Giustizia: diritti umani; dossier Usa critica Italia per polizia violenta, carceri affollate, Cie di Davide Falcioni www.fanpage.it, 22 aprile 2013 Un dossier governativo analizza la situazione di 190 Paesi. Nel nostro, sotto accusa forze dell’ordine, carceri, Cie, diritti dei rom, violenza sulle donne. Il report è stato redatto dal governo statunitense e presentato due giorni fa dal Segretario di Stato Jonh Kerry, che in una lunga lettera ha precisato che è interesse degli Usa “promuovere i diritti universali di tutte le persone. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo il governo americano i “principali problemi risiedono nelle condizioni dei detenuti, con le carceri sovraffollate, la creazione dei Cie per i migranti, i pregiudizi e l’esclusione sociale di alcune comunità”. Senza dimenticare “l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, un sistema giudiziario inefficiente, violenza e molestie sulle donne, lo sfruttamento sessuale dei minori, le aggressioni agli omosessuali, bisessuali e trans e la discriminazione sui luoghi di lavoro sulla base dell’orientamento sessuale”. Al sud, denunciati anche i casi di sfruttamento di lavoratori irregolari. Il prende in esame il caso di Federico Aldrovandi e quello di Marcello Valentino Gomez Cortes, entrambi uccisi a seguito di normali controlli di polizia. Ma si critica anche l’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento giuridico e le violenze che subiscono autori di piccoli reati da parte di alcuni agenti. Sotto accusa anche i rimpatri forzati degli immigrati irregolari, oppure la loro detenzione nei centri di identificazione ed espulsione: “Il 24 maggio decine di detenuti in un centro di Roma sono stati coinvolti in una rivolta contro quattro guardie, che hanno utilizzato gas lacrimogeni per impedirne la fuga. L’episodio ha seguito le proteste della settimana precedente nei Cie di Modena e Bologna. Un rapporto del Comitato dei Diritti Umani del Senato ha denunciato la promiscuità tra adulti e minori, il sovraffollamento, i lunghi periodi di detenzione e l’inadeguato accesso di avvocati e mediatori culturali”. Sotto accusa anche le frequenti discriminazioni ai danni dei cittadini rom: “Le violenze nei confronti di rom, sinti e camminanti rimangono un problema. Durante il 2012 le popolazioni rom sono state sottoposte a discriminazioni da parte di autorità comunali, soprattutto attraverso sgomberi forzati non autorizzati”. Naturalmente il report governativo non tralascia le violenze sulle donne, il femminicidio, l’antisemitismo e il lavoro nero. Giustizia: carceri sovraffollate, il Dap avvia ricognizione per accertare la capienza effettiva Notizie Radicali, 22 aprile 2013 Il Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria il 10 aprile 2013 ha inviato una nota ai Provveditori Regionali, al Capo del Dipartimento, al Vice Capi del Dipartimento, al Direttore Generale dei Detenuti e del trattamento, al Direttore Generale del Personale e della formazione, al Direttore Generale del Bilancio e della contabilità, al Direttore Generale dell’Esecuzione Penale Esterna, al Direttore dell’Issp e al Direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e del controllo. La nota ha per oggetto: “Sentenze Corte Europea e dei diritti dell’Uomo (Cedu) 8 gennaio 2013, Torreggiani ed altri c. Italia, e 29 gennaio 2013, Cirillo c. Italia”. Di fatto si avvia un’indagine conoscitiva sulla situazione delle carceri in Italia. E naturalmente conforta che dal ministero di Giustizia vogliano conoscere la situazione carceraria italiana. Dice infatti la circolare: “Con riferimento alle risultanze delle sentenze citate in oggetto, relative a condanne dell’Italia in procedimenti attivati da detenuti ristretti in camere eccessivamente sovraffollate, si comunica quanto segue. Il numero attuale dei detenuti ammonta a circa 67.000 contro circa 45.000 posti regolamentari, quindi la percentuale media di sovraffollamento è pari circa al 50%. Quindi, nelle attuali camere di pernottamento, la superficie di spazio vitale non dovrebbe scendere sotto il valore di 4/5 mq per detenuto e/o internato; dunque, se il patrimonio immobiliare fosse organicamente, correttamente e completamente gestito e utilizzato, non si potrebbe superare, in negativo, il valore limite di 3 mq di spazio vitale per detenuto, al di sotto del quale l’individuo è considerato in ristretto in condizioni di “tortura”. Tuttavia, a causa delle note condizioni di sovraffollamento, in molti istituti tale percentuale mediamente ammonta al 100%, con punte fino al 500%, segno evidente che la distribuzione dei detenuti sul territorio nazionale non è comunque effettuata in maniera razionalmente economica rispetto alle risorse disponibili. Inoltre, si deduce che probabilmente i dati periodicamente forniti dalle articolazioni territoriali rispetto alla capienze regolamentari si riferiscono alle capienze degli interi complessi, al lordo, quindi, delle superfici di reparti chiusi o sottoutilizzati rispetto alle loro potenzialità, e non alle sommatorie delle realtà delle singole sezioni detentive. Tale evidenza, peraltro già da tempo nota, ha indotto questa Direzione Generale a puntare sul recupero e sulla riqualificazione delle strutture esistenti, attività che consentirebbe, mediante la progressiva riorganizzazione degli Istituti e la razionalizzazione dell’uso degli spazi disponibili, l’abbattimento del fenomeno del sovraffollamento ed il miglioramento delle condizioni di vivibilità e di lavoro nelle strutture gestite, con priorità per gli Istituti e gli ambiti territoriali più coinvolti dall’emergenza in atto. Al riguardo, si chiede alle SS.LL. di svolgere una sistematica indagine ricognitiva presso gli Istituti Penitenziari delle circoscrizioni di competenza per verificare l’esistenza di reparti detentivi in cui siano allocati detenuti e/o internati con meno di 4 metri quadrati di superficie ciascuno nelle stanze di pernottamento. Nei casi di accertamento di tali situazioni, le Direzioni degli Istituti dovranno puntualmente descriverle e indicare se esistano, nell’ambito dello stesso complesso demaniale, reparti inutilizzati o sottoutilizzati con spazi tali da poter ridurre o eliminare le carenze emergenti, formulando proposte operative in tal senso. Sulla base dei dati riferiti dalle Direzioni degli Istituti, si chiede alle SS.LL. di predisporre analoghe proposte di possibili interventi di riequilibrio delle situazioni accertate in ambito regionale, in coerenza con i Progetti dei Circuiti Regionali già approvati. Nell’evidenziare l’importanza dell’iniziativa, finalizzata alla programmazione e progettazione del riassetto complessivo del patrimonio immobiliare in uso governativo a questa Amministrazione e alla selezione degli interventi prioritari da realizzare, si resta in attesa di riscontro entro il 31 maggio 2013”. Giustizia: Sappe; 16mila detenuti con problemi tossicodipendenza, dovrebbero stare fuori Agi, 22 aprile 2013 Ben 15.663 detenuti, il 23,84% dei 65.701 presenti nelle carceri italiane il 31 dicembre scorso, ha problemi di tossicodipendenza: di questi, 4.864 sono gli stranieri. Sardegna, Puglia, Molise, Liguria e Lombardia le regioni nelle quali la percentuale supera abbondantemente il 30% delle presenze. Sono i dati forniti dal sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo sindacato dei baschi azzurri, sulla presenza di tossicodipendenti tra la popolazione detenuta in Italia. “Il Sappe è fermamente impegnato per incrementare l’utilizzo del ricorso alle misure alternative al carcere delle persone tossicodipendenti recluse”, dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe. Il sindacato torna a sottolineare come “se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e amici si ristretti ammessi a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Quasi sempre è la professionalità della polizia penitenziaria a consentire di individuare i responsabili e di denunciarli all’autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione”. Lettere: aboliamo il comma che ha introdotto nel nostro ordinamento il giudizio morale di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 22 aprile 2013 Il 30 maggio, a Roma, sit-in davanti la Cassazione per protestare