Giustizia: reato di tortura, carceri, droghe; da martedì raccolta firme in tutta Italia Ansa, 6 aprile 2013 Tre leggi per la giustizia e i diritti. Il 9 aprile si firma davanti ai Tribunali di tutta Italia. Martedì 9 aprile, dalle 9 alle 13, a Lecce come ad Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Catanzaro, Chieti, Ferrara, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Roma, Taranto, Tivoli, Torino, Trento, Udine, Urbino, Velletri, Venezia, nelle piazze dei Tribunali, sarà possibile firmare le tre proposte di legge di iniziativa popolare, depositate lo scorso gennaio in Cassazione, con cui si chiede al Parlamento di introdurre il delitto di tortura nel codice penale, di abrogare la legge Fini-Giovanardi sulle droghe e ripristinare la legalità nelle carceri. Ma i tre disegni di legge, interessano anche un’altra legge molto discussa nel nostro paese, quella sull’immigrazione di cui si chiede l’abrogazione del reato di clandestinità. “Ci appelliamo ai cittadini, agli operatori della giustizia, ai parlamentari perché firmino le tre proposte - scrivono i promotori della Campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe” - Sarebbe un bel segnale se martedì prossimo anche esponenti delle forze politiche si recassero davanti ai tribunali a sottoscrivere le nostre proposte di legge il cui spirito è quello di ripristinare la legalità nelle carceri e tutelare i diritti umani e civili. Le organizzazioni promotrici, a Lecce e in Italia, sono: Antigone onlus, Arci, Associazione Bfake di Lecce, la Camera penale di Lecce, Cgil, Cgil-Fp, Comunità Speranza - volontariato carcerario di Lecce, Mujmunè di Leverano, A Buon diritto, Acat Italia, Adu, A Roma, insieme - Leda Colombini, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere. Saranno presenti il consigliere provinciale Alfonso Rampino e il consigliere comunale Carlo Salvemini che si sono detti disponibili e favorevoli all’iniziativa. Le tre proposte di legge di iniziativa popolare costituiscono secondo gli organizzatori di questa campagna che ha dato vita al Comitato Tre leggi per la giustizia e i diritti, un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario, necessità non più prorogabile anche alla luce della recente sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha condannato il nostro paese per le indegne condizioni in cui i detenuti sono costretti a scontare la loro condanna. La prima, per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale - vuole sopperire ad una lacuna normativa grave. In Italia manca il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. La seconda, per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri - vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. Infine la terza proposta, per modifiche alla legge sulle droghe: depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto, vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese. Viene superato il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, depenalizzando i consumi, diversificando il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene, restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. Giustizia: Sel; oggi i parlamentari visitano le carceri. Vendola: non siamo un paese civile Dire, 6 aprile 2013 "Oggi le carceri sono il luogo di una somma ingiustizia: usate solo come volgari discariche sociali. Possiamo definirci un Paese civile?". Così Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, su twitter commenta l'iniziativa che su tutto il territorio nazionale vede i parlamentari di Sel in visita alle carceri e agli ospedali psichiatrici giudiziari del Paese. Parlamentari Sel visitano carceri toscane: Nicchi e Petraglia a Sollicciano, Nardi a Massa Le parlamentari toscane di Sinistra Ecologia e Libertà Martina Nardi, Marisa Nicchi e Alessia Petraglia sono in queste ore in visita alle carceri di Sollicciano, a Firenze, e a quello di Massa, per valutare le condizioni dei detenuti e analizzare le criticità delle strutture penitenziarie. "Oltre che alla situazione generale, presteremo particolare attenzione alla tutela del diritto alla salute dei detenuti e al loro accesso all'assistenza sanitaria" spiega Marisa Nicchi, che con Alessia Petraglia si è recata a Sollicciano nella tarda mattinata di oggi, sabato 6 aprile. Martina Nardi, invece, è attesa al carcere di Massa nel pomeriggio. I due sopralluoghi rientrano nell'iniziativa lanciata a livello nazionale da Sinistra Ecologia e Libertà, i cui parlamentari, tra la giornata di oggi e quella di lunedì, saranno impegnati in analoghe visite nelle carceri dei territori di provenienza, in modo da avere un quadro complessivo della difficile situazione penitenziaria italiana. Roma: Piazzoni (Sel) "Cominciare dai diritti dei malati psichiatrici" "Ieri il Gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà ha presentato tre proposte di legge. La prima prevede l'introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano per colmare una lacuna del nostro ordinamento, che vede l'Italia tra i firmatari di molteplici dichiarazioni internazionali (prima tra tutte la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura), ma disallineata rispetto all'adeguamento normativo. Il secondo progetto mira all'abolizione del reato di immigrazione clandestina, che pone il nostro Paese in condizione di illegalità rispetto alla normativa europea, disattendendo la Costituzione sui diritti inalienabili delle persone, nonchè le convenzioni internazionali a tutela dello straniero. La terza intende ripristinare la disciplina sulla recidiva e sulla prescrizione del reato antecedente alla legge Cirielli del 2005, che punta invece sull'assoluta centralità della pena detentiva quale strumento correttivo dei casi di devianza sociale". Lo ha dichiarato Ileana Piazzoni nel corso dell'incontro con i detenuti di Regina Coeli. "è per ribadire l'urgenza di garantire un trattamento dignitoso e rispettoso della persona in regime carcerario che ho deciso di visitare Regina Coeli - ha sottolineato ancora Piazzoni - soprattutto per ricordare che la detenzione non puo' prescindere da percorsi di rieducazione ed inclusione. I detenuti presenti ad oggi nella casa circondariale di Regina Coeli sono 1.066, su una capienza regolamentare indicata dal Ministero di Giustizia in 725, ma che non tiene conto del fatto che sono chiuse due sezioni: la V (di prossima riapertura, terminati i lavori di ristrutturazione) e la VI. I detenuti stranieri rappresentano oltre il 50% della popolazione; i tossicodipendenti il 30%. I detenuti che lavorano sono 70. I problemi principali sono il sovraffollamento (celle da 4 con 6 persone, con i letti a castello a 3 piani), la mancanza di attività culturali, sportive e di spazi per la socialità. Mancano gli psicologi; gli psichiatri sono pochi e anche la polizia penitenziaria è sotto organico. Il terzo piano del centro clinico, dove