Giustizia: malattie mentali in carcere, situazione potrebbe complicarsi con chiusura Opg Corriere della Sera, 18 aprile 2013 Un terzo dei detenuti italiani soffre di una malattia mentale. Su quasi 70mila persone presenti nelle carceri italiane i conti sono presto fatti. Ventimila è un numero calcolato per difetto: psicosi, depressione, disturbi bipolari e di ansia severi sono la norma nel 40% dei casi, a cui vanno aggiunti poi i disturbi di personalità borderline e antisociale. Persone a volte già ammalate, altre che si ammalano durante la detenzione complici il sovraffollamento, i contesti sociali inimmaginabili, la popolazione straniera di difficilissima gestione. In questa situazione i cosiddetti detenuti sani finiscono per trovarsi in un inferno aggiuntivo che, nella peggiore delle ipotesi, può portare anche al suicidio. In Italia, quelli compiuti in carcere hanno numeri 9 volte superiori rispetto alla popolazione generale con tassi aumentati negli ultimi anni di circa il 300% (dai 100 del decennio 1960-1969 a più di 560 nel 2000-2009 con oltre il 36% di decessi). Crescita che non si arresta: nel 2011 sono stati 63 i suicidi (0.9% per 1.000 detenuti), più di mille i tentati suicidi (15%) e oltre 5.600 gli atti autolesivi (84%). A farne le spese anche l’organizzazione interna alle carceri: tra il 2000 e il 2011, 68 suicidi solo a carico degli operatori di Polizia Penitenziaria. Di questo si è parlato in occasione del congresso dei Giovani Psichiatri in corso a Roma (“La psichiatria tra pratica clinica e responsabilità professionale”). “Tutto ciò accade dopo anni di abbandono, da parte delle Istituzioni, della salute mentale italiana, fuori e dentro le carceri - spiega Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria - e questo è il conto da pagare. Salatissimo e non finito perché la norma entrata in vigore nel 2012 che avrebbe dovuto avere una Sezione di Osservazione Psichiatrica funzionante e bastevole per ogni Regione è stata fortemente disattesa a causa di fondi specifici carenti. Anche su questo aspetto chiediamo l’intervento del Ministero tanto più ora che abbiamo prorogato la chiusura degli Opg, ma solo per un anno. Questa è quindi una cambiale a breve scadenza, ma non sappiamo quando potremo pagarla”. Il sovraffollamento, a livelli record (150 detenuti per 100 posti, rispetto ai 107 del resto d’Europa), è già una condizione di grave disagio per il detenuto sano. Figuriamoci per un paziente con malattia mentale. Appena chiuderanno gli OPG una parte di questi detenuti tornerà in carcere. Se la situazione non sarà cambiata, e non vi sono le premesse perché lo sia, potrebbe davvero diventare esplosiva. “Il superamento degli Opg e il pieno passaggio dell’assistenza psichiatrica nelle carceri al sistema sanitario nazionale devono procedere parallelamente - spiega Mencacci, nell’ambito della più ampia riorganizzazione della Sanità Penitenziaria e delle nuove competenze dei Dipartimenti di Salute Mentale. A questi sono attribuite importanti responsabilità per la tutela della salute mentale dei cittadini detenuti. Si tratta, infatti, delle uniche Istituzioni, nell’ambito del servizio pubblico, in grado di garantire una visione d’insieme e un approccio realmente integrato al raggiungimento degli obiettivi sanitari e assistenziali che vengono affidati dal Ssn alle proprie strutture”. I Dipartimenti di salute mentale possono validamente interconnettersi con tutte le altre Istituzioni operanti in ambito carcerario, risolvendo uno dei problemi più rilevanti ancora aperti, cioè la frammentazione degli interventi sanitari in questo contesto, incluso le Dipendenze. Infine dal punto di vista operativo i Dipartimenti offrono strutture e competenze multiprofessionali in grado di coprire, dentro e fuori dal carcere, gli interventi opportuni, e la continuità terapeutica. “Tutto bene fino ad ora - conclude il presidente SIP -, ma solo sulla carta, perché nessuno ha ancora pensato e predisposto risorse per questa operazione. Si ritiene inderogabile, pertanto, che i Dipartimenti di Salute Mentale siano potenziati e dotati delle risorse necessarie e sufficienti per garantire tale operatività in carcere, anche attraverso una dotazione di personale rispondente ai compiti affidati, e di strutture sovranazionali, quali i Centri di Osservazione Neuro Psichiatrica (Conp, nei fatti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura intra carcerari, finalizzati alla gestione dell’urgenza) e i Reparti di Osservazione Psichiatrica (Rop, nei fatti, aree specialistiche di osservazione diagnostica qualificata a tempo definito)”. Giustizia: Mencacci (Sip); Opg, se la situazione non cambierà potrebbe diventare esplosiva di Giulia Cosentino Giornale di Sicilia, 18 aprile 2013 