contro l’inapplicabilità del risarcimento per ingiusta detenzione: le sentenze assolutorie vanno rispettate. Invito tutti i garantisti e i democratici al sit-in che organizzerò per il trenta maggio prossimo a Roma alle 9,30, davanti la Corte di Cassazione, in occasione del dibattimento in quella sede del mio ricorso contro la Procura di Milano che non mi ha concesso il risarcimento per ingiusta detenzione pur avendo scontato ingiustamente negli anni 80 sei anni di carcere speciale, con l’accusa di partecipazione a banda armata (Prima Linea), per poi essere assolto con sentenza definitiva nel luglio 1989. Non si può sottacere a un sopruso così grande, che seguita a perpetrarsi dopo trenta anni. Non è bastato il carcere ingiusto, non sono bastati i pestaggi subiti, non è bastato l’isolamento totale. Ora la Corte di Cassazione (requisitoria del P.G.), come ha fatto un anno fa quella d’Appello di Milano sostiene che avendo frequentato persone sbagliate non posso accedere al risarcimento, in questo modo l’assoluzione è carta straccia e si passa al giudizio morale non più a quello giuridico. Nelle stesse condizioni mie sono in tanti, che assolti si vedono rifiutare il risarcimento per frequentazioni non idonee. Invito tutti e tutte loro a venire a manifestare fuori la Cassazione il 30 maggio, perché è una battaglia di tutti quella di abrogare il comma 1 del 314 c.p. che stabilisce il non risarcimento per dolo e colpa grave, perché è un comma pericolosissimo che introduce nel nostro ordinamento giudiziario il giudizio morale. Liguria: studio sociale sulle carceri, maggior parte detenuti sono celibi e con licenza media di Claudio Vimercati La Stampa, 22 aprile 2013 Sono soprattutto celibi, hanno un’età tra i 21 e i 49 anni, sono per lo più disoccupati, e la maggior parte ha soltanto la licenza media. Ecco l’identikit degli oltre 1800 detenuti nelle carceri liguri che emerge da una ricerca dell’amministrazione penitenziaria (aggiornata al 31 dicembre dello scorso anno) resa nota dal Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Una fotografia della popolazione carceraria. Prima considerazione. I detenuti sono più uomini (il 96,37 per cento) che donne (3,63) e soltanto un’ottantina di loro ha superato i 60 anni di età. E ancora: la maggior parte non ha un lavoro, mentre tra quelli occupati ci sono venticinque imprenditori, ventotto liberi professionisti, oltre a impiegati e operai. Il titolo di studio. Sono 663 i detenuti con la sola terza media, ma non mancano i laureati (18), i diplomati (116). I completamente analfabeti sono 28. Le regioni di appartenenza. Dei 1.800 detenuti, 344 sono liguri, seguono i siciliani (89), calabresi e campani (79), lombardi (40), piemontesi (34). Il grosso dei detenuti sono stranieri (1047) prevalentemente originari di Marocco, Tunisia, Centro e Sudamerica, Albania e, per quel che riguarda i paesi dell’Unione Europea, romeni. Nel rendere noti questi dati, il segretario generale aggiunto del Sappe, Roberto Martinelli, ha colto l’occasione che riportare l’attenzione sul problema del sovraffollamento delle carceri (che al Sant’Agostino è del 127 per cento) e sulle carenze di organico degli agenti penitenziari (sono 938 i poliziotti, dovrebbero essere 1264). “Il nostro Corpo - dice - è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso di identità e di orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza”. Padova: “Dialogo per la Giustizia” visita le carceri, racconto di uno dei magistrati presenti di Lorenzo Miazzi Il Gazzettino, 22 aprile 2013 È stata un’esperienza in alcuni momenti traumatica, in altri confortante. La visita al carcere di Padova organizzata da “Dialogo per la Giustizia” il 22 dicembre non è stata una giornata persa per un giudice, ma una giornata costruttiva, nel significato più profondo della parola, una giornata di vera, intensa, a tratti cruda formazione professionale e personale. E anche espressione di una scelta di associazionismo non chiuso in se stesso ma attento a tutte le implicazioni della giurisdizione. In un momento in cui da più parti si denuncia l’intollerabilità delle condizione carcerarie, la visita alle istituzioni detentive è anche uno stimolo alla riflessione sulla concezione della propria funzione: se ne ha una limitata visione burocratica, per cui ciò che avviene fuori della mia scrivania non mi riguarda, o al contrario se vi è la consapevolezza che gli effetti dell’attività del giudice non cessano quando, pronunciando “In nome del popolo italiano”, egli emette la sentenza di condanna: ma riguarda il giudice (e tutto il popolo italiano nel nome del quale la sentenza è emessa) il modo e il luogo in cui la condanna viene eseguita. Per avere questa consapevolezza diventa necessaria una più completa percezione di cos’è e di cosa può essere la “detenzione”, e di come siano le situazioni concrete e contingenti a determinare una valenza criminogena del carcere o, viceversa, un’occasione effettiva di recupero sociale. Una visita dunque non con finalità ispettive, che non sono di nostra competenza, ma di conoscenza e formazione, che si intende estendere alle altre realtà del Veneto. In questa prima visita, alla quale hanno partecipato venti magistrati, erano presenti tutte le funzioni: pubblici ministeri, giudicanti di primo e secondo grado e di legittimità, un magistrato in tirocinio e anche tre giudici onorari, perché anch’essi - per i quali la già scarna attività formativa non prevede la fase dell’esecuzione - sono una parte ormai numericamente importante dell’attività giurisdizionale e della “fabbrica” delle condanne. La Casa Circondariale La prima parte della visita si è svolta nella casa circondariale di Padova, l’istituto che dovrebbe ospitare i reclusi in attesa di giudizio e con condanne inferiori a 5 anni, e in cui sono presenti attualmente 228 detenuti a fronte di una capienza regolare di 90. La direttrice del carcere e gli educatori, prima di accompagnarci all’interno, ci hanno spiegato le difficoltà logistiche derivanti dal sovraffollamento e quelle nella gestione dell’istituto conseguenti ai tagli dei fondi: la minore presenza di educatori, la riduzione di attività di sostegno e di occupazione dei carcerati, la cessazione di un servizio - quello di assistenza psicologica all’ingresso - particolarmente importante in un istituto in cui entrano quotidianamente persone provenienti dallo stato di libertà, e che ora non potrà più essere effettuato giornalmente. Il percorso all’interno della casa circondariale è stato tutto caratterizzato dal segno del sovraffollamento: dal cortile per le ore d’aria, utilizzato a turno e con troppe persone, al campetto per il calcio conteso dai detenuti. Soprattutto la visita all’interno delle sezioni è stata traumatica. In celle di pochi metri quadrati, che dovrebbero contenere quattro detenuti in due letti a castello doppi, vi sono ordinariamente nove persone, in tre letti a castello tripli. Non si può descrivere quanto visto. La presenza di tre file di letti che arrivano al soffitto toglie ogni spazio comune e trasforma le celle in una specie di archivio umano, dove al posto delle scaffalature con i fascicoli ci sono i letti con i detenuti. In alcune celle vi è un decimo detenuto, il cui materasso è per terra e di giorno viene messo sotto uno dei letti, per essere tirato fuori durante la notte. La mancanza di attività durante il giorno costringe i detenuti a rimanere chiusi in queste celle sovraffollate, seduti sui letti, in stanze davvero fredde nonostante il riscaldamento acceso, perché con una tale densità di persone è necessario tenere aperte sempre le finestre. Conseguenza paradossale del sovraffollamento è l’impossibilità o la difficoltà di tenere aperte le celle nei reparti (a differenza di quanto avviene all’interno della Casa di Reclusione) per motivi di sicurezza e per la carenza di personale, in una sorta di “volano” negativo che peggiora la condizione quotidiana dei reclusi. In questo carcere non manca solo una minima funzione educativa, ma la permanenza è segnata da una sofferenza inutile. Diventa comprensibile che la giustizia europea (nella sentenza Sulejmanovic), in relazione alle condizioni delle carceri italiani abbia parlato di tortura e trattamento disumano e