Giustizia: carceri e demagogia, l’illusione di risolvere i problemi con l’edilizia di Dimitri Buffa www.clandestinoweb.com, 16 aprile 2013 I politici mediocri che negli ultimi dieci-quindici anni si sono susseguiti alla carica di ministro Guardasigilli a via Arenula hanno sempre illuso l’opinione pubblica che il problema del sovraffollamento carcerario potesse essere affrontato “costruendo nuovi istituti”. Da Fassino alla Severino, passando per Angelino Alfano e l’ineffabile ingegner Castelli, ogni qual volta voci di buon senso del mondo laico e cattolico premevano per un’amnistia, un indulto e una riforma seria del sistema penale italiano, nel senso della inversione di tendenza della cosiddetta “deriva securitaria” che tanto è stata di moda sotto elezioni, almeno fino al 2008, la risposta era automatica come quella di una segreteria telefonica: “occorre costruire più carceri”. Che ha un corollario semplice: “più galera per tutti”. Dopodiché, quando a rischiare di finirci (o a finirci direttamente) dentro sono stati gli stessi politici, o i loro sodali, che prima invocavano le manette per i cittadini senza alcuna pietà, l’atteggiamento ha cominciato a mutare. Ma non è mutata la demagogia di chiedere più edilizia carceraria. Naturalmente questo rimedio è peggiore del male. Prima di tutto perché la penisola pullula di carceri nuove, magari addirittura inaugurate, e poi rimaste “chiuse” perché non ci sono i soldi per pagare gli agenti di custodia e per mantenere le strutture. E poi perché dall’epoca delle “carceri d’oro” degli anni 80 a oggi, non c’è stato edificio adibito a quello scopo che non abbia visto una storiaccia di tangenti e corruzione dietro la sua costruzione. In pratica i primi che dovrebbero finire in carcere sono coloro che le costruiscono, per pura legge del contrappasso. Se ci fosse bisogno di un’ulteriore riprova basterebbe leggersi la nota mandata da Francesco Morelli di “Ristretti orizzonti” a tutte le redazioni che si occupano di queste tematiche e che si intitola “Puglia: 12 carceri costruite, spesso ultimate, a volte arredate, poi inutilizzate o in totale abbandono”. Vengono citati i seguenti esempi: “una ad Accadia (Fg) con l’ennesimo penitenziario consegnato nel 1993, ora di proprietà del Comune e mai utilizzato; ad Altamura (Ba) una delle tre sezioni dell’istituto non è mai stata inaugurata; a Bovino (Fg) una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre; a Galatina (Le) una struttura inutilizzata e a Maglie (Le) solo parzialmente utilizzata per detenuti semiliberi; a Minervino Murge e a Orsara case circondariali mai entrate in funzione; a Monopoli l’ex carcere occupato dagli sfrattati. Strutture mai entrate in funzione e ignorate dalla politica locale che poco o nulla ha fatto per rivendicare il loro utilizzo o un possibile riutilizzo.” Ecco, la prossima volta che un ministro, magari quello che verrà dopo la Severino, ricomincerà a rispondere al problema del sovraffollamento con la solita storiella del “costruiamo più galere”, proviamo a rispondergli così. Con questi fatti. Anzi mis-fatti. Giustizia: Minority Report in Italia; creato “eSe-curity”, un software prevede i reati di Carlo Brambilla La Repubblica, 16 aprile 2013 “Signor Marks in nome della sezione precrimine di Washington D.C. la dichiaro in arresto per il futuro omicidio di Sarah Marks e Donald Dubin che avrebbe dovuto avere luogo oggi”. Così proclamava Tom Cruise, detective in Minority Report, il film di Steven Spielberg, ambientato nella Los Angeles del 2054, in cui si dava la caccia agli assassini prima che potessero uccidere. Oggi la “polizia predittiva” non è più fantascienza. Grazie a un software che utilizza una serie di sofisticati algoritmi sarà possibile infatti prevedere statisticamente dove, come e quando si verificherà un reato. E agire tempestivamente, utilizzando al meglio le poche forze disponibili. Per la prima volta in Italia - dopo analoghe esperienze a Memphis, Los Angeles e Londra grazie alle quali si è arrivati fino alla diminuzione del 31 per cento della criminalità in un anno, il gruppo di lavoro eCrime della facoltà di Giurisprudenza dell’università di Trento, in collaborazione con la Questura, ha messo a punto un modello matematico capace di anticipare il male prima che avvenga: è stato battezzato “eSe-curity” ed è stato finanziato dalla Commissione europea, con un contributo di oltre 400 mila euro. Il software incrocia casi concreti, noti alla polizia, con altre informazioni e disegna una precisa mappa del rischio: quando piove calano enormemente i furti in appartamento, perché maggiore è il numero di cittadini che resta in casa. Nelle giornate più calde i furti aumentano perché molti lasciano le finestre aperte. In tre settimane, tra luglio e agosto, in due vie del centro, si concentrano i topi d’appartamento. Mentre in un determinato parcheggio, solo quando ci sono più di 500 auto, ed è più facile nascondersi, aumentano danneggiamenti e vandalismi sulle vetture. Inprecisi luoghi, dove si accumula degrado e sporcizia, aumentano gli scippi e lo spaccio di droga. Al contrario di dove maggiore è l’illuminazione pubblica. Andrea Di Nicola, 39 anni, docente di criminologia e coordinatore scientifico del progetto, chiarisce: “Gli eventi criminali tendono a concentrarsi in luoghi specifici del tessuto urbano e in particolari archi temporali. Analizzando la banca dati che contiene l’analisi dei crimini avvenuti in passato, la loro dislocazione spazio-temporale e le eventuali ricorrenze è possibile disegnare mappe di rischio capaci di prevedere i luoghi di concentrazione della criminalità e razionalizzare, di conseguenza, i servizi di pattugliamento”. Per il momento i reati previsti sono soprattutto i furti, le rapine, le lesioni, lo spaccio di droga. Più difficile in una piccola città come Trento prevedere gli omicidi, che fortunatamente sono pochi. O i reati a sfondo sessuale. Il vicequestore Salvatore Ascione ha collaborato attivamente al progetto: “Esistono da sempre una serie di dati ambientali già noti alla Polizia. Poter incrociare però tutti i dati disponibili, in modo scientifico e computerizzato, ci mette in condizioni di usare al meglio le nostre conoscenze. E ci fa fare un salto di qualità, dà strumenti in più a tutti gli agenti, anche gli ultimi arrivati”. Il software messo a punto a Trento è in grado di incrociare una grande mole di informazioni. Grazie a un team di ricercatori con diverse competenze. “La previsione dei reati assomiglia, in una certa misura, alle nostre mappe di rischio epidemiologico - spiega Cesare Furlanello, capo dell’unità di ricerca Mpba “Modelli predittivi per la biomedicina e l’ambiente”, che ha partecipato al progetto. Come per le malattie anche nei reati esistono la stagionalità, i fattori di rischio, la predisposizione, i rischi ambientali”. Questo progetto pionieristico sarà operativo a Trento già nei prossimi mesi. E, se avrà successo, potrebbe essere esportato nelle grandi città italiane. Semplicemente pianificando la presenza della polizia sul luogo del delitto, prima che il delitto avvenga. Il criminologo Massimo Picozzi: non saprà anticipare l’azione di un killer “Non mi aspetto miracoli ma certamente il progetto trentino può servire alle forze dell’ordine. E consentire un utilizzo più efficace degli agenti disponibili”. Il criminologo Massimo Picozzi approva l’esperimento eSecurity condotto dall’Università di Trento. Ma avverte che servirà a combattere solo alcuni reati, non tutti. Professor Picozzi, quali sono i reati che un software, che si basa su una serie di algoritmi, può riuscire a prevenire? “Il crimine può essere diviso in due grandi famiglie, può essere di tipo “strumentale” o “espressivo”. Nel primo caso ha uno scopo razionale, come il furto per entrare in possesso