Giustizia: le carceri e Stefano Rodotà, il candidato ideale alla Presidenza della Repubblica di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 12 aprile 2013 Tranne nel caso di un piccolo miracolo, è improbabile che il prossimo Presidente della Repubblica sia una persona esterna alla classe politica degli ultimi decenni. Figure come il responsabile di Emergency Gino Strada e il premio Nobel per la letteratura Dario Fo sono conosciute sul piano internazionale e benvolute da milioni di cittadini italiani, ma difficilmente rientrerebbero nella cerchia delle candidature accettabili per il Pd e il Pdl, due partiti che sembrano voler scegliere insieme un candidato per il Quirinale. Nella situazione di stallo emersa dopo le elezioni politiche di febbraio, sulla scelta del nuovo presidente della Repubblica sembra fuori dai giochi solo il Movimento 5 Stelle. D’altra parte, un buon Presidente della Repubblica dovrebbe essere ben visto da ogni grande forza politica e da ogni aggregazione sociale. Il dibattito sulla scelta da fare merita di essere diffuso, partecipato, davvero democratico, capace quindi di coinvolgere l’intera società, compresa quella dei cittadini reclusi che non hanno mai avuto accesso a Internet e non possono neppure partecipare ai sondaggi online nella “rete delle reti”. In questo senso, pensando a un candidato accettabile dalla classe politica e dalla società, c’è solo un nome che si erge come un punto di riferimento rispettato da tutti: quello di Stefano Rodotà. Ex parlamentare, giurista, professore universitario, studioso dei beni comuni, difensore dei valori fondamentali della Costituzione, autore di proposte giuridiche per la difesa e lo sviluppo del diritto di accesso a Internet per tutti, firmatario di un recente appello per l’abolizione dell’ergastolo, rispettoso delle diversità culturali e dei diritti civili, tenace critico verso ogni forma di tortura, favorevole a regole severe sulla moralità pubblica e sostenitore del reddito di cittadinanza, Rodotà esprime oggi quella saggezza e quei saperi indispensabili per assumere la più alta carica dello Stato in modo utile a livello socio-politico e senza mai cadere nell’arbitrio del presidenzialismo e nelle trappole ricattatorie dei governi di altri paesi. Serve un Presidente della Repubblica autorevole e non autoritario, severo e libertario al tempo stesso, autonomo e diplomatico verso tutti i paesi del mondo. Serve un Presidente della Repubblica che conosca bene la carta costituzionale e la realtà sociale. Serve un Presidente della Repubblica che, nei limiti delle sue possibilità e prerogative, da un lato sappia criticare i passati decenni di “tolleranza zero” e di neoliberismo e dall’altro contribuisca a ridurre lo Stato penale e a far nascere nuovi investimenti pubblici nelle infrastrutture, nei settori ad alta tecnologia, nella tutela del turismo e del patrimonio artistico e ambientale, nell’assistenza sociale e sanitaria, nella scuola ad ogni livello, nella formazione professionale e nella ricerca scientifica. Serve un Presidente della Repubblica che, dopo gli squilibri provocati da Tangentopoli e dall’ormai defunta Seconda Repubblica, rimetta in un certo equilibrio il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario dello Stato e, al tempo stesso, sia in grado di garantire la diretta elaborazione sociale - dal “basso” - di leggi anti oppressive e di difesa dei poteri-qualità di ognuno. Serve un Presidente della Repubblica che, di fronte alla catastrofica situazione delle sovraffollate carceri italiane, ispezioni all’improvviso i luoghi in cui le persone vengono detenute e giudicate per capire meglio a che punto sia arrivato il gigantismo dello Stato penale, delle leggi di “sicurezza” arcaiche, dei “fine pena mai” e delle forme discrezionali e consuetudinarie della giustizia che non rispettano i valori fondamentali della Costituzione e, in primis, l’articolo 27 della stessa carta costituzionale. Serve un Presidente della Repubblica che sappia svolgere la funzione di Garante dei diritti di ognuno. In questo senso Stefano Rodotà è il candidato ideale per la maggioranza dei cittadini, compresi quelli che si trovano nelle carceri italiane. Giustizia: 20mila detenuti a rischio di malattie mentali, suicidi il 36% dei morti in carcere Agenparl, 12 aprile 2013 “Un terzo dei detenuti è ad alto rischio di malattie mentali. Su quasi 70 mila persone oggi presenti nelle carceri italiane i conti sono presto fatti. Ventimila è un numero calcolato per difetto: psicosi, depressione, disturbi bipolari e di ansia severi sono la norma nel 40% dei casi, a cui vanno aggiunti poi i disturbi di personalità borderline e antisociale. Persone a volte già ammalate, altre che si ammalano durante la detenzione complici il sovraffollamento, i contesti sociali inimmaginabili, la popolazione straniera di difficilissima gestione. In questa situazione i cosiddetti detenuti sani finiscono con trovarsi in un inferno aggiuntivo che, nella peggiore delle ipotesi, può portare anche al suicidio. In Italia, quelli compiuti in carcere, hanno numeri 9 volte superiori rispetto alla popolazione generale con tassi aumentati negli ultimi anni di circa il 300% (dai 100 del decennio 1960-1969 a più di 560 nel 2000-2009 con oltre il 36% di decessi). Crescita che non si arresta: nel 2011 sono stati 63 i suicidi (0.9% per 1.000 detenuti), più di mille i tentati suicidi (15%) e oltre 5.600 gli atti autolesivi (84%). A farne le spese anche l’organizzazione interna alle carceri: tra il 2000 e il 2011, 68 suicidi solo a carico degli operatori di Polizia Penitenziaria. Di questo si è parlato in occasione del congresso dei Giovani Psichiatri in corso a Roma (“La psichiatria tra pratica clinica e responsabilità professionale”)”. Lo si legge in un comunicato della Sip, Società Italiana di Psichiatria. “Tutto ciò accade dopo anni di abbandono, da parte delle Istituzioni, della salute mentale italiana, fuori e dentro le carceri - spiega Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria - e questo è il conto da pagare. Salatissimo e non finito perché la norma entrata in vigore nel 2012 che avrebbe dovuto avere una Sezione di Osservazione Psichiatrica funzionante e bastevole per ogni Regione è stata fortemente disattesa a causa di fondi specifici carenti. Anche su questo aspetto chiediamo l’intervento del Ministero tanto più ora che abbiamo prorogato la chiusura degli OPG, ma solo per un anno. Questa è quindi una cambiale a breve scadenza, ma non sappiamo quando potremo pagarla”. “Il sovraffollamento, a livelli record (150 detenuti per 100 posti, rispetto ai 107 del resto d’Europa), è già una condizione di grave disagio per il detenuto sano. Figuriamoci per un paziente con malattia mentale. Appena chiuderanno gli OPG una parte di questi detenuti tornerà in carcere. Se la situazione non sarà cambiata, e non vi sono le premesse perché lo sia, potrebbe davvero diventare esplosiva”. “Il superamento degli Opg e il pieno passaggio dell’assistenza psichiatrica nelle carceri al sistema sanitario nazionale devono procedere parallelamente - spiega Mencacci - nell’ambito della più ampia riorganizza zione della Sanità Penitenziaria e delle nuove competenze dei Dipartimenti di Salute Mentale. A questi sono attribuite importanti responsabilità per la tutela della salute mentale dei cittadini detenuti. Si tratta, infatti, delle uniche Istituzioni, nell’ambito del servizio pubblico, in grado di garantire una visione d’insieme ed un approccio realmente integrato al raggiungimento degli obiettivi sanitari ed assistenziali che vengono affidati dal SSN alle proprie strutture”. “I Dipartimenti di salute mentale possono validamente interconnettersi con tutte le altre Istituzioni operanti in ambito carcerario, risolvendo uno dei problemi più rilevanti ancora aperti, cioè la frammentazione degli interventi sanitari in questo contesto, incluso le Dipendenze. Infine dal punto di vista operativo i Dipartimenti offrono strutture e competenze multi professionali in grado di coprire, dentro e fuori dal carcere, gli interventi