vengono ricoverati anche detenuti provenienti da altri istituti, è in ristrutturazione". "In periodi di crisi si tende a porre in sordina situazioni di particolare disagio come il sovraffollamento e le condizioni sanitarie. Io intendo impegnarmi a tenere alta l'attenzione sul tema della qualità del trattamento intramurario dei detenuti e di particolari categorie, come ad esempio le persone con problemi psichiatrici. Il principale problema a Regina Coeli è rappresentato dai nuovi ingressi: persone arrestate che possono presentare problemi psichiatrici, ma per molti dei quali ancora non è stata effettuata una diagnosi. La difficoltà è quindi la presa in carico e la gestione di questi detenuti, spesso aggressivi con gli operatori, con gli altri detenuti e soprattutto verso se stessi. Il pericolo di atti di autolesionismo e di tentativi di suicidio obbliga il personale ad una stretta sorveglianza. La difficoltà sta quindi nell'individuazione del disagio e del percorso da intraprendere, che spesso puo' culminare nell'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari. Su questo tema - ha concluso Piazzoni - insieme al capogruppo di SeL Gennaro Migliore, ho presentato recentemente un'interrogazione ai ministri della Salute e della Giustizia per conoscere quali iniziative abbiano in programma per l'attuazione della riforma relativa alla chiusura di queste strutture, fissata al primo febbraio scorso e poi prorogata di un anno. Abbiamo chiesto di mettere in campo tutte le iniziative necessarie, affinchè tra le priorità dei programmi regionali rientrino percorsi per la graduale presa in carico dei malati nell'ambito di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali. Ci aspetta ancora un grande lavoro istituzionale, in sinergia con l'associazionismo e il territorio, imperniato sulla riorganizzazione dei servizi e soprattutto sull'umanità e sulla tutela dei diritti delle persone". Cagliari: Piras (Sel) a Buoncammino "Aboliamo il reato di clandestinità" Visita del neo deputato sardo di Sel, Michele Piras, nel carcere di Buoncammino. "Situazione tollerabile. Oggi il carcere non è sovraffollato - afferma Piras alla fine della sua visita nella struttura carceraria - ma può cambiare in poche ore. Proprio stamattina, mentre uscivo, sono arrivati altri cinque nuovi detenuti. Le camere a primo impatto sono troppo strette e al massimo della capienza: la dignità umana non viene rispettata". La situazione delle carceri sembra essere uno dei punti fondamentali del programma di Sel in Parlamento. Il gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà ha infatti già depositato un pacchetto di otto proposte, tre delle quali sulla difesa dei diritti civili e sociali: abrogazione del reato di clandestinità e della ex legge Cirielli e introduzione del reato di tortura. "Ci sono norme - spiega Michele Piras - che favoriscono il sovraffollamento delle carceri, come il reato di clandestinità per il quale proponiamo l'abrogazione immediata. Stesso discorso per la legge ex Cirielli, che in sostanza crea disparità tra chi ha i soldi per permettersi una difesa, e chi no. Ma anche l'introduzione di una legge di civiltà, sul reato di tortura". La visita del deputato Sel, Michele Piras, al carcere di Buoncammino è solo l'inizio di un tour che farà tappa in tutti gli istituti penitenziari della Sardegna. Cosa che anche gli altri parlamentari Sel stanno facendo in questi giorni a livello nazionale perché "la situazione carceraria - conclude Piras - è esplosiva in tutto il Paese. La questione non è secondaria dal momento che riguarda la dignità delle persone, spesso non rispettata". Varese: Sel; ampliare i Miogni o una nuova struttura a Varese La parlamentare Di Salvo e i varesini Cordì e Liparoti in visita alla struttura di via Felicita Morandi. In Parlamento presentati progetti di legge sul reato tortura e contro quello di clandestinità. Continua a Varese il dibattito sul carcere: chiudere i Miogni o ristrutturarli? E una nuova struttura dovrà sorgere a Varese o quella di Busto Arsizio dovrà diventare l'unica della provincia? A riaprire il tema, dopo la proposta del provveditore regionale di chiuderlo e ampliare quello bustocco, è oggi Sinistra Ecologia Libertà. La parlamentare Titti Di Salvo, insieme al consigliere comunale Rocco Cordì e al coordinatore provinciale Francesco Liparoti, hanno infatti visitato la struttura di via Felicita Morandi. "Qui ci sono 120 persone nello spazio di 44 - spiegano dopo la visita -. Dormono in tre in celle pensate per una persona e gli spazi comuni sono molto angusti. Tutto questo crea problemi non solo di convivenza, ma anche sanitari e genera comportamenti aggressivi. Un agente ci ha spiegato che alcune persone detenute arrivano a cercare di andare in isolamento pur di stare da sole". La struttura risale all'800 e nel 2001 questo carcere è stato dichiarato "dismesso". Per gli esponenti di Sel, quindi, le strade percorribili sono sole due: "o reinsediare il carcere in un'altra zona, ma vicina. Oppure ristrutturare quella esistente e ampliarla perchè non è possibile pensare al mantenimento delle dimensioni attuali, sia per i detenuti che per gli operatori". L'opzione del carcere unico a Busto secondo i tre politici non è praticabile "per motivi logistici e di competenza del tribunale". Le aree possibili sarebbero "via Peschiera - spiega Cordì - e c'è ancora l'idea di via Piana di Luco. Io suggerisco anche l'ex Macchi". I tempi però, spiegano, dipendono soprattutto dal ministero. "Non basta dire che i costi di ristrutturazione sono troppo alti, servono cifre vere su cui ragionare". La visita di oggi - a cui seguirà entro un mese quella a Busto, promette Titti di Salvo - si inserisce all'interno di un progetto più ampio dei parlamentari di Sel. Alla Camera hanno infatti presentato tre proposte di legge per: l’introduzione del reato di tortura, l’abrogazione della legge Cirielli su recidiva e prescrizioni e l’abrogazione della norma relativa al reato “di clandestinità”. Per promuovere queste iniziative e monitorare da vicino le realtà della carceri italiane, oggi i diversi parlamentari stanno effettuando visite in numero istituti. "è giusto scontare la pena - concludono -, ma deve essere garantita una situazione umana". Padova: Zan visita il carcere "Subito un garante e pene alternative" La situazione di sovraffollamento del Due Palazzi, il deputato di Sel va in visita. Ecco il suo diario e le sue considerazioni scritte per "il mattino". Una giornata in carcere per capire la situazione di chi è recluso e di chi vi lavora. Per rendersi conto della situazione il neo-deputato di Sel Alessandro Zan ha visitato il Due Palazzo di Padova. Ecco il diario della sua visita, scritto per il mattino di Padova. Come già si poteva immaginare vista la situazione nazionale, anche le condizioni della struttura detentiva del Due Palazzi di Padova rispecchia