di un bene o un omicidio se finalizzato, per esempio, a incassare un’assicurazione sulla vita. Nel secondo caso prevale invece la componente psicologica, come nei reati di tipo sessuale o negli omicidi passionali. Per la prima famiglia di reati, che sono la maggioranza, un sistema di previsione è possibile e può essere particolarmente utile alla prevenzione”. La stessa cosa non vale per stupri e omicidi? “Assolutamente no. Non c’è algoritmo che possa prevedere questo tipo di reati. A meno che ci si trovi di fronte a stupri o omicidi seriali”. Giustizia: Pd; presentata proposta di legge sullo sport negli istituti penitenziari Agenparl, 16 aprile 2013 Questa mattina, i deputati democratici Laura Coccia e Filippo Fossati, insieme al Presidente del Coni Lazio, Riccardo Viola, hanno presentato ai detenuti, agli educatori, alla direzione e alla polizia penitenziaria dell’Istituto di Reclusione di Rebibbia una proposta di legge per la promozione dell’attività sportiva nelle carceri. “Credo sia fondamentale - dice Laura Coccia, deputata democratica- che in Italia, anche in seguito alla mortificante condanna con cui la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha stabilito che il nostro Paese viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati, si cominci finalmente a immaginare percorsi rieducativi che restituiscano al condannato dignità e gli consentano di affrontare un percorso realmente riabilitante”. “Per queste ragioni l’attività motoria diventa un diritto sacrosanto per dare dignità alla propria vita e al proprio corpo - dice Fossati, deputato democratico - la proposta di legge, oltre a stabilire principi generali che riconoscono allo sport un forte valore sociale ed educativa, afferma come esso rappresenti un diritto della persona e come tale vada garantito. In particolare in quelle realtà dove la sua pratica stimola la socializzazione, il rispetto delle regole e la collaborazione con gli altri. Auspichiamo fortemente - concludono Coccia e Fossati - che questa proposta di civiltà, oltre ad essere largamente condivisa dalle altre forze politiche possa diventare presto legge dello stato”. Lo fa sapere in una nota il Partito Democratico. Giustizia: caso Uva; la presidente della Camera Laura Boldrini ai familiari “sono con voi” di Davide Vecchi Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2013 Stefano è stato pestato, altro che caduto: pestato fino a morire”. Fabio Anselmo è appena uscito dall’aula del tribunale di Roma dove ieri, per la quarantesima volta, è entrato per seguire il caso Cucchi. Anselmo è illegale di Ilaria, sorella di Stefano, arrestato nell’ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo. “Riusciremo a far emergere la verità in questo come negli altri casi” Aldrovandi e Uva. Anselmo è infatti l’avvocato dei familiari di tutti i tre ragazzi morti in seguito ai fermi di Polizia. Ma il più complesso, spiega, è quello di Giuseppe Uva a Varese. “C’è una sorta di accanimento da parte del pm” Agostino Abate che “ha persino indagato la sorella di Giuseppe”. Lo scorso 10 aprile, dopo numerosi esposti, il Csm ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti di Abate, mentre alcuni parlamentari si stanno interessando alla vicenda. Laura Boldrini venerdì ha inviato alla nipote di Uva, Angela De Milano, una lettera, su carta intestata della Presidenza della Camera, per esprimere “la mia solidarietà” e “assicurare la massima sensibilità a seguire gli sviluppi processuali di questa tragica vicenda. Sono a sua disposizione per le altre, ulteriori iniziative che vorrete assumere”, le ha scritto Boldrini. Intanto oggi a Varese ci sarà una manifestazione per chiedere agli inquirenti “di dare seguito alle indagini e accertare, come ha intimato anche un giudice, cosa è accaduto nelle ore di fermo in caserma e capire perché i video, le testimonianze spontanee di quanti hanno parlato di pestaggi non sono state prese in considerazione”, spiega Anselmo. La tensione dell’intervento in aula è ancora alta. L’avvocato si dice rassicurato dall’interesse del presidente della Camera e non solo: “Domenica Beppe Grillo ha voluto che raccontassi tutte le vicende a cui ho assistito in questi anni nelle aule di tribunali e vuole sapere anche lui la verità sul caso Uva. Ho parlato a lungo con due parlamentari del Movimento anche del caso Polita, imprenditori costretti a pagare tangenti che si sono ritrovati indagati, con le aziende al fallimento e i beni sequestrati per quattro milioni di euro, firmato Abate”. Agostino e Sandro Polita nel 2010 denunciarono di aver consegnato mazzette, tra gli altri, all’ex senatore Pdl, Antonio Tomassini, e l’ex direttore generale della sanità al Pirellone, fidatissimo uomo di Formigoni, Carlo Lucchina. “E siamo finiti indagati”, ricorda Sandro Polita. “Abate non ci ha mai neanche interrogato”. Così si sono rivolti alla procura di Milano, ad Alfredo Robledo. “Gli abbiamo raccontato tutto, presentando una serie di esposti di cui uno su Abate e la sua assoluta immobilità. Ma il fascicolo poi è trasferito per competenza territoriale a Varese”, ricorda Polita. “Robledo ci rassicurò: “Ho parlato con Grigo (procuratore capo di Varese, ndr) e mi ha garantito che non sarà affidato ad Abate”. E invece a chi va? Ad Abate. Che ci fa indagare e sequestrare tutto, ma i quattro milioni hanno dovuto ridarceli perché i giudici hanno stabilito che il sequestro era illegittimo e che era stato ottenuto da Abate sottacendo documenti e dicendo cose non vere”. Inutile invitare alla prudenza Sandro Polita. “Perché dovrei? Una persecuzione, guardi. Capisco Lucia Uva quando dice di essere ormai rovinata, anche economicamente: non dico avere ma anche solo cercare giustizia può diventare un calvario”. Oggi saranno tutti davanti al tribunale di Varese. Polita, Uva, Anselmo. “Ogni Calvario ha la sua via Crucis”. Giustizia: Provenzano esce dal coma ma resta in regime 41-bis, Severino dice no a revoca Adnkronos, 16 aprile 2013 Il boss mafioso Bernardo Provenzano resta al 41 bis. Lo ha deciso il ministro della Giustizia Paola Severino che ha rigettato la richiesta avanzata dalla difesa del capomafia, rappresentata dagli avvocati Rosalba Digregorio e Franco Marasà, secondo cui le condizioni di salute di Provenzano non gli permetterebbero il regime del carcere duro. Il boss di Corleone adesso è in carcere a Parma, dopo essersi svegliato dallo stato di coma in cui versava dopo un intervento al cervello. “Valutati gli atti in possesso - si legge nella nota del Guardasigilli - e la documentazione sanitaria”, il ministro “non ha ritenuto opportuno procedere alla revoca del regime detentivo speciale”. Radicali: Provenzano molto malato, revocare 41-bis “Non si capisce sulla base di quale documentazione sanitaria il Ministro Severino abbia ritenuto di non revocare il 41-bis a Provenzano”. Lo afferma Alessandro Gerardi, componente del Comitato Nazionale dei Radicali che chiede “di sapere se e come il detenuto viene curato in carcere e, soprattutto, se le cure siano sempre state tempestive ed adeguate”. “In alcune interrogazioni parlamentari depositate nella scorsa legislatura dalle deputate Radicali Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti - riporta una nota - si legge che già da molti anni una perizia aveva certificato l’avvenuta ricomparsa nel detenuto di un carcinoma prostatico non preso in considerazione; oppure che, sempre per gli stessi motivi, già nel 2009, con ordinanza emessa dai magistrati sulla base di una relazione del medico del carcere di Novara, veniva richiesto il ricovero di Provenzano in un centro clinico senza che ciò sia mai avvenuto. Inoltre, sempre dalle interrogazioni depositate (alle quali non è stata data risposta), emerge che Provenzano nel corso dei primi 3 anni successivi al suo arresto ha vissuto