Chiusura degli ospedali pischiatrici giudiziari slittata di un anno, ma il dramma sovraffollamento resta. Mencacci (Sip): “Se la situazione non cambierà potrebbe diventare esplosiva” “Con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) si acuirà il problema del sovraffollamento in carcere, già ora a livelli record con 150 detenuti per 100 posti, contro i 107 del resto d’Europa. Quando chiuderanno tra un anno, una parte dei loro detenuti tornerà in carcere, e se la situazione non cambierà potrebbe diventare esplosiva”. A lanciare l’allarme in questi giorni è Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip). Ed effettivamente dall’ultimo “bilancio” che abbiamo stilato lo scorso mese di settembre sulla condizione del sovraffollamento in Italia, la situazione non sembra essere migliorata. Attingendo sempre dal sito del Ministero della Giustizia, i detenuti presenti nella nostra Nazione (riferimento al 31 marzo) sono in totale 65.831 per una capienza regolamentare pari a 47.045. In pratica sono 18.786 i carcerati in più rispetto alla capienza delle prigioni. (All’ultimo bilancio da noi effettuato si contavano 66. 271 detenuti, 20.703 in più rispetto la regolamentare capienza pari a 45.568). Ancora una volta il più alto numero di detenuti si concentra in Lombardia (in totale sono presenti 9.289 detenuti per 6.051 posti disponibili distribuiti nei 19 istituti della regione, in pratica si contano 3.238 detenuti in più), segue la Campania (con 2.502 reclusi oltre la regolamentare capienza), terzo posto per il Lazio (con 2.397 detenuti in più). E la Sicilia si piazza sempre quart’ultima in classifica. Se nel mese di settembre si contavano 7.200 detenuti presenti per 5.465 posti disponibili, ovvero 1.735 carcerati in più, ad oggi il numero è sì diminuito (sono 1.522 i detenuti in più per un totale di 7.081 per 5.559 posti disponibili), ma è sempre allarmante pensare che nell’Isola i 27 istituti penitenziari (il più alto numero rispetto al resto delle Regioni d’Italia) non bastano per sopperire i disagi che tutta questa situazione comporta. Inferiore è invece il numero delle donne recluse in Sicilia: sono 179 (572 in Lombardia, 482 nel Lazio, 360 in Campania), mentre gli stranieri sono 1.279 (4.095 in Lombardia, 2.974 nel Lazio, 2.497 in Piemonte). Ad aggiudicarsi il posto tra le più virtuose, la Basilicata con 441 detenuti presenti per 441 posti, come a dire che ogni singolo detenuto ha il suo “posto”. Ma questo è solo un piccolo “dettaglio”, quasi un “esempio fuori dal comune” in quanto tutte le regioni hanno a che fare con episodi di sovraffollamento e di degrado, con l’aggravarsi di fenomeni di suicidio sia all’interno delle carceri tra detenuti, che fuori le sbarre tra i poliziotti di polizia penitenziaria. Tra le problematiche che attanagliano il sistema penitenziario, non meno grave è quello che riguarda le malattie mentali cui i detenuti sono soggetti. Su quasi 70 mila persone nelle carceri italiane, sono circa 20 mila i casi l’anno di patologie: psicosi, depressione, disturbi bipolari e ansia a cui si aggiungono quelli relativi alla personalità. E’ quanto emerso dal convegno dei Giovani Psichiatrici tenutosi nei giorni scorsi a Roma nel corso della quale è emerso il rischio di suicidio (anche da soggetti “sani”) all’interno della realtà penitenziaria. In Italia difatti i suicidi compiuti in carcere sono 9 volte superiori rispetto alla popolazione generale con tassi aumentati negli ultimi anni del 300%. “Le regioni – ha detto Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria – devono completare la presa in carico dei soggetti internati e incrementare l’assistenza negli istituti di pena, fornendo alle asl le risorse per i dipartimenti di salute mentale al fine di riordinare meglio la situazione e dare un’interpretazione corretta della misura di sicurezza per quando non ci saranno più gli Opg, con un protocollo concordato tra personale sanitario e ministero della Giustizia”. Giustizia: Cucchi; legale famiglia “Stefano fu torturato”. Legale agenti “colpa Carabinieri” Il Manifesto, 18 aprile 2013 Il legale della famiglia smonta la perizia della Corte che attribuisce la morte a denutrizione: “Scientificamente sbagliata”. Se Stefano Cucchi non fosse stato vittima di “un pestaggio feroce nelle celle del tribunale, non sarebbe morto”. Invece “fu torturato e morì per il dolore”, i suoi ultimi giorni di vita furono “un vero e proprio calvario”. Ultime battute al processo per la morte del giovane geometra romano. Ieri ha preso la parola l’avvocato Fabio Anselmo e il legale della famiglia Cucchi ha duramente attaccato la tesi dei pubblici ministero Vincenzo Barba e Francesca Loy, convinti che la responsabilità della morte di Stefano - avvenuta nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini una settimana dopo essere stato arrestato per droga - sarebbe da attribuire al personale sanitario più che agli agenti penitenziari (per tutti gli imputati è stata chiesta una condanna a pene che variano dai 6 anni e 8 mesi ai 2 anni). Secondo l’accusa, infatti, Stefano fu sì pestato nelle celle di sicurezza del tribunale, dove si trovava per l’udienza di convalida del suo arresto, ma dopo il ricovero sarebbe stato “abbandonato” da medici e infermieri, al punto che la sua morte è stata attribuita da una perizia disposta dalla Corte a inanizione, vale a dire a un decadimento organico dovuto a scarsa alimentazione. Conclusioni che assolverebbero in gran parte gli autori del pestaggio nella cella di sicurezza. “La sindrome di inanizione è uno specchio che nasconde la causa della morte di Stefano Cucchi, non la spiega”, ha detto ieri Anselmo. “I periti hanno detto che l’inanizione è la causa della morte - ha proseguito - e poi dicono che è irrilevante stabilire se questa ha determinato una morte cardiaca o cerebrale. Questa è l’arroganza dei periti. Ci sono accuse gravi a carico dei medici e loro non spiegano come è morto alla fine. Questo è un modo per liquidare il processo”. Non si tratta, però, dell’unica incongruenza. Il legale ha infatti ricordato come siano stati gli stessi periti a sottolineare come la morte per inanizione avvenga i 21 giorni, mentre invece nel caso del giovane geometra sia avvenuta “in cinque giorni e mezzo”. “Una perizia così importante - ha proseguito Anselmo - meritava una cura e una precisione diversi. C’è un insufficiente studio delle carte, è piena di affermazioni che sono tanto perentorie quanto scientificamente sbagliate”. Infine ci sono i traumi sul corpo di Stefano, che per gli esperti nominati dalla Corte sarebbero stati provocati dopo il decesso e nel corso dell’esame autoptico. “Per i periti - ha spiegato il legale della famiglia - non hanno avuto influenza e questo non è possibile”. Questo non vuol dire che Stefano fosse innocente. Per il reato commesso “Stefano andava messo in galera, ma non ucciso”, ha concluso il legale. Difesa agenti: dolorante prima di arrivo in tribunale (Ansa) Stefano Cucchi “aveva dolore, il viso gonfio, ecchimosi, non ce la faceva a camminare. Ma questi segni abbiamo prova li avesse prima del suo arrivo in tribunale”. È una delle conclusioni cui è giunto l’avvocato Diego Perugini, legale di uno degli agenti penitenziari imputati per i fatti che nell’ottobre 2009 portarono alla morte, in ospedale, del geometra romano, una settimana dopo il suo fermo per droga. “In questo processo - ha aggiunto Perugini - non c’è alcun elemento di certezza medico-legale. I periti nominati dalla Corte non ci hanno saputo dire a quando risalgono le lesioni che Cucchi aveva, né come siano state provocate. Non so cos’è accaduto a Stefano e le consulenze medico-legali non lo hanno chiarito. So solo che Cucchi non è stato pestato nelle celle del tribunale”. Poi, il riferimento al supertestimone gambiano Samura Yaya. “Se si vuole fondare l’accusa su un solo elemento di prova, si pretende sia granitico. E non è così. Samura viaggia su tre piani: del sentito, del visto e del pensato. Lui sente calci, pugni, trascinamenti, pianti, si alza, ma dice di non aver visto nulla. Dice solo di aver sentito. Samura non è un testimone oculare; è testimone che pensa di aver sentito rumori. E solo su un pensiero non è possibile condannare”. Il passaggio focale è che “Stefano a molti dice di essere stato menato dai carabinieri, da quelli che l’avevano arrestato; in quelle celle c’erano tante persone, ben undici operanti, ma nessuno ha sentito calci, pugni o pianti. Nel cuore della notte del suo arresto, Stefano viene trasferito di caserma. Sta bene, ma poi chiamano l’ambulanza. Gli trovano i segni medici relativi all’insorgere di quella sintomatologia che poi sarà trovata sul tavolo autoptico. Su queste basi non è possibile condannare un agente di polizia penitenziaria”. Liguria: Sappe; tasso di sovraffollamento penitenziario che arriva al 94% www.riviera24.it, 18 aprile 2013 “A Pontedecimo arriva ad essere del 95%, con 187 ristretti per 96 posti, ma è del 77% a Spezia (254 presenze per 144 posti), del 74% a Marassi (792 detenuti per 456 posti), del 70% ad Imperia del 69% a Imperia e del 23% a Chiavari” Un tasso di sovraffollamento penitenziario che arriva persino al 94% della capienza regolamentare ed una carenza di poliziotti in Liguria in ogni carcere ligure pari sostanzialmente al 30% dell’organico previsto. È quanto emerge dalla elaborazione dei dati penitenziari alla data del 31 marzo 2013 del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “I dati sulle presenze in carcere confermano il