un po' l'andamento generale del nostro Paese: i problemi principali restano sempre quelli del sovraffollamento e della carenza di organico e di spazi, oltre ad una difficoltà oggettiva nello svolgimento di attività che aiutino un reinserimento futuro del detenuto nella società. Il carcere padovano ospita attualmente circa 900 detenuti, ne dovrebbe ospitare la metà. Nonostante sia sempre stato considerato un carcere d'avanguardia per le attività di recupero e lavoro, la situazione è comunque difficile, il numero di ospiti è superiore ai limiti previsti. E nonostante la massima disponibilità del personale e dei volontari che vi operano, c’è una enorme difficoltà a organizzare corsi e attività con i detenuti, proprio perché le risorse disponibili sono ridotte al lumicino e nemmeno la dovuta manutenzione può essere eseguita. I detenuti giustamente esprimono la volontà di lavorare e una maggiore disponibilità di attività motoria, ma come detto le scarse risorse e il rapporto sbilanciato tra numero di addetti agenti e di carcerati lo rendono ad oggi impossibile. Una delle figure che andrebbe introdotta subito per vigilare sulle condizioni e sui diritti umani dei detenuti sarebbe quella del "Garante". Una figura centrale, preziosa, sia per i detenuti ma soprattutto per garantire un collegamento con il territorio. Una decisione che potrebbe essere subito votata dal Consiglio comunale. È ora che si affronti seriamente il principe dei problemi, cioè quello della pena alternativa. Non è l’amnistia, nè l’indulto ma la possibilità che il debito con la società, per detenuti con pene minori, possa essere scontato con attività lavorative. I detenuti non chiedono solo di essere aiutati, ma anche di essere utili agli altri. La domanda che ci dobbiamo porre è se vogliamo che un’ istituzione dello Stato, come il carcere, creato per la rieducazione del reo, continui come accade oggi a produrre in realtà altra criminalità. Negli ultimi dodici anni, dal 2000 al 2012, 2.033 detenuti sono morti in carcere per incidenti o suicidi; la criminalità organizzata nello stesso periodo ne ha ammazzati 1.379 mentre 593 sono vittime della criminalità comune (dati dell’osservatorio delle morti in carcere). Prendersi cura di chi ha commesso un reato, qualsiasi esso sia, non significa dimenticare le vittime e i loro familiari. Sino a che questo concetto non sarà compreso da tutti non ci saranno carceri migliori. Allora tocca alle Istituzioni rispettare la Costituzione, evitare che le carceri si riempiano e che, chi esce dopo aver scontato la pena non ci rientri, per questo conviene alla collettività intera che un detenuto non inciampi nuovamente nella giustizia con conseguenti costi economici e sociali per tutta la società. Milano: Farina (Sel): a San Vittore situazione di emergenza "Abbiamo osservato nella casa circondariale milanese una situazione davvero allarmante, sono presenti almeno il doppio dei detenuti rispetto alla capienza prevista. Ciascuna cella ospita mediamente sei detenuti e questo produce condizioni di vita non dignitose per le persone ristrette. Così la detenzione perde ogni finalità di reinserimento sociale e diventa semplice atto punitivo". Così Daniele Farina, deputato e coordinatore di Sel Milano, interviene all'uscita da San Vittore. A seguito della presentazione delle tre proposte di legge relative all'introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano, all'abolizione del reato di immigrazione clandestina e all'abrogazione della cosiddetta ex legge Cirielli su recidiva e prescrizione dei reati, oggi i parlamentari di Sinistra Ecologia Liberà sono impegnati in una visita negli istituti di pena. "Questa visita rafforza la convinzione che le nostre proposte di legge siano necessarie e urgenti per il merito dei loro contenuti e per intervenire concretamente su questa situazione emergenziale e di evidente incostituzionalità", aggiunge. "La visita odierna è l'inizio di un monitoraggio sullo stato delle carceri, e in particolare sull'istituto di pena milanese, che ritengo prioritario e intendo proseguire per tutta la durata della legislatura", conclude. Udine: Pellegrino (Sel) "Questa è una buona struttura" "Un buon carcere". Così la deputata Serena Pellegrino (Sel) ha definito la struttura penitenziaria di Udine, al termine di una visita nell'ambito di una giornata nazionale che i parlamentari di Sinistra e Libertà hanno dedicato alle carceri italiane. Quello di Udine è stato l'unico ad essere visitato nel Friuli Venezia Giulia. "La situazione di Udine, dove c'è una direttrice molto disponibile, non corrisponde a quella di altre città - ha specificato Serena Pellegrino - È la prima volta che entro in un carcere e mi aspettavo una situazione peggiore" nonostante "ci sia una sovrappopolazione del 20 per cento, con celle fino a dieci detenuti". La parlamentare si è soffermata sull' esistenza di "una scuola interna, perché il carcere deve essere formazione non solo detenzione, dal quale bisogna uscire guariti nello spirito". La deputata ha portato la proposta di legge di Sel in tema carcerario, contraria alle amnistie, che mira "a non riempire le carceri, contrariamente alle leggi Bossi-Fini e Giovanardi, che le hanno riempite, mentre spesso chi delinque rimane fuori". Giustizia: ieri protesta del Sappe contro il Dap; amministrazione distante dalla realtà… Adnkronos, 6 aprile 2013 Ieri manifestazione nazionale organizzata dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe davanti alla sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in largo Daga. “Gli agenti che aderiscono al Sappe, provenienti dagli istituti e servizi della capitale ma anche dalle Regioni Campania, Abruzzo, Molise, Marche, Basilicata e Puglia, hanno deciso di portare in piazza ancora una volta il disagio della Polizia Penitenziaria”. “Noi poliziotti penitenziari siamo quelli che vivono in prima persona i disagi del carcere perché siamo nelle sezioni detentive, in mezzo ai detenuti, 24 ore al giorno”, dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato. “E sentiamo distante l’Amministrazione Penitenziaria che mette in ginocchio i poliziotti tagliando i fondi per vestiario, missioni fuori sede, riparazione mezzi e persegue soluzioni fumose e pericolose come l’autogestione delle carceri da parte dei detenuti e l’accorpamento di più posti di servizio per un solo agente”. “In più -si legge in una nota- questo Dap guidato da Tamburino e Pagano, è talmente distante dalla realtà che ha favorito la promozione per meriti straordinari di un archivista del Dipartimento! Uno schiaffo agli agenti che ogni giorno, nella prima linea delle sezioni, hanno a che fare con 100/150 detenuti, rischiando la vita ogni minuto. Loro cosa si meriterebbero? Una promozione a Generale?”