Giustizia: prevenire è rieducare di Concita De Gregorio La Repubblica, 9 agosto 2013 Inasprire le pene non basta, naturalmente, e forse non serve. Le buone leggi non sono quelle che nascono dalle pessime abitudini e tentano di sanarle, condonarle, depenalizzarle, regolarle e infine punire, sì, chi davvero esagera. Di quelle siamo pieni. Le buone leggi sono quelle che provano a indicare una rotta, e la tracciano. Sono quelle che tentano di definire il perimetro di ciò che la cultura civile deve (dovrebbe) ritenere giusto e lecito e non nascono allo scopo di contenere il danno dei comportamenti diffusi, illeciti o criminali, ma hanno l’ambizione di cambiare le regole della convivenza nella testa e nel cuore dei cittadini prima che nelle aule di tribunale. In questo caso inasprire la pena è eventualmente un segnale, appena un inizio. Forse un deterrente, in qualche raro caso, ma non basta e non serve. È piuttosto difficile difatti immaginare che chi massacra di botte una donna sia dissuaso dal farlo dalla consapevolezza, ammesso che ce l’abbia, che rischia cinque o dieci anni in più di galera. Non è l’ergastolo eventuale a fermare la mano di chi fa a pezzi la moglie e la seppellisce in giardino, né l’eventualità di un arresto può cambiare l’atteggiamento di chi picchia abitualmente la donna con cui vive, e se ci sono i figli ad assistere pazienza, anzi meglio così imparano subito come va il mondo. È semmai, caso per caso, l’educazione che quell’uomo ha ricevuto in famiglia e a scuola, le parole e i gesti che ha visto e sentito per decenni tutto attorno a sé, da suo padre e sua madre, nella vita e in televisione, è lo sguardo degli altri sul suo. Lo sguardo degli altri: se sia indulgente, indifferente o feroce. La disapprovazione sociale, il disprezzo di chi ti sta intorno: questo sì, forse, può fermarti. In questo senso la parte più interessante del decreto che vuole combattere la violenza sulle donne - violenza che dilaga da anni dietro una soglia di vigilanza laschissima, un generale compatimento compiaciuto - non è la prima, pene più severe, ma la seconda e la meno nitida, quella che parla del “pacchetto di provvedimenti di prevenzione”. Certo. È più difficile e ci vuole più tempo. Eppure non c’è altro modo che non sia quello di cominciare dalle scuole, dall’educazione in classe, dal non consentire alle femmine quello che è consentito ai maschi, dalla formazione di personale che sappia parlare ai più piccoli perché sono i bambini quelli che tornano a casa e insegnano severi agli adulti: questo non si fa. Dal rifinanziamento dei centri antiviolenza, in via di scomparsa. Dall’evitare, quando vai a denunciare che il tuo ex ti perseguita o che il tuo compagno ti riempie di botte, che non ci sia solo, come spesso accade, qualcuno al commissariato che ti dice “Signora, torni a casa”. Ci vogliono molti soldi, per fare tutto questo, ma prima ancora ci vuole la consapevolezza che si tratta di una priorità assoluta: culturale, non giudiziaria. Perché poi le regole, quando sono da sole a combattere la loro guerra, sembrano ingiuste anche quando sono giuste. Dire che la pena sarà di un terzo più severa nel caso in cui le vittime siano incinte o mogli o compagne o fidanzate del carnefice è comprensibile, dal punto di vista del legislatore, perché sì che battere una donna che aspetta un bambino o che ha un vincolo di fiducia con chi la aggredisce è più grave. Ma stabilisce anche una discriminazione culturalmente delicatissima verso le donne che non fanno figli e non hanno legami con un uomo. In che senso uccidere una donna non sposata e non madre è meno grave? Vale forse di meno per la società? Infine. Che la querela non sia ritirabile è decisione ottima, giacché chi è vittima di violenza è anche in genere vittima di intimidazione. Tuttavia nella grande maggioranza dei casi le donne offese non sono in condizione di denunciare. Perché non sanno, non possono, a volte perché non vogliono. Ciò che emerge alle cronache è una parte minima di ciò che accade. Ci sono dunque casi in cui si dovrebbe poter procedere d’ufficio. Non lasciare sole le donne che subiscono violenza significa anche alleggerirle dal peso di una scelta a volte tremenda, in specie se ci sono figli piccoli o se la donna dipende economicamente dall’uomo. Andare a controllare, verificare, assisterla anche se non è lei a chiederlo. Trattare poi le minacce verbali, quando avvengono per scritto su Internet attraverso i social media, alla stregua dei vecchi biglietti sotto la porta o delle scritte sul finestrino della macchina, è semplicemente prendere atto del fatto che esistono forme di comunicazione ormai non più così nuove, adeguarsi a una realtà evidente e prenderla finalmente in considerazione. È una buona notizia, che questo decreto ci sia. Che Josefa Idem l’abbia voluto come primo atto del suo breve mandato, sarebbe stata un buon ministro e lo sa bene Enrico Letta che dopo averla invitata a dimettersi con intransigenza fortemente diseguale ieri l’ha pubblicamente ringraziata. È una buona notizia che tenga conto della convenzione di Istanbul ratificata poche settimane fa in un’aula parlamentare deserta. Quell’aula era deserta, però. Come se questi fossero atti dovuti che non cambiano le cose, non interessano nessuno. È da quel vuoto, da quel che c’è nella testa di chi si volta dall’altra parte, che si deve partire. Giustizia: il Senato approva lo “svuota-carceri” e il Governo nuove misure sulla sicurezza Corriere della Sera, 9 agosto 2013 Il Senato approva in via definitiva con 195 sì e 57 no il decreto “svuota carceri”, tra le polemiche della Lega. Mentre il governo vara il decreto con le misure per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Legge sulle carceri La detenzione preventiva sarà disposta solo per delitti puniti con pene massime non inferiori a 5 anni. Una deroga non esclude dal novero dei reati il finanziamento illecito ai partiti. Quando la pena residua non supera i 3 anni (o 4 nel caso di donne incinte e malati gravi) e i 6 per reati legati alla tossicodipendenza, se ne sospende l’esecuzione applicando se possibile la libertà anticipata. La misura non riguarda i condannati per delitti gravi e per furto in abitazione e con strappo, stalking, maltrattamenti in famiglia e incendi boschivi. Cadono i limiti per la concessione di domiciliari o libertà anticipata ai recidivi (applicabili solo una volta ai recidivi reiterati). E ci saranno più occasioni di lavoro esterno per i detenuti in progetti di pubblica utilità o in attività a sostegno delle famiglie delle vittime. Inoltre, è concesso un credito d’imposta alle imprese che assumono detenuti. Decreto sicurezza Le norme varate dal governo accelerano la realizzazione degli interventi per il “Pon Sicurezza”, sbloccando risorse per finanziare il pagamento degli straordinari a poliziotti e carabinieri e recuperando fondi per lo svolgimento dei servizi della Polstrada. Destinati 231 milioni di euro al ministero dell’Interno. Sport e violenti Per tre anni sarà consentito l’arresto differito di violenti in occasione di manifestazioni calcistiche e sportive. La norma finora ha diminuito “gli eventi con vittime (-29,3%)” ed è aumentato il “numero di autori di episodi di violenza denunciati (+44%) e arrestati (+30%)”. Rapine e ricettazione Inasprite le pene se la rapina è commessa a danno di persone over 65, o in presenza di minori e, oltre che in casa, anche in altri luoghi di cosiddetta “minorata difesa”. Più severe anche quelle per la ricettazione se