Giustizia: l’Italia “sorvegliata speciale” dalla Cedu, ma impugna la sentenza sulle carceri Ansa, 11 aprile 2013 Nel 2012 l’Italia ha aggiunto un nuovo record alla lista di primati negativi collezionati nel tempo a Strasburgo sul fronte della giustizia. Dopo essersi aggiudicata per anni la maglia nera come Paese, tra i 47 del Consiglio d’Europa, con il più alto numero di sentenze della Corte per i diritti dell’uomo non eseguite (arrivato ora a quota 2.569), è diventata anche lo Stato che spende di più per indennizzare i propri cittadini per le violazioni subite: ben 120 milioni di euro. Una cifra pari a circa cinque volte il contributo annuo versato al Consiglio d’Europa e più del doppio di quanto nel 2012 hanno pagato complessivamente, come indennizzi, tutti gli altri Stati membri dell’organizzazione. Una situazione, stigmatizzata recentemente anche dal ministro Cancellieri, che rispecchia le condizioni in cui versa il sistema giudiziario nazionale e che è stata fotografata dal rapporto annuale del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani pubblicato oggi. E sempre oggi è arrivata anche la notizia del ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza con cui a Strasburgo è stata condannata lo scorso gennaio per le condizioni in cui vivono i detenuti nelle carceri italiane. Un’azione che, secondo molti osservatori, è destinata nella migliore delle ipotesi solo a guadagnare tempo in vista delle decisioni in arrivo sulle cause intentate da centinaia di detenuti e la necessità di intervenire sulle strutture carcerarie per superare l’emergenza. Intanto però a Strasburgo l’Italia è finita anche nella top ten dei “sorvegliati speciali” dal Comitato dei ministri, status che il nostro Paese condivide al momento con altri 28 Paesi. Una condizione che sottopone il nostro Paese a uno stretto monitoraggio e alla necessità di fornire costantemente prove inconfutabili sulle misure che sta adottando per sanare criticità abnormi come la lentezza dei processi e la gestione dei rifiuti in Campania. Un problema, quest’ultimo, approdato al Comitato dei ministri dopo che un anno fa la Corte ha condannato il nostro Paese per la “prolungata incapacità delle autorità di assicurare la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti nella regione”. Restano poi sempre aperte questioni come quella delle confische e degli espropri fatti dai comuni, sin dagli anni 70, ai danni di singoli cittadini e società. A causa di violazioni sistematiche del diritto alla proprietà, l’Italia è stata condannata a pagare, in un solo anno, indennizzi per ben 97 milioni, di cui 49 per la distruzione dell’ecomostro di Punta Perotti e 48 per l’esproprio di un terreno della società Immobiliare Podere Trieste. Mentre sono ancora pendenti davanti alla Corte altri 300 ricorsi sulla stessa materia e molti ancora sono in arrivo. Ma a pesare sulla “bolletta-indennizzi” del 2012 è stata anche la vicenda delle frequenze TV non concesse a Centro Europa 7, costata ai contribuenti 10 milioni di euro. Giustizia; Maisto; impugnazione Strasburgo rimanda solo la soluzione… come per gli Opg Ansa, 11 aprile 2013 “La decisione del Governo italiano, che ha impugnato la sentenza Torreggiani di Strasburgo sulle carceri, mi sembra frutto di un escamotage ed espressione di una visione di realpolitik finalizzata solo a rimandare il problema carcerario senza affrontarlo”. È quanto afferma Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, durante la rubrica Radiocarcere che andrà in onda questa sera su Radio Radicale. “Una logica del rimando - aggiunge Maisto - già applicata per gli Opg, un’impostazione che non condivido”. “Infatti - prosegue il giudice - rimandando i problemi, come ha fatto il Governo italiano con questa impugnazione, questi non si risolvono ma si aggravano. Un aggravamento di cui non ha bisogno la realtà carceraria che versa già in condizioni di emergenza e che avrebbe bisogno invece di interventi urgenti e sistematici”. Giustizia: Mencacci (Sip); rinvio chiusura Opg utile per trovare una risposta più adeguata Adnkronos, 11 aprile 2013 Il decreto del Governo che in queste ore potrebbe rinviare al 2014 la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari “può consentire una risposta più adeguata al superamento degli Opg, al quale noi aderiamo, ma la situazione non deve essere disgiunta dall’assistenza psichiatrica nelle carceri”. Lo dice Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip). Il Senato sta discutendo oggi della materia, e “come Sip - prosegue Mencacci - auspichiamo che questa situazione permetta di restituire una cura più realistica e meno ideologica ai pazienti. Il processo di superamento degli Opg non può prescindere però da un punto fondamentale per la nostra società: l’assistenza psichiatrica nelle carceri. Da qui al 2014, infine, speriamo che ci sia anche un effettivo potenziamento delle risorse e del personale a disposizione” Giustizia: Tamburino (Dap); no amnistia, sì ad ampliamento della liberazione anticipata Ansa, 11 aprile 2013 Quando il sovraffollamento delle carceri diventa “emergenza umanitaria”, serve “una soluzione emergenziale, ma non credo che la soluzione siano l’amnistia o l’indulto, che tra l’altro non ha effetti deflattivi. E nemmeno la sospensione dell’esecuzione delle condanne, che pure è oggetto di proposte di legge. Meglio, a mio giudizio, abbreviare la pena attraverso la scarcerazione anticipata”. Lo ha detto il capo del Dap, Giovanni Tamburino, nel corso di una conferenza sul tema delle carceri, spiegando che questa misura “verrebbe applicata caso per caso dal giudice”. Più in generale, per affrontare il problema carceri “è necessaria la leva normativa - ha aggiunto Tamburino - potenziano le pene alternativa, diminuendo il ricorso alla custodia cautelare e i tempi del processo”. Giustizia: Sappe; no alla “vigilanza dinamica” ed ai “patti di responsabilità” dei detenuti Il Velino, 11 aprile 2013 Bocciatura “senza appello” del progetto dell’Amministrazione penitenziaria che introduce la vigilanza dinamica nelle carceri ed i patti di responsabilità con i detenuti, avvicendamento di Giovanni Tamburino e Luigi Pagano dalla guida del Dap, un sit-in davanti al Ministero della Giustizia e realizzazione di uno “speaker’ s corner” davanti al Dipartimento a Roma ove consentire a chiunque la voglia di “strillare” il proprio disagio contro l’Amministrazione che “non ascolta” le proprie richieste. Sono i punti salienti della delibera conclusiva del XXIV Consiglio Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che si è tenuto ad Abano Terme dal 9 all’11 aprile ed al quale hanno partecipato i componenti la Segreteria Generale ed i Segretari nazionale e regionali. “Oggi le persone detenute in Italia sono circa 66mila, sostanzialmente lo stesso numero di un anno fa a dimostrazione del fallimento delle politiche governative adottate per superare (a parole) l’emergenza penitenziaria”, dice Donato Capece, segretario generale Sappe. “24.824 detenuti sono imputati, poco meno di 40mila definitivi e 1.207 gli internati. Gli stranieri sono 23.436, il 36% dei presenti, e provengono per buona parte da Marocco, Romania, Tunisia, Albania, Nigeria ed Algeria. Eppure, in tutto il 2012 ne sono stati espulsi a titolo di misura alternativa alla detenzione meno di mille. Mancano 7mila agenti di Polizia penitenziaria. Uno scenario sconfortante. Il XXIV Consiglio nazionale del Sappe, rafforzato dalle esperienze e dalle realtà dei colleghi arrivati ad Abano da tutta Italia, ha bocciato il progetto dei circuiti penitenziari recentemente prodotto dall’Amministrazione penitenziaria perché è evidente che al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e la maggiore apertura per i detenuti deve associarsi alla necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza”. Nel suo documento conclusivo, il Consiglio Nazionale del Sappe chiede al Ministro della Giustizia di annullare il progetto dei circuiti penitenziari così come voluto dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Tamburino e dal suo Vice Pagano, avvicendandoli dai rispettivi incarichi e condivide la proposta della Segreteria Generale di organizzare nel prossimo mese di maggio un sit-in di protesta davanti al Ministero della Giustizia di Roma ed uno “speaker’ s corner” davanti al Dap ove consentire a chiunque la voglia di “strillare” il proprio disagio contro l’Amministrazione che “non ascolta” le proprie richieste. Giustizia: Uil-Pa; sì progetto “circuiti regionali” ma con garanzie di sostenibilità operativa Adnkronos, 11 aprile 2013 Impegno a sostenere il progetto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sui cosiddetti “circuiti regionali”, a patto che questo si realizzi con garanzie di sostenibilità operativa, richiamo al rispetto delle relazioni sindacali, e un riconoscimento a quanto fatto dal ministro della Giustizia, Paola Severino. Sono i punti principali della relazione del segretario generale della Uil-Pa penitenziari, approvata dalla Direzione nazionale che si è conclusa oggi a Lamezia Terme. La Direzione nazionale, si legge nella relazione “ritiene imprescindibile adoperarsi in modo competente e responsabile, ancor più in questo momento di estrema difficoltà, affinché l’Amministrazione Penitenziaria possa rendere concreto il progetto dei circuiti regionali in un quadro di sostenibilità operativa coniugato a un percorso di effettiva deresponsabilizzazione del personale operante nelle frontiere penitenziarie e attraverso la garanzia di adozione di tecnologie che supportino le nuove modalità di sorveglianza dinamica. Tuttavia, osserva la Uil-Pa, “non si può non rilevare in chiave critica come in periferia alcuni Provveditori regionali abbiano proceduto, o stiano procedendo, all’adozione di determinazioni, rispetto ai circuiti regionali, senza alcun confronto con le rappresentanze sindacali, in difformità a quanto assicurato dal capo del Dap”. Più in generale, “l’inaridimento delle relazioni sindacali rischia di rappresentare e di segnare un punto di forte criticità nei rapporti tra questa O.S. e l’Amministrazione penitenziaria”. La relazione denuncia poi come “in talune realtà territoriali, Sicilia in primis, oltre alle difficoltà relazionali si rilevino atti ed azioni intimidatorie e persecutorie nei confronti di dirigenti sindacali. Pertanto la Direzione nazionale fa appello al capo del Dap e al suo vice con delega alle relazioni sindacali di adoperarsi concretamente affinché si ripristinino corrette relazioni sindacali e che le tutele dei dirigenti sindacali siano adeguatamente garantite”. La Direzione nazionale della Uil-Pa Penitenziari “giudica, altresì, fondamentale che il Dap calendarizzi, quanto prima, una serie di incontri che affrontino, tra l’altro, il rinnovo dell’accordo quadro nazionale, la copertura totale dei posti vacanti di dirigenza negli istituti e servizi penitenziari, l’assegnazione dei neo agenti e neo funzionari. Sollecita inoltre il Dap a un’approfondita discussione sulla necessità di prevedere e organizzare, sull’intero territorio, momenti di formazione e aggiornamento per tutto il personale operante nell’ambito penitenziario”. La Direzione nazionale esprime poi “apprezzamento” per il richiamo alla necessità di affrontare l’emergenza carceri arrivato dai neo presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini e “ringrazia il ministro Severino per il proprio operato e per aver voluto, più volte, manifestare attestazioni di stima e vicinanza alla Polizia Penitenziaria e a tutti gli operatori penitenziari”. Al ministro, e insieme a governo e Parlamento “si chiedono interventi urgenti atti a consentire un piano straordinario di manutenzione straordinaria dei fabbricati per garantire condizioni civili e sostenibili della detenzione ed assicurare salubrità e sicurezza dei luoghi di lavorò e ‘interventi concreti per un urgente adeguamento del parco macchine in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria destinato al servizio delle traduzioni e dei piantonamenti”. Giustizia: Corleone, Garante dei detenuti “Ministro Severino al Quirinale? Un’assurdità” www.gonews.it, 11 aprile 2013 “Non dimentichiamo che è la fautrice del ricorso contro la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni carcerarie”. “Che si parli dell’avvocato Severino come Presidente della Repubblica mi pare che non stia né in cielo né in terra”. Lo ha detto a Radio Radicale il coordinatore dei garanti dei detenuti, Franco Corleone, che è anche garante per il comune di Firenze. Corleone stava parlando del “ricorso contro la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni carcerarie in Italia”. Con quell’atto, secondo Corleone, “la ministra Severino ha messo sotto i piedi le indicazioni suggerite dal Presidente Napolitano, dai garanti dei detenuti, dalle associazioni e anche le proposte del Csm e della commissione guidata dal professor Giostra”. Corleone ricorda anche quello che il ministro “sostenne al Senato nella replica sulla legge anticorruzione, quando fece l’elogio non solo del codice Rocco, ma del giurista Alfredo Rocco” che “era un leader politico del movimento nazionalista e poi del fascismo”. Riguardo al ricorso, “la motivazione data dal governo e dall’amministrazione penitenziaria - aggiunge Corleone - è che il ricorso fa guadagnare tempo, con l’ambizione probabilmente di portare avanti qualche progetto edilizio per dire che il sovraffollamento non è poi così intollerabile. Oggi alla fine della vita di questo governo c’é questo atto che dimostra l’impotenza politica ma anche il disprezzo del diritto”. Giustizia: Scilipoti (Pdl); sovraffollamento, serve meno custodia cautelare e più alternative Agenparl, 11 aprile 2013 “La situazione del sovraffollamento carcerario va definitivamente risolta, per dare una risposta a questa vera e propria emergenza basterebbe attenersi a quanto disposto dall’art. 27 della Costituzione Italiana, la quale prevede che tutti coloro i quali sono in attesa di giudizio in linea di principio siano da considerare innocenti, pertanto almeno per i reati minori, occorrerebbe prevedere misure alternative alla detenzione”. Lo afferma il Sen. Domenico Scilipoti del Pdl oggi in visita al carcere romano di Regina Coeli. “Desidero rivolgere il mio più vivo apprezzamento al direttore dell’istituto e a tutto il personale della Polizia Penitenziaria - continua - per l’ottimo lavoro svolto per garantire la sicurezza e il regolare funzionamento della struttura carceraria nonostante l’evidente esiguità dell’organico e le evidenti carenze strutturali. “Basti pensare - conclude Scilipoti - che oggi al termine della mia visita della struttura, a causa di un’improvvisa mancanza di energia elettrica e dell’assenza di un generatore di emergenza il sottoscritto è stato per oltre mezz’ora impossibilitato ad uscire dal carcere, tutto ciò è davvero inaccettabile”. Lettere: concorso pubblico per 50 posti di educatore penitenziario, un’attesa lunga 10 anni di C.M. www.ontuscia.it, 11 aprile 2013 “Intendo segnalare una grave situazione che si sta verificando in questo momento storico in cui le nostre carceri si trovano in pieno stato emergenziale. Sono un’idonea ad un concorso pubblico per 50 posti di educatore penitenziario indetto dal Ministero della Giustizia nel lontano 2003. Tale concorso dura da quasi un decennio. Non solo ad oggi non si è concluso, ma contrariamente all’attenzione prestata in questo periodo alle problematiche penitenziarie, esso rischia di non concludersi poiché nel marzo del 2012 è stata autorizzata l’assunzione solo di 32 unità e in seguito agli ennesimi tagli i restanti 18 probabilmente non saranno più assunti. Stupisce la durata eccessiva e singolare di un concorso pubblico (simile più ad un calvario) che piuttosto che concludersi con il passare degli anni giunge fino a mettere in forse l’assunzione degli ultimi vincitori. L’unicità di tale vicenda, oltre alla sorprendente durata, sta nel fatto che nel 2003 sia stata rilevata una carenza di almeno 50 unità di educatori C2 e allo stato attuale nonostante una crescita vertiginosa della popolazione detenuta, i vari provvedimenti legislativi portano ad un esubero di questa importante figura. Si continua, però, a parlare di rieducazione e di bisogno di ridurre la recidiva. Per brevità espositiva preciso solo che l’educatore penitenziario è estremamente importante sia per il singolo detenuto poiché attende al trattamento rieducativo (art. 82 L.354/75), sia per ottenere una valutazione corretta da parte della magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari, essendo colui che osserva il comportamento del detenuto e provvede alla “relazione di sintesi”, documento necessario affinché il magistrato emetta la decisione finale sulla misura alternativa. Pochi educatori vorrà dire poche relazioni da inviare al magistrato e quindi stasi della concessione di misure alternative. Il nuovo piano di edilizia penitenziaria, costato vari milioni di euro, darà vita a nuove sezioni carcerarie e ad esso si accompagnerà una diminuzione degli operatori che si occupano della rieducazione del detenuto. A ciò si aggiunge il fatto che l’amministrazione penitenziaria ha finanziato per 9 anni un concorso pubblico e ora rischia di non coprire tutti i 50 posti originariamente banditi e di dar vita all’ennesimo spreco di denaro pubblico. Non sono noti i motivi che abbiano portato a dei tempi così lunghi. I dipendenti del Dap hanno sempre invitato a pazientare, ad attendere per anni i risultati degli scritti, poi ancora l’esito degli orali, poi la pubblicazione della graduatoria (avvenuta nel 2010) ed ora non si sa più cosa rimane da attendere; probabilmente la scadenza della graduatoria (dicembre 2013). Negli ultimi mesi la novità è un’altra: si aspetta pazientemente la formazione del nuovo governo affinché ufficializzi con atto formale l’esclusione del Dap dai tagli della spending review. Dopodiché se si trovano le risorse economiche eventualmente possono procedere alle nuove assunzioni. Tutto ciò è normale! Io ho 39 anni, ho iniziato il concorso quando ero una ragazzina e sto invecchiando senza vedere ancora nulla inoltre non posso neanche crearmi una famiglia perché sono impegnata solo saltuariamente con lavori precari. Ritengo che aver atteso pazientemente abbia solo peggiorato la situazione è ingiusto sottoporre dei candidati a delle procedure così estenuanti che non portano a nulla e credo vi siano delle responsabilità da parte di chi avrebbe dovuto garantire un procedimento dai tempi congrui e dall’esito positivo, in ottemperanza al principio di buona amministrazione previsto dall’art 97 della Costituzione. Alla luce di quanto esposto sono poco credibili i discorsi politici con cui si invocano astrattamente lavoro e occupazione senza intervenire concretamente in situazioni come questa. Occorre prendere atto che di recente sono stati sbloccati altri concorsi (es. quello in magistratura del più recente 2009 per il quale il Ministro della Giustizia si è utilmente prodigata per il reperimento dei fondi) o concesse deroghe ai tagli ad altri dipartimenti (Dog). Ciò dimostra che con impegno si possano trovare adeguate soluzioni. Oltre ad essermi fatta promotrice di una serie d’interrogazioni parlamentari a riguardo (a oggi ben 8, nessuna delle quali ha ricevuto mai una risposta) e aver scritto al Ministro della Giustizia (senza ottenere mai alcun riscontro), ho ritenuto opportuno fare un appello al Presidente della Repubblica. Personalmente mi chiedo come mai accadano simili situazioni in un contesto di emergenza carceri pubblicamente riconosciuto e soprattutto perché si continua a non intervenire”. Calabria: Vicepresidente Regione Nicolò; massimo impegno per reinserimento ex detenuti Ansa, 11 aprile 2013 “Emergenza carceraria: non poteva esserci espressione più realistica ed efficace a descrivere sinteticamente il grave disagio umano che vive la popolazione carceraria italiana”. È quanto ha affermato il vicepresidente del Consiglio regionale intervenendo questa mattina al convegno promosso dalla Provincia di Reggio Calabria e dal Consorzio di cooperative sociali ed associazioni Kalon Brion. “Il tema dell’incontro che ci vede qui riuniti - ha aggiunto - fotografa ed approfondisce, ma soprattutto invita a discutere su una condizione di vita impietosa che, dopo la recente condanna subita dall’Italia da parte della Corte europea di Strasburgo, necessita di risposte sociali ed organizzative concrete nel rispetto della dignità della persona. La questione dell’affollamento delle carceri, che vede la Calabria tra le Regioni con il più alto tasso, è di attualità sempre più drammatica, segnata da lentezze processuali e da strutture fatiscenti, ed è espressione del grado di civiltà di uno Stato nel momento in cui non si limita solo a consumare vendette, allorquando è costretto ad infliggere pene, ma diventa effettivo garante della convivenza sociale. Il rispetto della dignità e dei diritti fondamenti delle persone recluse in una società evoluta e civile come la nostra è parte integrante di quel processo fondamentale di democrazia compiuta”. “A fronte di un numero di detenuti in aumento - ha proseguito il vicepresidente Nicolò - si pone quale priorità assoluta quella di individuare e attivare percorsi lavorativi e di integrazione sociale mirati. È fondamentale che l’individuo dimesso dal carcere trovi nella nuova società che lo accoglie, strumenti e servizi orientati ad un suo reinserimento integrato ed effettivo, nello spirito di un welfare sostanziale ed orientato alla fruizione di diritti fondamentali della persona. Certamente, l’apertura ormai prossima di due nuovi Istituti penitenziari, la casa di reclusione di Arghillà a Reggio Calabria e del Luigi Daga di Laureana di Borrello sono segnali positivi, ma la questione resta in piedi con tutti i suoi aspetti economici, sociali e culturali. Urge una politica di programmazione e pianificazione strutturale volta ad affrontare la questione fondamentale della recidiva e ad organizzare un efficiente sistema di recupero del reo alla società. Un percorso che diventa condizione fondamentale per evitare il ripetersi di certi comportamenti delittuosi che, in poco tempo, annullerebbe ogni forma di intervento di deflazione delle carceri”. “Ebbene, in questa direzione - ha concluso - si muove il Governo regionale che tra gli obiettivi programmatici e strategici, peraltro già previsti dal Presidente Scopelliti, ha di dare attuazione al protocollo d’intesa sottoscritto nel 2003 tra Ministero della Giustizia e la Regione Calabria per promuovere tra i valori primari il principio di sussidiarietà e il reinserimento del condannato al quale offrire dignità e speranza di vita. Un