. Sul “costante sovraffollamento penitenziario e sugli eventi critici che quotidianamente si verificano nelle oltre 200 carceri italiane (aggressioni, tentati suicidi, suicidi, ferimenti, atti di autolesionismo)”, Capece avanza alcune proposte concrete: “se la politica volesse intervenire concretamente sull’emergenza carceri, potrebbe farlo subito con 3 provvedimenti, che non ha preso l’attuale Ministro Guardasigilli. Mi riferisco a processi più rapidi, espulsione dei detenuti extracomunitari per far scontare loro la pena nel paese di provenienza e soprattutto far scontare la pena ai tossicodipendenti in una comunità di recupero”. “È ovvio che, se come oggi i detenuti stanno 20 ore in cella, questo alimenta tensioni. Dovrebbero lavorare, ma ci vuole una legge apposita e la volontà politica per farla, che nel nostro Paese non c’è. In Germania è così. Lavorano con soddisfazione perché stare fuori dalla cella dà senso di serenità ed è diverso che stare 20 ore rinchiusi senza fare nulla, alternandosi tra chi sta seduto e in piedi per mancanza di spazio. Questo acuisce la tensione, quindi aggressioni e tentati suicidi. Il Dap ed il Governo tecnico hanno fatto poco o nulla per il carcere e chi ci lavora. Per questo oggi il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, manifesta a Roma”. Giustizia: caso Abu Omar; troppa grazia, mister president… di Leo Lancari Il Manifesto, 6 aprile 2013 Napolitano concede la clemenza all’agente della Cia Joseph Romano condannato per la “rendition”. Il Colle: “Soluzione a una vicenda ritenuta dagli Usa senza precedenti” e “delicata sotto il profilo delle relazioni bilaterali” ROMA. Per la corte d’Appello di Milano che lo ha condannato a cinque anni di reclusione insieme a una ventina di agenti della Cia, è stato uno dei protagonisti del rapimento di Abu Omar, l’ex imam di Milano prelevato e fatto sparire il 17 febbraio 2003 nel corso di una “extraordinary rendition” messe in atto dagli Stati uniti dopo l’11 settembre. Sentenza confermata il 19 settembre del 2012 dalla Cassazione. Ma il colonnello Joseph L. Romano III è sempre stato un imputato speciale per Washington che in passato ha espresso il suo disappunto per la condanna arrivando perfino a contestare la giurisdizione italiana su di lui. Malumori espressi più volte e ai quali ieri Giorgio Napolitano ha deciso di mettere fine concedendo la grazia all’ufficiale americano da tempo ormai in servizio presso il Pentagono. Una decisione che “mette fine a una situazione delicata” spiega una nota del Quirinale, e “ispirata allo stesso principio che si cerca di far valere per i nostri due marò in India”. Immediata, e scontata, la reazione dell’ambasciata Usa a Roma più che soddisfatta per la decisione del capo dello Stato. Non a caso Napolitano è visto dall’amministrazione americana come un interlocutore su cui poter contare, tanto da augurare solo due giorni fa una sua rielezione al Quirinale. Del resto la necessità di trovare una soluzione soddisfacente per Washington alla vicenda dell’ufficiale americano sarebbe stato uno dei problemi affrontati dal capo dello Stato durante la visita compiuta a febbraio negli Statai uniti. E i due ministeri della Giustizia, italiano e americano, da tempo avrebbero lavorato alla ricerca di una soluzione. Che alla fine è stata trovata. La decisione di concedere la grazia non è stata però del tutto lineare. Ai tempi del sequestro di Abu Omar Romano era il responsabile della sicurezza della base di Aviano, la stessa dove l’iman venne portato nascosto dentro un furgoncino bianco e poi, a bordo di un aereo, spedito prima in Germania e poi in Egitto. E proprio grazie al suo ruolo - secondo l’inchiesta condotta dalla procura di Milano - Romano avrebbe consentito agli agenti della Cia con Abu Omar un ingresso sicuro alla base. Essendo, tra gli indagati di nazionalità americana, l’unico militare, la sua presenza sul banco degli imputati ha sempre imbarazzato Washington. E sarà proprio per il ruolo svolto da Romano che, chiesta dal suo difensore, l’avvocato Cesare Graziano Bulgheroni, la domanda di grazia ha avuto però il parere negativo del procuratore generale di Milano. Via libera invece, da parte del ministero della Giustizia. Due, principalmente, le motivazioni con cui il Colle ha giustificato la decisione: la scelta da parte di Obama di cambiare l’approccio scelto per garantire la sicurezza interna che ha portato a “pratiche ritenute dall’Italia e dall’Unione europea incompatibili con i principi fondamentali di uno stato di diritto”. Ma anche, prosegue la nota del Colle, per dar seguito alle modifiche apportate al codice di procedura penale con un dpr del 11 marzo 2013, modifiche che prevedono la rinuncia da parte del nostro ministero della Giustizia alla giurisdizione sui reati commessi dai militari Nato. Dpr messo a punto, sarà un caso, al ritorno dal viaggio negli Stati uniti. Per il Quirinale, insomma, la cosa importante era mettere fine a una situazione, la condanna di un militare americano per reati commessi in territorio italiano, giudicata anomala da Washington. E questo nonostante gli sforzi fatti dalla procura di Milano per affermare un principio come l’inviolabilità del territorio nazionale. Principio che ritorna anche nelle motivazioni, rese note proprio ieri, che hanno portato alla condanna a 10 anni di reclusione di Niccolò Pollari proprio per il rapimento di Abu Omar. Per i giudici dell’Appello di Milano l’ex direttore del Sismi avrebbe dovuto “tutelare la sovranità del nostro Paese”, mentre invece permise “che venisse concretizzata una grave violazione della sovranità nazionale dando “appoggio” alla Cia nel sequestro dell’ex imam. Una persona, ricordano i giudici, che aveva lo “status di rifugiato politico” e che che quindi l’Italia avrebbe dovuto tutelare. Verona: cibo avariato in carcere, la Procura apre due indagini L’Arena di Verona, 6 aprile 2013 Il pm Labate sta svolgendo accertamenti sulla fornitura di alimenti da parte di un’azienda toscana. Le denunce sono arrivate dagli ispettori dell’Ulss, incaricati dall’amministrazione dopo la segnalazione di detenuti e agenti. Niente più cibo avariato ai detenuti del carcere. La direzione della casa circondariale di Montorio, il garante dei detenuti, l’Ulss 20 e ora anche la Procura: tutti in campo per difendere il diritto delle persone che si trovano recluse a mangiare alimenti di qualità. E ora c’è anche l’inchiesta aperta dalla procura di Verona. Dopo l’appello lanciato da Margherita Forestan, la garante dei detenuti, la procura ha infatti aperto due procedimenti per far luce sul servizio di fornitura del cibo, il cosiddetto “vitto” e “sopravvitto”. Ogni giorno, infatti, varcano i cancelli di Montorio decine di casse di frutta e verdura, carne e pacchi con altra merce ma spesso, secondo quanto rivelato dalla stessa Forestan, si tratta di prodotti avariati o dall’oscura provenienza. Capita, infatti, che i detenuti siano costretti a gettare gli alimenti nel cestino e ad acquistare a proprie spese