Giustizia: carceri senza dignità… mentre politica e magistratura litigano di Giovanni Iacomini Il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2013 Il sovraffollamento in carcere è un problema che non può essere risolto, se non temporaneamente, con un provvedimento di clemenza. Riguardo all’indulto del 2006 l’Istituto Cattaneo ha messo in luce, con un ottimo studio comparato corredato di dati statistici e tabelle esplicative, quel che chiunque operi all’interno di un Istituto penitenziario sapeva e sa benissimo: gli effetti riduttivi vengono riassorbiti nel giro di un paio d’anni se il provvedimento non è accompagnato da un ripensamento complessivo e una riforma organica dell’esecuzione della pena. Cioè se non cambiano le norme per via delle quali tanta gente finisce in galera. Giova ripetere una volta di più che nel secondo dopoguerra, nel momento in cui veniva fondata la Repubblica, mancò il coraggio di accantonare definitivamente la legislazione precedente (e tutta la classe dirigente che avrebbe dovuto dare applicazione alla nuova Costituzione). Ancora oggi ci ritroviamo con un Codice civile del ‘42 e, peggio ancora, il Codice penale elaborato dal ministro Rocco nel 1930, in piena epoca fascista. È solo grazie alla giurisprudenza che ci si è potuti adeguare ai cambiamenti nel frattempo intervenuti nella società. La produzione legislativa ha seguito, non sempre tempestivamente, i più innovativi orientamenti giurisprudenziali. Poi, negli ultimi 20 anni, l’intera materia della giustizia si è bloccata sui problemi personali (e a volte personalissimi) dei membri di una classe dirigente che è tra le più corrotte e disoneste del mondo occidentale. Tutti i governi che si sono succeduti, in prevalenza di destra ma con quelli della sinistra in sostanziale sintonia, si sono lasciati ingaggiare in una devastante diatriba tra politica e magistratura. Si è scardinata la tradizionale distinzione tra “ordine e libertà” da una parte e “garantismo ed eguaglianza” dall’altra. Si è messo in discussione il senso stesso delle istituzioni. Per biechi calcoli viziati da miopia politica, non si sono affrontati i grandi temi e ci si è limitati a interventi parziali, condizionati da singole vicende processuali, con forzatura di procedure legate a precisi casi contingenti. L’effetto è stato di ingarbugliare le normative, espandere i livelli di giurisdizione, prolungare i tempi dei processi che vedono coinvolti imputati eccellenti. Con le aule di giustizia intasate, si arriva a sentenze sommarie a carico di diseredati e emarginati. La giustizia è sempre più diseguale, quindi profondamente ingiusta, forte con i deboli e debole con i forti. Un caso emblematico è quello della legge che scaturì dalla proposta dell’on. Cirielli. Assecondando la peggior linea forcaiola della sua parte politica - espressione di un elettorato spaventato dall’escalation della micro-criminalità che un certo tipo di media infondeva ad arte - si intendeva calare la scure in particolare su recidivi e delinquenti abituali. Il caso volle che nello stesso periodo si celebrasse uno dei tanti processi ai politici che hanno come unica via di fuga la prescrizione che giunge prima della condanna. In disprezzo con i più elementari principi della logica, la norma dell’accorciamento dei tempi di prescrizione di certi reati fu aggiunta al provvedimento all’esame delle Camere. Fu così che chi aveva ispirata la legge si tirò indietro e volle disconoscere quella che oggi si chiama ex Cirielli. Sarà per questo che oggi lo stesso deputato, inopinatamente rieletto tra le fila dei Fratelli d’Italia, cerca di restituire dignità al proprio nome firmando una proposta di legge per l’istituzione del Principato di Salerno(!). Ma non è che uno dei tanti “ossimori normativi” degli ultimi anni, come quello della contemporanea discussione su processo breve (per tagliare le gambe a una incipiente sentenza negativa per gli imputati) e processo lungo (per prolungare il dibattimento fino alla agognata prescrizione). Con la giustizia viviamo in una situazione di stallo che ricorda molto da vicino, per gravità e difficoltà di vedere vie d’uscita, la crisi che sta colpendo la nostra società dal punto di vista economico-finanziario, ambientale, morale, culturale. Con un atteggiamento cinico e spietato qualcuno potrebbe pensare di chiudere un occhio e fregarsene delle sorti umane di quasi 70 mila “delinquenti”, costretti a vivere in 10 in una stanza, e delle loro famiglie, considerando il carcere come discarica sociale. Ma nessuno può essere indifferente di fronte alle sentenze di condanna inflitte al nostro paese dalle corti internazionali, che tra l’altro comportano esborsi di fondi dalle già precarie finanze pubbliche. Oggi abbiamo un Parlamento nuovo che pare aver avviato un percorso di auto-rigenerazione. Possiamo augurarci che qualcuno voglia affrontare in maniera adeguata, cioè organica, tutto il discorso sulla riorganizzazione della giustizia, nella piena applicazione della normativa vigente e del dettato costituzionale che parla di pene non contrarie al senso di umanità e di reinserimento sociale dei condannati, nella speranza che non tornino a commettere nuovi reati. Offrire a chi saprà meritarsele opportunità di lavoro e in fondo di vita alternativa sarebbe un modo di indirizzare in maniera più efficace le spese della giustizia che, comunque, pesano nelle tasche di noi contribuenti. Giustizia: così la custodia cautelare in carcere è diventata un’anticipazione della pena di Giandomenico Caiazza (Avvocato) Notizie Radicali, 4 aprile 2013 “Questo è il Paese in cui i termini sono perentori solo per i cittadini ed i loro difensori, ed immancabilmente ordinatori per il lavoro dei Magistrati”. Non diciamo certo nulla di nuovo - e men che mai parlando dalle frequenze di “Radio Radicale” - ricordando che una delle ragioni principali del vergognoso sovraffollamento delle carceri italiane è dovuto all’uso contra legem, dunque all’abuso, dello strumento processuale della custodia cautelare. Sappiamo bene che tale giudizio - che i giudici italiani facciano un diffuso e sistematico uso illegittimo della custodia cautelare, divenuto ormai apertamente un mezzo di anticipazione della pena rispetto al giudizio conclusivo di un processo - non viene espresso da un manipolo di penalisti esagitati o di garantisti zelanti, ma addirittura dal Primo Presidente della Corte di Cassazione dott. Ernesto Lupo, che lo argomenta con dovizia di particolari e senza superflue circonlocuzioni sistematicamente ad ogni sua relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario. Si tratta dunque di una vero e proprio sovvertimento del valore dispositivo di norme che, pure, sia per la loro conclamata ratio ispiratrice che per la esplicita e chiarissima testualità, disegnano invece uno strumento eccezionale e residuale, che esige motivazioni non stereotipe né elusive, ma connotate - pena la loro illegittimità- da esigenze cautelari di indispensabile e tangibile concretezza, perché è in gioco il bene della libertà personale. Tutto ciò, come dicevo, è ben noto; ma forse sono poco note le concrete tecnicalità attraverso le quali quotidianamente giudici delle indagini preliminari, che emettono le misure, e Tribunali per il Riesame, che nella assoluta, massiccia maggioranza le confermano, realizzano questa eversione, o comunque questo deliberato svuotamento del valore precettivo delle norme che il nostro codice detta in tema di custodia cautelare. Innanzitutto, nella prassi assolutamente prevalente lo sforzo motivazionale si esaurisce nella individuazione dei gravi indizi di