Giustizia: il Senato ha approvato il cosiddetto decreto “svuota carceri” con 195 sì e 57 no Ansa, 8 agosto 2013 Il disegno di legge, di ritorno dalla Camera dove lunedì scorso è stato modificato, approvato in via definitiva con 195 voti favorevoli e 57 contrari. Bagarre dei leghisti in Aula, fischietti e cartellino rosso all’indirizzo dei banchi dell’esecutivo. Il segretario del Carroccio: “Per svuotare davvero le carceri bisogna mandare gli extracomunitari a scontare la pena a casa loro”. Il Senato ha approvato il cosiddetto decreto “svuota carceri” con 195 sì e 57 no. Il disegno di legge di conversione è ora definitivo. La seduta - dove il decreto è stato votato in seconda lettura dopo essere stato approvato e modificato alla Camera lunedì scorso - è stata caratterizzata dalla bagarre dei senatori della Lega. Armati di fischietto, i parlamentari del Carroccio hanno sventolato verso i banchi del governo il cartellino rosso e uno striscione: “Basta inganni e illusioni, governo Letta a casa subito!”. Alla protesta si ricollegano le parole pronunciate dal segretario leghista e presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni: “Il problema del sovraffollamento delle carceri non si risolve con il decreto svuotacarceri nè con l’amnistia: se si pensa di proporre l’amnistia si sappia che ci sarà altro che Vietnam o Afghanistan da parte della Lega Nord” ha affermato Maroni in conferenza stampa a Montecitorio. “Il modo molto più efficiente per svuotare le carceri, l’unica vera soluzione è quella che i cittadini extracomunitari scontino la pena nelle carceri di casa loro, nel paese di origine”. Giustizia: il decreto-carceri è legge, ma resta la stretta per i recidivi reiterati di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2013 Primi passi per l’emergenza penitenziaria con il Dl “svuota carceri” che ancor prima della sua conversione in legge ha ridotto il numero dei detenuti. Interventi sulle misure alternative. Con i “mancati ingressi” il decreto ha già ridotto il numero dei detenuti. Ieri il Senato si è rimangiato lo “svuotamento” votato in prima lettura e ha ratificato il testo rimpinguato dalla Camera. Ciò nonostante, il provvedimento va ad allungare la lista dei “primi passi” perché non è riuscita a cancellare del tutto le norme del 2005 contro i recidivi reiterati (circa il 70% dei detenuti) estromessi dalla ex Cirielli da qualunque beneficio (sebbene spesso si tratti di recidiva generica, riguardante reati bagatellari e diversissimi tra loro, commessi a distanza di molto tempo). Il decreto ha già dato qualche frutto: grazie ai “mancati ingressi”, i detenuti sono scesi a 64.532. Il Governo lo porterà a Strasburgo per dimostrare che l’Italia non è stata ferma dopo la condanna per trattamenti inumani e degradanti e la moratoria di un anno per rimediare. Vediamo qual è, oggi, lo stato dell’arte dei benefici carcerari e delle misure alternative. Esecuzione pena Dopo la condanna definitiva, se la pena residua non supera 3 anni, il Pm “deve” sospendere l’ordine di carcerazione e il condannato ha 30 giorni per chiedere una misura alternativa. Il tribunale di sorveglianza decide dopo un’istruttoria più o meno lunga. L’ordine di esecuzione non può essere sospeso per reati gravissimi (mafia, estorsione e rapina aggravata, omicidio ecc.) o di particolare allarme sociale (stalking, maltrattamenti in famiglia aggravati, furto in abitazione, incendio boschivo, scippo) o se il condannato è pericoloso ed è in custodia cautelare in carcere al momento della sentenza (in quest’ultimo caso rientravano anche i recidivi reiterati). In altri due casi, tuttavia, il Pm sospende la pena: se il condannato è tossicodipendente e ha depositato un programma terapeutico riabilitativo (la sospensione scatta anche se restano da scontare 6 anni) in presenza delle condizioni per la detenzione domiciliare (donne incinte o madri di bimbi sotto i 10 anni, malati gravi, ultrasettantenni inabili, minori di 21 anni con problemi di salute o lavoro) il Pm sospende anche se restano da scontare 4 anni di pena. Misure alternative Sono concesse dalla magistratura di sorveglianza, senza automatismi, per esigenze di risocializzazione. Affidamento in prova al servizio sociale. È di due tipi: ordinario e speciale. L’ordinario può essere concesso se la pena non supera i 3 anni e il tribunale ritiene che possa favorire il reinserimento o non vi sia pericolo di nuovi reati. Consiste in una serie di divieti di comportamento (limitazioni alla libertà di movimento e di frequentazioni) e nell’obbligo di risarcire il danno. Il servizio sociale del ministero deve gestire il reinserimento sociale, favorendo la riflessione autocritica rispetto al reato. Lo speciale può essere concesso al tossicodipendente che deve scontare una pena non superiore a 6 anni (4 in caso di reati gravi) e che ha in corso un programma terapeutico. L’affidamento è soggetto al controllo del magistrato, che lo gestisce autorizzando deroghe per esigenze lavorative, familiari o di risocializzazione. Terminata la prova, ne valuta l’esito e, se è favorevole, la pena e gli effetti penali della condanna si estinguono. Altrimenti la pena va eseguita in carcere. Semilibertà È concessa ai condannati, anche per reati gravi, che abbiano espiato parte della pena, tenuto conto dei progressi compiuti o se ci sono le condizioni per un graduale reinserimento sociale. Consiste nel trascorrere una parte del giorno fuori dal carcere per lavoro o studio. Detenzione domiciliare. Presuppone una sentenza irrevocabile, mentre gli arresti domiciliari sono una misura cautelare applicata prima della sentenza per impedire la fuga o la reiterazione del reato. Il condannato sconta la pena in casa o in un luogo di cura o assistenza, da cui può allontanarsi alcune ore per motivi di lavoro o di salute. Esistono vari tipi di detenzione domiciliare: per l’ultrasettantenne condannato a qualunque pena detentiva purché non per reati gravi e che non sia recidivo (la cosiddetta norma salva-Previti); per certe categorie di condannati a non più di 3 anni (donne incinte, ecc.); per condanne non superiori a 2 anni, esclusi recidivi reiterati e condannati per gravi reati; per donne con figli fino a 10 anni se è stato espiato un terzo della pena (15 anni in caso di ergastolo). Esecuzione della pena presso il domicilio. È prevista dalla legge 199/2010 e riguarda condannati a non più di 18 mesi, purché non per reati gravi o che non siano delinquenti abituali. Ha un sostanziale automatismo e perciò scatta anche se prima non c’è mai stata una misura alternativa. Liberazione condizionale. È una misura di clemenza prevista fin dal Codice Rocco peri detenuti che abbiano tenuto un comportamento tale da far ritenere “ sicuro il loro ravvedimento” e che abbiano scontato parte della pena (26 anni per l’ergastolo). Liberazione