Giustizia: l’Italia impugna la sentenza della Corte di Strasburgo sul sovraffollamento Ansa, 10 aprile 2013 Le associazioni: “Sarebbe stato meglio rimboccarsi le maniche per far rientrare le carceri nella legalità”. “Un escamotage da azzeccagarbugli”, buono sola per “dilatare il tempo a disposizione”. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, attiva per i diritti dei detenuti, commenta così la decisione dello Stato Italiano di impugnare la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che, l’8 gennaio scorso, ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti. Il ricorso, presentato dalla Presidenza del Consiglio, è stato depositato mercoledì sera. Che il nodo siano proprio i tempi, è stato confermato anche da Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). “La sentenza di Strasburgo sarebbe diventata definitiva dopo tre mesi e dava all’Italia un anno di tempo per adeguarsi - ha spiegato - un termine che ora decorrerà da quando si pronuncerà la Grande Chambre e qualora la pronuncia confermi la condanna”. Dignità della persona e sentenze della Corte di Strasburgo impongono soluzioni - ha aggiunto il capo del Dap - e bisogna lavorare in due direzioni: aumento dei posti e calo della popolazione carceraria. Su quest’ultimo fronte, va registrato che da tre anni la situazione si è stabilizzata e dai 69.155 detenuti del novembre 2010 si è passati ai 65.701 di fine 2012, con un lento regresso dovuto alle misure che hanno favorito misure alternative e detenzione domiciliare”. Quanto all’aumento dei posti “il piano carceri ha avuto un’accelerazione e consentirà 11.573 nuovi posti. Ma lavori appaltati non significa consegna dei lavori”, ha sottolineato Tamburino, lamentando “ritardi spesso inaccettabili”. “Sarebbe stato meglio rimboccarsi le maniche e lavorare da subito per far rientrare le carceri nella legalità con tanti detenuti quanti sono i posti regolamentari”, ha aggiunto Patrizio Gonnella. Proprio quello che propone una delle tre leggi di iniziativa popolare per la giustizia e i diritti in carceri per cui in una sola giornata, mercoledì, hanno firmato più di 10.000 persone. E nella stessa giornata anche il Quirinale era tornato a soffermarsi sulla “insostenibile” situazione delle carceri, auspicando “un sistema di gestione della pena più conforme ai principi costituzionali”. Giustizia: Tamburino (Dap); impugnazione dà più tempo per adeguare sistema carcerario Adnkronos, 10 aprile 2013 “La sentenza di Strasburgo sarebbe diventata definitiva se non ci fosse stata la decisione dello Stato di impugnarla di fronte alla Grande Chambre. L’Italia aveva un anno di tempo per adeguarsi, ora questo termine decorrerà da quando ci sarà la pronuncia della Grande Chambre, se verrà confermata la condanna”. Lo dice il capo del Dap, Giovanni Tamburino, commentando l’impugnazione da parte dello Stato italiano contro la sentenza di Strasburgo che a gennaio ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti. “Stiamo già facendo molto, ottenendo dei risultati - spiega all’Adnkronos Tamburino - è fondamentale che dal novembre 2010 non solo non c’è un aumento dei detenuti ma si registra una diminuzione. Inoltre è in piena applicazione il nuovo disegno del regime differenziato, un sistema complessivo che consentirà una differenziazione più ragionevole dei detenuti”. L’impegno dell’amministrazione penitenziaria prosegue: “Contiamo - conclude Tamburino - che non abbiano più a verificarsi situazioni in cui un detenuto possa avere a disposizione uno spazio inferiore a tre metri quadri, e di applicare anche un regime più aperto salvo quando vi siano esigenze di sicurezza”. Italia seconda, dopo Serbia, per detenuti “Se si guarda ai 47 Stati europei, l’Italia è il secondo Paese europeo dopo la Serbia nel rapporto tra detenuti e numero di posti nelle carceri: la situazione è pesante”. Lo ha detto Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel corso di una conferenza sul tema “Il carcere nel 2014: verso il superamento dell’emergenza” organizzato dalla Scuola di perfezionamento delle forze di polizia. “L’Italia - ha specificato Tamburino - non è sopra la media europea per tasso carcerario, ossia nel rapporto tra numero di detenuti e numero di abitanti. Il problema è la dotazione delle strutture carcerarie: dal 2008 si è superato il limite di allarme statistico che è di 130 presenze ogni 100 posti. E si può risolvere in tempi ragionevoli solo se si rispettano alcune condizioni”. “Dignità della persona e sentenze della Corte di Strasburgo impongono soluzioni - ha sottolineato il capo del Dap - e bisogna lavorare in due direzioni: aumento dei posti e calo della popolazione carceraria. Su quest’ultimo fronte, va registrato che da tre anni la situazione si è stabilizzata e dai 69.155 detenuti del novembre 2010 si è passati ai 65.701 di fine 2012, con un lento regresso dovuto alle misure che hanno favorito misure alternative e detenzione domiciliare”. Quanto all’aumento dei posti “il piano carceri ha avuto un’accelerazione e consentirà 11.573 nuovi posti. Ma lavori appaltati non significa consegna dei lavori”, ha sottolineato Tamburino, lamentando “ritardi spesso inaccettabili”. Giustizia: commenti di associazioni e politici; ricorso è escamotage per prendere tempo Ansa, 10 aprile 2013 Un escamotage da azzeccagarbugli quello adottato dall’Italia nei confronti della Corte europea dei diritti umani. Fare ricorso contro la sentenza di condanna serve solo a dilatare il tempo a disposizione. Sarebbe stato meglio applicarsi per far tornare le carceri italiane nella legalità. Lo afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, commentando l’impugnazione da parte dello Stato italiano contro la sentenza di Strasburgo che a gennaio ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti. “Per capire le ragioni che sottendono il ricorso - spiega Gonnella - è necessario attendere le motivazioni. Se in esse l’Italia nega che nelle celle non c’è lo spazio minimo necessario significa negare la realtà e il fatto che il sistema ha bisogno di interventi estremamente urgenti”. “Se, invece - aggiunge Gonnella - si rimanda la soluzione al piano di edilizia penitenziaria, si commette un falso perchè il piano procede tanto a rilento da garantire i primi nuovi posti letto tra tre-quattro anni”. Dunque, secondo Gonnella, “sarebbe stato meglio rimboccarsi le maniche e lavorare da subito a far