altro cibo attraverso il “sopravvitto”, gestito sempre dalla stessa azienda toscana vincitrice dell’appalto per la fornitura dei generi alimentari per la cucina (di cui al momento non è stato fornito il nome). “È snervante dover controllare ogni cosa che arriva, non si può lavorare in questo modo: può capitare che qualche prodotto non sia perfetto, ma dev’essere una tantum, non la prassi”, commenta la garante dei detenuti. “Se invece non ci sono verifiche quotidiane, il rischio è che nei piatti finisca di tutto: fortunatamente la direzione è molto sensibile a questo problema”. E infatti la questione è stata più volte oggetto di segnalazioni, ma ciò non sarebbe servito a far cambiare modus operandi alla società. Così nei mesi scorsi, il servizio Igiene dell’Ulss 20 è stato incaricato di effettuare alcuni prelievi sul cibo fornito ai detenuti e dalle verifiche sarebbe emerso che effettivamente i prodotti erano avariati: gli ispettori dell’Ulss hanno, dunque, depositato due denunce in Procura. A occuparsi delle indagini è ora il pm Elisabetta Labate. Inoltre, il procuratore capo Mario Giulio Schinaia ha segnalato il problema anche a Roma, alla Direzione generale dell’amministrazione penitenziaria, per far presente la situazione della casa circondariale di Montorio, simile con tutta probabilità a quella di altre carceri italiane. Nell’ottica di contenere le spese, infatti, talvolta gli appalti vengono affidati a imprese, che poi non sono in grado di garantire gli standard qualitativi previsti dal bando. Un tema caldo, se si considera che l’appalto della Direzione regionale delle carceri, con sede a Padova, per il servizio di fornitura del cibo a Montorio sta per scadere e che nelle prossime settimane verrà indetto il nuovo bando per l’assegnazione. L’auspicio di tutti è che i criteri siano più rigidi e che il prossimo fornitore si impegni a rispettarli. Asti: la delibera va in Consiglio comunale, il carcere di avrà il Garante dei detenuti La Stampa, 6 aprile 2013 Il Consiglio comunale è convocato martedì 9 aprile alle 18,30 e il giorno seguente alla stessa ora. Tra le pratiche inserite all’ordine del giorno vi è anche quella relativa all’istituzione del garante dei detenuti o, per dirla in termine tecnico “Il garante dei diritti delle persone private della libertà personale”. Sulla figura del garante i Radicali hanno sollecitato ripetutamente le amministrazioni comunali e ancora nel gennaio scorso Salvatore Grizzanti, segretario dell’Associazione Adelaide Aglietta, si era appellato al sindaco Brignolo, ricordandogli che, mesi prima, in occasione del congresso dell’associazione “Antigone” aveva promesso l’istituzione di questa figura. Toccherà al Consiglio comunale approvare la delibera; quindi l’Amministrazione comunale provvederà con un bando ad individuare la figura a cui affidare questo delicato compito. Il Comune, nel motivare la decisione fa tra l’altro riferimento all’articolo “1” dello Statuto dell’ente in cui si legge che il Comune di Asti “ispira la propria azione al principio della solidarietà, promuovendo quest’ultima, in particolare, verso le fasce di popolazione più svantaggiate e riconoscendo, altresì, il valore del principio di sussidiarietà”. “Le persone private della libertà personale o limitate nella stessa - viene ricordato nella delibera che andrà in aula - devono essere ricomprese tra i soggetti più deboli in situazione di bisogno o disagio sociale”. A gennaio una sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per le condizioni inumane alle quali costringe i detenuti. Il ricorso alla magistratura di Strasburgo era stato presentato da sette reclusi nei penitenziari di Piacenza e Busto Arsizio, per i quali era stato disposto un risarcimento complessivo di 100 mila euro. Piacenza: detenuto pestato, i medici diranno se quelle botte avrebbero potuto uccidere di Gianfranco Salvatori www.ilpiacenza.it, 6 aprile 2013 Nominati dal gip tre periti. Un 45enne venne massacrato da due detenuti immigrati - “parli troppo” - e il poliziotto, secondo le accuse, sarebbe rimasto a guardare. Sono tre i medici che dovranno dire se le lesioni riportate da un detenuto, durante un duro pestaggio, avrebbero potuto causare la morte e se lo stesso uomo abbia subito un tentativo di strangolamento. I sanitari sono stati nominati durante l’udienza dal giudice per le indagini preliminari, Gianandrea Bussi. Gli avvocati difensori dei tre indagati per tentato omicidio, due detenuti e un agente della polizia penitenziaria (quest’ultimo accusato anche di falso), avevano chiesto il rito abbreviato, condizionato, però, alla perizia medica. Un particolare importante, perché se i medici diranno che quelle lesioni non sarebbero potute essere mortali il reato per i tre accusati potrebbe diventare di lesioni gravissime e non più tentato omicidio. I medici nominati sono Tiziana Folin, consulente del giudice; Luigi Mulazzi, perito della difesa del poliziotto assistito dagli avvocati Luigi Alibrandi e Benedetto Ricciardi; lo stesso medico sarà perito di parte anche per i difensori dei due immigrati accusati, gli avvocati Wally Salvagnini e Piero Spalla. Per il detenuto picchiato, che si costituirà parte civile, con gli avvocati Paolo Cattadori, Michele Cattadori e Antonino Rossi, è stato indicato il medico Alberto Siclari. I camici bianchi avranno 60 giorni di tempo per riferire al giudice i loro risultati, analizzando i certificati medici e visitando l’uomo. Il pestaggio avvenne nel luglio del 2011 quando un detenuto genovese di 45 anni fu brutalmente picchiato da due immigrati, un ecuadoriano di 23 anni e un marocchino di 36 anni. Secondo gli inquirenti della polizia, il poliziotto della Penitenziaria non sarebbe intervenuto lasciando che i due - ma all’aggressione parteciparono anche altri - lo pestassero. Secondo la difesa, invece, l’agente intervenne quando se ne accorse e mise in salvo il genovese aggredito e un altro detenuto. Futili - anche se ritenuti importanti all’interno del carcere - i motivi che avrebbero portato alla spedizione punitiva: piccoli favori all’interno delle celle, garantiti dal poliziotto della penitenziaria, e il fatto che il genovese sembra avesse “la lingua lunga” perché aveva denunciato i favoritismi. E secondo la legge non scritta del carcere che “parla troppo” rischia e gli viene “spiegato” che è meglio tenere la bocca chiusa. All’agente, il sostituto procuratore Ornella Chicca, titolare di una lunga indagine, ha contestato anche alcuni episodi di falso. Il detenuto pestato era stato ridotto in gravi condizioni, con numerose fratture tanto che ha riportato danni permanenti, e venne ricoverato in ospedale per un mese e poi trasferito in un’altra struttura, per evitare ritorsioni. Il 45enne, secondo una ricostruzione della polizia, si trovava in un corridoio con un altro detenuto. Quest’ultimo aveva ricevuto una gomitata ed era scappato. Il