Giustizia: la colpa del male di Adriano Sofri La Repubblica, 29 aprile 2013 Si anela alla giustizia, poi non ci si crede più, e si ripiega sulla vendetta. Passato lo sbigottimento, quando avremo saputo tutto del signor Preiti, quando tutti i suoi parenti e conoscenti avranno dichiarato che “era un uomo normale, tranquillo”, scopriremo che non c’era niente da sapere, che un uomo tranquillo ha preso il treno, ha pernottato in una stamberga, si è messo giacca e cravatta ed è andato a sparare davanti al palazzo del governo. Diciamo la verità: qualcuno avrebbe immaginato una sparatoria a palazzo Chigi nel pieno del giuramento al Quirinale? E diciamo un’altra verità: quando la notizia si andava definendo, chi non ha sentito oscuramente che “c’era da aspettarselo”? Insinuare che l’azione di Preiti sia il frutto di una particolare retorica politica - del Movimento 5Stelle, precisamente - è una sciocchezza vergognosa. Lo sparatore tranquillo è interamente responsabile della sua azione premeditata. Però è anche un sintomo del malanno della nostra comunità. La differenza fra il “gesto di un pazzo” e quello di una persona “normale” è questa, in sostanza: che il primo appare come uno strappo inspiegabile alla trama ordinaria dell’esistenza comune, e il secondo rischia di apparire spiegabile, spiegabilissimo - se non giustificabile. (Le parole non impegnano oltre misura, ma è quello che segnalano i commenti del genere: “Che c’entrano i carabinieri, doveva mirare ai politici”). La diagnosi sta in questa sensazione angosciata: c’era da aspettarselo. È lei a impedire di chiudere il caso evocando la pazzia (se non è pazzo uno che va a uccidere bravi carabinieri e passanti casuali…). Chissà quanto il signor Preiti abbia saputo prevedere dell’effetto del suo gesto, che voleva “eclatante”. Ascoltavo alla radio i ministri che giuravano: provavo a dedurre, dal modo in cui ciascuno recitava la formula, degli indizi sui meno conosciuti. E all’improvviso i flash di agenzia sulla sparatoria di piazza Colonna si sono insinuati dentro la cerimonia, e le formule del giuramento si inframmezzavano alle notizie di fuori: di essere fedele alla Repubblica…, sparatoria a palazzo Chigi…, nell’interesse esclusivo della nazione…, agenti feriti…, di osservarne lealmente…, la piazza evacuata… L’Italia stava finalmente procurandosi un nuovo governo, ma al prezzo di una sparatoria cruenta. Era successo che un forsennato a Firenze aveva braccato i senegalesi per ucciderli e ferirli prima di morire lui, ma là il doppio scenario mancava. In cambio, “i politici” sono diventati i senegalesi di una gran parte degli italiani. Se la sono cercata, dicono i commenti. Infatti: qualcuno più, qualcuno meno, altri niente affatto. (I senegalesi poi niente affatto). Nell’incattivimento di una società, c’è almeno un concorso di colpa. Nella gara accanita all’irresponsabilità, siamo a questo punto: che ci si è rassegnati a non confidare più nella giustizia, e si ripiega sulla vendetta. “Un gesto eclatante”: non per trovare un lavoro migliore, o semplicemente un lavoro, non per far riconoscere le proprie ragioni, non per divincolarsi da debiti e umiliazioni. Per finirla col botto. Per vendicarsi. E chi agisce per vendicarsi, cerca negli altri almeno un posticino in cui farli sentire oscuramente vendicati. Arriva un giorno in cui la frase così affabilmente consueta a tante donne e uomini perbene, che a Montecitorio bisognerebbe metterci una bomba, ti fa mordere la lingua. “I politici” sono diventati la spiegazione della rovina e del malumore di un popolo e dei suoi membri solitari e perduti. La rovina succede, e può travolgere ogni riparo. Disgrazia si aggiunge a disgrazia, finché non si abbia più forze e speranze per provare a uscirne. Succede anche ai paesi interi, e loro fanno una gran fatica ad ammetterlo. Un piccolo imprenditore di se stesso si impicca, e buonanotte: poi si discetterà sulle statistiche dei suicidi, per vedere se la crisi c’entra o no. Un paese resiste di più, è fiero, pensa: “Voi non sapete chi sono io, la quinta potenza industriale…”. Poi può cedere. L’Italia è ricca di piazze in cui finirla. La rovina si compie prima di tutto nel linguaggio. La rete non lo suscita, lo rivela, e lo favoreggia. Nella guerra spietata che i ricchi conducono contro i poveri, gli impoveriti scelgono il bersaglio dei “politici”, cioè degli arricchiti. Ridistribuire la ricchezza sarebbe un atto di giustizia. Far fuori “i politici” è una vendetta. Non riduce lo stridor di denti, ma lo premia. Poi, come succede, si spara a due carabinieri da 1.400 euro al mese. Perciò dunque il gesto romano suona a suo modo prevedibile. Dopo di che, lo sparatore ha sparato “all’impazzata”, accontentandosi della piazza, pur vuota di politici. È a Montecitorio che oggi si va a commettere gesti insani, come su certi monumenti a buttarsi giù, e bisogna stenderci attorno reti di salvataggio. C’è anche un pò di americanizzazione. Negli Stati Uniti, quella combinazione fra omicidio e suicidio che sembrò una mutazione peculiare del fanatismo islamista, si manifesta come il desiderio di ammazzarsi portandosene dietro un bel mucchio. Compagni di scuola, avventori del grande magazzino, passeggeri del proprio treno: un gesto “eclatante”, attraverso cui lasciare un segno del proprio misconosciuto passaggio. Succede ormai anche in Europa: non come nell’assassino di massa norvegese che simula di condurre la sua crociata, ma nella gratuita strage che faccia punteggio. “Uccide sedici scolari, poi si spara”. Si riscattano così giornate di lavoretti saltuari e nottate di videogiochi e lontananze da un bambino di undici anni. Poi, a volte, alla fine prevale la paura e la viltà, e non ci si uccide affatto, e nemmeno i carabinieri ti uccidono, benché tu, dicono le cronache, glielo stia chiedendo: “Ammazzatemi”. “I politici”: sono i primi della lista, ormai. Prima dei padroni, dei giornalisti, dei magistrati, dei preti, dei medici e dei farmacisti. Appena dopo gli esattori delle imposte, di cui appaiono i mandanti. Sono la prima linea della società corrotta e arrogante. Che abbiano in tanti lasciato crescere e gonfiarsi così a lungo la tempesta in cui si trovano, ecco un’altra pazzia. E le distinzioni sono un argine pericolante o crollato: fra mezzo miliardo di euro rubati qua, e mille euro di francobolli per lettera rubati là. Tutti ladri. La disperazione e la rabbia che corrono nella società non devono diventare un ricatto contro chi provi a cambiarla e renderla meno ingiusta. Però bisogna sapere su quale orlo di vulcano si danza. Prima che lo sparatore della piazza domenicale bruci la distanza che separa la sua solitudine dalla stessa piazza di un giorno feriale, piena di ribollenti spiriti. Se gridi ai “politici”: “Siete tutti morti. Sei un morto che cammina”, non stai certo sobillando ad ammazzarli. Ma la volta che uno di loro sia morto e non cammini più, ci resterai male. Giustizia: premier Letta; situazione carceraria intollerabile, siamo Paese di Beccaria Ansa, 29 aprile 2013 "La ripresa avverrà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi delle decisioni della giustizia italiana". Così Enrico Letta, neopremier, alla Camera. "Tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell'uomo. Ricordiamoci che siamo il Paese di Beccaria. La giustizia deve essere giusta per i cittadini". Lo ha detto il premier Enrico Letta nel suo intervento alla Camera. Sappe: ariticità carcerarie siano al centro del nuovo esecutivo "Abbiamo apprezzato il passaggio che il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha voluto riservare alla insostenibilità della situazione penitenziari del Paese nel suo discorso programmatico al Parlamento. Lo ringraziamo sinceramente. Sono convinto che con la sua disponibilità e con quella del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, con lo sforzo sinergico di tutte le forze politiche, si possano trovare con ragionevole urgenza concreti soluzioni agli endemici problemi. Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è pronto a fare la propria parte”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Ci auguriamo che le sacrosante parole del Presidente del Consiglio” prosegue “possano dare una scossa salutare alla classe politica. Quel che a nostro avviso non serve per risolvere l’umiliante situazione del sovraffollamento degli istituti di pena è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria: per questo auspichiamo un avvicendamento degli attuali vertici dell’Amministrazione penitenziaria che vede attualmente a capo del Dipartimento dirigenti – come il Capo DAP Giovanni Tamburino ed il Vice capo Luigi Pagano - che non sono stati in grado di trovare valide soluzioni ai problemi penitenziari". Giustizia: le prime grane della Cancellieri su intercettazioni e “braccialetti” per i detenuti Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2013 Dal Viminale a via Arenula. Rosanna Cancellieri, donna di Stato, esegue e si trasferisce dall’Interno alla Giustizia senza battere ciglio. Sul tavolo troverà la proposta di limitare l’uso delle intercettazioni cui, oltre Silvio Berlusconi, buona parte dell’attuale Parlamento guarda con sempre maggior interesse. A Palazzo Piacentini Cancellieri porta anche le polemiche che in questi mesi l’hanno coinvolta. In particolare il capitolo legato al contratto che nel gennaio 2012 ha stipulato con Telecom Italia per il sistema di controllo a distanza per i detenuti agli arresti domiciliari. Il cosiddetto braccialetto elettronico. Un contratto da 80 milioni di euro che però la Corte dei Conti, nel settembre dello stesso anno, boccia bollando il programma di controllo come una operazione “antieconomica e inefficace”. Scrisse la Corte dei Conti: “Il rinnovo della Convenzione con la Telecom, per una durata settennale, dal 2012 fino al 2018, ha reiterato una spesa, relativamente ai braccialetti elettronici, antieconomica ed inefficace, che avrebbe dovuto essere almeno oggetto, prima della nuova stipula, di un approfondito esame, anche da parte del ministero della Giustizia, Dicastero più in grado di altri di valutare l’interesse operativo dei Magistrati, per appurare la praticabilità di un mancato rinnovo”. Secondo la Corte, inoltre, il rinnovo avrebbe “dovuto, o potuto, essere oggetto di riflessione e/o di trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte”. Ma ormai Cancellieri lo aveva rinnovato. Un affare solo per Telecom, a quanto pare. Dove nel frattempo, nel settembre 2012, diventa alto dirigente del settore amministrazione, finanza e controllo Piergiorgio Peluso, figlio del ministro Cancellieri. Peluso era direttore generale della Fondiaria Sai, per la quale gestiva la contabilità e dalla quale se ne va dopo 14 mesi, per andare a Telecom, intascando una liquidazione di 3 milioni 600 mila euro. Giustizia: il “caso marò” è priorità della Farnesina, Emma Bonino subito in trincea Quotidiano Nazionale, 29 aprile 2013 Il caso più spinoso, quello che richiederà più tempo, il massimo della prudenza ma anche l’indispensabile fermezza, è quello dei due marò in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Poco dopo aver giurato al Quirinale, nell’imminenza del passaggio delle consegne in programma nelle prossime ore, il neo ministro degli Esteri Emma Bonino sa perfettamente che quella dei fucilieri è una delle priorità, come confermano fonti vicine al ministero. Intanto l’ultimo intervento, venerdì, della Corte Suprema indiana ha di fatto avallato la scelta fatta dal governo di affidare alla polizia antiterrorismo (Nia) le nuove indagini su quanto avvenne quel pomeriggio del 15 febbraio quando la petroliera Enrica Lexie incrociò il peschereccio St. Antony nelle acque contigue indiane. Ma ha anche chiarito che l’inchiesta dovrà riferirsi alla sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio 2013, quando cioè il presidente dell’organismo, Altamas Kabir, annullò l’operato delle autorità del Kerala per vizio di giurisdizione, chiedendo nuove indagini e un tribunale speciale. Lo strumento di base da cui la Nia partirà, quindi, è la denuncia, perfezionata, presentata da Freddy, il proprietario del peschereccio, il 29 agosto 2012. Non si fa in nessun momento riferimento all’utilizzazione, assieme a vari articoli del codice penale indiano, della legge sulla sicurezza marittima (Sua Act), che prevede per i colpevoli la pena di morte. Parlando dell’inchiesta, in un’udienza a metà aprile in Corte Suprema il Procuratore generale della Repubblica indiano, Goolam Essaji Vahanvati, ha promesso la sua conclusione “nel giro di due mesi”, un tempo che è stato considerato “eccessivo” da parte italiana. In queste ultime ore comunque sia il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, sia “autorevoli fonti” governative a Delhi hanno chiarito alla stampa che la Nia potrà perfettamente lavorare senza fare ricorso al Sua Act. Fonti indiane insistono: “in qualsiasi caso non si manifesta la questione di fare ricorso alla pena di morte in questo caso, se la corte dovesse emettere un verdetto di colpevolezza”. Ora, quello che più interessa al governo italiano e ai legali dei marò è che il processo si metta in moto al più presto possibile, dopo le molte settimane perse quest’anno per questioni burocratiche. C’è infatti la convinzione che durante il dibattimento sarà possibile arrivare per la prima volta a una ricostruzione dei fatti in grado di scagionare i fucilieri dalle accuse loro rivolte. Giustizia: non solo marò… sono tremila gli italiani detenuti all’estero www.articolotre.com, 29 aprile 2013 Si parla tanto dei due marò, detenuti di “lusso” in India, ma la realtà ci racconta altre storie. Sono quasi 3 mila gli italiani in carcere all’estero, i “prigionieri del silenzio” come li hanno definiti i familiari che si sono costituiti in associazione. Il paese che ospita il maggior numero di ristretti italiani è la Germania, con 1400 persone in carcere, molti dei quali senza aver subito un equo processo. Casi nell’ombra, che non salgono alla ribalta mediatica e sono centinaia gli italiani che vedono calpestati all’estero i loro più elementari diritti. “Mio fratello - racconta una ragazza - è stato arrestato un anno e mezzo fa in Venezuela con 200 grammi di droga nella pancia, circa due ovuli. È detenuto in un carcere a Caracas, dove è ormai diventato tossicodipendente. È stato