il fatto si riferisce a denaro o cose provenienti da rapina aggravata o estorsione. Militari Più flessibilità nell’impiego del contingente di 1.250 membri delle Forze armate nel controllo del territorio. I militari potranno essere usati anche per compiti diversi dai servizi di perlustrazione e pattugliamento. Identità digitale Innalzamento della pena e la procedibilità d’ufficio per il delitto di frode informatica. Protezione civile Ampliato il periodo dello stato di emergenza (180 giorni prorogabili per 180). Si prevede, usando un apposito fondo emergenze, che si possa far fronte al primo ristoro dei danni subiti dalle attività economiche e produttive. Nuove disposizioni sulla funzionalità dei Vigili del Fuoco, la cui operatività è potenziata. Furti di rame Pene più severe per il furto di componenti metalliche e di altri materiali pregiati - per esempio il rame - sottratti a impianti e infrastrutture designati all’erogazione di energia elettrica e di altri servizi pubblici tra cui trasporto e telecomunicazioni. Giustizia: nel pacchetto-sicurezza misure contro il femminicidio e lo stalking, ma non solo Il Manifesto, 9 agosto 2013 Pene più severe per chi invade i cantieri dell’Alta velocità. Prorogato l’arresto differito per gli ultrà. Passerà forse alla storia come il decreto contro il femminicidio, ma in realtà il provvedimento messo a punto dal ministro degli Interni Alfano e approvato ieri dal consiglio dei ministri è un nuovo pacchetto sicurezza che oltre a colpire la violenza contro le donne mette nel mirino anche le manifestazioni No Tav in Valsusa. “Quando lo Stato decide di realizzare un’opera pubblica, questa deve essere realizzata e chi aiuta lo Stato a realizzarla deve essere difeso”, ha spiegato ieri Alfano riferendosi ai cantieri aperti per la realizzazione dell’alta velocità Torino-Lione. Ma vediamo quali sono i punti più importanti del pacchetto. Femminicidio e stalking Le nuove norme prevedono un inasprimento delle pene quando i maltrattamenti avvengono in famiglia davanti a un minore nel caso in cui a essere vittima di violenza è una donna incinta, oppure si tratta di un coniuge, anche se separato o divorziato, o il partner. Per lo stalking viene ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti, che vengono estese ai fatti commessi dal coniuge, ma anche per gli atti compiuti con strumenti telematici e informatici. Il testo prevede anche l’irrevocabilità della querela per gli atti persecutori, che vengono di fatto inseriti tra quelli ad arresto obbligatorio. Previsto infine anche l’allontanamento obbligatorio dalla casa di famiglia dell’autore delle violenze (nel caso di violenze domestiche) e il divieto di avvicinarsi all’abitazione della vittima. Infine viene esteso ai delitti di maltrattamento contro familiari e conviventi il ventaglio di ipotesi per le quali è previsto l’arresto in flagranza, viene garantito il gratuito patrocinio per le vittime e la possibilità per le donne immigrate vittime di violenza di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. No Tav L’articolo 8 del decreto prende di mira le manifestazioni contro l’alta velocità inasprendo le pene per chi si introduce abusivamente nel cantiere di Chiomonte o violerà le zone di interesse strategico per l’opera. Si tratta dell’estensione di una norma varata dal governo Monti e limitata al cantiere per il tunnel geognostico Susa/Bussoleno. Il divieto di accesso vale ora per “tutte le aree e i siti individuati per la realizzazione della sezione transfrontaliera”. È previsto infine il rafforzamento del contingente militare in Valsusa. Manifestazioni sportive Esteso per altri tre anni l’arresto differito in caso di violenze compiute durante manifestazioni sportive. Secondo il governo la norma finora “non solo ha diminuito gli eventi in cui vi sono state vittime di tali fenomeni (-29,3%) ma ha visto anche un significativo incremento del numero degli autori di episodi di violenza denunciati (+44%) e arrestati (+30%). Furti di rame Pene più severe anche per quanto riguarda il furto di componenti metalliche e di altri materiali pregiati (ad esempio in rame) sottratti ad impianti ed infrastrutture designati all’erogazione di energia elettrica e di altri servizi pubblici tra cui quello di trasporto (in particolare le ferrovie) e le telecomunicazioni. In relazione a questa specifica ipotesi di furto, viene introdotta una circostanza aggravante che prevede pene da tre a dieci anni di reclusione. Rapine Per quanto riguarda il contrasto alle rapine, si è stabilito di inasprire le pene se il fatto è commesso a danno di persone ultrasessantacinquenni; in presenza di un minore; oltre che in abitazione, anche negli altri luoghi di cosiddetta “minorata difesa”. Militari Nuove norme anche per quanto riguarda una maggiore flessibilità dell’impiego del contingente di 1.250 appartenenti alle Forze armate nel controllo del territorio stabilendo che questo possa essere impiegato anche per compiti diversi dai servizi di perlustrazione e pattugliamento. Protezione civile Il decreto da un lato amplia il periodo dello stato di emergenza (pari a 180 giorni prorogabili per ulteriori 180), dall’altro specifica natura e tipologia degli interventi realizzabili: oltre a quelli di primo soccorso e di ripristino della funzionalità di infrastrutture e servizi, si prevede, utilizzando un apposito fondo emergenze, che si possa far fronte al primo ristoro dei danni subiti dalle attività economiche e produttive. Introdotte disposizioni anche relative alla funzionalità del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, potenziandone l’operatività. Giustizia: le nuove regole, cominciando dalla querela irrevocabile, garantiranno le donne di Luisa Pronzato Marta Serafini Corriere della Sera, 9 agosto 2013 Tante le attese e altrettanti i dubbi sui provvedimenti del decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri in materia di prevenzione e contrasto della violenza di genere. Che cosa cambierà per davvero? Puntare praticamente solo su misure di repressione riuscirà ad arginare violenza e maltrattamenti e a ridurre il numero dei femminicidi? Abbiamo cercato di capire che cosa potranno cambiare le nuove regole. Quando e come le nuove norme garantiranno sostegno e tutela alle donne. Abbiamo cercato le risposte analizzando il testo del decreto con l’aiuto della criminologa Anna Costanza Baldry e della giurista Laura De Rui per capire quali siano i punti di forza e quali invece i punti critici. Il decreto legge prevede l’inasprimento delle pene in caso di maltrattamento in presenza dei minori (la cosiddetta violenza assistita), in caso di violenza sessuale su donne in gravidanza e per il coniuge, anche se divorziato o separato. Tutto ciò farà diminuire conflitti e abusi tra le coppie ancora formate o in via di separazione? È pacifico che la misura della pena soprattutto se è un’aggravante non serve come deterrente. Non è tanto l’ammontare della pena a contribuire, quanto la certezza e la velocità della pena. E lo dimostra il fatto che chi uccide poi spesso si costituisce. Le pene già previste dal codice penale erano sufficienti. Dunque inasprirle non porta benefici, se non a livello simbolico. Ancora accade che gli imputati non arrivino a giudizio perché ci sono magistrati che chiedono l’archiviazione anche su casi conclamati. Altra novità è la possibilità per gli inquirenti di raccogliere le testimonianze in modalità protetta. Ossia, la vittima può essere interrogata senza aver di fronte il compagno. Un