problema che richiede la massima attenzione, visto che 8 su dieci tornano a delinquere, e che dimostra soprattutto l’urgenza di forme di detenzione extracarceraria e reali opportunità lavorative e sociali da destinare a chi vuole tornare a respirare aria di legalità. In questa situazione ben vengano esperienze come il Consorzio Sociale Kalon Brion che riunisce diverse ed accreditate realtà del terzo settore calabrese e che diventa parte integrante della politica di ascolto e di confronto da promuovere in sinergia con le Istituzioni perla crescita del territorio”. Raffa (Provincia Reggio): emergenza carceri richiede sinergie “Sull’emergenza carceri non esistono né posizioni d’avanguardia né di retroguardia. Siamo invece di fronte ad un sistema che richiede sinergia inter istituzionale e il coinvolgimento dell’associazionismo, che ha posto al centro del suo impegno sociale il problema del sistema carcerario”. Lo ha detto il presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa, alla presentazione del progetto RE.C.IS., varato dal consorzio Kalon Brion con il patrocinio dell’Amministrazione provinciale, relativo all’emergenza carceri rispetto ai “percorsi per il reinserimento sociale e lavorativo in Calabria”. Il Presidente della Provincia, nel ringraziare la direttrice della Casa circondariale reggina, Carmela Longo, per aver dato la possibilità all’Ente di via Foti di approfondire la condizione carceraria della città dello Stretto, ha sottolineato l’importanza delle visite ai detenuti della struttura che, “al di là delle presenze estemporanee come le passerelle politiche, offrono la possibilità, attraverso la visione diretta, di toccare con mano la vera condizione che non è sempre quella che viene descritta. Abbiamo avuto la possibilità di constatare la drammaticità di questi luoghi. Ho visto - ha spiegato ancora Raffa - all’interno della sezione femminile delle realtà sconcertanti soprattutto rispetto al fattore umano, che mi hanno portato a chiedere scusa alle recluse. Non mi stanco di sostenere che, al di là delle responsabilità e delle pene da espiare, un siffatto stato, in cui il sovraffollamento è l’elemento più disumano, non fa parte della civiltà giuridica di un paese civile”. Longo (Prc): riaprire carcere Laureana di Borrello “Quanto era stato insinuato all’indomani del grave provvedimento di chiusura del carcere a custodia attenuata di Laureana (Rc) e cioè che quella decisione fosse stata frutto di un disegno politico, dettato da motivi oscuri e non certamente da carenze di organico, trova conferma nell’atteggiamento del Provveditorato regionale che continua a non voler procedere alla sua riapertura nonostante le disposizioni ufficiali del Dipartimento della Giustizia”. Lo afferma Giuseppe Longo (Prc), consigliere provinciale di Reggio Calabria. “Il limite della decenza - dice Longo - è stato superato e non è consentito a nessuno offendere le intelligenze del territorio pianigiano che continua a subire dalla politica regionale solamente continui soprusi. Fallito, almeno così ci hanno assicurato fonti ministeriali, il tentativo di consegnare la struttura all’Asp per il ricovero di malati mentali gravi, non vorremmo che i colpevoli della sua chiusura stiano studiando un piano alternativo per boicottarne la riapertura”. “Il prossimo 30 aprile certamente il L. Daga non riprenderà le attività - spiega Longo - in quanto ad oggi non è si provveduto ad assegnare il personale di polizia penitenziaria nonostante i sindacati confermino la disponibilità organica di 30 unità per Laureana, il Provveditorato qualche giorno fa nella programmazione degli straordinari per il 2013 non ha previsto alcunché solo per il Daga e la struttura necessita ancora degli interventi di manutenzione ordinaria e ripristino che sono indispensabili alla riapertura”. Napoli: da Poggioreale agli Opg; gli orrori della detenzione che poi alimentano la recidiva di Eugenio Zaniboni La Repubblica, 11 aprile 2013 Spesso si dimentica che migliorare le condizioni dei detenuti, per esempio facendoli lavorare o aumentando le misure alternative, diminuisce di 4 o 5 volte la percentuale di recidiva, cosicché a investire tempo e risorse in questa direzione ci guadagnerebbero tutti. Tuttavia, come ha documentato “l’Espresso” in due inchieste delle scorse settimane, la “vergogna nazionale “ della condizione dei detenuti è stata, durante la campagna elettorale, “ignorata”. E invero, nel Parlamento neoeletto, già in piena attività, non risultano né presentati, né tanto meno calendarizzati, specifici disegni di legge in argomento. Il numero degli ingressi in carcere sta lentamente diminuendo, ma la gravità della situazione comincia a diventare un caso internazionale. L’Italia è di nuovo finita sotto il severo scrutinio della Corte europea per i diritti umani per un caso che riguarda la Puglia, la regione italiana con il maggiore sovraffollamento (182 detenuti per 100 posti disponibili): a Foggia è stato accordato un risarcimento a un detenuto semi-paralizzato costretto in una cella di pochi metri. Ma non si è ancora spento l’eco del caso “Torregiani”, in cui la stessa Corte ha constatato che il sovraffollamento delle carceri è divenuta ormai “una condizione strutturale”, cioè una violazione di carattere sistematico e non episodico. Per adeguare le strutture (e prima di prendere provvedimenti ancora più severi viste le migliaia di ricorsi dello stesso tipo che pendono a Strasburgo), all’Italia è stato concesso un anno. A Secondigliano permane uno degli ultimi “Ospedali psichiatrici giudiziari”, recentemente definiti dal presidente della Repubblica un “orrore inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. Il termine per la chiusura degli Opg, fissato al 31 marzo 2013, è stato prorogato in attesa della realizzazione di strutture sanitarie sostitutive. Le Regioni sono state opportunamente sollecitate “a prevedere interventi che comunque supportino l’adozione da parte dei magistrati di misure alternative all’internamento, potenziando i servizi di salute mentale sul territorio”. Sono gli obiettivi per cui si batte quotidianamente il direttore dell’Opg di Secondigliano Stefano Martone, che peraltro, tra mille difficoltà, è riuscito a eliminare ormai da tre anni l’uso dei mezzi di contenzione. Nei giorni scorsi alcuni parlamentari hanno ispezionato Poggioreale che, con 2.800 detenuti resta il più grande e affollato carcere d’Europa ed è percorso da non poche tensioni. Il capo delegazione, Sandro Gozi, ha parlato di “una condizione di disagio incredibile per il sovraffollamento” e di una “totale incapacità dell’amministrazione di riuscire a risolvere le criticità”, anche a causa di una grave carenza di personale: circa duecento unità in meno sulle 800 previste. A questo scoraggiante contesto si aggiunge la notizia della singolare mancata concessione ad alcuni volontari, impegnati da anni a portare ai detenuti un messaggio di vicinanza attraverso la musica, del permesso di tenere un concerto proprio a Poggioreale. Non vi è dubbio che difficoltà organizzative legate alla scarsità di personale possano prevalere su quelle ricreative. Tuttavia, dinanzi a queste notizie è lecito chiedersi quale spazio venga concesso al reinserimento sociale dei detenuti che, secondo la lungimirante legge sull’ordinamento penitenziario, deve essere perseguito “anche sollecitando e organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni all’azione rieducativa”. Così, nelle pieghe di una rigidità che, lungi dal “sollecitare” la solidarietà e il cambiamento, la soffoca, rischia di annidarsi quel sottile, ma così spesso decisivo, strato di indifferenza di cui parlava Gramsci e le cui meravigliose pagine sull’argomento ancora oggi vibrano, e fanno vibrare, di potente indignazione. Roma: in Senato interrogazione parlamentare sul carcere di Rebibbia Nuovo Complesso Ristretti Orizzonti, 11 aprile 2013 Senato Atto n. 4-00043. Barani - Al Ministro della giustizia. Premesso che a quanto risulta all’interrogante: mercoledì 13 marzo una delegazione di Radicali, composta da Marco Pannella, Rita Bernardini (deputata Radicale uscente), Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo (consiglieri regionali Radicali uscenti) e Sergio Rovasio (Consiglio generale del Partito Radicale) ha visitato il carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso; nell’occasione della visita la delegazione avrebbe sottoposto al direttore Mauro Mariani un questionario con una serie di domande sull’istituto penitenziario romano; il questionario sarebbe stato poi recapitato con le risposte all’email dell’on. Rita Bernardini in data 21 marzo; dalle risposte fornite dal direttore Mauro Mariani risulterebbe la seguente situazione: nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, a fronte di una capienza regolamentare di 1.218 posti, sarebbero detenute 1.810 persone, tutte di sesso maschile: 149 in regime di Alta Sicurezza, 47 nel regime di cui all’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, tutte le altre in regime di Media Sicurezza (detenuti comuni); quanto alle posizioni giuridiche, i detenuti in attesa di giudizio sarebbero 662 di cui 238 in attesa di primo giudizio, 309 appellanti e 115 ricorrenti; i detenuti stranieri sarebbero 699; non sarebbe stato fornito il dato dei detenuti tossicodipendenti, mentre si evidenzierebbe che i detenuti in terapia metadonica sono 54, quelli sieropositivi 63, quelli affetti da epatite C 350; quanto alle possibilità di lavoro della popolazione ristretta nel carcere di Rebibbia, sarebbero solo 290 i detenuti impiegati in attività retribuite: 210 alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e solo 80 per conto di imprese e cooperative esterne; relativamente agli “eventi critici” verificatisi recentemente nel carcere, si evidenzierebbero 2 suicidi, uno nel 2012 e uno quest’anno; gli atti di autolesionismo sarebbero stati 222 nel 2012 e 53 in questi primi mesi del 2013; da non sottovalutare il fatto che un agente di Polizia penitenziaria si sia suicidato nel 2012 e che 16 agenti siano stati vittime di aggressioni nel carcere nel 2012 e 5 nel 2013; del resto va sottolineato che, se la pianta organica dell’istituto prevede 1.010 agenti, quelli effettivamente in servizio sono solo 615; completa sembrerebbe essere, invece, la pianta organica degli educatori con 24 professionisti effettivamente in servizio; non sarebbe stata fornita risposta sul numero degli psicologi effettivamente in servizio ex art. 80 della legge n. 354 del 1975; venendo alle strutture previste dall’ordinamento penitenziario, risulterebbe funzionante l’area verde per i colloqui con i familiari, la palestra e il campo sportivo; non sarebbe stata fornita l’informazione richiesta su quando i magistrati di sorveglianza abbiano fatto l’ultima visita in istituto e, soprattutto, se visitino frequentemente le celle per verificare le condizioni di detenzione; non sarebbe stata data risposta sull’esistenza o meno del regolamento di istituto previsto dall’art. 36 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230; quello che sarebbe certo è che il regolamento non verrebbe consegnato al detenuto al momento dell’ingresso; considerato che: il comma 1 dell’articolo 75 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che “Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell’istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali”; il