in completo isolamento, senza incontrare nessuno, prima nel carcere di Terni e poi in quello di Novara, sottoposto, oltre che al 41-bis (carcere duro), anche al regime della sorveglianza ex articolo 14-bis dell’ordinamento penitenziario, il che ne ha profondamente compromesso la salute psichica, al punto che recentemente è stato anche dichiarato incapace di partecipare coscientemente al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Negli scorsi mesi Provenzano è stato operato al cervello ed è entrato in coma per un lungo periodo, il che ci porta a dire che l’unico avvenimento capace di rendere non più procrastinabile il 41-bis sia soltanto la morte (oltre al pentimento)”. Puglia: 12 carceri costruite, a volte perfino arredate, ma inutilizzate o in totale abbandono www.statoquotidiano.it, 16 aprile 2013 La politica della cementizzazione selvaggia, e della costruzione a piede libero, che ha caratterizzato il ventennio trascorso nei Monti Dauni ha lasciato a suo ricordo opere inutili e monumentali. Non ha fatto eccezione a questa “vocazione” la politica della classe dirigente del territorio. Si pensi a quanto stabilito nei Monti Dauni Settentrionali, con piccoli paesini che vantano “opere faraoniche” in stato attuale di degrado, abbandono e in balia dei ladri. Strutture, figlie di una politica cieca che ha sperperato denaro pubblico, che riguardano in primo luogo il Sub Appenino. Si pensi a Volturara Appula, comune di 510 abitanti, sede di una struttura penitenziaria realizzata negli anni 80 e mai entrata in funzione, mentre il sistema carcerario italiano non riesce a far fronte al problema del sovraffollamento più volte denunciato dalla cronaca nazionale. Altro carcere di massima sicurezza, anch’esso abbandonato, troneggia con la “superprocura” nel Comune di Castelnuovo della Daunia (1.600 abitanti), con altro grande smacco al sovraffollamento. Diverse le carceri che negli ultimi venti anni sono state costruite, spesso ultimate, a volte arredate, restando comunque inutilizzate o in totale abbandono. 12 le strutture in Puglia: una ad Accadia (Fg) con l’ennesimo penitenziario consegnato nel 1993, ora di proprietà del Comune e mai utilizzato; ad Altamura (Ba) una delle tre sezioni dell’istituto non è mai stata inaugurata; a Bovino (Fg) una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre; a Galatina (Le) una struttura inutilizzata e a Maglie (Le) solo parzialmente utilizzata per detenuti semiliberi; a Minervino Murge e a Orsara case circondariali mai entrate in funzione; a Monopoli l’ex carcere occupato dagli sfrattati. Strutture mai entrate in funzione e ignorate dalla politica locale che poco o nulla ha fatto per rivendicare il loro utilizzo o un possibile riutilizzo. Sassari: detenuto 66enne ucciso da cancro al pancreas, aveva chiesto di “morire libero” Ristretti Orizzonti, 16 aprile 2013 Sassari, 31 marzo 2013. Jacques De Deker, cittadino belga, muore nel Centro clinico del carcere di San Sebastiano. Era malato di cancro al pancreas e aveva 66 anni. Era in carcere all’agosto 2006 e doveva scontare complessivamente 12 anni e 4 mesi, pena derivante da due diverse condanne per traffico di droga. Il tumore gli era stato diagnosticato nel 2008 e da allora si era battuto per ottenere prima la possibilità di curarsi fuori dal carcere e in seguito - sfumata ormai ogni possibilità di cura - almeno di poter morire “accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio”, come lui stesso scrive in una lettera-appello nell’aprile 2010. Invece, tre anni più tardi, morirà in una cella del carcere di Sassari. Firenze: in Consiglio comunale si parla del sistema carcerario, di seguito tutti gli interventi Comunicato Stampa, 16 aprile 2013 In consiglio comunale si è parlato ieri, lunedì 15 aprile, di carceri e dei grandi problemi che interessano l’intero apparato. Un sistema che non funziona e che va oltre le problematiche dei singoli istituti e si affaccia a livello nazionale. Ciò che serve è quindi un’immediata risposta dal Governo su una nuova riforma della giustizia che, ad esempio, gestisca il sovraffollamento attraverso un ripensamento delle pene detentive per i reati minori e un maggiore investimento finanziario, necessario per garantire i diritti minimi per operatori e detenuti. Ricordiamo che proprio l’Italia ha dovuto chiedere la proroga di un anno alla Corte Europea per i Diritti dell’uomo per l’adeguamento delle carceri agli standard di garanzia richiesti da ogni paese considerato civile. Ma il problema si pone anche a livello locale e i comuni stanno tentando di trovare soluzioni in grado di migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Ecco gli interventi in Consiglio Comunale. Susanna Agostini: prosegue il nostro impegno per la garanzia dei diritti “Un’emozione politica avere in Consiglio la presenza dei detenuti, Agnese, Daniele e Jacopo che insieme al direttore Cacurri, ed alla presidente del tribunale di sorveglianza dottoressa Fiorillo. Un’emozione parlare con loro delle nuove opportunità, della patologia carceraria italiana e delle nuove scelte che Firenze sta facendo per ridurre il disagio di donne e uomini che stanno scontando pene. Brucia la recente graduatoria che stabilisce che nei 47 stati europei, l’Italia, dopo la Serbia è al secondo posto nel rapporto tra detenuti e numero di posti nelle carceri, e che il nostro paese ha dovuto chiedere la proroga di un anno per la soluzione del problema che in Italia per molte persone detenute il carcere è una forma di trattamento inumano e degradante” condivido quanto ha detto la Presidente Fiorillo: ciò che facciamo per rendere vivibile e meno disumana la vita in carcere, lo facciamo non solo per i detenuti di oggi, ma anche per garantire la sicurezza alla comunità che rappresentiamo. Oggi ha detto il nostro garante Franco Corleone, stringiamo un patto con il carcere, la parte che molti considerano “ultima” in città. Noi lo confermiamo proseguendo il nostro impegno sul fronte della garanzia dei diritti. Alle 993 persone che sono a Sollicciano, ai tre bambini sotto i tre anni chiusi in ambienti non certo consoni al loro diritto a una crescita serena, possiamo dare poco, ma la speranza per noi e per questi esseri umani resta. Salutiamo dunque con apprezzamento la recente costituzione di un gruppo finalizzato ad un progetto speciale per le strutture carcerarie fiorentine. Credo fermamente che solo una concreta azione in sinergia tra enti, possa affrontare tutte le emergenze che da tempo sono dettagliate nella relazione del Garante. Concludo con una specie di slogan che sintetizza i bisogni emergenti: è il momento di soluzioni e bisogna lavorare in due direzioni: aumento dei posti e persone addette alla sorveglianza per la detenzione e leggi adatte a garantire un calo della popolazione carceraria”. Fittante (Idv): necessario fare molto di più Bisogna fare di più: un paese civile si riconosce anche dalla condizione carceraria. Così il consigliere dell’IdV Giovanni Fittante intervenendo oggi in Consiglio comunale. “Bisogna fare di più; la condizione delle carceri - ha aggiunto Fittante- in Italia è scandalosa. Sollicciano vive una situazione di grave crisi sia per i detenuti che per gli operatori della polizia penitenziaria”. Giocoli (Noi con matteo Renzi): le donne sono la parte più fragile e meno tutelata “In Italia le donne in carcere sono pochissime: 2818, il 4% del totale. Vivono ristrette in uno dei 5 istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli e Venezia Giudecca) o in una delle 52 sezioni presenti all’interno delle carceri maschili. I penitenziari sono pochi e quindi le donne oltre a tutti i problemi comuni alla popolazione carceraria soffrono anche la lontananza dai parenti. Le difficoltà di accesso rendono difficile mantenere costanti rapporti