anticipata. È uno sconto di 45 giorni ogni 6 mesi di pena espiata (anche in misura alternativa) concesso dal giudice a chi ha tenuto una regolare condotta dimostrando di partecipare all’opera di rieducazione. Giustizia: con il decreto-carceri limitazioni alla custodia cautelare e più misure alternative di Antonio Ciccia Italia Oggi, 8 agosto 2013 Benefici per i recidivi e. Il cosiddetto decreto-legge “svuota carceri” (n. 78/2013), la cui conversione in legge è in discussione oggi al senato, dopo il passaggio alla camera, grazie alle modifiche parlamentari, allarga l’effetto svuotamento sia con il ripristino del testo originario del decreto (previsione della sospensione della pena per i recidivi) sia aumentando di un anno il presupposto per la custodia cautelare (passa a cinque anni). Vediamo, dunque, le novità in sede di conversione del decreto, che hanno introdotto anche sgravi contributivi per favorire il reinserimento dei condannati. Custodia cautelare. Durante l’esame in prima lettura il senato ha inserito una disposizione che modifica l’articolo 280 del codice di procedura penale, sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Attualmente la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a quattro anni massimo. Per effetto della modifica la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Nei lavori parlamentari si segnala un possibile inghippo applicativo: la modifica non è stata accompagnata dalla modifica del comma 5 dell’articolo 391 del codice di procedura penale, ai sensi del quale, in sede di udienza di convalida, quando l’arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell’articolo 381, comma 2, del codice di procedura penale ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l’applicazione della misura cautelare è disposta anche al di fuori dei limiti di pena. Verbale telematico. La polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo potrà trasmettere il verbale al pubblico ministero anche per via telematica. Liberazione anticipata. È il cuore del provvedimento. Quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’ordinamento penitenziario (45 giorni per ogni semestre di pena scontata), non supera i tre ovvero i sei anni per i reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza (anche se costituente parte residua di maggiore pena), il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione e previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette (durante l’esame in prima lettura in Senato è stato specificato che la trasmissione deve avvenire “senza ritardo”) gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. In questo caso, il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti. Sospensione esecuzione. Viene innalzato a quattro anni il limite di pena per la sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti di particolari categorie di condannati. Si tratta dei seguenti soggetti: donna incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente; padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni 10 con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole; persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; persona di età superiore a 60 anni, se inabile anche parzialmente; persona di età minore di anni 21, per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. Queste categorie di soggetti, qualora debbano espiare una pena compresa tra i tre e i quattro anni, potranno quindi accedere alla detenzione domiciliare dallo stato di libertà, senza necessariamente fare ingresso in carcere. Sospensione recidivi. Il senato, nel corso dell’esame in prima lettura, ha modificato il testo originario del decreto legge introducendo il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione per i recidivi qualificati. La camera dei deputati ha scelto di ripristinare il testo originario del decreto legge che tale soppressione prevede: quindi sospensione anche per i recidivi. Lavori di pubblica utilità. La camera dei deputati è intervenuta sul decreto legge inserendo la previsione per cui le attività a titolo volontario e gratuito sono in ogni caso svolte con modalità da non pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Evasione. Solo la condanna per evasione provoca la revoca della detenzione domiciliare e inoltre la revoca non scatta se il fatto sia di lieve entità. Sgravi contributivi. Le modifiche parlamentari introducono sgravi contributivi per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate impiegate in cooperative sociali. La disposizione approvata dal senato amplia la durata del periodo successivo allo stato di detenzione nel quale sono concessi gli sgravi contributivi. Giustizia: Ferranti (Pd); decreto-carceri è un passo di civiltà, infondato ogni allarmismo Ansa, 8 agosto 2013 “Un passo di civiltà importante, verso una cultura della pena che, come ci chiede anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, avvicina il carcere alla sua essenza di extrema ratio”. Così Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia alla Camera, commenta l’approvazione definitiva del decreto Cancellieri. “È un provvedimento nella sostanza equilibrato, che concilia esigenze di umanità della pena - osserva l’esponente del Pd - con quelle di sicurezza della collettività e tutela delle vittime del reato”. L’auspicio di Ferranti, a questo punto, è che “il decreto possa essere buon viatico per ulteriori interventi legislativi nella direzione di un più rigoroso uso della carcerazione preventiva e di una esecuzione della pena maggiormente aperta a misure alternative”. Ferranti mette in guardia dagli allarmismi agitati anche in queste ore: “Il decreto carceri né farà venir meno la sicurezza dei cittadini né spunterà le armi agli inquirenti. Escludere la custodia cautelare in carcere per i reati al di sotto di una certa soglia - sottolinea - non significa affatto impedire la detenzione, semplicemente vuol dire spostarla su altre forme come i domiciliari. E chi non rispetta, anche una sola volta, le prescrizioni dei magistrati (ad esempio il divieto di comunicazione con esterni) finisce in galera”. E dunque, aggiunge la presidente della commissione Giustizia della Camera, “smettiamola con le semplificazioni manichee: non solo il decreto non rappresenta una resa di fronte al crimine, ma nemmeno impedirà , specie nelle inchieste sulle mafie, di arrestare sospetti di reati apparentemente minori ma quasi sempre connessi con delitti per i quali la custodia in carcere resta tal quale ad oggi”. Giustizia: quei dubbi sullo “svuota carceri”… di Alberto Sofia www.giornalettismo.com, 8 agosto 2013 Per Antigone non è una misura sufficiente. Per il M5S si tratta di un “regalo agli amici”, mentre denuncia numeri finti e affari milionari. Lo hanno chiamato “svuota carceri”, ma il decreto approvato alla Camera rischia di incidere poco sul problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani, così come ha denunciato anche Patrizio Gonnella, dell’associazione Antigone. Ma non solo: come si legge sul Fatto Quotidiano, dietro l’inferno della condizione carceraria, per il M5S c’è anche chi riesce a fare affari. Secondo i deputati grillini - che hanno votato contro il provvedimento, così come Lega Nord e Fratelli d’Italia - il decreto, che sarà ora esaminato dal Senato, sarebbe in realtà soltanto “un regalo” fatto dai partiti delle larghe intese “agli amici”, dietro il quale si nasconderebbe il progetto dell’amnistia. Se il governo difende il provvedimento , definendolo come una norma che ha “il passo di una vera e propria riforma strutturale”, al contrario, non manca chi ha fatto emergere non pochi dubbi. Da chi, come le associazioni del settore, giudicano il decreto poco coraggioso, incapace di incidere in maniera effettiva sul dramma dei carcerati, fino a chi ha evidenziato come metta insieme soltanto misure tampone. Il provvedimento, che prevede sconti di pena anticipati e percorsi personalizzati per il recupero post detenzione, assegna poi enormi poteri a un commissario straordinario, con il compito di costruire nuove carceri e dismettere gli istituti più vecchi. Criticato anche l’articolo 1, attraverso il quale, sottolinea il Fatto, “si restringe il campo dei reati per cui si può applicare la custodia cautelare in carcere”. In questo caso viene lasciato fuori anche il favoreggiamento personale, classico nelle inchieste di mafia. Il M5S ha già annunciato che presenterà emendamenti in Senato. Basta leggere qualche numero per raccontare il dramma delle carceri italiane: 66 mila detenuti, più di venti mila rispetto ai posti potenzialmente disponibili. In realtà, le cifre sui posti dichiarati sarebbero gonfiate: 47 mila quelli ufficiali, mentre sono soltanto 41 mila quelli effettivi. Il motivo? Alcune aree degli attuali istituti sono inutilizzabili o chiuse. Il Movimento 5 Stelle ha votato contro al provvedimento, convinto che dietro la questione si nascondano soltanto interessi di parte. Si legge sul Fatto: “Il nostro sospetto è che si faccia di tutto perché che la situazione rimanga esplosiva, così da applicare quel piano edilizio sui penitenziari che è un affare enorme, per tanti. E forse perché l’obiettivo finale è sempre l’amnistia: il mezzo migliore per sistemare i problemi di tanti amici degli amici, con un libera tutti”. Per questo ha preparato un dossier, poi inviato al Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, dove propone soluzioni diverse. Sul quotidiano di Padellaro si spiega come il progetto punti, attraverso una spesa di 335 milioni di euro, ad aumentare la capienza fino a oltre 69mila posti, ma senza dover costruire nuove carceri. Per il M5S sarebbe poi necessario soltanto un nuovo istituto, “da 800 posti tra Napoli e Caserta, dal costo di 800 milioni”. Si punta quindi a recuperare gli spazi mal utilizzati e già presenti nelle strutture già esistenti. Antigone denuncia invece problemi di fondo: basta ricordare come, a causa delle norme restrittive della Fini-Giovanardi, un quarto dei detenuti si trova dietro le sbarre per una legge che non fa distinzione tra droghe leggere e pesanti e che non chiarisce “la differenza tra detenzione per consumo personale o per spaccio”, come spiega l’associazione. Senza dimenticare la mancata volontà di estendere l’ambito di applicazione delle misure alternative. Per Antigone il decreto legge non basterà per far rientrare la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: in questo caso, ci sarà soltanto un anno di tempo per trovare una soluzione adeguata al sovraffollamento carcerario, introducendo una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Se erano già oltre 400 i ricorsi presentati da chi si trova ristretto in spazi inferiori ai 3 metri quadri - quando le norme sanitarie prevedrebbero spazi minimi di 9 metri quadri per detenuto - lo Stato italiano rischia di dover far fronte a un numero sempre più crescente di richieste di risarcimento. La condanna dello scorso gennaio ha aperto un precedente dato che il nostro Paese dovrà versare 100mila euro a sette detenuti di Busto Arsizio e Piacenza. Ma non solo: entro il 2014 l’Italia dovrà garantire ad ogni recluso uno spazio minimo di 4 metri quadrati. L’unica possibilità per evitare di pagare risarcimenti per il valore totale di circa un miliardo. Giustizia: sprechi, misteri e progetti inutili… è la torta del “piano carceri” di Marco Gianfranceschi Il Fatto Quotidiano, 8 agosto 2013 Si scrive “piano”, si legge “affare”. Di quelli che fanno gola ai costruttori di mezza Italia, pronti a mettersi in fila per una torta da oltre 380 milioni: almeno. Tanto vale il piano del governo, che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e padiglioni. Ma a margine di progetti e annunci l’esecutivo ha una tentazione: vendere alcune, grandi carceri, come Regina Coeli a Roma e San Vittore a Milano, per sostituirle con nuove strutture. Per la gioia di chi comprerebbe i vecchi istituti, ricavandone alberghi, palazzi privati o chissà che altro. Così denunciano i Cinque Stelle, che hanno già presentato un “contro piano carceri” al ministro della Giustizia Cancellieri. E così sussurrano fonti varie da ministeri e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Sullo sfondo, due certezze pesanti. La prima: il piano carceri, varato a inizio gennaio 2010 dal governo Berlusconi e poi riaggiornato dai vari esecutivi, ha prodotto quasi nulla ed è costato parecchio, tra consulenze e spese varie. La seconda: il decreto “svuota penitenziari” in via di conversione in Senato conferisce poteri enormi al commissario straordinario per le Infrastrutture carcerarie, il prefetto Angelo Sinesio. Sarà lui, sino al 31 dicembre 2014, a “programmare l’attività di edilizia penitenziaria” e a “realizzare nuovi istituti e alloggi di servizio per la polizia penitenziaria”. Non solo. “Al fine di assicurare la piena operatività della struttura”, il commissario potrà anche “stipulare contratti a tempo determinato”. Riavvolgendo il nastro, si torna al piano carceri. Il sito apposito parla di quattro nuovi istituti, in Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Marche e Sicilia, per un totale di 1800 nuovi posti e una spesa di 153 milioni. Colpisce un dato: delle quattro caselle riservate ai tempi di realizzazione, tre sono vuote. Per l’impianto di Catania si prevede la costruzione in 840 giorni. Si passa ai nuovi padiglioni, da aggiungere a istituti già in funzione. Se ne prevedono 16, di cui 4 in Emilia Romagna, 3 in Puglia e 2 in Lombardia, per complessivi 3600 posti. Spesa prevista, 228,2 milioni. A fronte delle cifre, le voci sulla voglia del governo di vendere tre o quattro grandi carceri: Regina Coeli, San Vittore, Piazza Lanza a