degradante. La Casa di Reclusione Diversa la situazione nella casa di reclusione. Qui la definitività della pena consente di avviare percorsi di riabilitazione. Il tratto principale della visita è la presenza di attività lavorative anche sorprendenti: non solo l’ormai famosa pasticceria, o il montaggio delle bici etc., ma anche cose che non ti aspetti, come il call center che svolge attività anche per il Cup dell’Ospedale di Padova. Anche nella casa di reclusione il problema del sovraffollamento è grave, con 826 unità presenti su 439 posti: la conseguenza è che le attività lavorative, educative, di servizio, tengono impegnati solo 400 detenuti, il resto rimane nelle celle. Tuttavia queste ultime, che dovrebbero essere singole sono abbastanza ampie da essere accettabili anche in presenza di due detenuti; risultano invece inadeguate e la permanenza è molto difficile nei casi (per fortuna pochi) in cui i detenuti sono tre. Le condizioni della casa di reclusione sono in generale assai migliori: in particolare non vi è quella tensione e quel senso di oppressione onnipresente nella casa circondariale. Le celle durante il giorno sono aperte e ciò permette ai reclusi una maggiore socializzazione. È significativa (e ha una notevole ricaduta positiva sui reclusi) l’opera di raccordo con l’esterno, attraverso un’attività editoriale di qualità e pressoché quotidiani contatti con gruppi di studenti che si recano in visita. Il senso di questa esperienza Due sono gli insegnamenti principali che abbiamo riportato da questa visita. Il primo è che occorre tornare a reinvestire sulla funzione educativa della pena e sulle misure alternative, riscoprendo anche il senso degli istituti premiali previsti dall’ordinamento penitenziario, nell’esercizio di un’attività di prevenzione che le esperienze sinora effettuate hanno dimostrato efficace (una ricerca del Dap ha dimostrato che la recidiva e del 62,5% in chi espia interamente la sanzione in carcere; del 18,5% in chi usufruisce di misure alternative). Il secondo è che occorre ripensare anche alle modalità di ingresso, verificando e cercando più assiduamente la possibilità di misure alternative anche in fase cautelare. Bisogna anche ripensare ai tempi processuali, che occorre abbreviare il più possibile nei processi che riguardano detenuti per giungere quanto prima alla definizione della posizione dell’imputato. Di questa esperienza, di quello che abbiamo visto, delle discussioni che abbiamo fatto fra noi e con gli operatori carcerari e i detenuti, intendiamo riportare il senso fra i magistrati, perché riteniamo necessaria una riflessione anche su quanto avviene fuori delle nostre aule. Padova: lavoro in appalto a coop di detenuti, braccio di ferro tra Cgil e AcegasAps-Hera Il Mattino di Padova, 22 aprile 2013 Perplessità del Sindacato Cgil sulla possibilità di appaltare a cooperative sociali la raccolta di ramaglie in città: “Non c’è stata una discussione di merito sul tema”. Braccio di ferro a Padova tra la rappresentanza sindacale della Cgil e il vertice di Acegas Aps, l’azienda ex municipalizzata del gruppo Hera che si occupa del servizio di smaltimento dei rifiuti. Tema del contendere la possibilità di appaltare il 15% del servizio alle cooperative sociali di tipo B: quelle ad esempio che creano posti di lavoro per gli ex detenuti, che già prestano il servizio da anni a Padova in alcuni quartieri per quanto riguarda la raccolta di ramaglie. “Questa intesa ha suscitato da parte nostra una serie di perplessità sia nel metodo che nel merito - spiega Salvatore Livorno, segretario provinciale della Cgil funzione pubblica - ad esempio la volontà di applicare una intesa firmata in Hera senza una reale discussione di merito e senza considerare le diversa storia sindacale di Acegas Aps. Esiste infine il rischio di possibili future esternalizzazioni con il rischio di frammentazione del ciclo integrato dei rifiuti”. “Come FP Cgil ci siamo riservati una valutazione dopo aver fatto una assemblea con i lavoratori, ed alla luce degli esiti di tale assemblea riteniamo, al momento, di non sottoscrivere l’intesa al fine di richiamare l’azienda al rispetto degli impegni sottoscritti all’atto dell’aggregazione con Hera”. Un no secco quindi da parte del vertice sindacale di categoria alla concessione di fette del lavoro alle categorie socialmente svantaggiate, quello che arriva dalla segreteria della funzione pubblica della Cgil. “Noi siamo per una visione dove la qualità del servizio che si rende ai cittadini vada di pari passo con la qualità del lavoro - conclude Livorno. Non vogliamo importare anche in Acegas Aps esempi negativi che si riscontrano in altre aziende del settore. La multiutility è e deve restare un bene comune della collettività”. Piacenza: visita Garanti detenuti alle Novate… sovraffollamento, ma anche segnali positivi www.ilpiacenza.it, 22 aprile 2013 Desi Bruno e Alberto Gromi - Garanti delle persone private delle libertà personale della Regione e del Comune di Piacenza - venerdì 19 aprile hanno effettuato una visita alla Casa circondariale di Piacenza, accompagnati dalla direttrice dell’istituto, Caterina Zurlo. La situazione del sovraffollamento appare ancora critica, nonostante nell’ultimo anno si sia registrato un lieve calo delle presenze, e nelle celle vivano attualmente non più di due persone. Ecco alcuni dati aggiornati. Le persone presenti sono 315 (295 uomini e 20 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 178; 214 (202 uomini e 12 donne), i detenuti con condanna definitiva; 101 (8 donne), gli imputati, gli stranieri (quasi esclusivamente uomini) rappresentano oltre il 55% delle presenze (43 provengono dal Marocco, 35 dalla Tunisia, 33 dalla Romania e 22 dall’Albania). Ancora, il 45% delle persone detenute ha problemi di tossicodipendenza. Un solo detenuto gode del regime della semilibertà, altri 4 sono ammessi al lavoro all’esterno (peraltro realizzato entro le mura dell’istituto). Fra le criticità riscontrate, si segnalano le condizioni igienico-sanitarie dei locali delle docce di sezione, che necessitano di interventi di ristrutturazione, nonché quelle del lastrico solare, dal quale entra l’acqua piovana. Non sono previsti gli stanziamenti necessari a fronteggiare la situazione: il Garante regionale e quello comunale ritengono prioritario sollecitare l’Amministrazione penitenziaria ad adottare queste misure non più procrastinabili. Non mancano, comunque, i segnali positivi. Le condizioni della sezione femminile appaiono migliori e a breve dovrebbe partire la sperimentazione di un regime di custodia attenuata, con apertura delle celle per gran parte della giornata. Positiva è anche la presenza del Servizio sanitario regionale, con servizio medico e infermieristico presente 24 ore su 24, e la collaborazione di mediatori sanitari di supporto ai medici. Inoltre, è attivo un reparto di osservazione psichiatrica con cinque posti letto, in grado di ospitare persone detenute che necessitano di un periodo di osservazione specialista non superiore a 30 giorni. Questo reparto (vuoto al momento della visita) serve l’intera utenza regionale e presenta un’importanza decisiva perché consente a questi detenuti di evitare il passaggio dall’Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario). I due Garanti segnalano, infine, l’ipotesi di attivare un reparto specificamente destinato ad ospitare sex offender. È ormai prossima l’apertura di un nuovo padiglione, che potrà ospitare fino a 200 persone detenute: si tratta di un fatto positivo, ma permane la preoccupazione che venga utilizzato per ospitare detenuti di altre sedi, in assenza di un contestuale incremento di personale e risorse. Nel corso della visita sono state valutate parti del carcere attualmente adibite a magazzino o comunque sottoutilizzate; questi ambienti, a parere dei due Garanti, potrebbero essere sfruttati come officine o adibite ad attività lavorative interne, aumentando le possibilità di occupazione intramuraria dei detenuti. L’auspicio è che il mondo dell’impresa e della cooperazione entrino nel carcere di Piacenza per verificare la fattibilità di lavorazioni interne; a questo scopo, Desi Bruno e Alberto Gromi valutano positivamente l’intenzione dell’Ente locale di organizzare