trend negativo di un costante sovraffollamento, che vede più detenuti dei posti letto a disposizione. A Pontedecimo arriva addirittura ad essere del 95%, con 187 ristretti per 96 posti, ma è del 77% a Spezia (254 presenze per 144 posti), del 74% a Marassi (792 detenuti per 456 posti), del 70% ad Imperia del 69% a Imperia e del 23% a Chiavari, struttura che con la chiusura del Tribunale sarà destinata dall’attuale classificazione di Casa circondariale a quella di Casa di reclusione per detenuti con pena superiore ai 5 anni”, spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. “Maglia nera ligure è anche la carenza di poliziotti penitenziari: a Savona mancano rispetto all’organico previsto il 35% dei poliziotti (ossia 14), a Pontedecimo il 34 % (ne mancano 54), a Chiavari il 31% (- 22). Percentuali analoghe anche a Sanremo, La Spezia, Imperia e Marassi, tutte carenti di poliziotti”. “Abbiamo più detenuti rispetto ad un anno fa” aggiunge Martinelli “e questo dimostra l’inefficacia delle politiche nazionali in materia penitenziaria. Resta altissima la presenza di detenuti stranieri, tra il 55 ed il 65% a seconda degli Istituti, e dei tossicodipendenti ristretti, oltre il 30%.” Il SAPPE sottolinea che “nel 2012, nelle sovraffollate carceri liguri, i detenuti si sono resi protagonisti di 92 atti di autolesionismo (e cioè ingestione di corpi estranei come chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette) e 29 tentativi di suicidio. Hanno tentato il suicidio 9 persone a Marassi, 7 a Sanremo, 6 a La Spezia, 5 a Pontedecimo ed 1 a Chiavari e Imperia. Le morti per cause naturali in carcere sono state 5 (3 a Marassi, 1 a Sanremo ed Imperia). Non si sono registrati, per fortuna, casi di suicidio. Sono state, infine, 93 le colluttazioni (7 a Imperia, 19 a Pontedecimo, 9 a Chiavari, 2 a La Spezia, 53 a Sanremo e 3 a Marassi) e 19 i ferimenti (12 a Marassi, 5 a Savona e 2 a Imperia). Sono state infine 5 le evasioni in Liguria da parte di altrettanti detenuti che non sono rientrati in carcere dopo aver fruito di permessi premio e semilibertà. Nel corso dell’anno, infine, sono stati complessivamente 6mila i detenuti della Liguria che hanno dato luogo e partecipato alle molte manifestazioni di protesta collettive sulla situazione di sovraffollamento delle carceri e sulle critiche condizioni intramurarie”. Piemonte: la Regione vuole riaprire il manicomio di Collegno per ricoverare internati Opg La Repubblica, 18 aprile 2013 Riaprire le porte dell’ex manicomio di Collegno a un gruppo, sia pure ridotto, di pazienti psichiatrici? L’idea, arrivata attraverso una lettera e un incontro tra Regione e Comune, ha suscitato un certo sgomento tra gli amministratori locale, a cominciare dal sindaco Silvana Accossato (Pd), e ieri questo sentimento ha trovato spazio anche in un’interrogazione parlamentare che ha come primo firmatario Umberto D’Ottavio. “Abbiamo risposto no - chiarisce il sindaco - per ragioni simboliche, pratiche e politiche. Sarebbe come riportare le lancette dell’orologio indietro di decine e decine di anni”. La lettera porta la firma di Sergio Morgagni, direttore generale della sanità piemontese. L’oggetto è burocratico (“Strutture extra ospedaliere per il superamento dei manicomi giudiziari”): la Regione informa che si devono creare due diversi poli, uno nel nord l’altro nel sud del Piemonte, e che a Collegno potrebbero trovare posto trenta pazienti-detenuti, venti uomini e dieci donne, già condannati per reati gravi, potenzialmente pericolosi a sé e agli altri. Dove? Nei padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico, quello che sotto la spinta della contestazione democratica era stato smantellato a partire dalla fine degli anni Settanta, prima e durante l’epoca dell’entrata in vigore della legge Basaglia (1978). Nel 1990, quando a essere ministro della Sanità era Rosy Bindi, la chiusura delle ultime comunità rimaste all’interno dell’antico complesso, che risale al 1600 (con la Certosa) ma che era cresciuto a dismisura fino all’Ottocento, diventando uno dei manicomi più grandi d’Europa. Per Collegno, e per Torino, superare la storia dell’”ospedale dei matti” ha richiesto anni e anni. Da un lato i giovani psichiatri, i medici e gli infermieri che affrontavano una difficile trasformazione, riportando alla vita “normale” migliaia di pazienti che in molti casi non avevano avuto alcuna altra esperienza di vita (fino agli anni Settanta, i manicomi ospitavano malati psichiatrici gravi ma anche persone dichiarate inabili di incapaci e rinchiuse fin dall’infanzia, parenti ‘scomodì dei quali ci si voleva liberare e così via). Dall’altro la resistenza delle famiglie che non potevano o non volevano riaccoglierli, e dei cittadini che non volevano quei “matti” come vicini di casa. E in mezzo l’enorme insieme di padiglioni con il suo parco e il suo carico di memorie dolorose, di terapie coatte, di pazienti legati al letto. “Oggi - dice Accossato - quegli edifici, di proprietà dell’Asl, sono sede di importanti ambulatori e di altri servizi pubblici, nel parco ogni domenica passeggiano migliaia di persone. Non vogliamo che tornino a essere un simbolo di reclusione”. Catania: Uil; l’allarme della Polizia penitenziaria “solo sei agenti per scortare 27 detenuti” Giornale di Sicilia, 18 aprile 2013 “Se finora non è mai accaduto nulla, è un puro miracolo”. Secondo Armando Algozzino, segretario della Uil Pubblica amministrazione, tra carenze di uomini e mezzi vetusti, la situazione quotidiana a Catania regge per intervento divino. Traduzioni e piantonamenti sono effettuati sotto organico, con grave rischio per guardie e carcerati. “Se c’è un’evasione, chi paga? Sempre il personale”. “Fino a oggi non è successo niente, grazie a Dio”. Affidandosi al Padreterno, secondo il segretario della Uil Pubblica amministrazione Armando Algozzino, si può sperare che non succeda nulla di grave nel corso dei trasferimenti di detenuti e nei piantonamenti che quotidianamente vengono effettuati a Catania e in tutta la Regione. A occuparsene è “il nucleo operativo traduzioni e piantonamenti di Catania-Bicocca”. Secondo i regolamenti ministeriali, ogni due anni dovrebbero giungere nuove forze che possano specializzarsi in uno dei settori potenzialmente più vulnerabili. A Catania, invece, vige un sistema di rotazione che “non apporterebbe alcuna miglioria nell’organico - denuncia il sindacato in una nota ufficiale - e farebbe venire meno il principio della professionalità voluta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. E non risolve nemmeno il problema endemico della carenza di personale. Il nucleo di stanza a Bicocca “era formato da 196 agenti. Oggi sono rimasti meno di 100”, spiega Algozzino. In totale, il deficit di uomini in tutta la Sicilia è di 300 unità, un terzo è assorbito quindi totalmente dal fabbisogno etneo. “Questa rotazione a cosa serve? Cento ce ne sono, cento ne restano. Il decreto parla chiaro: ogni due anni devono essere fatte le integrazioni nei nuclei”. Se dei problemi nelle carceri se ne parla - anche se le condizioni non migliorano, nonostante le denunce - dei lavoratori di queste strutture spesso si conosce poco. “I cittadini non sanno che escono 27 detenuti con cinque-sei agenti”. Problemi anche nella sorveglianza in ospedale: “A piantonare dovrebbero essere tre agenti”, ma spesso il numero si riduce a due. “Se c’è un’evasione, chi paga? Sempre il personale”. E in caso di emergenza, il numero di agenti che effettua le scorte è “insufficiente sia per la sicurezza del personale che per quella degli stessi detenuti”, oltre che delle persone ignare che potrebbero essere coinvolte. Problemi anche sul fronte blindati e cellulari: “Solo quattro sono i mezzi idonei alla circolazione”, afferma il sindacalista. Gli altri non potrebbero circolare, in verità: “In condizioni fatiscenti, freni che non funzionano, copertoni lisci, fari che non funzionano”. E così capita che in un tragitto estivo da Catania a Palermo, dentro un automezzo con l’aria condizionata guasta, svengano allo stesso modo reclusi e agenti sfiniti dal caldo. “Soffre il detenuto come soffre chi lo scorta”. Un rapporto - quello tra carcerati e militari - che funziona secondo strane dinamiche. Ai lati opposti delle barricate, nel caso italiano si trovano a soffrire molto spesso gli stessi problemi. Sulla notizia di cronaca che riguarda l’arresto ieri di un agente di polizia penitenziaria, Giuseppe Seminara, accusato di aver passato telefoni, champagne e informazioni ad altri detenuti del clan Santapaola-Ercolano Algozzino non si sbilancia. “Faceva servizio all’istituto penale minorile di Acireale e non faceva servizio traduzioni”. Difficile, sostiene il sindacalista, che potesse avere notizie utili. “Se dovesse essere così… Qualche pecora nera c’è in ogni famiglia”, afferma sottolineando la sua fiducia nell’operato della magistratura. Sul fronte della vertenza, dagli organi di competenza finora non è arrivata alcuna risposta alla sequela di lamentele: “Tutti fanno finta di nulla”, afferma Armando Algozzino che ha scritto l’ennesima nota “nella disperazione”. “Le istituzioni dormono”, attacca. E non esita a sollevare da qualsiasi responsabilità il personale: “La riteniamo responsabile - scrive ufficialmente, riferendosi al provveditore regionale Maurizio Veneziano - di ogni evento “negativo” che possa accadere al personale del Notp di Bicocca, alla cittadinanza e ai detenuti tradotti e piantonati”. “Non ci possono essere direttori e provveditori che non