Catania, Giudecca a Venezia. Andrea Colletti, M5S: “Abbiamo presentato un ordine del giorno che impegna il governo a non vendere Regina Coeli, San Vittore e Piazza Lanza. Il sottosegretario alla Giustizia, Berretta, ci ha assicurato che non esiste questo progetto. Ma a noi risulta che non abbiano abbandonato l’idea. E il rischio è che i privati si tuffino sull’affare. Regina Coeli, per esempio, sarebbe perfetta per un albergo”. Dai cattivi pensieri, si passa al confronto sui numeri. E Colletti spiega: “Stando al programma del commissario straordinario, ogni nuovo posto dovrebbe costare 75mila euro. Noi proponiamo di applicare il piano alternativo del Dap, con cui si potrebbero creare 21mila e 800 nuovi posti in due anni, spendendo 355 milioni: ovvero, 15mila euro a posto”. Come riuscirci? “Ristrutturando e riaprendo sezioni negli istituti già esistenti. Servirebbe solo un nuovo carcere a Nola, dal costo di 40 milioni, e si arriverebbe a 69mila posti regolamentari, maschili”. Ma il governo procede con il piano carceri, che pure in tre anni e mezzo non ha prodotto niente. Ancora M5S: “Nei conteggi ufficiali sono confluiti posti creati dal ministero delle Infrastrutture o dal Dap, come i 780 a Reggio Calabria. Dal piano, zero posti consegnati”. Una fonte ministeriale racconta: “Nel febbraio 2011, l’allora ministro della Giustizia Alfano chiese perché non si costruiva nulla con il piano carceri. Lo portarono a Piacenza, e gli fecero posare la prima pietra di un padiglione: una finzione, per le telecamere”. Veri i costi, riportati in un articolo sul periodico del Sappe (sindacato di polizia penitenziaria) mesi fa: “Nei soli 2010 e 2011, dalla contabilità speciale del commissario delegato (il predecessore di Sinesio, Franco Ionta, ndr) è uscito un milione 600mila euro, presumibilmente per le spese di funzionamento della struttura e consulenze”. E ora? Colletti: “Il governo dovrebbe consegnare 4.050 posti entro il maggio 2014, per non sforare l’ultimatum della Corte europea dei diritti dell’uomo. Non ce la faranno mai”. E allora è concreto il rischio della mannaia europea: la condanna a risarcire tutti i detenuti, per un totale di quasi un miliardo. Giustizia: Sappe; in un anno soltanto mille detenuti in meno, l’emergenza carceri rimane Il Velino, 8 agosto 2013 “Se confrontiamo le presenze in carcere dell’anno scorso e di quest’anno, alla data del 31 luglio, possiamo constatare solamente mille detenuti in meno, nonostante le roboanti dichiarazioni dei vertici del Dap, che evidentemente vive in una dimensione virtuale. I detenuti erano 66.009 il 31 luglio 2012, sono 64.873 lo stesso giorno del 2013. 1.136 detenuti in meno”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, commentando alcune dichiarazioni del vice Capo del Dap Luigi Pagano. “Ricordo - continua - che la capienza regolamentare delle nostre carceri è di 42mila posti letto. Oggi abbiamo più del 38% dei detenuti in attesa di un giudizio, 23mila stranieri in cella, un detenuto su 3 tossicodipendente, il lavoro penitenziario che è un miraggio perché lavorano pochissimi detenuti e 7 mila poliziotti in meno negli organici. E stare chiusi in cella 20/22 ore al giorno, senza far nulla, nell’ozio e nell’apatia, alimenta una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte, evasioni ed incendi che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria”. Secondo Capece, “pensare a un regime penitenziario aperto, a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della polizia penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della colpa del custode; ebbene, tutto questo è fumo negli occhi. Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore così come non lo è stato l’indulto del 2006 che ha avuto 35mila beneficiari”. Sappe: Cancellieri tuteli onorabilità agenti Parma “Mi appello al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri perché tuteli e difenda l’onorabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria ed in particolare del Reparto in servizio nel carcere di Parma. Non è possibile assistere, leggere e ascoltare periodicamente dichiarazioni francamente inaccettabili di violenze in carcere in danno di detenuti”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Il Sappe non accetta che - senza alcuna prova - al nostro delicato e duro lavoro si associno parole come violenza, indifferenza e cinismo, persino di tortura. Noi, che rappresentiamo il primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, siamo i primi a chiedere che il carcere sia una casa di vetro, perché non abbiamo nulla da nascondere. Non l’avevamo con le presunte torture a Bernardo Provenzano, non l’abbiamo oggi con le altrettanto fantasiose violenze contro il detenuto barese Antonio Battista”, prosegue Capece. “Chiediamo al ministro della Giustizia Cancellieri di prendere immediata posizione su questo grave fatto -aggiunge Capece- Lei o uno dei due sottosegretari alla Giustizia, che peraltro ad oggi non è ben chiaro quale delega abbiano in materia di Polizia Penitenziaria. Dai vertici del Dap non ci aspettiamo nulla, ma dall’autorità politica sì”. “I poliziotti e le poliziotte penitenziari italiani hanno salvato negli ultimi vent’anni decine di migliaia di vite umane in carcere - rivendica Capece - intervenendo tempestivamente e salvando la vita a chi ha tentato di suicidarsi (impiccandosi alle sbarre della finestra, inalando gas da bombolette di butano che si continuano a far detenere nonostante la loro pericolosità, avvelenandosi con farmaci, droghe o detersivi, soffocandosi con un sacco infilato in testa) e impedendo che atti di autolesionismo potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. “Altro che torture, a Parma o in qualsiasi altro carcere italiano - rimarca il sindacalista. È importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai poliziotti penitenziari, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. “Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane”, conclude Capece. Giustizia: accordo tra Anci e Federambiente per impegno detenuti su decoro urbano Italpress, 8 agosto 2013 Realizzare sul territorio un programma di interventi straordinari che vedranno i detenuti italiani impegnati in azioni a tutela e salvaguardia del decoro urbano, per la prevenzione e riduzione dei rifiuti, la cura del verde pubblico, la mappatura e riqualificazione delle aree occupate da micro discariche e la valorizzazione degli attrattori culturali del territorio. Questo l’obiettivo del protocollo d’intesa fra Anci e Federambiente, siglato dai presidenti Piero Fassino e Daniele Fortini. L’intesa prevede la costituzione di un Tavolo tecnico Anci-Federambiente “che avrà il compito di favorire la massima conoscenza e condivisione delle potenzialità del programma, la creazione di strumenti e di momenti di formazione per i detenuti impegnati