al più presto un’iniziativa sul tema del lavoro in carcere e verificare concrete disponibilità. Bari: una cella per 25 detenuti, la scena nel docu-film “Inside-carceri” Corriere della Sera, 22 aprile 2013 Nel carcere di Bari si trovano a condividere lo spazio di una cella 25 detenuti. Si sono superati i 500 carcerati a fronte di una capienza ufficiale di 292. Tutto questo e molto di più viene documentato dalla web-docu inchiesta “Inside carceri”, reportage sulla situazione delle carceri italiane realizzato da Next New Media e dagli attivisti di Osservatorio Antigone, che hanno visitato 25 istituti in tre mesi, scegliendo di affrontare temi come sovraffollamento, ospedali psichiatrici giudiziari, violenze, edilizia, lavoro e sanità. Le interviste a detenuti e operatori penitenziari sono state accompagnate da riprese delle strutture, spesso troppo piccole e fatiscenti, che non lasciano dubbi su quanto in questi luoghi vengano violati i diritti più scontati. Su Vimeo, Flickr e You Tube è disponibile altro materiale che non ha trovato spazio nel lavoro finale. Secondo i dati di Antigone, il tasso di sovraffollamento degli istituti italiani rilevato sino al 2012 è del 142,5% (con punte di oltre il 176% in Liguria e Puglia), contro una media europea del 99,6%. In dieci anni sono morti 1.915 detenuti di cui 685 per suicidio con un età media di 37 anni, si sono verificati più di 5 mila atti di autolesionismo e circa 3 mila ferimenti. Nell’arco 2001-2011 il costo medio giornaliero per detenuti si aggira intorno ai 50 mila euro. In 50 anni, dal ‘59 al 2009 la Corte di Strasburgo per i diritti umani ha condannato la Spagna 11 volte, la Germania ben 54 volte e l’Italia 1095 volte. Ancora. a fronte dei 44 mila posti detentivi oggi si sfiorano i 70 mila detenuti. E il territorio italiano non risparmia neanche l’infanzia: 70 bambini di età inferiore ai 3 anni vive nelle carceri. In un periodo in cui nel Paese è acceso il dibattito sullo stato delle carceri e dei detenuti, la Mediateca Regionale Pugliese di Bari negli scorsi giorni ha dedicato al tema due appuntamenti, che hanno visto protagonista l’Associazione Antigone: la tavola rotonda “Summus ius, summa iniura” con proiezione di alcuni filmati di “Inside carceri”, e il seminario “eVisioni”. La riflessione sull’argomento è stata organizzata dall’Associazione Radicali Bari a cui hanno partecipato Claudio Sarzotti dell’associazione Antigone, Rita Bernardini ex deputata Radicale ed ex membro della Commissione Giustizia e l’avvocato Michele Mea dell’associazione Prospettiva Legale. Torino: nessuno fermò suicidio di un detenuto, a processo agente di polizia penitenziaria Adnkronos, 22 aprile 2013 Si era impiccato alle sbarre della sua cella nel carcere di Torino l’11 luglio 2010 ed era morto tre giorni dopo in ospedale. Ora per il suicidio di Antimo Spada, esponente minore del clan dei casalesi, è a processo un agente di polizia penitenziaria di 40 anni, che quel giorno era di turno nella sala monitor. L’accusa, sostenuta dal Giancarlo Avenati Bassi, è di omicidio colposo perché per i 20 minuti in cui Spada aveva messo in atto il suicidio, pur essendo in un reparto ad alto controllo (era depresso da tempo e aveva già tentato di togliersi la vita), nessuno era intervenuto. Oggi in aula l’ispettore della polizia giudiziaria che si è occupata delle indagini ha ripercorso quei minuti attraverso i fotogrammi estrapolati dalle registrazioni delle telecamere della cella: alle 16.00 Spada ha scritto alcune lettere alla madre e alla sorella, poi alle 16.34 ha iniziato ad armeggiare con le lenzuola del letto, le ha agganciate alla porta della cella e si è impiccato. Solo alle 16.54 - secondo le indagini - si vede il primo poliziotto che entra nella cella e lo soccorre. Secondo l’accusa gli operatori avrebbero dovuto monitorare costantemente i monitor e accorgersi prima di quanto stava avvenendo. L’imputato, assistito dall’avvocato Oreste Verazzo, ha sempre negato ogni addebito. La madre e la sorella di Spada si sono costituite parte civile. Nuoro: detenuto morto a Macomer, per il Dap è stato un “incidente” e non un suicidio Agi, 22 aprile 2013 Sarebbe morto per un incidente e non togliendosi la vita il detenuto deceduto la notte tra venerdì e sabato scorso nel carcere di Macomer (Nuoro). È quanto appreso da fonti del provveditorato dell’amministrazione penitenziaria che preferiscono mantenere l’anonimato. L’uomo - sempre secondo quanto apprende l’Agi - ha inalato del gas da una bomboletta in dotazione ai detenuti per avere un momento di euforia ma, probabilmente, ha esagerato e si è sentito male. Con lui c’era anche un compagno di cella che ha dato l’allarme ma per il detenuto non c’era più niente da fare. La notizia della morte del detenuto tunisino era stata diffusa sabato scorso dal deputato del Pdl Mauro Pili. Il parlamentare in una nota aveva parlato di un marocchino suicida intorno alla mezzanotte affermando che la scoperta della morte era avvenuta solo al momento della conta dei reclusi. Pili aveva anche annunciato un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia. Pili (Pdl): vertici regionali e nazionali del Dap dovrebbero dimettersi “Se fossero confermate, le dichiarazioni attribuite al Dap Sardegna dovrebbero portare alle immediate dimissioni dei vertici regionali e nazionali della struttura. Affermare che il decesso del giovane marocchino sia stato causato da un incidente è semplicemente offensivo per il buon senso e la ragione. Dichiarare che un detenuto si è volontariamente inalato gas per inebriarsi e che questo lo abbia portato al decesso rende tutto ancora più grave”. Lo ha detto il deputato del Pdl intervenendo ancora sulla morte di un detenuto nel carcere di Macomer (Nuoro). “Tutti sanno”, prosegue Pili, “che con l’inalazione del gas si muore e che non può questo episodio essere derubricato ad incidente. Non fosse altro che il detenuto avrebbe nella sua cartella clinica numerosissimi episodi di autolesionismo. Tentare di far passare questo episodio come un incidente dimostra ancora una volta il tentativo maldestro di coprire la reale situazione delle carceri sarde. Nella notte dell’incidente-suicidio c’erano in servizio appena quattro agenti, per sovraintendere ad un intero carcere di quasi 80 detenuti, compresa portineria e infermeria”. Pili replica duramente alle notizie divulgate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Sardegna. “Tentare di ricondurre alla normalità un suicidio e annoverarlo nella fattispecie dell’incidente, non solo non allevia la situazione ma rende tutto ancora più grave”, dice Pili. “Chi ha stabilito”, chiede il parlamentare, “che l’intento del detenuto non fosse quello di togliersi la vita? Ignora forse il dipartimento che ci sarebbero numerosissimi tentativi pregressi dello stesso detenuto di giungere a tale risultato? Un dato è certo, il tentativo di nascondere le reali responsabilità gestionali del sistema carcerario sardo sono evidenti a chiunque. Nella struttura di Macomer, per quasi ottanta detenuti, erano presenti nel turno del decesso quattro agenti, uno in portineria, un capo posto, e uno per ognuno dei due reparti, considerando che un reparto è articolato in più piani”. Sappe: vietare bombolette gas ora in uso ai detenuti Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe rinnova l’invito a vietare l’uso di bombolette di gas nelle celle, dopo la morte per asfissia di un detenuto tunisino la notte fra il 19 e il 20 aprile nel carcere di Macomer (Nuoro). “Ogni detenuto può disporne per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario, ma spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come metodo alternativo per sniffarne il contenuto o come veicoli suicidario”, sostiene il segretario generale Donato Capec. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario”, prosegue il segretario del Sappe, “al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. In riferimento alla morte del detenuto a Macomer, “secondo gli accertamenti disposti dall’amministrazione penitenziaria - riferisce Capece - sarebbe dovuta a un eccesso di sballo”, dopo aver inalato del gas”. “Purtroppo”, osserva il segretario del sindacato, “è una pratica estremamente diffusa tra i detenuti di tutte le carceri: sniffare gas dalle bombolette che si usano in cella per cucinare. Uno sballo artigianale, un viaggio di euforia artificiale che nel corso degli anni è costato la vita a diversi detenuti. È la droga dei poveri. Sniffing, il fenomeno si chiama così, prassi conosciuta e da noi sistematicamente denunciata. Ma la sostituzione con le piastre elettriche, come da tempo suggerito dal Sappe, non è mai avvenuta”. Catania: emergenza carceri, la Camera penale lancia allarme per piazza Lanza La Sicilia, 22 aprile 2013 La Camera penale di Catania in un documento ha contestato la decisione della Presidenza del consiglio di impugnare la sentenza della Corte europea che condanna l’Italia per il trattamento inumano dei detenuti. La notizia che la Presidenza del Consiglio abbia impugnato alla Grand Chambre la sentenza della Corte europea di Strasburgo dell’ 8 gennaio 2013 con la quale si condannava severamente l’Italia per il trattamento inumano e degradante nei confronti di detenuti all’interno delle carceri italiane, obbligando lo Stato Italiano ad adeguarsi entro un anno, ha lasciato stupefatti gli avvocati della Camera di penale “Serafino Fama”. Tramite il suo presidente, l’avv. Giuseppe Passarello, il referente dell’Osservatorio Carcere, avv. Luca Mirone, la Camera penale - in una nota - ritiene che “la decisione di tale impugnazione abbia un intento meramente dilatorio visto che anche il Presidente della Repubblica ed il ministro della Giustizia, nei mesi scorsi, hanno sempre sostenuto che tale sentenza non faceva altro che fotografare la drammatica realtà delle carceri italiane. In dissenso con quanto sostenuto dai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria - aggiungono i penalisti - la soluzione non risiede nello sterile aumento di posti previsto dal piano carceri, la cui realizzazione è ad oggi un’incognita per tempi e modi. I veri punti nodali stanno nel ridurre l’uso indiscriminato della custodia cautelare, riservando tale misura coercitiva ai soli casi realmente necessari, e nel favorire concretamente il ricorso alle misure alternative alla detenzione, normativamente previste, ma troppo spesso negate. La Camera Penale catanese, in linea con le iniziative dell’Unione delle Camere Penali Italiane, continuerà a monitorare la realtà carceraria locale e a denunciare le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i detenuti di strutture come quella di Piazza Lanza, ove la percentuale di sovraffollamento è tra le più alte di tutto il Paese e la situazione emergenziale non più tollerabile”. Torino l’Ipm “Ferrante Aporti” si amplia… 17 posti in più, biblioteca e campo da calcio www.torinotoday.it, 22 aprile 2013 Inaugurata oggi una nuova sezione del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Permetterà un ampliamento della capienza dell’istituto da 29 a 46 posti. A tre anni dall’inizio dei lavori, questa mattina è stata inaugurata una nuova sezione del Ferrante Aporti. Fino ad oggi il carcere minorile poteva ospitare un massimo di 29 detenuti, con l’apertura dei nuovi locali si potrà arrivare fino a 46. Ma il progetto di ampliamento non finisce qui. All’interno della struttura hanno preso vita anche una biblioteca, alcune zone adibite a laboratori, una cappella e un campo di calcio. “In questo modo - spiega il direttore Gabriella Picco - potremo fare fronte alle esigenze anche di altre zone, in particolare di quella di Milano. Questo luogo deve poter essere non solo di sofferenza, ma anche di speranza”. Per tagliare il nastro sono intervenuti l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, e il capo del dipartimento di giustizia minorile, Caterina Chinnici. Presenti anche il questore Antonino Cufalo e il sindaco Piero Fassino. I fondi utilizzati per la ristrutturazione e i lavori sono stati messi a disposizione del ministero di Giustizia. Attualmente il Ferrante Aporti ospita detenuti che hanno massimo 21 anni provenienti da Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e della provincia di Massa-Carrara. La maggior parte di questi sono di nazionalità italiana. Da alcuni mesi le femmine sono destinate ad altre strutture. Cagliari: Sdr; da Buoncammino ai domiciliari donna incinta 5 mesi Agenparl, 22 aprile 2013 “Ha ottenuto i domiciliari la giovane donna, S. J., 26 anni, di etnia rom, incinta al quinto mese di gravidanza, che era rinchiusa nel carcere cagliaritano di Buoncammino. S.J. potrà quindi scontare la pena definitiva di circa 2 anni nella sua casa. Un apprezzato atto di giustizia da parte della Magistratura di Sorveglianza”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, facendo osservare ancora una volta che “è indispensabile individuare e rendere operativa una struttura alternativa alla custodia in carcere per madri con bimbi di età non superiore ai 6 anni e donne incinte, qualora sia necessaria la custodia cautelare”. “Lo stato di gravidanza infatti - sottolinea Caligaris - è incompatibile con la detenzione in un Istituto di Pena a meno che non sussistano “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”. Occorre ricordare inoltre che la struttura cagliaritana conta solo una sezione destinata alle detenute. La ristrettezza degli spazi, con un’area ridotta per l’ora d’aria, insieme alle caratteristiche della struttura non permettono quindi di garantire a una donna con un bimbo piccolo o incinta idonee condizioni”. “In ogni caso - conclude la presidente di SdR - è indispensabile far prevalere sempre il buon senso oltre che la norma. L’auspicio è che al più presto si provveda a realizzare una casa protetta”. Cuneo: detenuto prende a schiaffi un agente, condannato a 5 mesi per lesioni aggravate www.targatocn.it, 22 aprile 2013 È stato invece assolto dall’accusa di percosse per aver sferrato un calcio, giudicato involontario. Un detenuto presso la casa circondariale di Cuneo, D.F.R., è stato condannato a 5 mesi per lesioni aggravate. L’uomo è stato invece assolto dall’imputazione di percosse, perché il fatto non costituisce reato. I fatti. D.F.R., italiano, in carcere al Cerialdo dove sta scontando gravi reati, avrebbe sferrato un calcio alla coscia di un agente penitenziario, mentre stavano giocando una partitella a pallone. Il detenuto, a seguito dell’episodio, veniva portato in una saletta, per ricostruire il fatto e redigere il rapporto disciplinare. “D.F.R., che si giustificava di non aver dato un calcio di proposito, diede uno schiaffo in volto al mio collega, dicendo: ‘se mi devo prendere il rapporto me lo prendo perché colpisco a tutti gli effetti, così la facciamo finita”, ha ricordato un sovrintendente collega dell’agente schiaffeggiato, presente alla scena. Per il calcio, lo stesso pm aveva chiesto l’assoluzione. Per lo schiaffo, la difesa aveva invocato la non punibilità, prospettando una reazione a una provocazione derivata da un comportamento ingiusto di un pubblico ufficiale. Enna: i detenuti per la Settimana della Cultura con l’arte insegnata da Giovanni Murgana www.vivienna.it, 22 aprile 2013 Una settimana incentrata sulla cultura e sulla riscoperta di essa all’interno della città. È quanto ha dato la Settimana della Cultura organizzata dal Comitato promotore per i diritti dei cittadini, con il presidente Gaetano Vicari alla Galleria Civica dove, sabato scorso, protagonista è stata la Casa Circondariale di Enna ed i suoi detenuti. In un incontro si sono uniti il presente ed il passato, l’attuale direttrice Letizia Bellelli, e colei che per oltre venti anni ne ha retto le sorti, Agata Blanca; un’iniziativa che, con il contributo di Franca Corrao, ha coinvolto anche i detenuti alle prese con l’arte insegnata da Giovanni Murgana. Per nove mesi l’artista ha insegnato ai detenuti l’arte del mosaico in legno. “È stata un’esperienza bellissima, con fiducia reciproca ed il massimo impegno che oggi ha permesso di portare qui i loro lavori” ha detto Murgana. Una accanto all’altra c’erano la direttrice Bellelli e Agata Blanca, quest’ultima intervenuta per “portare i miei ricordi di 24 anni a servizio di Enna. Nel cuore ho ricordi meravigliosi, abbiamo condiviso tutto, come una famiglia”. Ad elogiare l’iniziativa Letizia Bellelli: “La Settimana della Cultura credo sia molto importante per l’identità, l’istituto è inserito nella città