Giustizia: ricerca dell’Istituto Cattaneo; sovraffollamento carceri anomalia solo italiana Adnkronos, 2 aprile 2013 “In Italia, il sovraffollamento carcerario ha raggiunto da tempo dimensioni critiche” ma il fenomeno “è un’anomalia italiana” visto che non si registrano simili criticità negli altri grandi Paesi europei - Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna - presi in considerazione nell’analisi comparata del “pianeta carceri” effettuata dall’istituto Cattaneo. Ogni 100 posti disponibili negli istituti penitenziari, le carceri italiani ospitano in media 140 detenuti con punte che superano persino quota 300, contro i 108 della Francia, i 96 della Gran Bretagna, i 90 della Spagna e gli 87 della Germania. “Solo il 20% delle carceri italiane - riferisce l’istituto Cattaneo - ha posti a disposizione sufficienti rispetto al numero dei detenuti ospitati”. Un dato, quello del sovraffollamento, in crescita in Italia ma non nelle altre democrazie europee: “una crescita - sottolineano infatti i ricercatori - del tutto anomala rispetto al resto d’Europa”. L’indulto votato nel 2006 ha prodotto effetti per un solo anno: “Già a partire dal 2008,gli effetti furono riassorbiti e dal 2009 la crescita del sovraffollamento è ripresa”. Sovraffollamento che non è però in relazione diretta con la crescita della popolazione penitenziaria, il cui tasso è aumentato in altri Paesi senza per questo motivo provocare un analogo aumento del tasso di sovraffollamento, “grave e cronico problema soltanto del nostro sistema penitenziario”, conclude l’istituto Cattaneo. Carceri più sovraffollate oggi che prima dell’indulto Il sovraffollamento delle carceri non dipende dall’aumento dei detenuti: Paesi con livelli di crescita della detenzione sensibilmente più alti dell’Italia lo controllano meglio di noi. Il sistema penitenziario italiano “ha un grave e cronico problema di sovraffollamento, ma ad ottenere risultati apprezzabili e di medio periodo nel campo del controllo del problema non sono i paesi che hanno sperimentato riduzioni straordinarie della popolazione carceraria, i cui effetti possono essere tipicamente solo di breve periodo”. È l’analisi dell’istituto di ricerca Cattaneo. Le carceri italiane - spiega in uno studio comparato a livello europeo - sono più affollate oggi che prima dell’indulto del 2006, e lo sono più che le carceri delle altre democrazie europee. In alcuni istituti italiani si superano i tre detenuti per posto, e l’80% degli istituti ha più detenuti che posti regolamentari. Le carceri italiane ospitano in media 140 detenuti ogni 100 posti disponibili in base alla capienza regolamentare, ma in alcuni istituti - è il caso di Lamezia Terme, in Calabria - si supera anche quota 300 (per l’esattezza 303,3). Anche grandi istituti di pena come San Vittore a Milano e la Dozza a Bologna superano quota 200 (rispettivamente 229,6 e 235). Nel complesso, su 209 istituti presi in esame dallo studio, 23 registrano oltre 200 detenuti per cento posti, e 167 - l’80% del totale - ha più detenuti che posti a disposizione. Solo il 20% ha posti sufficienti rispetto al numero dei detenuti ospitati. Nella ‘top ten’ degli istituti più affollati anche Brescia (258,3), Busto Arsizio (253,3), Varese (247,2), Piazza Armerina (240), Pozzuoli (236,3), Vicenza (233,6) e Ancona (226,7). L’effetto dell’indulto votato nel 2006 dal Parlamento - spiegano i ricercatori del Cattaneo - “è durato pochi mesi, se si tiene conto della sua capacità di ridurre il numero di detenuti, due anni se si considera invece la sua capacità di mantenere livelli di sovraffollamento inferiori a quelli di partenza. In ogni caso un risultato modesto”. La crescita del sovraffollamento carcerario non è dipesa dall’aumento dei tassi di detenzione: paesi come Regno Unito e Spagna - in cui il tasso di detenzione, ovvero il numero di detenuti rapportato alla popolazione, è aumentato - non hanno registrato alcuna crescita; in Spagna i tassi di detenzione sono cresciuti sensibilmente dall’inizio del secolo, ma il sovraffollamento dopo un periodo di crescita è oggi inferiore a quello del 2000. Nel Regno Unito, in cui i tassi di detenzione sono cresciuti un po’ più che in Italia, il sovraffollamento ha registrato una lieve riduzione. Francia, Spagna, Regno Unito hanno tutti tassi di detenzione superiori a quelli italiani, ma in nessuno di questi paesi il numero di detenuti supera il numero di posti disponibili nelle carceri. E perché non ci sia in carcere una sola persona in più dei posti letto disponibili è partita poche settimane fa una raccolta firme su tre proposte di legge di iniziativa popolare, presentate da un ‘cartellò di organizzazioni vicine al mondo penitenziario, che vogliono riportare “il sistema penitenziario nella legalità”. Questi gli istituti penitenziari più sovraffollati secondo una ricerca dell’Istituto Cattaneo: Istituto Regione detenuti per 100 posti Lamezia terme Calabria 303,3 Brescia Lombardia 258,3 Busto Arsizio Lombardia 253,3 Varese Lombardia 247,2 Piazza armerina Sicilia 240,0 Pozzuoli Campania 236,3 Bologna Emilia Romagna 235,0 Vicenza Veneto 233,6 San Vittore Lombardia 229,6 Ancona Marche 226,7. Giustizia: Commissione Speciale Senato analizza dl proroga chiusura Opg Public Policy, 2 aprile 2013 Dopo aver analizzato l’aggiornamento del Def per il pagamento dei crediti delle imprese, la commissione speciale del Senato oggi si riunirà alle 14 per analizzare il decreto con cui il governo ha rinviato di un anno, al 1° aprile 2014, la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Inizialmente gli Opg dovevano essere chiusi il 31 marzo 2013 ma il governo ha deciso di far slittare la chiusura di un anno in attesa della realizzazione da parte delle Regioni delle strutture sanitarie sostitutive. La proroga è contenuta in un decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 21 marzo, su proposta del ministro della Salute, che appunto sollecita le Regioni a presentare entro il 15 maggio 2013 piani per la messa a punto di misure alternative all’internamento, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio. In caso di inadempienza il decreto prevede l’assegnazione del compito a un unico commissario per tutte le Regioni per le quali si rendono necessari gli interventi sostitutivi. Negli ospedali psichiatrici giudiziari vengono reclusi coloro che, su decisione del giudice, sono considerati pericolo sociale da parte di un perito o di un esperto. In Italia esistono sei ospedali psichiatrici giudiziari: Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino. Secondo i dati del ministero al momento in questi ospedali sono internate 1.100 persone. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari nacquero nel 1978 dopo che la legge Basaglia, la 180, eliminò i vecchi manicomi criminali. Di fatto, solo dopo il 1994, con il “Progetto obiettivo” e la razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale si ebbe un reale passaggio dai manicomi agli Opg. Oggi gli Opg sono strutture giudiziarie dipendenti dall’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. La loro chiusura, prevista per il 31 marzo 2012 e votata all’unanimità dalla commissione giustizia del Senato, è stata disposta dalla legge n.9 del 17 gennaio 2012. Il 21 marzo di quest’anno però il governo ha emanato un decreto per far slittare di un anno la chiusura, al 1° aprile 2014. Giustizia: ma chi ha paura della chiusura degli Opg? di Danilo Montinaro (Psichiatra) Notizie Radicali, 2 aprile 2013 Questa frase mi fa tornare in mente un famoso dramma teatrale che si intitolava “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, un dramma teatrale dove di base c’era il gioco della verità spesso negato nella nostra società. Dove, come adesso, con “il gioco” chiusura e non-chiusura degli Opg ,si lascia ancor vivo solo il lupo cattivo della sanità psichiatrica, il “Whos afraid of the big bad wolf?” che invece di curare procura orrore e sofferenza tra gli utenti degli Opg con quella sua folle e inutile ricerca della” terapia schizofrenica”. Tutto questo ogni anno è causa di suicidi di povere persone che hanno atteso invano negli Opg almeno un po’ di umanità, comprensione e che invece nella loro solitudine di “terapia” cercano l’estremo rimedio con l’estremo gesto, che diventa l’unico rimedio alla disperazione, il suicidio. E così il gioco della verità ci ha portato la deroga di un anno della chiusura degli Opg, che si traduce come una altra presa in giro verso quei poveri detenuti che da anni aspettano di poter ritornare nelle loro case per essere veramente curati, e una grande offesa alla richiesta di senatori come Marino e Mascitelli a cui va dato il merito di aver cercato di portare a conoscenza “politica” questo gravissimo problema più volte gridato a gran voce da Psichiatria Democratica, da associazioni di familiari, da Ristretti Orizzonti, da Associazione Antigone, dal Detenuto ignoto ecc. Il solo pensare che il derogare possa avere il significato di migliorare la loro speranza di uscita è veramente squallido! Addirittura non vi è nessuna certezza che la proroga non rappresenti, semplicemente, una dilazione, un continuare a nascondere e allontanare il problema e che alla sua scadenza non ci si ritrovi poi nelle stesse condizioni di adesso. Occorre, però, domandarsi ma se non sono bastati tutti questi mesi per le Regioni per scrivere i loro programmi insieme ai Dsm potranno farlo adesso? Le Regioni hanno avuto tutto il tempo per affrontare il tema della chiusura degli Opg che si era già posto fin dal 2008 e sicuramente la “minaccia” di commissariamento, già prevista nella legge del 17.2.2012, non è stata nemmeno un sufficiente deterrente per accelerare i processi di competenza né delle Regioni né degli uffici ministeriali che hanno colpevolmente ritardato di mesi l’emanazione del regolamento sulle strutture alternative all’Opg, fornendo un comodo alibi all’inerzia regionale e mettendo anche in notevole difficoltà la magistratura che è tuttora costretta a continuare ad inviare persone negli OPG. Nulla valgono, poi, quei tiepidi tentativi di dire che gli Opg non possono essere chiusi, perché danno lavoro a molte persone, oppure una legislazione regionale permette una deroga alla legge ecc. stiamo cercando di coprire il turpe mercato della sofferenza umana che purtroppo per molte similitudini è uguale a quello delle nostre carceri. Ma, infine, il dolce regalo pasquale di questo governo è arrivato: deroga alla chiusura e contributi (milioni di euro) per la costruzione di mini Opg regionali, strutture da 20 o trenta posti pronti ad accogliere gli utenti più pericolosi sotto custodia militare, che diventano una assurdità unica quando addirittura il numero degli utenti che deve uscire è inferiore a quello dei posti in struttura. Basterebbe urgentemente parlare con i magistrati di sorveglianza per rimodulare la pericolosità sociale, preparare le famiglie al rientro dei loro cari (molte si sono opposte o chiedono che siano inviati presso altri centri fuori regione) e soprattutto dimettere quelli che pure dimissibili rimangono ancora reclusi da anni di immobilismo socio-sanitario per inefficienza delle regioni e dei Dsm, facendo felici alcune categorie di avvocati e psichiatri che lasciatemi sottolineare, sfornano ormai diagnosi e pericolosità sociale senza curarsi della storia anamnestica del paziente e del reato commesso, riempiendo gli Opg sovente di persone che hanno soltanto la colpa di vivere ai margini della società rifiutati, abbandonati o denigrati da tutti. Non abbattiamoci, ma mobilitiamoci, qualcuno ci dirà pur grazie e se quel grazie non ci sarà l’importante e poter la notte dormire consapevoli di aver fatto anche l’impossibile sognando magari un mondo migliore. Giustizia: “Tre leggi per la giustizia e i diritti”… il 9 aprile si firma davanti ai Tribunali Comunicato stampa, 2 aprile 2013 Milano, Torino, Roma, Palermo, Ancona, Bologna, Firenze, Genova, Bari, Chieti, Lecce, Cagliari e tante altre ancora: il 9 aprile 2013, dalle ore 9 alle ore 13, nelle piazze dei Tribunali di tutta Italia i promotori della Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe raccoglieranno le firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate lo scorso gennaio in Cassazione. Proposte che costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario. La prima, Introduzione del reato di tortura nel codice penale, vuole sopperire ad una lacuna normativa grave. In Italia manca il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. La seconda, Per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri, vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. Infine la terza proposta, Modifiche alla legge sulle droghe: depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto, vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese. Viene superato il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, depenalizzando i consumi, diversificando il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene, restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. Al sito www.3leggi.it la mappa di tutti luoghi dove sarà possibile sottoscrivere le tre proposte, che sono promosse da A Buon diritto, Acat Italia, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Cgil, Cgil-Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Il Naga, Itaca, Libertà e Giustizia, Medici contro la tortura, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere. Giustizia: Cassazione; no “ora d’aria” nel cortile condominiale per il detenuto domiciliare di Alessandro Gallucci www.condominioweb.com, 2 aprile 2013 Nel gergo con il termine “ora d’aria” s’individua quel periodo di tempo concesso ai detenuti per poter stare fuori dalle proprie celle. Se il detenuto sta scontando la propria pena (o magari la custodia cautelare) agli arresti domiciliari e decide di andare a “fare l’ora d’aria” nel cortile condominiale, il rischio, anzi secondo la Cassazione la certezza, è che quella condotta debba essere considerata alla stregua di un’evasione. Il punto di tutta la vicenda, ai fini della configurazione del reato di evasione, sta proprio nella individuazione del concetto di “abitazione”. Si legge in una sentenza resa dalla Cassazione all’inizio del mese di febbraio che “del pari va ribadito il concetto