nei progetti e la promozione sul territorio della costituzione di Tavoli locali permanenti di confronto per favorire la collaborazione tra Comuni e Associazioni di Servizi Pubblici d’Igiene Ambientale”, si legge in una nota. “Il lavoro riveste un ruolo di assoluta centralità in ogni percorso riabilitativo finalizzato al reinserimento sociale del detenuto, e quindi - ha dichiarato Piero Fassino, presidente di Anci - lo si può considerare come una efficace politica di prevenzione per la sicurezza delle nostre città. Oggi in Italia già 555 detenuti sono impegnati in attività di lavoro all’esterno del carcere, fra cui quelle previste dalle azioni a beneficio delle comunità locali previste dall’accordo tra Anci e Dap. Ci aspettiamo che grazie all’intesa con Federambiente questo numero sia presto destinato a salire, insieme al numero dei progetti che vedono coinvolti i detenuti nella cura delle nostre città”. “Siamo orgogliosi di questo accordo - ha detto Daniele Fortini, presidente di Federambiente - e siamo sicuri che produrrà beneficio per le imprese, per i Comuni e per le comunità locali. Un accordo con il quale si conferma l’impegno ormai pluridecennale delle aziende di servizi ambientali italiane a cogliere le sollecitazioni dei Comuni proprietari, finalizzate al reinserimento lavorativo di una categoria di cittadini in oggettiva difficoltà. Anche in questo il sistema delle imprese rappresentate da Federambiente dimostra il proprio insostituibile ruolo. Il valore sociale delle imprese pubbliche, affiancato ai valori industriali ed economici di cui esse sono portatrici, fa parte della storia di queste imprese, troppo spesso ancora considerate in modo sbrigativo come un fardello del passato. Al contrario, queste imprese conservano valori sociali e di solidarietà che possono e devono accompagnarsi alle capacità manageriali e imprenditoriali che il mercato ogni giorno sollecita”. Giustizia: amnistia sociale, un appello di resistenza alla repressione del conflitto sociale di Vincenzo Guagliardo Il Manifesto, 8 agosto 2013 È evidente che, già di per sé, “oggettivamente”, la proposta di indulto-amnistia “sociale” né potrebbe né - credo - voglia sancire la fine di un’epoca o l’oltrepassamento di un cosiddetto ciclo di lotte. È vero semmai l’esatto contrario: segna l’esigenza sentita da più parti, anche molto diverse tra loro, di resistere a qualcosa di nuovo: la pervasività del sistema penale eretta contro ogni manifestazione del conflitto sociale. Questa tendenza arriva ormai a delle esagerazioni caricaturali (ma pure inquietanti, e gravi per chi le deve subire), come quella savoiarda di voler accusare addirittura di terrorismo il movimento No Tav in Val di Susa. Decenni fa il movimento operaio lottava per pane, lavoro e minor fatica. Alla lotta poteva seguire o meno la repressione secondo i rapporti di forza esistenti. Oggi invece ogni lotta trova a priori un ostacolo di possibile rilievo penale (e di tipo inquisitoriale). Deve fare i conti con una nuova realtà sapientemente (o ciecamente?) costruita negli ultimi tre decenni passo dopo passo, di emergenza in emergenza, da quella contro il “terrorista” a quella contro il lavavetri dichiarata da qualche sindaco-sceriffo. Le democrazie occidentali rivelano una tendenza “totalitaria” che non può più essere ignorata: da un lato c’è gente in galera da oltre trent’anni e dall’altro c’è gente che è “illegale” per il fatto stesso di esistere grazie a leggi che la privano del permesso di soggiorno. In mezzo a questi due poli, e fra mille gradazioni diverse, può ormai ritrovarsi ognuno. E ora vediamo in quale cornice stanno questi due poli estremi: nella sua specificità, il caso italiano suscita attenzione persino a livello europeo. Segnali simbolicamente forti sono arrivati dal Vaticano che ha abolito l’ergastolo e riconosciuto la tortura come reato, e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato incostituzionale l’ergastolo. È importante sottolineare di nuovo che l’ondata repressiva al livello sociale non avviene come repressione “a valle” di episodi signicativi di lotta violenta, ma “a monte”, quale modello di controrivoluzione preventiva offerto come politica principale - per non dire unica - nei confronti del variegato e frammentatissimo proletariato attuale. (Il “resto” è espropriazione di reddito dei poveri a favore dei ricchissimi). Perciò se prima eravamo nell’epoca del “pane e lavoro”, ora siamo in quella di “pane, lavoro e libertà”, da subito, e non “dopo”. Diritto di manifestare, fine dell’ergastolo e no alla tortura saranno necessariamente la nuova cornice, accanto alle lotte sul lavoro e per il reddito, entro cui dovrà resistere il proletariato attuale contro la propria frammentazione e le drammatiche corporativizzazioni che possono derivarne. Sarà l’inizio di un lungo, nuovo e difficile processo storico e non il sereno suggello di un passato. Sarà il mezzo con cui costruire una grande unità oggi ancora lontana. E non potrà essere solo una piattaforma rivendicativa: richiede ovviamente un impegno personale che vada al di là del manifestare per chiedere il diritto di manifestare. La tendenza “totalitaria” infatti è tale perché cancella la differenza tra diritto privato e diritto pubblico. Vuole attentare alla stessa volontà dell’individuo, la vuole sostituire con la norma dell’autorità in ogni piega. Il premio ha sostituito il diritto. L’individuo non è più un “cittadino” ma un suddito o, meglio, un malato da curare da se stesso. È così che le aule di giustizia sono diventate un mercato (delle coscienze) attraverso nuovi riti come il “patteggiamento” e il “rito abbreviato” dove alcuni avvocati si prestano ormai a rinunciare al loro ruolo classico di difensori dell’imputato per ridursi a portaborse del pm Difficilmente la resistenza qui indicata andrà avanti se non saprà sottrarsi a questi riti e difendere invece le proprie ragioni dalla logica di mercato applicata alle idee. Giustizia: femminicidio e stalking, le nuove norme in Consiglio dei ministri di Michele Bocci La Repubblica, 8 agosto 2013 Giro di vite sulla violenza in casa indagini anche senza denuncia e diffida per evitare l’escalation. Una risposta all’allarme sociale provocato dalla violenza sulle donne attraverso misure più severe per i colpevoli. È la linea che guida il decreto legge dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere” che arriverà oggi in Consiglio dei ministri e che per tutta la giornata di ieri è stato ritoccato dagli uffici legislativi del Viminale. Si intende inasprire “per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela della donna vittima di violenza domestica”. Nella norma sarebbe prevista la possibilità per le forze dell’ordine di procedere senza querela di parte quando ci sono gravi indizi di violenza o minacce commesse dal coniuge o da chi è