opportuni, e la continuità terapeutica”. “Tutto bene fino ad ora - conclude il presidente SIP - ma solo sulla carta, perché nessuno ha ancora pensato e predisposto risorse per questa operazione. Si ritiene inderogabile, pertanto, che i Dipartimenti di Salute Mentale, siano potenziati e dotati delle risorse necessarie e sufficienti per garantire tale operatività in carcere, anche attraverso una dotazione di personale rispondente ai compiti affidati, e di strutture sovranazionali, quali i Centri di Osservazione Neuro Psichiatrica (Conp, nei fatti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura intra carcerari, finalizzati alla gestione dell’urgenza) e i Reparti di Osservazione Psichiatrica (Rop, nei fatti, aree specialistiche di osservazione diagnostica qualificata a tempo definito)”. Giustizia: i “saggi” sui problemi delle carceri; depenalizzare e attenzione a lavoro detenuti Asca, 12 aprile 2013 Per contribuire al contenimento di un sovraffollamento carcerario ormai insostenibile, i saggi del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali hanno proposto di “trasformare in pene principali comminabili dal giudice di cognizione alcune delle attuali misure alternative dell’esecuzione, come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare”. “Per contribuire al contenimento di un sovraffollamento carcerario ormai insostenibile, si propone: a) di trasformare in pene principali comminabili dal giudice di cognizione alcune delle attuali misure alternative dell’esecuzione, come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare; b) un ampio processo di depenalizzazione di condotte che possono essere meglio sanzionate in altra sede; c) l’introduzione su larga scala di pene alternative alla detenzione; d) una particolare attenzione va dedicata al tema del lavoro dei detenuti, che riduce drasticamente la recidiva, rende il carcere più vivibile, rispetta la dignità della persona detenuta; per questa ragione occorre una congrua assegnazione di risorse finanziarie”. Diritti e contenziosi. L’Italia ha aderito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed è sottoposta alla giurisdizione dell’apposita Corte da essa istituita. Comunque, si sottolinea, “il numero delle condanne subite dall’Italia è tra i più alti fra i membri della Convenzione e comporta ingenti sanzioni economiche, pari a 120 milioni di euro nel 2012. Si attira, quindi, l’attenzione del futuro Governo su questo contenzioso, foriero di conseguenze rilevanti per il Paese e in grado di incidere sulla sua immagine”. Giustizia: Gallo (Consulta); rinvio pena e sovraffollamento, sentenza massimo dopo estate Dire, 12 aprile 2013 La Corte costituzionale si esprimerà, al massimo subito dopo l’estate, sul ricorso del Tribunale di Sorveglianza di Venezia sull’articolo 147 del Codice penale che riguarda l’esecuzione della pena. Lo dice il presidente Franco Gallo durante la conferenza al termine della riunione straordinaria della Consulta. La questione è quella di una richiesta di un rinvio dell’esecuzione della pena in presenza di condizioni contrarie al senso di umanità per chi sta in carcere. “La data non l’abbiamo ancora fissata - spiega Gallo - perché la sentenza di remissione verrà pubblicata il 17-18 aprile”. Una volta avvenuta la pubblicazione, conclude il presidente della Corte, ci sarà “tutta l’urgenza possibile su questa procedura. Sui tempi penso a luglio o subito dopo le vacanze”. Gallo ha parlato di questa cosa dopo che un giornalista gli ha chiesto un commento sull’opportunità di varare un provvedimento di amnistia, di cui si ricomincia a parlare in questi giorni. Il presidente ha precisato che non è sua competenza esprimersi su quello ma ha sottolineato l’urgenza di occuparsi dell’emergenza carceri. Giustizia: Comi (Pdl); in Italia grave situazione carceraria, occorre subito vera riforma Il Velino, 12 aprile 2013 “La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha fotografato chiaramente la grave situazione carceraria del nostro Paese. L’appello alla Grande Camera fa prendere tempo, ma le soluzioni non possono più attendere. Il dato più preoccupante resta, a mio avviso, che circa il 40% dei detenuti nelle carceri italiane sarebbero persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio. Questo dimostra chiaramente che non si tratta soltanto di un problema riguardante il malfunzionamento cronico del sistema penitenziario, ma di una situazione grave che richiede urgentemente un’efficace e profonda riforma della giustizia italiana. Costruire solo nuovi penitenziari non risolve il problema”. Lo afferma l’europarlamentare del Pdl Lara Comi dopo il ricorso dello Stato alla Grande Chambre della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che a gennaio ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti, dando all’Italia un anno di tempo per adeguare il sistema carcerario. “Ad aprile 2012 - sottolinea Comi - il tasso di sovraffollamento carcerario in Italia era pari al 148%, un dato inaccettabile che deve spingerci a trovare soluzioni rapide ed efficaci. In particolare, credo sia giusto accogliere l’invito della Corte Europea a individuare nuove misure punitive non privative della libertà, riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere e solo per i reati più gravi. Penso a lavori socialmente utili che trasformino una detenzione umiliante in una condizione sicuramente obbligata e controllata, ma che può aiutare tutti coloro che hanno sbagliato a rieducarsi e a reinserirsi così nella società in maniera più giusta ed efficace. La pena - aggiunge Comi - deve essere compatibile con la dignità umana e soprattutto deve svolgere quella funzione rieducativa che la stessa Costituzione afferma con chiarezza (articolo 27 comma 3). Bisogna accelerare i tempi della giustizia per assicurare all’indagato o imputato tempi ragionevoli entro i quali essere giudicato. Chi subisce misure cautelari detentive e magari viene assolto o prosciolto dalle accuse a seguito di un processo lunghissimo subisce un danno che non potrà mai essere ripagato da un risarcimento. L’Italia non può più permettersi di tollerare simili ingiustizie e pertanto faccio un appello affinché si proceda quanto prima a una riforma vera della giustizia e del sistema penitenziario degno di un Paese civile”. Giustizia: Scalfarotto (Pd); sovraffollamento è drammatico, priorità a condizione detenuti Ansa, 12 aprile 2013 “I dati diffusi dalla Società italiana di psichiatria si sommano a quelli drammatici del sovraffollamento e delle condizioni sanitarie delle carceri italiane: un terzo dei detenuti sarebbe ad alto rischio di malattie mentali, nel 2011 ci sono stati 63 suicidi, più di mille i tentati suicidi e oltre 5.600 gli atti autolesivi e tra il 2000 e il 2011, 68 suicidi solo a carico degli operatori di Polizia Penitenziaria. Sono dati allarmanti che impongono un immediato intervento delle istituzioni. Decisioni come quella del Governo italiano di ricorrere sulla sentenza della Corte Europea di Giustizia, che lo condannava proprio su questo tema, è solo un modo per procrastinare una soluzione”. Lo afferma in una nota Ivan Scalfarotto, deputato e Vicepresidente del Partito democratico, annunciando il suo impegno sul problema delle carceri nella Commissione Giustizia di Montecitorio. “Non possiamo sprecare altro tempo - continua Scalfarotto -, sono stato nominato nella Commissione Giustizia di Montecitorio e da qui voglio impegnarmi subito per una seria riforma della giustizia che contenga in sé anche un ripensamento dell’uso della pena detentiva per i reati minori, per dare un netto taglio al sovraffollamento degli istituti, e che assicuri gli investimenti anche economici per tutelare detenuti e operatori di polizia e sanitari. La pena - conclude il deputato Pd - come spesso ricordo, sia limitativa della libertà, ma mai metta in discussione la dignità della persona”. Giustizia: Alessandro Margara; negli Opg diritti dei detenuti violati da tempo immemore Dire, 12 aprile 2013 “Negli Opg sono violati da tempo immemorabile i diritti degli internati. I manicomi penitenziari