colpevolezza: ciò fatto, le esigenze cautelari vengono fatte conseguire, contro ogni logica, in modo quasi automatico. Dal momento che Tizio è gravemente sospettato di aver commesso quei reati, va da sé che egli venga considerato perciò stesso in grado, se lasciato libero, di reiterare quella condotta criminosa, oltre che di inquinare le prove; e quanto più il fatto contestato è grave, tanto più se ne desume automaticamente - con motivazioni tutte uguali tra di loro- quella concretezza delle esigenze cautelari che le norme imperiosamente richiedono. Questo approccio affascia, con saltuarie, isolate eccezioni, il Giudice che emette la misura ed il Giudice che dovrebbe verificarne la legittimità, cioè il Tribunale del Riesame. Travolte da valanghe di ricorsi, quelle sezioni dei Tribunali italiani interverranno - nella migliore delle ipotesi - su patologie davvero macroscopiche della misura cautelare; l’alternativa presupporrebbe una cognizione degli atti di indagine che -grazie anche alla elefantiasi delle ordinanza custodiali determinata dallo smodato uso della funzione copia-incolla nella redazione di tali atti, oltre che al numero dei ricorsi- appare fisicamente impossibile. Senonché tale oggettiva difficoltà si risolve solo ed esclusivamente in senso conservativo verso i provvedimenti custodiali: nel dubbio, o nella impossibilità del necessario approfondimento, la misura viene ovviamente confermata, non certo annullata. Figuriamoci allora se la Corte di Cassazione potrà farsi carico di operare quella attività valutativa che per primo il giudice di merito non riesce compiutamente a svolgere: ed infatti, la percentuale dei ricorsi per Cassazione in materia de libertate accolti è statisticamente infinitesimale. Ad aggravare irreparabilmente il quadro, si aggiungono - anche in questo caso in aperta violazione delle norme processuali- tempi biblici, insensati, per la verifica della legittimità delle misure cautelari; dilatazione temporale che le norme rigorosamente si erano preoccupate di scongiurare, ma che la giurisprudenza, ancora una volta, elude in modi e forme che dovrebbero considerarsi intollerabili in un Paese civile, e che invece sono praticati, tollerati e legittimati dalla quotidiana prassi giurisprudenziale. Per esempio: il legislatore si era preoccupato di prevedere che il Tribunale del Riesame dovesse depositare la decisione sul ricorso entro 10 giorni dalla ricezione del ricorso difensivo. Ovvio: discutiamo della possibile illegittimità della privazione della libertà personale, impensabile trastullarsi mentre l’indagato sta in galera. Ma ecco che nel 1999 la Cassazione afferma il principio che quella norma debba intendersi riferita al solo deposito del dispositivo della ordinanza (accoglie o rigetta il ricorso), non alle motivazioni, che potranno essere depositate con calma, senza alcun termine perentorio. Da allora assistiamo quotidianamente a motivazioni depositate dopo venti, trenta, anche quaranta giorni oltre il deposito del dispositivo; e fino a che ciò non avviene, il ricorso per Cassazione resta ovviamente bloccato. Quando finalmente posso redigere e depositare il mio ricorso, il comma 3 dell’art. 311 impone alla cancelleria del Tribunale di trasmetterlo immediatamente, entro il giorno successivo, alla Corte di Cassazione; ma questo termine viene prontamente qualificato dalla giurisprudenza come non perentorio, e perciò la trasmissione avviene senza rispetto di alcun termine, non di rado anche un mese e più dopo il già ritardato deposito del ricorso. Ecco allora che l’art. 311 comma 5 impone alla Cassazione di decidere entro 30 giorni. Indovinate un pò? Anche questo termine viene qualificato come meramente ordinatorio. Ed infatti, la Cassazione fissa la discussione dei ricorsi de libertate mediamente ormai a tre mesi dalla ricezione. E se per caso l’ordinanza viene annullata, lo sventurato viene finalmente scarcerato? Solo se la Corte annulla senza rinvio, cosa che non accade praticamente mai. Se annulla rinviando al Tribunale del riesame per un nuovo giudizio, il povero cristo attenderà ancora in carcere la nuova decisione del Tribunale, mai scandita da un solo termine perentorio, E così ad libitum. Perché questo è il Paese in cui i termini sono perentori solo per i cittadini ed i loro difensori, ed immancabilmente ordinatori per il lavoro dei Magistrati. Ma tanto, a chi importa? Giustizia: ieri altri due detenuti morti; da inizio anno 51 decessi, 38 anni la loro età media Ristretti Orizzonti, 4 aprile 2013 Casa Circondariale di Catanzaro. Ieri mattina è morto Carmine Morra, nato a Napoli nel 1957: Si è suicidato impiccandosi in cella. Era detenuto in regime di Alta Sicurezza dal luglio 2008, quando fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico nell’ambito di una maxi-operazione contro il “Clan Licciardi” di Secondigliano. Questo suicidio arriva a pochi giorni da quello di un altro esponente camorristico, Domenico Antonio Pagano, 46 anni, che si è tolto la vita il 17 marzo scorso nel carcere di Opera (Mi), dove era sottoposto al regime di 41bis, il cosiddetto “carcere duro”. Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mn). Ieri pomeriggio è morto Christian Ubiali, nato a Bergamo nel 1982. Era internato dal 28 gennaio 2011, con una valutazione di “doppia diagnosi” (tossicodipendenza e problemi psichici). Un percorso riabilitativo in famiglia non era stato ritenuto praticabile dai giudici, che avevano richiesto invece un ricovero in strutture “ad alta protezione” del territorio (comunità psichiatriche). Ma queste, contattate, si erano dichiarate “non disponibili” all’accoglienza e pertanto per il giovane si erano aperte le porte dell’Opg. Il 15 marzo era uscito per trascorrere un permesso con i genitori. Ieri notte ha avuto forti dolori addominali ed è stato portato all’ospedale di Castiglione delle Stiviere e poi trasferito a quello di Mantova dove è deceduto alle 15. Dalla documentazione medica risulta il decesso per arresto cardiocircolatorio: è probabile che nelle prossime ore sarà disposta l’autopsia, che dovrà accertare le esatte cause della morte. Giustizia: Dap; 65.831 detenuti al 31 marzo, quasi 25mila sono in attesa di giudizio Adnkronos, 4 aprile 2013 Sono 65.831 i detenuti presenti nelle carceri italiane al 31 marzo 2013, a fronte di una capienza regolamentare di 47.045 posti. Tra questi 39.697 hanno una condanna definitiva, mentre 24.824 sono in attesa di giudizio. I detenuti stranieri sono 23.436 e 2.847 le donne. È il quadro dell’emergenza dei 206 istituti italiani fornito dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Tra le regioni italiane è la Lombardia quella che ospita il maggior numero di detenuti, 9.289, seguita dalla Campania, con 8.296, dalla Sicilia, 7.081. Quanto agli stranieri presenti nelle carceri, il gruppo più numeroso proviene dal Marocco, 4.463, poi dalla Romania, 3.700, dalla Tunisia, 2.927, e dall’Albania, 2.888. Continua a crescere il numero dei detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova, arrivati a 10.634, mentre sono 10.108 quelli in detenzione domiciliare, dei quali 2.967 per effetto della legge 199 del 2010, che prevede la possibilità di scontare ai domiciliari una pena non superiore ai 12 mesi, anche se residuale di una più lunga, limite poi portato a 18 mesi dal decreto ‘salva carcerì del ministro della Giustizia, Paola Severino. Per effetto di questa stessa legge sono complessivamente usciti dal carcere 10.111 detenuti Quanto alle misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e altre misure, riferisce il Dap, i detenuti in libertà vigilata sono 2.931, tra