rientrare le carceri nella legalità con tanti detenuti quanti sono i posti regolamentari”. “Quello che propone proprio una delle tre leggi di iniziativa popolare per la giustizia e i diritti in carcere”, spiega il presidente di Antigone. “Solo nella giornata di ieri con la raccolta di firme davanti ai tribunali di 40 città - dice ancora - abbiamo raccolto 12 mila firme a sostengo dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale, per la revisione della legge sulla droga e perché‚ in cella non entri un detenuto in più dei posti regolamentari”. “I nostri banchetti per la raccolta delle firme sono stati presi d’assalto da tanta gente e tra loro tantissimi giovani, a significare - conclude - che il tema è molto sentito”. Radicali: lo Stato prende tempo “Da un punto di vista umano, c’è solo una grande amarezza, perchè lo Stato si sta sostanzialmente comportando come un delinquente abituale, colpevole e consapevole di esserlo”. Lo ha detto l’avvocato Giuseppe Rossodivita, ex consigliere regionale Radicale nel Lazio ma anche difensore di alcuni dei detenuti nella vicenda che portato alla sentenza di gennaio, intervistato da Radio Radicale sulla decisione della Presidenza del Consiglio italiana - attraverso l’Avvocatura dello Stato - di impugnare presso la Grande Chambre la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che nel gennaio scorso condannò l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti, dando all’Italia un anno di tempo per adeguare il sistema carcerario. “Nel procedimento davanti alla Corte di Strasburgo non esiste la prescrizione”, ha ricordato Rossodivita. “Sappiamo che la prescrizione è a volte uno strumento utilizzato da chi se lo può permettere per uscire da processi che possono portare alla condanna. Dopo aver letto le prime dichiarazioni su questa decisione di impugnare la sentenza, sembra di capire che lo Stato faccia lo stesso: per evitare che iniziasse a decorrere, dopo tre mesi dalla pronuncia, quell’anno di tempo che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ci ha imposto per rientrare nella legalità della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per evitare che una sentenza diventi definitiva, per prendere altro tempo, nella consapevolezza che un ricorso non potrà portare che a una conferma della sentenza emessa in prima istanza, lo Stato, come un delinquente abituale che punta alla prescrizione, dice: anziché sentire il dovere di tornare nella legalità, prendo altro tempo”, ha concluso Rossodivita. Ucpi: impugnazione sentenza Cedu è “tattica dilatoria” “La notizia che lo Stato italiano abbia impugnato alla Grand Chambre della Cedu la sentenza di Strasburgo che lo scorso gennaio condannava il nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti ai danni dei detenuti lascia stupefatti, dal momento che è lo stesso Stato - a partire dal presidente della Repubblica, per passare dal ministro della Giustizia e finire al capo dell’Amministrazione penitenziaria - che nel corso di questi mesi ha più volte riconosciuto che quella sentenza non faceva altro che fotografare una realtà”. Lo dichiara in una nota l’Unione delle camere penali italiane (Ucpi). “È evidente - si legge ancora - che la decisione di impugnare serva solo a guadagnare tempo, lo stesso tempo che in questi tre mesi non ha visto alcuna iniziativa che anche lontanamente potesse andare nella direzione indicata dalla Cedu. Questo atto è dunque una “tattica dilatoria” del tipo di quelle che vengono sempre attribuite a chi vuole semplicemente ritardare gli esiti dei processi. Il problema è che qui è lo Stato a metterla in pratica, e per di più su una materia come quella dei diritti fondamentali, che richiederebbe quanto meno un minimo di coerenza”. Gozi (Pd): inconcepibile ricorso Governo contro Strasburgo “La decisione del Governo di presentare ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di alcuni detenuti è veramente inconcepibile”. Così Sandro Gozi, deputato Pd, che ha presentato alla Camera una proposta di legge su amnistia e indulto. “È difficile capire di quali chiarimenti abbia bisogno il governo Italiano. La situazione delle carceri è nota a tutti e ben conosciuta da tempo in Europa. Il nostro paese si trova in stato di illegalità prolungata e, se esistesse nel sistema di Strasburgo, i giudici europei dovrebbero applicare la recidiva. Anziché prendere tempo e prolungare la violazione dei diritti fondamentali, tra cui la dignità personale, il governo dovrebbe prendere atto che le misure prese sino ad oggi sono solo dei palliativi e che l’amnistia assieme ad una vera riforma del processo penale e civile e una forte depenalizzazione sono l’unica via possibile se vogliamo veramente voltare pagina e diventare in paese civile, come io stesso e altri colleghi del partito democratico abbiamo proposto in disegni di legge presentati i giorni scorsi alla Camera e al Senato”. Giustizia: no alla tortura, perché non accada più di Patrizia Moretti Il Manifesto, 10 aprile 2013 Subito dopo la sentenza definitiva di condanna per l’omicidio di Federico Aldrovandi il Comitato Verità per Aldro, ora costituitosi in Associazione, ha deciso di unirsi alle iniziative per l’introduzione del reato di tortura in Italia, proponendo l’anno scorso una raccolta di firme diffusa da Avaaz che ha superato le 100.000 adesioni in una sola settimana. Ci siamo così affiancati nella battaglia portata avanti da anni da organizzazioni umanitarie quali Amnesty International, Antigone e a molte associazioni fra quelle promotrici, oggi, della campagna delle tre proposte di legge di iniziativa popolare su Tortura, Carceri e Droghe. Quando, insieme agli amici di Federico e a coloro che ci hanno sostenuto in questi anni, abbiamo deciso di costituire l’associazione non vi era infatti solo la volontà di ricordare un ragazzo che ha perso la vita tornando a casa per mano di chi avrebbe dovuto proteggerlo. C’era anche l’impegno a fare in modo che, per quanto possibile, ciò che è successo a Federico non potesse più accadere. Il significato della nostra adesione alla raccolta firme che parte in questi giorni in tutta Italia è quindi nel testo dello striscione che ha accompagnato ogni nostra manifestazione in questi otto anni di ricerca di giustizia: “Per quello che non doveva succedere, per quello che non è ancora successo, perché non accada mai più”. Sembrerebbe quasi superfluo ricordare come