risalgono a un’idea dell’800. Da quando sono nati gli Opg sono sempre rimasti nella stessa situazione, con i letti di contenzione”. Lo ha detto il Difensore dei detenuti della Toscana Alessandro Margara a margine della presentazione, in Consiglio regionale, di una mostra fotografica sugli ospedali psichiatrici giudiziari. Quanto alla proroga per la chiusura degli Opg, Margara ha sottolineato che “ora dipende dal fatto che le Regioni accettino l’impegno di chiudere queste strutture. La Toscana da sempre si è impegnata su questo fronte, però attualmente non è decisa sulla linea da seguire”. La mostra Un’interessante mostra sul mondo carcerario e in particolare degli ospedali psichiatrici giudiziari è stata inaugurata nel pomeriggio a Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio regionale. A tagliare simbolicamente il nastro della mostra, che raccoglie foto di Gianfranco Guardascione, è stato il garante dei diritti dei detenuti della Toscana, Alessandro Margara, che nell’occasione ha ricordato la decisione della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal Senatore Marino, che ha chiesto la chiusura di alcuni reparti negli Opg di Montelupo Fiorentino e di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. “Adesso spetta alle Regioni creare le condizioni affinché gli ospedali psichiatrici giudiziari possano essere veramente superati”, ha detto Margara. Gli Opg in Italia, attualmente, sono sei. Margara ha ricordato che la chiusura disposta dalla commissione Marino è stata posticipata di un anno. La mostra, dal titolo “Internauti”, rappresenta un vero e proprio “viaggio fotografico nella realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari” ed offre la testimonianza di un mondo che è “doppiamente ai margini dell’umanità”. All’inaugurazione, alla presenza dell’autore, è intervenuto anche Andrea Greco, storico della fotografia e redattore dell’Archivio fotografico toscano. L’esposizione rimarrà aperta fino a venerdì prossimo, 19 aprile, e sarà visitabile, a partire da lunedì, tutti i giorni dalle ore 14 alle 18. Giustizia: legali famiglia Cucchi; agli agenti andava contestato omicidio preterintenzionale La Repubblica, 12 aprile 2013 Sbagliata tutta l’impostazione dell’accusa. Per i legali della famiglia Cucchi, agli agenti della penitenziaria andava contestato l’omicidio preterintenzionale e non le lesioni. Perché Stefano non era “un morto che camminava”. Stefano, ha detto l’avvocato di parte civile nella sua requisitoria, era un “ragazzo magro che assumeva stupefacenti ma non un tossicodipendente all’ultimo stadio”. Si è scagliato contro i pm l’avvocato della famiglia, Alessandro Gamberini, definendo “squilibrata” l’imputazione che appesantisce la posizione dei medici e alleggerisce quella degli agenti penitenziari. E invece Cucchi, secondo il legale ieri ha esposto le sue conclusioni davanti alla terza corte d’Assise di Roma, fu prima “pestato nelle aule di tribunale” poi assistito da personale medico “negligente e incapace”. Una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta dalla procura che ha “provocato un dissesto tra parte civile e pm” che due giorni fa hanno chiesto condanne dai due ai sei anni per tutti gli imputati. Ma per la famiglia di Stefano Cucchi, come ripetuto più volte, tutto l’impianto accusatorio ha qualcosa che non va. I genitori del ragazzo morto nel 2009, Giovanni e Rita Calore, hanno comunque chiesto una provvisionale da 600mila euro ai 12 imputati. Centomila, invece, li ha chiesti il Campidoglio, auspicando la condanna, per i danni subiti: “Stefano Cucchi - ha detto l’avvocato Enrico Maggiore - avrebbe avuto diritto a chiedere e beneficiare dei servizi della comunità”. Giustizia: la grazia ipocrita allo 007 Usa, colpevole del sequestro dell’Imam Abu Omar di Massimo Fini Il Gazzettino, 12 aprile 2013 Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha graziato d’ufficio, cioè sua sponte, senza che vi fosse una richiesta dell’interessato e nemmeno delle autorità statunitensi, Joseph Romano, nel 2003 capo della base militare Nato di Aviano, condannato il 19 settembre 2012 dalla Cassazione, e quindi in via definitiva, a 7 anni di reclusione per il rapimento, a Milano nel febbraio 2003, dell’Imam radicale Abu Omar, di null’altro colpevole che di essere tale. Con Romano sono stati condannati dalla Cassazione 22 agenti Cia che parteciparono all’operazione, compreso il capo dell’Intelligence americana a Milano, Bob Lady. Condanne cui si sono aggiunte, per ora solo in Appello, quelle di altri tre agenti Cia che operavano a Roma sotto vesti diplomatiche. In questa operazione che gli Americani chiamano di “extraordinary rendition” (in cui 007 Usa sono autorizzati a compiere qualsiasi tipo di reato in territorio straniero, in violazione di tutte le norme del diritto internazionale, col pretesto della lotta al terrorismo) Romano ebbe un ruolo centrale. Come capo della base Nato di Aviano, che gode di extra territorialità, fece entrare gli autori materiali del sequestro. Da qui trasportare Abu Omar nell’allora amico Egitto di Mubarak, dove la tortura è ammessa e praticata, fu un gioco da ragazzi. E infatti nelle prigioni egiziane Abu Omar fu sottoposto a torture fisiche e umiliazioni in stile Abu Graib, Guantánamo e anche peggio. Napolitano non poteva concludere in un modo peggiore il suo settennato. Il fatto stesso che abbia sentito il bisogno di motivare il suo atto dietro cavilli giuridici, giudicati da tutti i giuristi interpellati, nella più benevola delle ipotesi, “sciocchezze”, dimostra che aveva la coda di paglia. La grazia è una prerogativa esclusiva del Capo dello Stato, un retaggio del potere regale, e può concederla a suo insindacabile giudizio. Ma Napolitano, con tipica ipocrisia catto-comunista, ha voluto travestire con abiti giuridici, tra l’altro sconfessando in questo modo ancora una volta, alla maniera di Berlusconi, la Magistratura italiana, una decisione squisitamente politica. Lo conferma il fatto che Romano, da tempo latitante e al sicuro negli Usa, come tutti gli altri 007 condannati, non correva alcun rischio di finire in carcere. Non solo perché gli americani, che non ammettono che i loro militari siano giudicati all’estero mentre pretendono che quelli dei loro nemici siano spediti davanti al Tribunale internazionale dell’Aja, non ce lo avrebbero mai consegnato (come è avvenuto per il pilota responsabile della tragedia del Cermis, 20 morti, come avviene per i militari Usa di base a Napoli che stuprano le ragazze partenopee, rifugiandosi poi nell’extraterritorialità), ma perché tutti e sei i ministri della Giustizia avvicendatisi dopo la vicenda di Abu Omar (Castelli, Mastella, Scotti, Alfano, Palma, Severino) appena insediati si sono affrettati a rassicurare gli americani che rinunciavano a dar corso alla ricerca dei latitanti in campo internazionale. Ci eravamo quindi già appiattiti come sogliole ai piedi degli Usa, cui è consentito nel nostro Paese fare ciò che vogliono, commettere anche, restando impuniti, i reati più ripugnanti, come il sequestro di persona e, sia pur interposto Egitto, la tortura. Il Presidente Napolitano ha voluto fare un ulteriore atto di servaggio. Per chi a cuore, nonostante tutto, la dignità del nostro Paese, suonano mortificanti le parole pronunciate dallo svizzero Dick Marty, relatore del Consiglio d’Europa per le indagini sui “voli segreti” della Cia: “Non è un atto di giustizia, ma di sudditanza verso gli Stati Uniti”. Marche: apre Polo Universitario in carcere, Rettore Urbino raccoglie invito Ombudsman Ansa, 12 aprile 2013 Dopo che già varie regioni come Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno attivato il Polo universitario degli Istituti penitenziari, il garante dei diritti della Regione Marche Italo Tanoni ha incontrato il rettore dell’Università di Urbino Stefano Pivato, che ha raccolto immediatamente l’invito dando il via alle procedure amministrative per l’approvazione di una bozza di convenzione che sarà poi sottoposta anche agli altri atenei marchigiani. L’iter si concluderà poi con la firma di tutti i