familiari e di amicizia. Paradossalmente proprio perché non esiste una diffusa criminalità femminile è resa difficile e dura la permanenza nelle carceri: proprio i numeri sono il nemico. Le donne in genere stanno in carcere per periodi brevissimi, per reati legati per lo più al traffico di stupefacenti, in maggioranza corrieri di droga. Il tasso di recidiva è molto alto ed è per questo che bisogna continuare ad investire nelle attività lavorative e di studio e Firenze è un esempio da tempo. E in questa direzione va la “legge Alfano” sui bimbi in carcere. Approvata nel 2011, entrerà in vigore nel 2014: a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”, le detenute incinte o con bambini fino a 6 anni non saranno più chiuse in cella ma sconteranno la pena in strutture apposite. Bene la legge ma le strutture dove sono? A Milano è nato nel 2007 l’Icam, un istituto di custodia attenuata per quelle donne che sono madri. In questa struttura senza sbarre ci sono una decina di donne (per lo più straniere) che vivono lontano dal carcere ma con le stesse regole. I bambini vengono portati al nido mentre le madri si dedicano ad attività volte al recupero sociale. Peccato che queste strutture per ora non ci siano. E visto che la legge non riguarda tutte le detenute, ciò significa che i bambini in carcere continueranno ad entrare. Invece di una legge, servirebbe un accordo amministrativo, proprio come è successo a Milano. La mozione approvata da questo consiglio comunale a dicembre 2012 va in questa direzione: lavoriamo tutti per renderla operativa”. Dormentoni (Pd): il governo faccia velocemente una riforma della giustizia “Il prossimo governa metta tra le sue priorità una seria riforma della giustizia che contenga in sé anche un ripensamento dell’uso della pena detentiva per i reati minori, per dare un netto taglio al sovraffollamento degli istituti penitenziari, e che assicuri gli investimenti anche economici per tutelare detenuti e operatori di polizia e sanitari”. “Partiamo da questo principio: la pena sia limitativa della libertà, ma mai metta in discussione la dignità della persona. Per questo a Firenze un piccolo ma significativo alleggerimento di Sollicciano sarebbe la riapertura di una casa per i detenuti in semilibertà. L’amministrazione comunale - ha proseguito Dormentoni - tutta si impegni a realizzare questo obiettivo nei prossimi mesi in modo da garantire un diverso trattamento a chi sta reinserendosi nella società. Allo stesso tempo si trovi una situazione diversa dalla attuale, per le mamme e bambini che in questo momento si trovano a Sollicciano in condizioni non giuste per i piccoli, che rischiano di non poter scordare mai il tempo di vita passato in un carcere. Sono azioni necessarie che vanno incontro a due principi contemporaneamente: i diritti della persone e la reale sicurezza della comunità che si avvera solo tramite un reale reinserimento”. Di Puccio (Prima Firenze): facciamo presto anche per Sollicciano Mi rattrista, ancora una volta, non poter dare risultati concreti ai rappresentanti dei detenuti che sono oggi qui ad ascoltare, ma ciò non significa che tutto sia stato vano e che il nostro impegno sia venuto meno, diversi atti sono stati approvati e ancora una volta voglio ricordare, al nostro Sindaco, alla Giunta, di mettere fra le priorità anche la questione del Carcere di Sollicciano. Il nostro Sindaco nelle sue recenti dichiarazioni ha usato le parole ‘facciamo presto , ecco signor Sindaco, facciamo presto, anche per il carcere di Sollicciano”. Così il capogruppo di Prima Firenze Stefano Di Puccio oggi in Consiglio comunale durante il suo intervento in cui ha voluto ricordare gli articoli 2 e 27della Costituzione e le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che richiamavano l’attenzione sul problema carceri “Si tagliano le attività essenziali per la esecuzione della pena - ha detto Di Puccio: lo svolgimento dell’attività scolastica, lavorativa e di formazione professionale, la prestazione di assistenza sanitaria, l’assistenza psichiatrica e psicologica, essenziale per la prevenzione dei suicidi, ma anche la fornitura dei materiali per pulizia dei e anche per l’igiene personale. Tutto ciò renderà inevitabile ulteriori sanzioni da parte della Corte Europea per i Diritti dell’uomo. In compenso il nostro Governo ha rinnovato per altri 7 anni il contratto a Telecom per la fornitura di braccialetti elettronici per i detenuti agli arresti domiciliari. (81 milioni di euro spesi 10 anni per l’utilizzo di 14 su 400 forniti, dal 2001 al 2011). Non mi spaventa il fatto che le parole del Presidente non siano state ascoltate, anzi questo mi dà ancora più la certezza che sia nostro dovere rinnovare l’impegno con maggiore forza e con tutti i mezzi che questa istituzione il Consiglio Comunale, ci consente”. Vicenza: emergenza carceri, ex detenuto presenta reclamo per condizioni al San Pio X www.vicenzatoday.it, 16 aprile 2013 L’ex parlamentare radicale Brernardini riferisce sul suo blog che Claudio Bottan reclamo per le condizioni di detenzione disumane e degradanti in cui è stato costretto a Vicenza. Il giudice deciderà il 18 aprile “Condizioni disumane e degradanti”. È l’accusa, contenuta in un reclamo, mossa da un ex detenuto del carcere San Pio X, Claudio Bottan, che rimase nella casa circondariale di Vicenza da maggio 2011 a ottobre 2012 prima di essere trasferito nel carcere di Busto Arsizio. L’Ufficio di Sorveglianza di Verona, nella persona della dott.ssa Omarchi deciderà il prossimo 18 aprile sul reclamo “basato - spiega Rita Bernardini sul suo blog - sulle ormai note condizioni di sovraffollamento dell’istituto e sulla conseguente mancanza di spazio vitale (meno di tre metri quadrati pro capite), assenza di attività trattamentali, permanenza in cella per 21 ore al giorno, inadeguata assistenza sanitaria, scarsa quantità e qualità del vitto, mancata fornitura di prodotti per l’igiene e la pulizia personale, nonché l’assenza del regolamento di istituto al quale fanno riferimento i vari rapporti disciplinari che sono stati inflitti a Bottan, tutti riferiti a pacifiche proteste di cui sarebbe stato il promotore”. L’Ufficio di Sorveglianza aveva disposto accertamenti presso la casa circondariale di Vicenza dopo la prima udienza nello scorso gennaio per verificare la corrispondenza di quanto contenuto nel reclamo, che tra l’altro è desumibile anche da quanto emerso durante la visita di Rita Bernardini del novembre 2012 a cui è seguita un’ interrogazione Parlamentare che ha denunciato condizioni gravi, tanto che il Dap ha disposto immediate ispezioni di cui ancora non si conosce l’esito. A questo punto, conclude Bernardini, “Sarà interessante vedere quale decisione assumerà il Magistrato, dopo che lo sesso Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione relativa alla richiesta di sospensione della pena presentata da un detenuto del Due Palazzi di Padova che lamenta condizioni di detenzione disumane e degradanti, ma soprattutto dopo che il governo italiano ha presentato ricorso contro la condanna della Cedu dello scorso gennaio. Sarà un’occasione per capire se la Magistratura di Sorveglianza ha recepito le disposizioni della Corte Europea in materia di reclami dei detenuti che imponevano allo Stato Italiano di dotarsi di meccanismi interni idonei a risolvere i contenziosi”. Napoli: denuncia dell’Associazione Antigone; a Poggioreale un centro psichiatrico abusivo di Anita Caiazzo Roma, 16 aprile 2013 I numeri dell’emergenza sono chiari e inseriscono la Campania nella lista delle regioni con le carceri più sovraffollate d’Italia. Secondo i dati forniti da Antigone, attualmente nei 17 istituti di pena della regione c’è una presenza effettiva di 8.296 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5.794 unità, in