passo in avanti, dunque? Il principio è sacrosanto e permette alla donna di non subire una violenza secondaria, di tipo psicologico, fatta di sguardi e di minacce sottintese che potrebbero inficiare la testimonianza. Uno dei cardini è la querela irrevocabile, ossia una volta che è stata presentata denuncia, questa non può più essere ritirata in modo da sottrarre la vittima al rischio di nuove intimidazioni allo scopo di farla desistere. Sicuramente questo disincentiva altri episodi di stalking e impedisce che l’uomo continui a vessare la donna per convincerla a tornare sui suoi passi. C’è però un’altra faccia della medaglia. Il rischio è che la donna, sapendo di non poter più tornare indietro, si precluda a priori la possibilità di sporgere denuncia. Dunque ha senso rendere irrevocabile la querela solo se l’assistenza legale è immediata e se, nel caso in cui si renda necessaria, questa venga affiancata da assistenza psicologica. Altra novità è l’arresto in flagranza obbligatorio in caso di maltrattamenti su famigliari e conviventi. Cosa viene prima? È necessaria una preparazione adeguata delle forze dell’ordine affinché sappiano riconoscere e valutare le situazioni di rischio. Ma soprattutto questa è una scelta che va accompagnata ad un adeguato sostegno alla donna di tipo psicologico, legale, economico e logistico. Cacciare il marito o il compagno di casa - come previsto dal decreto - è così semplice? Anche su questo fronte è necessaria una formazione degli operatori. Poi indispensabile è il coordinamento tra procure, servizi sociali, centri antiviolenza, ospedali e commissariati in modo che il primo luogo a cui la donna si rivolge si attivi e faccia rete con gli attori in campo, affinché ciascuno contribuisca secondo le sue competenze. Il tutto in modo tempestivo. Il tempo infatti nei casi di violenza è una variabile fondamentale. Si parla anche di potenziare i centri antiviolenza e i centri di assistenza. Questo decreto legge non sembra essere affiancato da stanziamenti finanziari. E il rischio è che la lotta alla violenza si trasformi in belle parole. Il decreto prevenzione e contrasto alla violenze riuscirà a limitare il numero dei femminicidi? È una strada. Per quello che significa il decreto. E cioè riconoscere che maltrattamenti e atti persecutori sono reati gravi. Tuttavia la prevenzione dei femminicidi necessita un approccio strutturale e non di una singola legge. La violenza sulle donne non si risolve come un reato qualunque. Giustizia: Ucpi; dal Governo ancora misure demagogiche e arretramento civiltà giuridica Ristretti Orizzonti, 9 agosto 2013 Le anticipazioni sul Dl licenziato oggi dal Consiglio dei Ministri in materia di “femminicidio”, segnano un nuovo e sempre più inquietante capitolo della insensata corsa al rialzo ingaggiata dalla maggioranza di Governo con le peggiori istanze demagogiche provenienti dalle opposizioni in materia penale. Dopo aver licenziato un Dl annunciando misure per contenere l’eccessivo ricorso al carcere, peraltro in massima parte abortite in sede di conversione, si rilanciano oggi nuove ipotesi di custodia cautelare, di arresto obbligatorio oltre ad una pioggia di inasprimenti di pena per reati oggetto di campagne giornalistiche ma dei quali si ignorano i dati criminologi. L’Unione delle Camere Penali da anni si batte perché il sistema delle sanzioni sia rivisto in base a criteri oggettivi, quali il rilievo del bene giuridico protetto dalla singola norma penale, invitando - con la migliore dottrina - ad evitare di legiferare sull’onda emotiva di fatti di cronaca o del bisogno di lanciare rassicurazioni di facciata all’opinione pubblica fomentata da campagne di stampa. Non è questo un modo serio di legiferare in campo penale, e non è con la gara a chi fa la faccia più feroce che si affronta il problema giustizia. Non per caso siamo agli ultimi posti delle classifiche mondiali: è il risultato di una produzione legislativa simbolica, emotiva, basata sul piccolo cabotaggio politico, ma soprattutto schizofrenica rispetto alle stesse analisi governative che pure ammettono il fallimento delle politiche carcerocentriche seguite negli ultimi vent’anni. L’introduzione di figure come l’anonimato dei denunciati, l’arresto obbligatorio per il reato di maltrattamenti in famiglia, l’espansione della cosiddetta flagranza differita, fa arretrare il paese rispetto ad elementari standard di civiltà giuridica che pensavamo acquisiti. Si tratta di figure che ribaltano il principio costituzionale della presunzione di innocenza, per di più in una materia, quella dei rapporti familiari, che si presta anche ad accuse strumentali sulla base delle quali domani si andrà direttamente in galera senza alcun filtro preliminare: uno scenario preoccupante che, se accontenta le istanze dei forcaioli equamente distribuiti tra maggioranza ed opposizione, certamente imbarbarisce il sistema. Peraltro, per ragioni di pura propaganda, si abusa per l’ennesima volta in tema di sicurezza dello strumento del decreto legge, senza che vi siano i requisiti d’urgenza, mentre non lo si usa per questioni, come il sovraffollamento carcerario, dove l’urgenza è sotto gli occhi di tutti. La già programmata astensione dalle udienze dei penalisti acquista oggi nuove ragioni. Giustizia: ma quale "svuota-carceri"? la strana alleanza Pdl-Lega-M5S vuole "tutti dentro" di Ermes Antonucci Notizie Radicali, 9 agosto 2013 Già dal nome che gli era stato affibbiato – “legge svuota carceri” – si era compreso che il cammino del decreto legge “recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”, firmato dal ministro della giustizia Annamaria Cancellieri, non sarebbe stato facile. E infatti il testo approvato due giorni fa dalla Camera, che ora torna di nuovo al Senato, pare contenere ben poco dei propositi iniziali. Il decreto concepito da Cancellieri mirava ad agire in una duplice direzione, quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione. Da una parte si favoriva il ricorso a misure alternative al carcere (detenzione domiciliare, affidamento ai servizi sociali, lavoro di pubblica utilità, permessi premio) per le persone considerate “di non elevata pericolosità”, dall’altra si limitava l’uso della carcerazione preventiva (che oggi riguarda il 40% dei detenuti). Le proposte avrebbero avuto effetto su “5-6mila persone nell’arco di due anni”, insomma poco, molto poco, se si tiene conto che sono circa 20mila i detenuti già oltre la capienza disponibile. Di questo il ministro Cancellieri sembrava esserne consapevole, tant’è che fu lei nella conferenza stampa del governo a lanciare un messaggio molto chiaro, dicendosi convinta della “necessità dell’amnistia”. Il testo, in pratica, rappresentava solo un minimo punto d’inizio per la trattazione e la risoluzione di un problema che affligge strutturalmente il sistema-Paese italiano. Come se ciò non bastasse, però, la discussione portata avanti alla Camera ha finito col produrre un testo che stravolge completamente i provvedimenti presenti nella versione originaria del decreto. Tutto ciò grazie all’azione non solo del blocco di centrodestra Pdl-Lega (che oggi, dopo 20 anni di promesse non mantenute, torna a parlare di riforma della giustizia, in maniera evidentemente strumentale), ma anche e soprattutto del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. E’ stata questa “strana maggioranza”, per esempio, a pretendere ed ottenere, al Senato e poi alla Camera, il ritiro di un emendamento che tendeva a ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere per i tossicodipendenti e per gli alcooldipendenti che stessero seguendo un programma terapeutico. Ma a sorprendere (?) è stato in particolare il comportamento dei deputati a 5 stelle. Sull’onda di un irrefrenabile istinto giustizialista, i grillini hanno deciso infatti di piegare una tematica così importante ed urgente – il sovraffollamento carcerario – alle proprie esigenze qualunquistiche-elettorali. Presentando, che combinazione, un emendamento che sopprime la possibilità per gli ultrasettantenni di scontare la pena ai domiciliari e non in carcere. Insomma, un modo molto semplice per smuovere le masse e poi, una volta ricevuta la netta bocciatura dall’assemblea di Montecitorio, gridare contro la casta politica ed applaudire polemicamente contro i banchi del Pd (sperando che qualcuno riprendi la scena per un immediato upload su Youtube). Il paradosso è che, come ha notato Luigi Manconi sull’Unità, i deputati 5 stelle “ossessionati dal desiderio di vedere Silvio Berlusconi in galera” hanno finito col proporre “misure di segno opposto alla ratio del decreto, finalizzate a incarcerare di più (almeno uno in più), piuttosto che ad affrontare il problema del sovraffollamento”. In questo delirio giustizialista, i grillini hanno trovato il pieno ed immancabile sostegno del Fatto quotidiano, che, tanto per distendere il clima politico, ha ribattezzato la legge “Salva-Silvio” e alimentato il sospetto che “l’obiettivo finale” della discussione sulle carceri sia proprio l’amnistia, vista come “il mezzo migliore per sistemare i problemi di tanti amici degli amici”. Così alla fine il risultato è che il già limitato decreto del governo – come ha segnalato con preoccupazione l’associazione Antigone – “è stato svuotato di ogni contenuto“. Non solo, “in tal modo si sono poste le basi per arrivare a 80 mila detenuti nei prossimi anni, un disastro visto che i posti letto sono meno di 40 mila”. Giustizia: Messina e Palomba (Idv); bene decreto… ma pene detentive andranno eseguite 9Colonne, 9 agosto 2013 “Il dl del governo contro la violenza sulle donne risponde ad un’idea giusta, salvi i necessari ritocchi tecnici. L’Italia dei Valori, nella precedente legislatura, ha portato avanti, con proposte concrete, una vera e propria battaglia per difendere dalle violenze le persone più deboli”. Lo affermano in una nota congiunta il segretario nazionale dell’Italia dei Valori, Ignazio Messina, e Federico Palomba, responsabile Giustizia del partito. “Non possiamo non rilevare - aggiungono - che, nel dl in questione, la maggiore tutela è affidata quasi esclusivamente al sistema penale. Questo è chiamato, in maniera crescente, ad una ipertrofia voluta anche da chi, per ragioni ad personam, vorrebbe depotenziarne le capacità. Stride che, da una parte, il governo presenti e faccia approvare uno svuota carceri, che deprime fortemente la forza del sistema penale, mentre, dall’altra parte, mostri di fare affidamento su di esso, come nel caso del dl contro il femminicidio”. “L’Italia dei Valori - proseguono - ha sempre e solo una linea: uno Stato serio deve accertare le sue capacità di eseguire le pene detentive e può decidere di mettere in campo una revisione globale ed organica del sistema sanzionatorio, ma la sanzione detentiva minacciata deve essere inflessibilmente eseguita per evitare di alimentare la cultura della scappatoia che è sempre latente, soprattutto in chi ha la violazione nel sangue. Il governo, quindi, non faccia annunci di facciata, al fine di ottenere consenso, per poi smentirli con altro mezzo”. “L’Italia dei Valori - concludono - è pronta a smascherare incoerenze o, peggio, giochi di prestigio”. Giustizia: Corte dei Conti; rieducazione carcerati non funziona, troppa disorganizzazione La Presse, 9 agosto 2013 Dove esistono laboratori e strutture di recupero i risultati sono soddisfacenti. Mancano però fondi e personale. Promossa la nuova organizzazione del ministero. La Corte dei conti boccia senza appello l’efficacia dei programmi di rieducazione dei detenuti. Sottolinea infatti, in una sua indagine, “carenze a livello pianificatorio caratterizzate dall’inadeguatezza di validi percorsi scolastici e formativi oltre che dall’insufficiente coordinamento sul territorio dei diversi soggetti istituzionali preposti”. L’indagine della Corte dei Conti aveva lo scopo di verificare “se e in che modo la finalità di assistenza e di rieducazione dei detenuti sia stata effettivamente assicurata, anche riguardo alla necessità di garantire al meglio la sicurezza sociale e di mitigare, se non eliminare del tutto, il problema del sovraffollamento degli istituti di pena”. Il responso è stato negativo. Infatti l’indagine ha evidenziato come i cosiddetti “programmi trattamentali”, in concreto, “abbiano avuto una difficile e faticosa attuazione, nonostante siano apparsi in grado di produrre sia benefici diretti sui destinatari degli interventi, che vantaggi indiretti sulla società nel suo insieme (che fruirebbe di un progressivo decremento dei pertinenti costi economici)”. Il piano funziona ma viene applicato male - In particolare, dall’indagine è emerso come “attraverso l’attivazione di laboratori e pratiche riformatrici si possano offrire mezzi, risorse e strumenti per abilitare o riabilitare socialmente e professionalmente il detenuto fuori dall’universo carcerario, ma sono emerse però delle carenze a livello pianificatorio caratterizzate dall’inadeguatezza di validi percorsi scolastici e formativi oltre che dall’insufficiente coordinamento sul territorio dei diversi soggetti istituzionali preposti”. Soltanto da pochi mesi, sottolinea la Corte dei Conti, “è stato sottoscritto un protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione nel quale sono stati previsti percorsi modulari e flessibili (anche con l’utilizzo di modalità digitali e del libretto scolastico) con i quali l’Amministrazione pensa di poter risolvere il succitato problema”. Manca anche un controllo dei risultati - Carenze sono state evidenziate anche “sul piano dei monitoraggi e degli indicatori, con conseguente difficoltà di verificare compiutamente gli effetti conseguiti a seguito delle condotte attività di rieducazione carceraria”. Troppo esigui i fondi a disposizione - Dal punto di vista finanziario, afferma la Corte dei Conti, “il sistema carcerario è tutt’oggi caratterizzato dall’estrema esiguità delle risorse assegnate, che, unitamente al sovraffollamento all’interno degli istituti penitenziari, ha finito per pesare negativamente e in modo incisivo sulle varie iniziative connesse ai trattamenti rieducativi”. Ma “i non soddisfacenti risultati raggiunti sono stati sicuramente determinati - afferma la magistratura contabile - anche da molteplici ulteriori fattori, tra i quali vanno annoverati: la complessità dell’organizzazione; l’esigenza - sovente non soddisfatta - di disporre di una pluralità di figure professionali; i tagli degli organici e la limitata possibilità di copertura dei medesimi a causa della vigente disciplina del turnover; i tagli lineari sullo specifico capitolo di bilancio”. Giustizia: Sappe; alloggi a pagamento nelle carceri per gli operatori della polizia penitenziaria? Ansa, 9 agosto 2013 Alloggi a pagamento nelle carceri per gli operatori della polizia penitenziaria dal primo di settembre: è la denuncia del Sappe, che cita una circolare a firma di Alfonso Sabella, direttore generale Beni e servizi del Dipartimento amministrazione penitenzia. Infuriato il segretario