semidetenzione e libertà controllata 184, e 3.827 usufruiscono di altre misure, quali lavoro di pubblica utilità, sospensione condizionale della pena, lavoro all’esterno e assistenza all’esterno di figli minori. Giustizia: Sel; introdurre reato di tortura e abolire quello di immigrazione clandestina Agi, 4 aprile 2013 Introduzione del reato di tortura nel codice penale, abolizione del reato di immigrazione clandestina e revisione della legge ex Cirielli che riguarda l’inasprimento delle pene per i recidivi. Queste le proposte di legge che Sel presenterà a breve in Parlamento per “dare una risposta ai temi della giustizia”. Sulle proposte, illustrate alla Camera dal capogruppo Gennaro Migliore, dalla vice capogruppo Titti Di Salvo e dal deputato Daniele Farina che sarà indicato come capogruppo in Commissione Giustizia, Sel chiederà “la condivisione più larga possibile a tutte le forze politiche”. Durante l’incontro con i giornalisti è stato anche annunciato che sabato “tutti i parlamentari di Sel andranno a fare una ricognizione nelle carceri italiane: ogni deputato visiterà la struttura carceraria del suo territorio - ha detto Migliore - riferendo sullo stato di quelle carceri con una particolare attenzione ai reparti psichiatrici”. Secondo Migliore “l’emergenza delle carceri è una delle nostre priorità e sottoscriviamo in pieno le ultime dichiarazioni del presidente Boldrini, che in una intervista ha ribadito la centralità delle questioni legate al carcere”. “Con queste proposte - ha aggiunto Farina - vogliamo liberare il Paese dalle leggi prodotte in questi anni dalla finta cultura della sicurezza del centrodestra e che hanno avuto come risultato solo il sovraffollamento delle carceri. Oggi servono strategie diverse e più aderenti all’articolo 27 della Costituzione”. Giustizia: Laura Boldrini (Camera); una riforma delle carceri non è più rinviabile Asca, 4 aprile 2013 La riforma del sistema carcerario italiano “non è più rinviabile”. Lo sostiene il presidente della Camera Laura Boldrini in un’intervista al Sole 24 Ore. “La condizione delle carceri - dice Boldrini - dovrebbe essere il biglietto da visita del livello di civiltà di un Paese ma nel nostro caso è stata definita dalla Corte dei diritti dell’uomo “disumana e degradante”. La riforma - sostiene il presidente della Camera - non è più rinviabile sia per rispetto della dignità delle persone che per il livello di sicurezza della società”. Di Giovan Paolo (Pd): garantire più cure per i detenuti “Ringrazio la presidente Boldrini per la sua attenzione al mondo delle carceri. I partiti, se vogliono, in pochi giorni possono approvare un robusto pacchetto di misure alternative alla detenzione”. Lo afferma Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Allo stesso tempo dobbiamo garantire un maggior diritto alle cure per chi è in carcere - continua Di Giovan Paolo - anche su questo la situazione è troppo a macchia di leopardo”. Giustizia: Sappe; agenti penitenziari in piazza, chiedono di affrontare emergenza carceri Agi, 4 aprile 2013 Una manifestazione nazionale davanti al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per chiedere risposte contro l’emergenza sovraffollamento. È quella organizzata oggi dagli agenti penitenziari del sindacato Sappe, provenienti dalla Capitale ma anche da Campania, Abruzzo, Molise, Marche, Basilicata e Puglia. “Sentiamo distante - dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato - l’Amministrazione penitenziaria che mette in ginocchio i poliziotti tagliando i fondi e persegue soluzioni pericolose come l’autogestione delle carceri”. Sul costante sovraffollamento penitenziario e sugli eventi critici che quotidianamente si verificano nelle oltre 200 carceri italiane - aggressioni, tentati suicidi, suicidi, ferimenti, atti di autolesionismo -Capece avanza alcune proposte concrete: “Se la politica volesse intervenire concretamente sull’emergenza carceri, potrebbe farlo subito con 3 provvedimenti, che non ha preso l’attuale ministro Guardasigilli. Mi riferisco a processi più rapidi, espulsione dei detenuti extracomunitari per far scontare loro la pena nel paese di provenienza e soprattutto far scontare la pena ai tossicodipendenti in una comunità di recupero. È ovvio - aggiunge il sindacalista - che, se come oggi i detenuti stanno 20 ore in cella, questo alimenta tensioni. Dovrebbero lavorare, ma ci vuole una legge apposita e la volontà politica per farla, che nel nostro Paese non c’è. Il Dap ed il Governo tecnico hanno fatto poco o nulla per il carcere e chi ci lavora”. Veneto: Furlan (Unioncamere); dal lavoro penitenziario un’opportunità per le imprese Agenparl, 4 aprile 2013 Amministrazione penitenziaria e mondo dell’impresa fianco a fianco per valorizzare le opportunità offerte dal lavoro penitenziario. Il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige e Unioncamere Veneto hanno sottoscritto stamane - firmatari il provveditore Pietro Buffa e il vicepresidente Unioncamere Roberto Furlan - un protocollo d’intesa per l’attivazione di una rete stabile di comunicazione tra Istituti penitenziari e Uffici di esecuzione penale esterna dell’Amministrazione Penitenziaria e Camere di Commercio. Il protocollo si propone di far conoscere alle imprese della regione le problematiche dell’ambiente penitenziario in materia di lavoro; promuovere attività di orientamento e formazione sulla creazione d’impresa a favore delle persone ristrette negli istituti penitenziari e in esecuzione penale esterna; sviluppare azioni comuni per favorire la ricerca di risorse; diffondere informazioni sugli sgravi contributivi e fiscali a norma di legge mediante iniziative congiunte. Le attività lavorative interne od esterne all’Istituto penitenziario rappresentano uno dei cardini su cui costruire programmi di reinserimento: secondo i dati del Ministero della Giustizia, sono 389, oltre il 10% del totale, i detenuti che, in Veneto, lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Un’opportunità è rappresentata dal lavoro cooperativo: i detenuti impiegati presso le 20 lavorazioni attivate dalle cooperative dentro gli Istituti sono 228 (7%), a fronte di un totale di ristretti che ammonta a 3208. Per quanto riguarda i restanti soggetti che non lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, ai 34 detenuti in regime di semilibertà occupati per datori di lavoro esterni si aggiungono 36 lavoranti ex art.21. “La sottoscrizione del protocollo formalizza la collaborazione col Provveditorato del Triveneto già avviata nel 2010, da quando Unioncamere Veneto partecipa ai lavori della Commissione regionale per il lavoro penitenziario, alla quale prendono parte anche Regione Veneto e principali Associazioni delle Cooperative regionali - sottolinea Roberto Furlan, vicepresidente Unioncamere Veneto. Le Camere di Commercio hanno funzioni di supporto e promozione delle imprese ed è attraverso l’impresa che transita ogni possibile sostegno alle fasce sociali deboli. Il protocollo avvierà una serie di iniziative, a partire per esempio dalla ricognizione delle lavorazioni presenti all’interno degli Istituti per valorizzarle presso soggetti economici terzi. Le informazioni raccolte sul servizio sociale godranno di adeguata visibilità tramite l’evidenza di valori e risultati non solo economici, come già accade per altre imprese distintesi su temi come ambiente, sicurezza e responsabilità sociale”. “Il lavoro è uno degli elementi del trattamento penitenziar io e ha un ruolo cardine nell’opera di rieducazione delle persone in esecuzione penale interna ed esterna - spiega Pietro Buffa, provveditore regionale