l’introduzione della norma nel codice penale sia la naturale conseguenza della ratifica di trattati internazionali adottati da tutti i paesi civili, compreso il nostro. Ma la ratifica italiana risale al 1989 e da allora nessun Parlamento è riuscito ad introdurre nel nostro codice penale il testo che definisce crimini specifici commessi da appartenenti alle forze dell’ordine. Troppi sono i casi in Italia rimasti senza giustizia per l’assenza della definizione giuridica di tortura nel nostro codice. L’introduzione del reato, non solo qualificherebbe il nostro sistema giuridico come democratico, ma avrebbe come primo risultato pratico un sicuro effetto deterrente; “perché non accada mai più”, appunto. Il sostegno dell’Associazione Federico Aldrovandi trova quindi il proprio primo fondamento in questa proposta di legge, ma si estende alle successive due proposte considerandole alta espressione di civiltà. Riteniamo infatti altrettanto importante ripristinare la legalità costituzionale nelle carceri, dove il sopruso contro la dignità delle persone è quotidiano, e abolire le parti più odiose e criminogene di due leggi fallimentari, la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi, fulcro della repressione di questi anni. Saremo quindi impegnati in questi mesi, raccogliendo firme e promuovendo iniziative. Ma ci sentiremo impegnati anche dopo, vigilando affinché in Parlamento, una volta tanto, venga colta l’opportunità resa possibile dalle migliaia di adesioni che ci auguriamo si esprimeranno in questi mesi, consentendo finalmente al nostro paese di fare un passo avanti per l’affermazione dei diritti umani. Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; provveditore gioca con numeri… ma non convince Ansa, 10 aprile 2013 “Il Provveditore regionale della Sardegna è bravissimo a giocare con i numeri, ma non può far finta di niente quando a Buoncammino ci sono oltre 100 detenuti in più della capienza regolamentare. Così facendo si rischia di tacere sui problemi di una popolazione reclusa costretta in condizioni disumane. Le carceri sarde, insomma, non sono un’eccezione. Rientrano nella norma del disastro detentivo italiano”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, invitando il Provveditore Gianfranco De Gesu “a verificare e indicare Istituto per Istituto la consistenza numerica di detenuti e Agenti”. “Le informazioni fornite dal Provveditore - osserva Caligaris - descrivono una realtà non oggettiva. La verità è dentro le celle dove sono ristrette anche 6 persone costrette a convivere in spazi angusti e a condividere letti a castello. Luoghi dove le pareti interne grondano umidità. Chiunque può verificare la fondatezza delle nostre affermazioni perché attualmente rispetto a una capienza regolamentare di 345 detenuti a Buoncammino ce ne sono 480. Sono diminuiti rispetto ai 530 di qualche mese fa, ma bisogna ricordare che è stata inaugurata nel frattempo a Massama (Oristano) una struttura per 250 persone private della libertà. Per quanto riguarda gli Agenti poi occorrerebbe verificare quanti sono andati in pensione e quanti sono effettivamente in servizio nelle singole strutture. Quando infine un Direttore deve seguire di norma non meno di due Istituti, allora vuol dire che non va tutto bene”. “Non si può neppure ignorare la situazione di San Sebastiano dove le condizioni di vita a tutt’oggi sono incivili. Certo il Provveditore guarda agli aspetti macroscopici, ma chi vive all’interno di un Istituto Penitenziario, specialmente quando è afflitto da infermità, vede la differenza tra scontare una pena inflittagli da un Tribunale e quella subita invece dentro una struttura rieducativa dello Stato. Quale rieducazione viene offerta a un tossicodipendente o a una persona di oltre 70 anni costretto sulla sedia a rotelle? Il compito del Provveditore è diverso da quello dei volontari che sistematicamente incontrano persone detenute però - conclude Caligaris - giocare con i numeri non giova a nessuno”. Calabria: il Sappe denuncia; situazione gravissima, a Reggio 276 detenuti per 149 posti Apcom, 10 aprile 2013 “Continua ad essere grave la situazione delle carceri calabresi” secondo Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto e Damiano Bellucci, segretario nazionale del Sappe. “Al 31 marzo del 2013, in base ai dati forniti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - continuano i due sindacalisti - i detenuti presenti sono 2.879, mentre i posti disponibili, sempre secondo quanto fornisce il dipartimento, dovrebbero essere 2.151. Questo dato non corrisponde alla realtà, perchè si riportano ancora i 34 posti di Laureana di Borrello, istituto che, come sappiamo, è chiuso da alcuni mesi. Si riporta una capienza di 75 posti a Crotone, con una presenza di 5 detenuti, ma l’istituto è quasi totalmente chiuso per ristrutturazione”. “Inoltre, per quanto riguarda il carcere di Catanzaro - spiegano - il dipartimento riporta una capienza di 617 posti, ma si tratta di una capienza virtuale, perchè probabilmente si fa riferimento al nuovo padiglione che, però, è ancora chiuso, quindi, in realtà, i posti sono circa 400, per una presenza di 589 detenuti. Di questi, 283 sono imputati e 306 condannati. A Castrovillari i detenuti presenti sono 270 per 146 posti, dei quali 103 imputati e 167 condannati. A Cosenza ci sono 324 detenuti per 209 posti, 150 sono imputati e 174 condannati. Lamezia Terme si conferma, in percentuale, l’istituto più affollato d’Italia, con 83 detenuti, per una capienza di 30 posti; di questi 48 sono imputati e 35 condannati”. E ancora, a Locri ci sono 148 detenuti per 83 posti, 96 imputati e 52 condannati. A Palmi i detenuti presenti sono 254, per una capienza di 140 posti, 208 sono gli imputati e 46 i condannati. A Paola ci sono 247 detenuti per 161 posti, 65 sono gli imputati e 182 i condannati. A Reggio Calabria ci sono 276 detenuti per 149 poti, 212 sono gli imputati e 64 i condannati. A Rossano ci sono 348 detenuti per 233 posti disponibili, 66 imputati e 282 condannati. A Vibo Valentia ci sono 335 detenuti per 274 posti, 221 gli imputati e 114 i condannati. Toscana: la Regione assicura ore scolastiche in Istituto penale per minori di Pontremoli Adnkronos, 10 aprile 2013 “Ci stiamo spendendo come surroga statale”. Così il vicepresidente della Giunta regionale Stella Targetti rispondendo all’interrogazione di Marina Staccioli (gruppo misto) sulla ridotta