genovese era così stato aggredito, buttato a terra e colpito da calci e pugni in tutto il corpo, specialmente in viso. L’agente, secondo le indagini, sarebbe accorso, ma “sarebbe rimasto a guardare”. Nel dicembre del 2011 l’inchiesta ebbe una svolta, perché la procura chiese l’arresto dei due detenuti e dell’agente. Alghero: la comunità senegalese si attiva per sostenere i detenuti stranieri Sardegna Oggi, 6 aprile 2013 Un semplice quanto prezioso gesto di solidarietà da parte di chi di sostegno e aiuto ne avrebbe bisogno tutti i giorni, oggi più di ieri. La comunità senegalese cittadina ha scelto per opera della sua associazione Yakaar di aiutare i detenuti stranieri presenti all’interno del carcere di San Sebastiano. L’Idea nasce da una riflessione congiunta tra i rappresentanti dell’associazione e la Garante dei detenuti sui numeri e le esigenze manifestate dalla popolazione straniera dell’istituto penitenziario. L’iniziativa verrà presentata nel corso di una conferenza stampa convocata lunedì 8 aprile alle ore 10.30 nella sala Conferenze di Palazzo Ducale. All’incontro con i giornalisti saranno presenti il Sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau, il Direttore del carcere, Patrizia Incollu, la Garante dei detenuti, Cecilia Sechi, il Presidente dell’associazione Yakaar, Cheikh Diankha, l’Imam della comunità senegalese a Sassari, Ibrahima Diop e il Cappellano del carcere, Don Gaetano Galia. Salerno: detenuti in scena per ricordare Dario Vassallo, ex sindaco di Pollica La Città di Salerno, 6 aprile 2013 Si sono battezzati “canne pensanti”, facendo riferimento al famoso pensiero del filosofo Blaise Pascal secondo il quale nell’universo l’uomo ha la stessa valenza di una canna al vento, con l’unico vantaggio di essere una canna pensante. E si sono ispirati ad un testo che parla di legalità e di coraggio perché, più di tutti, sanno quali conseguenze possono avere scelte sbagliate. I detenuti della casa di reclusione di Eboli, che compongono la compagnia teatrale “Le canne pensanti”, escono dalle mura del carcere per portare in scena, domani, alle 17,30, alla mediateca “Marte”, lo spettacolo teatrale “Un angelo venuto dal mare”, liberamente tratto dal libro “Il sindaco pescatore” di Dario Vassallo, fratello di Angelo Vassallo. La messa in scena è il frutto del lavoro di alcuni detenuti che hanno formato un gruppo di lettura, estrapolando le parti più interessanti del libro che hanno poi trasformato in uno spettacolo teatrale. Sul palco allestito nella struttura polifunzionale, che si trova a corso Umberto I, saliranno una ventina di attori che ripercorreranno le vicende che hanno caratterizzato la vita del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, che fu ucciso il 6 settembre del 2010 con nove colpi di pistola mentre tornava a casa in auto. La rappresentazione racconta la storia esemplare di un uomo capace di fare del bene, di pensare agli altri e di alzare lo sguardo verso quell’orizzonte limpido che aveva imparato a guardare durante le albe di lavoro sul suo peschereccio. Un uomo che era già un eroe prima della sua misteriosa morte, sulla quale gli inquirenti non hanno fatto ancora chiarezza. All’appuntamento parteciperanno, tra gli altri, il presidente della Corte d’Appello del tribunale di Salerno Matteo Casale, il direttore della casa di reclusione di Eboli Rita Romano, il procuratore del tribunale di Vallo della Lucania Alfredo Greco, il presidente del tribunale di sorveglianza di Salerno Carlo Maria Stallone. Al parterre si aggiungeranno i sindaci di Cava e Acciaroli, rispettivamente Marco Galdi e Stefano Pisani, e don Luigi Merola, presidente della fondazione “A voce d’ ‘e creature”. Un angelo venuto dal mare (Comunicato della Direzione dell’Icatt di Eboli) Domenica 7 aprile alle ore 17.30 la Compagnia teatrale “Le Canne Pensanti” composta dai detenuti della Casa di Reclusione - Icatt di Eboli porterà in scena la piece “Un Angelo venuto dal mare” presso la mediateca “Marte” di Cava dei Tirreni. L’opera si ispira alla vita (e alla morte) di Angelo Vassallo il “Sindaco pescatore” di Pollica barbaramente ucciso dalla camorra ed al suo messaggio di legalità. Alla presenza del Procuratore Generale della Corte d’Appello di Salerno, Dr. Matteo Casale, del Sindaco di Pollica, del Sostituto Procuratore della Repubblica di Vallo della Lucania Dr. Alfredo Greco di Don Luigi Merola del l’ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Salerno Dr. Carlo Maria Stallone detenuti porteranno in scena lo spettacolo di cui hanno curato tutto l’allestimento dalla scrittura, alla regia, alla scelta delle musiche realizzando un suggestivo ed interessantissimo “intreccio letterario” in cui Angelo Vassallo incontra il protagonista del “Vecchio ed il mare” discutendo con lui su “quello per cui vale la pena di vivere e di morire”. I ben 12 detenuti che calcheranno la scena grazie ad un permesso ad hoc rilasciato dalla Magistratura di Sorveglianza di Salerno porteranno il loro messaggio di legalità: “un piccolo paese come Pollica può essere in grado di rompere gli schemi diventando esempio per i grandi” una battuta del copione che vuole essere una metafora di quello che si realizza in un “piccolo carcere” come quello di Eboli da anni impegnato nel portare avanti un discorso di recupero dei propri utenti tossicodipendenti in attuazione del dettato costituzionale e della Legge Penitenziaria. Un piccolo carcere il cui programma, tutto giocato sull’auto responsabilizzazione dei detenuti riuscendo maieuticamente a trarre fuori da ognuno di loro le proprie potenzialità, grazie anche alla collaborazione del volontariato, “ha rotto gli schemi” dando il laboratorio teatrale “in gestione” ai detenuti che hanno allestito una vera e propria rassegna teatrale che si realizzerà a “costo zero” per l’ Amministrazione Penitenziaria. Con “Un Angelo venuto dal mare” la rassegna teatrale avrà inizio il 30 aprile presso l’ Istituto Ebolitano. In cartellone esclusivamente spettacoli “made in Icatt”: “La divina Galera. Ovvero dagli inferi alle stelle: viaggio nel mezzo del cammin di malavita”, “Omaggio a Troisi”, “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” ed infine una versione “galeotta” de “la Gatta Cenerentola”. La “sperimentazione” non finisce qui, ulteriore messaggio di integrazione (dopo il torneo di calcetto disputato sul campo dell’Istituto ebolitano tra la squadra dei detenuti che hanno riportato una vittoria schiacciante quelle della locale Polizia Penitenziaria e della Polizia Penitenziaria del Nucleo Operativo Tradizioni e Piantonamenti di Salerno, oltre che quella degli avvocati e politici) la presenza tra gli attori anche di un poliziotto penitenziario. Modena: il cantautore Danilo Sacco porta il rock nella Casa Lavoro Gazzetta di Modena, 6 aprile 2013 Continua l’attività live di Danilo Sacco per presentare “Un Altro Me”, il suo primo disco