condannato a 12 anni e avevamo quasi ottenuto il beneficio che consentiva il trasferimento in una clinica di recupero. Ma hanno cambiato la legge. Lo si può avere soltanto se la pena è inferiore agli otto anni”. La disavventura è continuata quando la famiglia ha pagato 10 mila euro per un avvocato sul posto, che non solo non ha fatto nulla, ma se oggi gli si richiedono i soldi vanamente spesi, minaccia lo stesso detenuto. “ Addirittura ha avuto dei problemi, anche una famiglia che si è resa disponibile a darci una mano. Ci teniamo a dire a chiunque vada all’estero di stare molto attenti, perché quella che può sembrare una leggerezza, può trasformarsi nell’inizio di una tragedia. Spesso molte cose i nostri ragazzi non le sanno e si trovano in grossi guai”. Ma l’inferno lo conoscono anche le famiglie, con un arresto in terra straniera ha inizio un vero e proprio calvario. Anche i familiari rischiano, uno di loro si è presentato all’imbarco per il volo di ritorno dall’India, con il visto scaduto, una disattenzione, ed è stato arrestato. Per non parlare dei costi elevatissimi dell’assistenza legale e perizie per il familiare recluso , oltre ai costi dei viaggi e dei soggiorni. Situazioni di disagio cui si aggiunge l’ansia di non poter rivedere il proprio congiunto e di saperlo lontano da casa, alcuni anche per un decennio, come Francesco Stanzione, che è stato arrestato in Grecia nel 2001 e non ha ancora fatto ritorno. I casi noti sono la punta dell’iceberg, e un ruolo negativo è dato dall’immagine dell’Italia all’estero, che fatica, o si disinteressa, a far valere i suoi diritti. E loro? I detenuti? Certamente il carcere non è una bella vita, figurarsi poi se significa stare il cella in un mondo ancora più sconosciuto. Prigioni dove circolano tranquillamente droga e armi, dove la violenza è il vangelo. Un incubo. Ad esempio il carcere venezuelano di Los Teques, tristemente noto per le condizioni di vita inumane. Si trova a Caracas e quelli che vi hanno soggiornato o lo hanno visitato, lo definiscono un vero e proprio viaggio all’inferno. Violenza brutale, risse per procurarsi droga e controllarne lo spaccio, un posto in cui la vita non vale niente: un miracolo uscirne vivi. Attacchi quotidiani da parte degli agenti penitenziari e dei detenuti stessi, accanimento, abusi di potere. Si ha paura ad addormentarsi, per non essere aggrediti nel sonno, servizi igienici inesistenti, così come l’assistenza medica. Cibo immangiabile. I nuovi arrivati vengono etichettati come “carne fresca” ed è facilmente immaginabile cosa possa significare: agghiacciante. Ma così è l’India, il Brasile, gli Stati Uniti, così sono tante carceri europee, dove i nostri connazionali, che pure possono aver sbagliato, si trovano a fare i conti con difficoltà di lingua, pregiudizi razzisti, minacce ed estorsioni. E alcuni di loro, per mettere fine alle sofferenze, non trovano altro che dire basta, basta anche alla propria vita, alla propria esistenza. Giustizia: ok governo Letta, in cambio Berlusconi chiede indulto o nomina senatore a vita di Liana Milella La Repubblica, 29 aprile 2013 Non solo vuole essere nominato “padre costituente” della nuova costituzione, presiedendo la Convenzione per le riforme. Vuole garanzie sulla giustizia e misure per scongiurare eventuali condanne. Cosa farà Pd su corruzione, prescrizione e anti-riciclaggio? La paura è sempre la stessa, essere condannato, venir interdetto o, nella peggiore delle ipotesi, finire in cella. Mentre tratta, da potente leader del Pdl, per il nuovo governo, Berlusconi vive il suo atavico incubo, la catastrofe per via giudiziaria. I nomi sono quelli di sempre, Mediaset, Ruby, Unipol, De Gregorio, i processi in pista tra Milano e Napoli. I suoi avvocati sono preoccupati quanto lui. Si confessano. Il gioco si fa scoperto. Ma sarebbe sbagliato pensare che sono solo alla ricerca, pure stavolta, del salvacondotto miracoloso, della super-legge capace di ottenere quello in cui hanno fallito tante norme ad personam, i lodi, i legittimi impedimenti, le Cirami, le Cirielli. Ora la partita diventa molto più “alta”. La via “legislativo-giudiziaria” per evitare le sentenze e mettere nel nulla anni di inchieste si trasforma in una via “politico-giudiziaria”. Per dirla con Silvio: “È giunto il tempo di chiudere questa partita. Ora ci sono le condizioni per farlo”. Per come la illustrano i corifei del Cavaliere, la strategia si regge su un assunto semplice: nelle ore in cui l’ex premier rende praticabile un governo di salute pubblica, che salva il Paese dal baratro di nuove elezioni, egli non può cadere per via dei suoi processi. In qualsiasi grado di giudizio si trovino, prossimi o lontani dalla sentenza che siano, i dibattimenti devono fermarsi. Perché se andassero avanti, se si arrivasse alla sentenza definitiva, se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici, se dovesse fare i conti con la galera (e non cambia la prospettiva dei domiciliari), è ben evidente che il governo Letta prossimo venturo si trasformerebbe d’acchito in un fantasma. È questo il vero tema della trattativa di governo. Tema segreto, ovviamente. Coinvolge tutti, anche Napolitano, se è vero che proprio da lui Berlusconi si aspetta un passo molto importante, la sua nomina a senatore a vita. Un doppia nomina, in realtà. Nel progetto del Pdl il presidente della Repubblica dovrebbe scegliere Berlusconi, ma anche Romano Prodi, nel segno della grande pacificazione. Una mossa per chiudere, con un colpo solo, una guerra giudiziaria in atto da 20 anni. Il progetto è ambizioso. Svela, al contempo, ben cinque grandi difficoltà. La prima: i processi vicini alla conclusione. La seconda: l’impossibilità di trovare la legge giusta per chiuderli tutti e quattro in un sol colpo. La terza: il nuovo quadro politico con i grillini pronti a seminare la guerra tra Camera e Senato. La quarta: il Pd messo in discussione dai suoi giovani per il patto mortale con Berlusconi. La quinta: la paura che aggressioni come quelle di Franceschini, Fassina, Bindi possano diventare la prassi. Chi, in Parlamento, potrebbe affrontare una legge per mettere una pietra sui processi di Berlusconi? Questo complica la trattativa sulla giustizia e rischia di diventare un’ipoteca pesante non solo per il prossimo ministro Guardasigilli, ma anche per il Pd che dovrà barcamenarsi per mantenere gli impegni presi con i suoi elettori, una nuova legge anti-corruzione, la prescrizione più lunga, il reato di auto-riciclaggio (l’aveva promesso Letta, proprio a Repubblica, a dicembre). Invece sul tappeto il Pdl ha messo altro. Non sarà epoca di lodi, ma lo spazio per un provvedimento generale a favore dei detenuti e dei condannati, sia esso un’amnistia o un indulto o fortissime misure alternative all’attuale detenzione, questo dev’essere praticabile. E Napolitano - dicono le fonti vicine a Berlusconi - non potrebbe che essere d’accordo visti i suoi tanti interventi contro lo svilimento della vita carceraria. Vi è di più: un governo dal tratto istituzionale, che nasce sotto l’evidente usbergo del capo dello Stato, può anche permettersi una misura ampia, perché scritta per chiudere definitivamente una stagione