generale del sindacato, Donato Capece: "in piu' occasioni abbiamo definito quella penitenziaria una Amministrazione matrigna e nemica verso i poliziotti, che assume decisioni palesemente in contrasto con le regole minime del buon senso. Questa ora sembra una barzelletta: quegli agenti che sono costretti a dormire nelle caserme delle carceri, lontani dalle famiglie, perchè il loro stipendio non permette loro di potersi prendere una casa in affitto, che combattono ogni giorno nelle carceri la tensione determinata dal sovraffollamento, che accorrono anche fuori servizio in caso di eventi critici nei penitenziari ora -dice all'Adnkronos Capece- debbono pagare l'alloggio. Ci appelliamo al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri perchè sospenda questa assurda decisione". In caso contrario, aggiunge Capece, "il Sappe portera' prossimamente in piazza l'ira delle donne e degli uomini della penitenziaria che, nell'indifferenza dei piani alti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, combattono ogni giorno - nella prima linea delle sezioni detentive delle carceri, a bordo dei mezzi che trasportano i detenuti, nelle sale degli ospedali in cui piantonano i detenuti ricoverati - le gravi criticita' penitenziarie che si caratterizzano per il pesante sovraffollamento e la consistente carenza dei nostri organici". Giustizia: mio marito è morto nella caserma dei Carabinieri, adesso voglio sapere la verità di Alessandra Pieracci La Stampa, 9 agosto 2013 “Ieri era il suo compleanno, ma non ha fatto in tempo ad arrivare a 36 anni e nemmeno a festeggiare il 16 ottobre i nostri dieci di matrimonio. I miei due bambini non hanno più un papà”. Sonia Alberti è la vedova di Kayes Bohli, tunisino arrestato dai carabinieri per spaccio davanti al supermercato Lidl di Riva Ligure il 5 giugno e morto poco dopo, proprio nel giorno in cui veniva emessa a Roma la sentenza per il decesso di Stefano Cucchi. E quella stessa sera il procuratore di Sanremo Roberto Cavallone aveva lasciato una cena per correre all’obitorio a verificare che sul corpo non ci fossero segni di percosse o fratture evidenti. È partita così l’inchiesta che nei giorni scorsi è sfociata nei risultati clamorosi dell’autopsia, morte da schiacciamento della cassa toracica, con l’iscrizione nel registro degli indagati di tre carabinieri. “Lo Stato e le istituzioni devono chiedere scusa ai familiari e al popolo tunisino” ha dichiarato il magistrato. “No, non è stato un episodio di razzismo, anche se il razzismo esiste. È un episodio di violenza su cui ho fiducia che si faccia giustizia. Chiedo a chi sa di parlare, di raccontare quello che è successo. Voglio sapere chi ha fatto del male a mio marito” è l’appello della donna, assistita dall’avvocato Paolo Burlo. Kayes è stato sepolto in Tunisia, dopo una seconda autopsia in patria, come racconta la vedova. Sonia ha 37 anni; i figli 8 anni e mezzo e quattro. “Spero che diventino calciatori: era il sogno del loro padre”. Il più grande gioca come portiere nella Virtus Sanremo. “Erano attaccatissimi al papà: il piccolo dormiva con lui. Ora grida nella notte, si agita. Domani vedrò una psicologa, per affrontare questa situazione”. Hanno paura quando vedono uomini in uniforme? “No, li chiamano gli amici di papà, perché i carabinieri sono venuti tante volte in casa” spiega la vedova, con un sorriso che le stempera la tensione del volto. Uscito dal carcere dopo una condanna a 8 mesi per evasione (“Lo avevano sorpreso a portare fuori il cane mentre era ai domiciliari per un’altra storia”) Kayes Bohli si stava preparando alle vacanze in Tunisia. Con moglie e figli, si sarebbero imbarcati tre giorni dopo. “I bambini lo hanno visto per l’ultima volta la mattina: li avevamo accompagnati insieme a scuola e all’asilo, poi Kay mi aveva aiutato a lavare le scale. Sa, faccio qualche ora, mi arrangio come posso. Ci saremmo dovuti incontrare al campo di calcio, a prendere il grande. Invece so che nel pomeriggio mio marito è passato da casa, poi è uscito. Viviamo in una casa popolare di via Lamarmora. Con mio padre, che prende la pensione da manovale: 635 euro”. “Kayes è morto alle 20,30, in ospedale. Nessuno mi ha detto nulla sino alla mattina successiva. Il comandante della stazione di Santo Stefano al Mare ha telefonato alle 8 meno venti. “Venga subito, devo comunicarle una cosa grave che riguarda suo marito”. “Porto prima i bambini a scuola” gli ho risposto. Mi ha detto di far presto, che doveva andare via. Mi ha lasciato arrivare lì da sola. Poi mi ha raccontato quello che era accaduto, che un informatore li aveva avvertiti, Kay aveva cercato di scappare, lo avevano bloccato e quando ha perso conoscenza all’inizio pensavano che scherzasse, facesse finta” E lei? “Io ho pensato che forse aveva ingoiato qualcosa, chi sa, per non farsi trovare droga addosso. Forse lo avevano chiamato ed era andato per guadagnare qualche soldo prima di partire. Ma i carabinieri stessi mi hanno detto che non aveva inghiottito nulla, che aveva poca roba, qualche briciola in tasca. Ora so che se lo avessero lasciato respirare... Lo hanno schiacciato, gli è mancato l’ossigeno”. “Ho chiesto perché non ero stata avvertita subito - prosegue il racconto - Mi hanno risposto che si era fatto tardi, sapevano che avevo due bimbi piccoli e non volevano disturbare”. Sonia e Kayes si erano conosciuti quando lui, da Milano, era arrivato a Sanremo per incontrare il fratello più piccolo, poi tornato in Tunisia. E a Sanremo viveva anche un terzo fratello, più grande: è stato trovato morto nel box l’8 aprile di 5 anni fa per un colpo di pistola in bocca. “Hanno detto che era suicidio, ma io non ci credo”. I Carabinieri: il tunisino è uscito vivo dalla caserma “Codice giallo”. Quando lo spacciatore arrestato ha lasciato la caserma dei carabinieri per l’ospedale di Sanremo non era in pericolo di vita. È scritto nei tabulati del 118 di quel pomeriggio del 5 giugno. L’ossigenazione c’era e sarebbe anche stata buona. Come si spiega allora quella morte per soffocamento? E ancora: perché i volontari dell’ambulanza avrebbero chiesto ai militari di ammanettare il tunisino alla barella? Uno che sta morendo per asfissia non dà l’impressione di poter reagire, non c’è bisogno di tenerlo fermo. È la difesa dei tre carabinieri indagati per omicidio colposo a sollevare una serie di questioni che saranno formalizzate nei prossimi giorni in istanze alla procura. L’ufficio requirente le sue conclusioni, invece, le ha già tirate. L’autopsia dice che la morte è stata provocata da asfissia dovuta ad una pressione sulla cassa toracica (tra uno e tre minuti). Il pm Roberto Cavallone, che ha parlato senza mezzi termini di “responsabilità dello Stato nella morte del tunisino”, si è concentrato in particolare sulla ricerca dei “ruoli” dei tre carabinieri nella fasi concitate dell’operazione di polizia giudiziaria. E visto che i testimoni che hanno raccontato dell’arresto e della colluttazione avvenuti davanti al supermercato non sono stati illuminanti su quello schiacciamento del torace vuol dire (visto che il medico legale sostiene ci sia stato) che è avvenuto successivamente, nell’auto diretta in caserma o in caserma. Ma la caserma è appena a 500 metri dalla zona dell’arresto, troppo pochi per il lasso di tempo indicato dall’autopsia come in grado di fare danni. “Loro hanno la divisa, loro, i carabinieri, pensano di poter fare tutto quello che vogliono”. A continuare a far sentire la sua voce è Sonia Alberti, la moglie di Bohli Kayes, la