Giustizia: il sovraffollamento carcerario in Italia; la ricerca dell’Istituto Cattaneo dal Garante dei diritti dei detenuti dell’Emilia Romagna, Desi Bruno Ristretti Orizzonti, 5 aprile 2013 La ricerca condotta dall’Istituto Cattaneo individua, dal punto di vista descrittivo, alcuni punti fermi di indubbio interesse. Questa, in estrema sintesi, la tesi di fondo: in Italia il sovraffollamento carcerario ha raggiunto da tempo dimensioni critiche. Ogni 100 posti disponibili in base alla capienza regolamentare, ci sono mediamente 140 detenuti, ma in alcuni istituti il “tasso di densità carceraria” supera quota 300. L’Emilia-Romagna, con la Casa Circondariale Dozza di Bologna, nel 2011 si attestava al 7° posto delle strutture più sovraffollate, con 235 detenuti ogni 100 posti disponibili (ma il dato aggiornato al 31.12.2012 registra una presenza inferiore, pari a 924 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 497). La situazione italiana viene comparativamente messa in relazione a quella di altri Paesi: Francia, Spagna, Regno Unito, Germania. Nessuno di questi Paesi presenta livelli di sovraffollamento analoghi al nostro e, soprattutto, in nessuno di questi Paesi il sovraffollamento è cresciuto sensibilmente dall’inizio di questo secolo, come invece è avvenuto in Italia. Soprattutto, il sovraffollamento non è cresciuto nemmeno in quei Paesi (come la Spagna) in cui il tasso di detenzione - ovvero il numero di detenuti rapportato alla popolazione - è aumentato, anche sensibilmente. Dall’analisi di questi dati, l’Istituto Cattaneo conclude così: la crescita del sovraffollamento non è dipesa dall’aumento dei tassi di detenzione. Conseguentemente, provvedimenti straordinari di riduzione della popolazione detenuta non sono destinati a produrre effetti rilevanti nella soluzione del problema del sovraffollamento, ma possono apprezzarsi solo nel breve periodo. Da questo punto di vista, l’indulto del 2006 rappresenterebbe un caso emblematico perché ha avuto come effetto immediato la riduzione drastica del sovraffollamento, ma “l’effetto dell’indulto è durato pochi mesi, se si tiene conto della sua capacità di ridurre il numero di detenuti, due anni se si considera, invece, la sua capacità di mantenere livelli di sovraffollamento inferiori a quelli di partenza. In ogni caso un risultato modesto”. Alcune osservazioni. In Italia, tradizionalmente il momento dell’esecuzione penitenziaria è stato gravato dal compito di trovare la soluzione di problemi che non si riesce o non si vuole veramente risolvere “a monte”: attraverso la “perenne riforma” dell’Ordinamento Penitenziario, ma anche attraverso un ricorso sistematico ai provvedimenti di clemenza. Dall’unificazione italiana fino a al 1992 (anno in cui una legge costituzionale ha imposto una diversa maggioranza qualificata all’approvazione delle leggi di indulto e amnistia), mediamente ogni 3 anni il sistema politico ha provveduto ad utilizzare lo strumento dei provvedimenti clemenziali per alleggerire il peso insostenibile che rischiava di mettere in serio pericolo il governo del carcere. Perché - e questo è un punto estremamente importante - se il carcere non regge più, è lo stesso sistema complessivo della giustizia penale che precipita. Ecco perché oggi è importante tenere alta l’attenzione sulla necessità di ricorrere ad un provvedimento di clemenza: che sicuramente non risolverebbe il problema “a monte”, ma consentirebbe - quantomeno - di rispondere a esigenze di drammatica urgenza. D’altra parte, dobbiamo coraggiosamente confrontarci con il dato di fatto per cui, oggi, il carcere è l’unica istituzione che non può “selezionare” in alcun modo la propria clientela. In Italia, le porte del carcere sono sempre aperte, anche quando non c’è lo spazio fisico per contenere più nessuno. Esistono Paesi (come l’Olanda) in cui ogni anno viene determinata la capienza carceraria che consente di garantire standard adeguati di vita e di trattamento e da quella non si scappa perché le competenti autorità giurisdizionali devono poi orientare il loro potere discrezionale nel senso di non punire con la pena detentiva di più di quanto può essere sopportato dal sistema penitenziario. Ma questo è possibile solo all’interno di sistemi penali in cui l’azione penale è facoltativa e in cui il giudice del fatto ha un potere discrezionale particolarmente ampio nella individuazione della sanzione e nella commisurazione della pena detentiva stessa. In Italia la legge non lo consente. Di conseguenza, il nostro Paese ha sempre cercato di contenere il problema, come si diceva, intervenendo sui “sintomi”, nel tentativo quantomeno di anestetizzarli. Tuttavia, come la ricerca dell’Istituto Cattaneo mostra, il livello di guardia è stato superato e doverosa è la constatazione dell’insufficienza dei rimedi messi in campo (finanziamenti straordinari per l’edilizia penitenziaria, creazione di benefici penitenziari di durata temporanea per consentire la fuoriuscita dal carcere a persone con residui pena tutto sommato di scarsa entità). Vale la pena di ricordare che, nell’attesa che il legislatore decida di prendere risolutamente a mano la questione, qualcosa si è mosso e, non è a caso, proviene dalla Magistratura di Sorveglianza. Recentemente, infatti, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 c.p., nella parte in cui la norma non prevede, tra le ipotesi di differimento facoltativo della pena, il caso in cui questa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità. Una soluzione che con scarse possibilità sarà accolta dalla Consulta: ma che testimonia il (disperato?) tentativo di “fare qualcosa”. Ancora. L’analisi dell’Istituto Cattaneo si ferma ad un livello descrittivo e, rimanendo ancorata a quello, non sembra suggerire risposte praticabili. A dire il vero, già sappiamo che i modelli esplicativi dei processi di carcerizzazione ruotano intorno a due macro-ipotesi: quella che attribuisce un peso determinante a fattori strutturali prevalentemente di natura economica e sociale (lo stato del mercato del lavoro) e quella che riconosce invece un