altre 58 di Fondazione Per Leggere, sistema bibliotecario del Sud Ovest Milano che rappresenta 56 Comuni, sostenuto da Provincia di Milano e Regione Lombardia. L’interprestito bibliotecario, oggetto di una convenzione, vede attualmente coinvolti la Fondazione, la Biblioteca di Opera e l’Associazione Mario Cuminetti, già da tempo attiva all’interno del carcere. È prevista, tra l’altro, una revisione completa delle collezioni presenti, la promozione e diffusione di vetrine tematiche, ricerche bibliografiche e nuovi tipi di supporti per facilitare e incoraggiare la pratica della lettura nelle celle. Trattandosi di un carcere di massima sicurezza, non è infatti permesso l’accesso dei detenuti in biblioteca. Sono dunque i libri che devono raggiungere le persone, così come gli strumenti per diffondere l’abitudine al leggere. Verrà anche creata una borsa titoli, forma di donazione controllata, (pubblicata alla pagina www.donatoredilibri.it). Verrà anche avviata un’indagine sulla popolazione detenuta, che permetterà di arricchire e profilare il patrimonio documentario in base alle lingue straniere corrispondenti alle etnie più rappresentate. C’è poi l’intenzione di adottare da gennaio 2014 il Protocollo d’intesa per i servizi bibliotecari negli istituti penitenziari italiani. L’iniziativa, promossa dall’Associazione italiana biblioteche, è stata condivisa dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e dalle associazioni rappresentative degli Enti Locali (Anci, Upi, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome). Il documento, già operativo, offre a tutte le realtà bibliotecarie italiane impegnate in progetti di cooperazione con gli istituti penitenziari una cornice di riferimento precisa, e ambisce a rendere più omogenee tali esperienze in tutto il territorio nazionale. Bergamo: le lunghe mani di Ankara sull’attivista belga arrestato il 21 novembre di Francesca Spinelli www.bergamonews.it, 12 dicembre 2013 La notizia, in alcuni ambienti belgi e italiani, ha avuto l’effetto di una bomba. Il 21 novembre il giornalista e attivista Bahar Kimyongür, cittadino belga di origine turca, è stato arrestato all’aeroporto Bergamo. È stato arrestato di nuovo, sottolineano i suoi amici. Kimyongür è ricercato in Turchia in base alla legge antiterrorismo: secondo Ankara farebbe parte del gruppo marxista-leninista Dhkp-C, accusato, tra le altre cose, dell’omicidio dell’imprenditore Özdemir Sabanci, di uno dei suoi collaboratori e della sua segretaria il 9 gennaio 1996. All’epoca una delle persone incriminate per il triplice assassinio, Fehriye Erdal, fugge in Belgio, dov’è arrestata tre anni dopo. Le indagini sul suo caso portano, nel 2006, all’arresto di undici persone sospettate di far parte della stessa rete. Tra queste c’è Bahar Kimyongür. È accusato dalle autorità belghe di dirigere un’organizzazione terrorista (di fatto ha tradotto e diffuso un comunicato del Dhkp-C). Segue una faticosa saga giudiziaria: sette sentenze in cinque anni, un balletto di condanne, appelli e ripensamenti di tribunali di ogni grado che si conclude con una piena assoluzione. La Turchia, intanto, non è rimasta a guardare. Nel 2006 ha spiccato un mandato di cattura internazionale, diffuso da Interpol. Kimyongür è arrestato nei Paesi Bassi (a seguito di una segnalazione del governo belga, come si scoprirà in seguito). Dopo 68 giorni di carcere, un tribunale olandese rifiuta di estradarlo e ne ordina la liberazione dichiarando infondate le accuse di Ankara. In un’intervista rilasciata due giorni dopo i fatti di Bergamo, l’avvocatessa belga Selma Benkhelifa sottolinea il "ruolo poco trasparente di Interpol" nella vicenda. L’articolo 3della costituzione di Interpol vieta all’organizzazione di "intervenire in questioni a carattere politico, militare, religioso e razziale". Eppure, dopo che a maggio di quest’anno la Turchia ha "rinnovato" il suo mandato di arresto internazionale nei confronti di Kimyongür, Interpol ha diffuso nuovamente un avviso di ricerca. Risultato: a giugno altro arresto, in Spagna questa volta. Rilasciato su cauzione, Kimyongür è in attesa della sentenza. "Finché Interpol non annullerà il suo avviso di ricerca, Bahar continuerà a essere arrestato ogni volta che attraverserà una frontiera", osserva Benkhelifa. Considerando che Interpol conta 190 paesi membri e che il Belgio non può estradare un suo cittadino, potrebbe accadere in altri 185 paesi. "Immagino che lo scopo della Turchia non sia tanto ottenere l’estradizione – cosa poco probabile - quanto perseguitare Bahar". Benkhelifa non è l’unica a dubitare della neutralità di Interpol. A maggio del 2013 l’Ong britannica Fair Trials International, che nel 2011 ha lanciato una campagna a favore di una riforma dell’organizzazione, ha pubblicato un rapporto in cui presenta numerosi casi di abuso del sistema degli avvisi di ricerca da parte di stati membri di Interpol. A questo stesso tema era dedicato un convengo organizzato la settimana scorsa a Roma dal Comitato italiano Helsinki per i diritti umani e Open Dialog Foundation. Per riassumere, la Turchia (dove a