rettori e dell’Ombudsman marchigiano. I problemi da affrontare - si legge in una nota - saranno quelli di reperimento delle risorse che consentano agli atenei di agevolare gli studi sia ai detenuti che alla polizia penitenziaria. Particolare attenzione sarà dedicata all’attivazione della teledidattica che permetta di assistere a lezioni on line e sostenere gli esami in via telematica. La domanda più forte in questo senso proviene dai “fine pena mai” e da coloro che sono sottoposti a misure particolarmente restrittive come il 41bis. Per il garante “è un primo, fondamentale passo per garantire il diritto all’istruzione ai detenuti”, in vista della costituzione di un Polo scolastico regionale nel carcere di Barcaglione di Ancona, a vigilanza attenuata. Pistoia: al Santa Caterina in 6 mesi 41 detenuti in meno e in 75 si iscrivono al collocamento Il Tirreno, 12 aprile 2013 Da 160 a 119. Quarantuno detenuti in meno nel carcere di Santa Caterina da ottobre ad oggi, con il carcere che è entrato in un circuito di media sicurezza. Non più detenuti ritenuti ad alta pericolosità e che rendevano necessario la suddivisione in due del circuito penitenziario. “Abbiamo potuto ampliare gli spazi detentivi - spiega il direttore di Santa Caterina in Brana, Tazio Bianchi - e sono state tolte molte terze brande”. Uno dei motivi per i quali la casa circondariale pistoiese è inserita tra quelle con maggiori criticità a livello nazionale: al momento dell’arrivo di Bianchi i detenuti presenti erano 160 su una capienza ottimale di 74. La terza branda in cella significa tre detenuti fianco a fianco in uno spazio di 7 metri quadrati. Per questa e altre situazioni a rischio presenti soprattutto nelle vecchie carceri, l’Italia è all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo, e il prossimo anno sarà oggetto di nuove verifiche. Il carcere pistoiese sta cercando di migliorare le proprie condizioni interne. Anche se chiamati a scontare una pena detentiva, i detenuti hanno diritto ad affrontarla nella maniera più dignitosa possibile. Viene d’aiuto, afferma Bianchi, la possibilità offerta per i casi più lievi dalla legge 199 di scontare gli ultimi 18 mesi di pena ai domiciliari. Gran parte dei detenuti che non sono più in Santa Caterina sono ai domiciliari grazie alla legge “svuota carceri”. Su 119 carcerati ad oggi presenti in Santa Caterina 52 sono italiani e 67 stranieri. Nel corso della conferenza stampa organizzata per presentare i risultati raggiunti nella formazione professionale e nell’avviamento al lavoro grazie all’accordo sottoscritto con la Provincia nel 2012, Bianchi ha voluto ringraziare il personale che lo affianca nel difficile lavoro quotidiano. “C’è un progetto triennale sviluppato in sinergia con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, il cui obiettivo principale è l’abolizione della terza branda in tutte le sezioni. Ma se anche non arriviamo a 74 detenuti, tra gli 80 e i 90 potrebbe essere una buona capienza”. Il suo personale, afferma Bianchi, si trova a lavorare in “condizioni estreme”. Ci sono 48 agenti per 119 detenuti. Dovrebbero essere 80. Lo scarso numero di guardie penitenziarie nelle carceri italiane è un’emergenza da anni rimarcata dalle organizzazioni di categoria, ma la coperta è sempre più corta, e le risorse dello Stato sempre più esigue. A Pistoia, inoltre, dei 4 educatori necessari, ne sono presenti 2. “Di cui uno - spiega Tazio Bianchi - attualmente è in missione” Colloqui di lavoro: in 75 si iscrivono al collocamento Settantacinque carcerati iscritti all’anagrafe del lavoro, 4 corsi di formazione svolti e altri in partenza. Quattro carcerati passano la giornata fuori da Santa Caterina grazie alle borse lavoro garantite dai fondi della Provincia. Sono alcuni dei risultati ottenuti grazie all’accordo firmato da Provincia e carcere nel febbraio del 2012. Per presentare questi risultati erano ieri nella Sala colloqui di Santa Caterina, insieme al direttore Tazio Bianchi, la presidente della Provincia Federica Fratoni, la dirigente del servizio Politiche attive del lavoro Anna Pesce, e il vicesindaco del Comune Daniela Belliti. Anche il Comune, infatti, sta lavorando alla possibilità di istituire nuove borse lavoro insieme alla Provincia. “Ci siamo dotati di uno strumento importante, qual è il garante dei diritti del detenuto, Antonio Sammartino, e intendiamo contribuire alla realizzazione dell’aula di informatica”, spiega Daniela Belliti. Fondamentale, per chi ha scontato una pena detentiva, il reinserimento sociale dopo il carcere. Nel 2012 è stato aperto uno sportello periodico in carcere per lo svolgimento delle pratiche amministrative e dell’orientamento dei detenuti: al 28 febbraio 2013 ci sono stati 130 incontri e 110 colloqui, 75 i carcerati iscritti al collocamento. La Provincia ha impegnato risorse per 200mila euro (assegnate tramite bandi pubblici alla coop “Saperi aperti”, presente in conferenza stampa con Massimo Civilini e Riccardo Niccolai), per la realizzazione di attività formative fino al 2015. Quattro gli interventi attuati sinora: due da 110 ore ciascuno (uno nel settore cucina - preparazione di piatti - e uno nel settore edile - per imbianchino), e due percorsi da 20 ore in campo informatico, per elaborazione grafica di immagini e video. Trento: si chiama “eSecurity” software che prevede i delitti, presentato ieri all’Università di Luca Pianesi Il Trentino, 12 aprile 2013 Un software in grado di predire i delitti e prevenire la criminalità, per migliorare la sicurezza e la fiducia dei cittadini. L’idea, apparentemente fantascientifica, evoca, immediatamente, realtà futuristiche come quella descritta da Steven Spielberg nel film Minority Report, dove il protagonista Tom Cruise si muoveva in una Washington del 2054 ormai priva di omicidi grazie a un sistema di previsione dei crimini. Oggi, però, questo scenario sembra meno lontano di quanto si possa immaginare in forza di un progetto messo in piedi dall’Università di Trento, la Questura, l’Fbk ed il Comune di Trento e finanziato dalla Commissione Europea. Si chiama eSecurity ed è stato presentato ieri in Rettorato, in via Belenzani, alla presenza della rettrice Daria de Pretis, del questore Giorgio Iacobone, dell’assessore comunale alle politiche sociali Violetta Plotegher, del segretario generale dell’Fbk, Andrea Simoni e del capo delle volanti della polizia Salvatore Ascione. Il coordinatore scientifico del progetto e del gruppo di ricerca eCrime, che s’è aggiudicato gli oltre 400.000 euro di finanziamento europeo, è Andrea Di Nicola, ricercatore di Giurisprudenza e docente di criminologia, che spiega: “Gli studi dimostrano che gli eventi delittuosi tendono a concentrarsi in alcuni luoghi e a ripetersi negli stessi secondo flussi comportamentali legati, per esempio, alla più o meno intensa luminosità delle giornate, a momenti specifici dell’anno, vacanze o festività, a un certo tipo di meteorologia, e ad altri elementi caratterizzanti. Ebbene con eSecurity intendiamo utilizzare ed incrociare i dati sui crimini denunciati alle forze dell’ordine, quelli sulla percezione di sicurezza dei singoli cittadini nei vari quartieri della città e quelli raccolti con le indagini di vittimizzazione della comunità, che significa capire se il singolo abitante di uno specifico luogo ritenga di aver subito un crimine, magari senza averlo poi denunciato alle forze dell’ordine. In questo modo siamo in grado di comprendere dove e come indirizzare gli interventi della polizia, possiamo decidere con maggior efficacia come allocare le risorse e sviluppare strategie d’intervento più mirate con controlli e pattugliamenti. eSecurity - aggiunge Di Nicola - è un progetto unico in Europa e anche nel mondo sono pochissime le realtà che hanno già sviluppato sistemi simili: una è quella di Memphis dove la gestione del software è stata affidata a Ibm e l’altra è Los Angeles che s’è servita dell’Università della California. Ma questi sono puri progetti di polizia predittiva. Il nostro aggiungerà all’aspetto di analisi dei dati sui luoghi e sulle tempistiche degli