attività scolastica dell’Istituto penale per minori di Pontremoli. Targetti ha assicurato un intervento diretto della Regione per garantire le ore nell’anno scolastico 2013/2014. “Abbiamo sentito il direttore scolastico per approfondire la questione”, ha rilevato la vicepresidente. La consigliera Staccioli si è dichiarata “abbastanza soddisfatta” auspicando che “l’impegno preso venga mantenuto”. “Sull’istruzione per i minori detenuti la Regione Toscana continua a fare troppo poco”, ha commentato la consigliera regionale Marina Staccioli, in seguito alla risposta fornita in Aula dall’assessore Targetti a un’interrogazione che faceva riferimento in particolare all’Istituto penitenziario di Pontremoli. “A tre anni dall’apertura - afferma Staccioli - la Regione non ha ancora attivato un corso scolastico regolare. Non solo non è in grado di garantire le 24 ore di lezione previste per legge, ma ha addirittura l’ammontare complessivo da 9 a 5 ore dallo scorso anno a quello in corso, motivo per cui è stata ufficialmente richiamata dal Ministero di Grazia e Giustizia2. “Adesso l’assessore Targetti dichiara che l’anno prossimo saranno garantite 10 ore di lezione - continua la consigliera - ma non basta: la Regione sta violando la normativa vigente in merito di obbligo scolastico e l’art. 34 della Costituzione, che sancisce l’accessibilità e l’obbligatorietà dell’istruzione”. “È una battaglia di civiltà: se vogliamo realmente che la pena sia rieducativa - conclude Staccioli - dobbiamo cominciare con l’assicurare l’educazione primaria ai ragazzi”. Mantova: all’Opg intossicazione alimentare fatale, giallo sulla morte di un detenuto Ansa, 10 aprile 2013 La Procura di Mantova ha aperto un’inchiesta sulla morte di un detenuto dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere causata, secondo i primi accertamenti, da intossicazione alimentare. Lo riferisce l’agenzia stampa Ansa. L’autopsia sul corpo di Christian Ubiali, 31 anni di Osio di Sotto (Bergamo), confermerebbe l’ipotesi della intossicazione dopo un pasto a base di pesce congelato. Con lui, il 2 aprile scorso, erano stati male altri dodici ospiti dell’Opg, nessuno dei quali è stato ricoverato. Sull’episodio ha aperto un’inchiesta interna anche la dirigenza dell’ospedale psichiatrico, con particolare riferimento alla ditta esterna, la Dussmann di Capriate (Bergamo) che fornisce pasti caldi a diverse strutture pubbliche, tra cui l’Opg castiglionese, e che declina ogni responsabilità su quanto è accaduto. Ubiali e gli altri compagni avevano consumato il pasto a base di pesce martedì sera 2 aprile all’Opg. Nelle ore successive tutti hanno avvertito dei malori, vomito e dissenteria. Il più grave è risultato Ubiali che, a mezzogiorno del giorno dopo, è stato trasferito all’ospedale Carlo Poma di Mantova dove è morto il giorno successivo, tre ore dopo il ricovero, mentre era su una barella in attesa di essere trasferito nel reparto di chirurgia ed essere stato sottoposto a vari esami, tra cui una Tac. La prima diagnosi parlava di occlusione intestinale. Ubiali aveva problemi psichici e di tossicodipendenza ed era ricoverato all’Opg dal 28 gennaio 2011. Il 15 marzo scorso aveva trascorso l’ultima giornata in compagnia dei genitori, dopo un permesso. Pistoia: politiche attive del lavoro per la riqualificazione e il reinserimento dei detenuti Comunicato stampa, 10 aprile 2013 Gli interventi messi in campo dalla Provincia di Pistoia per la riqualificazione e il reinserimento dei detenuti della Casa Circondariale. Un incontro all’interno della struttura penitenziaria, per dare conto dei risultati raggiunti nella formazione professionale e avviamento al lavoro della popolazione carceraria pistoiese e testimoniare la vicinanza del territorio alle problematiche carcerarie. Fare il punto sui risultati delle attività volte alla riqualificazione e al reinserimento lavorativo delle persone in regime di detenzione, in base all’Accordo sottoscritto dalla Provincia di Pistoia e dalla Casa Circondariale di S. Caterina in Brana il 14 febbraio del 2012, e, insieme, testimoniare la vicinanza del territorio alla situazione e alle problematiche presenti nella realtà carceraria. È stato questo il tema dell’incontro organizzato oggi, mercoledì 10 aprile, all’interno del carcere pistoiese, al quale hanno partecipato i rappresentanti delle Istituzioni locali. Erano presenti: il Presidente della Provincia, Federica Fratoni, l’Assessore provinciale alla formazione professionale, Paolo Magnanensi, l’Assessore provinciale alle Politiche del Lavoro, Roberto Fabio Cappellini, il Vicesindaco del Comune di Pistoia, Daniela Belliti, il Direttore della Casa Circondariale, Tazio Bianchi, il Presidente della Cooperativa Saperi Aperti, Massimo Civilini, il Dirigente del Servizio Politiche attive del Lavoro della Provincia di Pistoia, Anna Pesce. L’Accordo, sottoscritto a febbraio 2012, rappresenta il frutto di un percorso più ampio e complesso, condiviso da istituzioni, enti e associazioni del territorio attraverso un apposito tavolo sulle politiche carcerarie, finalizzato a mettere in campo interventi per la rieducazione e il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e dare risposte concrete alle difficili problematiche che riguardano la condizione carceraria. In un contesto, oggi più che mai, caratterizzato da grandi difficoltà occupazionali, sono soprattutto le categorie ai margini, detenuti e ex detenuti in primis, a rimanere escluse dal mercato del lavoro, con maggiori difficoltà di integrazione nel tessuto sociale e il rischio di ricadere nel circuito penale. A tal fine, l’Accordo prevedeva una stretta collaborazione fra i due Enti (Provincia e Casa Circondariale) finalizzata ai seguenti obbiettivi: - agevolare l’iscrizione della popolazione carceraria all’anagrafe del lavoro (attraverso un canale di comunicazione dedicato tra il Centro per l’Impiego di Pistoia e la casa Circondariale); - realizzare attività funzionali al reinserimento lavorativo (orientamento, bilancio delle competenze, redazione del curriculum vitae e del libretto formativo, ecc.), anche agevolando il contatto diretto fra gli operatori del Centro per l’Impiego e le persone in regime di detenzione, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza; - svolgere un’analisi continua dei fabbisogni formativi della popolazione carceraria, per la programmazione e la realizzazione di interventi