dottor Mauro Mariani è già direttore dell’altro grande istituto penitenziario romano, il carcere di Regina Coeli, si chiede di sapere: quali interventi il Ministro in indirizzo intenda mettere in atto per far rientrare il numero dei ristretti nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso nelle dimensioni regolamentari; se intenda assumere iniziative per accrescere le possibilità di lavoro e formative dei ristretti nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso; quali risultino essere le attività trattamentali attualmente in atto nel carcere e, nel complesso, quanti detenuti vi siano impegnati; quanti risultino essere gli psicologi ex art. 80 della legge n. 354 del 1975 o dipendenti dalla Azienda sanitaria locale che prestano servizio all’interno del carcere e se il loro numero risulti sufficiente per seguire le esigenze psicologiche dei detenuti, in primo luogo dei nuovi giunti; se il Ministro in indirizzo intenda adeguare alla pianta organica prevista il numero degli agenti effettivamente in servizio nell’istituto; quanti risultino essere i detenuti tossicodipendenti nel carcere e, a prescindere dalla somministrazione di metadone, quali programmi trattamentali siano previsti nei loro confronti; se risulti quanti mediatori culturali sono previsti per comunicare al meglio con i detenuti stranieri; se risulti da quanto tempo il magistrato di sorveglianza non visita i locali ove si trovano i detenuti; se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro in indirizzo le esigenze dei vari servizi del carcere di Rebibbia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo; quante e quali risultino essere in Italia le carceri sprovviste del regolamento di Istituto previsto dall’art. 36 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e se il Ministro in indirizzo intenda intervenire affinché le case circondariali e di reclusione ne siano dotate immediatamente in modo che i detenuti conoscano le regole interne di comportamento e i diritti che li riguardano; se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno indicare in quali tempi sarà messa a disposizione dei detenuti la “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati” prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, modificato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2012, n. 136, entrata in vigore il 29 agosto 2012 e non ancora reperibile negli istituti penitenziari; se il Governo non intenda assumere iniziative normative volte a garantire forme alternative di esecuzione della pena per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo; se il Ministro in indirizzo abbia intenzione di assumere misure urgenti per dotare l’Istituto di Rebibbia Nuovo Complesso di un direttore nelle sue piene funzioni. Chieti: Osservatorio Carcere Ucpi; sovraffollamento, soprattutto nella sezione femminile Il Centro, 11 aprile 2013 Sovraffollamento delle carceri, ne soffre anche la casa circondariale di Madonna del Freddo. A patire il pienone nelle celle di detenzione è soprattutto la sezione femminile. Il dato emerge dal sopralluogo di una delegazione della Camera penale di Chieti e di esponenti dell’Unione delle Camere penali italiane, Ucpi, l’associazione di avvocati che ha un proprio Osservatorio carcere. “La sezione femminile è molto affollata, con spazi molto angusti”, racconta l’avvocato Manuela Deorsola, giunta dell’Ucpi, “dove si trovano fino a 9 posti letto in cella, quando a malapena ne entrerebbero due. Tuttavia le detenute stesse ci hanno detto che il personale e la direzione del carcere fanno un grande lavoro per cercare di superare i limiti strutturali”. L’Ucpi ha già visitato 30 istituti in Italia. Sovraffollamento e carenze strutturale sono mali comuni degli istituti di pena. Alla visita di ieri a Chieti ha partecipato anche Franco Corleone, l’ex sottosegretario alla Giustizia che da tempo si batte per umanizzare il percorso rieducativo. A proposito del sistema penitenziario italiano dice: “È diventata una discarica sociale. Sul sovraffollamento delle carceri si innestano un quadro legislativo emergenziale, fenomeni come l’immigrazione e le tossicodipendenze, che suggeriscono una revisione totale del sistema della detenzione in Italia”. L’Ucpi parla anche dell’uso smodato della custodia cautelare. I numeri teatini lo confermano. In carcere su 136 detenuti, di cui 98 uomini, il 40 per cento è recluso per custodia cautelare e il 50% circa lo sono per reati di droga . Poi ci sono i limiti strutturali. “Anche qui”, continua Corleone, “troviamo ancora limiti come la sala colloqui con il divisorio o pannelli di copertura, sulla sezione femminile, alle finestre con grate”. Goffredo Tatozzi, presidente della Camera penale di Chieti, sottolinea: “La situazione di Madonna del Freddo è ottimale, considerata l’emergenza che regna nel resto d’Italia”. “Purtroppo quella femminile è nata come una sezione transitoria”, replica Giuseppina Ruggero, direttrice della casa circondariale teatina, “per permettere il restauro della sezione di Pescara, ma poi è rimasta, perché sul Comune costiero sono state fatte scelte diverse”. Ieri la circondariale ha ospitato il convegno “Un giorno in galera, riflessioni sulla vita in carcere”. Tra gli interventi ci sono stati quelli del presidente del Tribunale, Geremia Spiniello, e dal procuratore della repubblica Pietro Mennini, che ha parlato di una delle piaghe più dolorose: i suicidi. “Dagli anni 80 al 2009”, dice, “c’è stato in carcere un numero doppio di suicidi rispetto a quelli avvenuti all’esterno”. Tatozzi parla di 1940 morti in carcere dal 2000 a oggi in Italia, dei quali 686 per suicidio. Il convegno è stato moderato dall’avvocato Emanuela De Amicis, dell’Osservatorio carcere della Camera penale di Chieti, e hanno partecipato, tra gli altri, Alessandro De Federicis, responsabile nazionale Osservatorio carcere, il presidente dell’ordine degli avvocati di Chieti, Pierluigi Tenaglia, il giornalista Francesco Lopiccolo, il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Pescara, Maria Rosaria Parruti, e il commissario capo, comandante del reparto di polizia penitenziaria, Valentino Di Bartolomeo. “Il sovraffollamento”, afferma la direttrice Ruggero, “è un dato oggettivo insuperabile, che noi operatori cerchiamo con determinazione e grosso impegno di superare, riducendo i tempi di permanenza dei detenuti in cella con diverse attività intra carcerarie, un tempo inimmaginabili”. Pistoia: dal cuoco all’informatico, attivati diversi corsi di formazione per i detenuti La Nazione, 11 aprile 2013 Colloqui e tirocini per trovare un lavoro ai carcerati di Santa Caterina in Brana. Intanto, si riduce il sovraffollamento. “Ma la situazione resta difficile e gli agenti di polizia penitenziaria sono ancora pochi” Detenuti che si cimentano con i computer sperando in un impiego nel settore informatico, altri che si danno da fare in cucina tra i fornelli, e altri ancora che seguono corsi per imbianchino. Ci sono stati 130 incontri e si sono svolti 110 colloqui. I primi ingressi nel mondo del lavoro si aspettano ancora. Con fiducia. Sono questi i primi risultati delle attività per l’inserimento dei detenuti previste dall’accordo sottoscritto a metà febbraio dello scorso anno fra la Provincia e la Casa circondariale di Santa Caterina in Brana. Un carcere che ancora vive una situazione di grande difficoltà e conosce da vicino il problema del sovraffollamento, anche se negli ultimi mesi la situazione sembra essere leggermente migliorata. Attualmente i detenuti sono 118, poco meno di 70 dei quali stranieri, mentre fino a poco tempo fa erano circa 160. Oggi sono detenute soltanto persone del circuito di “media sicurezza”: chi deve scontare pene di tipo diverso è stato trasferito in altri istituti, anche grazie al programma voluto del nuovo direttore, Tazio Bianchi. È stata così tolta la terza branda nelle celle di 7 metri quadri, in previsione di fare altrettanto - nel caso in cui la tendenza dovesse continuare fino a portare il numero dei detenuti a circa 90 - per tutte le altre. Il sovraffollamento, però, rimane. Il carcere potrebbe infatti ospitare soltanto 74 persone, e gli agenti di polizia penitenziaria, 48 a fronte di un organico previsto di 80, continuano a svolgere turni molto duri. Nella struttura è inoltre attivo soltanto un educatore, oltre a un altro “in missione”, a mezzo servizio. La Provincia sta comunque continuando a portare avanti il suo progetto per la formazione e l’inserimento professionale grazie ai 200mila euro del Fondo sociale europeo assegnati tramite bando pubblico alla cooperativa “Saperi aperti”, per attività fino al 2015. Sono quattro gli interventi già attivati: due da 110 ore ciascuno, di cui uno per la preparazione piatti in cucina e uno per imbianchino. Altri due percorsi si stanno svolgendo in ambito informatico per l’elaborazione grafica di immagini e video. Altri percorsi di formazione sono in via programmazione e realizzazione, con un calendario su base annuale condiviso con il personale del carcere. I risultati delle attività sono stati presentati mercoledì nella sala colloqui di Santa Caterina in Brana dal direttore, Tazio Bianchi; la presidente della Provincia, Federica Fratoni, il vicesindaco di Pistoia, Daniela Belliti e la dirigente al Servizio politiche attive del lavoro della Provincia, Anna Pesce. Tolmezzo (Ud): la “filiera del legno” diventa opportunità per il reinserimento dei detenuti Messaggero Veneto, 11 aprile 2013 La filiera del legno è protagonista di un progetto di reinserimento sociale dei detenuti curato dalla Casa circondariale di Tolmezzo, dal Comune di Tolmezzo, dal CesFam di Paluzza e dalla Direzione centrale risorse rurali agroalimentari e forestali della Regione. L’iniziativa formativa, che si concluderà il 18 maggio, si articola in molteplici attività didattiche teoriche e pratiche dedicate all’insegnamento delle tecniche forestali, all’utilizzo delle attrezzature impiegate nel settore per abbattimento delle piante, sramatura, tagli e incastri su legname grezzo. Lo stage si sviluppa inoltre in ambito manutentivo ambientale e delle sistemazioni idraulico-forestali. Una squadra composta da 6 persone in stato di semilibertà sarà impegnata nei cantieri nella bassa Valle del But, in Val Degano e nella media Valle del Tagliamento per eseguire opere di ricostruzione e riqualificazione di piccoli manufatti in pietra e legname, sistemazioni idraulico forestali e ripristino di sentieri di servizio e muretti arginali, ripulitura della vegetazione infestante. Al termine del percorso formativo è prevista una settimana di esercitazione dove gli allievi potranno dare prova delle competenze acquisite. Si tratta di un progetto giunto ormai al terzo anno, finalizzato alla collaborazione sinergica tra carcere e territorio circostante; nelle intenzioni della Direzione regionale rappresenta l’avvio di un’attività da intensificare, migliorare e ripetere negli anni a venire. Proficua collaborazione tra gli enti coinvolti, già sensibilizzati al sostegno di strumenti volti alla risocializzazione dei detenuti. Il Cesfam di Paluzza è modello didattico qualificato mentre il servizio di gestione del territorio rurale conserva la grande tradizione e l’esperienza operativa sul campo. Reggio Calabria: presentato il Progetto Recis per