dell’Amministra zione penitenziaria. Lo sviluppo di azioni di promozione e sostegno di progetti idonei alla concretizzazione di attività di recupero sociale e inserimento lavorativo è costantemente presente e ben inserito nel planning annuale dell’Amministrazione Penitenziaria. L’Amministrazione Penitenziaria ha svolto, e svolge, un ruolo primario nella ricerca di opportunità per favorire sia l’organizzazione di lavorazioni all’interno delle strutture penitenziarie, sia l’inserimento dei soggetti in esecuzione penale esterna, nel tessuto lavorativo”. Il Prap Triveneto fornirà annualmente a Unioncamere Veneto le informazioni per favorire l’interesse di soggetti terzi a proporre investimenti all’interno degli Istituti penitenziari sia per la gestione delle lavorazioni esistenti sia per l’avvio di nuove opportunità occupazionali. Unioncamere Veneto coinvolgerà le Camere di Commercio nella fornitura di notizie utili all’incremento delle commesse di prodotti delle lavorazioni negli Istituti e sulle possibilità lavorative per detenuti e condannati in misura alternativa. Le parti promuoveranno inoltre, attraverso le Camere di Commercio, incontri provinciali per far conoscere a imprese e cooperative possibilità d’investimento e benefici contributivi e fiscali nelle realtà penitenziarie del territorio, oltre ad organizzare regionalmente momenti pubblici in materia di lavoro penitenziario elaborando progetti congiunti sulla creazione d’impresa per la popolazione detenuta, anche tramite finanziamenti da Fondazioni, Cassa Ammende o altri Enti pubblici e privati. È quanto rende noto l’Ufficio stampa Unioncamere del Veneto Sardegna: Caligaris (Sdr); il ministero vuole chiudere penitenziari di Macomer e Iglesias Agenparl, 4 aprile 2013 “Non finiscono mai di stupire i provvedimenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rispetto alla situazione degli Istituti detentivi della Sardegna. L’altro giorno è infatti giunta la conferma del progetto di chiusura degli Istituti di Macomer (Nuoro) e Iglesias (Sulcis Iglesiente), mentre proprio ieri risultano scaduti i termini per la disponibilità dei dirigenti a ricoprire l’incarico di Direttori nelle sei carceri isolane senza titolari tra cui figurano anche Macomer e Iglesias. Sembra proprio che al Dap la comunicazione tra i diversi settori viaggi su binari senza punti d’incontro”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento alla comunicazione della Direzione Generale del Personale e della Formazione con cui il responsabile Riccardo Turrini Vita “attesa la grave carenza di direttori nelle sedi ubicate nella regione Sardegna, ha indicato i post i di funzione vacanti”. “In Sardegna - sottolinea Caligaris - nonostante la presenza di 12 Istituti di Pena, con una capienza di oltre 2.200 detenuti, soltanto la metà ha un direttore titolare e nessuno dispone di un Vice Direttore. Ciò comporta che normalmente ogni direttore deve gestire due Istituti e nei periodi di ferie o di malattia il responsabile di una Casa Circondariale debba farsi carico di gestire altri due Penitenziari. Un problema non solo per la normale amministrazione ma soprattutto per le emergenze che purtroppo sono sempre in agguato”. “La richiesta formulata dal Dap, che vorrebbe coprire i posti di direttore delle case circondariali di Nuoro, Iglesias, Lanusei, Macomer e nelle colonie penali di Mamone (Onanì) e Is Arenas (Oristano), rischia tuttavia di non avere risposta. L’ultimo concorso per direttori risale al 1994 ma solo una parte dei vincitori aveva optato per le sedi, molti invece hanno preferito restare negli uffici del Ministero. Se davvero vorrà coprire le sedi vacanti, il Dipartimento - conclude la presidente di SdR - dovrà indire concorsi specifici. Gli interpelli infatti non risolvono l’annoso problema dei vuoti dirigenziali nelle sedi disagiate”. Sardegna: Pili (Pdl); 600 detenuti del 41-bis in arrivo nell’isola… e mancano 1.000 agenti Ansa, 4 aprile 2013 Seicento mafiosi sono pronti a sbarcare in Sardegna, il 50% dei 41 bis dislocati nelle carceri italiane mentre il sistema penitenziario sardo è al collasso, mancano 1.000 agenti nell’organico. La denuncia è del deputato Mauro Pili (Pdl) e del segretario regionale dell’Ugl Penitenziari, Salvatore Argiolas. Davanti al carcere cagliaritano di Buoncammino hanno tenuto una conferenza stampa sulla grave situazione carceraria nell’isola che conta oltre il 40% di sovraffollamento. “Il Ministero deve bloccare il processo scellerato di trasformazione della Sardegna in una Caienna dove si scarica il 50% dei capi mafia - ha sottolineato Pili firmatario di una interrogazione parlamentare. Il Ministero ha allestito sia sul nuovo carcere di Uta che su Sassari nuove celle per 41 bis, 100 a Uta, 100 a Bancali a Sassari e 90 a Nuoro. Tempio e Oristano si apprestano a essere trasformati in carceri di alta sicurezza, due bracci sono già stati predisposti e arriveranno 125 detenuti mafiosi a Oristano e altrettanti a Tempio Pausania. Un quadro smentito più volte, ma confermato dai dati e nella realizzazione delle stesse celle”. Al centro della polemica le conseguenze per l’isola delle ultime decisioni assunte dal Ministero della Giustizia, sia sul personale, che sulla gestione delle carceri. Sono tre le emergenze: “I mille e oltre dipendenti in meno in relazione alle nuove e vecchie carceri - ha spiegato Argiolas - in base ad uno studio elaborato dall’Ugl l’esigenza è di 2.270 unità rispetto alle 1.168 attuali. Poi c’è il sovraffollamento e la destinazione in Sardegna di 600 detenuti mafiosi, di cui 300 41-bis”. Sabato è atteso in Sardegna uno dei vertici nazionali dell’Amministrazione penitenziaria: “Annuncerà la chiusura di Iglesias e Macomer - afferma Argiolas - auspichiamo intanto che il Ministero ci ripensi”. Reggio Emilia: Filippi e Pollastri (Pdl) interrogano regione; cosa fare dopo chiusura Opg? Dire, 4 aprile 2013 “La Regione non venga colta impreparata dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari ma affronti in modo organico il problema di tutti i detenuti che hanno disturbi mentali”. Ad affermarlo i consiglieri regionali Andrea Pollastri e Fabio Filippi (Pdl) presentando un’interpellanza sull’argomento alla giunta di Viale Aldo Moro. Nel documento i due consiglieri chiedono delucidazioni su come la Regione intenda gestire il caso della struttura reggiana che, ricordano Filippi e Pollastri, inizialmente avrebbe dovuto chiudere i battenti entro il 31 marzo per essere sostituita da una struttura alternativa dedicata anche al recupero dei detenuti. Poiché, però, molte Regioni non avevano predisposto per tempo alcuna misura alternativa, il Governo ha posticipato di un anno la chiusura. Ora le Regioni dovranno presentare al ministero della Salute entro il 15 maggio dei programmi che, oltre agli interventi strutturali, prevedano attività volte progressivamente a incrementare la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi e comunque a favorire l’adozione di misure alternative all’internamento. Per questo “chiediamo alla Regione di conoscere quando sia prevista la chiusura dell’Ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, a quali misure stia lavorando la Regione per fornire supporto terapeutico agli ospiti, alle loro famiglie e garantire la pubblica sicurezza. È interessante anche comprendere quale sarà il futuro degli emiliano-romagnoli internati nelle strutture delle altre Regioni”, dicono i due consiglieri regionali. Pollastri e Filippi chiedono infine delucidazioni sugli interventi che verranno posti in essere in favore dei detenuti delle carceri ordinarie affetti da patologie psichiatriche