novembre sei giornalisti sono stati condannati all’ergastolo per "terrorismo") vorrebbe mettere le mani su un giornalista scomodo che vive in Belgio. Interpol sospende il suo obbligo di neutralità e appoggia la richiesta turca. Il Belgio, invece di difendere un suo cittadino, prova a farlo condannare in patria e a farlo estradare dai Paesi Bassi. In Spagna e in Italia Kimyongür è arrestato e detenuto nonostante un giudice di un altro stato europeo abbia dichiarato infondate le accuse di Ankara. E le istituzioni di Bruxelles, attente a promuovere la libertà d’espressione e a condannare le persecuzioni politiche nel resto nel mondo, in questo caso non battono ciglio. Si può non essere d’accordo con le idee politiche di Kimyongür o con la sua analisi del conflitto siriano, ma questo non giustifica il silenzio quasi assoluto sulla sua vicenda né la compiacenza del Belgio verso la Turchia. Il 3 dicembre il tribunale di Brescia ha disposto la scarcerazione con obbligo di dimora di Kimyongür, in attesa che Ankara presenti alla giustizia italiana gli elementi a favore di una sua estradizione. Aggiornamenti su questa vicenda, anche in italiano, si trovano sulla pagina Facebook "Soutien à Bahar Kimyongür". Pisa: donazioni al carcere, mancano televisori, vestiti e libri in arabo di Giovanni Parlato Il Tirreno, 12 dicembre 2013 Continua a essere sovraffollato. Troppi i detenuti nelle celle del Don Bosco. E sempre tante le cose che mancano. Che servirebbero per una più pacifica convivenza così come per un maggior decoro personale. Oggetti che i detenuti richiedono e l’amministrazione ha difficoltà a reperire. Ne abbiamo parlato con Fabio Prestopino, direttore del carcere Don Bosco. È una sorta di appello di cui ci facciamo mediatori e la persona che vuole contribuire è libera di farlo. Televisori. È il problema principale per la popolazione carceraria. Il numero dei televisori non è sufficiente per tutti. E una partita di calcio come quella di ieri sera della Juventus in coppa o di stasera quando scendono in campo Milan e Napoli non potrà essere vista da tutti. "Stiamo cercando televisori catodici da poter installare all’interno delle celle" spiega il direttore Prestopino che aggiunge: "Abbiamo preso contatti con l’Azienda ospedaliera universitaria pisana affinché se avesse vecchi televisori da dismettere, li potremmo prendere noi in carico. Inoltre, sono molte le persone che si liberano del vecchio piccolo schermo portandolo in discarica. Anche in questo caso, quel televisore potrebbe essere utile nei nostri ambienti". Chi gestisce le discariche, invece che mandare al macero le tv a tubo catodico potrebbe dirottare questi oggetti al carcere Don Bosco. Libri. La libreria del carcere ha bisogno di essere rinnovata. Tante persone donano vecchi libri anche scolastici. "Non sono i testi che ci servono, abbiamo bisogno di libri recenti, soprattutto di narrativa. Ma in particolare, considerata la percentuale di extracomunitari che sono all’interno del Don Bosco, abbiamo richieste di libri in lingua araba". Igiene personale. Sono diversi gli oggetti di prima necessità di cui hanno bisogno i detenuti come shampoo, saponi, bagnoschiuma, dentifrici. E l’unità pastorale della Valgraziosa, diretta da don Anonio Cecconi, ha lanciato un’iniziativa per sabato e domenica d’una raccolta di prodotti per l’igiene personale delle detenute del carcere. Se queste iniziative sul territorio si moltiplicassero, sarebbero molti di più gli oggetti raccolti a favore della popolazione carceraria. Abiti. Nella raccolta degli abiti e della biancheria, una grande mano d’aiuto arriva dalle associazioni. Sul territorio c’è una rete che raccoglie sia abiti usati (soprattutto) che nuovi. L’appello è di chiedere un impegno generalizzato anche alle singole persone che potrebbero donare vestiario che non viene più utilizzato. Basta fare riferimento ad un’associazione di volontariato e sarà quest’ultima a portare tutto al carcere Don Bosco. "Ho contattato l’assessore comunale alle politiche sociali Sandra Capuzzi con cui, su diversi temi, abbiamo intrapreso un rapporto di collaborazione", fa sapere il direttore. Giornata della genitorialità. Lunedì 16 sarà la giornata dedicata ai genitori e, dopo l’iniziativa dell’anno scorso, il direttore Prestopino ha deciso di ripetere quest’iniziativa. "I detenuti che hanno figli minori fino a un’età di 12 anni, potranno incontrarli insieme a tutta la famiglia e stare insieme. Le famiglie si potranno incontrare e mangiare insieme nello spazio comune, nella tensotruttura che sarà ristrutturata grazie all’incasso dello spettacolo "L’illogica allegria" che si è svolto al Teatro Verdi. Sono stati raccolti 21mila euro, soldi che sono in attesa di essere utilizzati". Napoli: presentazione del libro "Cronache da un manicomio criminale" www.news.you-ng.it, 12 dicembre 2013 Oggi, alle 18.00, al Palazzo delle Arti di Napoli sarà presentato il libro "Cronache da un manicomio criminale" di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito. L’evento, a cura di Giovanni Carbone (Associazione "Cinema e Diritti") vedrà la