ruolo decisivo alle scelte politiche (sia propriamente criminali che non). Ma questa spiegazione necessita di ulteriori approfondimenti, se si vuole incidere davvero sul “diritto penale della prigione”. Giustizia: Sinistra Ecologia Libertà; domani nostri parlamentari visitano carceri italiane Agenparl, 5 aprile 2013 Domani sabato 6 aprile 2013 i parlamentari di Sinistra Ecologia Libertà saranno impegnati in una ricognizione sulle condizioni di vita all’interno degli Istituti di pena e degli ospedali Psichiatrici Giudiziari del nostro Paese. Lo annuncia un comunicato dell’ufficio stampa del partito. I parlamenta ri di Sel - prosegue la nota - entreranno negli istituti penitenziari del loro territorio con l’intento di verificare le condizioni di detenzione delle migliaia di detenuti attualmente ospitati nei nostri istituti di pena. La popolazione detenuta è enormemente crescita negli ultimi anni anche per provvedimenti legislativi sbagliati. Il sovraffollamento, le condizioni di vita degradanti, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - e la mancata attuazione delle regole penitenziarie europee, su cui recentemente la Corte Europea ha condannato l’Italia, dimostrano come lo Stato italiano non riesca ad attuare l’articolo 27 della Costituzione, e il concetto della rieducazione del detenuto sia ben lontano dall’essere attuato. Occorre limitare il flusso in entrata, favorendo al contempo, nei limiti della legge, il deflusso. I diritti fondamentali dell’individuo vanno sempre garantiti, anche con interventi di edilizia carceraria affinché le strutture detentive siano idonee ad assicurare il rispetto della dignità umana. Si deve giungere alla cancellazione delle leggi di segregazione, dalla Bossi-Fini, alla Fini-Giovanardi, alla ex Cirielli. Intendiamo applicare - conclude Sel - la logica del diritto penale minimo che ha ispirato tutte le migliori proposte di riforma del codice penale, ancora in attesa di trasformazione in legge. Per questo bisogna potenziare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, sia nella fase ultima del trattamento, al fine di favorire il reinserimento nella società, sia ab origine per i reati meno gravi. La stessa intenzione deve pervadere la indispensabile riforma delle misure di custodia cautelare, vera e propria sciagura del nostro sistema che viene a privare la persona dei diritti fondamentali e della stessa dignità personale trattenendo il detenuto oltre il tempo ragionevole alle esigenze cautelari. Zan (Sel): affrontare subito emergenza “Bisogna affrontare con urgenza quella che ormai è una vera e propria emergenza, denunciata da più parti e anche da organismi internazionali. Il sovraffollamento delle carceri italiane e le difficili condizioni in cui sono costretti a sopravvivere i detenuti è una questione che deve essere posta al centro dell’azione politica e di governo. In questo quadro rientra anche la difficile condizione di vita dei detenuti a Padova del Due Palazzi e del Carcere Circondariale, che soffrono di un forte sovraffollamento. Per questo domani alle ore 10.00 nell’ambito di un’iniziativa nazionale di Sel, mi recherò in visita al Due Palazzi insieme con Marina Mancin, consigliere comunale di Padova di Sel. Oltre ai detenuti incontreremo anche il direttore del carcere Salvatore Pirruccio”. Così in una nota Alessandro Zan, deputato Sel. Giustizia: Gozi (Pd), proposta legge per amnistia e indulto Agi, 5 aprile 2013 Una proposta di legge che preveda la concessione dell’amnistia e dell’indulto per alcune tipologie di reati per “rispondere allo stato di flagranza criminale della Repubblica italiana” sulle condizioni di vita nelle carceri. L’iniziativa porta la firma del deputato del Pd, Sandro Gozi, che ha visitato l’istituto penitenziario di Poggioreale a Napoli. La proposta di legge - che replica quella presentata dai senatori Luigi Compagna (Pdl) e Luigi Manconi (Pd) nella scorsa legislatura - prevede l’amnistia per i reati commessi “entro il 14 marzo 2013, per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore ai 4 anni o una pena pecuniaria sola o congiunta a quella detentiva”, provvedimento che rappresenta “un primo tassello di una riforma della giustizia che è urgente”. Il deputato Democratico ritiene infatti necessario intervenire anche sulle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini, che “sono da abolire” e sulla custodia cautelare, che “viene ormai utilizzata come forma di detenzione preventiva. Da noi la media dei detenuti in attesa di giudizio è del 40% - fa notare - a fronte del 20-25% degli Stati europei”. Orlando (Pd): depositata proposta su emergenza carceraria Il Pd ha depositato oggi a Montecitorio “una proposta di legge che affronta l’emergenza carceraria e ripropone il testo già approvato nella fase finale della scorsa legislatura alla Camera”. Lo dice Andrea Orlando responsabile Giustizia del Partito democratico che chiede che della proposta si occupi la Commissione speciale. Il Partito Democratico, aggiunge Orlando, chiederà “il suo esame da parte della commissione speciale e una rapida approvazione dell’Aula. Le condizioni delle carceri italiane esigono un’immediata azione da parte della istituzioni”. Il provvedimento varato dalla Camera nella scorsa legislatura prevedeva tra l’altro, il rilancio pene alternative e una misura che introduce l’istituto della messa alla prova che esiste già nel diritto minorile. Giustizia: Caso Uva; denunciati l’autore e il regista del docu-film “Nei secoli fedele” Provincia di Varese, 5 aprile 2013 Caso Uva: dopo la denuncia a carico anche del regista e dell’autore del film-doc “Nei secoli fedele - il caso Uva”, arriva la replica di Adriano Chiarelli. Chiarelli, autore della pellicola diretta da Francesco Menghini presentata a Varese nel dicembre scorso, spiega: “La notizia non ci sorprende, vista la piega che stanno prendendo gli eventi. A finire sul banco degli imputati, ancora una volta, saranno coloro che si battono in difesa della giustizia e della legalità, e non i diretti interessati. È accaduto con Patrizia Moretti, sta accadendo con Lucia Uva e di conseguenza con noi”. Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva morto nel giugno 2008 all’ospedale di Circolo di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri, aver trascorso parte della notte in caserma a Varese e essere infine stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, da anni accusa le forze dell’ordine di aver picchiato il fratello sino ad averlo ucciso. La procura ha indagato e mandato a processo con l’accusa di omicidio colposo i tre medici che ebbero in carico Uva durante la sua permanenza al Circolo; sul fatto è stata aperta un’inchiesta bis scaturita dalla denuncia presentata dalla sorella conclusasi nei giorni scorsi. Dopo aver depositato l’avviso di conclusione indagini la procura ha indagato Lucia Uva per diffamazione a causa di un’intervista rilasciata a Le Iene (con lei denunciati anche giornalista autore del servizio e il direttore della rete Mediaset), ma a breve la rosa di nomi potrebbe allargarsi andando a comprendere anche Chiarelli e Menghini. “Preciso che il docu-film “Nei secoli Fedele”, altro non è che il resoconto dettagliato di quanto emerso nell’ambito del primo procedimento - spiega Chiarelli. Ogni secondo del film è basato rigorosamente sugli atti processuali. Inoltre, questo docu-film ha anche lo scopo di dare voce a una famiglia che da anni chiede la verità sulla morte del loro congiunto Giuseppe Uva. Ciò in sintonia con quanto espresso anche dal giudice in sede di sentenza”. Nella citata sentenza il giudice estensore sottolinea la necessità di accertare cosa si accaduto durante la permanenza di Uva nella caserma carabinieri di Varese. Chiarelli chiude rivolgendosi direttamente all’autorità giudiziaria: “Siamo disponibili sin da ora a essere interrogati e a mettere a disposizione tutto ciò di cui siamo venuti a conoscenza durante la nostra permanenza a Varese”. Lettera aperta al criminologo con l’amore sociale nel cuore di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 5 aprile 2013 Gentile Professor Nils Christie, non sono sicuro se riuscirò a farle avere questa lettera, se riuscirò a tradurla in inglese e non so neppure se lei mi risponderà, ma ci provo lo stesso perché mi piacciono le imprese impossibili. Innanzitutto mi presento: sono un “uomo ombra”, così si chiamano fra di loro in Italia gli ergastolani ostativi a qualsiasi beneficio penitenziario. Sono un “cattivo e colpevole per sempre” destinato a morire in carcere se al mio posto in cella non ci metto qualcun altro, perché sono condannato alla “Pena di Morte Viva”, infatti in Italia una legge prevede che se non parli e non fai condannare qualcun altro al tuo posto, la tua pena non finirà mai e si esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale. Questa condanna è peggiore, più dolorosa e più lunga, della pena di morte, perché è una pena di morte al rallentatore, che ti ammazza lasciandoti vivo. Professor Nils Christie, un amico sconosciuto, (le amicizie con gli sconosciuti sono le più belle), Tommaso Spazzali, che ha fatto la postfazione al suo libro nella versione italiana, mi ha inviato e donato il suo saggio. L’ho letto in un solo giorno e condivido molto i suoi pensieri e tutto quello che ha scritto. Anch’io penso che la mafia e la criminalità organizzata come tutti i poteri nascono dall’alto e non dal popolo e dai poveracci, ma piuttosto dai potenti e dai ricchi. Poi quando lo Stato-Mafia è in difficoltà manda in catene le persone che ha usato per raggiungere e mantenere il potere. Spesso in Italia sono proprio i mafiosi che urlano di lottare contro la mafia, per far credere che non sono mafiosi. Lo so, non ho prove per dimostrare queste affermazioni, ma io non sono un giudice (e neppure un criminologo) e non ho bisogno di prove perché non devo condannare nessuno, tento solo di pensarla diversamente da come lo Stato-Mafia vuole farmi pensare. Non so cosa accade negli altri Paesi, ma il carcere in Italia non ti vuole solo togliere la libertà, ti vuole anche possedere. Credo che sia impossibile “rieducare” un uomo che ha commesso un crimine se questo non si sente amato e perdonato dalla società. Professor Nils Christie, a questo punto lei si domanderà perché le sto scrivendo. Ebbene, sono tanti anni che lotto contro i mulini a vento, quasi da solo, per l’abolizione dell’ergastolo ostativo in Italia. Leggendo il suo libro mi sono fatto un’ idea della sua coscienza sociale e penso che lei non sia d’accordo che una persona possa essere cattiva e colpevole per sempre e murarla viva fino all’ultimo dei suoi giorni, senza neppure la compassione di ucciderla. Per questo ho pensato di scriverle per chiederle di aiutarmi a fare conoscere all’estero la “Pena di Morte Viva” che esiste in Italia, unico Paese al mondo che se parli esci e se no stai dentro, come nel Medioevo. Se vuole sapere qualcosa di me e dell’ergastolo ostativo, potrà trovare i miei scritti sul sito www.carmelomusumeci.com, curato dalla figlia che il cuore ha adottato e dal mio angelo (anche i diavoli a volte ne hanno uno). Le invio un sorriso fra le sbarre. Il Professore Nils Christie, nato a Oslo nel 1928, docente all’Università di Oslo, uno dei più noti criminologi a livello mondiale, ha avuto la mia lettera e mi ha scritto: Caro Carmelo, innanzitutto grazie per la tua lettera. L’ho ricevuta in un ottimo inglese. Avrei dovuto rispondere molto tempo fa ma ho avuto dei problemi di salute. Ora sto di nuovo bene e mi preparo per un viaggio in Italia. Dunque il sistema ostativo mi pare orribile. Non riesco a capire come può essere in accordo con le norme e le regole internazionali. Contatterò degli esperti di diritto internazionale e chiederò, poi cercherò di farti avere la loro risposta. Certamente parlerò di questo durante il mio viaggio in Italia. Indipendentemente da quanto gli esperti possono dire, io voglio dire da uomo normale che questo sistema, per come l’hai descritto, è in contrasto con le regole dei rapporti che le persone normali hanno. Se capisco bene ciò che dici, il sistema ti chiede di dare informazioni su una altra persona, spesso un