che, secondo alcune stime riportate degli azzurri, sarebbero addirittura il 15% del totale. Teramo: Radicali; condizioni salute detenuto morto incompatibili con regime carcerario Agi, 4 aprile 2013 “La famiglia di Vincenzo Fabiano ci ha messo a disposizione la documentazione medica che attesta la gravità delle condizioni del detenuto e l’incompatibilità con il regime carcerario”. Alessio Di Carlo, dei radicali abruzzesi, torna sulla questione del detenuto trovato morto l’altro ieri nel carcere teramano di Castrogno aggiungendo che “sul nostro sito internet sono a disposizione i certificati, rilasciati dal medico curante di Fabiano e dall’Inps di Teramo, con cui si raccomanda il ricorso a presidi sanitari esterni in quanto ‘ogni momento dilatorio aumenta il rischio di sopravvivenza per il paziente”. “Del resto - ha spiegato Di Carlo - che Fabiano fosse gravemente malato era ben noto visto che, ai tempi della detenzione presso il carcere pescarese di San Donato, spesso si era dovuto far ricorso a ricoveri e a trasfusioni di sangue”. L’esponente radicale ha reso noto che la famiglia del detenuto, nei giorni scorsi, aveva inviato una diffida presso il carcere di Teramo per scongiurare il rischio di decesso che, viste le condizioni dell’uomo, si andava paventando. Di Carlo ha poi concluso auspicando “un immediato intervento dell’Autorità Giudiziaria per far luce su una morte che, alla luce dei documenti, non può più essere considerata una tragica fatalità”. Vincenzo Fabiano, 35 anni, di Pescara, in carcere per reati legati allo spaccio, tramite i suoi legali aveva già fatto presente che le sue condizioni di salute non erano compatibili con il regime carcerario. A trovarlo privo di vita erano stati i compagni di cella e la polizia penitenziaria, subito intervenuta, non aveva potuto far nulla per salvarlo. Per la metà di aprile era fissata un’udienza davanti al tribunale di sorveglianza che avrebbe dovuto valutare una perizia già effettuata sulle sue condizioni psicofisiche e decidere se scarcerarlo o meno. Padova: al Circondariale tanti ragazzi tunisini, giovanissimi, ingestibili perfino in carcere Il Mattino di Padova, 4 aprile 2013 È un’emergenza, nella cronicizzata emergenza del carcere circondariale Due Palazzi dove in 35 celle fatte per ospitare 98 persone, vivono stipati in media 230 detenuti, con punte anche di 260. È la frontiera, il circondariale, dove arrivano gli arrestati direttamente dalla strada: un transito, che può durare da pochi giorni a due anni, verso periodi di domiciliari (ma raramente per gli stranieri che fuori non hanno casa o punti di riferimento accettabili dal tribunale) e comunque verso il processo e il giudizio. L’emergenza nell’emergenza è giovane. Giovanissima. E riguarda il mondo degli immigrati, che in carcere rappresenta l’80 per cento della popolazione. È l’inquietante ondata di ventenni o poco meno, tunisini, che da qualche tempo finisce dritta in cella prevalentemente per spaccio. Ragazzi, ragazzini, che spesso entrano ed escono dal carcere, i quali risultano difficilmente gestibili perfino dagli agenti di polizia penitenziaria più avvezzi a tener sotto controllo situazioni al limite della deflagrazione. La stessa Elena Vetrano, 40 anni, neo comandante del circondariale, ha denunciato questa nuova emergenza a Piero Ruzzante, consigliere regionale e Giulia Narduolo, deputata Pd che venerdì scorso hanno fatto una visita al Due Palazzo, appunto. Per lo più sono ragazzetti arrivati in Italia bambini, magari a 10-11 anni, sui barconi, quei barconi stracolmi di umanità e disperazione, spesso soli e “invisibili”: un conoscente, un indirizzo passato di mano in mano e si sono dispersi in giro per l’Italia. Molti sono finiti a Padova. Rimangono in balia di loro stessi, di chi incontrano e della sorte. Per molti la microcriminalità è l’unica strada conosciuta e accettata. Da minorenni, se vengono beccati, ci sono sistemazioni protette: comunità o case alloggio. Una rete, dai buchi molto larghi ma pur sempre una rete. Che molti trattiene, altri protegge e indirizza, altri ancora non può far altro che lasciar andare. E sono questi altri che, compiuti i 18 anni e senza più le tutele riservate ai minorenni, rimangono in strada e spacciano. E usano la droga. Sono tanti, comunque molti più di prima, e quando vengono beccati finiscono dritti al circondariale. Strafottenti, duri, ingestibili, senza regole, arroganti, aggressivi: nel carcere circondariale, con otto o nove persone che dividono una cella di 25 metri quadrati, la situazione è già tesa al limite. E le provocazioni non sono bene accette. La comandante del carcere, nel raccontare questa nuova emergenza, mette a fuoco un fenomeno che per le giovani generazioni di immigrati ovunque è spinoso: “Sono ragazzi giovani e completamente sradicati: non hanno alcun punto di riferimento, né la Tunisia né l’Italia. Spesso vedo che si buttano nella religione, ma in modo integralista. E in cella basta una discussione su quei temi o una parola storta e la reazione violenta è assicurata”. Parma: la Garante; sovraffollamento e disagi per i familiari, serve “rivoluzione normale” www.parmatoday.it, 4 aprile 2013 Solo in questo modo secondo la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, si potrà garantire un futuro migliore anche per gli istituti penitenziari di Parma. C’è bisogno di una “rivoluzione normale”, come quella che sta attuando l’Amministrazione penitenziaria, per riorganizzare in modo omogeneo le carceri. Solo in questo modo secondo la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, si potrà garantire un futuro migliore anche per gli istituti penitenziari di Parma. Un salto di qualità che al momento deve passare per altre misure di intervento, quelle più urgenti che riguardano il sovraffollamento e i disagi vissuti dai familiari dei detenuti. Infatti nei giorni scorsi la Garante, su richiesta dei carcerati, ha effettuato un sopralluogo in via Burla e ha rilevato diversi problemi. Prima di tutto il sovraffollamento che vede fra la casa circondariale e la casa di reclusione 650 persone su una capienza regolamentare di 429, con 418 condannati in via definitiva, di cui 13 semiliberi e 14 lavoranti all’esterno. In questo quadro emerge un altro dato già noto ed è quello che riguarda la complessità delle diverse tipologie di detenuti, distribuiti nei diversi settori in base al circuito detentivo di appartenenza. Negli stessi istituti infatti convivono detenuti sottoposti al regime del 41bis (68), ergastolani (77), centinaia di detenuti in alta sicurezza, paraplegici e minorati fisici (18), ricoverati nel Centro Diagnostico e Terapeutico (33; si tratta di un presidio per il trattamento di patologie in fase acuta o cronica in fase di scompenso). Senza contare i continui nuovi ingressi anche di provenienza extra-regionale , i detenuti cosiddetti “protetti” (autori di reati sessuali) e infine molti stranieri. Fra gli ergastolani, poi, molti sono i cosiddetti “ostativi”, per i quali è previsto davvero un “fine pena mai” e che chiedono di poter scontare la detenzione in maniera dignitosa, se possibile con un lavoro stabile. Dall’altra parte, invece, ci sono le famiglie. Per loro il disagio è rappresentato dalla mancanza di pensiline che offrano un riparo dalla pioggia e dal freddo mentre attendono di poter entrare in carcere. Spesso, inoltre, si tratta di persone anziane e di bambini che restano fuori per ore prima che la sala d’aspetto apra e sia consentito loro l’accesso. La Garante non manca di sottolineare comunque qualche dato positivo, come quello che riguarda gli spazi dedicati ai colloqui con