partecipazione degli autori, insieme ad Aldo Masullo (filosofo), Assunta Signorelli (Dirigente Dipartimento Salute Mentale, Trieste) e Francesco Schiaffo (criminologo, docente presso Università degli Studi di Salerno). Le cronache richiamate nel titolo del libro sono il plurale di una parola che nel suo etimo dichiara apertamente la propria filiazione dal tempo. Che tipo di tempo è stato quello dei Manicomi Criminali quando ancora non si chiamavano Opg? E nel passaggio dalla parola Manicomio all’acronimo è cambiato qualcosa o il luogo è rimasto fedele a un profilo di abusi, violenza e morti? Gli autori restituiscono quel tempo attraverso la riscoperta del memoriale dimenticato di un internato nel Manicomio di Aversa nel 1974, ricostruendo anche la singolare vicenda giudiziaria che ne seguì. Sono passati quarant’anni dai fatti narrati ma, nella restituzione incalzante di questo libro "necessario", scopriamo che, dalla denuncia dell’internato Aldo Trivini, il tempo trascorso riproduce un inquietante fermo immagine. Specie se le risultanze della Commissione Marino, che hanno condotto alla previsione di chiusura nel 2014 dei 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari ancora funzionanti in Italia, risultano sovrapponibili ad un vecchio memoriale e alle risultanze di un lontano processo. Inoltre, solo per gli accreditati, giovedì 12 alle 15,30 presso la Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli (Via Giambattista Pergolesi, 140) sarà messo in scena lo spettacolo teatrale con sceneggiatura originale con scritti delle donne non libere "Edonè, le inattese gradazioni della gioia", realizzato a cura del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli in collaborazione con la Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli, S.M.S. "G. Diano" di Pozzuoli - Corso Eda presso la Ccf, Cisl Napoli, Fondazione "Il Meglio di Te Onlus", Luciana Pennino e Associazione "Le gioie di Marisol". Lo spettacolo "Edonè, le inattese gradazioni della gioia" è nato dal progetto "Contagioiamoci, la gioia è contagiosa". Sia lo spettacolo sia i disegni esposti nel corso dello stesso sono realizzati dalle ospiti della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli (Na) per conto dello stesso progetto. Roma: con la Casa Editrice "Pagine" le detenute di Rebibbia leggono la poesia del ‘900 Il Velino, 12 dicembre 2013 La poesia torna ad essere declamata in carcere. Dopo aver entusiasmato gli uomini, quest’anno tocca alle donne goderne la lettura. Un progetto che coinvolge la casa circondariale di Rebibbia per iniziativa della Casa Editrice romana Pagine. Il nuovo ciclo è partito lunedì scorso, 9 dicembre. "Sono già oltre 20 le detenute di tutte le età coinvolte d’accordo con l’insegnante di lettere dell’Istituto tecnico all’interno del carcere, Antonella Cristofaro - racconta l’editore Luciano Lucarini. Alla fine di questo corso pubblicheremo un libro con le poesie migliori del ‘900 italiano che il poeta Plinio Perilli proporrà. In più, siccome terremo anche un corso di giornalismo, proviamo a realizzare anche un giornalino del carcere scritto dalle detenute, che avrà cadenza mensile o bimestrale. Siamo in cerca di fondi. Inoltre con la disponibilità della direttrice di Rebibbia, Ida Del Grosso, parleremo di questa iniziativa nella nostra trasmissione di poesia che va in onda su Sky 897 dalle 21 alle 22 di lunedì e martedì. Durante questa puntata speciale inviteremo uno psichiatra per parlare di poesia come terapia". Questa è solo una delle tante iniziative culturali promosse dalla casa editrice Pagine, fondata nel 1992 da Letizia Lucarini, la cui attività parte da due filoni principali: uno riservato alla pubblicazione di riviste specializzate ad alto livello culturale; ed uno dedicato a testi universitari e scolastici. Napoli: Banca Credito Cooperativo; un Natale di solidarietà per gli ex detenuti di Scampia www.julienews.it, 12 dicembre 2013 Venerdì 13 dicembre alle ore 9.30 nella sede della Banca di Credito Cooperativo di Napoli (via Bracco 27/29) verrà illustrato il progetto di sostegno agli ex detenuti che il maestro Gianni Maddaloni sta riportando sulla strada della speranza. Una iniziativa che mira a consentire loro di trascorrere anche un Natale più sereno con un contributo economico e soprattutto con la costruzione di una sinergia tra Banca, associazionismo, mondo dello sport e società civile. Il miglioramento sociale ed economico dei nostri territori rappresenta un obiettivo prioritario e la collaborazione con chi quotidianamente opera nelle zone più disagiate è un impegno che intendiamo perseguire con costanza per ottenere risultati duraturi per la nostra cittadinanza", dichiara il presidente della Bcc di Napoli Amedeo Manzo. All’iniziativa, insieme a Gianni Maddaloni e Amedeo Manzo sarà presente l’ex procuratore capo Giovandomenico Lepore. Tempio Pausania: Piero Marras nel carcere di Nuchis, concerto emozionante per i detenuti www.olbianotizie.it, 12 dicembre 2013 Le mura altissime di cemento grigio, gli uomini in divisa, i controlli e sei dentro. Le porte di ferro si chiudono