politica, quella della “malagiustizia” (Ferrara, Il Foglio). I sogni, però, devono fare sempre i conti con la realtà. Quella di Berlusconi non è affatto rosea. Un processo chiuso in primo grado, Unipol, con un anno di pena. Potrebbe prescriversi. E sia. Un secondo processo, Mediaset, prossimo alla conclusione dell’appello. Rischio conferma della sentenza di 4 anni per frode fiscale e 5 d’interdizione. Cassazione stimata entro primavera 2014, prima della prescrizione. Ruby, la peggiore delle grane. Proprio Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico stretto di Berlusconi, si aspetta una condanna. Infine Napoli, la compravendita per De Gregorio, il grande punto interrogativo. Può saltare tutto questo? Possono i magistrati farsi carico della nuova stagione politica? Possono “rispettare” Berlusconi e mandarlo sistematicamente assolto? I fatti, quelli che contano: il 18 maggio la Cassazione decide sull’istanza di legittimo sospetto avanzata da Ghedini e Piero Longo. Nel palazzaccio la danno per bocciata al 98%, ma essa rappresenta la prima cartina al tornasole. Se fosse approvata, la partita per Berlusconi si trasferirebbe a Brescia, cioè sarebbe chiusa. Prim’ancora ecco altre due scadenze. Il 6 maggio il Csm sceglie il nuovo presidente della Suprema corte: Giorgio Santacroce, alta toga sponsorizzata dal centrodestra e dalla moderata Unicost, e che una volta andò a cena nello studio di Cesare Previti, o Luigi Rovelli, il candidato della sinistra? Berlusconi ha detto della Cassazione che è “il suo giudice a Berlino”. Infine la Consulta. All’inizio di maggio la decisione su Mediaset e un farlocco legittimo impedimento. Un consiglio dei ministri piazzato di lunedì, era il primo marzo 2010, per approvare “d’urgenza” un ddl anti-corruzione che poi aspetterà altri due mesi per entrare in Parlamento, e per far saltare un’udienza del processo. I berlusconiani sperano che una decisione favorevole faccia saltare l’intero processo. Alla Corte, martedì, hanno rinviato solo per evitare che uno scontato no potesse destabilizzare l’avvio del governo. La strada, come si vede, è stretta. Il Pdl agogna la via della grande pacificazione giudiziaria, ma tanti e tali sono i burroni da renderla perigliosa. Giustizia: amnistia e indulto, grimaldelli per salvare Berlusconi da carcere e interdizione di Marco Palombi Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2013 Il governo è fatto, la fiducia in Parlamento quasi una formalità, resta sempre quel problemino. Quale? I processi di Silvio Berlusconi, attualmente statista. Tralasciando quello per le intercettazioni Unipol (condanna a un anno in primo grado), a preoccupare davvero il Cavaliere sono due procedimenti: quello sulla compravendita di diritti tv (anche qui primo grado chiuso “in svantaggio” di quattro anni) e quello per concussione aggravata e “altro” nell’affaire Ruby, non lontano dalla sentenza. La faccenda non è tanto il rischio di andare effettivamente in prigione - nel breve periodo quasi inesistente tra indulto del 2006 e veneranda età dell’interessato (vedi legge ex Cirielli) - quanto quella brutta abitudine dei magistrati di comminare pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici: per i diritti tv già gli hanno dato cinque anni, di cui tre indultati, che rischiano di diventare definitivi ad inizio 2014 e impedire all’ex premier di candidarsi in caso di elezioni. Ovviamente non tutti si sono distratti in queste settimane e l’ostacolo che si frappone tra il Belpaese e le sue magnifiche sorti, e progressive, è ben presente a più di qualcuno. Ieri, per dire, Giuliano Ferrara ha dimostrato di ricordarselo pubblicando una sorta di arringa finale su “Il Giornale”. Titolo: “Ora i giudici devono deporre le armi”. Svolgimento: “Una condanna risulterebbe ad un numero impressionante di cittadini semplicemente ingiusta, il timbro finale di una storia accanita di eccessi legalistici e di tentativi maldestri di massacramento”, “un modo per prolungare l’interminabile guerricciola civile contro persone simbolo”. Conclusione: “Assolvete dunque, in nome e per conto dell’etica della responsabilità”. Purtroppo per il Cavaliere, però, infinite cantonate sui tentativi di appeasement con la magistratura tramite i buoni uffici di quel presidente della Repubblica o vicepresidente del Csm o Guardasigilli hanno dimostrato che questa strada non sempre funziona: basti ricordare il Berlusconi che rinfacciava al Quirinale la garanzia sulla non bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta. E allora? I migliori avvocati del nostro, come si sa, stanno nelle commissioni Giustizia, e non in Tribunale, e potrebbero sfruttare il nuovo clima di concordia per risolvere (di nuovo) il problema con una bella legge. E ce n’è una sola, data l’eterogeneità delle accuse a Berlusconi, che possa funzionare: concessione di amnistia e indulto. Questa via, peraltro, ha il pregio di permettere ai berluscones di mimetizzarsi nella sacrosanta battaglia di quei parlamentari - tutti di estrazione radicale o comunque vicini al partito del neoministro Bonino - che fanno una sacrosanta battaglia sulle condizioni carcerarie nel nostro paese: 139,7 detenuti ogni 100 posti, oltre 65mila il numero totale, il 30% tossicodipendenti, il 40% in attesa di giudizio definitivo. In parlamento, peraltro, ci sono già due ddl sul tema: uno del prodiano Sandro Gozi alla Camera, uno in Senato firmato da Luigi Manconi del Pd e Luigi Compagna del Pdl (in prestito al mini gruppo sudista), l’uomo che la scorsa legislatura tentò di restaurare l’immunità parlamentare con un altro ddl bipartisan. Del primo ddl ancora non è disponibile il testo, del secondo sì e la soluzione sarebbe davvero radicale: amnistia per i reati commessi fino al 14 marzo 2013 (esclusi alcuni, ma non quelli che riguardano Berlusconi), più un indulto di quattro anni con automatica cancellazione “per intero per le pene accessorie temporanee”. Insomma, dovessero condannarlo nel frattempo (e quindi l’amnistia va a vuoto), arriva la seconda lama dell’indulto. C’è un problema. Amnistia e indulto, da Costituzione, si approvano coi due terzi dei voti nelle due Camere: per un ddl senza il Cavaliere dentro i numeri probabilmente ci sono, in questa formulazione “corretta” col famoso salvacondotto è assai difficile. Giustizia: caso Aldrovandi; interrogazione Giovanardi (Pdl) su applicazione svuota-carceri Ansa, 29 aprile 2013 Un’interrogazione al ministro della Giustizia, a firma del senatore del Pdl, Carlo Giovanardi, sulla vicenda della morte di Federico Aldrovandi per “fare luce sulle reali motivazioni che hanno portato il Tribunale di Sorveglianza di Bologna a negare la detenzione domiciliare ai poliziotti Paolo Forlani e Luca Pollastri quando invece gli omologhi Uffici di Padova e Milano l’hanno concesso nei riguardi di Monica Segatto e Enzo Pontani”. A renderlo noto, in un comunicato è il sindacato di polizia Coisp. Nella sua interrogazione - riportata integralmente nel comunicato - Giovanardi, prima sottolinea come un uomo “condannato all’ergastolo in primo grado l’8 dicembre 2012 per omicidio volontario di un carabiniere e il ferimento di un altro, sia attualmente agli