vittima, parte offesa nel procedimento insieme ai due figli. Guarda la foto del matrimonio di dieci anni fa, celebrato in una villa che ospitò un giovane principe Ludwig a Sanremo: “Giorni felici - sospira - poi tanti momenti difficili e quell’epilogo sul quale è fondamentale venga fatta giustizia”. Dopo l’autopsia lo ha accompagnato in Tunisia dove è stato sepolto nella terra, avvolto in un sudario, come vuole il Corano. “Dovevamo andarci tutti in Tunisia. Avevamo i biglietti per la nave dell’8 giugno. Invece è cambiato tutto. Non so cosa, ma qualcosa gli hanno fatto. Gli devono essere saliti addosso, sopra. Mi hanno detto che sono grossi, muscolosi. Voglio la verità”. Intanto, il collegio difensivo composto dagli avvocati Fabrizio Spigarelli, Alessandro Mager e Alessandro Sindoni, attende la notifica dell’esito dell’autopsia per disporre una perizia di parte, determinante in vista del processo. E sarà uno scontro tra perizie a portare al verdetto finale. Sulla morte dello spacciatore tunisino intanto, al di là dei botta e risposta del mondo della politica, è intervenuto ieri anche il Cocer, rappresentanza dei carabinieri: “L’inchiesta della procura analizzerà tutti gli elementi di questa vicenda. L’Arma, come sua abitudine, fornirà tutta la collaborazione necessaria. Non affrettiamo però giudizi severi quanto imprecisi”. Il fascicolo è e rimane blindato sulla scrivania del procuratore Cavallone. Insieme a decine di altri che raccontano la storia inquietante di una Riviera dove il traffico di droga smuove interessi di milioni di euro all’anno. E dove si droga si muore. Anche come è morto Kayes. Lettere: sullo “svuota carceri”, polemiche tra Luigi Manconi (Pd) e il Movimento 5 Stelle L’Unità, 9 agosto 2013 Gentile Direttore, due giorni fa è stata licenziata dalla Camera la conversione del decreto-legge sull’esecuzione della pena, soprannominato dalla stampa “svuota-carceri”. Ci preme fare alcune sottolineature anche alla luce dell’intervento da parte del senatore Luigi Manconi (Pd) su queste colonne contenente alcune inesattezze. Come facilmente percepibile dagli emendamenti presentati in commissione giustizia, agli atti della Camera, e ancor più dalla conferenza stampa tenuta il 5 agosto scorso, la posizione del Movimento 5 Stelle è molto chiara. Da una parte, infatti, si critica la reale portata di norme che dovrebbe far uscire dalle carceri un numero imprecisato di detenuti. Una critica sul metodo, visto che il Governo non è stato in grado di fornire numeri certi e, ogni giorno, infatti, forniva cifre diverse. D’altra parte una critica nel merito. Affermiamolo chiaramente: si poteva fare molto di più. Ma, per volontà del Governo - e della maggioranza parlamentare Pd-Pdl - nulla si è voluta fare per modificare quelle norme che ingolfano i tribunali e le carceri italiane. Leggi che portano il nome di ministri come Bossi, Fini e Giovanardi, solo per fare un esempio. Se davvero si fosse voluto fare qualcosa di sostanziale, si sarebbero potute modificare quelle norme, magari anche con l’aiuto delle opposizioni. Ma, a quanto pare, non c’è la volontà del Pd di apportare una seria modifica alla politica penale perpetrata dai precedenti governi. Ma v’è più. Oltre le norme penali, il vero punto dolente del decreto “svuota-carceri” è rappresentato dalla proroga, al dicembre 2014 (ma forse ad libitum) dei poteri del Commissario Straordinario che, grazie al testo approvato alla Camera, potrà permutare, dismettere e vendere (o svendere) parte del patrimonio pubblico penitenziario, oltre poter costituire fondi immobiliari (le famigerate cartolarizzazioni di tremontiana memoria) e altresì le forme di partenariato pubblico-privato, facilmente paragonabili al cd project financing. Un commissario straordinario che, è doveroso sottolinearlo, allo stato attuale ha prodotto zero nuovi posti per detenuti. All’orizzonte, dunque, si profila una speculazione edilizia di vastissime proporzioni, tanto che, come Movimento 5 Stelle, abbiamo presentato uno specifico ordine del giorno, poi approvato, con cui si impegna il Governo a non vendere le carceri di Regina Coeli (Roma), San Vittore (Milano) e Piazza Lanza (Catania). Soprattutto alla luce del fatto che esiste un piano carceri “alternativo”, elaborato dagli stessi uffici del Dap, che consentirebbe agevolmente di uscire fuori dall’emergenza del sovraffollamento riportata drammaticamente d’attualità dalla e.d. sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo che impone al Paese di rimediare entro il maggio 2014. E i dati ci vengono in aiuto: attraverso questo piano ogni posto detenuto costerebbe 15mila euro circa contro i 235mila euro di quelli finora consegnati dal ministero delle Infrastrutture. Una differenza evidente ancor più se si considera che il suddetto piano ridarebbe dignità ai reclusi in termini di vivibilità. L’abbiamo anche segnalato al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, da cui attendiamo risposta a proposito di un incontro sul tema. In sintesi la nostra preoccupazione è che, con la scusa del sovraffollamento, emergenza provocata dalla stessa politica perpetrata fino a oggi, si voglia fare campagna elettorale e una becera speculazione da miliardi di euro sulle spalle dei detenuti e a spese dei cittadini. Ma di tutto ciò, evidentemente, il senatore Manconi non era informato. I deputati M5S della commissione Giustizia Qualche riga per rispondere ai deputati di 5 stelle. A proposito dello scandalo dell’edilizia penitenziaria voglio solo ricordare che esso va avanti da anni e anni. E da anni e anni si stanziano e si sprecano troppe risorse per carceri che non vengono costruite o che vengono costruite male. Il decreto appena approvato si limita a trasferire tutte le competenze al Commissario straordinario, istituito tre anni fa e che ha garantito, negli ultimi tempi, una correttezza e una trasparenza mai viste negli appalti gestiti ordinariamente dalle amministrazioni dei lavori pubblici e della giustizia. Ma non è questo il cuore del decreto, e non è questo, in ogni caso, che può contribuire alla soluzione del problema del sovraffollamento penitenziario. Giustamente i deputati di 5 stelle dicono che il Governo avrebbe potuto avere più coraggio, e intervenire sulle leggi criminogene in materia di sostanze stupefacenti e di immigrazione: vero, e in questo senso andavano alcuni emendamenti proposti dal gruppo Pd al Senato. E tuttavia, a parte un emendamento firmato Turco Tancredi (3.127), nell’esaminare il decreto non ho trovato una sola proposta, non una, dei parlamentari di 5 stelle contro la legge Bossi-Fini e contro quella Fini-Giovanardi. E purtroppo ho trovato più di un intervento a sostegno di emendamenti di Lega e Pdl contro la modifica della legge Cirielli, contro la limitazione della custodia cautelare ai reati più gravi, e addirittura un emendamento di 5 Stelle (n. 2.15, Colletti e altri) contro la possibilità di concedere la detenzione domiciliare ai giovani adulti, tra i diciotto e i ventuno anni per esigenze di salute, di studio o di lavoro. Con sincero rincrescimento, pertanto, devo confermare che il mio articolo di mercoledì scorso non era in alcun modo “disinformato” né “inesatto” - come mi rimproverano i miei simpatici interlocutori - bensì fin troppo comprensivo. Luigi Manconi Lettere: l’occasione mancata del decreto-carceri, il giustizialismo ha sconfitto il garantismo di Franco Corleone Ristretti Orizzonti, 9 agosto 2013 Finisce così, con l’amaro in bocca la vicenda della conversione in