una dopo l’altra dietro di te, le finestre sono sbarrate da grate che lasciano filtrare poca luce. Passo dopo passo in quei lunghi corridoi si prova la sensazione terribile di chi entra in carcere per scontare una pena. Il carcere di Nuchis è una struttura moderna e qui grazie, all’impegno della direttrice, Carla Ciavarella, con appuntamenti fissi si cerca di far dialogare il mondo esterno con quello carcerario. È la volta del grande cantante e musicista sardo, Piero Marras, insieme al fisarmonicista Manuel Rossi Cabizza e al batterista Paolo Zuddas. Il concerto si svolge nella cappella dell’edificio, alla presenza di più di cinquanta detenuti, autorità e sindaci del territorio ed è stato possibile grazie all’interessamento della dottoressa e criminologa Rosa Monti che ha fatto da tramite con gli artisti. La musica dai ritmi folk fa da splendida cornice alle parole, per lo più in lingua sarda, del maestro Marras. Canzone dopo canzone, le emozioni sono forti e arrivano dritte al cuore anche, se i detenuti quasi tutti provenienti dal continente, capiscono poco di questa lingua sconosciuta. Eppure quando musica e parole si sciolgono e si fondono in questo ambiente, tutto diventa più chiaro e regala agli ospiti della struttura carceraria un momento di felicità e di libertà "spirituale". "Sono molto emozionato, ha dichiarato Vincenzo, uno dei detenuti, al termine dell’esibizione. Qui oggi è successa una cosa bellissima, le canzoni mi sono piaciute moltissimo e guardando le persone intorno a me mi sono reso conto che alcuni di loro piangevano dall’emozione". "Grazie a nome di tutti i detenuti, ha dichiarato poi Francesco, per averci portato una folata di lbertà". Il direttore della struttura di Nuchis, Ciavarella, è intervenuta per esprimere il suo ringraziamento: "Un grande regalo la musica e le parole di Piero Marras. Ci ha fatto vibrare e riscaldare i cuori. Grazie, poi, alla dottoressa Monti. È stata lei a convincere il maestro a venire qui. Marras, questa sera, ci ha spiegato un pò di cose della Sardegna ed è il caso che torni a raccontarcele facendoci vibrare ancora come ha fatto stasera". Il cantante non era mai stato a Nuchis anche se si è esibito in molte altre strutture carcerarie. L’artista ha però colto l’occasione per presentare, qui, il suo nuovo lavoro, Ali di Stracci, scritto a quattro mani con lo scrittore Salvatore Niffoi raccontando di Quirra e della sofferenza di un’isola in affanno: "È per me un onore -ha dichiarato Marras- essere qui stasera. L’impatto è stato forte e anche le emozioni. Grazie per questa opportunità di confronto". La serata di ieri si è conclusa tra gli applausi e ha assunto un significato ancora più importante nella giornata mondiale dei diritti dell’uomo. Napoli: a Boscoreale successo per la "Compagnia Stabile Assai" del carcere di Rebibbia www.lostrillone.tv, 12 dicembre 2013 Grande successo e straordinaria affermazione per la Compagnia Stabile Assai della Casa di reclusione di Rebibbia che, per iniziativa dell’assessorato alla pubblica istruzione, nell’ambito delle iniziative per le festività natalizie promosse dal Comune, si è esibita stamattina presso l’auditorium dell’Istituto Scolastico Superiore "Cesaro-Vesevus", alla presenza di studenti, operatori scolastici e autorità civili, militari e religiose, mettendo in scena lo spettacolo Bazar. La Compagnia Stabile Assai, formata da detenuti ergastolani, tra i quali Aniello Falanga di Boscotrecase, e semiliberi che fruiscono di misure premiali, e da ex detenuti, promuove l’attività teatrale come ! strumento di riadattamento e socializzazione, ed è il più grande e antico gruppo teatrale operante all’interno del contesto penitenziario italiano, e si caratterizza per la stesura di testi del tutto inediti dedicati ai grandi temi dell’emarginazione come l’ergastolo, la follia, la questione meridionale e l’integrazione interetnica. Attraverso il teatro, con l’esperienza della Compagnia Stabile Assai, i detenuti vengono riabilitati alla vita sociale, aiutati a rinascere, a cambiare, dandogli una seconda chance, la possibilità, in un processo di rieducazione, di esprimere le proprie emozioni socializzando, confrontandosi con gli altri e riflettendo su quanto fatto. Come ha spiegato Antonio Turco, direttore dell’area pedagogica della Casa di reclusione di Rebibbia, e responsabile della compagnia, "L’obiettivo è quello di favorire il reinserimento sociale dei detenuti attraverso la non demonizzazione della realtà carceraria, ma anche è quello di sensibilizzare l’opinione ! pubblica, e in particolare i giovani sui pericoli della devianza e del bullismo, tema a noi molto caro, insegnando loro quanto l’arte e la cultura possano essere individuati quali strumenti di crescita personale". Gli attori hanno proposto Bazar, uno spettacolo scritto e diretto da Antonio Turco, Cosimo Rega e Sandra Vitolo. Una storia di legami oscuri, tormenti, colpe e segreti che si mescolano. Un luogo dove i destini degli uomini e degli attori si uniscono. Bazar è il "posto" dei ricordi che prendono forma attraverso un oggetto metaforico. Così: una