di abitazione, individuata come luogo dove rimanere agli arresti che deve correttamente intendersi come il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, quali cortili, giardini, terrazze che non rappresentino sostanziali e formali pertinenze in senso civilistico dell’immobile in cui si è agli arresti domiciliari, ossia elementi integranti non solo caratteri di essenziale funzionalità dell’immobile ma di questo costituente staticamente elemento imprescindibilmente collegato in detto carattere di funzionalità alla cosa principale. Di qui ne deriva che le aree condominiali in genere (ivi compresi androni del palazzo in cui è sito l’ abitazione in cui è agli arresti il soggetto attivo) non possono essere considerate pertinenze della predetta abitazione non costituendo né parte integrante né pertinenza esclusiva di essa (Cass. 5 febbraio 2013 n. 7780). Insomma le parti comuni di un edificio in condominio non possono essere considerate pertinenze dell’abitazione e quindi il detenuto dev’essere considerato evaso. Una sentenza che in parte sembra giusta, se si pensa che molti condominii sono dei veri e propri villaggi con tanto di servizi comuni che vanno al di là delle semplici scale e ascensori. Solo in parte, però, visto che a queste realtà se ne frappongono altre completamente diverse dove l’uscita nel cortile non può essere in alcun modo considerata come una sottrazione alla pena ed alla sua funzione punitiva/rieducativa. Giustizia: la morte di Franco Califano e una vicenda giudiziaria che si preferisce ignorare di Valter Vecellio Notizie Radicali, 2 aprile 2013 Stranamente - o forse no; sarebbe stato strano il contrario - quasi tutti i giornali (non più di un paio le eccezioni), ricordando Franco Califano, hanno fatto cenno alle disavventure giudiziarie del “Califfo” limitandole alla vicenda che portò in carcere Walter Chiari e Lelio Luttazzi, per uso e spaccio di droga. E anche su questo si potrebbe dire: che ogni volta che richiama in causa Luttazzi si dovrebbe aver cura di ricordare che “el can de Trieste” era assolutamente estraneo ai fatti contestati, solo tardivamente venne riconosciuto innocente, patì una lunga e ingiusta carcerazione, e da quell’esperienza ne uscì schiantato. Ma Luttazzi a parte. Califano venne coinvolto, ficcato a forza è il caso di dire, nella vicenda che in precedenza aveva portato in carcere Enzo Tortora, nell’ambito di quell’inchiesta che doveva essere il “venerdì nero della camorra”, e fu invece un venerdì (e non solo un venerdì) nerissimo per la giustizia italiana. E Califano serviva, eccome: il suo passato, il suo non aver mai nascosto amicizie “pericolose”, l’uso ammesso della cocaina, serviva evidentemente per legittimare i precedenti arresti, in omaggio a teoremi che cominciavano a scricchiolare. Solo che anche Califano era innocente, con la camorra e i suoi traffici non aveva nulla a che fare; e da quelle accuse, alla fine, venne assolto. Ricordare quell’arresto, quella pagina che il buon gusto impedisce di qualificare come si vorrebbe, significava ricordare e rievocare tutta quella vicenda. Meglio ignorare tutto, confidare sul tempo trascorso, e sulla memoria che si scolora… Fummo davvero in pochi, in quei giorni, a osservare che anche per quel che riguardava Califano i conti non tornavano. Ci si cominciò a interessare alla sua vicenda in seguito all’accorato appello al presidente della Repubblica di allora lanciato da Gino Paoli. Califano, detenuto da mesi, si mise in contatto con noi: “Sono frastornato e distrutto, perché un uomo non è un diamante, non ha il dovere di essere infrangibile... Ho in testa brutte cose... venitemi a salvare, sono innocente, e non è giusto che muoia, che mi spenga così...”. Califano ci raccontò che ad accusarlo erano due “pentiti”: Pasquale D’Amico e Gianni Melluso, “cha-cha”. Ma D’Amico poi aveva ritrattato le sue accuse. Melluso, invece le aveva reiteratem raccontando di aver consegnato droga a Califano in un paio di occasioni: nel sottoscala del “Club 84”, vicino a via Veneto, a Roma; e successivamente nell’abitazione del cantante a corso Francia, sempre a Roma. Solo che nel “Club 84” il sottoscala non c’era; e Califano in vita sua non ha mai abitato a corso Francia. Infine Califano, in compagnia di camorristi, avrebbe effettuato un viaggio da Castellammare fino al casello di Napoli, a bordo di una Citroen o di una Maserati di sua proprietà; automobili che Califano non ha mai posseduto; per accertarlo non ci voleva la scienza di Sherlock Holmes, o il genio di Hercule Poirot; bastava il buon senso - meglio: il “senso buono” - di Jules Maigret. Scienza, buon senso e senso buono, con tutta evidenza assenti, e limitiamoci a questo. Califano ci raccontò che le accuse nei suoi confronti erano solo quelle di cui s’è fatto cenno; e che non si siano svolte indagini e accertamenti per verificare come stavano le cose non sorprende col senno di poi, e a ricordare come l’inchiesta in generale venne condotta. E sulle modalità investigative, può risultare illuminante un episodio in cui sono stato coinvolto. Anni fa, chi scrive venne convocato a palazzo di Giustizia di Roma, per chiarire - così si chiedeva da Napoli - come e perché in un servizio per il “Tg2”, “in concorso con pubblici ufficiali da identificare”, avevo rivelato “atti d’indagine secretati consistenti in stralci della deposizione resa in una caserma dei carabinieri dal pentito Gianni Melluso sulla vicenda Tortora”. Ed ero effettivamente colpevole: avevo infatti raccontato che Melluso aveva ritrattato tutte le sue accuse; e che assieme a Giovanni Panico e Pasquale Barra aveva concordato tutto il castello di menzogne e calunnie; un segreto di Pulcinella, tutto era già stato pubblicato dal settimanale “Visto”; e il contenuto degli articoli anticipati e diffusi da “Ansa”, “Agenzia Italia” e “AdN Kronos”. Dunque, sotto inchiesta per aver ripreso notizie (vere) pubblicate da un settimanale e da agenzie di stampa. Evidentemente dava fastidio la diffusione in TV. Queste le indagini; e dato il modo di condurle, non poteva che finire in una assoluzione piena: per Tortora, per Califano, e per tantissimi di coloro che in quel blitz vennero coinvolti. Ma a prezzo di sofferenze indicibili e irrisarcibili. Indagini che la maggior parte dei cronisti spediti a Napoli, presero per buone, e furono pochi a vedere quello che poteva essere visto da tutti. È magra consolazione aver fatto parte di quei pochi; e non sorprende che questa vicenda la si preferisca occultare e ignorare. Teramo: dramma a Castrogno; detenuto muore in cella, era malato e chiedeva di uscire Il Centro, 2 aprile 2013 Muore per un malore nella cella del carcere di Castrogno dove da qualche mese era rinchiuso per reati legati allo spaccio di stupefacenti. Vincenzo Fabiano, 35 anni, di Pescara, in passato arrestato anche perché accusato di rapine ad anziani, è stato trovato senza vita nella notte di ieri dai compagni di cella, che si sono accorti del malore. Immediato l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria, che però non hanno potuto far nulla per cercare di salvarlo. Probabilmente a ucciderlo è stato un