applicano i regolamenti”, afferma con decisione il segretario della Uil. I sindacati minacciano per il mese di maggio manifestazioni e scioperi, se non verrà aperto un tavolo per affrontare le problematiche. Solo nel 2012 - secondo una stima della Uil - in Sicilia sono stati effettuati oltre 18mila spostamenti per 45mila detenuti, con un costo che si aggira attorno a oltre quattro milioni di euro. “Fin quando Dio ce la manda buona…”. Ascoli: domani è l’Eco-Day… i detenuti del Marino del Tronto puliscono le spiagge www.ilquotidiano.it, 18 aprile 2013 Venerdì prossimo, 19 aprile, sei detenuti del carcere ascolano, accompagnati dalla direttrice Lucia Di Feliciantonio e da agenti della polizia penitenziaria, svolgeranno servizi di pulizia su alcuni tratti dell’arenile cittadino. L’iniziativa dà concretezza ai contenuti dell’accordo di programma firmato nel dicembre 2011 tra il comune di Grottammare e la direzione della casa circondariale per la realizzazione di attività di reinserimento di soggetti detenuti in attività di volontariato finalizzate alla restituzione sociale. In pieno rispetto, dunque, dell’art. 27 della costituzione italiana che sancisce il principio che “... le pene ... devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Un’esperienza di accoglienza per accogliere. Approfittiamo di questa collaborazione, infatti, per preparare le nostre spiagge ai ponti festivi del 25 aprile e del primo maggio”, afferma l’assessore alle politiche sociali, Daniele Mariani, “Con piacere ricordo che questa è la terza giornata ecologica, dopo la firma del protocollo di intesa avvenuta il 10 dicembre 2011 con la direzione del carcere. Questa iniziativa è un modo per rafforzare l’attenzione sulle problematiche di inclusione sociale ed è a totale costo zero per l’ente, anzi, colgo l’0ccasione per ringraziare i giovani gestori del ristorante chalet Da Mario, che offriranno la pausa pranzo”. I detenuti partecipanti sono selezionati dalla Direzione del carcere sulla base della motivazione personale, del percorso di revisione critica rispetto al reato commesso, del profilo personale e psicologico del detenuto e delle particolari attitudini, esperienze e potenzialità di ognuno. L’iniziativa è organizzata dall’assessorato alle Politiche sociali, in collaborazione con la redazione del periodico del carcere Io e Caino e il servizio Manutenzioni e la Picenambiente Spa, che hanno indicato i luoghi di intervento. Tempio Pausania: progetto Dap; nel carcere di Nuchis lavoro e teatro per boss della mafia di Giampiero Cocco La Nuova Sardegna, 18 aprile 2013 Sarà molto difficile vedere uno dei boss di Cosa Nostra palermitana o delle cosche corleonesi recitare, in teatro, la parte di Otello. O, come ipotizzato, acquistare nell’outlet del carcere le birre, i prodotti alimentari o le sculture realizzate dal clan Piromalli o dai capibastone del clan dei Casalesi. Molto più probabile, per restare alle cose terrene, che dei centocinquanta super detenuti del carcere di Nuchis, il gotha della criminalità organizzata italiana - mafia, ‘‘ndrangheta e camorra - molti propendano per improvvisarsi imbianchini, e dare una mano di colore alle levigate pareti in calcestruzzo che circondano, in una triplice e insormontabile barriera, le celle dei detenuti ad alta sorveglianza. 150 stanze dotate di ogni comfort per “ospiti”, alcune delle quali avanti in età, per i quali le prospettive di rivedere il sole se non a quadretti, come si dice nel gergo dei detenuti, è molto, molto lontana. “La scelta del Dap di inviare, a Nuchis in particolare - ha spiegato ieri il provveditore regionale Gianfranco De Gesu - questi detenuti è dovuta al fatto di volere isolare, anche fisicamente, le persone che si sono macchiate di crimini gravissimi dal contesto socio-economico in cui operavano ed avevano influenza, anche restando in carcere. Ma questo non impedisce allo Stato, nell’applicare la pena, di avviare un percorso di recupero del detenuto. Un diritto che qui a Nuchis troverà applicazione in diversi campi, con la collaborazione delle associazioni esterne e degli enti. Infine -ha spiegato De Gesu - è necessario sfatare il teorema che vuole l’infiltrazione della criminalità organizzata dove ci sono detenuti mafiosi. La Sardegna è immune da queste contaminazioni, e la Gallura lo è in modo particolare”. Per presentare il progetto di “recupero ai principi e valori della legalità la popolazione carceraria” e dare una visione della realtà dell’istituto sono intervenuti, nel complesso penitenziario di Nuchis (una casa di reclusione, com’era negli anni Settanta e Ottanta l’Asinara) sono intervenuti, oltre al capo del divertimento penitenziario isolano, i magistrati di sorveglianza Maria Vertaldi e Gaetano Cau, il sindaco