da solista dopo diciotto anni da voce degli amatissimi Nomadi. Un disco sociale, come lui stesso l’ha definito, “raccontato” con il linguaggio del rock, semplice e diretto, energico e coinvolgente, così come dimostrano essere i suoi concerti, che grazie al suo talento e alla sua genuinità stanno raccogliendo sempre più consensi. Nell’ambito di queste iniziative Danilo, accogliendo la richiesta di Collaborando, giovedì 11 aprile incontrerà anche i detenuti della casa di reclusione di Castelfranco Emilia, dove eseguirà alcuni brani dal vivo accompagnato dai suoi musicisti, per un momento di socializzazione e intrattenimento. Star del pomeriggio saranno, oltre a Danilo Sacco, Antonio Rigo Righetti, celebre bassista per anni nella band di Luciano Ligabue, Tommy Graziani, Antonio Pinto e Robby Pellati. La performance avrà luogo alle 18.30 e sarà seguita da un momento conviviale con tutti i musicisti, i volontari e gli ospiti della casa di lavoro. Il volontariato modenese, quindi, porta il rock in carcere. Lo scopo dell’iniziativa è quello di creare un momento forte di musica e integrazione all’interno della struttura, in linea con gli obiettivi di Collaborando, un progetto sociale articolato su diverse iniziative e associazioni che mira al miglioramento della vita degli internati e al loro reinserimento nel tessuto sociale. Si tratta di un gruppo di lavoro coordinato dal Centro di Servizio per il Volontariato, nato a inizio 2013, al quale partecipano diverse associazioni della provincia e alcuni volontari singoli. Nello specifico, all’interno della casa di reclusione di Castelfranco Emilia, il Csi (Centro Sportivo Italiano) di Modena propone attività sportiva e incontri su salute e benessere; Rinnovamento dello Spirito si occupa dell’animazione delle Messe e delle catechesi; la parrocchia della Batata Vergine Addolorata coinvolge alcuni internati in attività parrocchiali esterne alla casa di reclusione; l’associazione Carcere Città si occupa prevalentemente della formazione scolastica e dell’alfabetizzazione degli internati e Porta Aperta prevalentemente all’accoglienza all’esterno. Tutte le associazioni si impegnano poi nella raccolta fondi e nel rifornimento dei beni di prima necessità per la salvaguardia della dignità dei detenuti stessi. “Tramite Collaborando vogliamo metterci in rete come associazioni in modo coordinato, per offrire ai carcerati la possibilità di risollevarsi da uno stato di depressione, apatia e sedentarietà, facendo loro acquisire una maggiore fiducia in se stessi e permettendo allo stesso tempo ai cittadini di conoscere da vicino tale realtà, per agevolare il processo di reinserimento nella società dei detenuti - spiega Emanuela Carta, responsabile della Commissione Volontariato del Csi di Modena. Vogliamo inoltre puntare i riflettori su una realtà troppo spesso dimenticata dalla rete di welfare territoriale e risvegliare così una nuova cittadinanza attiva e passione civile”. Libri: Totò Cuffaro; partecipo al Premio Strega per raccontare il dramma delle carceri di Francesca Giuliani La Repubblica, 6 aprile 2013 “Ho saputo soltanto oggi che il mio libro è stato segnalato per partecipare al Premio Strega. Confesso che la cosa mi ha commosso. L’emozione più forte è il sapere di poter essere utile a tanti detenuti delle carceri italiane. Era l’intento che mi prefiggevo da questo libro: far conoscere la realtà drammatica delle carceri”. Così parla Salvatore Cuffaro - ex presidente della Regione Sicilia condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio - affidando le sue parole ad Angelo Marroni, garante per i diritti dei detenuti e suo amico da tempo, che spesso lo va a trovare, come ha fatto anche ieri pomeriggio. Dal 22 gennaio 2011, l’ex potente Cuffaro è la matricola 87833 di Rebibbia, ha perso 35 chili e scritto 450 pagine di libro-testimonianza sulla sua reclusione. Titolo: “Il candore delle cornacchie”, (Guerini e associati, Milano, prefazione di Rino Fisichella), ora fra i segnalati per il premio Strega. A candidare il libro, due Amici della domenica: Marco Staderini, amministratore delegato Acea e in passato consigliere Rai in quota Udc (ex partito di Cuffaro) e Gianpiero Gamaleri, sociologo. Valore letterario o operazione di marketing (come qualche editore incomincia a dire sul conto di Guerini), vecchie amicizie di partito o reale convinzione, fatto sta che Cuffaro è tra i 26 candidati al più prestigioso premio letterario con Walter Siti e Aldo Busi. Chi oggi incontra Totò si trova di fronte a una trasformazione non soltanto fisica a cui, assicura, l’esperienza della scrittura ha contribuito: “Scrivere mi ha dato la forza e il coraggio per vivere il carcere e attraversare questo tempo dandogli un senso e una ragione, far sì che anche questa stagione della mia vita seppur difficile abbia un significato. Condannato come sono all’interdizione dalla vita pubblica, come per una legge del contrappasso”. Magro, quasi ascetico, capelli bianchi cortissimi, il detenuto Cuffaro ha passato intere notti ad annotare a matita i dettagli della sua vita carceraria, i riti quotidiani, gli incontri, le migliaia di lettere ricevute, le centinaia di visite di politici. Scrive: “La mia è una morte civile, fortemente voluta, sapientemente costruita, scientificamente realizzata”. E racconta proprio tutto, dalle manette che gli lacerano la pelle a quando gli viene chiesto di spogliarsi di tutto, compresa la catenina ricordo della mamma, “perché in carcere il regolamento non ammette deroghe”. Anche le regole dello Strega sono chiare: due presentazioni e si entra nella prima selezione. Il nome di Cuffaro da ieri suscita tra gli addetti ai lavori ironia, incredulità e, tra gli organizzatori, soprattutto imbarazzo. Il comitato direttivo, al quale spetterà la scrematura tra le 26 opere presentate, si trincera dietro il silenzio. Cuffaro è già impegnato in un nuovo libro sugli anni della sua attività politica, ma nel premio non ci spera: “Dedico la mia partecipazione al premio ai siciliani tutti, alla mia famiglia, ai detenuti: quando sarò libero vorrò lavorare per loro”. Cinema: “Come il vento” di Marco Simon Puccioni, la storia di Armida Miserere di Maria Pia Fusco La Repubblica, 6 aprile 2013 “Ho un nome e due tragedie”, ironizzava su se stessa Armida Miserere, una delle prime donne direttrici di carcere, che dalla metà degli Ottanta ha lavorato per vent’anni negli istituti di varie città, tra le quali Parma, dove ha cominciato la sua carriera a 28 anni, Voghera, luogo di detenzione di terroriste “irriducibili”, Pianosa che ospitava boss mafiosi, Palermo all’Ucciardone, Torino alle Vallette, Lodi, San Vittore, infine Sulmona, dove il 19 aprile 2003 è morta suicida a 47 anni. Alla sua vita intensa e difficile è dedicato il film Come il vento, prodotto da Interfilm con Rai Ci-nema e la collaborazione di varie Film Commission regionali. La