pratica un surplus di 2.500 detenuti, mentre l’aggregato napoletano conta circa la metà dei detenuti presenti in regione. La maglia nera va al “casermone” Poggioreale che si è aggiudicato il triste record del carcere più sovraffollato d’Europa. Negli ultimi mesi il carcere di Poggioreale ha toccato la cifra di 2.900 detenuti quando la capacità regolamentare è di circa 1.300 posti, un surplus enorme che si traduce nei fatti con detenuti stipati ovunque e in celle microscopiche. Oltre ad un sovraffollamento da record e, alla struttura fatiscente, nell’ultima visita Antigone ha avuto modo di notare un’altra preoccupante situazione per i detenuti di Poggioreale. “Abbiamo riscontrato - fa sapere Antigone - che c’è una sezione del Padiglione Avellino che è adoperata come “reparto psichiatrico”, nel senso che vi sono reclusi, in condizioni d’isolamento, detenuti con disagio psichico. Siamo molto preoccupati perché non ci risulta che vi sia un’assistenza psichiatrica assicurata h24, e temiamo vi sia il rischio di forme d’isolamento prolungato, e sembra che il reparto sia organizzato in modo difforme da quello che lo stesso ministero della giustizia prevede”. Mario Barone portavoce di Antigone si è detto anche preoccupato per una sequenza di morti avvenute a Poggioreale, quattro decessi intercorsi tra gennaio e febbraio. Tra cui la morte di M. L. trovato senza vita nel centro clinico del carcere dal medico nel giro vista della mattina. Ma i problemi sono distribuiti in tutte le case circondariali, compreso il carcere femminile di Pozzuoli dove sono detenute circa 200 persone a fronte di una capienza regolamentare di 83 detenute. “Il numero complessivo di detenute - ha detto Barone - è modesto se rapportato all’equivalente maschile, vale a dire la casa circondariale di Poggioreale. Tuttavia, se rapportiamo il numero di detenuti effettivi al numero dei posti disponibili, abbiamo riscontrato nel carcere di Pozzuoli il tasso di affollamento più elevato della Regione”. Anche il carcere che dai parenti dei detenuti viene definito “sempre meglio di Poggioreale “ ovvero quello di Secondigliano, deve fare i conti con il sovraffollamento: il numero di detenuti è di 1.200 unità a fronte di una capienza di 650 posti. Un carcere che per gli stranieri detenuti si trasforma in un totale buco nero: “Gli stranieri - ha spiegato Mario Barone - hanno maggiori difficoltà, tra le quali quelle di potersi esprimere nella propria lingua, o l’assenza di colloqui non avendo una rete familiare come quella di un cittadino italiano”. Disagi anche per gli agenti della Penitenziaria Il sovraffollamento, le strutture vecchie, l’assenza o quasi di progetti di recupero sono solo alcuni dei fattori che finiscono per rendere il carcere, un buco nero, dove persino vedere i propri familiari nei giorni stabiliti per gli incontri, è una lotta, con le lunghe fila dei familiari che d’alba - come nel caso del casermone di Poggioreale - attendono di vedere il proprio familiare. Incontri, che si svolgono poi in una sala colloqui fatiscente e troppo piccola per accogliere i tanti familiari. “La sala colloqui di Poggioreale - ha affermato Leo Beneduci, segretario nazionale del sindacato Osapp - è la peggiore, in uno spazio di 300 metri quadrati entrano fino a 1.500 persone tra cui tantissimi bambini. Nel corso dell’ultima visita era guasta anche l’aria condizionata è la situazione era invivibile. Molti agenti erano costretti a lavorare a dorso nudo”. In una situazione di vita carceraria sempre più esasperata, sia per i reclusi sia per le guardie chiamate ad assicurare il servizio di vigilanza. Perché i numeri, quelle cifre che traducono immediatamente il dramma della vita carceraria, riguardano non solo i detenuti ma anche gli agenti penitenziari che, come ha ricordato Beneduci, “per mancanza di psicologi e altre figure professionale, l’agente è chiamato a svolgere non solo il lavoro di scurezza all’interno delle carceri”. “L’agente di polizia penitenziaria - spiega Beneduci - è spesso anche la figura che ascolta il detenuto, che fa da intermediario, la persona a cui rivolgersi per ottenere informazioni”. Gli agenti di polizia penitenziaria sono, infatti, il 30 per cento in meno rispetto al numero previsto. Un’effettiva mancanza di personale che in Campania si attesta sulle mille unite in meno rispetto a quelle previste dalla pianta organica; ciò determina una distribuzione di turni di lavoro estenuanti con conseguente aumento di stress e malessere. “Nei turni di notte - ha continuato Beneduci - c’è di solito un unico agente per reparto, una situazione preoccupante, occupandosi di più aree del carcere, un solo agente non è in grado di fornire la sicurezza necessaria. I mezzi di trasporto in dotazione al corpo, quando sono funzionati, sono comunque usurati. Inoltre, non ci sono i soldi per pagare la revisione. Situazione che ha riguardato anche il carcere di Secondigliano, dove sono stati fermi 80 mezzi perché non c’erano fondi per effettuare la revisione, è stato poi trovato un accordo con un centro, che ha permesso il pagamento dopo un anno e ora quel debito va pagato”. Ma c’è chi porta lo sport tra i detenuti campani Gli sforzi per migliorare le condizioni dei detenuti, però, sono sempre maggiori e anche se sembrano una goccia nel mare si cerca di fare qualcosa di concreto. Tra le cose positive è da inquadrare il progetto “Iniziative sportive negli istituti penitenziari campani anno 2013”, che nasce dalla collaborazione tra il Coni e il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Iniziativa che è stata nei giorni scorsi nella sala convegni Giuseppe Salvia. Le attività, infatti, sono già in corso in varie carceri in Campania. Il progetto è iniziato lo scorso settembre ed è tuttora in corso nelle strutture detentive di Secondigliano, Pozzuoli e Poggioreale e in altri 12 istituti campani. Il programma prevede due lezioni bisettimanali da due ore, tenute da tecnici volontari che insegnano varie discipline sportive all’interno delle mura del carcere. “Il sostegno a chi sta in carcere - aveva detto Tommaso Contestabile, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Campania - è anche vicinanza e confronto con persone esterne al carcere che offrono il loro tempo e la loro professionalità”. Ad insegnare le regole del basket ai detenuti di Poggioreale ci sono Michele Pinto e Domenico Battaglia che, con i 60 ragazzi dei padiglioni Napoli, Roma, Torino e Milano, hanno instaurato un rapporto di stima e rispetto. “A Poggioreale non ci sono spazi creati apposta per lo sport - aveva spiegato Teresa Abate, direttrice dell’Istituto penitenziario di Poggioreale - ho dovuto adattare gli spazi dei cortili di passeggio per creare i campi da basket”. Niente bagni per chi ci fa visita Dal signor Salvatore Di Vaio, detenuto a Poggioreale, riceviamo e pubblichiamo. “Egregi signori, mi rivolgo a voi perché come sempre date voce a chi non ce l’ha, principalmente non cestinando le nostre lettere. Io, come tanti detenuti di Poggioreale, voglio ancora una volta denunciare uno dei tanti disagi passati in sordina. Noi che stiamo qui sappiamo di avere sbagliato calpestando le regole della società, quella società che allo stesso modo calpesta quotidianamente i diritti umani. I problemi sono tanti, ma quello che maggiormente fa rabbrividire è la mancanza di bagni per i familiari che vengono a trovarci e devono restare per ore ammassati in spazi ristretti, senza alcuna possibilità di espletare i bisogni fisiologici. Ciò principalmente a discapito dei bambini, i quali hanno l’unica colpa di essere figli di detenuti. Eppure qui vengono diverse delegazioni, le quali, però, vengono portate sempre nei luoghi più decenti. Sicuri di non essere allontanati, porgiamo i più cordiali e distinti ringraziamenti. Brescia: progetto “Liberi a Montisola”, due detenuti di Verziano ritrovano lavoro e dignità www.bresciaoggi.it, 16 aprile 2013 Il Comune e le associazioni locali confermano l’adesione al progetto riabilitativo. Usciranno dal carcere di Verziano grazie a un progetto temporaneo Qui svolgeranno opere utili al paese con protezione civile, alpini e altri enti. Da domenica 7 aprile, e per tutte le altre domeniche di aprile, maggio e giugno, Montisola offre il passaporto della libertà a due detenuti che stanno per finire di scontare la loro pena nel carcere di Verziano, a Brescia. Per entrambi, il mattino del dì di festa, si schiudono le porte della cella e si spalancano gli spazi aperti dell’isola. Lì i due detenuti temporaneamente “scarcerati” aiutano le locali associazioni di volontariato a pulire i sentieri, mettere in sicurezza i versanti pericolosi, tracciare strisce tagliafuoco, ma si godono anche il piacere di essere ospiti graditi della comunità, oltre al profumo della vicina libertà. “Liberi a Montisola” si intitola infatti il progetto a favore dei detenuti adottato nel 2011 e riproposto quest’anno dall’Amministrazione municipale in collaborazione con l’associazione “Carcere e territorio Onlus” di Brescia. “È un progetto che si ispira ai principi della giustizia riparativa - ha spiegato in aula consiliare il sindaco Pietro Giuseppe Ziliani. Consente cioè a persone che sono o sono state recentemente in esecuzione penale di rimediare in qualche misura ai danni arrecati impegnandosi a beneficio della collettività a fianco di volontari disposti ad accompagnarle in un percorso di reinserimento sociale”. Possono partecipare al progetto “Liberi a Montisola” quei condannati che, per la loro storia e le loro caratteristiche, sono ammessi a lavorare all’esterno. A indicarli, d’intesa col magistrato di sorveglianza, ha provveduto il direttore del carcere di Verziano. I due detenuti scelti per il programma, stavolta, sono stati inseriti nelle squadre di lavoro costituite da volontari della Protezione civile, della sezione Alpini, del gruppo Sub e del sodalizio di Primo soccorso. Per loro è davvero salutare trascorrere qualche ora in un piccolo Eden come Montisola, lasciando correre gli occhi sulle distese del lago e apprezzando le premure dei residenti cui sono affidati. Non saranno effettivamente “liberi”, ma alla luce del sole potranno vivere e lavorare. Soltanto alla sera tardi, i cancelli tornano a chiudersi alle loro spalle. Tempio Pausania: il Provveditore regionale; qui parte sfida reinserimento detenuti mafia Ansa, 16 aprile 2013 “Qui a Nuchis parte una sfida, vogliamo dare un’opportunità vera di reinserimento a questi detenuti”. Ne è convinta Carla Ciavarella, la direttrice del nuovo carcere di Tempio Pausania, che oggi ha organizzato all’interno della struttura che ospita 150 detenuti “che si sono resi responsabili di reati associativi di stampo mafioso”, un incontro con il territorio per discutere del nuovo complesso penitenziario. “È stata scelta questa struttura per ospitare detenuti ad alta sicurezza per allontanarli dal loro territorio e perché la società sarda ha degli anticorpi che non consentono alla mafia di penetrare nel suo tessuto”, ha spiegato Gianfranco de Gesu, provveditore regionale sardo. Un percorso di rieducazione che abbraccia tutti i settori, dalla cultura all’arte, dai lavori manuali al giardinaggio. “Abbiamo già individuato degli artisti, ora li metteremo alla prova andando ad affrescare le pareti della nostra struttura così da renderlo più accogliente”, ha aggiunto Ciavarella. Un discorso che rientra in quello che Maria Antonia Vertaldi, presidente del Tribunale di Sassari, ha definito “una pena costituzionalmente orientata”, nell’intento di “offrire ai detenuti una opportunità per cogliere delle occasioni di inserimento sociale, perché il carcere, insieme ad altri meccanismi, come l’intervento sui patrimoni, possono rompere vincoli del soggetto con la mafia”. Questa sera, nella grande struttura che accoglie mafiosi e camorristi, c’erano le associazioni di volontariato, la scuola, la chiesa, le forze dell’ordine, per presenziare a quella che è stata definita “una rivoluzione normale”, un programma che punta al recupero dei valori della legalità anche in quei soggetti definiti “ad alta sicurezza”. Viterbo: detenuto per mafia picchiò magistrato, tre agenti indagati per omesso controllo Ansa, 16 aprile 2013 Tre agenti di polizia penitenziaria di Viterbo sono finiti sul registro degli indagati in seguito all’aggressione fisica subita dal pm della Dda di Reggio, Giovanni Musarò, picchiato dal boss della ‘ndrangheta di Palmi Domenico Gallico prima di un interrogatorio che era stato programmato nella casa circondariale laziale. Secondo l’accusa i tre agenti - Mauro Ferrara, Luigi Di Filippo e Felice Costabile - avrebbero lasciato il boss detenuto e il magistrato senza alcuna vigilanza e manomettendo successivamente il verbale che certificava il pericolo creato. Il gravissimo episodio di violenza fisica, il magistrato della Dda reggina ha subito la frattura del naso per le conseguenze di un pugno al volto, risalgono allo scorso 7 novembre. Tre agenti di polizia penitenziaria di Viterbo sono finiti sul registro degli indagati in seguito all’aggressione fisica subita dal pm della Dda di Reggio, Giovanni Musarò, picchiato dal boss della ‘ndrangheta di Palmi Domenico Gallico prima di un interrogatorio che era stato programmato nella casa circondariale laziale. Secondo l’accusa i tre agenti - Mauro Ferrara, Luigi Di Filippo e Felice Costabile - avrebbero lasciato il boss detenuto e il magistrato senza alcuna vigilanza e manomettendo successivamente il verbale che certificava il pericolo creato. Il gravissimo episodio di violenza fisica, il magistrato della Dda reggina ha subito la frattura del naso per le conseguenze di un pugno al volto, risalgono allo scorso 7 novembre. Lucca: due detenuti in ospedale dopo rissa, il Sappe denuncia carenza di personale La Nazione, 16 aprile 2013 Tensione nel carcere di Lucca dove nella terza sezione, che raccoglie 67 detenuti, sabato scorso è scoppiata una rissa. La notizia è stata diffusa dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria che riferisce: “Arabi, georgiani, italiani e rumeni si cono si sono affrontati colpendosi con caffettiere, lame delle scatolette ed altro. Due detenuti, un marocchino ed un rumeno, sono stati violentemente colpiti e si è reso necessario portarli all’Ospedale”. Pare che le ragioni dello scoppio di violenza siano scaturite da in precedenti alterchi tra alcuni dei detenuti coinvolti nella rissa: “La rissa, breve ma violenta, solo per il pronto intervento di altri agenti da altri posti di servizio ha evitato pericolosissime conseguenze che neppure vogliamo immaginare. Nonostante tutto, dunque, i colleghi intervenuti sono riusciti ad evitare più gravi e pericolose conseguenze”. Critica, secondo il sindacato, la carenza di personale e le condizioni della casa circondariale di Lucca: “cos’altro dovrà accadere o dovrà subire il nostro personale perché ci si decida ad intervenire concretamente sulle criticità di Lucca?” si chiedono i rappresentanti della di Polizia Penitenziaria. Roma: presentata oggi la terza Edizione del Premio letterario “Goliarda Sapienza” di Serena Casu www.infooggi.it, 16 aprile 2013 Secondo la Costituzione italiana lo scopo delle pene, compresa la detenzione in carcere, è la rieducazione del condannato. In accordo con questo principio, sancito a chiare lettere dall’articolo 27 della Carta Costituzionale, tre anni fa la scrittrice e giornalista Antonella Bolelli Ferrera ha ideato il premio letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal Carcere”, rivolto ai detenuti italiani e stranieri presenti negli istituti penitenziari di tutta