eventi criminali anche quello di confronto con altre variabili quali quelle ambientali e socio demografiche, per esempio se in quella zona c’è una concentrazione di abitanti più giovani o meno, se è ben servita con i mezzi pubblici, lo stato di degrado o inquinamento. Le informazioni georiferite, così, saranno ancora più complete e sarà possibile predire, con ancora maggior esattezza, il “dove” e il “quando” si verificheranno i delitti e anche il “perché” così da poter intervenire non solo per reprimere ma anche per prevenire i crimini”. “Un prototipo di eSecurity è già stato sviluppato in Fbk - conclude Simoni - e tra 30 mesi dovremmo concludere il progetto definitivo”. Napoli: carcere Secondigliano, è di nuovo in funzione l’impianto di smaltimento dei rifiuti Agi, 12 aprile 2013 Risolti in breve tempo i problemi evidenziati nel sopralluogo dello scorso 8 marzo, che ne avevano provocato il sequestro, riprende a funzionare l’impianto di lavorazione dei rifiuti attivo presso il centro penitenziario di Napoli di Secondigliano. Le violazioni riscontrate riguardavano alcune prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività non pienamente rispettate. La riapertura dell’impianto consente ai detenuti lavoratori di poter riprendere il percorso avviato. A buon punto è anche l’iter autorizzativo per l’impianto di compostaggio che sorgerà nell’area esterna del penitenziario e darà lavoro ad altri detenuti. Sanremo (Im): la Polizia penitenziaria salva collaboratore di giustizia da tentativo suicidio www.sanremonews.it, 12 aprile 2013 Fabio Pagani della Uil: “Belle notizie che però devono far riflettere e continuare a sollecitare i vertici dipartimentali a prendere urgenti soluzioni per risolvere i gravi problemi di sicurezza che oramai attanagliano la Casa Circondariale della città dei fiori”. “Alle ore 23.30 circa è giunta notizia che un detenuto condannato all’ergastolo e collaboratore di giustizia, è stato salvato, grazie all’immediato intervento della Polizia Penitenziaria, il detenuto, colpito da un infarto, era in bagno, sofferente, riverso a terra, solo grazie all’immediato intervento dei Poliziotti di turno (due) e del Medico di Guardia e infermiera successivamente, sì è impedita un’altra morte in carcere, avvenuta pochi giorni fa, per la stessa motivazione a pochi chilometri, nel carcere Marassi di Genova con senso di responsabilità e professionalità - commenta il sindacalista della Uil Penitenziari, Fabio Pagani. Un’altra vita salvata. E pensare che proprio a Sanremo e in Liguria, non vi è stata traccia di un elogio-encomio a nessun Poliziotto Penitenziario”. “Queste sono belle notizie - aggiunge il sindacalista, che però debbono farci riflettere e continuare a sollecitare i vertici dipartimentali a prendere urgenti soluzioni volte per risolvere i gravi problemi di sicurezza che oramai attanagliano la Casa Circondariale di Sanremo. Bisogna coinvolgere le istituzioni locali - tra cui il primo cittadino - in quanto comprenda che è seriamente a rischio la sicurezza dell’intera Città, visto che l’istituto registra una capienza di quasi 360 detenuti a fronte di una capacità tollerabile di circa 209 detenuti e soprattutto riportare quel dialogo tra Direttore e rappresentanti del personale di polizia Penitenziaria, oramai messo da parte dal Dirigente di Sanremo”. “Il rischio concreto - conclude Pagani - è che il sistema carcere affondi nel mare dell’illegalità, del degrado e dell’inefficienza. Come si può pensare di garantire dignità al lavoro penitenziario a fronte delle condizioni degradanti, alla mancanza di mezzi e risorse, alla impossibilità di svolgere il proprio mandato costituzionale”. Potenza: domani manifestazione culturale per i condannati in esecuzione penale esterna Comunicato stampa, 12 aprile 2013 Sabato 13 aprile 2013, presso la sede dell’Uepe di Potenza e Matera, Ufficio di Potenza (via dei Mille 4° piano palazzo degli uffici delle entrate), dalle ore 10 alle ore 11.30 si terrà la performance “Teatro d’Appartamento” a favore dei cittadini condannati in esecuzione penale esterna (e loro famiglie, figli), proposta dalla compagnia teatrale “Abito in Scena” di Potenza. L’iniziativa “Teatro d’Appartamento” nasce dall’idea di considerare lo spazio dell’Ufficio (Uepe - Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) quale luogo abitato sia dagli operatori della giustizia che dagli utenti…un “appartamento” cioè in cui vivono operatori e cittadini condannati in esecuzione penale esterna, affidati in prova al servizio sociale, detenuti domiciliari, liberi vigilati…loro famiglie, compagne, figli. L’Ufficio quale spazio relazionale e amministrativo in cui gli assistenti sociali accompagnano i singoli cittadini condannati nei progetti trattamentali, nel percorsi di aiuto-controllo, sostegno all’inclusione, consulenza…utili al loro reinserimento sociale e alla tutela della comunità: infatti ogni persona inclusa socialmente è una risposta alla domanda di difesa sociale proveniente dalla comunità. L’iniziativa si interseca con le attività di “tempo libero” a favore delle persone condannate in esecuzione penale esterna sottoposti alle pene alternative alla detenzione, o territoriali, poiché scontate proprio nella comunità, nei luoghi di vita, nei nostri condomini… (affidati in prova al servizio sociale, detenuti domiciliari, liberi vigilati ecc.) affinché il loro tempo libero coincida sempre meno con vuoti a perdere, con i pensieri spesso destrutturanti, con ridondanti avvitamenti fine a se stessi…l’evento vuole ridurre, togliere spazio al non senso e favorire sollecitazioni, in questo caso ricreative-culturali, alla socializzazione, alla costruttività, in combinazione con le risorse della comunità potentina. Infatti l’iniziativa è stata possibile grazie alla straordinaria collaborazione, alla loro sensibilità per le “frontiere” umane e sociali, degli attori della compagnia teatrale “Abito in Scena” di Potenza - Monica Palese (attrice), Luca Morelli (attore) e Leonardo Pietrafesa (regista) - che hanno offerto la performance “teatro d’appartamento” in questo segmento dove i cittadini condannati attraversano una difficile fase della loro esistenza. L’evento è stato organizzato in raccordo con la Magistratura di Sorveglianza di Potenza e Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Basilicata. La Direzione dell’Uepe di Potenza e Matera Forlì: la Società Hera ha donato alla Casa circondariale attrezzature e arredi da ufficio Comunicato stampa, 12 aprile 2013 La Società Hera S.P.A ha donato alla Casa circondariale di Forlì n° 4 librerie, n° 5 computer e n° 2 stampanti, materiale in ottimo stato d’uso che sarà utilizzato per la biblioteca detenuti e per le numerose iniziative che vengono organizzate a favore della popolazione detenuta per migliorarne la qualità di vita. Questa iniziativa va ad aggiungersi ad altri due importanti progetti di collaborazione fra il gruppo hera e la casa circondariale finalizzati al coinvolgimento sociale dei detenuti e alla diffusione della conoscenza ambientale. nello specifico: “Raee in carcere” che vede coinvolti anche il carcere di Bologna e Ferrara che consiste nell’impiego dei detenuti all’interno di laboratori gestiti da cooperative sociali per lo smontaggio dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche; “mano libera” laboratorio artigianale per il recupero creativo della carta che si basa sullo spappolamento e l’omogeneizzazione della carta da recupero sempre con il coinvolgimento di detenuti. per ringraziare la società hera è stata organizzata per il giorno 16 aprile alle ore 11,00 presso la sala convegno di questa casa circondariale una conferenza stampa dove sono stati inviati a parteciparvi il sig. prefetto, il provveditore regionale, il sindaco di Forlì, le autorità provinciali e comunali, dirigenti del gruppo hera ed associazioni di volontariato che operano all’interno di questa struttura. interverranno l’ing. Franco Sami - direttore servizi tecnici operations di Hera S.P.A. e Palma Mercurio - direttore della Casa circondariale di Forlì - al fine di documentare