le famiglie e la sala provvista di bancone divisorio, utilizzata quando le esigenze organizzative e di sicurezza lo richiedono. Così come risulta particolarmente accogliente la sala riservata ai giochi per i bambini, gestita dai volontari di un’associazione locale, che garantiscono la loro presenza in diverse giornate della settimana durante l’orario dei colloqui. Bolzano: il carcere invaso dalle zecche, è emergenza per detenuti e operatori penitenziari Alto Adige, 4 aprile 2013 È vecchia, troppo piccola, ottocentesca: da anni oramai, l’antica struttura del carcere di Via Dante, che si affaccia da un lato sul parco del Talvera, lamenta carenze e problemi che non sono certo nuovi alle amministrazioni locali e nazionali. Lavori promessi e mai completati, sovraffollamento, proteste, e da qualche mese, una massiccia presenza di piccoli e indesiderati ospiti: perché ad aggravare le condizioni igienico-sanitarie di un luogo mai troppo salubre, ci pensano adesso persino le zecche, la cui presenza è stata registrata da lavoratori e detenuti indignati. Anche la caserma della polizia penitenziaria è in piena fase di invasione, tanto da spingere il sindacato Uil-Pa a sporgere denuncia, lamentando una condizione “fuori dagli standard di legge sull’igiene e la salute dei dipendenti”. Già lo scorso novembre, in Comune, si parlava della necessità di disinfestare carcere e caserma; ora le zecche sono tornate, e si muovono senza paura, tra finestre, letti, docce, sulle mani di chi è costretto ad agire quotidianamente negli ambienti che hanno invaso. È un grosso pericolo per la salute di chi lavora in una struttura che oramai è agli sgoccioli; parola di Maria Rita Nuzzaci, la direttrice del carcere, che dalle pagine dell’ “Alto Adige”, racconta di una situazione oramai insostenibile, dove tre o quattro disinfestazioni l’anno non riescono a debellare un problema tanto grave, dove i muri ammuffiscono, a causa della vicinanza al fiume, dove l’atmosfera sembra più “asburgica” oggi che cento anni fa. A completare il quadro, ci si mettono i topi, che attraversano saltuariamente i corridoi del carcere prima di giungere al Talvera, rendendo sempre più urgenti i lavori per la costruzione del nuovo carcere a Bolzano Sud. In occasione della tradizionale visita del Vescovo ai detenuti nei giorni della Pasqua, la Nuzzaci aveva ultimato l’ultimo report sulla mancanza di attrezzature, finanziamenti, interventi per la manutenzione, persino materiale di cancelleria; ma della prima pietra al cantiere di Bolzano Sud, che il Commissario incaricato dal ministero degli interni, Luis Durnwalder, aveva promesso entro la fine del 2012, non c’è traccia. Il progetto del nuovo carcere, complice la crisi, è sparito da sei mesi, ogni comunicato stampa ufficiale sembra essersi volatilizzato, gli appelli delle cariche pubbliche, da Franco Corleone, ex sottosegretario alla giustizia, al prefetto di Bolzano Valerio Valenti, verranno per qualche tempo accantonati. Realisticamente, lavori che andrebbero realizzati con la massima urgenza rischiano di lasciare al carcere di via Dante il tempo necessario per cadere definitivamente a pezzi. Milano: carcere di Bollate, lo Stato non ci pensa e il restauro viene fatto da Leroy Merlin di Marta Rizzo La Repubblica, 4 aprile 2013 Se lo Stato non si occupa della manutenzione delle carceri, gli istituti di pena si rivolgono a grandi aziende. È il caso del Carcere di Bollate: per la ricostruzione della sala multifunzionale del 2° reparto la Direzione del penitenziario si rivolge all’azienda Leroy Merlin, specializzata in bricolage e “fai-da-te” e, assieme a detenuti e volontari, si occupa della ricostruzione. Leroy Merlin e la Casa di Reclusione di Bollate lavorano insieme. I collaboratori dell’azienda nel campo del fai-da-te, sono entrati nella struttura del 2° reparto per la realizzazione del progetto di insonorizzazione della sala multifunzionale, utilizzata anche come sala-auditorium, raccoglimento per i detenuti in colloquio, gruppi di discussioni. Due esperti del settore edile dell’azienda hanno guidato 13 detenuti del reparto per la concreta realizzazione del progetto. La sala multifunzionale è l’unico luogo d’incontro per i detenuti del reparto e, prima dei lavori, era in condizioni pessime, con muri di cemento armato e ferro in totale deterioramento. “I ragazzi si sono dimostrati entusiasti di partecipare al progetto - racconta Giovanni, consigliere di vendita Leroy Merlin che ha lavorato con i detenuti - Si è percepito fin dal principio la voglia di lavorare, di collaborare per raggiungere insieme un obiettivo”. Il 2° reparto del Carcere di Bollate. La Seconda Casa di Reclusione di Bollate viene inaugurata nel 2000 come Istituto a custodia attenuata per detenuti comuni. L’obiettivo istituzionale è quello di offrire all’utenza detenuta una serie di opportunità lavorative, formative e socio-riabilitative in modo da abbattere il rischio di recidiva (che oggi si attesta attorno al 16% contro il 70% della media nazionale), favorendo il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. È, dunque, qui che è importante rendere sempre più “normale” l’istituzione carceraria, per quanto obsoleta in effetti sia. “È stato bello partecipare - racconta Massimiliano, uno dei detenuti - abbiamo avuto la possibilità di realizzare qualcosa insieme, rafforzare il nostro gruppo e lavorare in un clima sereno senza essere giudicati, ma solo guidati verso l’obiettivo da Giovanni”. “Io sarei anche in grado di rifare il lavoro da solo - aggiunge Fabio, un altro detenuto - ho davvero imparato a fare qualcosa di utile e nuovo che potrebbe servirmi in futuro”. I problemi della sala multifunzionale. Non è semplice comprendere, per chi sta fuori, come diventino importanti alcune cose banali, come la possibilità di comunicare, di socializzare, di leggere, di vedere un film per i detenuti di un carcere. “Nella sala in cui avvengono colloqui di gruppo e individuali - spiega Uberto Sapienza, volontario di Centro Coscienza, che insieme ad altri si occupa del 2° reparto - teniamo anche il cineforum e c’è sempre stata un’acustica terribile: lavorando in più di 5 o 6 è difficile capirsi e si è costretti a gridare nei colloqui individuali per farsi capire, con grave perdita di privacy. Inoltre il suono metallico dell’ambiente dava un senso di freddezza e di forte disagio. All’inizio la situazione sembrava senza alcuna possibile soluzione in quanto l’insonorizzazione del locale veniva a costare ben più di quanto il carcere avrebbe potuto sostenere”. Puntare sulle persone, non sulle istituzioni. Il totale disinteresse istituzionale verso il problema del Carcere di Bollate, ha fatto sì che la Direzione si rivolgesse a settori che davvero poco hanno a che fare con la detenzione. Leroy Merlin, nata in Francia negli anni 20, si è sviluppata in tutto il mondo e, dagli anni ‘90, ha aperto i suoi 47 punti vendita anche in Italia. Il sodalizio con il carcere di Bollate è nato quasi per caso: organizzando i consueti corsi di bricolage per mostrare al pubblico come si fanno i piccoli interventi, il negozio in prossimità dell’istituto di pena ha preso contatto con il direttore del carcere chiedendo di tenere questi piccoli corsi anche all’interno della struttura con l’obiettivo di insegnare qualche piccola abilità specifica ai carcerati che potesse servire nel loro percorso futuro. Il direttore, intuito l’interesse della proposta e il valore delle competenze offerte ai detenuti, ha subito dato parere favorevole. Un’azienda che vive nel territorio. Non è facile credere che si possa davvero creare, senza troppe difficoltà, le