comunque legato, o è stato legato, da una relazione con la vittima. Così il giudice per le indagini preliminari può subito allontanare l’autore dalla casa di famiglia e dai luoghi frequentati dalla donna. Se invece la querela è presentata, non può più essere ritirata, come è invece ammesso per altri reati. Nell’articolo 572 del codice penale, che sanziona i “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, si alza da 14 a 18 anni l’età delle vittime. Come misura di prevenzione della violenza domestica, si ipotizza che il questore possa dare un “ammonimento” a chi è segnalato per un reato di lesioni e gli sospenda pure la patente per un periodo da uno a tre mesi. Se poi il fatto è commesso da un soggetto già “ammonito” si prevede un aumento di pena. Sempre la violenza domestica trova una nuova definizione, come l’insieme degli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica commessi non solo nel nucleo familiare o tra ex coniugi ma anche da persone semplicemente legate da relazione affettiva in corso o conclusa. Anche nel caso in cui vittima ed autore non abbiano mai convissuto. Se a essere vessata è una straniera irregolare, si può decidere di concederle permesso di soggiorno per consentirle di sottrarsi al suo aguzzino. Quando la violenza è di tipo sessuale, viene prevista una pena più severa nel caso sia commessa nei confronti di una donna incinta o disabile oppure se l’autore è il coniuge o una persona legata alla vittima. Al ministero dell’Interno, infine, si chiede di elaborare ogni anno un’analisi criminologica dedicata alla violenza di genere. Lo stesso decreto cambia le cose riguardo al reato di stalking, per colpire anche chi perseguita una persona con “strumenti informatici o telematici”. Lo stalker colto sul fatto deve essere arrestato, è facoltativo invece fermare chi viola il diritto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il decreto che arriva oggi al Consiglio dei ministri era stato annunciato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano già a maggio scorso e inizialmente le norme contro il femminicidio avrebbero dovuto essere contenute all’interno del dl svuota carceri. La decisione di tenerlo fuori da quella normativa venne presa d’accordo con il ministro Cancellieri. In una prima stesura del decreto c’erano anche norme di altro tipo, come quelle che inaspriscono le pene per i ricettatori del rame rubato e per chi si impadronisce dell’identità digitale di altre persone. Un articolo era dedicato addirittura ai controlli antimafia connessi all’Expo di Milano. Nel provvedimento portato oggi alla riunione del Governo dovrebbe restare solo una norma sulla Protezione civile, che allunga i tempi di durata dello stato di emergenza, e rifinanzia il fondo per questo settore del ministero dell’Interno dopo molto tempo. Giustizia: Barani (Gal); pena è aumentata, ma per reato di stalking non ci sono detenuti Ansa, 8 agosto 2013 “Noi del gruppo Grandi Autonomie e Libertà daremo il nostro voto favorevole al decreto svuota carceri perché lo riteniamo necessario e realmente urgente visto lo stato pietoso in cui versano i penitenziari italiani e di conseguenza i detenuti; ma non lo facciamo con grande entusiasmo perché si poteva fare di più e si poteva fare meglio. Sicuramente l’aver reintrodotto agevolazioni per i reati continuativi specifici recidivi non è stato un buon servizio”. Così il senatore di Gal, Lucio Barani, durante le dichiarazioni di voto al decreto cosiddetto “svuota carceri”. “Quello che vogliamo sottolineare - ha detto ancora Barani dopo le polemiche suscitate dal suo emendamento, approvato dal Senato e poi cambiato dalla Camera, che fissava il tetto massimo della pena perché si potesse procedere con la custodia cautelare in carcere a 5 anni, dai 4 attualmente previsti - è che la Camera ha fatto due grandi modifiche: quella di aver aumentato la pena per il reato di stalking da 4 a 5 anni e quello di aver reintrodotto la detenzione preventiva per il reato di finanziamento illecito ai partiti. Per il primo, quello dello stalking, mi sentivo responsabile, visto che è stato un mio emendamento garantista che aveva portato da 4 a 5 anni il tetto massimo della pena per i reati per cui non si poteva chiedere la carcerazione preventiva. Avendo letto su tutti i giornali quello che stava succedendo, che si potevano mettere in libertà decine e centinaia di persone, che avevano commesso questo reato, sebbene non ancora condannate neanche in primo grado, mi sono permesso di andare a visitare i 200 carceri italiani per vedere quanti erano gli accusati per questo reato che sarebbero usciti. È venuto fuori, come confermato anche dal governo, che in carcere per stalking non c’è nessuno”. Quindi la Camera in maniera urgente ha cambiato un testo su uno specifico reato quando per esso in carcere non c’era nessuno, per uno zero assoluto. Stessa storia per il finanziamento illecito ai partiti. E perché allora la Camera l’ha cambiato? Perché sono intervenuti i giornali, certi giornali e certi opinion leader da questi ben retribuiti che costituiscono uno strumento di potere talmente forte da dettare legge e scrivere le sentenze e ne abbiamo una lapalissiana conferma stando a quello che è successo in questi giorni e che ieri la senatrice Mussolini ha voluto ripetere qui”, conclude. Giustizia: Fedeli (Pd); modifiche a reato di stalking servono per proteggere le donne Dire, 8 agosto 2013 “L’approvazione, oggi in Senato, del decreto chiamato svuota carceri è un’ottima notizia. Se il decreto ha il giusto lo scopo di ridurre la pressione insostenibile dell’affollamento nei penitenziari introducendo pene alternative al carcere era però doveroso discernere bene tra le diverse fattispecie di reato”. Così Valeria Fedeli, vice presidente del Senato, che continua: “Perciò, insieme ad altre senatrici Pd siamo intervenute per chiedere di correggere come avvenuto nel passaggio del decreto alla Camera la norma precedentemente approvata a Palazzo Madama rendendo così ammissibile che uno stalker attenda il giudizio agli arresti domiciliari. Troppo spesso infatti lo stalking è il preludio di un feminicidio. La modifica approvata è, infatti, di fondamentale importanza per proteggere le donne vittime dal proprio aggressore”. Giustizia: Maroni (Lega); 3 proposte di legge nostre… e aderiamo a 4 referendum radicali Italpress, 8 agosto 2013 Tre proposte di legge e l’adesione a quattro dei quesiti referendari presentati dai Radicali: sono le azioni in materia di giustizia della Lega Nord illustrate in una conferenza stampa dal segretario e presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. “Presentiamo due iniziative che la Lega prenderà in materia di riforma della giustizia, un tema di grande attualità - ha spiegato Maroni- la Lega Nord è stata spesso oggetto di attenzioni quasi mai fondate