di Tempio Romeo Frediani e il comandante di reparto dell’istituto penitenziario, il commissario Giovanni Rizzo. A spiegare i vari passaggi all’affollata assemblea, composta di assistenti sociali, magistrati, rappresentanti di tutte le forze dell’ordine, associazioni di volontariato, Università della terza età e del dipartimento di scienze della comunicazione dell’Università di Sassari, è stata la direttrice del supercarcere, Carla Ciaravella. Una donna dalle idee chiare, che si è formata in zone di guerra come Afganistan, Iran, Irak , Libano e ex Jugoslavia, una funzionaria governativa che ha scelto di vivere in Sardegna una nuova esperienza dirigendo uno dei penitenziari più nuovi. Ma popolato - ombre invisibili - dai capi delle famiglia criminali più potenti d’Italia. Ai quali vuole insegnare la legalità, passando attraverso lo studio e il lavoro. Lucca: il Prefetto in visita al carcere “collaborazione stretta con operatori penitenziari” Il Tirreno, 18 aprile 2013 Il prefetto Giovanna Cagliostro accompagnata dal vice prefetto Maria Gabriella Folino, si è recato in visita alla Casa circondariale di San Giorgio accolto dal direttore Francesco Ruello e dal comandante della polizia penitenziaria Rosa Ciraci. Il prefetto si è intrattenuto sugli aspetti organizzativi della struttura che conta tre sezioni aperte su quattro - essendo una sezione non operativa per effetto di una programmazione di lavori da avviare - sulle criticità dell’organico e sul numero di detenuti presenti. Successivamente ha visitato i vari ambienti e salutato il personale della polizia penitenziaria e i vari operatori nei loro luoghi di lavoro. Il prefetto ha colto l’occasione della visita per ringraziare tutti gli appartenenti alla polizia penitenziaria per la professionalità e la sensibilità dimostrate nello svolgimento dei loro delicati compiti. Analogo riconoscimento ha rivolto a tutti gli operatori, educatori, personale dell’area sanitaria e sociale per l’impegno profuso e la passione volta alla ricerca di percorsi educativi nel campo dell’istruzione, del lavoro e delle relazioni sociali. Il prefetto, al termine della visita ha assicurato l’impegno della prefettura per una sempre maggiore condivisione dei bisogni connessi alla realtà carceraria. Il direttore ed il comandante al termine dell’incontro hanno ringraziato il prefetto per la attenzione e la vicinanza dimostrata in questo momento così delicato per l’istituzione carceraria. Fano (Pu): biblioteche e cultura, un diritto anche per i detenuti, un convegno alla Memo www.viverefano.com, 18 aprile 2013 “Biblioteche e cultura, un diritto anche per i detenuti”, è questo il tema del seminario organizzato dall’associazione dei bibliotecari italiani (Aib Sezione Marche) in collaborazione con Regione Marche (Politiche sociali, Cultura e Istruzione), Prap Marche, Ats Camerino, Guspec (Gruppo nazionale utenze speciali Aib), Coop Culture e Comune di Fano. Un viaggio all’interno degli istituti di detenzione troppo spesso al centro delle cronache nazionali ed europee solo per emergenze e situazioni difficili, ma anche un luogo che accoglie la comunità esterna ed integra nelle proprie attività le proposte socio-culturali che provengono dal mondo biblioteche e della società civile. Proposte orientate alla promozione della lettura multiculturale, all’alfabetizzazione informativa e informatica, alla realizzazione di inserimenti lavorativi grazie alle realtà culturali del territorio. Il convegno avrà luogo lunedì 22 aprile a partire dalle 09.30 presso la Memo - Mediateca Montanari di Fano e vedrà la partecipazione di diversi esperti e relatori. Con la moderazione di Marco Nocchi (Regione Marche - Servizio Politiche Sociali) e Antonella Agnoli (Consulente bibliotecaria), interverranno: Daniela Grilli (Prap - Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria): “Il carcere: finalità, tipologie, struttura ed organizzazione”, Enrichetta Vilella (Capo area pedagogica): “Il personale dell’Area Trattamentale: ruoli e funzioni”, Enrica Olivieri (Magistrato di Sorveglianza): “L’esecuzione della pena nel rispetto dei diritti dei detenuti”, Luigi Tarulli (Commissario di Reparto, Casa Circondariale di Camerino): “Ruolo e funzioni”, Leonardo Basiricò (Scrivano bibliotecario presso C.C. Pesaro): “I detenuti bibliotecari”, Valerio Valeriani (ATS - Ambito Territoriale Sociale n.8 Camerino): “Le attività trattamentali e l’apporto della comunità esterna”, Gina Gentili (Regione Marche - Servizio Istruzione): “Insegnare in carcere”, Emanuela Costanzo (Guspec - Gruppo di studio dei servizi bibliotecari per le utenze speciali): “Biblioteconomia penitenziaria: il quadro nazionale”, Lorenzo Sabbatini (coordinatore progetto Sbcr - Sistema bibliotecario carcerario