Italia. Giunta ormai alla terza edizione, l’iniziativa - promossa da Siae, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dall’associazione InVerso - è stata presentata questa mattina all’interno della biblioteca del carcere romano di Regina Coeli. Una tappa intermedia del premio Goliarda Sapienza, che si concluderà il prossimo settembre con la premiazione dei vincitori e la pubblicazione di un libro, edito da Rai-Eri, che conterrà tutti i racconti arrivati in finale. “Racconti crudi, avvincenti, a tratti commoventi e anche ironici - si legge nel comunicato - ma tutti racconti veri, ispirati a storie realmente accadute”. Come ha ricordato Bolelli Ferrera questa mattina, la partecipazione dei detenuti e delle detenute di ogni nazionalità è cresciuta costantemente nel tempo, arrivando quest’anno a oltre trecentocinquanta racconti inviati da altrettanti detenuti ospitati da tutte le carceri italiane. Sono 25 i finalisti di questa terza edizione del premio, venti dei quali appartenenti alla consueta sezione Adulti del premio letterario, e cinque appartenenti alla nuova sezione Minori e Giovani Adulti, novità di quest’anno fortemente voluta dal Dipartimento per la Giustizia Minorile. “Si dice spesso che i giovani siano il nostro futuro - ha affermato Serenella Pesarin, Direttore Generale del Dipartimento - ma io non sono d’accordo. I giovani sono il nostro presente”. “Gli istituti penitenziari - continua - sono sempre luoghi di dolore”, ma nei confronti dei giovani “il lavoro che noi facciamo è quello di cercare di evitare che i minori detenuti varchino anche la soglia di questo carcere”. Per questo motivo, il racconto, il narrarsi, il comunicare “sono valori fondanti”. Ciascun autore arrivato in finale, alcuni dei quali erano presenti questa mattina alla presentazione del premio, lavorerà da questo momento a contatto con un tutor letterario (un giornalista, uno scrittore o un artista) che lo aiuterà nella revisione letteraria del testo e scriverà un’introduzione al racconto per la pubblicazione. In un contesto carcerario nel quale, nonostante gli sforzi di tutti coloro che vi lavorano, sono ancora troppe le privazioni dei diritti dei detenuti, la realizzazione di iniziative culturali di questo tipo rappresenta un contributo fondamentale per evitare che il carcere - come ha affermato Angiolo Marroni, Garante dei Detenuti nel Lazio - “non sia solo inutile, ma anche dannoso”. Marroni ha ricordato che solo nel Lazio vi sono oltre 7.200 detenuti, a fronte di una capienza massima dei 14 istituti penitenziari della regione di circa 4.000 posti. Con cifre di questo livello, è difficile che vengano rispettati anche i diritti fondamentali come il lavoro, la salute, la territorialità della pena, l’affettività, lo studio o la cultura. In breve, è costante la violazione del diritto alla dignità umana. In queste condizioni, sostiene Marroni “il carcere oggi non è costituzionale” e le iniziative come questo premio letterario o come altre iniziative culturali organizzate all’interno delle carceri “sono fondamentali”. Iniziative fondamentali per i detenuti che vi partecipano, ma anche per i cittadini che non conoscono il mondo carcerario, per i quali la lettura dei racconti dal carcere può rappresentare un ponte di contatto tra l’esterno e ciò che accade all’interno delle mura carcerarie. “Questo premio - ha dichiarato Giovanni Arcuri, uno degli autori finalisti nella sezione Adulti - dà la libertà di esprimersi e di far sapere all’esterno cosa succede, affinché il carcere non sia considerato un deposito di esseri umani”. La scrittura di un racconto è stata anche “un modo per sfogarmi”, ha raccontato Zapat, pseudonimo usato da un giovanissimo detenuto del carcere minorile di Casal del Marmo, autore di un racconto arrivato in finale ispirato a una storia vera e autobiografica. La possibilità di partecipare ad un premio letterario, oltre a rappresentare un mezzo d’espressione della propria dignità di esseri umani, ha evidenti e provate ricadute benefiche non solo per i detenuti, ma per la società intera. “Per chi partecipa ad attività culturali - ha ricordato Marrone - la recidiva si abbassa e il carcere diventa in questo modo riabilitante. Diventa, cioè, costituzionale”. Cinema: “Film Spray”, dal 18 al 20 aprile in Istituti penitenziari di Rebibbia e Sollicciano Redattore Sociale, 16 aprile 2013 Dal 18 al 20 aprile cinque film prodotti in Italia ed esclusi dai circuiti distributivi tornano protagonisti negli istituti penitenziari di Rebibbia e Sollicciano Dal 18 al 20 aprile i film “invisibili” prodotti in Italia ed esclusi dai circuiti distributivi tornano protagonisti con la 5ª edizione di Film Spray, rassegna cinematografica ideata e realizzata dall’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze in collaborazione con la New Gold Entranteinment, casa di produzione e distribuzione internazionale guidata da Serena Lastrucci, e con il Dipartimento di Cinema dell’Università di Firenze. I 5 titoli in concorso insieme ad un evento speciale saranno proiettati, come da tradizione, oltre che a Firenze alla Chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini (via Faenza, 43) alla presenza di tutti i registi, anche nelle carceri di Rebibbia e Sollicciano, confermando così il Festival come l’unico a varcare le porte degli istituti penitenziari. Il progetto si ricollega al movimento pacifista dell’Empowerment che promuove una democrazia del basso che trova le forze di cambiamento dentro le singole persone. Tale movimento è nato per sviluppare vie alternative per un’economia parallela ed auto-organizzata dai settori emarginati della nostra società. L’obiettivo di Film Spray è quello di dare un contributo per creare un circuito distributivo parallelo a quello convenzionale. I film proiettati sono “Ulidi piccola mia” di Matteo Zoni, “Ultimo carico” di Giuseppe Ferlito, “L’ultima foglia” di Leonardo Frosina, “Carta Bianca” di Andres Arce Maldonado, “Quell’estate” di Guendalina Zampagni. Svizzera: sorveglianza privata per le carceri ticinesi, protesta Associazione Servizi Pubblici www.infoinsubria.com, 16 aprile 2013 L’Associazione per la difesa del servizio pubblico del Canton Ticino protesta per la decisione del Parlamento ticinese di concedere la privatizzazione parziale della sorveglianza all’interno del carcere. L’Associazione aveva invitato il Gran consiglio a respingere questa proposta poiché si tratta di compiti istituzionali che non possono essere delegati a ditte private. L’uso di mezzi coercitivi deve essere prerogativa di agenti pubblici chiamati a rispondere all’Autorità politica. Permettere a ditte private di assumere compiti, seppur in via eccezionale, all’interno del carcere stesso costituisce un pericolo grave per il funzionamento del carcere stesso e per l’incolumità delle persone. Esso costituisce inoltre un onere supplementare per gli agenti di custodia, già sottoposti a difficili condizioni di lavoro, poiché si troveranno confrontati con “colleghi” con altre formazioni, altre esperienze, una diversa vocazione professionale e che rispondono ad un diverso datore di lavoro. Si tratta di una decisione pericolosa che poteva essere facilmente evitata - afferma il comunicato firmato dal presidente dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico Graziano Pestoni. Grecia: reati fiscali, i condannati saranno rinchiusi in un carceri ad hoc di Luca Pistone www.atlasweb.it, 16 aprile 2013 Il ministero della Giustizia greco è alla ricerca di una struttura militare in disuso nella zona di Attica per adattarlo a carcere. Lo ha annunciato ieri il ministro Andónis Rupakiotis, precisando che in questo centro saranno rinchiuse esclusivamente le persone condannate per reati fiscali e altri delitti minori per i quali è previsto un massimo di due anni di