da parte della magistratura, ricordo l’indagine del procuratore Papalia e le insinuazioni su presunti coinvolgimenti del partito nella vicenda Finmeccanica: bufale, accuse destituite di ogni fondamento e mi auguro che chi ha messo in giro queste oscene insinuazioni paghi il giusto prezzo per quello che ha fatto”. Maroni, riferendosi anche alle ultime vicende politiche giudiziarie denuncia “ci pare di rilevare che il rapporto politica- magistratura-giustizia sia particolarmente a rischio e questo mette sotto pressione le istituzioni e la capacità della politica di prendere decisioni”. Il Carroccio a settembre presenterà tre proposte di legge su “abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale che è un’ipocrisia e consente abusi” ha spiegato Maroni “proposta di legge ordinaria che riporta la responsabilità delle indagini preliminari alla polizia e non più come è oggi solo ai pm e una proposta per far scontare ai cittadini extra comunitari la pena nelle carceri di casa loro, nel paese di origine, una proposta di legge che tenga conto degli accordi internazionali”. La seconda iniziativa presentata dalla Lega riguarda l’adesione ai referendum proposti dai Radicali, in particolare a 4 quesiti come annuncia il governatore della Lombardia “quello sulla responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, il reintegro dei magistrati fuori ruolo e l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”. “Ieri ho sentito Marco Pannella per vedere se sia necessario dare un contributo dal punto di vista organizzativo per la raccolta firme -ha aggiunto Maroni- intanto abbiamo invitato i nostri sostenitori a firmare solo 4 referendum, mentre su quello del divorzio breve, come accade per tutti i temi etici, la Lega lascia libertà di opinione”. Contrari invece ai quesiti referendari, sempre presentati dai Radicali, che riguardano la custodia cautelare, quello sulle droghe, “contrarissimi” a quello che abolisce il reato di clandestinità per gli immigrati e all’abolizione dell’ergastolo “che favorirebbe soprattutto i boss mafiosi”. Giustizia: Kayes e l’impunità di Stato di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (Associazione Antigone) Il Manifesto, 8 agosto 2013 Non dovremmo nemmeno stare qui a parlarne. Se davvero il 36enne Kayes Bohli è stato “massacrato” nella caserma di Riva Ligure - come pare un anonimo denunciatore scriveva a commento della foto scattata col telefonino lo scorso 5 giugno che ritraeva il corpo esanime sul pavimento - dovremmo legittimamente attenderci una ferma condanna istituzionale degli eventuali torturatori che renderebbe inutile ogni commento. Ovviamente la storia passata ci preclude un simile sentimento. C’è un’impunità di cui hanno goduto in Italia i torturatori, per i quali manca finanche un titolo di reato nel nostro codice penale. Quell’impunità che fa sì che un’associazione come la nostra si senta chiamata a commentare gli avvenimenti e le dure parole del pubblico ministero su un omicidio di Stato. Ci troviamo di fronte all’ennesima morte di una persona che si trovava in custodia delle forze dell’ordine. Non è un caso però che oggi si possa fare un elenco. Quindici anni fa nelle carceri, nelle caserme e nei commissariati la violenza si usava quanto oggi, ma di morti e pestati si parlava molto poco. Oggi per una serie di circostanze il muro dell’omertà ha sempre più buchi. Capita che detenuti si rivolgono a noi perché vittime di violenze. Un tempo sarebbe stato impensabile. Il detenuto condivideva, sebbene per ragioni opposte, la medesima omertà dei poliziotti. Nessuno denunciava niente, tutti erano caduti dalle scale. I giornali non parlavano quasi mai di carcere, a nessuno interessava. A mano a mano le cose sono andate, seppur ancora insufficientemente, cambiando. La maggiore attenzione dei media ha fatto sì che gli stessi detenuti abbiano avuto la forza di denunciare. La Corte di Strasburgo ci ha condannati varie volte e le condanne hanno fatto parlare addetti e non addetti ai lavori, fino a quando il carcere è meritoriamente divenuto una priorità di governo. La sola cosa che non sembra essersi per nulla modificata è l’uso della violenza istituzionale. Le squadrette di cui un paio di decenni fa non si proferiva parola oggi picchiano più o meno quanto prima. Solo che fortunatamente se ne parla di più. Le vicende di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi hanno rotto gli argini di media altrimenti anestetizzati dal potere, ma non sono riuscite a smantellare uno spirito di corpo che si sente le spalle ancora troppo protette. La tortura è un crimine contro l’umanità. È un crimine che può essere commesso solo da pubblici ufficiali. È un delitto riconducibile allo Stato, come ha detto con forza il pm dopo avere letto gli esiti dell’autopsia di Kaies Bohili. In questo caso a essere coinvolti sono i Carabinieri. In altri casi sono stati poliziotti o agenti penitenziari. Non potranno essere considerate mele marce fino a quando non sentiremo parole dure nei confronti dei torturatori da parte di generali e capi della polizia, fino a quando non vedremo ministri depositare una proposta di legge del Governo per l’introduzione del delitto di tortura nel nostro codice risalente all’era fascista. Kaies Bohili avrà giustizia se le istituzioni rinunceranno a quello spirito di corpo erto a difesa di quel che rimane di una sovranità in crisi di esistenza. Giustizia: pusher ucciso a Sanremo, c’è un Rambo tra i carabinieri della Riviera di Marco Preve La Repubblica, 8 agosto 2013 Sanremo, agli atti la foto del tunisino schiacciato a terra dopo l’arresto. La moglie chiede giustizia. Bohli Kayes, il tunisino morto asfissiato perché tenuto schiacciato a terra dai militari che lo avevano arrestato per spaccio, potrebbe essere rimasto vittima di un Rambo da riviera. Un carabiniere molto zelante e poco preparato i cui modi erano anche mal tollerati dai suoi colleghi. Ed è infatti a causa di una faida interna all’Arma di questa ricca zona ai confini con Sanremo, se già nei giorni successivi un corvo in divisa si è incaricato di tenere alta l’attenzione della procura, inviando sui telefonini di alcuni militari una fotografia di Bohli esanime in caserma. E intanto un altro anonimo spediva buste con proiettili a Rambo e pure all’informatore che aveva “venduto” Bohli. Lui, il sospettato numero uno, lo avevano soprannominato Rambo per i muscoli costruiti in palestra ma anche per le sue ambizioni da detective e soprattutto per i modi risolutivi che impiegava quando entrava in azione. Rambo e i suoi due colleghi sono indagati per omicidio colposo dalla procura di Sanremo che cerca di capire chi abbia provocato la morte di Bohli Kayes lo scorso cinque giugno, nel centro di Riva Ligure. Il 36enne tunisino venne fermato dopo un inseguimento mentre spacciava, e nelle fasi concitate