infarto. Fabiano, attraverso il suo legale di fiducia, stava da tempo cercando di dimostrare che le sue condizioni di salute erano incompatibili con il regime carcerario. A metà aprile per lui era fissata un’udienza davanti al tribunale di sorveglianza, che avrebbe dovuto valutare una perizia già effettuata sulle sue condizioni psicofisiche e decidere se scarcerarlo o meno. Fabiano a quell’appuntamento così importante non c’è arrivato e sulla sua morte aleggia, pesante, il dubbio che le istituzioni non abbiano valutato tempestivamente la situazione. È un dubbio alimentato dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, che attraverso il suo segretario Giuseppe Pallini commenta così il caso di Vincenzo Fabiano: “Questa morte in cella è la conferma che il carcere di Teramo è sovraffollato e che vi continuano ad arrivare detenuti malati che, a causa degli spazi ristretti e della carenza di personale, non possono essere assistiti a dovere. È tempo che chi di dovere esamini attentamente il caso Castrogno e prenda i provvedimenti dovuti, non è possibile andare avanti in queste condizioni”. Radicali: una morte annunciata “Quella del detenuto Vincenzo Fabiano - avvenuta ieri nel carcere teramano di Castrogno - sembra essere una morte annunciata”. Ad affermarlo è Alessio Di Carlo, dei Radicali Abruzzo, rendendo noto il contenuto delle denunce di Marco Fabiano, fratello del detenuto deceduto, secondo cui “le precarie condizioni dell’uomo, attestate da numerosi certificati, imponevano il ricovero in una struttura sanitaria ad hoc.” “I fatti dichiarati dal fratello del defunto sono di estrema gravità” - ha spiegato l’esponente radicale - “visto che, a detta dello stesso, era stato chiaramente ipotizzato il rischio di decesso e che, nonostante questo, ogni istanza tesa a far trasferire il Fabiano è stata rigettata: una volta tanto, dunque, l’accaduto non sembra direttamente riconducibile al dramma del sovraffollamento, che pure affligge Castrogno, ma ad una dissennata valutazione delle condizioni fisiche del detenuto”. Di Carlo ha concluso ricordando che “come radicali abruzzesi saremo in prima linea, come sempre, a tutela dei diritti delle persone detenute e dei loro familiari e, a cominciare da giovedì, quando verranno resi noti gli esiti dell’autopsia, valuteremo l’avvio di iniziative di lotta nonviolenta volte al ripristino della legalità violata”. Vicenza: detenuto incendia la cella; due agenti intossicati, ma riescono a salvarlo Agi, 2 aprile 2013 Intorno alle 11.30 di stamattina, un detenuto, ha appiccato fuoco nella propria cella nel carcere di Vicenza, determinando la necessità, a causa del fumo sprigionato, di evacuare dapprima la sezione e poi tutto il carcere. Gli altri carcerati, infatti, sono stati fatti confluire nei passeggi considerato che l’aria era divenuta irrespirabile. Due agenti penitenziari adoperatisi per salvare il detenuto e per l’evacuazione della sezione sono stati ricoverati al pronto soccorso per principio di intossicazione. A renderlo noto Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa Penitenziari, secondo cui “il tempestivo intervento della polizia penitenziaria ha consentito di salvare il piromane e gli altri detenuti” anche se per spegnere l’incendio è stato necessario il ricorso ai Vigili del Fuoco. “Nella circostanza - spiega una nota - non possiamo esimerci dal denunciare come gli estintori in dotazione al carcere vicentino siano stati di fatto inutilizzabili perché scarichi”. Dopo un sopralluogo, i Vigili del Fuoco hanno certificato l’agibilità della struttura ed i detenuti sono stati fatti rientrare nelle proprie celle. Perugia: detenuti al lavoro per il Comune a salvaguardia del decoro urbano cittadino www.giornaledellumbria.it, 2 aprile 2013 Il Comune utilizzerà i reclusi per salvaguardare il decoro dell’Acropoli: dal verde al recupero di edifici storici. Dalla cella all’aria aperta, da sorvegliati in prigione a guardiani del centro storico. I carcerati di Capanne diventeranno custodi della parte più preziosa di Perugia, ingaggiati dal Comune a salvaguardia del decoro urbano cittadino. Serve solo la firma di una convenzione operativa per dare il via libera effettivo alla collaborazione tra Palazzo dei Priori e il penitenziario di Perugia, sul solco del protocollo d’intesa siglato tra Anci e ministero della Giustizia. Un documento che individui con precisione i compiti da attribuire ai detenuti che vogliano impegnarsi su base volontaria in lavori di pubblica utilità. Dopo gli automobilisti pizzicati alla giuda in stato di ebbrezza, il Comune recluta i detenuti per tenere in ordine il centro storico. Ai reclusi saranno attributi compiti che spazieranno da “attività straordinarie di manutenzione del verde pubblico, - si legge nell’atto di Giunta che delinea il progetto di utilizzo dei detenuti - di particolari porzioni cittadine, di edifici e luoghi di attrazione culturale, tipologie di lavori utili per la collettività, lavori di pubblica utilità, attività formative idonee al recupero di fasce di lavoro artigianale ormai in disuso e destinate all’estinzione, attività di protezione civile”. La zona d’azione dei nuovi collaboratori cittadini “è quella del centro storico - riporta la recente delibera dell’Esecutivo Boccali - in coerenza con le linee programmatiche del sindaco in particolare con la linea centro storico finalizzata alla rigenerazione urbana”. La collaborazione, finalizzata all’inserimento socio-lavorativo dei detenuti, che verrà sancita attraverso una convenzione tra l’Ente e l’istituto carcerario, durerà sei mesi in via sperimentale e sarà rinnovabile anche in seguito. Secondo le previsioni iniziali, con la collaborazione di Arci Ora d’aria e Croce rossa, verranno reclutati quattro detenuti per un massimo di 20 giorni a persona, con orario par time, da impiegare in lavori per piccole opere infrastrutturali e di decoro urbano. Insomma, per il Comune sarà l’occasione per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti, potendo anche contare su un supporto gratuito in favore del decoro urbano. L’unica spesa che dovrà sostenere l’Ente sarà lo spostamento dei carcerati, per 500 euro l’anno. Somma “che rappresenta il 50% - viene precisato nella delibera di Giunta - del costo dei biglietti per il trasporto dei detenuti dal carcere di Capanne al cantiere comunale di Pian di Massiano, dando atto che il restante 50% sarà carico di Umbra Mobilità che ne ha dato disponibilità”. Rossano (Cs): sopralluogo in carcere del Consigliere regionale Gianluca Gallo www.strill.it, 2 aprile 2013 Tanti detenuti, troppi rispetto alle capacità della struttura. E poi un reparto sanitario che funziona bene ma che va potenziato. Questo l’esito della visita che il consigliere regionale Gianluca Gallo, presidente della Quarta commissione consiliare regionale “Ambiente e Assetto del Territorio”, ha compiuto al carcere di Rossano Calabro. Accolto dal direttore della casa circondariale, Giuseppe Carrà, Gallo ha avuto modo di apprezzare lo stato di pulizia e ordine riscontrato nei vari reparti, detentivi e no, oltre che la cortesia e disponibilità del personale di Polizia