di politica attiva, attraverso moduli professionalizzanti di durata variabile in settori di volta in volta individuati (es: cucina, edilizia, informatica, ecc.); - svolgere attività di informazione e promozione verso l’esterno in merito alle opportunità di inserimento in percorsi lavorativi di soggetti in regime di semilibertà ed ex-detenuti. Nel corso del 2012 è stato aperto uno sportello periodico presso la Casa Circondariale per lo svolgimento di tutte le pratiche amministrative e dell’orientamento dei detenuti: al 28 febbraio 2013 risultano 130 gli incontri e i colloqui svolti con 110 detenuti, di cui 75 sono stati iscritti all’anagrafe del lavoro, con relativa certificazione dello stato di disoccupazione, e nei confronti dei quali è stata svolta un’analisi dei fabbisogni individuali in termini di aspettative, competenze e obiettivi professionali. L’attività di sportello ha incontrato ottimi riscontri sia da parte della popolazione carceraria, sia da parte del personale della Casa Circondariale, con il quale è stato instaurato un clima di condivisione e ottima collaborazione. Per quanto riguarda la formazione professionale, nel corso del 2012 la Provincia ha impegnato risorse per 200 mila euro (assegnate tramite bandi pubblici alla cooperativa “Saperi Aperti”) per la realizzazione di attività formative sino al 2015, con l’obbiettivo di assicurare una programmazione di ampio respiro e una continuità di interventi per la popolazione carceraria. I percorsi formativi sono progettati sulla base delle esigenze emerse nel corso del lavoro di orientamento e condivise fra il soggetto attuatore, la Provincia, e i referenti pedagogici della Casa Circondariale. Sono 4 gli interventi già attivati: due da 110 ore ciascuno, di cui uno nel settore cucina (Preparazione di piatti) e uno nel settore edile per Imbianchino; due percorsi di 20 ore in campo informatico, per Elaborazione grafica di Immagini e Video. Altri percorsi di formazione sono in via di programmazione e realizzazione, con un calendario su base annuale condiviso insieme al personale della casa circondariale. Oltre a questi interventi sopra descritti, sono stati destinati ulteriori 15 mila euro (Deliberazione di Giunta Provinciale n. 33 del 8 Marzo 2012) per l’erogazione di borse lavoro a favore di persone in carico alla Casa Circondariale. Si tratta di risorse che, come sottolineato anche dalla Direzione della Casa Circondariale e dal Garante dei detenuti di Pistoia, rappresentano un concreto e fondamentale collegamento nel difficile passaggio dalla realtà detentiva alla ricollocazione vera e propria, perché coinvolgono persona e impresa nel contesto territoriale di riferimento, con una azione di sensibilizzazione essenziale per il reinserimento sociale e lavorativo. La prima delle borse lavoro è stata impegnata con tirocinio on the job presso i cantieri del Servizio Viabilità della Provincia e permetterà al detenuto una crescita professionale e il passaggio alla fase successiva di ricerca di lavoro presso le imprese del territorio provinciale. Gli operatori dei Centri per l’Impiego hanno promosso l’avvio di un secondo tirocinio presso un’ impresa del territorio ed è stata iniziata la progettazione di un terzo intervento. Brescia: al via davanti al Tribunale la mobilitazione su detenuti, tortura e droghe leggere Il Giorno, 10 aprile 2013 Le prime 400 firme sono state raccolte in sole quattro ore. È partita col piede giusto a Brescia la campagna di mobilitazione per la presentazione di tre proposte di legge: l’introduzione del delitto di tortura nel nostro codice penale, la fine del sovraffollamento nelle carceri (le più problematiche d’Europa) e la modifica della legge Fini-Giovanardi sulle droghe per arrivare alla depenalizzazione delle droghe leggere. A farsi promotori in città della raccolta firme sono Francesca Baruffaldi, rappresentante della Funzione pubblica della Cgil, ed Eugenia Foddai, membro del “Comitato per la chiusura del carcere lager di Canton Mombello”. La prima proposta di legge, Introduzione del reato di tortura nel codice penale, vuole sopperire ad una lacuna normativa grave. In Italia manca il crimine di tortura nonostante via sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La seconda, Per la legalità ed il rispetto della costituzione nelle carceri, vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. La terza proposta, Modifiche alla legge sulle droghe: depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto, vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese. Viene superato il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, depenalizzando i consumi, diversificando il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene, restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. La mobilitazione, condivisa a livello nazionale da molte organizzazioni ed associazioni (A Buon diritto, Acat Italia, Adu, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Associazione Saman, Bin Italia, Cgil, Cgil - Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Fondazione Giovanni Michelucci, Forum Droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Giustizia per i Diritti di Cittadinanzattiva Onlus, Gruppo Abele, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Itaca, Libertà e Giustizia, Medici contro la tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Società italiana di Psicologia penitenziaria, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere), proseguirà nelle prossime settimane anche in altri luoghi della città. Carinola (Ce): entro dicembre 500 detenuti in custodia attenuata, più trattamento e lavoro Adnkronos, 10 aprile 2013 Una Casa di reclusione a custodia attenuata, tra i primi esempi di trattamento avanzato in Italia. È il nuovo volto del carcere di Carinola, in provincia di Caserta, in una zona ad alta densità criminale. Il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, insieme ad altri enti ha realizzato un progetto che vede coinvolta anche l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti e la cooperativa “Il pacco alla camorra”, perchè la criminalità si combatte anche con il trattamento. Attualmente Carinola è un istituto ad alta sicurezza, dove sono detenute 250 persone, non originarie della Campania, che saranno trasferite a Sulmona, nel carcere di alta sicurezza. “Uno dei criteri verso cui tendiamo è quello della territorializzazione