l’emergenza carceri www.strettoweb.com, 11 aprile 2013 Il progetto Recis è stato presentato alla sala biblioteca della provincia di Reggio Calabria dal Consorzio regionale di cooperative sociali ed associazioni e dalla Coop Promidea di Catanzaro in quanto soggetto capofila. L’iniziativa si propone di affrontare l’emergenza carceri attuando interventi che contrastino la recidiva attraverso percorsi di inserimento lavorativo e sociale Mario Nasone presidente del Csv, introducendo i lavori ha ricordato come fatto emblematico di cosa sia l’emergenza carceri anche in Calabria l’episodio accaduto alcuni giorni fa al carcere di Catanzaro dove un gruppo di detenuti esponeva in conferenza stampa un lavoro fatto sulla Costituzione e sui diritti e quasi in contemporanea nello stesso carcere un detenuto campano si toglieva la vita. Erano presenti i diversi attori istituzionali e sociali che hanno aderito alla Rete. In particolare il vice presidente del Consiglio Regionale Alessandro Nicolò che si è impegnato a rilanciare il protocollo d’intesa stipulato nel 2003 tra Ministero della Giustizia e Regione, il Presidente della Provincia Giuseppe Raffa che ha garantito il sostegno dell’ente sia nella formazione professionale che favorendo la nascita di cooperative dì inserimento lavorativo a cui affidare commesse, il direttore della casa circondariale di Reggio Calabria Carmela Longo che apprezza il progetto soprattutto per la proiezione all’esterno che conferisce al lavoro avviato nelle carceri, il direttore dell’UEpe Giuseppa Carbone che ha sottolineato l’importanza delle misure alternative alla detenzione che il progetto potrà permettere di estendere ad altri condannanti, l’avv. Domenico Ceravolo del comitato salvare il carcere di Laureana di Borrello che auspica il rilancio del progetto giovani del Luigi daga che tante speranze aveva suscitato, l’avv. Giorgio Dacqua dell’associazione La mia libertà che ha sottolineato l’importanza della prevenzione. All’iniziativa hanno dato il loro contributo e adesione il referente regionale della Caritsa don Nino Pangallo, della conferenza regionale volontariato e giustizia Albero Mammolenti e l’Università della Calabria rappresentata dal prof. Giorgio Marcello. Il progetto Recis è stato illustrato da Piero Caroleo della coop. Promidea che ha presentato l’idea progettuale come frutto dell’attivazione di un percorso di progettazione partecipata attraverso la realizzazione di incontri svolti nel mese di marzo 2013 sui singoli territori che hanno visto emergere caratteristiche ed esigenze specifiche. Tale strumento ha permesso la condivisione già in fase di ideazione di un’attenta lettura ed analisi interna delle singole esperienze così diventate, patrimonio e capitale sociale di tutti, in termini di conoscenza del territorio, analisi del contesto, individuazione delle risorse. L’Obiettivo generale su cui tutti i diversi attori hanno avvertito l’esigenza è quello di costruire un sistema territoriale di accompagnamento e supporto al reinserimento sociale e lavorativo di soggetti provenienti da percorsi penali e dei loro familiari favorendo la risocializzazione dei beneficiari per riappropriarsi di un ruolo positivo nella società e in famiglia e l’attitudine all’apprendimento. L’intervento verrà effettuato in favore di soggetti individuati con il supporto degli Uffici di Esecuzione Penale esterna di Catanzaro, Cosenza e Reggio tra dimettenti e detenuti in regime di misura alternativa e i loro familiari. L’ idea progettuale RE.C.IS. Rete Calabrese Inclusione Sociale prevede tra le sue attività:- la creazione di una Rete regionale territoriale di condivisione delle politiche e strategie di integrazione quale sistema di relazioni tra i partner e gli enti pubblici, parti sociali e gli enti privati che svolgono attività nei confronti di detenuti ed ex detenuti; - azioni di sensibilizzazione volte alla valorizzazione del ruolo genitoriale; - la realizzazione di 3 campi di socializzazione “Padri & Figli” come strumento innovativo in grado di proporsi come esperienza facilitatrice di dinamiche relazionali virtuose e, favorendo la partecipazione al campo anche dei volontari del terzo settore e delle loro famiglie, sarà occasione di forte integrazione e coesione sociale; - orientamento individualizzato e laboratori sperimentali professionalizzanti; - inserimento lavorativo presso aziende attraverso l’attivazione di borse lavoro della durata di 6 mesi; - costituzione di una cooperativa sociale rivolto ai beneficiari che intendono creare una attività in proprio. Ha concluso i lavori Daniela De Blasio consigliera di opportunità della Provincia che svolgerà per l’Ente un ruolo di riferimento e di monitoraggio per quanto riguarda la realizzazione degli impegni assunti. Cagliari: Sdr; bombola ossigeno in cella Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 11 aprile 2013 “La necessità di salvare la vita a un detenuto con una grave insufficienza respiratoria ha determinato l’introduzione di una bombola di ossigeno in una cella del Centro Diagnostico Terapeutico della Casa Circondariale di Cagliari. La circostanza, tuttavia, è altamente pericolosa per l’incolumità degli altri detenuti e per la sicurezza della struttura. Inaccettabile per un cittadino affetto da una patologia inguaribile subire tale infermità in una cella”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, richiamando ancora una volta l’attenzione “su un cittadino privato della libertà le cui condizioni di salute sono incompatibili con lo stato di detenzione”. “L’uomo A. G., 56 anni, di Codrongianos (Sassari), è stato trasferito a Cagliari - sottolinea Caligaris - da Badu ‘e Carros, dove stava scontando la pena dell’ergastolo, per poter essere ricoverato in un Cdt secondo quanto disposto dal Tribunale del Riesame di Sassari. La struttura cagliaritana però non è attrezzata per garantire in sicurezza l’ossigenoterapia di cui ha necessità costante per la grave insufficienza respiratoria da cui è affetto da tempo. L’acuirsi del disturbo progressivo e irreversibile ha imposto una soluzione tampone, ma il Dap dovrebbe capire che, in attesa di un’alternativa, sarebbe opportuno mandarlo a casa come ha suggerito del resto anche il perito del Tribunale”. “Il caso di A.G. - osserva la presidente di Sdr - sembra voler riaffermare una concezione vendicativa della pena. Non si comprende infatti come una persona purtroppo destinata a convivere con una malattia inguaribile e in costante aggravamento possa restare in una cella, da sola, senza neppure un piantone. Non solo la situazione è così delicata per gli altri ricoverati che un piccolo errore, come accendere una sigaretta o un fiammifero nell’area circostante, possa provocare un disastro. Il trasferimento in una struttura penitenziaria della Penisola non sembra d’altra parte la soluzione migliore in quanto presupporrebbe un ulteriore isolamento dai familiari. Occorre però intervenire tempestivamente perché la situazione - conclude Caligaris - risulta poco gestibile”. A.G., in carcere dal 2009, ha visto progredire costantemente la patologia originata nel 1992 da un’intossicazione da vapori di zinco che ne aveva determinato un ricovero urgente per una crisi respiratoria acuta nell’ospedale di Sassari. A diagnosticare l’emosiderosi polmonare era stato nel 2005 il pneumologo Carlo Grassi della Clinica Pneumologica dell’Università di Pavia che aveva individuato la malattia indicando le diverse tappe di ineludibile aggravamento. Busto Arsizio: inutilizzato il reparto per detenuti disabili, possibile cambio di destinazione www.varesenews.it, 11 aprile 2013 Il presidente del Consiglio Comunale a “Frequenza Politica” presenta la sua ricetta per aumentare la capienza del carcere cittadino: “Basta una firma del direttore dell’Azienda Ospedaliera per trasformare l’area disabili mai aperta”. Il presidente del consiglio comunale Diego Cornacchia è intervenuto a “Frequenza Politica” la trasmissione in streaming di Busto Live, per dire la sua sui problemi di sovraffollamento del carcere di Busto Arsizio: “C’è un piano intero capientissimo, libero perché destinato alle persone in difficoltà motoria. Ci vuole il cambio di destinazione, un semplice atto burocratico amministrativo che deve essere propiziato da qualcuno: forse faremo una mozione in Consiglio comunale”. Da chi dipende la decisione? “Dipende semplicemente dal dott. Gozzini, il direttore dell’Asl”. Così risponde la prima carica istituzionale del consiglio alle sollecitazioni dei conduttori Massimo Brugnone e Davide Bottini. Alla trasmissione è intervenuto anche il consigliere del Pd Valerio Mariani, tra i promotori della figura del Garante dei detenuti: “Una proposta che vuole dare il primo segnale. Stiamo parlando di un problema che investe la Regione, il Governo e il Ministero competente, però le risposte non possono che essere strutturali, non solo con le Commissioni. La città deve dare un segnale di sensibilità e di controllo e monitoraggio rispetto la situazione del carcere”. Lo stesso Mariani, inoltre, si è espresso favorevolmente ad un posto nella consulta antimafia per l’ex-senatore ed ex-sindaco di Bollate Carlo Stelluti: “Non ho problemi. L’esperienza maturata sulla sua pelle non può che essere di aiuto a questa commissione. Se ci sarà questo nome sicuramente non sarà il Pd e non sarà il centrosinistra a dire no a Stelluti, anzi saluteremo e forse probabilmente la commissione risponderà con qualità e con presenza sul territorio rispetto a una soluzione del Sindaco che sa tanto di immagine ma di difficile contenuti di realizzazione” Viterbo: emergenza assistenziale al carcere di Mammagialla, in arrivo 16 infermieri Ansa, 11 aprile 2013 Emergenza assistenziale al carcere di Mammagialla a Viterbo: la Ausl ha firmato oggi un provvedimento per l’assunzione a tempo determinato di 16 infermieri. La selezione avverrà tramite avviso pubblico e l’inserimento sarà graduale, per garantire il necessario periodo di affiancamento. La decisione è stata presa dal commissario straordinario Antonio De Santis, dopo una riunione con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, che hanno espresso parere favorevole all’unanimità. Il bando di selezione arriva in deroga al blocco delle assunzioni, grazie a una legge dello Stato che finanzia le attività di medicina penitenziaria a favore delle aziende sanitarie locali del Lazio. Questo provvedimento è una risposta alle istanze del direttore dell’unità operativa di Medicina penitenziaria territoriale e dal direttore della casa circondariale, per porre rimedio alla grave carenza di personale infermieristico. “Siamo finalmente in grado di poter intervenire - dice De Santis - su una situazione di emergenza che al carcere di Viterbo stava diventando preoccupante”. Torino: Osapp; topi e gatti ed igiene scarsa nei locali che ospitano la mensa di servizio Adnkronos, 11 aprile 2013 “Igiene scarsa nei locali che ospitano la mensa di servizio della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Torino dove oltre ai topi adesso si subisce anche la presenza di una miriade di gatti”. A riferirlo è il vice segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), Gerardo Romano. “È impensabile - continua il sindacalista dell’Osapp - che nel 2013 si debba ancora fare i conti con invasioni di topi e di gatti che girano indisturbati in locali dove si