protagonista è Valeria Golino, regista Marco Simon Puccioni. “Stavo lavorando ad un progetto sulla Costituzione, sugli articoli riguardanti le prigioni e il tema del rapporto tra punizione e riabilitazione e mi sono ricordato di Armida Miserere, la notizia della sua morte mi aveva molto colpito. Ho scritto la prima versione della sceneggiatura con Heidrun Schleef nel 2008. Ci sono voluti anni per mettere insieme i finanziamenti”, dice. È stato facile trovare la documentazione? “Le cronache si sono occupate spesso di lei, soprattutto quando si offrì di andare a dirigere l’Ucciardone durante la fase più calda della guerra tra Stato e mafia. Poi è tornata in primo piano nel 1990 quando il suo compagno Umberto Mormile fu ucciso in un agguato della camorra a Milano. Infine il suicidio suscitò molto scalpore. Ma il materiale più interessante per la vita privata l’ho avuto entrando in contatto con il fratello, mi ha consegnato i suoi diari. È venuto fuori un mondo interiore in forte contrasto con l’immagine intransigente e dura dell’esterno e una fragilità profonda, insospettabile”. Che arco di tempo copre il film? “Ho concentrato il racconto da pochi mesi prima della morte di Umberto Mormile fino al suicidio, nel 2003. Il 19 aprile di quell’anno era il Venerdì Santo, Armida si uccise mentre la processione attraversava le strade di Sulmona, e non credo che la sua scelta fosse casuale. Aveva scritto una lettera, aveva preparato gli abiti da indossare, secondo me aveva il gusto del teatro”. Nel suo film si intuiscono le ragioni del suicidio? “Provo a disegnare un percorso, è difficile dare una motivazione precisa, non c’è mai un motivo solo e per lei non è un momento, è un atto pianificato. Nel diario dice di averci provato altre volte”. Come ha scelto Valeria Golino? “Ho pensato a lei scrivendo la sceneggiatura. Valeria arricchisce Armida di un’umanità particolare. Sono molto contento del cast. Filippo Timi è Umberto, Chiara Caselli e Francesco Scianna sono gli amici dell’infanzia nel paese del Molise di cui era originaria la sua famiglia”. Ha avuto problemi per le riprese nelle carceri? “Non è stato facilissimo. Armida Miserere è ancora una figura molto rispettata, ma su di lei resta come un’ombra la scelta del suicidio”. Immigrazione: Garante detenuti Lazio; in Cie di Gorizia gravi violazioni principi umanità Tm News, 6 aprile 2013 Ospiti costretti a dormire per mesi sulle reti o in terra, senza materassi e lenzuola; visite dall’esterno limitate ai parenti degli immigrati ed ingresso precluso alle associazioni di volontariato e agli avvocati, tranne a quelli di fiducia degli ospiti. Queste sono solo alcune delle condizioni-limite che si sarebbero verificate nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca e che hanno indotto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni a scrivere al Ministero dell’Interno ed al Prefetto di Gorizia sollecitando l’urgente verifica di tali situazioni. Ad originare la lettera una segnalazione telefonica giunta, all’Ufficio del Garante, da uno degli ospiti ristretti da 5 mesi al Cie di Gradisca-Gorizia, dove sono presenti circa 80 persone tutte trattenute per effetto di provvedimenti amministrativo, senza aver commesso reati. Il Cie di Gradisca è stato, in passato, più volte teatro di rivolte, episodi di tensione e tentativi di fuga. In base alla denuncia ricevuta risulterebbe che nel Cie di Gradisca-Gorizia siano presenti diverse criticità. Nella struttura non esisterebbero spazi ricreativi; gli ospiti hanno a disposizione solo un campo di calcio, del quale possono usufruire solo in caso di “buona condotta”. Mancherebbe un protocollo di idoneità alla permanenza, attraverso cui valutare le persone in ingresso. Tutto è a discrezione degli operatori sanitari e risponde ai loro criteri di arbitrarietà. Sarebbe assente anche il regolamento interno, o almeno gli ospiti non possono visionarlo. Non sarebbe presente neanche il servizio di assistenza legale: i soli avvocati autorizzati all’ingresso sono quelli di fiducia dei presenti. Gli ospiti non possono avere cellulari (a differenza di quanto accade negli altri Cie) e, a seguito della rivolta del febbraio 2011, per molti mesi sarebbero stati eliminati materassi e lenzuola dai dormitori, con le persone presenti che hanno dormito sulle strutture nude dei letti o a terra. Le visite dall’esterno sono autorizzate solo per chi ha la possibilità di certificare il legame di parentela con l’ospite. Anche le associazioni di volontariato ed i soggetti esterni, prima autorizzati all’ingresso, da mesi non avrebbero possibilità di effettuare colloqui. Grazie ad un accordo istituzionale, da anni nella Regione Lazio il Garante dei Detenuti ha infatti estero la propria attività di verifica e tutela dei diritti delle persone sottoposte a limitazioni delle libertà personali anche al Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. “Frequentando da anni il Cie di Ponte Galeria - ha detto il Garante Angiolo Marroni - è possibile constatare l’evidente differenza di trattamento praticato in questa struttura gestita dalla cooperativa sociale Auxilium in collaborazione con le autorità di polizia e quella così negativamente rappresentata nel CIE di Gradisca”. Per questi motivi, nella sua lettera - inviata al Capo Dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno Angela Pria, e al Prefetto di Gorizia Maria Augusta Marrosu - il Garante ha invitato le istituzioni ad “accertare la veridicità delle informazioni riferite che, se reali, sono inaccettabili e violano ogni principio di umanità e rispetto per la persona”. “La drammatica crisi economica ed istituzionale del Paese - ha detto il Garante Angiolo Marroni - ha relegato in secondo piano le problematiche dell’immigrazione. In tutta Italia migliaia di persone provenienti da altri Paesi vivono quotidianamente una situazione da tortura psicologica, all’interno di strutture come i Cie trasformati in vere e proprie carceri con, paradossalmente, addirittura meno diritti di quelli che sono garantiti a chi si trova negli Istituti di reclusione”. India: protesta davanti a Parlamento contro pena di morte da parte di un gruppo di Sikh Tm News, 6 aprile 2013 Un gruppo di Sikh ha organizzato questa mattina una protesta davanti al Parlamento indiano per chiedere l’abolizione della pena di morte nel Paese. In particolare i manifestanti - riporta la Bbc - contestano la condanna a morte contro quattro membri dell’organizzazione Kersi Lehar, considerata uno strumento di oppressione contro la minoranza sikh. Le esecuzioni capitali, pur compatibili con la costituzione, sono piuttosto rare in India, dove però centinaia di detenuti son reclusi nei corridoi della morte. L’ultima esecuzione capitale è stata eseguita nel 2004. I sikh sono i devoti del Guru Granth Sahib e vivono principalmente nel Punjab, nord dell’India, per il quale chiedono maggiore autonomia.