reclusione. Dunque, una misura per decongestionare le carceri in un paese con più di 13.000 detenuti distribuiti in centri in grado di ospitare non oltre 9.000 persone (su una popolazione complessiva di 12 milioni di abitanti). Come riporta lo spagnolo Abc, per il titolare della Giustizia è essenziale separare coloro che sono condannati per reati fiscali da quelli che scontano pene più severe. Si tratta di dichiarazioni accompagnate da un nuovo disegno di legge che sarà approvato a breve dal parlamento e che consente ai distinti enti pubblici di accedere ai conti bancari di privati e imprese in caso di evasione delle tasse, riciclaggio di denaro e contrabbando, tra gli altri. Inoltre, la nuova legge prevede per questi criminali “minori” la possibilità di restituire allo Stato, prima dell’inizio del processo, le cifre usurpate in modo da ottenere uno sconto di pena, fino a un massimo di 5 anni. Una commissione parlamentare sta studiando ulteriori misure per sfoltire le carceri, come ad esempio nuovi sistemi di sorveglianza elettronica da installare nelle abitazioni dei condannati per reati economici in caso di domiciliari. I costi di tali dispositivi ricadranno direttamente sull’accusato. Stati Uniti: dal carcere di Guantánamo detenuto libico contatta famiglia via Skype Tm News, 16 aprile 2013 Una famiglia libica ha potuto contattare via Skype il figlio, detenuto nel carcere militare statunitense di Guantánamo, grazie a un accordo fra la sezione libica del Comitato della Croce Rossa Internazionale e le autorità carcerarie statunitensi. Secondo quanto riferito dai familiari Awad al-Barassi aveva lasciato la Libia 17 anni fa: l’uomo ha perso un piede e un occhio in Afghanistan, dove era stato catturato. Nonostante la promessa dell’Amministrazione Obama di chiuderne i battenti Guantánamo ospita ancora 166 detenuti, la maggior parte dei quali in carcere da ormai undici anni senza che nei loro confronti sia stata emessa alcuna imputazione formale né stabilita alcuna data per un processo. Stati Uniti: Corte Strasburgo respinge richiesta estradizione per detenuto schizofrenico Tm News, 16 aprile 2013 La Corte europea dei diritti umani ha respinto oggi la richiesta di estradizione negli Stati Uniti di Haroon Aswat, accusato di terrorismo e ricoverato per schizofrenia in un ospedale del Regno Unito. La Corte ha ritenuto che la sua probabile carcerazione in una prigione di massima sicurezza negli Stati Uniti potrebbe “esacerbare” la sua schizofrenia. Haroon Rashid Aswat, 39 anni, era stato arrestato nell’agosto 2005 nel Regno Unito su richiesta di Washington, che ha accusato l’uomo di complicità con Abu Hamza, l’ex imam della moschea di Finsbury Park, nel nord di Londra. Secondo le autorità Usa, Aswat avrebbe collaborato con Hamza al progetto creare un campo di addestramento alla jihad a Bly, in Oregon, tra il giugno 2000 e il dicembre 2001. Nell’aprile del 2012 la Corte europea aveva autorizzato l’estradizione negli Stati uniti di Abu Hamza e di altre quattro persone accusate di terrorismo, ritenendo però che la loro detenzione in “un penitenziario americano di massima sicurezza” in Colorado e la possibile condanna all’ergastolo, senza libertà vigilata, fossero “sproporzionate” rispetto ai capi di accusa. In quell’occasione aveva rinviato la decisione su Aswat. Israele: tre giorni di iniziative a Roma, per Marwan Barghouti e i detenuti palestinesi di Luisa Morgantini e Livia Parisi Nena News, 16 aprile 2013 Tre giorni di dibattiti, cultura e arte palestinese della giornata internazionale di solidarietà con i detenuti politici palestinesi che si tiene, ogni anno, il 17 aprile. Far conoscere cosa avviene nelle carceri israeliane e lanciare un appello per la liberazione di Marwan Barghouti e di migliaia di palestinesi, incarcerati per motivi politici. Questo l’obiettivo delle tre giornate a Roma, dal 15 al 17 aprile, promosse da Assopace Palestina, Amici della Mezzaluna Rossa palestinese e dalla Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese. L’iniziativa è stata organizzata in occasione della giornata internazionale di solidarietà con i detenuti politici palestinesi che si tiene, ogni anno, il 17 aprile, per non dimenticare chi paga con il carcere la scelta di battersi per l’indipendenza e la giustizia. Parlamentare e leader di Al Fatah, Barghouti è stato sequestrato il 15 aprile del 2002 e condannato a 5 ergastoli nel 2004 per coinvolgimento nella resistenza armata, ma nella sua vita ha sempre sostenuto e continua, dal carcere, a sostenere la necessità di pace attraverso la giustizia. Lui è solo uno degli oltre 800.000 palestinesi che sono stati detenuti da Israele dall’inizio dell’occupazione, nel 1967: praticamente il 20% dell’intera popolazione palestinese. Le detenzioni, in barba alle convenzioni internazionali, non risparmiano i bambini: oltre 8000 ne sono stati arrestati dal 2000 ad oggi. I procedimenti di arresto e di successiva detenzione, cui i palestinesi residenti nei territori occupati sono regolarmente sottoposti, si basano su di una vasta gamma di “regolamenti militari”, la gran parte dei quali illegali secondo il diritto internazionale: tortura, isolamento, divieto delle visite, mancanza di cure mediche, continui trasferimenti da un carcere all’altro, in alcuni casi la morte sotto tortura. Le tre giornate, saranno occasione, inoltre, per ricordare l’assassinio di Vittorio Arrigoni e per conoscere meglio la cultura palestinese, con letture di poesie, teatro e prodotti della terra. Siria: amnistia, attivisti chiedono rilascio detenuti politici, donne e minori Aki, 16 aprile 2013 L’amnistia annunciata dal presidente siriano Bashar al-Assad avrà un senso solo se verranno liberati i minori e le donne attualmente in carcere. È quanto ha dichiarato l’attivista dell’opposizione siriana Moaz Alkhatib, che sulla sua pagina Facebook ha scritto che “vogliamo un’amnistia sui reati e il rilascio di tutti gli innocenti, che sono oltre 160mila. L’aspetto più importante sono le donne e i bambini”. Il presidente dell’Osservatorio siriano per i diritti umani Rami Abdelrahman ha definito non sufficiente il provvedimento di Assad in quanto non fa riferimento ai detenuti politici. In molti si chiedono cosa ci sia di buono se gli attivisti politici continuano a essere arrestati ogni giorno, ha detto Abdelrahman. Siamo certi che ci sono ancora decine di migliaia di persone in carcere, molti dei quali sono semplicemente scomparsi. Quello che ci interessa maggiormente è che il governo smetta di fare prigionieri politici e liberi quelli che sono già nelle carceri siriane, ha aggiunto. Egitto: medici valutano stato salute Mubarak per trasferimento in carcere Tora Aki, 16 aprile 2013 Un team di medici valuterà le condizioni di salute dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak per decidere se l’ex rais può tornare nell’ospedale del carcere di Tora dall’ospedale militare di Maadi, al Cairo, dove è detenuto. Lo ha riferito il portavoce della procura egiziana, il giudice Mahmoud El-Hefnawy, al giornale egiziano Ahram Online. El-Hefnawy ha precisato che i medici presenteranno alla procura un documento con le valutazioni sulle condizioni di salute di Mubarak. Sabato il procuratore generale Talaat Abdullah ha chiesto, se possibile in base alle condizioni di salute, il trasferimento di Mubarak nella prigione di Tora. Ieri la Corte d’Appello del Cairo ha accolto la richiesta di scarcerazione dell’ex rais presentata dalla difesa per scadenza del termine massimo della custodia cautelare in relazione al processo per l’uccisione di manifestanti nella Rivoluzione del 2011. Mubarak, tuttavia, resterà in carcere perché coinvolto in altri processi per corruzione e malversazione. Dal 2011 l’ex rais è più volte entrato e uscito dall’ospedale militare di Maadi.