amico, per avere dei benefici. Nelle torture delle dittature questo sistema è talvolta usato perché uno denunci un altro. Il sistema di cui ho sentito in Italia è come una tortura. Ho risposto al Professor Nils Cristie: Le sue parole sono state per me come gocce di vita perché lei mi ha confermato che è moralmente sbagliato il ricatto della delazione in cambio di benefici: scambiare qualcosa o qualcuno per tornare in libertà. Penso che bisognerebbe uscire dal carcere perché uno lo merita e non certo perché si usa la giustizia per uscire dalla prigione. Spero con e di cuore di poterla incontrare in carcere nella Redazione di “Ristretti Orizzonti”. A parte documentarla dell’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva”, ci terrei a parlarle del rivoluzionario e illuminante progetto “Scuola Carcere” dove i cattivi educano al bene i ragazzi. Questo progetto è stato creato e pensato dalla giornalista, e direttrice storica di “Ristretti Orizzonti”, Ornella Favero. A mio parere sarebbe un’iniziativa da esportare in tutto il mondo per sconfiggere qualsiasi criminalità. Il mio cuore aspetta d’incontrarla. Io pure. Carmelo Emilia Romagna: “Raee in carcere”, seconda vita ai rifiuti. 50 detenuti convolti, 17 assunti Dire, 5 aprile 2013 Sono 17 le persone assunte, 50 quelle coinvolte nel progetto, 1.900 le tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici recuperati. L’8 aprile nella sede della regione Emilia-Romagna l’inaugurazione. Tv dismesse, monitor in disuso, grandi e piccoli elettrodomestici. Sono rifiuti. Ma grazie al progetto “Raee in carcere” scoprono una nuova vita attraverso il riciclo, il recupero o la realizzazione di sculture, complementi di arredo e monili. Pezzi unici che saranno esposti nella mostra “OpeRaee, esercizi artistici di recupero degli apparecchi elettrici ed elettronici” in Regione. Finanziato dalla Regione con il Fondo sociale europeo all’interno dell’iniziativa comunitaria “Equal Pegaso”, con numerosi partner (Provveditorato regionale del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Hera, Province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Consorzio Raee Ecodom, Consorzio Raee Ecolight, Cefal Bologna, Enaip Ferrara, Techne scpa Forlì-Cesena), il progetto ha come obiettivo la promozione dell’inclusione socio-lavorativa di persone in esecuzione penale o dimesse dal carcere, inserendole in un processo industriale e formativo nel settore del recupero di Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). In 3 anni sono 17 le persone assunte e una cinquantina quelle coinvolte nel disassemblaggio dei rifiuti (provenienti dalle isole ecologiche). In totale sono circa 1.900 le tonnellate di rifiuti lavorati. “La mostra evidenzia la peculiarità del progetto e la sua importanza - ha detto Teresa Marzocchi, assessore regionale alle Politiche sociali - aspetti che, in questo momento storico, potrebbero andare incontro a difficoltà per la carenza di commesse di lavoro, a causa delle difficili condizioni economiche con cui tutto il sistema si trova a fare i conti. Ci auguriamo che ciò non accada perché Raee rappresenta una reale possibilità di cambiamento e di ritorno alla normalità per tante persone”. Sono 3 i laboratori Raee attivi dal 2009 all’interno e all’esterno delle carceri di Bologna, Forlì e Ferrara. A bologna da luglio 2009 a febbraio 2013 sono state assunte 6 persone detenute, 12 quelle coinvolte nell’attività, una persona ex detenuta impegnata nel progetto di comunicazione di Raee in carcere per la gestione e l’aggiornamento del sito (www.raeeincarcere.org), 2 i lavoratori accompagnati all’inserimento in imprese nel territorio al termine della pena. Sempre per l’attività nel bolognese ammontano a circa 766 le tonnellate di rifiuti lavorati. Nel laboratorio esterno al carcere di Forlì dall’inizio della sperimentazione (2009) sono state assunte 6 persone detenute, 24 quelle impegnate nel progetto, una persona ex detenuta impegnata nel progetto di comunicazione di “Raee in carcere” per la gestione e l’aggiornamento del sito, 493 le tonnellate di Raee lavorato. A Ferrara il progetto è stato avviato nel 2010 e ha portato all’assunzione di 5 persone detenute (8 quelle impegnate complessivamente), circa 590 le tonnellate di rifiuti trattati. “Non va trascurato l’aspetto ambientale del progetto - ha affermato Sabrina Freda, assessore regionale all’Ambiente - : il recupero di questa tipologia di rifiuti contribuisce a ridurre gli impianti ambientali derivanti dalla loro gestione e di raggiungere gli obiettivi previsti dalla nuova direttiva europea su raccolta, tracciabilità e corretto riciclo dei Raee. Tali obiettivi sono stati, tra l’altro, recepiti nel Documento preliminare al Piano regionale di gestione dei rifiuti approvato di recente dalla giunta regionale che pone tra le priorità la valorizzazione del recupero di materia dai rifiuti”. Le opere esposte in Regione sono state prodotte all’interno dei laboratori di Bologna e Forlì. L’inaugurazione è prevista l’8 aprile dalle 11 alle 13 in viale Aldo Moro, 50. È prevista anche un’esibizione musicale tratta dal progetto “I fiori blu”, percorsi di musica e teatro per persone che accedono alle misure alternative alla detenzione o che hanno terminato di scontare la pena. Alla mostra “OpeRaee” i rifiuti elettronici diventano arte Il recupero dei rifiuti elettronici diventa una mostra. Lunedì 8 aprile alle 11, nella Sala Polivalente della Regione Emilia Romagna a Bologna, inaugura la mostra “OpeRaee, esercizi artistici di recupero degli apparecchi elettrici ed elettronici”, organizzata dal progetto interprovinciale Raee in Carcere con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e dell’Amministra zione penitenziaria regionale, e il supporto del consorzio Ecolight e di Hera Spa. La mostra raccoglie manufatti creativi realizzati all’interno dei laboratori Raee in Carcere di Bologna e Forlì, in collaborazione con l’associazione Recuperiamoci! di Prato, recuperando vecchi elettrodomestici e parti elettroniche ormai inservibili. I laboratori hanno rappresentato per i detenuti