arresti domiciliari presso la Comunità di Don Mazzi”, e poi, in un altro passaggio, come “la legge cosiddetta svuota carceri dispone l’obbligatorietà della concessione agli arresti domiciliari quando residua un anno di carcere da scontare”. Considerato che i quattro agenti sono stato condannati a “tre anni e sei mesi per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi”, prosegue Giovanardi, e che “applicato il condono la residua pena da scontare è di sei mesi”, il senatore del Pdl conclude la sua interrogazione chiedendo al ministro della Giustizia “quali iniziative intenda assumere perché in Italia non ci siano così stridenti contraddizioni nel trattamento di cittadini che dovrebbero essere uguali davanti alla legge”. Lettera aperta di un uomo ombra a Papa Francesco www.carmelomusumeci.com, 29 aprile 2013 Caro Papa Francesco, scusa il tu ma mi trovo meglio. Io sono ateo, ma la tua elezione, non so perché, mi ha entusiasmato e mi sei piaciuto subito. In questi giorni nei giornali ho letto tante cose su di te. E, Francesco, il marito della figlia adottiva del mio cuore, mi ha scritto: “Il nuovo Papa in più occasioni s’è schierato dalla parte dei poveri in modi chiari e non equivoci. Quand’era Cardinale rispondeva a tutti, personalmente. Sembra proprio il tipo che non rispetta i protocolli. Sono sicuro che se gli scriverai ti risponderà. E se lo inviterai, ti verrà a trovare. Non potrà rimanere indifferente all’ergastolo ostativo. La semplicità e la profondità nel suo parlare a braccio ha la forza di chi si schiera. È ormai noto che il suo essere ispirato da S. Francesco (Santo che fu pure carcerato). Da cardinale andava a trovare i detenuti nei carceri del suo paese”. Papa Francesco, scusa se non mi sono ancora presentato, lo faccio subito, mi chiamo Carmelo, sono nato colpevole. Poi, però, ci ho messo del mio a diventarlo. Sono un uomo ombra, così si chiamano fra loro gli ergastolani condannati alla “Pena di Morte Viva”, come chiamiamo la condanna all’ergastolo ostativo, che ti mura vivo senza la compassione di ucciderti. Là, fuori, nel mondo dei vivi, aldilà del muro di cinta, ho una compagna, due figli e due nipotini che senza nessuna speranza mi stanno aspettando da ventidue anni. Papa Francesco, prega Dio per noi di farci morire affinché la nostra sofferenza abbia finalmente una fine. Lo so, non lo puoi fare perché è peccato, ma lui non è cattivo come gli umani e capirà che per molti uomini ombra è molto meglio morire che vivere. Papa Francesco, il dolore di un uomo ombra, che per legge non tornerà mai libero, è come l’acqua di una fonte: non si arresta mai. E molti di noi hanno perso persino il desiderio di pensare, altri anche di vivere una non-vita. Siamo stanchi che per noi non ci sia nessuna compassione, né speranza, forse neppure più nessun Dio. Per noi non c’è più niente, c’è solo sofferenza. Papa Francesco, con l’ergastolo la vita e la morte si confondono, perché gli uomini ombra non appartengono più a questo mondo, sono come fantasmi, non sono né morti, né vivi. Vieni a trovarci, siamo nella sezione AS1, Reparto 7, Lato A e sappi che su 31 detenuti siamo in 25 ergastolani che ininterrottamente hanno scontato decenni e decenni di carcere. Io non credo ai miracoli, per gli uomini ombra non ce ne sono, ma quello stupido del mio cuore ci spera che tu venga. Se pensi però di venirci a trovare, sbrigati e fallo prima del 16 settembre perché dopo quella data rischi di non trovarci più perché inizieremo uno sciopero della fame ad oltranza per chiedere con la nostra vita l’abolizione in Italia della Pena di Morte Viva. Papa Francesco, hai chiesto di pregare per te, ma io non so pregare, ti posso mandare solo un sorriso fra le sbarre. Carmelo Musumeci Carcere di Padova aprile 2013 Sassari: dai Comini un lavoro ai detenuti, progetto utile per l’intera comunità di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 29 aprile 2013 A otto detenuti delle carceri di Sassari e Alghero sarà data la possibilità di uscire dalla cella e andare a lavorare. In un momento di disoccupazione nera, sarà doppia la soddisfazione dei “prigionieri” coinvolti in due progetti nati dall’accordo fra il Tribunale di Sorveglianza e i Comuni di Sassari e Sorso, che hanno trovato pochi ma preziosi fondi per aiutare gli ultimi degli ultimi, quelli che, dietro le sbarre, rischiano di essere dimenticati da tutti. In quattro, invece, saranno selezionati sulla base di requisiti - tra i condannati definitivi che possano godere di misure alternative, oppure imputati in attesa di giudizio - per andare a sistemare l’archivio del Tribunale di Sorveglianza, per favorirne la consultazione. Impareranno le tecniche si catalogazione, e saranno rimborsati, per il lavoro di circa un anno - con orario da stabilire - con 8mila euro messi a disposizione dal Comune di Sassari. Sono destinati ai detenuti o ex detenuti ma residenti a Sorso invece le risorse che l’amministrazione di Giuseppe Morghen ha trovato per il secondo dei progetti “Servizio civico”. Altri quattro che devono scontare la pena con una misura alternativa, saranno destinati alla pulizia del centro del paese, del giardino di santa Monica e di quello pubblico comunale, per circa 20 ore a settimana (indennità mensile: 415 euro). E poi, all’apertura e chiusura dello stadio Madau, oltre al diserbo e alla pulizia a bordo campo (25 ore settimanali, 415 euro di indennità mensile). Infine, saranno impiegati per le pulizie di uffici comunali (15 ore a settimana, 380 euro al mese). Il progetto dura un anno ed è finanziato col Fondo unico dei servizi sociali per consentire ai quattro detenuti di alternarsi in turni da tre mesi. Ai reclusi originari di Sorso che dovessero trovarsi fuori dal Comune, saranno rimborsati anche i biglietti per l’autobus. Non è la prima volta che il paese costiero sperimenta un piano dalla doppia valenza: far lavorare le categorie più deboli e consentire il reinserimento dei detenuti, imperativo costituzionale ben poco applicato. Accade già allo stagno di Platamona. È stato questo il principio che ha ispirato l’iniziativa del presidente del Tribunale di Sorveglianza, Maria Antonia Vertaldi, col sostegno del responsabile dell’Area detenuti del provveditorato regionale del Dap, Giampaolo Cassitta, dell’ufficio Esecuzione penale esterna, delle direttrici degli istituti, la coop Andanas de Amistade e dell’Ateneo, col quale il Tribunale ha un accordo. È un protocollo che punta a praticare la giustizia “riparativa”, processo di responsabilizzazione del condannato che cerca la riabilitazione anche impegnandosi a fare qualcosa per la propria vittima, sebbene ora intesa come comunità, in una concezione più ampia. “L’obiettivo delle due convenzioni - spiega l’alto magistrato - è promuovere il reinserimento sociale delle persone detenute attraverso la formazione professionale, facilitare l’acquisizione di competenze tecniche e lo sviluppo di una crescita personale”. Venezia: scampoli di pubblicità per le “Malefatte”, borse ecologiche create dai carcerati di Vittorio Tonon La Nuova Venezia, 29 aprile 2013 Un’interessante collaborazione tra la Collezione Peggy Guggenheim e la Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri ha portato, fin dal primo giorno, ad un ottimo risultato, a delle ricercate opere e, soprattutto, alla continua e mai troppo ripetitiva divulgazione (e arricchimento) della cultura. Da qualche giorno allo shop della Guggenheim - così come da qualche tempo in altri musei e fondazioni della città - sono esposte e in vendita le famose borse “Malefatte”, una linea di borse interamente realizzate nei laboratori di serigrafia e pelletteria del carcere maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia. Le borse, che prendono il nome dal progetto ideato dalla Cooperativa e a cui per la prima (ma non ultima volta) ha aderito la Guggenheim da quest’anno, sono pezzi unici, creati a mano con i banner in pvc e capaci di coniugare intento artistico, sociale ed ecologico con un tocco di ironia. Si tratta di creazioni da collezione, che nascono dai frammenti di grandi striscioni pubblicitari delle passate mostre temporanee, decontestualizzati e ricuciti per dar vita a lavori originali, non seriali, pronti al trasporto. Dal momento che il materiale di composizione viene dalle mostre della Guggenheim, ciò che le borse potevano trasportare non poteva essere altro che arte. Ciascuna borsa, infatti, contiene al suo interno il catalogo di un’esposizione passata, diventando così un originale strumento che porta l’arte a viaggiare in tutto il mondo. E chiunque acquisti una borsa “Malefatte” potrà scattare una foto della sua Banner Bag in un luogo d’arte e postarla direttamente sulla pagina Facebook del museo. I prezzi variano dai 12,90 euro degli astucci ai 78,90 euro del modello Super Ross, un comodo e capiente tascapane a tracolla. Oltre ai più che entusiastici e interessati commenti su Facebook alle foto e alla notizia della vendita delle borse, già a mezzogiorno di giovedì erano stati acquistati alcuni pezzi (qualcuno anche per corrispondenza). La vendita delle borse proseguirà fino a esaurimento delle scorte. La Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri gestisce dal 1994 attività di formazione professionale e lavorazioni artigianali all’interno delle carceri veneziane e promuove forme innovative di impresa sociale. Salerno: diritti dei detenuti, in campo penalisti, assessori e Radicali di Angela Caso La Città di Salerno, 29 aprile 2013 Troppi detenuti nelle carceri italiane e la struttura di Fuorni non fa, purtroppo, eccezione. Costruita per accogliere 280 persone, al momento ne ospita 550. E nel 60 per cento dei casi si tratta di detenuti in attesa di giudizio. “È un triste primato - commenta il segretario dei Radicali Donato Salzano - perché la media nazionale è del 42 per cento ed è, già di per sé, la più alta tra quelle europee”. I dati sono stati resi noti nel corso della conferenza stampa di presentazione della nuova campagna organizzata dai Radicali e da tantissime altre associazioni per promuovere la firma di tre proposte di legge di iniziativa popolare: introduzione del reato di tortura nel codice penale, introduzione del numero chiuso nelle carceri e modifica delle legge sulle droghe Giovanardi-Fini. “Il problema del sovraffollamento delle carceri è dirompente - ha commentato il segretario della Camera Penale Saverio Accarino. Non si può rimanere silenti. L’Italia è stata condannata perché non siamo in grado di consentire condizioni degne di un essere umano ai nostri carcerati. Ci sono strutture in cui in una stanza si trovano otto persone. È una situazione che grida allo scandalo eppure questo resta un tema estraneo al dibattito politico quotidiano. Le tre leggi di iniziativa popolare consentirebbero la decongestione delle strutture”. Una situazione drammatica quindi che potrebbe essere migliorata grazie alla partecipazione attiva dei cittadini. “Esiste la presunzione d’innocenza e l’istituto di custodia cautelare - ha continuato Salzano - deve rappresentare l’eccezione e non la regola. Invece questo istituto diventa spesso l’unico strumento d’indagine che utilizzano i magistrati”. La campagna, partita lo scorso 9 aprile, ha consentito di raccogliere in una sola giornata diecimila firme in tutta Italia. Per sottoscrivere le proposta di legge ci si può recare nelle sedi periferiche dell’anagrafe o negli uffici degli assessori comunali che hanno aderito all’iniziativa, ovvero Buonaiuto, Guerra, Maraio e Calabrese. Roma: progetto “Ricuciamo”, un laboratorio di sartoria per le detenute di Rebibbia Dire, 29 aprile 2013 Macchine da cucire, ferri da stiro e manichini. Tutto in una piccola sala all’interno della sezione femminile del carcere di Rebibbia, a Roma. Un laboratorio di sartoria per “Ricuciamo”, il progetto che partirà da venerdì, presentato oggi alla casa circondariale dal vicesindaco della Capitale, Sveva Belviso, e il garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Filippo Pegorari, destinato a 12 detenute, metà italiane e metà straniere, con l’obiettivo di insegnare loro una nuova professione, per riabilitarle ed emanciparle economicamente. Il corso di formazione di nove mesi, tenuto da docenti dell’accademia Altieri, porterà alla realizzazione della linea di capi d’abbigliamento “Neroluce” che saranno venduti attraverso mostre e presentati alla manifestazione Alta Roma Alta Moda. Gli introiti derivanti dalla vendita verranno utilizzati per la retribuzione delle detenute e reinvestiti nel progetto. “I detenuti che non partecipano a programmi di reinserimento hanno il 70% di possibilità di tornare a commettere reati- ha sottolineato Belviso durante l’incontro con le detenute. Chi invece ha potuto riavvicinarsi alla società attraverso un impiego ha solo due probabilità su dieci di sbagliare ancora. Questa esperienza darà alle donne gli strumenti di sostegno per affrontare le paure e le insicurezze e per ricostruire la propria normalità”. “Il corso - ha concluso Pegorari - è importante perché conferisce alle detenute una professionalità facilmente spendibile dopo la detenzione e offre la possibilità di ricavare un reddito dal lavoro svolto”. Firenze: all’Opg di Montelupo detenuto brucia materasso e provoca principio di incendio Ansa, 29 aprile 2013 Un incendio si è sviluppato la notte scorsa in una cella dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze). I tre piani della struttura, che ospita circa 150 persone, sono stati evacuati per alcune ore. Le fiamme sarebbero state appiccate da un detenuto ad un materasso. Tre agenti della polizia penitenziaria sono rimasti lievemente intossicati. L’incendio è scoppiato al primo piano della struttura, poco dopo le cinque. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco di Empoli e Firenze. Il loro intervento è terminato intorno alle 9. Più che il fuoco, che sarebbe stato spento in breve, i danni maggiori, compresi quelli sanitari alle guardie, li ha provocati il fumo. La cella, comunque, non avrebbe riportato danni strutturali. Montelupo: evacuato l’ospedale psichiatrico giudiziario (Nove da Firenze) Le fiamme in una cella al primo piano. I tre piani della struttura, che ospita circa 150 persone, sono stati evacuati per alcune ore. Più che il fuoco i problemi sono arrivati dal fumo: quattro le guardie intossicate. Attimi di paura la notte scorsa all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino (Firenze). Colpa di un incendio, che si è sviluppato in una delle celle della struttura, che pare sia stato appiccato da un detenuto ad un materasso. I tre piani della struttura, che ospita circa 150 persone, sono stati evacuati per alcune ore. Tre agenti della polizia penitenziaria sono rimasti lievemente intossicati. Il rogo è scoppiato al primo piano della struttura, poco dopo le cinque. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco di Empoli e Firenze. Il loro intervento è terminato intorno alle 9. Più che il fuoco, che sarebbe stato spento in breve, i danni maggiori, compresi quelli sanitari alle guardie, li ha provocati il fumo. La cella, comunque, non avrebbe riportato danni strutturali. Le conferme su quanto accaduto sono arrivate nel corso della mattinata direttamente dal segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece: “Un internato ha dato fuoco ad un materasso nella sua cella”. Capece plaude a “tutto il reparto di polizia penitenziaria di Montelupo” e spiega che i poliziotti “tuttora in osservazione in ospedale per l’intossicazione da fumo” sono quattro. “Questo episodio - conclude il sindacalista - deve fare riflettere, e molto, sul futuro degli internati e sulla loro custodia dopo la prevista chiusura di tutti gli Ospedali psichiatrici giudiziari”. Cagliari: Sdr; comandante Buoncammino assegnato a Prap, carcere manca di dirigenza Agenparl, 29 aprile 2013 “La Casa Circondariale di Cagliari non può andare avanti senza un vice Direttore e con un Comandante provvisorio. È indispensabile che l’amministrazione penitenziaria prenda a cuore la situazione della struttura detentiva più importante dell’isola”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che “la dott.ssa Michela Cangiano, commissario, comandante della Polizia Penitenziaria è stata assegnata al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria”. “Mentre è aumentato in modo esponenziale, negli ultimi anni, il numero dei cittadini privati della libertà nel carcere di Buoncammino - osserva Caligaris - si è registrato per contro un indebolimento della dirigenza. La responsabilità nella gestione dell’Istituto ricade interamente sul Direttore che, pur di grande esperienza, non può far fronte alle numerose problematiche di una realtà così complessa anche perché deve curare la Colonia Penale di Mamone. Non si può dimenticare che quando il Direttore gode delle ferie o in caso di malattia un altro collega, peraltro già con un incarico, deve assumere la gestione di Buoncammino. Una situazione insostenibile specialmente se manca un Vice e il Comandante è provvisorio”. “Riteniamo che non solo i ripetuti gesti di autolesionismo da parte di detenuti con gravi problemi psichici ma anche la sparizione e il successivo rinvenimento nelle docce, dopo un’accurata ispezione cella per cella, di un mestolo di metallo, sottratto durante la distribuzione del cibo e trasformato in un’arma da taglio, avrebbero dovuto far comprendere al Dap - conclude la presidente di SdR - l’urgenza di dotare l’Istituto almeno di un Vice Direttore, invece, ancora una volta è stata ignorata una situazione difficile facendo ricadere responsabilità più pesanti sugli Agenti in servizio”. Enna: interrogazione al Senato su chiusura carceri di Nicosia, Mistretta e Modica www.vivienna.it, 29 aprile 2013 Sulla chiusura delle carceri di Nicosia, Mistretta e Modica la senatrice del Pd Venera Padua ha preannunciato che presenterà un’interrogazione urgente per opporsi alla chiusura delle tre strutture carcerarie dove per la senatrice viene rispettata “la finalità costituzionale di recupero sociale e civile delle persone detenute che, in queste strutture trova piena attuazione, per la piena collaborazione tra Direzione, Polizia Penitenziaria e tutti gli altri soggetti che vi operano”. La speranza è che il carcere venga riconvertito in casa di reclusione, anche se per l’erario si tratterebbe di una spesa troppo onerosa e per questo l’amministrazione Malfitano aveva annunciato di volere farsi carico delle spese di ristrutturazione. Pescara: colletta del libro, 360 volumi in dono ai detenuti da associazioni di volontariato Il Centro, 29 aprile 2013 Sono stati ben 360 i volumi acquistati e donati sabato scorso, 27 aprile, nel corso della prima edizione della Colletta del Libro, l’originale iniziativa promossa dall’associazione di volontariato Stella del Mare, Caritas Diocesana Pescara-Penne, e Casa Circondariale di Pescara, con il sostegno del Centro Servizi per il Volontariato di Pescara, che si è svolta in cinque librerie di Pescara: Edizioni San Paolo, Mondadori, Librincentro, Feltrinelli e Giunti al Punto. I volumi donati, per un valore complessivo di 2.963 euro, saranno ora distribuiti al carcere di Pescara e ad alcune strutture di accoglienza di minori disagiati: il centro di aiuto allo studio gestito dall’associazione Stella del Mare a Pescara, e la comunità L’Aquilone di Spoltore gestita dalla cooperativa Kaleidos. Ad accogliere i clienti nelle cinque librerie, una cinquantina di volontari, di cui dieci detenuti del carcere di Pescara, in permesso ex articolo 21, che hanno spiegato il senso dell’iniziativa: donare romanzi e racconti a chi vive nel disagio, come opportunità di rinascita e di crescita. Raccontano i promotori: “Siamo molto soddisfatti per la riuscita di un’iniziativa che, alla sua prima edizione, ha catturato il consenso di moltissime persone, che con entusiasmo hanno scelto di donare questi volumi, testimoniando la condivisione della nostra proposta: la cultura come volano di rinascita per chi vive nel disagio e nell’emarginazione, contribuendo alla loro educazione e alla necessaria apertura di orizzonti. Siamo stati spettatori di una gara di solidarietà e di riconciliazione, perché donare un libro destinandolo ai detenuti è un grande segno di civiltà e di vicinanza a chi ha sbagliato, dandogli l’opportunità di ripartire su basi diverse. Sarà nostra cura, adesso, consegnare questi libri ai destinatari, a partire dal carcere. Siamo certi che ripeteremo questo gesto anche l’anno prossimo. Il nostro sentito grazie va a tutte le persone che hanno donato, a tutte le librerie che si sono coinvolte, ai volontari e a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa”. La Colletta ha avuto il patrocinio del Comune e della Provincia di Pescara. Roma: tentativo d’evasione di un etiope, ha tentato di scavalcare il muro di Regina Coeli La Repubblica, 29 aprile 2013 Sventato tentativo di evasione dal personale di Polizia Penitenziaria intervenuto immediatamente. Un detenuto etiope, dell’VIII sezione, ha cercato di scavalcare il muro dei passeggi della propria zona, raggiungendo i passeggi della III per poi essere fermato tempestivamente nei passeggi della I sezione. Attualmente a Regina Coeli risultano ristretti circa 1.050 detenuti, i dati purtroppo evidenziano il sovraffollamento dell’istituto romano che non è da meno rispetto ai restanti istituti penitenziari del Lazio. Mentre nei 14 penitenziari della regione Lazio sono recluse 7.201 persone a fronte di una capienza regolamentare di 4.838 posti, quasi