l’evento, si rende partecipe codesta redazione giornalistica/emittente televisiva affinché possa fare intervenire giornalisti iscritti all’ordine , fotografi ed operatori di ripresa Il Direttore, Palma Mercurio Palermo: concerto per detenuti Ucciardone promosso da Associazione Amici della musica Ansa, 12 aprile 2013 Si svolgerà domani alle 11 presso la sala teatrale del carcere Ucciardone un concerto dell’ Orchestra da Camera ‘Gli Armonicì, diretta da Umberto Bruno, che eseguirà alcuni brani di Ottorino Respighi e di Astor Piazzolla. Il concerto, promosso dall’Associazione Amici della musica, sarà preceduto da una breve guida all’ascolto di Dario Oliveri e costituisce il primo passo di un più ampio progetto di futura collaborazione, che dovrebbe includere una serie di concerti e l’eventuale istituzione di un laboratorio di ascolto e attività musicali corali e strumentali all’interno della casa circondariale d’intesa con la direttrice Rita Barbera. A partire dal 2007, l’Associazione Amici della musica ha dato vita a vari progetti di formazione musicale realizzati tra l’altro anche in collaborazione con la Fondazione e il Centro Giovanile Don Giuseppe Puglisi di Brancaccio e l’Istituto Comprensivo Statale “Madre Teresa di Calcutta”. Nell’ambito di tali progetti sono state realizzate le prime rappresentazioni a Palermo di vari spettacoli di teatro musicale per ragazzi che hanno coinvolto, sia come artisti sulla scena che come spettatori in sala innumerevoli bambini e ragazzi della nostra città. Nel 2012, l’Associazione ha inoltre dato vita a un nuovo progetto denominato “Musica alla Scuola Federico II”, realizzato in collaborazione con il Rotary Club Palermo-Nord e finalizzato alla costituzione di un laboratorio musicale presso l’Istituto Comprensivo Statale “Federico II”, situato ai margini del quartiere Borgo Vecchio e caratterizzato dalla presenza di molti bambini extra-comunitari e provenienti da contesti familiari disagiati. Milano: creatività imprese carcerarie debutta al Fuorisalone Adnkronos, 12 aprile 2013 Saranno le linee sinuose, i legni naturali di tavoli, letti e lampade oltre ai colori e ai tessuti pregiati di borse e complementi d’arredo realizzati all’interno delle case circondariali di Milano, i protagonisti del Fuorisalone. Oggi, per la prima volta l’Acceleratore d’impresa ristretta del Comune di Milano apre i suoi spazi alla creatività e al design. “Essere riusciti a inserire l’Acceleratore d’impresa ristretta - spiega l’assessore comunale alle Politiche per il lavoro, moda e design, Cristina Tajani - tra le location del Fuorisalone dimostra la rilevante validità creativa e progettuale dei prodotti che qui presentiamo, tavoli, sedie e complementi d’arredo che dalle case circondariali milanesi iniziano ad arredare case e negozi della città per allargarsi ai nuovi mercati”. “In questo periodo di crisi - conclude l’assessore Tajani - l’apprezzamento da parte del pubblico e degli addetti ai lavori di queste collezioni è la prova tangibile di come si possa concretamente coniugare valore estetico e valore economico-sociale”. Plinioltre e Borseggi sono i due brand di arredamento, borse e design nati nel carcere di Milano-Opera, grazie all’impegno della cooperativa Opera in Fiore e al sostegno dell’assessorato alle Politiche del lavoro del Comune di Milano e del Provveditorato alle carceri. La prima è una linea di design eco-social nata da un’intuizione dell’imprenditore Mario Prandina, che propone una collezione completa di arredi di elevato valore estetico e progettuale. L’esperienza di Plinioltre sta definendo una metodologia unica di social business, capace di creare nuovo lavoro e accompagnare verso una nuova professione chi è o è stato in carcere. Borseggi è la collezione di borse di stoffa realizzata nel laboratorio di sartoria del carcere di Milano-Opera tessuti pregiati. Un progetto realizzato grazie all’Acceleratore d’Impresa del Comune di Milano che ha finanziato l’acquisto delle macchine per cucire. La cooperativa sociale Opera in Fiore promuove da anni progetti per l’avvio di attività lavorative nelle carceri di Milano-Opera, Busto Arsizio e Voghera e realizza programmi di formazione e lavoro per l’inserimento nella società di persone fragili in collaborazione con importanti realtà aziendali private. In mostra lavori realizzati dai detenuti di Prato L’associazione “Recuperiamoci!” torna al “Fuori Salone” con la cooperativa “Socialeinrete” di Sesto Fiorentino e lo studio SuperFlou. Lampade e complementi d’arredo realizzati dai detenuti della Dogaia in mostra a Milano. L’associazione “Recuperiamoci!” di Prato torna al “Fuori Salone” (sino al 16 aprile) con due noti nomi dell’eco design e della responsabilità sociale: il marchio Altre Mani della cooperativa “Socialeinrete” di Sesto Fiorentino e lo studio romano di designer, Studio SuperFluo. Le tre realtà, diverse ma unite dall’attenzione ai materiali di recupero, attraverso il lavoro di soggetti svantaggiati, cureranno insieme un allestimento proprio nel cuore del “Fuori Salone”, in via Tortona 37, una delle location più ambite della “Milano Design Week”. Sarà presentata una nuova collezione: l’eco design di “Remade”, una linea di lampade (nella foto la bi-lampada) e complementi d’arredo per “Camminare ad Agio”, il progetto risultato della collaborazione fra le tre realtà dell’eco recupero, sestese, pratese e romana, legate dalla stessa passione per la natura e la progettazione. Scarti vegetali, metalli e altri materiali di recupero re-impiegati nella produzione di tavoli, sedute ma anche lampade da tavolo e piantane che attraverso giochi di luci amplificano spazi e prospettive. “Recuperiamo!” che lo scorso anno al “Fuori Salone” firmava la collezione di borse Vag (Veri Avanzi di Galera) ideate e prodotte da alcune detenute, ripropone quest’anno nello spazio espositivo allestito con Altre Mani e Studio SuperFluo, oggetti di arredamento in materiale di recupero. L’associazione di Prato da anni promuove l’economia solidale carceraria con l’obiettivo di creare un network solidale tra le realtà che operano nel recupero di materiali, quanto un reinserimento del detenuto nella quotidianità venga agevolato dall’avere appreso un mestiere. Le “100 sedie” realizzate da ex detenuti colombiani Nel nuovo spazio di viale Umbria le sedie realizzate in Colombia e l’installazione “Abi-tanti. La moltitudine migrante”, per riflettere sui concetti di differenza e identità. Design e sociale vanno a braccetto nel nuovo spazio Marni in viale Umbria, dove, in occasione della settimana del mobile, è stato presentato il progetto 100 sedie, una collezione composta da sedie e chaise-longue dai colori sgargianti, realizzata interamente a mano da un gruppo di ex detenuti colombiani. I modelli delle sedute sono infatti quelli tipici del luogo, anche se reinterpretate con nuovi intrecci e colori e realizzate in Pvc multi-color. La maison di moda ha voluto far sì che la nuova produzione - in lizza, unico brand fashion a gareggiare, per il premio Design of the year 2013 istituito dal Design Museum di Londra - diventasse anche un modo utile e creativo per far acquisire nuove competenze a persone che si trovano ai margini della società, permettendo loro di reinserirsi nel mondo del lavoro. Anche il ricavato della vendita delle sedie sarà devoluto in beneficenza, compresa la parte della collezione - presentata al salone per la prima volta - dedicata ai bambini, con alcuni modelli studiati appositamente per loro. Nello stesso spazio, in occasione della design week, è stato esposto Abi-tanti: La moltitudine migrante, un progetto del dipartimento educazione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Si tratta di un’installazione che vede esposte tante piccole famiglie di freak/robot, con braccia, corpi, gambe e teste formati sia di scarti industriali -aste, sfere e cubi, messi a disposizione dal museo - abbelliti con pezzi di gioielleria e tessuti forniti dalla maison di moda. Motivo? Creare delle famiglie di piccoli umanoidi che mettano al centro i concetti di identità e di differenza, ma