lampada, una batteria, una pistola, un libro contabile o una maglietta, saranno per Cosimo, Renzo, Giovanni, Salvo, Aniello Falanga e Massimo momenti di riflessione su come certe storie potevano o dovevano andare diversamente. Bazar è anche lo "spazio" in cui una delle più intense forze motrici che spinge l’individuo ad agire e incamminarsi verso il cambiamento, è la sensazione di dissonanza emotiva che egli avverte tra la! propria dimensione interiore e il mondo circostante: una sorta di prigionia che lo lega alla sua terra che non sente più sua. Alla fine, sarà una tenda a nascondere il futuro dove, forse, le cose cambieranno. Uno spettacolo forte, un racconto dai momenti intensi, la narrazione delle propria esperienza, della giornata di un detenuto, i rapporti con la famiglia, le varie sfaccettature della vita di un recluso. Raggiante Maria Grazia Pisacane, assessore alla pubblica istruzione, organizzatrice dell’evento unitamente al consigliere comunale Salvatore Nastri, che ha affermato "Sono particolarmente emozionata per il successo che l’iniziativa ha riscosso tra i nostri studenti che sono venuti a contatto con attori-detenuti, quasi tutti ergastolani, che attraverso una rappresentazione teatrale hanno raccontato le loro esperienze e la loro vita in carcere. Un incontro con la tremenda realtà carceraria che, sono certa, servirà ai nostri studenti, ai nostri giovani, a far cresce! re in loro la coscienza civile e morale". "Questo evento - ha commentato il sindaco Giuseppe Balzano - ha avuto grande valenza sociale proprio perché è servito a far comprendere ai nostri giovani che anche chi ha sbagliato nella vita, dandogli una possibilità di riscatto, può essere recuperato e riavvicinato alla società e alla vita civile". Roma: presentazione e vendita di "A4 Freedom", vincitore di "La libertà in una borsa" Prima Pagina News, 12 dicembre 2013 Intervengono: Sabrina Alfonsi, Presidente I Municipio Federica De Pasquale, VicePresidente Consulta Femminile per le Pari Opportunità della Regione Lazio e componente la giuria tecnica Daniela Arronenzi e Marilena Miceli, Presidente e coordinatrice Cooperativa Sociale Ora d’aria Livia Carchella e Bruna Pietropaoli, fondatrici Le Artigiane.it A4 Freedom, ideato da Architetti Riciclati, è il modello vincitore del concorso di creatività al femminile promosso da Le Artigiane e dalla Cooperativa Sociale Ora d’aria attiva nel carcere di Rebibbia. È stato tagliato e cucito dalle sarte detenute della Cooperativa Sociale Ora d’Aria è giovedì 12 dicembre alle ore 18.00 viene presentato al pubblico presso lo spazio espositivo Le Artigiane nel corso di una piccola cerimonia. Sarà messo in vendita a 30 euro che verranno interamente devoluti alla Cooperativa Sociale Ora D’Aria. Ogni modello è unico. Il concorso si è svolto con il Patrocinio della Consulta Femminile per le Pari Opportunità della Regione Lazio. Bologna: sabato prossimo per il Coro dei detenuti alla Dozza atteso il ministro Cancellieri La Repubblica, 12 dicembre 2013 L’esibizione del Papageno, con i musicisti dell’orchestra Mozart, prevista per sabato alle 15 nella chiesa nuova della Casa circondariale Dozza. È annunciata la presenza del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri sabato nella chiesa nuova del carcere di Bologna, per il concerto del Coro Papageno, formato da detenuti e volontari. All’esibizione, prevista per le 15, parteciperà anche un quartetto d’archi con musicisti dell’orchestra Mozart, la formazione fondata dal senatore a vita Claudio Abbado. Il coro Papageno è l’unica attività corale strutturata realizzata in Italia da un’istituzione musicale all’interno di un carcere. L’orchestra Mozart dall’ottobre 2011 organizza laboratori corali sotto la guida del maestro Michele Napolitano. Il primo concerto pubblico del coro è del novembre 2012. Milano: "Vale la pena", mercatino natalizio del Made in carcere a Palazzo Isimbardi Il Giorno, 12 dicembre 2013 Domenica 15 dicembre, giornata dedicata al tema del lavoro in carcere, tra pena e reinserimento possibile con esposizione e vendita di produzioni artigianali, mostre e spettacoli. Fiori, abbigliamento, cibo e art design rigorosamente "Made in carcere". Domenica 15 dicembre, dalle 10 alle 19, la Provincia di Milano ospita nel Cortile d’Onore di Palazzo Isimbardi (Corso Monforte, 35) "Vale la Pena!", mercatino natalizio delle produzioni carcerarie. Un’intera giornata dedicata al tema del lavoro in carcere: dalla vendita ed esposizione di produzioni artigianali, all’arte dei laboratori di poesia e teatro con i detenuti. Per tutto il giorno saranno presenti oltre venti tra associazioni e cooperative che offriranno al pubblico un’ampia scelta di ciò che si produce all’interno delle carceri lombarde: Stelle di Natale e ciclamini (cooperativa Opera in Fiore), bigiotteria (cooperative Amu Design, Arte in tasca, Partinverse delle carceri di Mantova e San Vittore), maglieria e produzioni in tessuto (cooperativa Alice e Il Girasole del carcere di Bollate), dolci, panettoni e produzioni di pane (Banda Biscotti delle carceri di Verbania e Saluzzo), uova