tre mila detenuti oltre la capienza massima. Padova: il teatro rende liberi, anche in un carcere di Vera Mantengoli Il Mattino di Padova, 29 aprile 2013 Il carcere come privazione della libertà? Non è detto. Per chi fa teatro il carcere può essere addirittura il luogo in assoluto più libero dove la creazione di una trama non dipende dalle esigenze di mercato, ma dalla necessità autentica di raccontare la propria storia. Ieri Riccardo III si è tolto il mantello regale ed è entrato nel carcere femminile dell’Isola della Giudecca, per due ore con un paio di scarpe da ginnastica e un cappellino con visiera. Dietro il muro non tutte sapevano che l’uomo che stava varcando il cancello di controllo era il direttore artistico del Teatro Stabile del Veneto, Alessandro Gassmann, in questi giorni in scena al Teatro Goldoni con la tragedia di Shakespeare. Le donne presenti nella sala polivalente del carcere erano lì prima di tutto per il teatro, poi per conoscere dal vivo un grande attore e, infine, per sentire qualche parola sulla magia che il regista Michalis Traitsis, presidente dell’associazione Balamòs Teatro, è riuscito a portare da qualche anno negli istituti di pena. Non sono bastate le sedie disposta a cerchio. Le donne arrivavano una dopo l’altra e restavano lì in piedi a guardare, ad ascoltare e anche a ridere divertite come è accaduto quando qualcuna ha chiesto spontaneamente “Ma chi è Alessandro Gassmann?” o quando un’altra ha proposto di ballare una danza tradizionale zingara se mai per caso Gassmann avrà intenzione di girare un film che la preveda. Cinesi, rumene, africane e italiane. Capelli lisci, raccolti, con cresta colorata. Tuta, gonna, stivali o scarpe da ginnastica. I volti sono curati e traspare dagli occhi di molte la speranza di ricominciare, come ha intonato la musicista nigeriana Rachel in una canzone scritta da lei, “My life” che ha riscosso un grande applauso alle parole “dopo la pioggia tornerà il sole”. Un piccolo mondo che riflette quello fuori, ma ampliandone le difficoltà. Non sul palcoscenico però, dove tutti siamo uguali. “Il teatro unisce ed elimina le differenze” ha detto Gassmann, accompagnato dal suo assistente Massimo Tamalio e dalla coordinatrice del Goldoni Jacqueline Gallo “e in carcere, per paradosso, può esserci più libertà che fuori per raccontare la propria storia”. Anche la direttrice Gabriella Straffi è d’accordo, ma la realtà è che i soldi mancano e i primi tagli vengono fatti alla cultura. Eppure in questo primo incontro, risultato del protocollo di collaborazione firmato da Balamòs, Teatro Stabile e Istituti di Pena di Venezia, un primo passo è stato fatto: si è respirato il desiderio di rompere le barriere e di realizzare un percorso di crescita attraverso l’arte, e ci si è avvicinati al sogno del regista: trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Messico: 13 morti negli scontri scoppiati tra bande rivali nel carcere La Pila Adnkronos, 29 aprile 2013 Sono almeno 13 le persone rimaste uccise negli scontri scoppiati tra bande rivali nel carcere La Pila dello stato centrale messicano di San Luis Potosi. Stando a quanto reso noto dall’ufficio del procuratore generale dello stato, un gruppo di carcerati ha attaccato gli esponenti della banda rivale con coltelli fabbricati con mezzi di fortuna. Alle guardie carcerarie sono servite diverse ore per riportare la situazione alla tranquillità. Siria: 60 detenuti, tra cui 12 condannati a morte, fuggiti dal carcere di Qamishli Nova, 29 aprile 2013 Un gruppo composto da circa 60 detenuti siriani, tra cui 12 condannati a morte, sono fuggiti ieri dal carcere di Qamishli, in un’area a maggioranza curda situata nell’area nord-orientale del paese, in seguito a una rivolta scoppiata nel penitenziario. I detenuti, secondo quanto riferisce l’emittente televisiva “al Maiadin”, sono riusciti ad imprigionare e a rinchiudere in cella le guardie penitenziarie e successivamente a evadere. Alcuni degli evasi sarebbero riusciti anche a fuggire in territorio turco con le armi sequestrate dall’arsenale del carcere e si ritiene, per questo motivo, che possano unirsi alle forze ribelli che combattono contro il regime di Bashar al Assad. Le autorità della Giordania, intanto, ieri hanno annunciato l’arrivo di altri 3.989 profughi siriani, in gran parte donne, bambini e anziani. Una fonte ufficiale dell’esercito giordano ha riferito che tra i nuovi arrivati c’erano 34 feriti, tutti trasferiti nei centri di accoglienza predisposti dalle autorità di Amman. Corea Nord: turista Usa a processo per crimini contro il regime, rischia la pena di morte Il Giornale, 29 aprile 2013 Sarà processato per crimini contro il regime. E rischia la pena di morte Kenneth Bae, il turista americano di 44 anni, che dall’anno scorso si trova in carcere in Corea del Nord. Ora è stato reso noto che sarà processato per “crimini” contro la dittatura di Pyongyang; crimini fra i quali, per esempio, avere fotografato alcuni bambini senza fissa dimora. Ad annunciarlo sono state proprio le autorità nordcoreane: una nuova dichiarazione ostile che arriva dopo settimane di minacce di lancio di missili e di attacchi alla Corea del Sud e alle basi americane nell’area, in un momento di rapporti particolarmente tesi con gli Stati Uniti. Bae è detenuto dal 3 novembre scorso. Pae Jun-Ho, come è chiamato in coreano, viaggiava con altri cinque turisti ed è stato fermato nella città di Rajin. Secondo quanto riporta l’agenzia di stato della Corea del Nord, la Kcna, “nel corso delle indagini ha ammesso di aver commesso crimini” contro la Corea del Nord, crimini che “sono confermati dalle prove” e di “avere ostilità” nei confronti della “Repubblica popolare nordcoreana”. La dichiarazione aggiunge anche che presto Kenneth Bae sarà portato davanti alla Corte Suprema per essere giudicato. Emirati Arabi: tre britannici condannati per droga denunciano torture Asca, 29 aprile 2013 Un tribunale degli Emirati Arabi Uniti ha condannato a quattro anni di carcere tre giovani britannici accusati di possesso di droga, i quali hanno denunciato di essere stati torturati in prigione. La sentenza contro Grant Cameron, Karl Williams e Suneet Jeerth, tutti venticinquenni, giunge il giorno prima della visita del presidente degli Emirati, Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahayan, in Gran Bretagna, dove si pensa che il caso verrà discusso nel corso degli incontri ufficiali. I tre turisti erano stati arrestati lo scorso 10 luglio, con l'accusa di possesso e tentata vendita di oltre un chilo di cannabis sintetica, conosciuta come Spice. L'accusa era stata in seguito derubricata da tentato spaccio a possesso e consumo di droga. L'organizzazione non governativa britannica Reprieve ha reso noto che i tre sono stati "soggetti a torture, inclusi il pestaggio e gli shock elettrici" dalla polizia dello stato del Golfo e ha fatto appello al primo ministro David Cameron affinché affronti il problema con lo sceicco dell'Emirato. Il caso dei tre giovani britannici è stato portato alla luce anche da Human Rights Watch e Amnesty International, ma le autorità degli Emirati Arabi Uniti ha negato le accuse, definendole "senza prove".