condizioni per dare a chi è detenuto una condizione di vita non soltanto dignitosa”. La nostra è un’azienda globale proiettata nel locale, che vuole vivere e agire da interlocutore diretto con il territorio e i suoi abitanti - spiega Thomas Bouret, amministratore delegato di Leroy Merlin - Attraverso le iniziative realizzate con e per il territorio, Leroy Merlin instaura un rapporto costruttivo con enti, istituzioni, associazioni, scuole e università del territorio, creando un dialogo vivo con la società civile. Ciascun negozio decide in co-costruzione con i Clienti, i Collaboratori e le Istituzioni Pubbliche il progetto da realizzare sul territorio in cui è inserito. Le attività sono sempre pensate e realizzate ad hoc secondo le necessità della comunità locale. Naturalmente devono sempre avere una forte e immediata attinenza al core business di Leroy Merlin: il miglioramento della casa, dell’habitat e del contesto abitativo degli “abitanti”. Cagliari: la Polizia penitenziaria scopre introduzione eroina nel carcere di Buoncammino Adnkronos, 4 aprile 2013 Un uomo, in visita ad un parente detenuto, è stato trovato in possesso di 6 dosi di droga ben nascosta negli slip. Il reparto cinofili antidroga della Polizia Penitenziaria di Macomer (Nu) , ha scoperto un tentativo di introduzione sostanze stupefacenti nel carcere di Cagliari da parte dei familiari dei detenuti nel corso dei colloqui. L’unità cinofila preposta al controllo ha segnalato una persona, C.E. di 34 anni di Monastir (Ca), e subito è scattata la perquisizione, come da prassi. L’uomo è stato trovato in possesso di 6 dosi di eroina ben nascosta tra gli slip. “La droga - spiega il segretario generale aggiunto regionale della Fns-Cisl, Giovanni Villa - sicuramente era destinata a qualche parente detenuto ma, il tutto non è andato a buon fine grazie all’intervento del reparto cinofili”. Il reparto cinofili antidroga di Macomer “è un’eccellenza e collabora anche con altre forze dell’ordine - prosegue Villa - che puntualmente ne riconoscono l’operatività e l’efficacia negli interventi. Il reparto cinofili, l’unico in Sardegna, sta svolgendo un compito fondamentale nella prevenzione e nella repressione dei reati connessi alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti”. Milano: nuove accuse per l’ex Cappellano di San Vittore, avrebbe abusato di 11 detenuti Il Giornale, 4 aprile 2013 Salgono a undici gli episodi di abusi sessuali ai danni di giovani detenuti contestati ad Alberto Barin, 51 anni, ex cappellano del carcere di San Vittore, dove ha svolto la sua funzione per 15 anni. L’uomo è stato arrestato il 20 novembre 2012 in conseguenza di sei casi accertati dalle indagini congiunte di squadra mobile e polizia penitenziaria. Ieri il giudice per le indagini preliminari Enrico Manzi ha emesso un’ordinanza per altri cinque casi: si tratta di detenuti con un’età compresa fra i 20 e i 30 anni, provenienti per lo più dal nord Africa. I nuovi episodi di violenza sono stati accertati anche grazie alle intercettazioni telefoniche, e il primo risale al 2002. Nei mesi scorsi, don Alberto Barin aveva ammesso alcuni degli episodi contestati dalla Procura. Duro l’atto d’accusa contenuto fi dalla prima ordinanza firmata dal gip. “L’indagato, nell’arco dei pochi mesi in cui è stato sottoposto ad indagine, ha collezionato una serie impressionante di approcci a sfondo sessuale ed è apparso, francamente, in preda ad un totale sbandamento morale e umano, incapace di reagire ai suoi istinti, dimentico dei doveri della sua vocazione e letteralmente in preda ad una totale incapacità di contenersi”. Cinema: “Il grande fardello” parodia carceraria del reality show, sarà presentato a Milano Redattore Sociale, 4 aprile 2013 Il film, finora rimasto “invisibile” a causa di una censura del ministero dell’Interno è una delle 30 opere di “Effetti personali”, rassegna di film, cortometraggi e documentari sul mondo del carcere, che si terrà dal 6 al 14 aprile a Milano. Al contrario dei partecipanti al Grande fratello, loro dentro ci sono finiti contro volontà. Ed è per questo che il film l’hanno intitolato “Il Grande fardello”. Una parodia del reality show, in cui con ironia raccontano la situazione penitenziaria. Girato nel 2004 dai detenuti di San Vittore (regia di Marianna Schivardi e Simone Pera), finora è rimasto “invisibile” a causa di una censura del ministero dell’Interno. Il “Grande fardello” è una delle 30 opere di “Effetti personali”, rassegna di film, cortometraggi e documentari sul mondo del carcere, che si terrà dal 6 al 14 aprile a Milano, organizzata da Fondazione cineteca italiana, Museo interattivo del cinema e cooperativa Estia. All’apertura della rassegna parteciperà il regista Matteo Garrone, con la proiezione alle ore 15 del suo film “Reality”. Nel programma della rassegna sono previste anche alcuni cortometraggi realizzati nell’ambito del progetto europeo Grundtvig, che ha come obiettivo quello di creare nuove opere coinvolgendo detenuti di alcune carceri in Europa. Per sabato 6 aprile, alle ore 17, è prevista anche una tavola rotonda dal titolo “Arte, prigione, società. Esperienze di creatività in carcere”, con la partecipazione di Matteo Garrone, Piero Cannizzaro (regista), Massimo Parisi (direttore carcere di Bollate), Gianfilippo Pedote (produttore), Michelina Capato Sartore (attrice e regista), Elena Mosconi (docente all’Università di Cremona). Coordina Roberto Della Torre, della Fondazione cineteca italiana. Tutte le proiezioni si terranno nella sede del Museo interattivo del cinema, in via Fulvio Testi 121 a Milano. Ingresso 5 euro. Il programma completo è su www.cooperativaestia.org. Libri: “41-bis, il carcere di cui non si parla”, di Maria Rita Prette, presentato a Cagliari La Nuova Sardegna, 4 aprile 2013 “41 Bis, Il carcere di cui non si parla” è il titolo del libro scritto da Maria Rita Prette per le edizioni Sensibili alle foglie che viene presentato questa sera alle ore 20,30 nei locali della Comunità La Collina di Serdiana. Intervengono alla presentazione, oltre alla stessa autrice, anche Carlo Renoldi di Magistratura Democratica , Gianfranco Pala direttore della Casa Circondariale di Cagliari e Renato Curcio, responsabile dellla casa editrice Sensibile alle foglie che ha pubblicato il volume. Il dibattito fi questa sera alla Collina sarà introdotto e coordinato dal giornalista di Raitre Ottavio Olita. Gli anni nei quali è stato scritto il testo dell’art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario sono quelli di confine tra “l’emergenza terrorismo” e l’”emergenza mafia, criminalità organizzata”. Il libro scritto da Maria Rita Prette non intende dare dei giudizi sui fenomeni sociali e politici richiamati. Piuttosto vuole invece portare l’attenzione sugli interrogativi suscitati dalle misure “emergenziali” adottate in relazione ad essi, in un Paese che si definisce democratico e che disattende la propria legge fondamentale. In questo libro si ripercorre così la storia recente del carcere e dei suoi dispositivi punitivi, seguendo la traccia delle emergenze che di volta in volta ne hanno determinato - o consentito - l’evoluzione. Prendendo l’esperienza armata degli anni settanta come analizzatore, si presenta la nascita del 41 bis e del corollario di articoli di legge che, dal 1986 ad oggi, sono in uso per privare di ogni diritto quei detenuti dei quali si vuole, con la forza, cancellare l’identità per sostituirla con un’altra. È convinzione, infatti, dell’autrice del saggio Maria Rita Prette che, ad ispirare il regime del 41 bis, sia stato “un principio di vendetta e che, pertanto, nella