della pena - spiega all’Adnkronos Luigi Pagano, vice direttore del Dap - a Carinola saranno ospitati detenuti campani già condannati per reati comuni. Incentiveremo l’attività trattamentale: si partirà da 350 detenuti entro la fine di maggio e a dicembre, appena sarà terminato un altro reparto in costruzione, si arriverà ad ospitare nella rinnovata struttura 500 detenuti”. Una scommessa di un nuovo modello di casa circondariale, ma “servirà anche a Poggioreale - fa notare Pagano - perchè una parte dei detenuti definitivi, attualmente reclusi nel carcere napoletano, potranno essere trasferiti a Carinola”. Nella casa di reclusione si punta a una serie di iniziative, creando lavori agricoli e aumentando gli spazi e il tempo di fruibile per i detenuti. Il che si traduce anche in una maggiore possibilità di effettuare colloqui con i propri familiari: “Non sarà come a Poggioreale - assicura il vice capo del Dap - dove il sovraffollamento affoga anche i sentimenti. Tra i progetti che verranno realizzati, ci sono campi coltivati di luppolo per creare un birrificio all’interno del carcere ma saranno anche realizzate delle serre per la coltivazione di ortaggi biologici e altri progetti lavorativi non assistenziali. Ma sarà finalmente possibile realizzare i colloqui al verde per i bambini, che potranno incontrare i loro genitori in un clima disteso”. “I risultati attesi, oltre che il miglioramento delle condizioni di vita detentiva - spiega ancora Pagano - sono anche quello di realizzare le premesse per un più ampio ricorso alle misure alternative fornendo alla magistratura di sorveglianza elementi di valutazione concreta fondati su di una conoscenza più ampia della persona detenuta”. Per il vice capo del Dap, “Bollate, Brescia Verziano, Rieti, Ancona Barcaglione, Avellino, Pescara, Is Arenas, Isili, Mamone, Saluzzo, Gorgona, Volterra, Civitavecchia, Rebibbia, Padova, Torino, Aosta o Sant’Angelo dei Lombardi, solo per citare taluni istituti che hanno adottato il regime delle celle aperte e un tipo di sorveglianza che viene definito di natura dinamica, non sono esperimenti eccentrici, ma la prova provata non solo che il trattamento è la chiave di volta per risolvere i problemi del carcere, ma che ciò avviene senza abbassare la soglia di sicurezza”. È un nuovo modo di fare carcere: “Vogliamo realizzare circuiti in ogni regione - rimarca Pagano - differenziando, in relazione alle diverse tipologie dei detenuti, gli istituti ivi presenti nei quali, specie per la media sicurezza, possa venirsi a caratterizzare un regime detentivo dove gradualmente andranno a essere ampliati gli spazi utilizzabili dai detenuti e il tempo di permanenza, incentivate le iniziative trattamentali, favorita l’interrelazione con la comunità esterna, promossa la progressiva assunzione di responsabilità del detenuto”. “Ci assumiamo la responsabilità del progetto - aggiunge Pagano - ma auspichiamo che su queste basi ci sia ampia collaborazione da parte della società esterna, delle altre istituzioni deputate a partecipare alla esecuzione penale. Il trattamento e le attività lavorative - conclude - devono portare al reinserimento del detenuto nella comunità, producendo vera sicurezza sociale ed evitando le ricadute nella recidiva. Una scommessa che si può vincere solo con l’aiuto di tutte le realtà che sono oltre le mura del carcere, della società civile e delle cooperative di lavoro. È una scommessa possibile, che va percorsa fino alla fine”. Pavia: la Provincia dà l’ok, arriva il Garante dei detenuti di Manuela Marziani Il Giorno, 10 aprile 2013 Una figura che si attiva per il rispetto della dignità delle persone incarcerate, per migliorare le loro condizioni di vita e sociali favorendo ogni azione per il recupero e la reintegrazione sociale della persona. Dopo Milano anche Pavia avrà un garante dei detenuti. La giunta provinciale ha dato il primo via libera e nel prossimo consiglio sarà discussa l’istituzione e l’ approvazione del regolamento che disciplina la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. “Il Garante - spiega l’assessore alla Coesione sociale, Volontariato ed Associazionismo, Francesco Brendolise, promotore dell’iniziativa - è una figura che svolge la sua attività in piena libertà e indipendenza e che è già presente in diverse amministrazioni locali. Si attiva per il rispetto della dignità delle persone incarcerate, per migliorare le loro condizioni di vita e sociali favorendo ogni azione per il recupero e la reintegrazione sociale della persona”. Il Garante, la cui carica è gratuita, ha anche il compito di svolgere un’attività di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e sulla finalità rieducativa della pena, avvicinando la comunità locale alle strutture carcerarie. Oggi questa figura, con diverse denominazioni, funzioni e procedure di nomina, è presente in 22 paesi dell’Unione europea e nella Confederazione Elvetica. In Italia non è ancora stata istituito un garante nazionale per i diritti dei detenuti, ma esistono garanti regionali, provinciali e comunali le funzioni dei quali sono definite dai relativi atti istitutivi. Ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Inoltre, i garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione. Varese: il Comune ha deciso… il carcere resta in via Felicita Morandi www.varesenews.it, 10 aprile 2013 Il Comune di Varese ha deciso: il carcere resta in via Felicita Morandi e in ogni caso “senza un Governo si potrebbe fare ben poco”. L’assessore Binelli ha riportato la posizione della Giunta dopo l’interrogazione presentata da Alessio Nicoletti. Il consigliere di minoranza aveva chiesto all’amministrazione comunale che cosa intendesse fare con il carcere, alla luce del sovraffollamento conclamato della struttura e visto anche l’eclatante episodio dell’evasione dello scorso febbraio. Ma per la Giunta non ci sono altre strade percorribili se non quella di mantenere l’esistente. “Il comune - ha spiegato l’assessore Binelli - ha presentato al Ministero di Grazia e Giustizia, unico competente sulle decisioni che riguardano il carcere, la volontà del Consiglio comunale di mantenere l’attuale destinazione dell’edificio di via Morandi evitando la costruzione di nuovi carceri”. A questo si somma il fatto che “il piano carceri approvato nel 2012, in conseguenza di tagli da parte del Cipe di 228 milioni di euro, non prevede interventi sul carcere di