regionale): “Biblioteconomia penitenziaria: il quadro regionale”. A fare i saluti introduttivi interverranno: Tommaso Paiano (Presidente AIB Marche), Laura Capozucca (Regione Marche - Servizio Cultura), Graziella Cirilli (Regione Marche - Servizio Istruzione), Italo Tanoni - (Ombudsman regionale con funzioni di garante dei diritti dei detenuti) L’iscrizione è libera e gratuita. Sarà rilasciato l’attestato di partecipazione. Foggia: detenuti sfidano gli agenti... ma per una partita di calcetto Asca, 18 aprile 2013 “L’iniziativa - si legge in una nota del carcere di Foggia - è stata sostenuta dalla stessa polizia penitenziaria che collabora costantemente con l’area trattamentale alle numerose iniziative interne a testimonianza di una autentica integrazione tra quanti sono chiamati all’attuazione del dettato normativo che prevede il recupero dei condannati anche attraverso le attività intramurarie”. L’occasione ha consentito a tutti i partecipanti di ricordare Giovanni Bassi, agente penitenziario scomparso tragicamente di recente. Svizzera: italiano detenuto da marzo denuncia soprusi, prevaricazioni e false accuse di Fabio Frabetti Affari Italiani, 18 aprile 2013 Enrico Bonagura, l’uomo detenuto in un carcere della Svizzera dai primi di marzo, non potrà neanche partecipare ai funerali della madre deceduta in queste ore. Le autorità infatti hanno negato il permesso per partecipare alla cerimonia che si terrà venerdì prossimo a Wil. Bonagura definisce tutto questo l’ennesima persecuzione nei suoi confronti. Quest’uomo, come aveva raccontato ad Affaritaliani.it in una drammatica telefonata dal carcere, da numerosi anni subirebbe una serie interminabili di soprusi, prevaricazioni e false accuse che ne hanno determinato non solo la reclusione in carcere ma l’impossibilità da tre anni di vedere la sua bambina. E proprio su quest’ultimo punto verte probabilmente il divieto di partecipare ai funerali della madre: “Inizialmente il permesso mi era stato concesso. Poi quando è emerso che al funerale avrebbe partecipato anche mia figlia allora è cambiato tutto e mi verrà impedito di partecipare”. Dunque a motivare la decisione delle autorità svizzere non sembra essere stato un pericolo di fuga da parte di Enrico quanto la volontà di vietare non solo il minimo contatto con la figlia ma anche la minima possibilità di poterla vedere da lontano, come sarebbe accaduto nel caso quel permesso fosse stato concesso. Siamo quindi di fronte ad una doppia atrocità: un figlio che non può rivolgere l’ultimo saluto alla madre e una bambina a cui da tre anni si impedisce di vedere il padre. Quest’ultimo episodio ha gettato ancora di più nella disperazione Bonagura che in carcere ha iniziato uno sciopero della fame da alcune settimane, intenzionato a portarlo fino in fondo. “Continuo a rivolgermi al Consolato, alla Farnesina. Ho bisogno di aiuto. Mi hanno tolto tutto, sono in carcere detenuto ingiustamente e mi hanno strappato dalla mia bambina, nonostante le stesse autorità svizzere abbiano riconosciuto come avessimo un rapporto molto profondo. Lei voleva stare con me”. Il funerale si celebrerà venerdì, forse con po’ di buona volontà si potrebbe ancora permettere a quest’uomo di partecipare. Stati Uniti: a Guantanámo si allarga protesta, 52 detenuti in sciopero della fame Tm News, 18 aprile 2013 Si allarga la protesta iniziata il 6 febbraio scorso a Guantánamo, con 52 detenuti oggi in sciopero della fame, pari a quasi un terzo delle 166 persone imprigionate nel penitenziario americano di Cuba. Stando a quanto riferito dal portavoce del carcere, Robert Durand, 15 prigionieri vengono alimentati a forza e tre di loro sono stati ricoverati in osservazione. Alcuni avvocati hanno precisato che la protesta riguarda perlopiù il Campo 6, dove si trovano prigionieri ritenuti di “basso valore”, che protestano per 11 anni di detenzione senza alcun capo di accusa e senza processo. Egitto: ex presidente Mubarak trasferito in carcere da ospedale militare Adnkronos, 18 aprile 2013 L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak è stato trasferito nel carcere di Tora alla periferia del Cairo dall’ospedale militare Maadi dove era ricoverato prima dell’udienza di sabato, quando le sue condizioni di salute sono apparse migliorate. Il trasferimento di Mubarak è stato rinviato a oggi per la manifestazione dei sostenitori dell’ex rais che ieri sera avevano bloccato la strada di fronte all’ospedale militare in segno di protesta contro il suo ritorno dietro le sbarre. Intanto ieri la Corte d’Appello ha fissato per sabato 11 maggio l’avvio del nuovo processo a Mubarak dopo che sabato l’udienza è finita con un nulla di fatto per le dimissioni presentate dal presidente della Corte d’Assise Mustafa Hassan Abdullah.