un’opportunità per approfondire l’uso dei materiali e delle tecniche artistiche, per incontrare giovani artisti e per riflettere sul tema della creatività e della libertà, anche in rapporto alla detenzione. Durante la cerimonia di inaugurazione è previsto un incontro di approfondimento sul progetto, A seguire, live musicale a cura del Gruppo Elettrogeno: la suite di danze mediorientali con Fabio Tricomi e Sabahi Hassene, tratta dal programma musicale del concerto spettacolo La collina in-cantata (realizzato all’interno del progetto “I fiori Blu”, percorsi di musica e teatro, rivolti a persone che dallo stato di detenzione o dalla libertà accedono alle misure alternative alla detenzione). Alla presentazione sono previsti gli interventi di: Gabriella Meo - consigliere segretario dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale dell’Emili a Romagna; Sabrina Freda - assessore regionale all’Ambiente Emilia Romagna; Teresa Marzocchi - assessore regionale alle Politiche Sociali Emilia Romagna; Desi Bruno - garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale; Pietro Buffa - provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia Romagna; Giancarlo Dezio - direttore generale consorzio Ecolight; Tiziano Mazzoni - direttore Servizi ambientali Hera Spa; Manuela Raganini - presidente cooperativa sociale Gulliver, Forlì; Flavio Venturi - direttore Cefal Bologna; Paolo Massenzi - presidente associazione Recuperiamoci! Coordina: Lia Benvenuti - direttore Techne Forlì-Cesena. La mostra è allestita dall’8 al 22 aprile con apertura dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 17. Ingresso libero. Il progetto Raee in Carcere nasce nel 2005 dalla collaborazione di Hera con i consorzi Ecolight, Ecodom, le cooperative sociali It2, Gulliver e Il Germoglio e le direzioni delle carceri di Bologna, Forlì e Ferrara con l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale e lavorativa di detenuti o reduci dal carcere, inserendoli in un processo industriale nel settore del recupero dei Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) gettando le basi per il reinserimento nella vita lavorativa e nella legalità. Ecolight - Costituito nel 2004, è uno dei maggiori sistemi collettivi per la gestione dei Raee, delle Pile e degli Accumulatori. Il consorzio Ecolight, che raccoglie oltre 1.500 aziende, è il secondo a livello nazionale per quantità di immesso e il primo per numero di consorziati. È stato inoltre il primo sistema collettivo in Italia ad avere le certificazioni di qualità Iso 9001 e Iso 14001. È punto di riferimento per la grande distribuzione (Gdo) e tratta tutte le tipologie di Raee. Lo rende noto Ecolight. Liguria: l’Assessore Rambaudi, 250 mila euro per progetti reinserimento detenuti Agenparl, 5 aprile 2013 Duecento 50mila euro per progetti sociali dentro le carceri realizzati da enti in rete su tutto il territorio regionale. Sono stati stanziati dalla Giunta su proposta dell’assessore al welfare, Lorena Rambaudi. Il finanziamento dovrà servire a migliorare la qualità della vita in carcere, favorendo il reinserimento lavorativo. “Si tratta di un percorso di co-progettazione - ha spiegato Rambaudi - realizzato da 32 enti in rete su tutto il territorio regionale, senza finalità di profitto, condiviso con gli uffici del Ministero della Giustizia”. Le domande di partecipazione dovranno essere presentate entro il 30 aprile. E una volta selezionati, i soggetti interessati entreranno a far parte dell’associazione temporanea di scopo “la rete che unisce” per dar vita alle iniziative. Pordenone: detenuto denuncia “troppi in cella, dormivo a terra”, ma il direttore smentisce Il Gazzettino, 5 aprile 2013 Cinquant’anni, friulano, in cella dal 2011 per una lite finita male, ha denunciato alla Corte europea dei diritti dell’uomo il sovraffollamento e le condizioni di invivibilità del carcere di Pordenone. A Strasburgo la segnalazione è già stata presa in considerazione, anzi, al legale che sta seguendo il caso, l’avvocato Quinto Ioncoli, è stata chiesta ulteriore documentazione a supporto di quanto contenuto nella lettera. Il detenuto si è mosso in seguito alla sentenza che ha riconosciuto al bosniaco Izet Sulejmanovic un risarcimento di mille euro perché ritenuto vittima di “trattamenti inumani e degradanti”. Tra il 2002 e il 2003, per cinque mesi, aveva condiviso una cella di 16,20 metri quadrati con altre cinque persone, vivendo oltre 18 ore al giorno in una superficie di 2,7 metri quadri. Il detenuto friulano, ora rinchiuso nel carcere di Belluno, leggendo la notizia sui giornali ha deciso di agire. Oltre a far presente i suoi problemi di salute, sostiene di essere stato in una cella di 4 metri quadrati per 4 con altre 9 persone, in uno “spazio vitale di 1,80 metri quadrati per detenuto” per circa 15 mesi. Ha anche denunciato di aver dormito “su un materassino adagiato per terra” perché non c’erano più brande disponibili, senza poter “riposare dalle 7.30 alle 21”, altrimenti il suo giaciglio avrebbe impedito l’accesso ai servizi igienici. Il direttore della casa circondariale Alberto Quagliotto conferma che nella primavera del 2011, quando l’uomo fu rinchiuso nel Castello di Pordenone, la situazione era tragica. Nella struttura - una capienza di 68 persone - c’erano 90 detenuti. Troppi. Secondo il direttore, non bisognerebbe superare i 70/75. Ieri erano però 80. E la settimana scorsa 82. “Le condizioni di disagio sono note - spiega. Stiamo molto attenti a non scendere sotto i 3 metri quadrati di spazio per detenuto, così da mantenere i parametri minimi”. Conferma che il detenuto che si è rivolto a Strasburgo in quel periodo era in una sezione sovraffollata. Ma nega che abbia dormito su un materassino per terra. “Non li abbiamo mai messi - spiega. Lo escludo. Può aver dormito in una branda sistemata tra i letti a castello, questo sì, ma mai su un materasso a terra”. Napoli: Gozi (Pd); nel carcere di Poggioreale ho visto una situazione di illegalità Agi, 5 aprile 2013 Una situazione di “illegalità”, confermata anche dalle “sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ci