anche di incontro con gli altri, siano essi sconosciuti abitanti di altri mondi. Oggi e domani si terrà anche un workshop presso lo Spazio Marni dove ognuno potrà creare uno degli Abi-tanti della famiglia Marni, utilizzando materiali di recupero, ma anche tessuti e componenti del bijou. E non è finita qui. Gli oltre seimila Abi-tanti l’8 e il 9 giugno, invaderanno pacificamente i Giardini delle Tuileries a Parigi, in concomitanza con la mostra di Michelangelo Pistoletto Année un. Le paradis sur terre. Gorizia: al Cie di Gradisca è in arrivo il Garante per i diritti dei detenuti Messaggero Veneto, 12 aprile 2013 Il Garante provinciale per i diritti dei detenuti monitorerà, presto, anche le eventuali situazioni di disagio del Cie di Gradisca. La notizia segue di qualche giorno il duro esposto del Garante dei detenuti del Lazio sulle condizioni di vita all’interno della struttura di Gradisca, definite senza mezzi termini “inaccettabili”. Fra le condizioni-limite denunciate al ministro dell’Interno Cancellieri, gli ospiti costretti a dormire per mesi sulle reti o in terra, senza materassi e lenzuola (misura che oggi non risulta più in vigore ed era stata decisa in seguito alle rivolte degli ospiti che avevano incendiato lenzuola e suppellettili); ma nel mirino del Garante del Lazio anche le visite dall’esterno limitate ai parenti degli immigrati, l’ingresso precluso alle associazioni di volontariato e agli avvocati, tranne a quelli di fiducia degli ospiti. Un intervento, quello riportato nei giorni scorsi, che non ha lasciato indifferente il consigliere provinciale Stefano Cosma che aveva sottoposto al Consiglio provinciale l’idea dell’istituzione - poi approvata all’unanimità - di un garante provinciale a tutela dei diritti delle persone private della libertà personale. Ed era stato sempre lui, assieme al collega Pd Alessandro Zanella, a “allargare” il raggio d’azione non solo alle strutture penitenziarie ma anche, compatibilmente alle norme vigenti, nel Cie di Gradisca e in qualsiasi struttura ove siano limitate le libertà personali. “Credo si tratti di un passaggio di civiltà molto importante e atteso. L’intervento del Garante del Lazio - spiega Cosma - mette in evidenza la grave carenza della Regione su questi temi”. L’istituzione del Garante provinciale per i diritti dei detenuti è molto vicina. Già il prossimo 22 aprile, infatti, scade il termine di presentazione dei curricula dei candidati. “Non escludo - conclude Cosma - che il 6 maggio, nel consiglio provinciale che come conferenza dei capigruppo abbiamo previsto per quella data, potremmo votarne la nomina”. India: la vicenda di Tomaso ed Elisabetta, i due italiani che stanno scontando l’ergastolo di Fabio Polese e Federico Cenci www.linkiesta.it, 12 aprile 2013 “Viviamo in stanze da 100/120 persone con un piccolo spiazzo dove poter camminare”. Non solo marò. In India accusati di omicidio sono detenuti altri due italiani di cui nessuno parla. Non solo i marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre. In India, accusati di omicidio, sono detenuti altri due nostri connazionali che però non indossano divise, Tomaso Bruno, 28 anni, di Albenga, ed Elisabetta Boncompagni, 39 anni, di Torino. La loro storia è meno nota all’opinione pubblica di quella dei due fucilieri ma non meno problematica. È da più di tre anni che questi due giovani combattono contro quello che lo stesso Bruno definisce “assurdo sistema della giustizia indiana”. Mai si sarebbero aspettati di incappare in questa brutta storia. Del resto, non erano andati nel grande Paese asiatico per svolgere lavori rischiosi, ma per coronare il sogno di un viaggio. Uno sogno trasformatosi in un incubo. Per riavvolgere il nastro della loro storia si parte da Londra, la città in cui abitavano sia Tomaso sia Elisabetta. Per festeggiare il capodanno 2010 Elisabetta e il compagno, Francesco Montis, altro tragico protagonista di questa vicenda, decidono di raggiungere degli amici in India, nell’Uttar Pradesh. Al viaggio si aggiunge anche Tomaso Bruno. È Francesco a chiedergli di partecipare. La mattina del 4 febbraio Tomaso ed Elisabetta trovano Francesco in agonia sul letto, in una stanza dell’hotel Buddha di Chentgani, alla periferia della città di Varanasi, dove soggiornano. Chiamano rapidamente i soccorsi, che tuttavia si rivelano vani. Sul luogo non arriva un’ambulanza, ma un taxi che trasporta il ragazzo in ospedale, dove un medico ne constata il decesso. Mentre Tomaso si mette in contatto con l’Ambasciata Italiana a Nuova Dehli, la polizia di Varanasi impone ai due ragazzi di non uscire dall’albergo, vieta loro di utilizzare internet e concede solo l’uso dei telefoni cellulari. L’attesa in albergo si fa angosciante. Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni in quei momenti di disperazione non riescono neanche a realizzare l’atroce destino che li aspetta. La loro angoscia si tramuta in paura. Le autorità indiane sono convinte: i due italiani vengono accusati dell’omicidio del loro amico. Il 7 febbraio 2010 Tomaso ed Elisabetta sono tratti in arresto con l’accusa di aver strangolato Francesco, sulla base di un esame post mortem sul cadavere della vittima secondo il quale il decesso sarebbe avvenuto per asfissia da strangolamento. Lo Studio Legale Titus (nominato su indicazione dell’Ambasciata Italiana per difendere i due giovani) fa eseguire una controperizia dalla quale si evince che la morte è sì avvenuta per asfissia, ma non da strangolamento bensì per altre cause. Da quella data Tomaso ed Elisabetta sono detenuti nel carcere di Varanasi, in quanto la polizia si è riservata il deposito della chiusura delle indagini sino allo scadere dei termini (90 giorni) con continui rinvii ogni 14 giorni. Le richieste di libertà su cauzione presentate dallo Studio Legale Titus durante il lungo corso del processo, costellato da intoppi e rinvii di udienze, sono state tutte respinte dal giudice. Un estenuante stillicidio giudiziario che arriva sino al 23 luglio 2011, ore 17:30 locali. In quella data viene emessa la sentenza di condanna all’ergastolo per Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni. E pensare che in fase di lettura della sentenza le prospettive sono apparse ancora più cupe: il pm, sentito infatti che il giudizio era di colpevolezza, ha richiesto il massimo della pena, ovvero la pena di morte. Estrema condanna evitata soltanto perché il giudice l’ha ritenuta eccessiva, dal momento che in India è riservata esclusivamente a chi commette gravi atti di terrorismo. La notizia, qui in Italia, fatica a sgomitare tra i bollettini meteo che aggiornano sul caldo di luglio e un attentato che in Norvegia ha provocato la morte di 77 persone. La condanna di questi due giovani da parte di un Tribunale indiano non occupa più di qualche trafiletto su alcuni giornali. Familiari e amici dei due ragazzi tentano, invece, di concedere una degna eco alle parole che Tomaso Bruno, subito dopo la sentenza, ha avuto la forza di scrivere sul suo profilo Facebook: “La battaglia per ottenere giustizia è ancora lunga, ma alla fine tutto si risolverà con l’assoluzione”. Si dà vita fin da subito ad una serie di iniziative finalizzate a far conoscere all’opinione pubblica la vicenda dei due amici detenuti in India e di esprimer loro solidarietà. In questo senso si batte tenacemente Marina Maurizio, mamma di Tomaso Bruno che mentre scriviamo si trova in India, per svolgere una delle frequenti visite al figlio detenuto insieme ad Elisabetta Boncompagni nel carcere “District Jail” di Benares, ma comunemente conosciuto dalla popolazione locale con il nome di “Choucaghat”. “che a detta degli altri detenuti - racconta Tomaso Bruno a Linkiesta - è uno tra i peggiori dell’Uttar Pradesh, se non di tutta l’India”. Tomaso non ha mai avuto particolari problemi nell’adattarsi alla vita carceraria indiana. “Il mio rapporto con gli altri detenuti è stato buono sin da subito, più imparo la loro lingua e la loro cultura e più sono accettato. Per questo devo essere grato al mio “fratello” tibetano Pempa Tsering, che grazie alla sua perfetta conoscenza dell’inglese e dell’hindi, mi ha fatto, sin da subito, con infinita pazienza, da traduttore simultaneo”. Il carcere “District Jail” di Benares conta circa 1.800 detenuti, la gran parte è in attesa di giudizio e la percentuale dei criminali pericolosi è minima. “La maggior parte dei detenuti è gente normale incappata in un modo o nell’altro nell’assurdo sistema della giustizia indiana”. Molto probabilmente, anche per questo, ci racconta Tomaso, non è stato difficile inserirsi. “È per me è motivo di orgoglio l’essere passato in poco tempo dallo status di “straniero”, e quindi rispettato perché tale, a quello di “fratello”, e quindi rispettato per quello che è”. “Viviamo in stanzoni da 100/120 persone con un piccolo spiazzo di fronte dove poter camminare. I cancelli delle stanze restano aperti dalle 6.