Penitenziaria, chiamato a fronteggiare la difficoltà realtà del sovraffollamento, che riguarda tutte le carceri italiane e non risparmia Rossano. “Situazione che è la spia di un disagio grave”, ha detto Gallo, aggiungendo: “Assumeremo iniziative in sede istituzionale e politica affinché possano essere individuate le soluzioni idonee al sovraffollamento carcerario ed rinfoltimento dell’organico di Polizia Penitenziaria”. Quindi, dopo aver preso atto con favore dei percorsi di rieducazione e formazione professionali avviati all’interno della struttura, Gallo ha fatto tappa all’area sanitaria, ben attrezzata ma bisognosa di nuove strumentazioni. Si lavora però anche per garantire una sempre maggiore celerità ed efficienza delle operazioni diagnostiche e terapeutiche esterne all’istituto penitenziario. “Al riguardo - ha assicurato Gallo, congedandosi - di concerto con l’Asp e con la Regione faremo in modo che il processo di potenziamento non conosca ritardi e giunga in porto nel più breve tempo possibile”. Sulmona (Aq): internato non rientra da licenza, fermato da agente di polizia penitenziaria Agi, 2 aprile 2013 Un assistente capo di Polizia penitenziaria di stanza presso la Casa di reclusione di Sulmona, nella giornata di Pasqua ha fermato ed arrestato un internato resosi irreperibile dopo essere uscito in licenza premio dal penitenziario Peligno e nello stesso non rientrato alla scadenza del periodo concessogli. Il segretario provinciale della Uil Penitenziari, Mauro Nardella, parla di “encomiabile gesto”. L’assistente capo Vincenzo Nicolardi, sapeva dell’irreperibilità sopravvenuta dell’internato (R.D. 50enne pugliese) e alle 6.30, mentre si stava recando al lavoro per svolgere il suo turno di servizio, ha notato l’uomo in zona stazione e lo ha subito fermato. Successivamente, di concerto con gli uomini del commissariato di Sulmona, dopo gli accertamenti di rito, è stato ricondotto presso la casa di reclusione per essere sottoposto all’internamento, allo stesso comminato per essere stato dichiarato socialmente pericoloso. Il pugliese rischia per l’infrazione fatta la proroga della misura di sicurezza e la mancata attribuzione di ulteriori licenze. Verona: “La Montagna Dentro"... la montagna entra inel carcere di Montorio Comunicato stampa, 2 aprile 2013 Il 22 marzo, nell’occasione di incontro con i due registi del film “Vite tra i vulcani” premiato dalla Giuria Speciale 2012 dal carcere di Montorio – Verona, all’edizione del Concorso Internazionale del Film Festival della Lessinia, l’Associazione MicroCosmo onlus, in condivisione con il direttore dell’Istituto Mariagrazia Bregoli, ha voluto dare risonanza all’evento inserito in “La Montagna Dentro” progetto che si snoda da più di un anno e che coinvolge un gruppo di persone detenute nel recupero di memorie e nella ricerca-approfondimento dei significati che la montagna esprime nell’esperienza degli esseri umani. In un precedente incontro con Giuseppe Saglio, psichiatra appassionato di antropologia del paesaggio, sono stati esplorati rimandi e sollecitazioni, anche appoggiandosi ad una lettura di opere d’arte; questi stimoli hanno motivato ad ulteriori approfondimenti tuttora in corso che indagano l’esperienza del carcere in una inedita lettura de ‘la montagna dentro’. Venerdì 22 marzo le persone detenute, in rappresentanza di tutta la popolazione, femminile, maschile e dalla sezione ‘isolati e protetti’, insieme ad un gruppo di studenti delle scuole superiori della provincia di Verona e ad una partecipe rappresentanza della comunità: dal Comune, alla Comunità Montana, dal Parco della Lessinia, a rappresentanti delle ProLoco della Valpolicella, dal Comune di Boscohiesanuova, al Dirigente Scolastico del Ctp Carducci, al Dirigente dell’U.e.p.e., al Garante dei diritti delle persone detenute, hanno assistito alla proiezione del film seguita da un intenso dibattito preparato dagli stessi detenuti. I registi Mario Casella e Fulvio Mariani, accompagnati da Alessandro Anderloni, Direttore Artistico della Rassegna del Film Festival della Lessinia, giunta ormai alla 18ma edizione, hanno potuto incontrare i detenuti e dialogare in un coinvolgente scambio culturale e di esperienze di vita. Il film si è prestato particolarmente ad incontrare l’attenzione del pubblico, raccontando delle comunità che vivono sui vulcani dell’Iran tra la Turchia e l’Afghanistan, aprendo a riflessioni sulle culture molteplici espresse nel mondo e sui condizionamenti culturali. L’incontro si è concluso con la consegna ad ognuno dei due registi di un quadro raffigurante lo sguardo dalla finestra del carcere verso le montagne innevate della Lessinia. Per Alessandro Anderloni invece il quadro raffigura la ricerca/necessità dalle persone detenute di contatto con la natura, e vuole saldare un rapporto iniziato nel 2011 perché, come una pianta salda nel terreno, possa continuare a svilupparsi stabilmente nel futuro. Per MicroCosmo queste iniziative consentono ad ognuno di esprimere ciascuno secondo le proprie possibilità e doti una qualità e una condivisione, come esercizio ed esperienza di collettività. Si è concluso l’incontro con un arrivederci ad un prossimo appuntamento nel quale verranno resi pubblici i contenuti elaborati dai detenuti su “La Montagna Dentro”. La Redazione MicroCosmo Radio: ieri su Radio3 “Senza via d’uscita”, viaggio negli Ospedali psichiatrici giudiziari Ristretti Orizzonti, 2 aprile 2013 Ieri 1 aprile 2013, nell’ambito del programma di Radio3 Tre Soldi, contenitore dedicato all’audio documentario, è andata in onda la prima puntata di Senza via d’uscita. Viaggio negli Opg. L’audio documentario in 5 puntate, realizzato da Graziano Graziani in collaborazione con l’associazione Antigone, andrà in onda fino al 5 aprile tutti i giorni a partire dalle ore 19,45. Mentre viene per l’ennesima volta rinviato il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, previsto per legge per la fine di Marzo 2013 e slittato tra molte polemiche all’anno prossimo, questo documentario racconta le storie di alcuni di coloro su cui ricade questa proroga. Sul sito del programma, oltre a poter riascoltare le puntate già andate in onda, è possibile vedere anche il reportage fotografico realizzato ad Aversa e Montelupo Fiorentino da Ilaria Scarpa durante le visite fatte agli istituti e che verrà pubblicato sul numero di aprile de il reportage, trimestrale di fotogiornalismo e scrittura (www.ilreportage.eu). Libri: “Ogni specie di libertà”… quando i detenuti incontrano un veterinario di Gabriella Godena Notizie Radicali, 2 aprile 2013 L’incontro tra i detenuti di Rebibbia e il medico veterinario omeopata Marco Verdone parte dalla presentazione della sua esperienza ventennale sull’isola carcere di Gorgona e dal secondo libro che da questa ne è nato: “Ogni specie di libertà” (Altreconomia Edizioni). Il libro “ci racconta il miracolo dell’incontro tra detenuti e animali, anime “recluse” ma su quest’isola più libere. E ci fa sognare un mondo futuro senza gabbie o prigioni, dove l’uomo scelga di non uccidere più i suoi compagni di viaggio”. Progetto all’avanguardia? Sogno? Utopia? A Rebibbia giovedì14 marzo