consumano i pasti e questo con possibili gravi ripercussioni sulla salute dei fruitori della mensa”. Secondo Romano “è assolutamente necessaria una bonifica urgente ed improcrastinabile di tutti i locali della mensa torinese, estendendola preferibilmente anche a tutti i locali attigui, perchè questa volta in gioco c’è la salute dei poliziotti penitenziari e delle loro famiglie. Si ritiene necessaria e urgente una verifica ispettiva da parte della competente Asl”. Sassari: Manconi e Ovadia hanno parlato di privazione della libertà e violenza dello Stato di Fabio Canessa La Nuova Sardegna, 11 aprile 2013 Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva. Nomi che raccontano storie, brutte storie che riguardano la morte di persone private della libertà e proseguono con processi per l’accertamento dei responsabili che spesso sembrano puntare sulla stigmatizzazione della vittima. Vicende diverse, che rappresentano i casi più noti, ma non unici, spesso da chiarire. Con un denominatore. Di mezzo lo Stato, le istituzioni che dovrebbero garantire il massimo della tutela ancor di più in situazioni di temporanea o prolungata privazione della libertà. Di questi argomenti si è parlato ieri al Teatro Verdi di Sassari durante un incontro che ha visto protagonisti Luigi Manconi e Moni Ovadia, prima che l’artista milanese di origini ebraiche salisse sul palco per il suo spettacolo “Il registro dei peccati. Rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e storielle”. Con l’associazione “A buon diritto”, di cui è presidente, Manconi si occupa da tempo di diffondere nell’opinione pubblica questioni relative all’esercizio di diritti magari riconosciuti dall’ordinamento, ma non adeguatamente tutelati. L’obiettivo è porre l’attenzione vicende sconosciute o presto dimenticate al fine di perseguire effetti sul piano degli orientamenti collettivi e su quello dell’attività normativa. La situazione carceraria e le “morti di Stato” sono state al centro dell’incontro intitolato in modo significativo “Dialogo sulla libertà e la privazione”. Ad aprire il dibattito è Moni Ovadia, come artista e come intellettuale da sempre impegnato in battaglie civili. Con la sua voce intensa il cantante e attore legge un testo, scritto da uno studente del liceo Azuni, che riguarda Sassari e il carcere di San Sebastiano. Le parole riportano a una pagina orribile di cronaca consumata all’interno delle mura della casa di reclusione al centro della città. A tredici anni fa, all’inizio della primavera del 2000, quando la protesta dei detenuti per la situazione di degrado del carcere provocò una rappresaglia brutale. Una vicenda che rappresenta una matassa ancora non del tutto sciolta. “Ma ci sono sentenze che hanno accertato i fatti” evidenza Luigi Manconi. Alcune decine di detenuti vennero picchiati, torturati da agenti di polizia penitenziaria. Pugni, calci, manganellate. Un racconto da brividi di un fatto di cronaca in parte dimenticato: “Come tutte le vicende carcerarie è destinata a essere presto rimossa - commenta amaramente Manconi - Ho la sensazione che sia stato come dimenticato dalla società cittadina e temo che l’imminente chiusura di San Sebastiano, con il trasferimento dei detenuti nel nuovo carcere a Bancali, nasconda l’insidia di una maggiore dimenticanza perché lontano dalla città. Bisogna ricordare che l’Italia è stata ripetutamente condannata dall’Europa per l’invivibilità delle sue case di reclusione, per gli spazi per detenuti sotto la soglia ammessa”. Moni Ovadia allarga il discorso a un fatto di cultura: “In una società si possono anche sospendere temporaneamente i diritti di una persona - sottolinea l’artista - ma nessuno può toccare la dignità umana. Per questo lo Stato deve garantire in una situazione di privazione della libertà il massimo della tutela, anche davanti al peggiore criminale. Invece capita che non succede e spesso soprattutto quando ci sono di mezzo dei poveracci. Questa è una barbarie che ci fa sprofondare nel Medioevo”. Tutela che per Luigi Manconi diventa fondamento di civiltà: “Quando una persona si trova sotto custodia dello Stato deve essere trattato come il bene più prezioso. È uno dei fondamenti di ogni sistema democratico”. Ma le carceri non sono gli unici luoghi di privazione della libertà. Ne esistono altri. Per esempio ci sono i Cei di cui si sa pochissimo. “In questi Centri di identificazione ed espulsione - spiega Manconi - vengono trattenuti, in situazioni di degrado non dissimili da quelle delle carceri, gli stranieri che devono essere espulsi dal Paese. Persone che non hanno commesso chissà quali crimini, ma soltanto violato regole dell’ingresso e della permanenza in Italia”. La privazione della libertà si può realizzare inoltre negli ospedali, nei reparti psichiatrici. E a riguardo durante l’incontro vengono raccontati due esempi. Uno riguarda Franco Mastrogiovanni, un maestro sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio a San Luca di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Un caso molto simile a quello verificatosi in Sardegna e con vittima Giuseppe Casu, ambulante abusivo morto in un letto di psichiatria al Santissima Trinità di Cagliari. Una vicenda sulla quale la famiglia sta combattendo una battaglia portata avanti in primo piano dalla figlia Natascia. “Tra poco ci sarà una nuova udienza - sottolinea Manconi - Informiamoci, seguiamo questa vicenda troppo poco conosciuta in Sardegna”. Al fianco di Natascia Casu che come altre donne ha fatto di una tragedia privata una battaglia civile, pubblica. Come altre figlie, sorelle, madri. Come Ilaria Cucchi, Patrizia Aldrovandi, Lucia Uva. Donne che meritano il sostegno di tutti. Milano: martedì concerto della “band” dei detenuti di Bollate con il Gruppo dei Righeira Ansa, 11 aprile 2013 La band composta dai detenuti del carcere di Bollate, Basement Soundz, si esibirà il 16 aprile in una vera e propria jam session a Milano insieme allo storico gruppo dei Righeira. L’appuntamento è per le 21 all’Auditorium “Demetrio Stratos” di Radio Popolare. In occasione del concerto, che sarà trasmesso in diretta da Radio Popolare, i detenuti della band usciranno in permesso premio. La band è ospite fissa della trasmissione Jailhouse Rock che va in onda tutte le domeniche su radio Popolare. Libri: “La pazzia dimenticata. Viaggio negli Opg”, di Adriana Pannitteri (l’Asino d’oro) di Marco Neirotti La Stampa, 11 aprile 2013 La data fissata era marzo 2013 ma tutto slitta perché non sono pronte realtà alternative. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari dovrebbero essere tra breve aboliti: un libro racconta pazienti e strutture. In Italia sono ancora attivi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto Che fine ha fatto l’Avvoltoio, che si scagliò sul vicino di letto e con le dita gli cavò gli occhi? E Sandokan, che sventrò il fratello e ne appese una foto per giocarci a freccette? Dove si aggira Star Trek, che guidava automobili-astronavi, e Granellino, che ammazzò la madre e voleva fuggire per andare a proteggerla? Con il fotografo Tonino Di Marco vivemmo giornate con loro in quelli che i tecnici chiamano Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e la gente, tra orrore e fiducia nelle recinzioni, manicomi criminali. Ora qualcuno è libero al mondo, qualcuno prigioniero dietro una lapide, altri in attesa della chiusura di Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto. Dopo il lavoro della Commissione d’inchiesta presieduta dal senatore Ignazio Marino, si è fissata la fine marzo 2013 per far sfollare i circa 1.400 ospiti delle sei strutture (cinque di natura carceraria, soltanto Castiglione non penitenziaria) definite da Giorgio Napolitano, nel discorso di fine 2012, “l’estremo orrore inconcepibile in un paese civile”. La data però slitta ancora, perché le alternative non sono pronte e già gli anni che seguirono la “180” furono drammatici: quella legge fece suo in modo frettoloso il progetto dello psichiatra Franco Basaglia, inorridito dalle condizioni dei malati e dalla cronicizzazione della malattia. Si riversò per le strade una folla sradicata e spaesata, con famiglie lasciate sole mentre fiorivano strutture private non sempre all’altezza, talora mosse solo da business. Per i malati di oggi, dichiarati “pericolosi”, si prospettano strutture con massimo venti posti, non detentive, che li liberino dall’”ergastolo bianco”. Ma un conto è la carta, un conto la pelle, soprattutto in questa fase di sfacelo della Asl. In un momento tanto delicato entra nelle librerie una lente d’ingrandimento sulla detenzione e cura: “La pazzia dimenticata” (l’Asino d’oro), viaggio negli Opg, di Adriana Pannitteri, giornalista del Tg1, che già dedicò un libro alle madri assassine seguite a Castiglione delle Stiviere. Dopo le basi storiche, l’autrice ascolta gli operatori, spesso motivati e attivi al limite del sacrificio su una nave con il timone rotto, le vele mal rattoppate, la cambusa semivuota, culturalmente lontani dal giochetto irridente con cui si ricevevano gli ospiti negli Anni 60: “Hai mai camminato con tre scarpe?”. Narra letti di contenzione con il foro nel mezzo, muri marci, latrine intasate, docce secche, ma anche aree verdi, atelier di pittura, palestre. E incontra gli internati, orgogliosi nel loro buio o persi nella disperata impotenza: il ragazzo che accoltellava nel parco una sconosciuta e a chi voleva bloccarlo ripeteva, menando fendenti: “Non posso fermarmi, devo farlo”; il “mostro di Posillipo” che approva la chiusura degli istituti e tranquillo avverte: “Quando esco lo rifaccio”; Monica che ha “ucciso il diavolo”, peccato che stava colpendo il figlioletto di due anni e mezzo. Dove andranno? Avranno strutture adatte? Perderanno quel che di buono affiora attorno alle antiche scale scrostate? Antonino Calogero, psichiatra che ha diretto per anni Castiglione delle Stiviere (l’unico dei sei “assolto” dalla Commissione), non si arrocca sul passato, ma teme salti nel vuoto: “Da noi si è lavorato imponendo al paziente di muoversi liberamente nell’area limitrofa. Solo dopo aver superato questa fase egli può riavvicinarsi alla sua realtà precedente. Non voglio dire che debba stare sempre nell’Opg, né che non debbano esistere strutture intermedie vicine al suo territorio, ma tutto deve essere fatto gradualmente. A me pare che la legge non abbia davvero tenuto conto delle esigenze di cura di persone che hanno commesso reati gravi per malattia”. Il senatore Marino avverte: “Dentro queste strutture non si può assistere un internato che ha un infarto, per non parlare di persone con patologie gravemente invalidanti, come la gangrena dovuta al diabete. L’Italia non potrà considerarsi un paese civile se all’orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari non si metterà fine nel 2013”. E il territorio? Walter Gallotta, psichiatra di formazione basagliana, primario del Spdc (il “repartino) dell’ospedale San Giovanni di Roma, sostiene: “Qui affrontiamo le emergenze, poi ci sono le comunità terapeutiche, poi la riabilitazione nei centri diurni”. E indica i “passi” della possibilità nei pazienti che escono per andare a prendere il caffè al bar, senza pericoli. Calogero frena: “Non concordo con la territorializzazione: per esperienza penso che in una prima fase il paziente tragga giovamento proprio dall’essere in un luogo distante da