Varese”. In conclusione la nota dell’assessore ammette amaramente che “in assenza di un Governo, anche azioni politiche di sensibilizzazione sono impraticabili”. Torino: l’Ipm Ferrante Aporti trasferito nella nuova palazzina recentemente ristrutturata di Antonio Pappalardo (Direttore CGM Piemonte) Comunicato stampa, 10 aprile 2013 Ho il piacere di annunciare l’avvenuto trasferimento in data odierna dello storico Istituto Penale minorile Ferrante Aporti dalla vecchia palazzina ove si trovava ormai da molti anni, in una nuova palazzina appositamente ristrutturata ed ubicata all’interno del medesimo complesso demaniale. I nuovi locali sono stati progettati e quindi ristrutturati secondo gli odierni orientamenti trattamentali per i giovani detenuti: un ampio piano terra ospita diverse grandi aule destinate alle attività scolastiche, formative, ricreative e culturali, che si affacciano in una grande piazza coperta che sarà utilizzata ordinariamente per attività teatrali e saltuariamente per eventi ed iniziative varie. Il primo piano ospita invece quattro sezioni detentive da 11 posti letto ciascuna, tre delle quali sono attive dalla data odierna. Tutti gli ambienti sono adeguatamente illuminati con luce naturale e le pareti sono decorate con colori pastello. Il nuovo Istituto si trova all’interno di un’ampia area attrezzata con un campo da calcio regolamentare, campo sportivo per basket e volley e un’ampia area verde; il campo di calcio è provvisto di gradinate per gli spettatori e di spogliatoi per le squadre ospiti, pertanto si auspica di poter presto organizzare incontri di calcio di squadre esterne con i giovani detenuti. L’inaugurazione ufficiale del nuovo Istituto Penale avrà luogo in data 22 aprile 2013 con le seguenti modalità: ore 8.45 saranno ricevuti i giornalisti per una conferenza stampa e visita dei nuovi locali; ore 9.30 fine della conferenza stampa ed ingresso delle Autorità; ore 10.00 inizio della cerimonia alla presenza delle Autorità e dei giovani detenuti. Seguirà comunicato stampa e formali inviti a testate giornalistiche a ridosso dell’evento. Ringrazio anticipatamente per la diffusione della notizia attraverso gli organi di stampa. Libri: “Cucinare in massima sicurezza”, ovvero l’Artusi dei carcerati di tutta Italia Redattore Sociale, 10 aprile 2013 Manici di scopa per matterello, spazzolini da denti e lame da tempera matite per tagliare la carne. Sono alcuni degli strumenti improvvisati usati dai detenuti in alta sicurezza per cucinare. La loro esperienza in un libro (Stampa Alternativa). “Cucinare in massima sicurezza”, ovvero l’Artusi dei carcerati di tutta Italia. Certo, non ci saranno le quasi 800 ricette che hanno reso celebre il manuale di Pellegrino Artusi, per il resto però c’è tutto: ci sono gli ingredienti, ci sono le istruzioni, ci sono le illustrazioni che rendono al meglio il percorso a ostacoli che porta a fare il pane, i dolci, gli antipasti nelle condizioni che solo un carcere per ergastolani può “offrire”: pochissimi strumenti a disposizione, rigide prescrizioni di sicurezza e spazi comuni ridotti al minimo. Per i “rotolini stuzzicanti” con prosciutto cotto e sottilette sarà meglio procurarsi un manico di scopa per farne un matterello, un pennello da barba per spennellare gli involtini con dell’uovo sbattuto, uno sgabello e un telo da bagno per un improvvisato sgabello-forno. Per fare il pane servirà una televisione accesa, altrimenti addio lievitazione. Per la cassata siciliana bisognerà trovare della carta argentata da sigarette e della colla stick per portare il forno a 180 gradi. Tutte ricette contenute in “Cucinare in massima sicurezza” (edizioni Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri), 150 pagine frutto dell’esperienza e del lavoro in cucina dei detenuti delle sezioni carcerarie di alta sicurezza, persone che devono scontare il cosiddetto “ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio”, che colpisce i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti e sequestro di persona. Fine pena mai. “Cucinare in massima sicurezza” è una riedizione aggiornata e in “massima sicurezza”, appunto, del ricettario dal carcere “Il gambero nero”, pubblicato nel 2005 da Derive Approdi. Un libro costruito dopo un anno di visite ai detenuti, osservando e fotografando i piatti da loro preparati. Il risultato è stato un volume fotografico con oltre 100 immagini che raccontano abitudini alimentari - e sociali - dei carcerati. Un’operazione impossibile nelle sezioni a massima sicurezza, e infatti al posto delle foto in “Cucinare in massima sicurezza” ci sono i disegni. Il libro si presenta come qualsiasi ricettario di cucina, ci sono le varie sezioni (antipasti, primi, secondi, contorni, dolci e bevande) e c’è una parte con l’elenco degli “strumenti” disponibili in un carcere di massima sicurezza. Forbicine sì, ma per bambini e con le punte smussate; così come la grattugia sarà autoprodotta e in legno. “Con questo ricettario - scrivono gli autori nell’introduzione - non si vuole insegnare a cucinare, si vuole invece dare importanza ai vari strumenti ricavati dagli oggetti più banali, per noi molto utili nella preparazione dei cibi”. Oggetti semplici che vengono impiegati in maniera geniale e che acquistano un valore decisivo, perchè in carcere il momento del pasto è uno dei pochi in cui è ancora concessa la condivisione. “In carcere - spiega Ivano Rapisarda, dietro le sbarre da 40 anni e detenuto a Spoleto - incontriamo volontari con cui possiamo seguire corsi di informatica e grafica. Tra una lezione l’altra, assieme a Matteo Guidi, uno dei volontari, è venuta fuori l’idea di un libro di ricette. Al progetto ha partecipato inizialmente un gruppo di detenuti tutti ergastolani tranne 2 che hanno comunque da scontare 30 anni”. Col tempo si sono aggiunti altri partecipanti da un po’ tutta Italia, ed è nato il libro. Prima una pubblicazione artigianale in 200 copie, ora un volume vero e proprio che a breve sarà presentato in varie città d’Italia e si troverà in libreria a partire dal 17 aprile. “La parte più impegnativa è stata fare i disegni che in qualche modo rappresentano i vari oggetti creati per cucinare - spiega Marco Trudu. Dovrebbe essere un’operazione banale, ma cucinare qui dentro non lo è perchè devi saperti arrangiare. Con la moka si può stirare, con uno spazzolino da denti e una lama di tempera matite ci puoi tagliare