si è parlato del laboratorio a cielo aperto che è il carcere di Gorgona, la più piccola isola dell’arcipelago toscano. Officina di idee, di esperienze innovative, dove si sperimenta un nuovo modo di relazionarsi tra animali umani e animali non umani liberi nell’isola. Un cammino lungo e anche irto di problemi. Si percepisce subito come al veterinario di Gorgona, Marco Verdone, stia a cuore che le cose cambino per gli “ultimi”. Il suo racconto dell’esperienza ventennale portata avanti con fasi alterne cattura l’attenzione dei detenuti (oltre sessanta) presenti nell’accogliente teatro. Ci parla di come il suo percorso evolutivo, la sua presa di coscienza, sia andata via via maturando nel corso degli anni passati nell’isola e come dalle storie vissute abbia avuto conferma della validità e vitalità della sua scelta. Gli animali come dice l’etimologia della parola sono esseri, anzi persone, con l’anima e hanno l’anima perché esseri in movimento e proprio nel movimento esprimono emozioni, attrazioni, repulsioni, paure, i moti dell’animo appunto. Altre componenti del corpo animale sono gli organi, che altro non sono che strumenti che risuonano ognuno in un modo diverso. Quando sono sani producono armonia e, come in un’orchestra quando gli strumenti sono intonati, fanno la loro parte per raggiungere l’equilibrio. Questo riferimento agli organi in salute è strettamente legato alla scelta di utilizzare le medicine non convenzionali (o complementari) e in particolare la medicina omeopatica. Infatti, in questo sistema-isola un’importante scelta per garantire l’armonia tra gli esseri viventi e l’ambiente circostante è stata l’utilizzo dell’omeopatia, associata anche alla fitoterapia grazie alla varietà e ricchezza delle specie vegetali presenti. L’isola offre la possibilità di beneficiare dell’omeopatia sia per gli animali che per gli umani. In questa realtà è naturale curare, osservare, parlare... In questo luogo curare gli animali significa anche entrare in relazione con “l’altro” e imparare a comprendere il gioco di relazioni che connettono noi, gli altri (umani e non) e l’ambiente. In definitiva prendersi cura degli animali implica estendere l’interesse alle persone che si occupano degli animali. Il carcere diventa così luogo di vero rinnovamento, rieducazione e riabilitazione. La responsabilità di occuparsi di un essere animale può favorire questo scatto evolutivo. Nella dimensione di isolamento e reclusione si crea un legame empatico tra anime prigioniere, si rompono gli schemi preconcetti che normalmente pongono l’animale in una condizione di inferiorità impedendo di superare le barriere di specie e di entrare in contatto con l’anima-animale. Per la persona detenuta, i cui rapporti umani sono azzerati, la presenza di un animale diventa importante e vitale. Egli è essere senziente che cerca di non soffrire e di non morire esattamente come fa l’umano, con il quale si crea una relazione affettiva fondata sull’accettazione e il non-giudizio. L’anima così trova un momento di libertà e viene aiutata a non sprofondare nel baratro. Marco Verdone ci rende partecipi dei magici momenti trascorsi vicino alla mucca Valentina che con il suo lento ruminare lo porta in una dimensione meditativa di armonia con il tutto. Dall’intero racconto emerge più volte il pensiero per la sofferenza degli uomini e degli animali e per le condizioni che ne sviliscono la vita. La fine violenta per mano dell’uomo di animali di cui prima ci si è presi cura diventa anche la metafora di ogni rapporto violento con “l’altro” e di conseguenza la coerente obiezione di coscienza per la loro fine violenta per mano dell’uomo. Momenti dolorosi che hanno portato lui, come tanti altri, a non cibarsi più dei nostri amici-fratelli e di nessun tipo di prodotti animali. Il destino cruento degli animali rappresenta una grande contraddizione etica e professionale che stride ancor di più con il contesto di armonia e di pace che con fatica si è cercato di creare in Gorgona. Questo è il punto oscuro da trasformare. In questo percorso si è inserita come naturale conseguenza la scelta di stilare una “Carta dei Diritti degli Animali dell’isola di Gorgona” che costituisce uno dei tanti contributi per offrire uno spunto di discussione per la soluzione della delicata questione animale. La proiezione di due filmati sulle condizioni di vita e le attività nell’isola si sono alternati alla descrizione fatta da Marco Verdone e dalla testimonianza diretta dell’ex detenuto di Gorgona, Claudio Guidotti, che ha partecipato insieme ad altri autori alla stesura del libro. Egli ci racconta di come, una volta resosi consapevole che tutto l’allevamento era finalizzato alla produzione di latte e carne, per evitare azioni che gli avrebbero procurato sofferenza (per esempio, dover portare alcuni animali al macello), chiese di essere impiegato in altre mansioni, come la cura dell’orto. Pur svolgendo varie altre attività mantenne sempre un vitale rapporto con molti animali e in particolare con un cane che ha seguito e curato fino al termine della detenzione e con un gatto che poi ha portato fuori con sè. L’incontro ha suscitato un certo interesse che avrebbe meritato avere più tempo a disposizione per poter rispondere alle numerose domande che comprensibilmente sono state poste. “Quali passaggi ha fatto per scegliere di non mangiare più animali? Come si risolve la questione del gran numero di animali allevati sulla terra se non si mangiano più? Come comportarsi con una famiglia che alleva animali per il loro fabbisogno…?”. Mentre Marco Verdone tentava di rispondere alle domande, il tempo scorreva e siamo arrivati all’ora del rientro. Una copia del suo libro è stata donata alle insegnanti dell’Itis per promuovere una discussione interna alla quale questo medico veterinario “fuori dagli schemi” ha offerto la sua disponibilità a sostenerla. Confidiamo infine che la strada intrapresa nel cammino di rispetto verso i “fratelli più ultimi”, come li chiama lui, prosegua come prospettato in questo prezioso libro che ci ha permesso di incontrarci. L’incontro tra Marco Verdone e i detenuti-studenti del Carcere Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso è avvenuto all’interno di un programma che si propone di avvicinare alla cultura scientifica attraverso il dialogo con ricercatori, commentando insieme brevi documentari prodotti da istituzioni scientifiche. L’iniziativa in corso, sostenuta dall’Associazione Antigone, è coordinata da Attilio Vitali, presidente del Festival Docscient, da due insegnanti di scienze del carcere, Daniela Provengano ed Elena Lugaro, e da Silvia Caravita, ricercatrice del Cnr. Marco Verdone è un medico veterinario omeopata ed è veterinario incaricato della Casa di Reclusione di Gorgona (Li) da oltre 20 anni. Sulla sua esperienza di veterinario in carcere ha scritto diversi articoli e due libri: Il respiro di Gorgona (Libreria Editrice Fiorentina, 2008) e Ogni specie di libertà (Altreconomia Edizioni, 2012). È stato uno dei testimoni più attivi e presenti sull’isola seguendo da vicino le relazioni tra umani e animali e tra reclusi e mondo esterno. Il suo percorso