dove ha commesso il reato, dove subisce meno le reazioni emotive, per quanto legittime, dei familiari delle vittime e dello stesso ambito sociale. Non condivido la fretta di chiudere. Bisogna almeno salvaguardare le cose che funzionano”. Al dibattito non partecipano Avvoltoi e Granellini, Star Trek e Pittori, però molti di loro ascoltano, cercano di immaginare un futuro. Quello che non sanno né loro né noi è quando, insieme con le leggi, con l’abbattimento degli orrori, si sfalderanno il senso diffuso di vendetta e di cancellazione dal mondo. Immigrazione: Donini (Fds); ennesima rivolta Cie Modena, verificare condizioni detenuti Ansa, 11 aprile 2013 “Al Cie (Centro identificazione ed espulsione) di Modena è scoppiata l’ennesima rivolta” che sarebbe stata causata “dal sovraffollamento della struttura e dall’ingresso di un ex detenuto in gravi condizioni di salute”. Lo riferisce Monica Donini (Fds) che, tramite una interrogazione, chiede alla Giunta regionale di fare chiarezza sui fatti accaduti domenica 7 aprile e di fornire, attraverso la Prefettura, i dati sugli accessi al Cie modenese per verificare sia la condizioni soggettive delle persone lì trattenute sia il livello di sovraffollamento “in cui pare versi il centro”. Considerando, in particolare, che tra le cause di quanto avvenuto sembrerebbe esserci l’ingresso “di una persona in precarie condizioni di salute” , la consigliera chiede all’esecutivo regionale riscontro su quanto riportato e, nel caso, vuole sapere per quale ragione alla persona in questione non siano state garantite le prestazioni sanitarie ospedaliere previste dalla norma regionale (L.R. 5/2004) che assicura il diritto di assistenza sanitaria e di cura ai cittadini stranieri immigrati non in regola con il permesso di soggiorno. Donini domanda infine se la Regione abbia presentato al Governo una sollecitazione al fine di consentire ai consiglieri regionali l’ingresso nei Cie per facilitare, attraverso il loro ruolo ispettivo, il monitoraggio di queste strutture. Droghe: Franco Corleone; per l’Onu il proibizionismo ha già fallito, Italia rimasta indietro Il Tirreno, 11 aprile 2013 “Serpelloni ha confinato l’Italia tra i Paesi più arretrati e conservatori, mentre nel mondo si ragiona ormai a partire dal fallimento del proibizionismo denunciato dalla Global Commission che ha come esponente di punta Kofi Annan. E soprattutto non c’è dubbio che in questi anni il Dipartimento politiche antidroga si sia caratterizzato come un soggetto politico autoreferenziale che non risponde a nessuno delle scelte operative e delle posizioni pubbliche. Un potere assoluto, irresponsabile, senza controllo”. Non usa giri di parole Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia da sempre sostenitore delle politiche di riduzione del danno e strenuo oppositore della legge Fini-Giovanardi. Una legge “che ha intasato le carceri e consentito la persecuzione di decine di migliaia di giovani tossicodipendenti e consumatori sulla base dell’assunto scientifico che “la droga è droga”, dice sfogliando i Libri Bianchi delle associazioni che testimoniano, cifre alla mano, “i disastri della legge e i suoi effetti collaterali”. “Ecco vede? 28mila persone l’anno che entrano in cella in base all’articolo 73 sulla detenzione e altri quindicimila che tra le norme restrittive delle legge e quella sulla recidiva marciscono in galera”, spiega indirizzando il messaggio “ai neo presidenti delle Camere”. Quanto alle attività del Dipartimento, la reazione di Corleone è anche peggiore. “Il Dipartimento è da azzerare. In questi anni è stato uno scontro continuo con le Regioni, con i Sert, con le Comunità (tranne San Patrignano). Abbiamo assistito alla cancellazione totale della Consulta e abbiamo visto dare l’appalto del Comitato scientifico agli americani del Nida per centinaia di migliaia di euro. Un autentico sperpero di risorse per azioni di inutile propaganda”. Non basta? “Serve subito una Conferenza sulle politiche delle droghe. Le due organizzate da Giovanardi sono state una burla, di quella di Palermo non esistono nemmeno gli atti, quella di Trieste fu tenuta in maniera blindata e senza confronti. Si dovrà ripartire da quella di Genova 2001 per recuperare i 13 anni persi”. Ma anche la Lila, la Lega italiana per la lotta all’Aids avanza durissime critiche sull’operato del Dipartimento e sui 43,5 milioni di euro spesi in progetti dal 2010 a oggi, come si legge in una nota dell’associazione divulgata qualche giorno fa. Ricordandone i molteplici incarichi la Lila scrive che “l’attivo e ambizioso” Serpelloni “è anche la firma che sta in calce agli articoli pubblicati dall’Italian Journal of Addiction, diretto da lui stesso, pubblicato e finanziato dal Dipartimento nazionale antidroga, di cui è capo. Insomma, il Dipartimento Antidroga, ovvero Giovanni Serpelloni, fa anche ricerca: se la commissiona, se la finanzia, se la giudica e se la pubblica. Una procedura che non rappresenta esattamente una garanzia di indipendenza e valore”. Droghe: sprecati 50mln €, destinati sulla carta a progetti prevenzione tossicodipendenze di Natalia Andreani Il Tirreno, 11 aprile 2013 È un fiume di denaro, oltre 50 milioni di euro, destinato sulla carta a progetti di prevenzione dalle tossicodipendenze, e finito poi in mille rivoli, molti dei quali facenti capo a un solo collettore di fondi: la Asl 20 di Verona. E non solo, fra i tanti stanziamenti, ce ne sono alcuni per un totale di quasi un milione alla chiacchieratissima Fondazione Maugeri, quella che ha inguaiato Formigoni. È il mondo del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del consiglio dei ministri, è il regno di un monarca assoluto: Giovanni Serpelloni, 59 anni, veronese, medico, esponente più agguerrito del proibizionismo. Un monarca che ha avuto un padrino politico preciso, Carlo Giovanardi, ex sottosegretario alla Famiglia con delega (e quasi un’ossessione) alle politiche antidroga. Già, perché Serpelloni al Dipartimento è arrivato nel 2008, quando è stato costituito, chiamato, appunto, da Carlo Giovanardi. Serpelloni arriva a Roma dopo 20 anni di guida del Centro di medicina preventiva e poi del Dipartimento dipendenze della Asl Verona 20. La missione del Dipartimento è quella di “promuovere, indirizzare e coordinare le azioni di governo atte a contrastare il diffondersi delle tossicodipendenze e delle alcol dipendenze correlate”. Come? Con progetti, pagine web, campagne pubblicitarie e altro tutto scelto a insindacabile giudizio del capo dipartimento, che, bisogna riconoscerlo, in questi 5 anni di idee ne ha avute parecchie, alcune anche bizzarre. “Roba da Corte dei Conti, credetemi”, dice Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e oggi garante dei detenuti della Regione Toscana. Analizzando i dati del bilancio del Dipartimento saltano agli occhi alcuni particolari. Il primo è che tutto ruota intorno a Verona, alla Asl 20 che, come detto, è la Asl di provenienza di Serpelloni. È vero che Verona è stata in passato crocevia del traffico di stupefacenti, ma basta questo a dare alla Asl 20 il monopolio della gestione dei progetti del governo italiano in fatto di prevenzione? È a Verona che fra il 2012 e il 2013 transiteranno, per gestione diretta o per essere girati ad altri enti, oltre 5 milioni di euro, quasi altri tre sono arrivati in anni precedenti, ma la Asl è comunque sempre l’ente a cui fa riferimento ogni progetto. Così come veronesi sono tutti i fornitori del Dipartimento, dalla cancelleria ai computer, ai telefonini. E dato che Verona è il centro di tutta l’attività sono decine di migliaia gli euro spesi per andare “in missione” nel capoluogo scaligero o spostarsi da Verona a Roma (rigorosamente in aereo o in treno in prima classe). Tutto questo agitarsi per cosa? Per decine di progetti per i quali vengono create pagine web, che si avvalgono di campagne pubblicitarie (150mila gli euro spesi per realizzare delle spillette), che poco incidono. Come “In marcia per la vita” (180mila euro), “OutCome” (25 milioni di euro spalmati su vari anni), “Dream On”, una sorta di talent show sulla danza, (400mila e gruppi veronesi fra i vincitori); “Nnidac 2011” con 40 Comuni e il consorzio universitario Cueim (destinatario per questo di 2 milioni e 150mila euro). E così via. Il seguito di queste iniziative è verificabile sul web, analizzando i dati sugli utenti delle pagine realizzate (da società veronesi e gestite dalla Asl20, naturalmente). Nnidac, per dire, ha due visitatori in media al giorno. E un altro dei fiori all’occhiello di Serpelloni, “Alert web monitoring rave party e internet” (250mila euro di finanziamento solo nel 2013) nell’ambito del quale sono stati anche acquistati dei navigatori satellitari per individuare e impedire i rave party, ha una pagina web correlata che ha così pochi visitatori che non viene censita. D’altra parte la rete internet non dà grandi soddisfazioni a Serpelloni, nonostante la profusione di investimenti (270mila euro in tre anni): la home page del Dipartimento ha, in media, 13 utenti al giorno (meno dei dipendenti del Dipartimento). Droghe: “poi Giovanardi chi lo sente?”… così fu bloccato il decreto svuota-carceri di Annalisa D’Aprile Il Tirreno, 11 aprile 2013 “Blindato, inamovibile”. A Palazzo Chigi lo sanno tutti. Tanto che quando il governo Monti ha avviato la spending review lui è stato il solo a rimanere al suo posto. Gli altri capi dipartimento, esterni come lui, sono stati mandati tutti a casa. Per Giovanni Serpelloni, il capo del Dipartimento politiche antidroga, le cose sono andate diversamente. “Non ci sono state le condizioni politiche. Troppo precario l’equilibrio della maggioranza di governo che si reggeva anche sul Pdl”, spiega una fonte del ministero della Cooperazione e dell’Integrazione guidato da Andrea Riccardi. Eppure al ministero, che non è certo un covo di antiproibizionisti, hanno cercato più volte di modificare la linea dura Serpelloni-Giovanardi (che nella legge Fini-Giovanardi sulle droghe ha il suo manifesto). Come? Con un decreto legge di 4 articoli tesi a cambiare i passi più oscurantisti della legge speciale sulle droghe (tra cui gli articoli 73, 75 del testo unico e 99 del codice penale), quelli che hanno contribuito a creare l’insostenibile sovraffollamento delle carceri. Il decreto predisposto dal ministro Riccardi è stato anche oggetto di un’animata riunione negli uffici del ministero della Giustizia, in via Arenula, presente il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Già, perché secondo il parere dei tecnici, quelle poche modifiche avrebbero avuto l’effetto immediato di alleggerire l’emergenza carceri senza ricorrere a indulti e amnistie. E dunque, anche di risparmiare allo Stato le numerose condanne inflitte all’Italia dalla Corte di Strasburgo, e con conseguenti risarcimenti. Ma di quel decreto di 5 pagine non se n’è fatto nulla: “Poi Giovanardi chi lo sente?”, avrebbe detto un alto funzionario di via Arenula. Il documento è tornato così al ministero della Cooperazione, abbandonato tra forti malumori su una scrivania tra gli scatoloni pronti per il trasloco. “Serve un governo non più tecnico che riveda le attuali politiche antidroga che restano un problema. Grande come una casa”, dice chi a quel decreto ha lavorato. India: il premier Mario Monti sui “marò”; sia riconosciuta nostra giurisdizione sul caso Public