sua funzione fondamentale, esso si accosterebbe alla tortura”. India: caso marò; il Pdl di Bologna avvia petizione “rompere muro del silenzio” Dire, 4 aprile 2013 Domani e sabato, rispettivamente in piazza Maggiore e in via d’Azeglio angolo via Farini a Bologna, il Pdl e la Giovane Italia raccoglieranno firme a sostegno dei Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone “ingiustamente detenuti in India”. Duro il giudizio dei berlusconiani sulla vicenda: “Ancora una volta, infatti, stiamo assistendo al calo del silenzio su una vicenda che invece merita la costante attenzione dell’opinione pubblica italiana anche a causa delle scellerate azioni compiute in merito dal Governo Monti. È quindi importante che tutti coloro che hanno a cuore i nostri militari e l’amore per la nostra Patria, testimonino la loro vicinanza in questo momento”. La raccolta firme domani inizia dalle 10 e prosegue due ore e mezza; sabato l’appuntamento è dalle 16 alle 18. Dopodiché, gli esponenti del Pdl si recheranno in Prefettura per consegnare copia delle firme raccolte. Sempre domani, inoltre, nella sede del partito di via Santo Stefano, il Pdl presenta la campagna provinciale di sensibilizzazione per richiedere il rilascio dei soldati italiani detenuti in India. Ne parleranno Alberto Vecchi, coordinatore provinciale e consigliere regionale del Pdl, il suo vice Giuseppe Vicinelli, Gisberto Benassi, responsabile organizzazione del Pdl dell’Emilia-Romagna; con loro ci saranno i coordinatori provinciali. Iran: Ihr; 580 esecuzioni capitali nel 2012 quasi tutte impiccagioni, voci su 4 lapidazioni Aki, 4 aprile 2013 Sono almeno 580 le persone messe a morte nel 2012 in Iran. Il 76% delle esecuzioni è motivato da accuse relative alla droga. È quanto emerge dal Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran redatto da Iran Human Rights (Ihr). Il numero delle esecuzioni del 2012 è tra i più alti registrati da oltre 15 anni e, come sottolinea Ihr, in un contesto in cui manca la trasparenza nei procedimenti giudiziari e la libertà di stampa è soffocata, le condanne eseguite potrebbero essere più numerose di quelle documentate. L’organizzazione, ad esempio, ha avuto notizie di esecuzioni segrete di massa nel carcere di Vakilabad a Mashhad, dove probabilmente negli ultimi mesi del 2012 sono state messe a morte centinaia di detenuti. Anche quest’anno la maggior parte delle persone messe a morte è stata condannata per reati relativi al traffico di droga: 438 su 580. In Iran, infatti, il possesso di 30 grammi di eroina, morfina, cocaina, Lsd, metanfetamina o droghe simili è punibile con la morte. Le altre accuse che portano i detenuti sul patibolo sono stupro e violenza sessuale, omicidio, Moharebeh (guerra contro Dio) e rapina a mano armata. Resta altissimo il numero delle esecuzioni in pubblico: 60 nel 2012. Secondo Ihp, le autorità iraniane hanno più volte invitato, con volantini e manifesti, la popolazione ad assistere alle esecuzioni pubbliche. Il boia ha colpito con costanza diverse minoranze etniche e religiose dell’Iran: arabi ahwazi, curdi, baluchi e afghani. La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta per impiccagione, ma Ihr ha registrato anche quattro casi di donne lapidate, per i quali mancano tuttavia conferme certe. Usa: condannato per rogo doloso; libero dopo 42 anni, si è sempre proclamato innocente Ansa, 4 aprile 2013 Dopo 42 anni dietro le sbarre, Louis Taylor è uscito dal carcere: era finito in prigione a 16 anni con l’accusa di aver appiccato il fuoco in un hotel di Tucson, in Arizona, e nel rogo morirono 28 persone. Taylor sostiene di non aver mai commesso il reato, e anche il giudice da tempo aveva espresso scetticismo sul caso, rivelando alla trasmissione “60 minutes” che le prove non erano sufficienti per condannarlo. Per la pubblica accusa, tuttavia, non si tratta di una vittoria per l’uomo: “non è un proscioglimento, è stato riconosciuto colpevole da una giuria al di là di ogni ragionevole dubbio”, hanno spiegato ai media statunitensi. Taylor è uscito dal carcere dopo circa 15 mila giorni, oltre 40 anni: all’epoca aveva riconosciuto i fatti accaduti, senza mai dichiararsi colpevole - una fattispecie giuridica chiamata “plead no-contest” - ed era stato condannato a 28 ergastoli. Secondo alcuni documenti depositati in tribunale, l’uomo avrebbe invece aiutato alcuni degli ospiti del Pioneer Hotel a scappare dalle fiamme prima si essere arrestato, nel dicembre del 1970. Secondo diversi osservatori, nella condanna di Taylor potrebbe aver giocato un ruolo la motivazione razziale. Medio Oriente: Anp; una priorità liberare palestinesi detenuti da Israele Tm News, 4 aprile 2013 Il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti da Israele è “una priorità” per la leadership palestinese. Lo ha sottolineato il Presidente Abu Mazen parlando ieri sera al suo partito, Fatah, dopo che migliaia di palestinesi hanno partecipato al funerale di Maisara Abu Hamdiyeh, morto in un ospedale israeliano dopo che gli era stato diagnosticato un cancro alla gola. “Non possiamo tacere riguardo alla loro detenzione - ha detto Abu Mazen - abbiamo chiesto di liberare tutti i prigionieri, specialmente quelli arrestati prima degli accordi di Oslo, e i malati, i bambini e le donne. Ma al governo israeliano, nella sua arroganza, non importa nulla” dei prigionieri. Il Presidente ha quindi riferito sulla recente visita a Ramallah del Presidente americano Barack Obama: “La visita di Obama in Palestina è stata positiva. Gli abbiamo esposto la nostra posizione sul processo di pace e gli abbiamo spiegato i pericoli posti alla soluzione dei due Stati dalla costruzione degli insediamenti”. Con una mossa sorpresa, ieri il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato una nuova visita in Medio Oriente del Segretario di Stato, John Kerry, che il mese scorso aveva accompagnato Obama. Kerry sarà lunedì prossimo a Gerusalemme per incontrare il premier Benjamin Netanyahu, poi martedì a Ramallah. Oggi funerali detenuto morto Le truppe israeliane hanno ucciso due adolescenti palestinesi nel corso di uno scontro in Cisgiordania; e l’episodio è destinato ad accrescere la tensione nella giornata in cui si svolgono i funerali del detenuto palestinese morto martedì di cancro in un carcere israeliano. Gli scontri sono avvenuti nella notte vicino Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, dopo una giornata intensa di proteste in tutta la zona. La notizia della morte di Maisara Abu Hamdiyeh dopo una battaglia contro un tumore alla gola è stata accolta con indignazione nel Territori Palestinesi dove si accusa Israele di negligenza sanitaria: Abu Hamdiyeh era condannato all’ergastolo per tentato omicidio in relazione a un fallito attentato; era da dieci anni in carcere ma la stessa struttura carceraria aveva chiesto la sua liberazione anticipata per assicurargli una morte più dignitosa. Libano accusa Israele di negligenza Il presidente libanese Michel Suleiman ha condannato la “premeditata negligenza israeliana sulla condizione dei detenuti nelle carceri di Israele” dopo la morte del palestinese Maisara Abu Hamdiyeh, 64 anni. Suleiman ha accusato i funzionari israeliani di negligenza riguardo alle questioni umanitarie e sociali che riguardando i prigionieri, chiedendo alla comunità internazionale di fare pressioni su Israele affinché rispetti i trattati internazionali sui diritti dei detenuti, si legge in un comunicato diffuso dalla presidenza israeliana. “Israele, che combatte i palestinesi disarmati con carri armati e caccia, non fornisce cure ai suoi deboli detenuti”, prosegue il testo.