legge del decreto sull’esecuzione delle pene. Certo poteva finire peggio. Se fosse rimasto il testo uscito dal Senato, sarebbe stato meglio lasciarlo decadere e riprendere da capo la questione. La discussione parlamentare è stata comunque utile per far emergere molti atteggiamenti e comportamenti con cui dovremo nuovamente cimentarci. Gli argomenti addotti dagli oppositori, Lega, Pdl, ma anche M5Stelle, per contrastare le misure del cosiddetto decreto svuota carceri dimostrano che la subcultura securitaria ha scavato in questi anni nelle viscere profonde. Il giustizialismo ha sconfitto il garantismo: occorre una profonda opera di ricostruzione della cultura del diritto penale mite e minimo, delle ragioni della convivenza contrapposta alla logica della vendetta. Eravamo stati facili profeti nel sostenere che la scelta da parte della ministra Cancellieri di non affrontare il nodo che provoca il sovraffollamento carcerario, cioè la legge sulle droghe, la famigerata Fini-Giovanardi e di aggredire, giustamente, la legge Cirielli sulla recidiva, avrebbe facilitato l’espressione truculenta di luoghi comuni e la ricerca delle eccezioni per i reati ritenuti più odiosi. Non avere seguito la via maestra suggerita dai dati del Libro Bianco sugli effetti della legislazione antidroga ha comportato la conseguenza di un taglio di basso profilo che ha ringalluzzito i forcaioli di ogni risma con toni di becera propaganda. È necessario anche un primo bilancio dell’iniziativa del digiuno a staffetta. Considero straordinario per la stagione (metereologica e politica) la durata, ben 60 giorni, e le tante adesioni, 42, di persone con storie e sensibilità diverse che hanno scelto con autonomia e responsabilità, di costruire una catena di solidarietà importante e significativa. L’adesione delle detenute di Sollicciano con forme originali di partecipazione, ad esempio con lo sciopero del carrello, suggerisce l’idea di arricchire l’armamentario e le modalità di partecipazione con iniziative dirette e nonviolente che non siano solamente l’astensione dal cibo. Abbiamo contribuito alla sensibilizzazione su un tema difficile e nell’incontro con la ministra Cancellieri abbiamo illustrato proposte e richieste di portata immediata e di lunga gittata. Molte di queste idee sono entrate nel primo documento della Commissione presieduta da Mauro Palma e mi auguro vengano assunte come un piano operativo e non meramente speculativo. Ultima cosa, decisiva. Occorre rilanciare la campagna della raccolta firme sulle tre leggi di iniziativa popolare su tortura, carcere, droghe. Invito tutte e tutti a organizzarsi per una raccolta autogestita fino al 20 settembre. Basta andare sul sito www.3leggi.it e verificare tutti i modi per partecipare a un esito che deve essere un successo a partire dalle 50.000 firme e per imporre una agenda di riforme efficaci al Parlamento e al Governo. Da settembre sarà in libreria un nuovo volume su carcere e dintorni, intitolato Volti e maschere della pena, edito da Ediesse che potrà aiutare confronto e dibattito. Lettere: mai più neonati in carcere… com’è successo alla Dozza di Desi Bruno (Garante regionale dei detenuti) La Repubblica, 9 agosto 2013 La vicenda accaduta in questi giorni a Bologna dimostra che anche un singolo caso impone l’urgenza di porre fine, una volta per tutte, alla presenza di donne e bambini in carcere. In Italia, la percentuale di donne sul totale della popolazione carceraria oscilla fra il 4 e il 5%. In Emilia-Romagna, sono cinque gli Istituti penitenziari con sezioni femminili, con un dato complessivo, al 30.06.2013, di 157 donne detenute: Bologna (76), Modena (32), Reggio Emilia (9), Piacenza (20)e Forlì (20). Al 31 dicembre 2012 erano 132. Circa il 50% è di nazionalità straniera. Le presenze sono legate innanzitutto allo spaccio di droga, alla prostituzione e a reati contro il patrimonio. Una esigua minoranza di donne deve scontare la pena per reati di sangue (delitti contro la persona). Non ci sono ragazze ristrette presso l’Istituto penale minorile del Pratello. Molte delle donne detenute sono sieropositive e/o tossicodipendenti: con il passaggio delle prestazioni al Servizio sanitario regionale, la situazione è migliorata e si stanno incrementando le attività di prevenzione e cura. Ma in una fase di continua riduzione dei finanziamenti, la situazione delle donne detenute va peggiorando rispetto alle opportunità di istruzione superiore, formazione professionale e attività lavorative: le forme più efficaci affinché la pena proceda ad un’effettiva azione di recupero e reinserimento. Alle donne detenute si associano frequentemente situazioni di abbandono dei figli, fino al rischio della perdita della potestà genitoriale. Per numeri assoluti e per caratteristiche, infatti, le donne detenute pongono minori problemi di vigilanza. 41i bambini presenti nelle carceri italiane al 31 dicembre, ultimo dato disponibile. La legge li lascia insieme alle madri per non interrompere questo fondamentale legame genitoriale, ma comunque si tratta di una condizione inaccettabile. In alcune carceri ci sono anche degli asili, come a Roma Rebibbia, nel tentativo di assicurare qualcosa che assomigli a quello che è fuori. La legge n. 40 del 2001 ha cercato di porre rimedio a questa situazione, imponendo di non applicare la custodia cautelare in carcere alle le donne incinte o con prole di età inferiore a tre anni e allargando le maglie delle misure alternative. In realtà molto spesso restano in carcere con i figli soprattutto le donne straniere: spesso recidive, (come nel caso delle nomadi, che vengono ritenute socialmente pericolose) o perché non hanno possibilità di alloggio. Da ultimo la legge n. 62 del 2011 ha portato ad anni 6 il limite di età dei minori previsto perché possano rimanere con le madri, e il giudice può disporre - ma si tratta di una facoltà - la custodia cautelare presso istituti a custodia attenuata, sempre che non ci sia un giudizio di pericolosità sociale. Oggi, in Italia, esiste solo un istituto di tal genere, a Milano, con personale non penitenziario all’interno: la legge citata prevede che solo a decorrere dal 1 gennaio 2014 si darà vita a istituti a custodia attenuata per ospitare madri e figli. In Emilia-Romagna, fortunatamente, è molto raro il passaggio di detenute madri con figli. Talvolta è accaduto a Bologna, mai si sono registrate più di 1 o 2 presenze, ma le vicende di queste giorni dimostrano appunto che anche un singolo caso impone l’urgenza di porre fine alla presenza di donne e bambini in carcere. Al momento, nella nostra regione, non esiste una struttura dedicata. Alla data del 1 gennaio 2014 il problema dovrebbe essere superato con la costruzione di appositi istituti. Ma a che punto è la costruzione di queste case? Dove sono? La preoccupazione è che ancora una volta ciò che è previsto non venga realizzato e che nulla cambi all’interno del carcere e all’esterno del carcere, nemmeno per quei bambini dietro le sbarre che provocano sdegno. Sicilia: il Sottosegretario Berretta; con il decreto-carceri ci saranno più spazi per i detenuti di Luca Ciliberti La Sicilia, 9 agosto 2013 Dopo il via libera del Parlamento al disegno di legge, il sottosegretario alla Giustizia spiega: “A Bicocca saranno creati 450 nuovi posti, 500 all’Ucciardone, 200 a Caltagirone e altrettanti a Siracusa, Agrigento e Trapani. A Palermo sarà completato il nuovo padiglione del Pagliarelli. Il provvedimento varato influirà in modo sostanziale sul drammatico