ha più volte condannati e continuerà a farlo se le cose non cambieranno”. Queste le prime parole del deputato del Pd, Sandro Gozi, che questa mattina ha visitato il carcere di Poggioreale a Napoli insieme con il segretario dell’Associazione radicale Certi Diritti, Yuri Guaiana, e con il tesoriere dell’Associazione radicale per la Grande Napoli, Roberto Gaudioso. Gozi ricorda il “triste record europeo” dell’istituto penitenziario, che è “il più affollato d’Europa, con una popolazione di 2.700 detenuti a fronte dei 1.600 previsti dal regolamento”. I principali disagi riscontrati riguardano il sovraffollamento delle celle, che “in alcuni casi ospitano otto o dieci persone, soprattutto nel padiglione Napoli”, e lo scarsissimo livello di informazione dei detenuti in merito alle terapie. “Chi ha problemi cardiaci - spiega Gozi - spesso non sa quando potrà essere operato o ricevere le terapie appropriate”. Oltre alla “file chilometriche dei familiari durante le ore di visita”, c’è un altro aspetto che “rasenta il ridicolo se non fosse drammatico”, ovvero la totale insufficienza del trattamento psicologico. “Dovrebbero essere garantite 60-70 ore mensili di assistenza - fa notare - mentre ne sono previste solo 13 per tutti i 2.700 detenuti”. In questo contesto, risultano particolarmente svantaggiate alcune categorie, come gli omosessuali o gli extracomunitari di religioni diverse da quella cattolica, soprattutto musulmani, che rappresentano il 15% della popolazione carceraria. “È inaccettabile che questi ultimi non abbiano un luogo dove pregare”, per Gaudioso. Non va meglio ai detenuti omosessuali, fa notare Guaiana, che “per i colloqui psicologici hanno a disposizione solo volontari di associazioni cattoliche” e che “sono alle prese anche con un problema di integrazione. Si sta cercando di intervenire sistemando nelle stesse celle i transessuali della stessa nazionalità”. Teramo: ucciso in cella da un edema, poteva essere salvato… le accuse in un dossier Il Centro, 5 aprile 2013 È stato un edema polmonare acuto causato da probabili scompensi cardiaci a provocare la morte di Vincenzo Fabiano, il detenuto 35enne pescarese rinchiuso nel carcere di Castrogno e morto martedì pomeriggio nella sua cella. Lo ha stabilito l’autopsia eseguita ieri mattina dall’anatomopatologo Gina Quaglione che nelle prossime ore rimetterà un primo rapporto sul tavolo del pm Stefano Giovagnoni, che sul caso ha aperto un’inchiesta. Secondo i familiari dell’uomo le precarie condizioni del giovane, che sarebbero state attestate da numerosi certificati, imponevano da tempo il ricovero in una struttura sanitaria. Ed è stata la famiglia rendere pubblici mettendoli a disposizione dei Radicali, intervenuti sulla questione, alcuni documenti dell’Inps in cui si parla delle gravi condizioni di salute dell’uomo “affetto da epilessia in terapia farmacologica, epatite cronica, sindrome ansiosa depressiva”. Alessio Di Carlo, dei radicali abruzzesi, auspica “un immediato intervento dell’autorità giudiziaria per far luce su una morte che, alla luce dei documenti, non può più essere considerata una tragica fatalità”. Teramo: “corso di cucina riparte”, LeaderCoop risponde a lettera-denuncia delle detenute Il Centro, 5 aprile 2013 Il corso di cucina per le detenute del carcere di Teramo è “temporaneamente sospeso, data la complessità del progetto formativo”. È quanto si legge in una nota della LeaderCoop Formazione Sri, l’agenzia formativa che si occupa di fornire strumenti e competenze per l’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Una precisazione in risposta alla lettera-sfogo delle detenute del carcere di Castrogno che temono che il progetto non riparta. “Il corso - si legge ancora nella nota - è stato temporaneamente sospeso per affrontare alcune problematiche di carattere pratico organizzativo sopraggiunte e non riconducibili al partenariato. Le stesse tematiche si stanno affrontando in collaborazione con il Prap e i competenti uffici della Regione Abruzzo”. Il corso di cucina è stato avviato in un percorso di inclusione sociale attraverso un bando della Regione Abruzzo con fondi Fse. “Si comprende ampiamente il disorientamento delle detenute - si legge ancora - che con motivazione hanno iniziato il percorso, ma sono già state messe in campo opportune azioni per una tempestiva ed efficace ripresa delle attività. In particolare era già stato programmato e annunciato il riavvio del corso per il 18 di aprile. Alcuna somma è stata a ora né richiesta né erogata, neanche per le attività già svolte. Si ribadisce - conclude la LeaderCoop - che le attività di progetto, che riguardano una più ampia e complessa azione territoriale, pur nelle difficoltà riscontrate a vari livelli, non sono mai state interrotte”. Cagliari: Sdr; domani raccolta firme per “Tre proposte di legge di iniziativa popolare” Agenparl, 5 aprile 2013 Raccolta di firme in piazza “Aldo Scardella” domani a Cagliari. L’ha promossa l’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, nell’ambito della campagna voluta da numerose associazioni ed enti a sostegno delle tre proposte di legge di iniziativa popolare contro la tortura, la legge sulle droghe e per la legalità nelle carceri. I volontari di Sdr, che incontreranno i cittadini per illustrare le ragioni del progetto, saranno impegnati a partire dalle 16.30 per contribuire al raggiungimento delle 50 mila sottoscrizioni necessarie per presentare al Parlamento le iniziative normative. “Abbiamo individuato nella piazza dedicata ad Aldo Scardella, morto suicida innocente in carcere, il luogo simbolo per sottolineare - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr - la necessità di restituire dignità al sistema giudiziario e rendere gli Istituti Penitenziari reali spazi di riabilitazione sociale. Richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su alcune leggi, come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli, significa promuovere una riflessione meno fugace sulle cause che limitano e condizionano negativamente il sistema detentivo impedendogli di