ed è una realtà del territorio a cui appartiene, possiamo farci bene reciprocamente, fare da volàno, ma è importante il supporto del territorio”. Ad assistere emozionate ed interessate anche loro, alcune detenute; nei loro volti c’è lo stupore della bellezza di questa iniziativa e la gioia di esserne protagoniste. “Nella mia sfortuna ho avuto la fortuna di conoscere la direttrice Letizia Bellelli e l’educatrice Cettina Rampello che ringrazio perché ho fatto dei progressi” dice M. M. che aggiunge: “Ho imparato tanto dal negativo della mia esperienza, ho trovato una famiglia che oggi mi ha permesso di essere qui”. Accanto a lei l’educatrice Cettina Rampello: “Queste occasioni fanno capire quello che si fa in carcere. Qui c’è la storia del carcere di Enna, c’è una comunità attiva di detenuti che spero possano trarne insegnamento per non commettere più certi errori”. Volterra: Cene Galeotte, diciotto carcerati trovano lavoro grazie al progetto Il Tirreno, 22 aprile 2013 Diciotto detenuti assunti nei ristoranti del territorio. Diecimila euro raccolti per il progetto di solidarietà Il cuore si scioglie e oltre 10mila persone da tutta la Toscana e oltre, che hanno scelto di sedersi a tavola dentro il Maschio di Volterra. È la direttrice del carcere Maria Grazia Giampiccolo a dare i numeri del progetto Cene galeotte che da anni porta successi e integrazione tra il dentro e il fuor. Ringrazio l’Unicoop Firenze che rende tutto possibile, dice. Tra i supporter la Fisar, sempre “al tavolo” con l’abbinamento di vini e pietanze. “Fino ad ora con i detenuti abbiamo fatto un percorso di formazione per insegnare loro i rudimenti del sommelier, tra poco, invece faremo partire un vero e proprio corso”, chiude l’avvocato Flavio Nuti, presidente Fisar Volterra. Teramo: karaoke al carcere di Castrogno, detenuti in gara con “Voci Recluse” www.teramonews.com, 22 aprile 2013 “Voci Recluse” è il titolo di un evento benefico promosso dall’associazione culturale ‘Bon Ton’ di Bellante. Si tratta di una competizione canora di karaoke che vuole coinvolgere i detenuti del carcere di Castrogno. L’appuntamento è per martedì 23 aprile alle ore 10: “Con Voci Recluse - spiegano gli organizzatori - si vuole offrire l’opportunità ai detenuti, di esprimersi artisticamente, mettendo in gioco le proprie potenzialità canore, tenendo conto come è lo stato attuale nel contesto detentivo, soprattutto in un momento di sovraffollamento come quello che si sta vivendo all’interno dei penitenziari. Naturalmente la realizzazione dell’evento canoro, da parte della ass. cult. Bon Ton non si pone certo il presuntuoso obiettivo di risolvere i complessi problemi che attanagliano questa realtà, ma solo il desiderio di portare leggerezza ed umanità proprio nel luogo dove il pregiudizio è più radicato”. L’evento si svolgerà in due tempi: nel primo, si darà luogo a uno spettacolo con le voci dei ragazzi del talent canoro teramano ‘Mix Factor’ per entrare poi nel vivo della competizione anche grazie alla presenza dell’orchestra di fisarmoniche di Pianella “Diapason armonico”, diretta dal m° Gabriele Di Pasquale. Si esibiranno in danze latino americane i m° Annarita Di Lorenzo e Andrea Ciarbonetti. Nella seconda parte della manifestazione saranno invece protagonisti i detenuti concorrenti, precedentemente selezionati, al cospetto di una “giuria” speciale composta dagli educatori del carcere, dai rappresentanti dell’Amministrazione comunale di Teramo (saranno presenti l’assessore alle Politiche sociali Giorgio D’Ignazio, la consigliera comunale Valeria Misticoni, l’assessore agli Eventi Guido Campana). Madrina e conduttrice della singolare “kermesse” canora sarà Anna Di Paolantonio. Firenze: con “Film spray” il cinema entra nelle carceri di Antonella Muroni www.voceditalia.it, 22 aprile 2013 Dal 18 al 20 aprile i film invisibili prodotti in Italia ed esclusi dai circuiti distributivi sono tornati protagonisti grazie alla 5ª edizione di Film spray, rassegna cinematografica ideata e realizzata dall’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze in collaborazione con la New gold entrantainment, casa di produzione e distribuzione internazionale guidata da Serena Lastrucci e Piero Franceschi e con il Dipartimento di Cinema dell’Università di Firenze. I 5 titoli in concorso insieme ad un evento speciale sono stati proiettati, come da tradizione, oltre che a Firenze alla Chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini (via Faenza, 43) alla presenza di tutti i registi, anche nelle carceri di Rebibbia e Sollicciano, confermando così il Festival come l’unico a varcare le porte degli istituti penitenziari. Prima dell’inizio delle proiezioni e negli intervalli è stato dato spazio ai cortometraggi degli studenti della Naba (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano (www.naba.it). Il progetto si ricollega al movimento pacifista dell’Empowerment che promuove una democrazia del basso che trova le forze di cambiamento dentro le singole persone: tale movimento è nato per sviluppare vie alternative per un’economia parallela ed auto-organizzata dai settori emarginati della nostra società. L’obiettivo di Film spray è quello di dare un contributo per creare un circuito distributivo parallelo a quello convenzionale. È stato proiettato il film Ulidi piccola mia in cui Matteo Zoni racconta il disagio sociale di un’adolescente, a cui è seguito un dibattito. La prima serata è stata dedicata all’anteprima assoluta di Father alla presenza del regista Pasquale Squitieri e dell’attore Andrea Facchinetti, nel cast con Franco Nero e Claudia Cardinale nel racconto della drammatica storia delle bugie di un padre nel mirino della mafia. Hanno seguito Ultimo carico di Giuseppe Ferlito, storia di un professore ottantenne che decide di dare una svolta e L’ultima foglia recentissima pellicola a firma di Leonardo Frosina sulla relazione di coppia tra una musicista e un metronotte. La giornata finale ha visto la proiezione di Carta bianca di Andrés Arce Maldonato e Andrea Zauli, con protagonisti un tunisino amante dei libri, una badante moldava e un’imprenditrice romana sullo sfondo di Roma nella notte alla vigilia di San Valentino. Ha seguito poi Quell’estate di Guendalina Zampagni, film ambientato nel 1981 nel Grossetano che vede Alessandro Haber e Pamela Villoresi raccontare le vacanze di una famiglia alle prese con la gravidanza inaspettata della figlia ventenne e con l’inizio dell’adolescenza del figlio minore. Infine Radici, film musicale di Carlo Luglio con Enzo Gragnaniello. Immigrazione: quelle vite sospese, l’orrore dei Centri… dove si uccide senza far morire di Alessandro Bergonzoni la Repubblica, 22 aprile 2013 Di cosa si tratta? Di come si trattano: uomini, esseri, popoli ma soprattutto di come non si possa più trattare con chi ricatta il giusto, quindi non si tratta. E non si tratta solo di governi, società, norme uccise, ma di enorme scansato, meraviglia asfissiata, diritto alla tenerezza, come ho scritto anni fa parlando di prigione, briciole che bruciano. Non volevo provare “invidia e gelosia” per quei politici come Luigi Manconi e la sua associazione “A Buon Diritto” che entrano nei Cie, per riempire quel vuoto che è già alibi; non volevo essere obbligato a vedere attraverso altri che “per fortuna” hanno potuto raccontare per amore. Amore che non definirei nemmeno più sentimento, ma insieme d’altezze, somma somma. Lo dico entrando in questo luogo dell’oltre altrui, della mala-vita strana, straniera e estraniante. Cosa dicono le statistiche, i numeri o la costituzione (bella ma inesistente se chi non ha una costituzione interiore non la applica né la fa rispettare) non mi interesserebbe. Non mi interesserebbe quasi più sapere chi chiuderà questi purgatori non danteschi, inferni a cielo perso; per assurdo non mi interesserebbe più perché oggi vorrei parlare non degli ennesimi sensi, odore, rumore, vista, tatto, senso di impotenza che mi hanno avvolto e abbracciato stretto nella mia visita al Cie di Ponte Galeria; ma vorrei dire della nuova paura, non quella che prova chiunque ci entri e non c’entra né quella dovuta al peccato di distanza, cioè il distacco della politica da queste vite e inesistenze, ma quella nuova dovuta al distacco di una