e carni fresche (Fattoria di Al Cappone carceri di Opera e Beccaria), quaderni e agende (legatoria San Vittore) e tantissimo altro. "Un’iniziativa che conferma la nostra attenzione alla realtà del carcere prima di tutto come luogo della riabilitazione e del reinserimento in società di chi ha commesso un reato - commenta il presidente, Guido Podestà. "Siamo orgogliosi di ospitare questa iniziativa che valorizza il lavoro e la cultura in carcere come primo strumento per ridurre la recidiva di reato - spiega Fabrizia Berneschi. Far conoscere all’esterno ciò che accade dietro le sbarre di un carcere è il primo passo per cambiare le cose dentro". Il programma - Alle 10, apertura con il saluto del presidente della Provincia Guido Podestà, del presidente del Consiglio Bruno Dapei e della Garante provinciale per i diritti dei detenuti, Fabrizia Berneschi. Alle 10.30, nel Cortile d’Onore, le detenute di San Vittore presentano il primo numero del bimestrale "Oltre gli Occhi", realizzato dal braccio femminile della Casa Circondariale milanese. A seguire, i detenuti del Laboratorio di poesia del carcere di Bollate leggeranno alcune delle loro produzioni letterarie. Alle 11.30, in Sala del Consiglio, il Cetec- Libera Università del Teatro dentro/fuori San Vittore porta in scena il reading "Voci Oltre il Buio", del drammaturgo cileno Ariel Dorfman, con la partecipazione di detenute, ex detenuti e cittadini volontari nel ruolo di attori. Il testo teatrale trascrive le storie sui diritti umani negati raccolte da Kerry Kennedy , settima figlia di Robert, anima e fondatrice del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights. Per tutto il giorno, saranno aperte due mostre a tema: una selezione de "Il chiaroscuro del carcere", percorso fotografico realizzato dalla Camera Penale di Milano, in collaborazione con l’Associazione nazionale Magistrati di Milano e una galleria di tele realizzate dalle detenute di San Vittore. Alle 18, spazio al dibattito con la presentazione del volume "Mamma è in carcere", di Cristina Scanu, con testimonianze a partire dall’esperienza d’avanguardia dell’Icam (Istituto a custodia attenuta per mamme detenute) della Provincia di Milano. L’ingresso è gratuito. Per informazioni: presidenzaconsiglio@provincia.milano.it. Tel: 0277402011. Radio: Patty Pravo, ospite a Jailhouse Rock, racconterà i giorni che trascorse a Rebibbia Ristretti Orizzonti, 12 dicembre 2013 Patty Pravo a Jailhouse Rock. Puntata di Jailhouse Rock dedicata a Patty Pravo con lei presente in diretta che racconterà i giorni da lei trascorsi a Rebibbia. Anche in questa puntata dal carcere milanese di Bollate e da quello romano di Rebibbia N.C. i detenuti curano e conducono il GRC, giornale radio dal carcere, senza filtri e senza censure. Inoltre sempre da Bollate i detenuti interpreteranno una cover di Patty Pravo. Ospite Carmelo Cantone, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della regione Toscana. Tutti i venerdì alle 17 sulla web radio della Cgil Radio Articolo 1, il sabato alle 14 su Radio Città del Capo di Bologna, la domenica alle 16 su Radio Popolare, il martedì alle 23.30 su Contro Radio Firenze, il venerdì alle 15 su Radio Città Aperta di Roma. Immigrazione: Australia; Amnesty International condanna la detenzione sulle isole Ansa, 12 dicembre 2013 Amnesty International non ha dubbi: il centro di detenzione per richiedenti asilo giunti via mare, stabilito dall'Australia nell'isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, è crudele, inumano, degradante e in violazione delle convenzioni contro la tortura. E' quanto emerge da un rapporto dettagliato dell'organizzazione. Il centro è praticamente inaccessibile ai giornalisti da quando è stato aperto lo scorso anno, ma tre ricercatori di Amnesty, accompagnati da interpreti, vi sono stati ammessi per una settimana il mese scorso. Il rapporto traccia un quadro desolante della vita dei circa 1.100 uomini che vi sono rinchiusi e solleva in particolare diversi casi, fra cui il trasferimento nel centro per errore di minori non accompagnati, la mancanza di trattamento medico adeguato ai disabili e cattive condizioni in certe parti del campo in violazione della convenzione Onu contro la tortura. E sostiene che la mancata valutazione delle domande di asilo è intesa a incoraggiare i richiedenti asilo a tornare nel paese di origine. "Il personale medico ci ha riferito che oltre il 30% dei detenuti ora ha problemi di salute mentale. Abbiamo parlato con persone che hanno espresso il desiderio di autolesionismo e anche di suicidio. Qualcuno ha detto che vorrebbe essere morto in mare". E' il secondo rapporto in meno di un mese che identifica una serie di violazioni dei diritti umani nel regime di detenzione in isole del Pacifico, a Manus e nel minuscolo stato-isola di Nauru. In novembre ispettori dell'agenzia dell'Onu per i profughi hanno denunciato come "inumani" i due centri di detenzione, affermando che mirano ad agire da deterrente piuttosto che verificarne lo status di profughi in condizioni "sicure e dignitose". Norvegia: ci sono 1.200 detenuti di