rispettare i dettami della Costituzione”. Il primo resoconto della raccolta, insieme alle altre organizzazioni, avverrà pubblicamente davanti al Tribunale di Cagliari il prossimo 9 aprile quando nell’intera giornata sarà possibile firmare. Ferrara: poliziotti condannati per Aldrovandi; capiamo madre, ma non meritiamo carcere di Luigi Spezia La Repubblica, 5 aprile 2013 Nella cella dove scontano la pena: “Nessuno di noi voleva ucciderlo. Siamo uomini dello Stato. Rispettiamo le sentenze, ma vorremmo che la legge venisse applicata anche per le garanzie che dà. Il nostro un reato colposo non volontario”. “Siamo uomini dello Stato. Accettiamo le decisioni prese, le sentenze. Ma vorremmo che la legge venisse applicata anche per le garanzie che dà. Pensavamo che venissero applicate le misure alternative e invece ci troviamo qua dentro, per un reato colposo. Non comprendiamo perché. Non meritiamo il carcere”. Periferia di Ferrara, via dell’Arginone, ore dodici. In una stanza disadorna, di tre metri per tre e forse nemmeno, c’è un vassoio su un tavolino. Un piatto di pasta, una bistecca. Attorno al tavolino, nel poco spazio rimasto, ci sono due uomini quasi sull’attenti che parlano con il consigliere regionale del Pdl Galeazzo Bignami in visita al carcere. Si dimenticano del pasto e rimangono in piedi per tutto il tempo. Sono Paolo Forlani e Luca Pollastri, due dei quattro agenti che hanno provocato la morte di Federico Aldrovandi. Sono rimasti solo loro due, dentro questo carcere. L’unica donna della squadra, la poliziotta Monica Segatto, ha ottenuto gli arresti domiciliari dal tribunale di Padova e si trova a casa sua a Verona. Il quarto agente, Enzo Pontani, è stato appena trasferito al carcere di Milano e i due colleghi sono preoccupati: “Lui non ci ha detto nulla, quindi l’hanno deciso a sorpresa. Non vorremmo che trasferissero anche noi. Qui, almeno, le nostre famiglie sono vicine”. Hanno anche subito un altro colpo: è di pochi giorni fa la decisione del giudice di Bologna che ha rigettato la loro richiesta di andare ai domiciliari in base al decreto svuota-carceri “perché non hanno ancora compreso la gravità delle loro azioni”. Pescara: poesie dal carcere, una detenuta di Teramo vince il contest letterario Il Centro, 5 aprile 2013 Stefania Morosini conquista con la poesia “Le trincee degli stupidi” il premio della giuria popolare e la menzione di merito. Domenica alle 16 all’Aurum la cerimonia di chiusura. Dopo quasi un anno di lavoro giunge al termine la prima edizione del Premio nazionale di poesia “Alda Merini, a tutte le donne”, organizzata dall’associazione di volontariato Donna Cultura di Spoltore, la cui presidente, Veruska Caprarese, con profonda tenacia ha ampliato prospettiva e risalto, facendo risuonare il nome di questo neonato premio in tutta Italia. La cerimonia di chiusura si svolgerà domenica prossima, 7 aprile, ma già oggi c’è un vincitore: è Stefania Morosini, detenuta nel carcere di Teramo, ed è la vincitrice del contest letterario collegato ai laboratori di scrittura organizzati negli istituti di pena abruzzesi e allo speciale realizzato sul Centro.it. La sua poesia “Le trincee degli stupidi” sarà premiata domenica alle ore 16 nella prestigiosa sala Flaiano del complesso Aurum, in largo Gardone Riviera a Pescara. All’evento parteciperanno i finalisti delle tre categorie previste dal bando: la sezione A dedicata alla poesia edita e inedita, la sezione B “In volo per la libertà” riservata ai detenuti delle case circondariali abruzzesi e vinta dalla detenuta nel carcere teramano, infine la sezione C “Aquiloni”, riservata agli studenti delle scuole primarie di Pescara. Una vera e propria festa che coinvolgerà tutti i protagonisti di un periodo denso di incontri, dibattiti e soprattutto volontariato all’interno dei carceri di Chieti, Teramo e Pescara, da parte di artisti che in tale circostanza vestiranno i panni di giurati: l’attore Walter Nanni, Roberta Marcantonio, il giornalista Rai Nino Germano, Berenice De Laurentiis, Lea Del Greco, Silvia Napoleone e Angela Di Giuseppe, con la partecipazione speciale della direttrice del carcere di Chieti, dottoressa Giuseppina Ruggero e il direttore del quotidiano Il Centro, Mauro Tedeschini. La votazione dei componimenti delle sezioni A e C è stata affidata alla giuria tecnica, mentre quella relativa alla sezione C è stata curata sia dalla giuria tecnica sia con la modalità di votazione popolare del web contest, accolta sulla piattaforma web del sito del Centro e collegato alla pagina Facebook del Premio, che vanta ormai 1.274 “seguaci”, con un numero in progressivo aumento. Le 52 poesie in gara “In volo per la libertà”, la cui votazione è stata chiusa alle ore 16 di oggi, sono il frutto degli incontri nelle carceri di Madonna del Freddo a Chieti (laboratorio a cura di Federica D’Amato e Franca Minnucci), di Castrogno a Teramo (con l’attrice Silvia Napoleone e il poeta Dante Quaglietta) e infine di San Donato a Pescara, carcere fuori concorso nel quale il 27 marzo si è esibito l’attore di origini abruzzesi Walter Nanni. Ciò che colpisce e induce a riflettere in questi scritti è il contrasto fortissimo tra la loro forma - spesso scoordinata, sgrammaticata, priva di quella ricercatezza tipica dei testi poetici e letterari - e il contenuto, così denso di implicazioni emotive, così disperato, assetato di un tempo perduto e irrecuperabile, quello tragico di una cella dove ogni prospettiva viene a mancare. Incontriamo parole come queste: “Come spiegare alla gente quello che mi viene in mente sotto una doccia bollente quando scoprì che l’acqua della natura è una vera creazione pura. Fredda come gli errori letali..” oppure “È Natale, una tristezza enorme per me, l’anima, la mente, i sentimenti che io provo per i miei otto gioielli e i miei due nipoti è indescrivibile. Per me questa non è vita...”, a seguire “Seduto sulla mia branda, guardo il grigiore che mi circonda; eppure in questo grigiore c’è la prevalsa di me colore. Una specie di arancione, perché tutto è color arancione scaduto, rinchiuso in questo mondo sperduto...”