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.30”. Qui, “c’è un’area con sei rubinetti e una pompa a mano” dove possiamo lavarci e lavare i panni. Poco più dietro ci sono le latrine: 12 in tutto. Tomaso le racconta come l’unica parte fatiscente del carcere, “visto che non dispongono di acqua corrente”. I due italiani si sono dovuti adattare alle abitudini indiane, ma i problemi più grandi, sottolinea Tomaso, sono il clima e le cure mediche. “Da aprile a ottobre c’è un caldo torrido e le ventole che pendono dal soffitto sono quasi sempre ferme visto che l’elettricità va e viene”. Le cure mediche “lasciano un pochino a desiderare”. A “District Jail” c’è solo un piccolo ospedale: “Le medicine sono di bassa qualità e la mia impressione è che sia meglio cercare di non ammalarsi”. Il cibo è rigorosamente vegetariano, “ma in un modo o nell’altro si riesce tutti i giorni a mettere insieme tre pasti decenti”. Quelli che stanno vivendo i due giovani e i loro familiari sono mesi concitati, di attesa. Recentemente, la Corte Suprema indiana ha giudicato “ammissibile” il ricorso contro la condanna all’ergastolo. La prossima tappa di questo loro calvario è ora fissata per il 3 settembre, data dell’udienza del massimo tribunale indiano. Ma Tomaso Bruno preferisce rimanere con i piedi per terra: “Sono realista e penso che ribaltare due sentenze di ergastolo non sia un’impresa semplice neanche per uno dei migliori penalisti indiani come sembra essere Mr. Mukul Rohatgi, il nostro nuovo avvocato”. “Tuttavia - conclude Tomaso - il fatto che il ricorso sia stato accolto senza problemi, alimenta quel piccolo fuoco di speranza che dentro di me non si è mai spento”. Fuoco di speranza che facciamo anche nostro. In questo senso, può essere utile ricordare che il 30 ottobre del 2012 è entrato in vigore un “Accordo bilaterale” tra Italia e India che dovrebbe permettere il trasferimento delle persone già condannate nel Paese d’origine. Se è pur vero che l’ultima parola spetta all’India, dovrà essere il governo italiano a richiederne l’applicazione. Stati Uniti: Casa Bianca “assediata” da manifestanti, chiedono chiusura di Guantánamo www.today.it, 12 aprile 2013 Manifestazioni simili si sono svolte anche a New York, a San Francisco, Los Angeles e Chicago. Venticinque organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo hanno esortato il Presidente degli Stati Uniti, con una manifestazione davanti alla Casa Bianca, a “chiudere Guantánamo e a mettere fine alle detenzioni senza processi”, chiedendo “misure rapide per gestire in modo umano e legale” le situazioni di decine di prigionieri. Con un cappuccio nero sul capo e vestiti di arancione, la divisa dei carcerati di Guantánamo, nove dei manifestanti hanno interpretato la parte dei nove detenuti già morti dietro le sbarre, senza neppure un processo: “Sono morto in attesa di giustizia” si leggeva su uno striscione “Quanti altri ancora?” La crisi in corso a Guantánamo - dove da oltre due mesi i detenuti sono in sciopero della fame a rotazione - non può essere dissociata dal fatto che una chiara maggioranza dei 166 prigionieri è detenuta da oltre 11 anni senza incriminazione e non conosce la propria sorte”, scrivono nella lettera indirizzata a Barack Obama diverse Ong, tra cui Amnesty International, il Centro per i Diritti costituzionali, Human Rights First, Human Rights Watch e l’Unione americana di difesa delle libertà civili. Manifestazioni simili si sono svolte anche a New York, a San Francisco, Los Angeles e Chicago. Dei 779 uomini che sono transitati dietro le sbarre di Guantanámo, 9 sono deceduti, 7 sono stati condannati, 6 sono stati rinviati a giudizio davanti a un tribunale militare. 86 sono stati dichiarati “idonei al rilascio” in mancanza di prove, ma sono ancora nel carcere. Secondo quanto letto dall’avvocato di uno dei detenuti, attualmente sono 130 i prigionieri che partecipano allo sciopero della fame, cominciato il 6 febbraio. Secondo il Pentagono invece sono 43 di cui 11 sottoposti ad alimentazione forzata. Israele: nessuna cura medica, salute dei prigionieri palestinesi in pericolo Nena News, 12 aprile 2013 I medici israeliani di Physicians for Human Rights lanciano l’allarme: la negligenza israeliana mette a rischio la vita dei detenuti. Come nel caso del Prigioniero X. Le violazioni compiute dai medici nei carceri israeliani mettono in pericolo la vita dei prigionieri, palestinesi e israeliani, in particolar modo dei detenuti in sciopero della fame. A lanciare l’allarme è l’associazione israeliana Physicians for Human Rights che chiede l’immediato passaggio delle competenze in materia di salute dall’Israeli Prison Service al Ministero della Salute. L’appello giunge in giorni caldi sul fronte dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele: due settimane fa il prigioniero Maysara Abu Hamdiya è morto di cancro all’esofago, senza ricevere alcuna cura, se non pillole di antidolorifici. La sua morte aveva provocato dure proteste nelle città della Cisgiordania, mentre dentro le carceri israeliani migliaia di detenuti avevano rifiutato il cibo per tre giorni come forma di protesta. E Samer Issawi, in sciopero della fame dall’agosto 2012, è gravissimo: il suo cuore si sta velocemente indebolendo e le perdite di coscienza sono sempre più frequenti. Secondo l’organizzazione israeliana, gli abusi perpetrati dalle strutture mediche militari comprendono “il divieto per i detenuti ad essere visitati da medici indipendenti e il divieto al monitoraggio di coloro che sono in sciopero della fame, oltre al divieto di trasferire i prigionieri in ospedali civili”. Alla questione dei detenuti palestinesi, Physicians for Human Rights aggiunge il caso di Ben Zygier, cittadino australiano e israeliano, ex agente del Mossad, morto suicida in carcere. La sua morte ha sollevato polemiche e dubbi: tenuto prigioniero in segreto, si sarebbe impiccato nella sua cella, ma gli eventi che hanno portato al decesso non appaiono affatto chiari. “Il Phr-Israele chiede la creazione di una commissione che esamini la possibilità di trasferire il controllo e la responsabilità dei servici medici dentro le prigioni dall’Israeli Prison Service al Ministero della Salute - spiega l’associazione - Un simile trasferimento renderebbe il livello dei servizi sanitari e la loro qualità uguali per tutti, lo stesso tipo di servizi forniti alla popolazione civile”. Tra le numerose restrizioni imposte ai prigionieri palestinesi - divieto di ricevere un’educazione, di accedere a radio, tv e libri e di essere visitati dalle famiglie, pratica dell’isolamento come forma punitiva, frequenti perquisizioni personali e delle celle, obbligo ad acquistare cibo e vestiti all’interno del carcere - si aggiunge la sistematica negazione all’accesso a cure mediche di base, una mancanza grave soprattutto per quei detenuti che soffrono di malattie croniche. Il numero di prigionieri palestinesi malati ha raggiunto le 1.400 unità: tra loro anche detenuti entrati in carcere sani e ora affetti da malnutrizione o sofferenti per gli abusi fisici e psicologici perpetrati dell’amministrazione carceraria. Diciotto detenuti sono permanentemente detenuti nell’ospedale militare di Ramle, dove però non ricevono i necessari trattamenti medici.