troppo... chieste in affitto le carceri vuote della Svezia west-info.eu, 12 dicembre 2013 La Norvegia ha avanzato formalmente la richiesta di prendere in affitto le carceri che la Svezia ha da poco chiuso per carenza di detenuti. Si tratta in particolare di quattro istituti detentivi e di un centro di recupero. Che Stoccolma ha deciso di non utilizzare più visto il costante calo di carcerati registrato nell’ultimo decennio. I dati parlano chiaro: dal 2004 il calo delle presenze è stato dell’1 % l’anno. Mentre dal 2011 al 2012 il crollo è stato addirittura del 6%. Un andamento virtuoso che ha convinto lo scorso novembre le autorità a vendere e riconvertire le strutture di Åby, Håja, Båtshagen e Kristianstad. Ma perché non cederle a paesi limitrofi? Chiede il ministro della giustizia norvegese Anders Anundsen, alle prese con un esubero di ben 1.200 condannati. Una proposta per certi versi sorprendente che però ha già un precedente: l’accordo siglato nel 2009 tra Belgio e Paesi Bassi. Che ha permesso a Bruxelles di inviare 500 carcerati in prigioni olandesi. Alla modica cifra di € 30 milioni l’anno. Stati Uniti: anziani in carcere, reportage fotografico mostra la vita dei detenuti ultra 65enni www.ilpost.it, 12 dicembre 2013 Il fotografo di Getty Images Andrew Burton ha realizzato un reportage fotografico sulla vita dei detenuti anziani nel carcere di media sicurezza "John J. Moran", a Cranston, nel Rhode Island. Il centro ospita 1020 persone, di cui 50 sopra i 65 anni. Si tratta di circa il 2 per cento del totale, ma è una percentuale in forte crescita. Proiezioni dell’American Civil Liberties Union, un’organizzazione che si occupa delle carceri, indicano che entro il 2030 i detenuti anziani saranno un terzo della popolazione carceraria del Rhode Island. Secondo un rapporto del 2012 di Human Rights Watch tra il 1995 e il 2010 il numero complessivo di detenuti statunintensi, sia statali e che federali, è aumentato del 42 per cento, mentre quello dei detenuti con più di 55 anni è arrivato al 282 per cento, circa 124 mila persone. Mantenere in carcere le persone più anziane è particolarmente complicato e costoso, e la maggior parte delle strutture non prevede programmi specifici, se non un minor numero di ore di lavoro e compiti meno faticosi. I detenuti più vecchi rischiano di essere maltrattati dai più giovani, hanno bisogno di farmaci, cure e assistenza, e a causa del peggioramento della salute spesso non sono in grado svolgere banali azioni quotidiane come salire sul letto più in alto, sentire l’ordine di un’agente carcerario o andare in bagno in modo autonomo. A.T. Wall, direttore del Dipartimento delle carceri dello Stato, ha detto che "circa il 50 per cento dei nostri carcerati ha la pressione alta, e le relative conseguenze sanitarie. Il 42 per cento ha problemi di mobilità, soprattutto artrite. Un altro 42 per cento soffre di colesterolo alto, mentre alcuni hanno una somma di queste malattie. Almeno uno su cinque ha problemi di salute mentale. È una popolazione che non sta bene e ha bisogno di costi e trattamenti speciali". Un detenuto anziano costa da due a tre volte più di un giovane. Secondo molti il carcere per le persone anziane non è solo molto dispendioso ma anche inutile: i detenuti più vecchi infatti, una volta rilasciati, non rappresentano una particolare minaccia per la comunità. Nel Rhode Island, per esempio, il tasso di recidiva generale è del 42 per cento mentre tra i detenuti con più di 55 anni è il 4 per cento. Molti chiedono che vengano approvati speciali permessi per uscire dal carcere raggiunta una certa età, simili a quelli già in vigore in alcuni stati per i malati terminali. Altri spiegano che il problema è dovuto all’approccio particolarmente duro attuato contro il crimine a partire dagli anni Ottanta, con numerose condanne all’ergastolo senza la possibilità dei domiciliari e con l’approvazione del mandatory sentence, che per alcuni reati - soprattutto legati alla droga - impongono al giudice l’applicazione della condanna più dura una volta che l’imputato è stato giudicato colpevole. Simili misure hanno causato l’aumento della popolazione carceraria, nonostante il recente calo del tasso di crimine. Tra il 1984 e il 2008, per esempio, il numero di persone condannate all’ergastolo è quadruplicato, arrivando a oltre 140 mila detenuti. Nel Rhode Island la maggioranza dei detenuti anziani sta scontando lunghe condanne, per omicidio o violenza sessuale. Anche se verranno liberati troveranno difficilmente una casa e qualcuno a prendersi cura di loro, e sarà molto difficile iniziare una nuova vita fuori dal carcere. Andrew Burton è un fotografo di Getty Images che vive a New York. I suoi lavori sono stati pubblicati su Time, New York Times, Wall Street Journal, Washington Post e molti altri giornali e riviste. Ha una laurea in giornalismo con specializzazione in fotografia, ha vissuto a New York, Londra, Sydney e Portland e ha un sito dove pubblica e racconta alcuni dei suoi lavori. Russia: caso Greenpeace; secondo la proposta di Putin nessuna amnistia per gli Arctic30 Il Velino, 