sovraffollamento” “L’approvazione del decreto sull’esecuzione della pena avrà riflessi positivi per le carceri, i detenuti a Catania e in Sicilia”. Il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, all’indomani del via libera del Parlamento al disegno di legge di conversione del Dl sull’esecuzione della pena, svela come le misure appena approvate in Parlamento serviranno anche a migliorare la situazione non facile delle carceri siciliane. Un successo politico e personale per l’esponente del Pd etneo che sin dal primo giorno d’insediamento al ministero della Giustizia ha lavorato sul disegno di legge. “Con la conferma dei compiti assegnati al commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie - spiega il sottosegretario Berretta - lo stesso, potrà continuare nelle sue attività di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, completamento e ampliamento delle strutture penitenziarie esistenti per aumentarne la capienza”. “Tra le strutture interessate al piano carceri del commissario straordinario ci sono anche quelle siciliane di Catania Bicocca, Caltagirone, Siracusa, Trapani e Palermo e Agrigento”, continua il sottosegretario. “A Catania Bicocca saranno creati 450 nuovi posti, 200 a Caltagirone e altrettanti a Siracusa e Trapani. A Palermo con il completamento del nuovo padiglione del Pagliarelli , (300 posti) e con la ristrutturazione della V e VI sezione dell’Ucciardone i posti nuovi creati saranno complessivamente 500. 200 posti in più, infine, anche ad Agrigento grazie a dei lavori di completamento di un nuovo padiglione”. In generale, il sottosegretario siciliano è soddisfatto per il lavoro svolto sin qui. “Non posso che esprimere soddisfazione per il lavoro fatto in questi mesi che ha portato al varo di un provvedimento strutturale che incentiva l’utilizzo della detenzione domiciliare, facilita la risocializzazione dei condannati attraverso il lavoro e si muove nella direzione di avere pene più umane ma non per questo meno rigorose e certe”. “Il provvedimento varato influirà in modo sostanziale sul drammatico sovraffollamento delle carceri. Le misure approvate - spiega il sottosegretario alla Giustizia - rappresentano infatti un passo decisivo, non solo per affrontare adeguatamente l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, ma anche per garantire una condanna che rispetti quanto prescritto dalla carta costituzionale in tema di umanità della pena. Dai dati di cui dispone il ministero della Giustizia sugli ingressi dalla libertà negli istituti penitenziari risulta che, solo nel primo mese di applicazione del decreto, circa 300 persone non sono entrate in carcere si tratta di una conferma alle stime ministeriali che avevano previsto un impatto immediato e significativo sul sovraffollamento penitenziario”. Secondo Berretta, “È stato raggiunto un punto di equilibrio tra le richieste di sicurezza dei cittadini e l’obiettivo del reinserimento sociale delle persone che hanno commesso reati. Il lavoro è stato individuato come lo strumento principale di rieducazione molto significativo è l’ampliamento delle possibilità di utilizzare, a titolo volontario e gratuito, i detenuti in lavori di pubblica utilità e inoltre sono stati aumentati gli sgravi contributivi ed il credito di imposta per chi assume i detenuti e gli ex detenuti”. La Spezia: Caleo e Vaccari (Pd); importante impegno di detenuti e cassintegrati per Lsu Secolo XIX, 9 agosto 2013 Riceviamo e pubblichiamo nota dei Senatori Caleo e Vaccari del Pd su mozione utilizzo detenuti carcere de La Spezia per pulizia della città ligure del Levante. “La proposta dei detenuti del carcere di La Spezia, che hanno scritto al Sindaco per proporgli di impiegarli nella pulizia della città, cosa di cui ieri dà conto il “Secolo XIX”, conferma quel che noi diciamo da tempo e l’idea che abbiamo lanciato nella mozione contro il dissesto idrogeologico presentata al Senato. E cioè che il lavoro dei cassintegrati, e a questo punto anche dei reclusi, può e deve essere messo a frutto per la manutenzione del territorio, la pulizia delle città, la coltivazione dei giardini urbani. Si tratta di un lavoro prezioso per i Comuni, ora più che mai a corto di risorse, e per le persone che in questo modo possono contribuire al benessere delle loro comunità”. Lo dicono i Senatori del Pd Massimo Caleo e Stefano Vaccari, che aggiungono: “La mozione sul dissesto idrogeologico verrà esaminata dall’Aula del Senato il 5 settembre. In quel frangente ci auguriamo che il Senato impegni il Governo ad assumere iniziative volte a mettere a sistema il contributo di cassintegrati volontari e detenuti alla messa in sicurezza del territorio”. Cagliari: Sdr; Festa di fine Ramadan anche al carcere di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 9 agosto 2013 Datteri per i detenuti di fede islamica. Per il diritto alla spiritualità, per esprimere solidarietà ai meno fortunati. Quaranta chilogrammi di datteri, frutto di una piccola raccolta fondi, sono stati consegnati e distribuiti durante i 30 giorni di digiuno rituale del Ramadan al carcere di Buoncammino. L’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Cagliari, in collaborazione con l’Associazione Socialismo Diritti Riforme, l’Area Educativa e la Direzione del carcere di Buoncammino, hanno promosso l’iniziativa “Ramadan, cultura e preghiera” rivolto ai detenuti di religione islamica. Ciascuno dei detenuti, nei 30 giorni del Ramadan, ha ricevuto i datteri. L’usanza prevede infatti, che la consumazione del cibo dopo il tramonto sia preceduta dall’assunzione di alcuni datteri. La donazione di un frutto caro al mondo islamico, è un segno tangibile di cura verso chi vive un difficile momento. Per non dimenticare che la missione della detenzione è quella del recupero sociale ed umano della persona, e non uno strumento di occultamento e di oblio del disagio. Il Ramadan, come è noto, costituisce per i praticanti della fede islamica un’occasione di profonda purificazione, di rinascita, di pura preghiera. La fede è, in particolare per i detenuti, un momento di riflessione e di crescita interiore irrinunciabile; fonte primaria di consolazione e di speranza, soprattutto nelle lunghe attese che precedono i processi. Un atto di rispetto e di attenzione verso una parte della popolazione carceraria; la dimensione della spiritualità costituisce per i detenuti un aspetto di alto valore umano e sociale. A volte bastano piccoli gesti. Piccoli ma dal forte connotato simbolico. Vietnam: Onu lancia appello per sospensione esecuzioni capitali Tm News, 9 agosto 2013 L'Ufficio dell'Alto Commissario ai diritti umani delle Nazioni Unite si è detto "colpito" dalla ripresa delle esecuzioni capitali in Vietnam e ha rivolto un appello al governo a sospenderle. Il Vietnam ha giustiziato martedì il primo detenuto con un'iniezione letale, dopo una moratoria di due anni nelle esecuzioni viste le difficoltà nel procurarsi prodotti chimici ad hoc. Il Paese comunista aveva abbandonato nel luglio 2011 i plotoni di esecuzione a vantaggio delle iniezioni letali, metodo giudicato "più umano", ma non poteva importare i prodotti necessari a causa di un'interdizione delle esportazioni dell'Unione Europea. A maggio, la legge era stata alla fine modificata per permettere che i condannati a morte fossero giustiziati con prodotti chimici locali, spianando la strada a una ripresa delle esecuzioni. Il primo detenuto giustiziato martedì, il 27enne Nguyen Anh Tuan, era stato condannato a morte nel gennaio 2010 per omicidio.