Policy, 11 aprile 2013 Il presidente del Consiglio e titolare della Farnesina ad interim Mario Monti, oggi a Londra per il G8 dei ministri degli Esteri Ue, ha parlato anche dei due marò detenuti in India, lasciando capire che un esito negativo della vicenda potrebbe pregiudicare la lotta contro la pirateria che vede impegnato il nostro Paese. “Ho aggiornato - si legge in una nota di Palazzo Chigi - l’Alto rappresentante Ue Catherine Ashton sugli ultimi sviluppi relativi al caso dei due fucilieri di Marina italiani trattenuti in India. Ho ribadito i punti fermi della posizione italiana, in particolare l’aspettativa che sia riconosciuto il principio della giurisdizione italiana sul caso, anche a beneficio della cooperazione internazionale nel suo complesso incluso il contrasto della pirateria in mare”. “Ho illustrato - continua Monti - l’impegno del governo italiano nel dialogo con le autorità indiane sottolineando l’esigenza che, anche nel caso in cui si agisca secondo la giurisdizione indiana, le procedure si esauriscano in maniera equa nel tempo più breve possibile. Ho infine manifestato l’auspicio di un sempre più profilato ruolo dell’Unione europea nell’impegno della comunità internazionale contro la pirateria, la cui efficacia presuppone il rispetto da parte di tutti dei princìpi riconosciuti del diritto internazionale”. Burkina Faso: dall’Associazione “Noi con voi” un progetto per l’alimentazione in carcere www.cuneocronaca.it, 11 aprile 2013 Si è appena conclusa la missione di quattro volontarie di “Noi con Voi” in Burkina Faso, dove hanno partecipato all’inaugurazione di un importante progetto finanziato interamente dall’associazione saviglianese grazie alla generosa donazione di due giovani sposi, che hanno devoluto interamente i doni delle loro nozze a questo progetto. Si tratta della costruzione di una panetteria all’interno del carcere di Ouagadougou in Burkina Faso. Le condizioni di vita nelle carceri del Burkina rasentano i limiti della sopravvivenza. La situazione igienica molto precaria unitamente all’alimentazione assolutamente inadeguata e insufficiente sono la prima causa di forte debilitazione dell’organismo, che rappresenta in tal modocosi terreno fertile per malattie ed epidemie la cui rapida e inarrestabile diffusione arriva a mietere decine se non centinaia di vite. I religiosi camilliani hanno iniziato a prestare servizio di assistenza nelle carceri nel 1982 con padre Celestino (al quale è stata dedicata la panetteria), e da allora molto hanno fatto per rendere se non dignitose almeno più accettabili le condizioni di vita dei detenuti. La Maison d’Arrêt et de Correction di Ouagadougou conta oggi circa 1.500 detenuti (che in altri periodi sono arrivati fino a 1.800) tra cui 60 donne e 30 minori. La maggior parte si trova in prigione per reati non gravi e soprattutto legati alla sopravvivenza, come ad esempio un padre di famiglia che per sfamare i propri figli si è trovato costretto a rubare un pollo. Molti poi sono in attesa di processo, per cui la loro colpevolezza è ancora da verificare. Il pasto che lo stato offre ai detenuti è costituito da una ciotola di un pastone a base di miglio che dovrebbe chiamarsi polenta, ma che non ricorda neanche lontanamente la nostra amata pietanza. È di colore grigio invece che bianco a causa dell’infima qualità della farina, ed è servito una volta al giorno senza sale né salse o sughi. Spesso poi non è sufficiente per tutti i detenuti, per cui a qualcuno capita di fare il pasto successivo dopo 48 ore. È proprio per cercare di migliorare le condizioni alimentari dei detenuti, in modo da arginare almeno in parte la diffusione delle malattie, che Noi con Voi ha deciso di impegnarsi nel progetto proposto dal padre camilliano Francois Kientega (cappellano e responsabile dell’organizzazione cattolica della Maco) di realizzare una panetteria all’interno delle mura carcerarie. L’obiettivo del progetto è duplice: rendere disponibile il pane a un costo molto contenuto, se possibile gratuito, e offrire una formazione ai detenuti, che a rotazione e in turni di 3 mesi possono, se interessati, apprendere un mestiere ed essere così in grado di trovare lavoro una volta finito di espiare la pena. Stiamo lavorando per ottenere un attestato da rilasciare a chi avrà portato a termine la formazione nella panetteria. L’inaugurazione ha avuto luogo in Burkina il 24 marzo scorso, e ha visto la presenza, oltre che delle quattro volontarie di Noi con Voi, anche di numerose autorità locali, nonché di molte persone esterne che hanno entusiasticamente partecipato alla messa di inaugurazione. Era presente anche la Rtb televisione nazionale del Burkina e tele Maria, canale religioso molto seguito nel paese. Entrambe le reti televisive hanno intervistato Gabriella Piano, presidente di “Noi con Voi”, e la notizia era così rilevante che è stata trasmessa anche dalla televisione nazionale della confinante Costa d’Avorio. La soddisfazione dell’associazione è stata davvero grande, nel vedere la gioia e la speranza scaturite dalla panetteria. La gestione è stata affidata alla famiglia laica camilliana, costituita da volontari che si danno disponibili a gestire le vendite del pane e l’organizzazione della produzione, sia quella destinata alla vendita che quella del pane che deve essere distribuito gratuitamente ai detenuti. Il grosso problema oggi è il costo della farina, circa 600 euro per tonnellata, in quanto è interamente importata non essendo disponibile sul posto, per cui sarà necessario attendere il tempo in cui le vendite al di fuori del carcere saranno sostanziose perché la panetteria raggiunga un autonomia economica che le permetta di andare avanti e di riservare una parte della produzione a essere donata gratuitamente. È comunque concesso a chiunque di entrare in carcere e acquistare il pane: è sufficiente lasciare il proprio documento alle guardie all’ingresso e spiegare la ragione per cui ci si trova lì. Per ora si è deciso di incominciare con un giorno la settimana per il pane gratuito: il giovedì si impastano e infornano 1500 filoncini, uno per ogni detenuto. Chi vuole contribuire al progetto della panetteria può fare un bonifico sul conto di Noi con Voi presso Banca Crs - Iban: IT30 M063 0546 8510 0001 0136 378 con causale “progetto panetteria” . È possibile sostenere i progetti di Noi con Voi devolvendo il 5 per mille al Codice Fiscale 95019810043. India: Amnesty; in aumento condanne a morte ed esecuzioni, 78 soltanto nel 2012 9Colonne, 11 aprile 2013 Con riferimento a 10 anni fa, è drasticamente diminuito il numero delle nazioni che continuano ad eseguire sentenze di pena capitale. Un report di Amnesty International mostra come nello scorso anno 21 nazioni abbiano fatto ricorso alla pena di morte, registrando un calo rispetto ai 28 casi del 2003. Il trend è però zavorrato da alcuni stati, come Gambia, Pakistan, Giappone ed India, che ancora ricorrono pesantemente alle esecuzioni. Come riporta il Times of India, c’è grande preoccupazione per le cifre che giungono da Nuova Delhi. In India, nel 2012, sono state eseguite 78 sentenze di pena capitale, e altri 400 detenuti sono in attesa di subire la stessa sorte. Nell’area asiatico-pacifica, l’India è seconda in questa non certo lusinghiera graduatoria solo al Pakistan, primo con 242 esecuzioni. Sempre secondo il report di Amnesty, nel 2012 sarebbero state eseguite 682 sentenze di pena capitale, due in più rispetto al 2011. Nonostante questi ultimi dati, per Amnesty il trend globale sembrerebbe muoversi verso l’abolizione della pena di morte. Stati Uniti: eseguita condanna a morte in Florida, giustiziato un uomo di 59 anni Ansa, 11 aprile 2013 Nel carcere di Starke, in Florida, è stata questa sera eseguita la condanna a morte inflitta nel 1981 ad un uomo di nome Larry Eugene Mann, giudicato colpevole di aver ucciso una bambina. Mann, 59 anni, è stato messo a morte con un’iniezione letale, e quando poco prima i funzionari del carcere gli hanno chiesto se volesse fare una ultima dichiarazione, secondo quanto riferisce la stampa locale ha risposto solo: “no, signore”. Mann era stato condannato per aver assassinato una bimba di 10 anni, Elisa Nelson, tagliandole la gola e sfondandole il cranio con un blocco di cemento. Cuba: le telecamere entrano a “Combinado del Este”, la più grande prigione del Paese Tm News, 11 aprile 2013 Dopo nove anni di attesa, denunce e polemiche, il governo cubano ha aperto ai media le porte di “Combinado del Este”, la più grande prigione del Paese. A favor di telecamera, il carcere di massima sicurezza cerca di mostrare il suo lato migliore: gli interni del cortile sono curati, con grandi spazi in cui detenuti corrono e giocano, perfino a baseball, lo sport americano per eccellenza”. I detenuti vivono in collettività. Praticamente non ci sono incidenti. Lavorano e studiano, la famiglia gioca un ruolo importante nella preparazione all’inserimento nella società”, dice il colonnello Carlos Quintana. Una descrizione idilliaca di un carcere messo sotto accusa da anni dai dissidenti per le condizioni indecenti delle celle, che non si vedono mai nelle immagini recenti, e del cibo definito “peggiore di quello che si dà agli animali”. Denunce suffragate anche da video girati con la telecamera nascosta e poi pubblicati su Internet su canali come “Derechos humanos a Cuba” e da testimonianze dirette come quella del prigioniero Reynol Vicente Sanchez, che in una lunga lettera qualche anno fa raccontava delle celle minuscole, invase da topi e scarafaggi, del caldo soffocante. “Queste condizioni disumane - scriveva sono degradanti per i detenuti”. Ucraina: Presidente Viktor Yanukovych; no grazia a Tymoshenko con processi in corso Tm News, 11 aprile 2013 Il presidente ucraino Viktor Yanukovych ribadisce che gli è impossibile concedere la grazia all’ex premier Yulia Tymoshenko finché i processi a suo carico non si saranno conclusi. “Ho ripetutamente risposto a questa domanda (sulla grazia per Tymoshenko) e si tratta di una questione legale. Finché i procedimento giudiziari nella quale Tymoshenko è coinvolta non sono conclusi, è impossibile prendere in considerazione la grazia” ha detto Yanukovych ai giornalisti a Mykolayiv, secondo quanto riferisce Interfax. Ci sono ancora due procedimenti in corso contro Tymoshenko. “Prima si concludono, prima sarà possibile affrontare la questione grazia. In altre parole, i miei poteri saranno effettivi dopo la conclusione di questi processi” ha detto Yanukovich. Domenica scorsa il presidente ha firmato il decreto per la grazia per l’ex ministro degli Interni del governo Tymoshenko, Yury Lutsenko, che è stato subito liberato. A ottobre 2011 Tymoshenko è stata condannata a sette anni di carcere per abuso d’ufficio per la firma di una serie di contratti di fornitura di gas con la Russia. A maggio 2012 è stata trasferita dal penitenziario di Kharkiv, dove scontava la sua pena, a un ospedale pubblico della città, per ricevere cure per un’ernia del disco. È in aula, dove ha subito innumerevoli rinvii, un procedimento contro l’ex premier per presunte irregolarità finanziarie commesse negli anni Novanta, quando era a capo della società energetica pubblica ucraina. Inoltre la Tymoshenko è indagata a dalla procura di Kiev in qualità di presunto mandante dell’omicidio di un deputato, Evgeni Scherban, avvenuto nel 1996.