professionale e personale l’ha portato ad esplorare senza pregiudizi i confini tra umano e non umano, rimettendo in discussione il rapporto dominante di violenza dell’umano sugli animali cosiddetti “da reddito” e riflettendo sull’opportunità di replicare questo modello soprattutto in ambiti “sensibili” come quelli carcerari. Da questo lungo percorso di consapevolezza, è nata anche la “Carta dei Diritti degli Animali di Gorgona”, documento inedito inserito nel libro a più voci Ogni specie di libertà. È stata anche presentata alle Autorità competenti per Gorgona un’ipotesi progettuale sulla relazione umano-animale ispirata a criteri nonviolenti e finalizzata anche a sostenere una rieducazione fondata sul rispetto verso ogni manifestazione della vita. Immigrazione: sciopero della fame il giorno di Pasqua nel Cie di Torino www.globalist.it, 2 aprile 2013 Mentre mezza Italia è seduta intorno a tavole più o meno imbandite per il pranzo pasquale, al Cie di Torino tutti i reclusi si sono messi d’accordo e hanno dato vita ad uno sciopero della fame. Tutte le aree, compresa quella delle donne, rifiuteranno il cibo per tre giorni e sembra che la maggior parte dei reclusi stia rinunciando anche alla terapia. All’arrivo della cena, un po’ per farsi forza e incoraggiare gli indecisi, un po’ per festeggiare la riuscita dello sciopero, i reclusi hanno deciso di applaudire tutti insieme. I guardiani del Centro sembrano in agitazione: quando si uniscono, gli oppressi fanno paura. Ieri, nel pomeriggio un recluso del Cie di Torino s’è arrampicato sul tetto della mensa dell’area blu. Non avendo nessuna intenzione di farsi rimpatriare, ha preferito non credere alle false promesse che qualche ispettore gli propinava dal cortile e ha deciso di restare sul tetto fino all’orario utile per perdere la nave che da Genova lo avrebbe riportato fino alla Tunisia. Uno sparuto gruppo di solidali porta per qualche minuto la propria rumorosa solidarietà al ragazzo, che con la sua determinazione riesce ad evitare l’espulsione. India caso marò; sui giornali rispunta ipotesi pene dure. Domani manifestazione a Roma Ansa, 2 aprile 2013 Se la Corte Suprema indiana accettasse la proposta del ministero dell’Interno di affidare una indagine totalmente nuova alla Agenzia nazionale di investigazione (Nia), la situazione giuridica dei marò potrebbe tornare ad essere molto complessa, e non potrebbe essere esclusa neppure una richiesta di applicazione della pena di morte. Lo riferisce oggi la stampa a New Delhi. Una udienza della Corte presieduta dal presidente Altamas Kabir è prevista per la mattinata di oggi nella capitale indiana. The Indian Express sostiene senza mezzi termini, sotto il titolo “Marinai italiani: la Nia invocherà la Legge marittima che prevede la pena di morte”, che l’agenzia creata dall’India per esaminare casi di terrorismo, oltre alla sezione 302 del Codice penale indiano (omicidio) “potrebbe invocare immediatamente la Legge sulla soppressione degli atti illegali contro la sicurezza della navigazione marittima”. Questa legge, ricorda il quotidiano, prevede che “se una qualsiasi persona causa la morte di una persona sarà punita con la pena di morte”. Anche l’Hindustan Times sottolinea che “la Nia invocherà leggi dure contro i maro”. Commentando la decisione del ministero dell’Interno di assegnare l’inchiesta a questa agenzia, il giornale conferma che essa prenderà in considerazione la Legge sugli atti illegali contro la navigazione marittima del 2002 che “fu approvata per reprimere atti di pirateria e terrorismo”. Oltre a prevedere pene molto dure, conclude il giornale, la legge “rende molto difficile la concessione della libertà dietro cauzione per gli imputati” che dovrebbero quindi attendere in carcere il verdetto. Peciola (Sel): manifestazione domani strumentalizzata da alemanno “Il dramma umano vissuto dai due marò italiani e dalle loro famiglie deve essere tutelato dalla politica e non strumentalizzato. Operazioni di marketing elettorale come quella del Colosseo, non soltanto danneggiano l’immagine del nostro Paese all’estero e indeboliscono diplomaticamente l’Italia, ma sono anche un’offesa alle famiglie dei pescatori che hanno perso la vita ad opera dei soldati Italiani. Una manifestazione sbagliata sotto il profilo etico, politico e diplomatico. A nessuna delle forze politiche impegnate in questa manifestazione chiaramente nazionalista è venuto in mente di inviare un messaggio di cordoglio alle famiglie dei pescatori. Ricordiamo ad Alemanno che gli italiani detenuti non esistono politicamente solo quando sono militari; ricordiamo, ancora, che nel Mondo sono circa 3mila i detenuti italiani. Ancora una volta Alemanno dimostra di non essere il sindaco di tutti”. Lo dichiara in una nota Gianluca Peciola, coordinamento Sel Area Metropolitana di Roma. Irlanda: perché i crimini diminuiscono e il numero di carcerati aumenta? di Letizia Orlandi www.west-info.eu, 2 aprile 2013 È la domanda provocatoria della commissione giustizia Joint Oireachtas. Che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, tra il 1995 e il 2013, il numero di reati si sia drasticamente ridotto. Per contro, quello dei detenuti sia cresciuto del 57%. Segno del fatto che la cultura penale della Verde Isola ha più di qualche lacuna, secondo gli esperti. Che chiedono al governo di prendere due decisioni urgenti. La prima. Incentivare pene alternative per i crimini non violenti, attualmente puniti con sei mesi di reclusione. La seconda. Ridurre la popolazione carceraria di un terzo nei prossimi 10 anni. Per raggiungere le cifre di affollamento dei paesi scandinavi, da anni fautori di buone prassi. Nello specifico, il rapporto cita il caso finlandese. Dove il cambiamento genuinamente riabilitativo intrapreso dal 2005, verso la sostituzione della pena per crimini non violenti con lavori socialmente utili, ha portato ad una forte diminuzione dei detenuti. Senza aumentare il tasso di recidiva. Ticino: aumentato il numero di incarcerazioni, nelle galere si va verso il tutto esaurito www.ticinonews.ch, 2 aprile 2013 Mancano poche unità, al penitenziario penale della Stampa, per giungere al tutto esaurito. Attualmente, secondo quanto riferisce il CdT, si contano 129 detenuti, un numero in aumento che rischia di porre presto dei problemi di collocazione, e di sicurezza, per i carcerati. L’aumento è dovuto ai numerosi arresti effettuati dalla Polizia e dalle Guardie di confine lo scorso anno. Gli indagati, in diversi casi, sono finiti in aula penale e sono stati condannati. Buona parte di essi è finita in carcere per i numerosi furti in abitazioni avvenuti nel Cantone. Sono invece 54 le persone rinchiuse al carcere giudiziario della Farera, che grazie ai letti a castello può arrivare ad accogliere sino a 78 detenuti in attesa di giudizio. Nei primi tre mesi dell’anno, sono state ben 582 le incarcerazioni alla Farera: se si continuasse di questo ritmo, il 2013 rischia di far segnare un nuovo record dopo quello del 2012, quando le incarcerazioni furono all’incirca 2’000. L’ufficio immatricolazioni della Farera, secondo quanto ha spiegato il direttore generale