12 dicembre 2013 La prima seduta della Duma per discutere della proposta è prevista invece il 17 dicembre. L’attuale testo della proposta di amnistia presentato dal presidente Vladimir Putin, in attesa del voto della Duma, non sembra beneficiare gli Arctic30. A godere dell’amnistia sarebbero solo coloro che sono già stati condannati per vandalismo oppure le persone sotto processo per questo reato o che vi saranno condannate nei prossimi sei mesi. Gli Artcic30 non ricadono in nessuna di queste categorie. "La Duma dovrebbe inserire un emendamento e prevedere che l’amnistia includa anche coloro che sono accusati di vandalismo, anche se il loro processo non è stato ancora calendarizzato - spiega Daniel Simons, avvocato di Greenpeace International. In questo modo gli Arctic30 tornerebbero a casa. Attualmente su di loro pende ancora la possibilità di un processo e di anni di carcere per un reato che non hanno commesso. Le accuse contro di loro dovrebbero cadere, naturalmente, ma se il caso si chiudesse con un’amnistia sarebbe comunque una buona notizia per 30 persone che hanno già passato due mesi in carcere per difendere i loro ideali". L’amnistia dovrebbe coincidere con il ventesimo anniversario dell’adozione della Costituzione russa che cade domani, 12 dicembre. La prima seduta della Duma per discutere della proposta del Presidente Putin è prevista invece il 17 dicembre. Russia: caso Pussy Riot; la Corte Suprema boccia sentenza... la condanna è da rivedere Ansa, 12 dicembre 2013 Alla vigilia di un’amnistia annunciata e a pochi mesi dalla fine dell’espiazione dei due anni di condanna (marzo 2014), la corte suprema russa boccia severamente la sentenza per le due Pussy Riot e ne ordina il riesame ritenendo che vi siano motivi per cancellare o modificare la pena. Secondo i giudici, il tribunale di primo grado non ha indicato le prove dell’odio contro un gruppo sociale, ha negato il differimento della pena nonostante i figli delle imputate siano minorenni e ha ignorato una serie di attenuanti. Spagna: tre terroristi Eta condannati a 11.580 anni carcere, per attentato a Guardia Civil Ansa, 12 dicembre 2013 L’Alta Corte spagnola ha condannato a complessivi 11.560 anni di carcere i tre terroristi dell’Eta ritenuti responsabili dell’attentato alla caserma della Guardia Civil di Burgo, avvenuto all’alba del 26 luglio 2009 e che causò 160 feriti. È la condanna più alta mai inflitta a terroristi del gruppo separatista basco. La corte, presieduta da Alfonso Guevara, ha anche inserito tra le vittime da indennizzare molti bambini che si trovavano nella caserma-alloggio e che, seppure illesi, hanno avuto il riconoscimento del danno psicologico. I condannati, ciascuno a 3.860 anni di carcere, sono Daniel Pastor, Beatriz Etxeberria e Iúigo Zapirain; sono stati inflitti 24 anni per ciascuno dei 160 reati di tentato omicidio e 20 anni per strage. Il gruppo terroristico parcheggiò un camion con 700 chili di esplosivo davanti all’edificio nel quale risiedevano 263 persone, militari e loro famigliari. Al momento dell’esplosione, però, vi era un numero inferiore di residenti in quanto molti erano partiti per le vacanze. Giappone: eseguite due condanne a morte, otto detenuti giustiziati dal dicembre 2012 Tm News, 12 dicembre 2013 Due condannati a morte sono stati impiccati giovedì nelle carceri giapponesi, portando così a otto il numero dei detenuti giustiziati dal dicembre del 2012, data in cui i conservatori sono tornati al potere. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia nipponico rimangono attualmente 129 condannati nel "braccio della morte". Malgrado il sostegno della popolazione alla pena di morte nel 2011 non era stata eseguita alcuna condanna a causa della mancata firma da parte dei vari titolari della Giustizia del governo di centrosinistra che si erano succeduti nell'incarico. Birmania: rilasciati altri 44 prigionieri politici, progressivo smantellamento delle sanzioni Ansa, 12 dicembre 2013 Le autorità birmane hanno liberato altri 44 prigionieri politici da diverse carceri del Paese. Lo ha rivelato all’Afp Hla Mang Shwe, un consigliere del presidente Thein Sein. Si tratta dell’ultimo rilascio di una lunga serie iniziata due anni fa, e che ha quasi del tutto svuotato le prigioni di detenuti di coscienza, che fino a due anni fa si stimava fossero oltre 2 mila. Le aperture di Thein Sein hanno portato al progressivo smantellamento delle sanzioni occidentali applicate al Paese dagli anni Novanta. Egitto: fa mangiare foraggio a studenti, docente condannato a un anno carcere Aki, 12 dicembre 2013 Un insegnante di una scuola di Sohaj, nel nord est dell’Egitto, è stato condannato a un anno di carcere e al pagamento di una multa di cinquemila dollari per aver fatto mangiare foraggio ai suoi studenti che non avevano completato il lavoro assegnato loro. Ne dà notizia il giornale Emirates 24/7. A denunciare il docente sono stati prima i suoi alunni e poi i genitori, che hanno riferito alle autorità che i loro figli erano stati costretti dal loro insegnante a mangiare cibo destinato agli animali come punizione.