carne e salame. Così anche noi possiamo mangiare come tutti”. Fossano (Cn): il progetto “Corti Dentro” tra le novità del XVII Valsusa Filmfest di Davide Dutto Ristretti Orizzonti, 10 aprile 2013 Sabato 12 aprile alle ore 16.00 Nella Casa di Reclusione di Fossano (Cn) e nel Cinema Comunale Condove, proiezione opere della sezione di concorso “Cortometraggi - Camminando sul filo. Ritratti al femminile”. Tra le novità del XVII Valsusa Filmfest, il progetto “Corti Dentro”, in collaborazione con le associazioni Sapori Reclusi e Rete del Caffè Sospeso, porta il Valsusa Filmfest dentro la Casa di Reclusione Santa Caterina di Fossano e, per la sezione “Cortometraggi - Ali della libertà”, crea una giuria mista composta dalla giuria del festival e da una selezione di detenuti. Le opere verranno proiettate contemporaneamente il 13 aprile dalle ore 16.00 nel cinema di Condove (To) e nel carcere, grazie ad un collegamento skype autorizzato dal Ministero dell’Interno, all’inizio ed al termine delle proiezioni. Per questa occasione il carcere aprirà le porte alla giuria estera che insieme alla giuria dei detenuti decideranno i vincitori; una cena curata da Sapori Reclusi in collaborazione con chef amici e detenuti concluderà la giornata vissuta tra immagini, parole e cibo, sul filo della libertà d’espressione. La comunicazione live via skype permetterà all’evento che si svolge nel carcere di essere in connessione con il mondo esterno e tramite i social network sarà possibile commentare e interagire. Nel mese di marzo un laboratorio di avvicinamento alla produzione filmica ha conseguito il duplice obiettivo di coinvolgere i detenuti e definire la giuria: i detenuti hanno visionato filmati selezionati nelle precedenti edizioni del Valsusa Filmfest e sviluppato un’analisi insieme a collaboratori del festival. L’idea del progetto è nata in un recente incontro dell’associazione “Rete del Caffè Sospeso - festival, rassegne e associazioni culturali in mutuo soccorso” (alla quale aderiscono sia il Valsusa Filmfest che Sapori Reclusi) in cui si decise di attivare collaborazioni con le case circondariali per consentire ai detenuti di vedere cortometraggi che normalmente vengono proiettati solo nei festival di settore. Il primo di questi appuntamenti si è svolto il 20 dicembre 2012, sempre nel carcere di Fossano, in un incontro con i detenuti e con un gruppo di studenti di Mondovì in cui, dopo un breve dibattito, sono stati visionati sette cortometraggi selezionati dall’archivio del festival valsusino. Dopo questa positiva esperienza il Valsusa Filmfest ha deciso di continuare l’esperimento con la collaborazione dell’associazione Sapori Reclusi e con la definizione del progetto “Corti Dentro”. Mondo: Amnesty; nel 2012 sono state messe a morte almeno 682 persone in 21 paesi Asca, 10 aprile 2013 Nel 2012 sono state messe a morte almeno 682 persone in 21 paesi, rispetto alle 680 esecuzioni registrate nel 2011. La maggior parte delle esecuzioni ha avuto luogo, nell’ordine, in Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Stati Uniti d’America e Yemen. È quanto emerge dal rapporto sulla pena capitale nel mondo 2012 diffuso oggi da Amnesty International, secondo cui gran parte delle esecuzioni si sono concentrate sostanzialmente in due regioni: Medio Oriente e Asia. Nell’intero continente africano, invece, vi sono state condanne in soli cinque paesi. L’Oceania è libera dalla pena di morte e, se non fosse per gli Usa e la Bielorussia, lo sarebbero a loro volta le Americhe e l’Europa. Dal canto suo, la Cina avrebbe messo a morte migliaia di persone, ma il numero reale non è stato reso noto a causa della segretezza imposta da Pechino. I dati di Amnesty, infatti, non comprendono le esecuzioni ordinate dal governo comunista cinese. Vi è stata inoltre una crescita allarmante delle esecuzioni in Iraq, dove sono state messe a morte almeno 129 persone, quasi il doppio rispetto alle 68 del 2011. Nel complesso, durante tutto il 2012, 21 paesi - uno su 10 - hanno eseguito condanne a morte. Il numero resta pertanto uguale al 2011, ma è diminuito di un quarto rispetto a quello di un decennio prima (28 paesi nel 2003). Commutazioni o provvedimenti di grazia in favore di prigionieri condannati a morte sono stati registrati in 27 paesi, rispetto ai 33 del 2011. Riguardo alle condanne emesse, lo scorso anno queste sono state almeno 1722 in 58 paesi, un dato in diminuzione rispetto alle 1923 condanne a morte inflitte in 63 paesi nel 2011. Il 2012 ha tuttavia visto la ripresa delle esecuzioni in paesi che da tempo non facevano ricorso alla pena capitale, come Gambia (quasi tre decenni), India (oltre otto anni) e Pakistan (oltre quattro anni). Per uccidere in detenuti sono stati utilizzati seguenti metodi: decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione. In alcuni paesi, come ad esempio la Bielorussia e il Giappone, i prigionieri non sono stati persino avvisati dell’imminente esecuzione e non in rari casi i corpi delle vittime non sono stati nemmeno restituiti alle famiglie. L’Arabia Saudita, la Corea del Nord, l’Iran e la Somalia hanno ospitato numerose esecuzioni in pubblico. In Africa sono state eseguite almeno 40 condanne a morte in cinque paesi dell’area subsahariana. In tutta l’America, gli Usa, sono stati l’unico paese a eseguire condanne a morte: come nel 2011 sono state 43, ma in soli nove stati, rispetto ai 13 dell’anno precedente. Ad aprile il Connecticut è diventato il 17esimo stato abolizionista. Tra l’Asia e il Pacifico sono state eseguite almeno 38 condanne a morte, in otto diversi paesi. Mentre sono sei i paesi nella regione Medio oriente-Africa del nord dove sono state eseguite condanne: almeno 557. Emirati Arabi: uccise un uomo durante lite, giovane condannato a morte Aki, 10 aprile 2013 Un giovane è stato condannato a morte per omicidio da un tribunale di Fujeirah, negli Emirati. Lo ha riferito il quotidiano “al-Khaleej”, precisando che il giovane, di nazionalità emiratina, prima dell’esecuzione subirà 80 frustate per aver assunto bevande alcoliche. Il detenuto, riporta il quotidiano del Golfo, è stato riconosciuto colpevole di aver accoltellato a morte un uomo, un beduino originario di Khor Fakkan, durante una lite scoppiata in un parcheggio di un hotel. Prima che fosse pronunciata la sentenza, il giovane ha tentato di discolparsi dicendo di aver agito per autodifesa e sotto l’effetto di alcol.