delle strutture carcerarie ticinesi Fabrizio Comandini, lavora 24 ore su 24. La maggior parte dei carcerati ha tra i 25 e i 30 anni, mentre più del 70% è di origine straniera. Israele: detenuto Hamas morto tumore ma è polemica Ansa, 2 aprile 2013 Un militante di Hamas condannato all’ergastolo da Israele - Maysara Abu Hamdiya (64 anni) - è deceduto oggi in un ospedale di Beer Sheva (Neghev) in seguito ad un tumore. Lo ha reso noto radio Gerusalemme secondo cui Abu Hamdiya era stato ricoverato nei giorni scorsi. Il servizio carcerario israeliano, ha precisato l’emittente, aveva anche consigliato nei giorni scorsi la sua liberazione in seguito all’aggravamento delle sue condizioni. Ma da parte palestinese giungono già accuse di negligenza nei confronti delle autorità israeliane. La Ong Ahrar (che sostiene i detenuti palestinesi) ed altre organizzazioni umanitarie affermano che Abu Hamdiya non ha ricevuto cure adeguate e tempestive. Hamas, da parte sua, rende noto che nelle carceri israeliane vi sono altri 20 detenuti malati di tumore. Abu Mazen: Israele è responsabile Il presidente palestinese Abu Mazen considera Israele responsabile della morte di Maysara Abu Hamdiya, il militante di Hamas deceduto oggi per un tumore in un ospedale di Beer Sheva. Lo ha affermato il suo portavoce, Nabil Abu Rudeina, in un comunicato. Da parte sua il ministro palestinese per i detenuti Issa Karake ha indetto per domani una giornata di protesta. “Questo crimine grave ed orrendo nei confronti del prigioniero Maysara - ha detto il ministro Karake - era premeditato: è dovuto ad una negligenza medica, unita a continui rinvii della sua scarcerazione”. Karake ha chiesto che sulla vicenda venga condotta una inchiesta internazionale. La giornata di mercoledì, ha aggiunto, vedrà uno sciopero generale e il lutto nazionale. Abu Hamadiya era stato condannato all’ergastolo nel 2002. Secondo fonti palestinesi il tumore, alla gola, era stato rilevato già nei mesi scorsi. Disordini nelle carceri Ha innescato immediate proteste nella carceri israeliane la morte del detenuto palestinese Maysara Abu Hamdiya. Fonti stampa riferiscono che nelle prigioni di Eshel, Ramon, Nafha e Ketziot i detenuti palestinesi scandiscono slogan e battono con forza sulle sbarre. Le unità antisommossa del servizio carcerario sono state messe in stato di allerta. Scontri in territori. Hamas evoca Intifada Deve innescare “una nuova intifada” nei Territori la morte del detenuto palestinese Maysara Abu Hamdiya, avvenuta oggi in un ospedale israeliano: lo ha detto in una conferenza stampa a Gaza il ministro di Hamas per i prigionieri, Atallah Abu A-Sebah. In Cisgiordania disordini e scontri sono segnalati a Hebron e a Nablus. Nelle carceri israeliane sei guardiani sono rimasti feriti nella repressione delle proteste dei reclusi palestinesi. Stati Uniti: Guantánamo, si estende lo sciopero della fame tra i detenuti di Riccardo Noury Corriere della Sera, 2 aprile 2013 Uno su quattro dei detenuti di Guantánamo Bay, il centro di detenzione statunitense in territorio cubano, stanno attuando da settimane uno sciopero della fame: 37 su 166. Rifiutano il cibo per la disperazione, per l’assenza di prospettive riguardanti il loro futuro. Molti di loro fanno parte di un gruppo di 86 prigionieri, oltre la metà del totale, che non sono stati incriminati e non saranno sottoposti a processo: potrebbero essere rilasciati ma la situazione d’insicurezza nei paesi di origine, soprattutto nello Yemen, ne impedisce il rimpatrio. Una manciata di detenuti, sei in tutto, è sotto processo di fronte alle commissioni militari. La situazione dei detenuti in sciopero della fame è così critica da aver spingere la Croce rossa internazionale a sollecitare una visita. Josh Earnest, il portavoce della Casa bianca, ha riferito nei giorni scorsi che il presidente Obama sta seguendo attentamente gli sviluppi della situazione e che l’amministrazione Usa continua a sostenere la necessità di chiudere Guantánamo, come decretato dall’ordine esecutivo 13492 del 2009. Tuttavia, ha sottolineato che le recenti decisioni del Congresso non rendono né semplice né veloce l’attuazione della volontà presidenziale. Difficile, del resto, immaginare la chiusura del centro di detenzione quando il Pentagono, seppur in tempi di crisi, ha programmato una spesa di 150 milioni di dollari per ammodernarlo. Un altro segnale preoccupante è la rassegnazione ad altro incarico di Daniel Fried, delegato dal presidente Obama a supervisionare le questioni riguardanti Guantánamo. A oggi, non risulta essere stato sostituito. Dal 2002, il centro di detenzione ha ospitato 779 detenuti, la maggior parte dei quali vi ha trascorso diversi anni senza accusa né processo. Sette detenuti sono stati condannati dalle commissioni militari, cinque dei quali a seguito di accordi precedenti il processo sulla base dei quali hanno ammesso la colpevolezza in cambio della possibilità di essere rilasciati. Sudan: liberati primi detenuti politici dopo amnistia presidente Omar al-Bashir Agi, 2 aprile 2013 Le autorità sudanesi hanno rilasciato sei prigionieri politici, i primi a beneficiare dell’indulto concesso ai detenuti politici dal presidente, Omar al-Bashir. I sei sono usciti di prigione sotto gli occhi dei giornalisti presenti e hanno potuto riabbracciare i familiari che li attendevano all’esterno del carcere di Kober, nella parte settentrionale di Khartoum; la gran parte erano stati arrestati due mesi fa, in occasione di una conferenza in Uganda a gennaio, in cui c’erano stati tensioni che avevano portato all’arresto di alcuni oppositori. Bashir, al potere da più di due decenni e inseguito da un mandato d’arresto della Corte Penale internazionale dell’Aja per i massacri nel Darfur, ha annunciato lunedì la liberazione di tutti i prigionieri politici del Paese per spianare la strada a un dialogo nazionale tra tutti i partiti e consentire la scrittura di una nuova Costituzione. L’opposizione è in attesa di vedere se, tra coloro che saranno liberati, ci sono anche i guerriglieri separatisti durante la guerra civile in Sudan: i miliziani dell’Splm-N, il Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan-Nord, il movimento ribelle che ha combattuto per quasi due anni le truppe governative nel Stati del Kordofan e del Nilo Azzurro. Siria: ribelli hanno avviato operazione militare per liberazione detenuti Aleppo Ansa, 2 aprile 2013 I ribelli siriani hanno avviato una vasta operazione militare ad Aleppo contro le prigioni del regime dove sono detenuti i prigionieri politici. Lo riferiscono gli attivisti e gli stessi insorti nella metropoli nel nord della Siria. Le fonti, che pubblicano in rete diversi video amatoriali, affermano che da 24 ore è cominciata l’operazione “Liberare i prigionieri”. Le forze dei ribelli assediano in queste ore l’ospedale al Kindi, a nord di Aleppo, da mesi trasformata in una vera e propria base militare delle milizie lealiste, e dove sono rinchiusi centinaia di attivisti. Gli insorti affermano di esser diretti anche verso il carcere di Meslimiyya, sempre ad Aleppo, diviso in un ala dei detenuti comuni e un’ala di prigionieri politici.