retina interiore, che non ci fa più vedere altro che l’effetto dello scandalo, o il turbamento a orologeria da servizio televisivo. Ho paura che l’abitudine a quello che non riusciamo a vedere, abbia fatto il suo sporco dovere, che rende vano il cambio di senso nei confronti di quell’inguardabile, di quell’ingiusto che qui ammazza senza far morire (meno di quel che potrebbe). Non mi soffermerò sull’igiene né mi fermerò sulla poca intimità né sulle solitudini, cattività e gabbie da zoo. Non dirò di chi vive in questa prigione pur non dovendo stare in una galera, perché qui non per reati ma per attendere, saper cosa fare, dove andare. L’aspetto a cui tengo è legato a una rivoluzione interiore di chi non è più interessato a vivere e subire queste paure e impotenze, ad “accontentarsi” del lavoro che la giurisprudenza e il diritto potranno e dovranno fare, per cancellare questi imposti, luoghi del tempo condannato. Parlo agli interessati di quel moto ulteriore che ci chiama; l’ora è scoccata e chiede di trasformare l’urgenza umanitario- antropologica in moto interiore, in intenzione artistica, poetica e spirituale che predisponga a cambiare giudizio, vergogna, volontà, missione, decenza, connivenza, a cambiar rassegnazione. Mi rivolgo a chi vuole cambiare questo pensiero con un altro, che non resterà tale se manderà onde e frequenze diverse, anche da casa, nascosti in noi che non vogliamo o non possiamo vedere tutto quello che accade a chi soffre dei nostri pensieri non pervenuti, insieme alle mancate azioni. Una rete che non è quella di cui parliamo tanto (che può servire a fare altre rivoluzioni, certo irrimandabili, ma è altra cosa). Manca un’altra forma di espressione, un altro tam tam apparentemente subliminale: nasce dentro, per immedesimazione continua e produce pensiero elettrico, luce che corre come la luce, cambia buio, senso e sensi. È una rivoluzione apparentemente silente quella che chiama, è vocazione, è l’antipolitica, un prima che se non si forma non può far mutare: né il politico, né il legislatore, né lo stato, né le cose che lo compongono. È infatti il cambio di stato che ci è chiesto: lo stato nostro. Quello che continuiamo a demandare agli altri grati per il loro eroismo, la loro missione, il loro pontificato, il loro esempio. Ecco la rivoluzione: dalla “loro” alla “nostra”. Come da altri incontri che continuo a fare con Manconi su detenzione, pena, malattia, anche qui si tratta di far da ponte su tutte queste vite sospese tra una sponda e l’altra cioè, in questo caso, tra migranti e quelli a cui abbiamo demandato il compito di risolvere: noi siamo ponte. Fine degli esempi. Immigrazione: oltre 470 luoghi di detenzione nell’Ue, al via visite europarlamentari Adnkronos, 22 aprile 2013 Da circa dieci anni le politiche europee d’asilo e immigrazione hanno determinato un aumento del numero di centri di detenzione per migranti. Nella Ue e alle sue frontiere meridionali e orientali, il loro numero è passato da 324 nel 1999 a 473 nel 2011, senza contare i luoghi invisibili di detenzione come commissariati o cabine delle navi, cui si ricorre temporaneamente, ma regolarmente. È quanto si legge in una nota della campagna “Open Access Now” lanciata a ottobre del 2011 da Migreurop e Alternative europee, annunciando che, tra aprile e giugno 2013, diversi membri del Parlamento europeo (per i quali l’accesso a questi centri è assicurato per legge) effettueranno visite in diversi luoghi di detenzione “per continuare a compilare un inventario delle condizioni di vita all’interno di questi centri che restano molto spesso opache”. Nonostante la direttiva rimpatri preveda che i pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea e il Parlamento europeo e, in particolare, la commissione Libertà civili, giustizia e affari interni si siano pronunciati a favore di un diritto d’accesso della società civile - si denuncia - le difficoltà persistono. Le autorità dei Paesi membri rifiutano nella maggior parte dei casi l’accesso dei giornalisti a questi centri, l’accesso delle associazioni è sottoposto a regole estremamente restrittive e finanche le visite degli eletti sono talvolta limitate dalle autorità. Non è raro che dei bambini - talvolta senza rappresentante legale - siano detenuti, così come delle persone in cerca di protezione - è il caso oggi di numerosi cittadini siriani. Molte persone sono detenute in maniera illimitata anche se la direttiva rimpatri ha fissato la durata massima di detenzione a diciotto mesi. Questi pochi esempi testimoniano dei trattamenti inumani e degradanti che le politiche e le pratiche fanno subire ogni giorno a degli esseri umani colpevoli soltanto di non avere documenti di viaggio e/o titoli di soggiorno in regola. Le visite di centri di detenzione sono uno degli strumenti della campagna Open Access Now. E, mentre associazioni e giornalisti impegnati nella campagna presentano regolarmente domande d’accesso, tra aprile e giugno 2013 dei membri del Parlamento europeo effettueranno visite in diversi luoghi di detenzione. Sotto il patronato delle deputate europee Hèlène Flautre (Verdi/Ale) e Marie-Christine Vergiat (Gue/Ngl), mercoledì 24 aprile 2013 dalle 13 alle 14.30 si terrà al Parlamento europeo a Bruxelles una tavola rotonda. Giornalisti, parlamentari e rappresentanti della società civile testimonieranno delle loro esperienze di visita. A seguire, gli aspetti problematici dell’accesso ai centri di detenzione saranno presentati attraverso gli interventi del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dell’Associazione per la prevenzione della tortura. L’obiettivo di questo incontro e delle visite parlamentari - conclude la nota - è rafforzare la vigilanza, sottolineare la necessità di trasparenza su questi luoghi e dare maggiore visibilità ai problemi legati alla detenzione dei migranti per incoraggiare evoluzioni legislative nazionali ed europee verso un maggior rispetto dei diritti umani. Droghe: Gfk Eurisko; nuovi eroinomani sempre più integrati e la cura oggi è “in affido” Redattore Sociale, 22 aprile 2013 Sono circa 100 mila gli eroinomani che frequentano i Sert, sempre più giovani e acculturati. E non più in cura solo nei centri, ma capaci di assumere autonomamente i farmaci: il 71 per cento dei pazienti li ha in affido. Sempre più giovani (il 34 per cento ha meno di 29 anni) e acculturati (il 44 per cento ha una laurea) e inseriti nel “normale” tessuto lavorativo (la metà). Circa 100 mila sono gli eroinomani che frequentano i Sert in Italia e questo è il loro identikit, raccontato dall’ultima ricerca di Gfk Eurisko, fatto su un campione di 387 pazienti. Un quadro che modifica lo stereotipo del “drogato”, figura che vive sola, ai margini della società e che impone un approccio diverso alla cura: non più solo in centri per la tossicodipendenza, ma cura “diffusa”, dove l’affido del farmaco ha un ruolo sempre più importante. Il 71 per cento dei pazienti ha i farmaci in affido, ma la percentuale scende al di sotto del 50 per cento per i più giovani, considerati più instabili. Il giudizio dei medici (sono 100 sparsi in tutta Italia quelli consultati da Eurisko) che hanno provato questa strada è positivo: in media il voto, in una scala da 1 a 10 è del 6,7 e le insufficienze sono in tutto 23. Concordano medici e pazienti: solo così si comincia una vita normale e si perde lo “stigma”, quel segno indelebile che confina i tossicodipendenti da oppiacei al di fuori della “normalità”. Dalle interviste raccolte da Eurisko, l’affido è uno strumento che riattiva la “fiducia”, da entrambe le parti in causa. Tre quarti dei pazienti abitano in famiglia o con amici, il 26 per cento ha figli, soprattutto nella quota degli over 44. Al contrario, solo il 2 per cento è senza fissa dimore, mentre l’1 per cento sta in luoghi protetti come il carcere, esperienza che appartiene però al vissuto di un terzo dei pazienti, per la maggior parte over 44. Non sono problemi fisici quelli che colpiscono i tossicodipendenti: il 61 per cento si sente bene. È la mente che “fa male”: la metà dei pazienti soffre di ansia e ha problemi di insonnia, il 46 per cento soffre di depressione, il 26 per cento ha improvvise manifestazioni di violenza. La tossicodipendenza non è più solo da eroina: oggi i consumi di sostanze sono molteplici. Anche in questo caso, il fenomeno è più marcato tra i giovani. Il dato complessivo afferma che l’80 per cento di chi è in cura per dipendenza da eroina ha abusato anche con la canapa, il 75 per cento con la cocaina e il 65 per cento con l’alcool. Tra i giovani al di sotto dei 30 anni, il 49 per cento ha anche fatto uso di ecstasy. Ma se ne può uscire, i pazienti lo sanno. Il 98 per cento conosce i farmaci di cura, soprattutto il metadone, noto al 98 per cento del campione. Ma è tra i giovani che si vede un cambiamento: buprenorfina e naloxone, due farmaci più sicuri del metadone e che secondo le società di medicina scozzese e australiana ad un’analisi costi benefici sono migliori delle terapie tradizionali, sono noti al 40 per cento degli under 30. Questo non esclude le difficoltà della terapia: vivono una crisi di astinenza il 14 per cento dei malati, mentre il 43 per cento sente ancora il desiderio di drogarsi. Tra i giovani la percentuale sale al 50 per cento. Stati Uniti: l’associazione italiana Crivop visiterà le carceri del Texas dal 2 al 31 maggio www.tempostretto.it, 22 aprile 2013 La Crivop, il cui presidente nazionale è il messinese Michele Recupero, sarà accompagnata nelle carceri del Texas dall’italo-americano Frank Catania, laureato in Psicologia, intrattenitore e cantante promettente, ha lavorato per Frank Sinatra nella città di Miami, in Florida. Avendo fatto scelte sbagliate, si trovò in carcere per la prima volta nel 1969. L’associazione di volontariato penitenziario Crivop Onlus, con il presidente nazionale, il messinese Michele Recupero, visiterà le carceri del Texas, negli Stati Uniti d’America, dal 2 al 31 maggio. Prenderanno parte alla Missione: Michele Recupero - Presidente e Fondatore della Crivop Onlus; Domenico Pazzi - Vice Presidente della Crivop Onlus Campania; Marco Esposito - Volontario della Crivop Onlus Campania. La Crivop sarà accompagnata nelle carceri del Texas dall’italo-americano Frank Catania, laureato in Psicologia, intrattenitore e cantante promettente, ha lavorato per Frank Sinatra nella città di Miami, in Florida. Avendo fatto scelte sbagliate, si trovò in carcere per la prima volta nel 1969. Arrestato per traffico internazionale di stupefacenti e condannato per rapina a mano armata, è stato condannato a 75 anni di carcere, fissando la data della sua scarcerazione al 2036. Tale condanne sembrava assicurare una sola cosa: Frank Catania non avrebbe mai lasciato la prigione. Ma dal 1980 Frank ha sperimentato una “nuova nascita”, ora serve il Signore come direttore esecutivo dei “Brother Keepers” Ministero nelle prigioni. Sta lavorando con i principali ministeri cristiani nelle prigioni, nei campus universitari, in licei e conduce seminari su abusi di droga. Per la sua nota esperienza, Frank Catania spesso viene chiamato a tenere delle conferenze di interesse internazionale. Di recente è intervenuto a Messina e in Sicilia, visitando gli Istituti di pena siciliani. Grecia: carceri più umane per evasori fiscali… ma per cinquemila euro si rischia un anno Corriere della Sera, 22 aprile 2013 Cinquemila euro di debiti con lo Stato? Il rischio è la reclusione fino a un anno. Il nuovo piano del governo greco punta a recuperare fondi e rinchiudere gli evasori in caserme trasformate ad hoc con “condizioni più umane”. Ad annunciarlo il vice ministro alla Giustizia Kostas Karagkounis durante un’audizione in Parlamento. L’idea è appunto trasformare un sito per rinchiudere gli insolventi. Si parla di un campo di addestramento militare nella provincia di Attica. La legge, entrata in vigore a febbraio, parla chiaro: se entro quattro mesi chi ha debiti superiori a cinquemila euro non ripaga, rischia il carcere fino a un anno. Per diecimila euro almeno sei mesi e così via. Il cittadino può anche pensare di rateizzare, ma se salta un pagamento, ecco che può finire nel campo. Certo, separati da chi ha commesso crimini più efferati, ma pur sempre in una sorta di prigione. Cambiare la destinazione d’uso di un campo è stato necessario, si legge nelle dichiarazioni, a causa del sovraffollamento nelle carceri. E per trattare “meglio” i debitori. Insomma il governo Samaras cerca di recuperare fondi e combattere l’evasione fiscale con ogni mezzo. Qualcuno crede che sia più che altro una provocazione e una maniera per spaventare i cittadini, spingendoli a pagare. Ma settimana scorsa Karagkounis ha confermato che il progetto andrà avanti. Brasile: massacro di Carandiru, 23 poliziotti condannati per l’omicidio 13 detenuti Ansa, 22 aprile 2013 A vent’anni dal massacro del carcere di Carandiru di San Paolo del Brasile, che represse nel sangue una rivolta di detenuti, 23 poliziotti sono stati condannati a 156 anni di detenzione ciascuno per l’omicidio di 13 dei 111 detenuti uccisi. Altri tre poliziotti sono stati invece prosciolti. Mentre decine di altri agenti attendono di essere processati nei prossimi mesi in relazione a quei fatti accaduti il 2 ottobre del 1992. I legali degli agenti condannati hanno già presentato richiesta di appello. Inizialmente i poliziotti erano stati accusati dell’omicidio di 15 detenuti, ma poi gli inquirenti sono arrivati alla conclusione che due dei prigionieri erano stati uccisi da altri detenuti. La rivolta iniziò a causa di una lite tra due prigionieri e si diffuse rapidamente all’interno di quella che era all’epoca una delle più grandi prigioni del Sud America, al suo interno alloggiavano ben 10.000 detenuti. Tempo dopo alcuni detenuti raccontarono ai media che la polizia aveva represso brutalmente la rivolta. “Non potevamo immaginare che sarebbero arrivati ad uccidere persone a caso, perché non tutti avevano aderito alla ribellione”, ha detto Jacy de Oliveira, ex detenuto, all’edizione brasiliana della bbc. “Hanno iniziato a sparare a tutti. Io ero al quinto piano, se guardavi un poliziotto negli occhi, eri morto”. Il legale dei poliziotti, Ieda Ribeiro de Souza, ha sostenuto che gli agenti stavano facendo solo il loro dovere e hanno agito per legittima difesa, perché molti detenuti erano armati. Dieci anni dopo quei tragici fatti il carcere di Carandiru venne chiuso e gli ultimi detenuti lì rinchiusi trasferiti in altre prigioni. Al suo posto ora c’è un parco. Arabia Saudita: decapitato uomo accusato di omicidio, da gennaio eseguite 35 condanne Aki, 22 aprile 2013 È stata eseguita per decapitazione in Arabia Saudita la condanna a morte comminata a un cittadino del regno accusato di omicidio. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale saudita Spa, che riporta una nota del ministero dell’Interno di Riad. Mohammad ben Ali al-Alawi era stato condannato alla pena capitale con l’accusa di aver ucciso a coltellate un connazionale. Da gennaio in Arabia Saudita sono state eseguite ben 35 condanne a morte. Nel 2012, secondo Human Rights Watch, nel regno sono stati messi a morte almeno 69 detenuti. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel Paese vengono puniti con la pena di morte. Arabia Saudita: carcere con piscina e comfort d’ogni tipo per riabilitare presunti terroristi Il Mattino, 22 aprile 2013 Il sito web del mail on Sunday pubblica immagini davvero interessanti sulle speciali carceri per sospetti terroristi nelle quali l’Arabia Saudita ha fatto un discreto investimento. L’hanno battezzata “riabilitazione di lusso”, ed a ragione. A Riyadh, secondo il giornale britannico, la riabilitazione dei presunti terroristi avverrebbe offrendo loro piscine olimpioniche, trattamenti termali, fitness, sala giochi e tv e momenti di relax con le legittime mogli. Non si è badato a spese. Ai giornalisti, scrive il Mail, è stato consentito un tour in questo specialissimo carcere. Settanta seimila metri quadrati, ospiti da 41 nazioni diverse, ha l’aspetto, per chi l’ha visto di un resort di lusso. Scopo dell’operazione? “Offrire ai prigionieri un assaggio di lusso ed un incentivo alla moderazione” E per chi si comporta bene, due giorni di permesso premio in una suite - parte del complesso - con la moglie. Lo spirito non è trascurato. I prigionieri frequenteranno anche seminari religiosi che dimostrino loro di essersi fatti deviare da una sbagliata interpretazione di cosa sia la guerra santa (Jihad).