. E ancora: “Io disceso, dal colore dei suoi occhi, lì, limpidi e azzurri. L’acqua del mio cuore che lì una saggia galera, dove potrò spendere tutta la mia vita, costruirmi determinato e pulito. Gioia, con un po’ di questo dolore, che in amore rafforza i nostri cuori...”. Lezioni semplici, quasi tenere nella loro ottusità, ma che ricordano a tutti noi, i liberi forse per sbaglio, quel che scriveva Gramsci a Tatiana dal carcere di Turi, che “la rosa è viva e fiorirà certamente, perché il caldo prepara il gelo e sotto la neve palpitano già le prime violette”. Mantova: tentato furto nel carcere (mai utilizzato) di Revere, condannati fratello e sorella Gazzetta di Mantova, 5 aprile 2013 Avevano già smontato 116 termosifoni installati nelle carceri di Revere. Ed erano pronti a caricarli su due furgoni ma l’arrivo dei carabinieri li ha costretti alla fuga. Nascosti sotto il ponte del canale di bonifica hanno atteso che i militari se ne andassero per tornare sui loro passi. Una pattuglia della stradale li aveva però notati e segnalati alla compagnia di Gonzaga. Dopo poche ore sono stati intercettati e denunciati. Si tratta dei fratelli Michela e Ruber Viviani e della madre Ellera Lucchesi, tutti residenti a Villafranca di Verona. Ieri mattina il processo al termine del quale il giudice ha condannato l’uomo a un anno e sei mesi più quattrocento euro di multa, la sorella a un anno e quattro mesi e quattrocento euro di multa e assolta la madre. Tutto accade alla fine di febbraio di cinque anni fa. Alle 9.30 del mattino un abitante di Revere segnala ai carabinieri che all’interno delle carceri ci sono rumori sospetti. Una pattuglia parte immediatamente e trova al piano terra 54 caloriferi già allineati e pronti per essere caricati, altri 62 al piano superiore. All’interno non c’è anima viva. I tre sono nascosti sotto il ponte di bonifica e i furgoni parcheggiati nel piazzale dell’ospedale. I militari si appostano e aspettano che i tre vengano a riprendersi i mezzi. All’interno vengono trovati numerosi attrezzi per lo scasso. Stati Uniti; l’appello dell’Onu; chiudete il carcere di Guantánamo, viola i diritti La Stampa, 5 aprile 2013 Imbarazzo a Washington dopo l’ultima bacchettata dell’Onu: l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay ha chiesto di nuovo oggi al governo americano di chiudere la base prigione di Guantánamo affermando che il carcere per sospetti terroristi nell’isola di Cuba è “in chiara violazione della legge internazionale”. La Pillay si è detta “profondamente delusa” che l’amministrazione Obama non sia stata capace di chiudere Guantánamo “nonostante i ripetuti impegni presi per farlo”: l’esistenza del carcere cubano, ha detto la commissario Onu “mette gravemente in dubbio la posizione degli Stati Uniti come difensore dei diritti umani e indebolisce il ruolo di Washington quando affronta temi di diritti umani in altre parti del mondo”. Innanzitutto si chiede un primo passo: rilasciare i detenuti che sono stati esonerati dall’aver avuto un ruolo nella guerra al terrorismo. Dei 166 rimasti a Guantánamo metà potrebbero esser già oggi trasferiti nel loro paese e in paesi terzi, ha notato la Pillay: “Altri sarebbero stati individuati per incarcerazione sine die. Alcuni di loro si trovano lì da oltre un decennio”, ha detto l’alto commissario. Solo nove detenuti di Guantánamo sono stati incriminati o condannati da quando il carcere cubano ha aperto i battenti nel gennaio 2002 e di recente il Southern Command, a cui fa capo la base prigione, ha chiesto all’erario 49 milioni di dollari per costruire un nuovo edificio per “prigionieri speciali” in aggiunta alle altre spese di ristrutturazione necessarie dopo che il Congresso ha deciso di tenere aperto il carcere a tempo indeterminato. Di recente 40 detenuti hanno cominciato lo sciopero della fame: alcuni di loro hanno perso tanto peso che le autorità de carcere hanno deciso di alimentarli forzatamente. Lo sciopero della fame “è un atto disperato” ma “scarsamente sorprendente”, ha detto la Pillay: “Dobbiamo esser chiari in questo: gli Stati Uniti sono in una chiara violazione non solo degli impegni presi, ma anche della legge internazionale e degli standard che sono obbligati di rispettare”. Il presidente Barack Obama si era impegnato a chiudere Guantánamo nel primo giorno della sua presidenza ormai oltre quattro anni fa e la Pillay ha dato il benvenuto a una dichiarazione del 27 marzo del suo portavoce che citava le obiezioni del Congresso come primo ostacolo alla chiusura del carcere: “Ciononostante sistematiche violazioni continuano anno dopo anno”, ha detto al Pillay sottolineando che, fino a quando Guantánamo resterà aperto le autorità Usa devono fare il possibile perché i diritti umani vengano osservati. Tibet: secondo dissidente liberato dalle autorità cinesi dopo 17 anni di carcere Ansa, 5 aprile 2013 Le autorità cinesi hanno rilasciato un secondo prigioniero politico tibetano dopo 17 anni di carcere. Lo riferisce Radio Free Asia. Secondo le informazioni disponibili, Dawa Gyaltsen, un uomo di 47 anni, è stato liberato a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute dovute pure alle ripetute torture subite in carcere. Si tratta del secondo caso di questo tipo: solo pochi giorni fa era infatti stato liberato un altro attivista tibetano, Jigme Gyatso, 52 anni. Dawa Gyaltsen, insieme a suo fratello, il monaco Nyima Dhondup e ad altri due monaci, era stato arrestato nel 1995 per aver distribuito documenti politici e per “incitamento alla propaganda rivoluzionaria”. Dawa fu condannato a 18 anni di carcere, suo fratello a 15 e gli altri due monaci ad 8. Jigme Gyatso, dopo 17 anni passati nei campi di lavoro per aver invocato l’indipendenza del Tibet e il ritorno del Dalai Lama, è tornato a casa lo scorso 30 marzo nella contea di Sanchu (Xiahe in cinese) nella provincia del Gansu. Alla famiglia è apparso debole e provato. Diverse organizzazioni che lottano per i diritti umani, inclusa Amnesty International, hanno accusato le autorità cinesi di averlo picchiato e torturato mentre era in carcere.