dell’arresto, ammanettato ai polsi e alle caviglie, almeno uno dei tre militari della pattuglia di Santo Stefano al Mare lo schiacciò a tal punto sulla schiena da impedirgli di respirare, facendolo morire un’ora più tardi per asfissia. Ma già al momento di essere caricato di peso sull’autopattuglia era probabilmente in stato di semi coscienza, e non è ancora chiaro se nel minuto impiegato dalla gazzella per raggiungere la caserma, abbia subito ulteriori pressioni sul torace. Il procuratore capo Roberto Cavallone appena avuti i risultati dell’autopsia è stato molto chiaro: “Non è un caso Cucchi perché tutto si è consumato in un arco temporale massimo di tre minuti. Però è evidente che i carabinieri hanno abusato della forza, lo Stato deve farsi carico di questa morte e chiedere scusa ai familiari. Ora aspettiamo che i tre militari si convincano a spiegare come sono andate le cose in modo da evitare che l’Arma come istituzione abbia ingiustamente a risentire della pessima pubblicità di questa vicenda”. Ma tra i carabinieri la morte di Bohli è diventata anche una resa dei conti. L’insofferenza per i metodi di Rambo, per il suo volersi occupare di settori come lo spaccio in competizione con altri reparti, è esplosa dopo la morte del tunisino. Poche sere dopo, sui telefonini di alcuni militari è arrivata la foto scattata da uno dei carabinieri presenti la notte della tragedia: Bohli è a terra nell’ingresso della caserma, l’ambulanza deve ancora arrivare, la testa appoggia sulla giacca di una divisa. L’immagine, ora nelle mani della procura, è accompagnata da una didascalia: “Ecco come lo ha massacrato”. Nel mirino c’è sempre Rambo, ma chi lo accusa forse è mosso anche da rancori e invidie per encomi ricevuti o negati. Come se non bastasse anche le lettere minatorie con i proiettili sembrano provenire da ambienti dell’Arma. Le buste, intercettate nelle poste, sono indirizzate una a Rambo e l’altra al suo informatore, un pregiudicato che gli segnalò che Bohli, quella sera del 5 giugno, stava spacciando. Un verminaio che al procuratore Cavallone fa dire: “Sarà un brutto processo”. “Ma che andrà assolutamente fatto e il procuratore Cavallone si sta comportando benissimo - dice Sonia Alberti, la moglie di Bohli - I colpevoli dovranno essere puniti, per giustizia e perché i miei due figli che hanno perso il padre non crescano coltivando l’odio. Mio marito non era un santo ma neppure un violento. Era stato arrestato altre volte e qui a Sanremo i carabinieri si erano sempre comportati bene. Non so cosa sia accaduto quella sera. Tre giorni dopo dovevamo partire per la Tunisia, forse si era reso conto che sarebbe di nuovo finito dentro ed era scappato. Però nessuno in Italia deve morire a quel modo”. Sel a Cancellieri: introdurre reato di tortura I deputati di Sel chiedono al ministro della Giustizia, Anna Maria cancellieri, di valutare l’opportunità di introdurre il reato di tortura dopo la morte del detenuto tunisino a Sanremo. “Il governo chiarisca la dinamica e faccia chiarezza sulla morte di Bohli Kayes, deceduto dopo essere stato arrestato da tre carabinieri nell’ambito di un’operazione antidroga a Riva Ligure e che, secondo la perizia autoptica, avrebbe perso la vita per asfissia violenta dovuta a una pressione sulla cassa toracica”, dicono i deputati di Sel Stefano Quaranta e Daniele Farina nell’interrogazione al ministro della Giustizia sulle cause della morte di Bohli Kayes. “La vicenda richiama alla mente recenti e drammatici episodi - continuano i due parlamentari di Sel - Abbiamo chiesto al Ministro Cancellieri se non ritenga di assumere iniziative ispettive al riguardo e se non pensa sia arrivato il momento di introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura, per impedire che fatti come questo accadano di nuovo”. “In Senato - aggiungono - è in corso l’esame di proposte di legge sul tema e vorremmo sapere quale è l’orientamento del Ministro Cancellieri, e del governo, e quali iniziative intende intraprendere per agevolarne la definitiva approvazione da parte dei due rami del Parlamento. Il caso di Sanremo, ultimo di una lunga serie, concludono Farina e Quaranta, è la conferma di come sia insostenibile una disciplina giudiziaria che non contempli il reato di tortura. Sinistra Ecologia Libertà impegnerà la politica e le istituzioni perché al più presto l’Italia inserisca il reato di tortura nel suo ordinamento. Ce lo chiedono in molti”. Antigone: serve reato tortura, appello a ministri Cancellieri e Bonino “La vicenda del tunisino morto nella caserma dei carabinieri a Riva Ligure ripropone il tema dell’introduzione del reato di tortura che è scandaloso ancora non sia previsto dal codice penale italiano, nonostante obblighi internazionali lo impongano da più di 25 anni”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per diritti nelle carceri. “Fatti come quello accaduto a Riva Ligure - aggiunge - potrebbero essere prevenuti da un segnale forte delle istituzioni. Serve una parola chiara e cioè: la tortura è un crimine contro l’umanità che non deve essere mai perpetrato”. “Rivolgiamo un appello ai ministri Cancellieri e Bonino - conclude Gonnella - perché presentino un disegno di legge governativo in modo da colmare questa gravissima lacuna in materia di diritti umani”. Pavia: apertura del polo psichiatrico in carcere… mancano medici, infermieri e agenti di Linda Lucini La Provincia Pavese, 8 agosto 2013 Al carcere di Torre del Gallo mancano medici, infermieri e agenti. “Senza di loro è difficile che il nuovo padiglione possa aprire”, dice il consigliere regionale Giuseppe Villani, che ieri ha visitato il cantiere. “La situazione è esplosiva e il rischio è quello di mettere in pericolo la sicurezza. Non c’è un minuto da perdere”. Il consigliere regionale Giuseppe Villani parla all’uscita del carcere di Torre del Gallo. Ha appena visitato il nuovo padiglione che dal 15 settembre dovrebbe ospitare 300 detenuti protetti e neppure l’incontro con il direttore Iolanda Vitale l’ha rassicurato. “La direzione e il personale stanno facendo il massimo possibile, sono bravi e impegnati - dice Villani - ma i problemi ora sono davvero grossi. Il personale è già sotto organico di 40 persone e come se non bastasse ha altri 30 addetti distaccati altrove. Sta di fatto che dei 283 previsti ce ne sono solo 213. Non va meglio per i detenuti che superano i 500 in un carcere da 275. In questa situazione ora arrivano anche i problemi del nuovo padiglione e adesso si parla anche di creare un polo psichiatrico al primo dei 4 piani della nuova struttura. Tutto ciò senza personale, né di sorveglianza, né medico, né infermieristico”. Con Vllani c’è il presidente del Centro servizi per il volontariato Pinuccia Balzamo: “Il ministero insiste sulla presenza di un sistema di videosorveglianza all’avanguardia, ma di fronte ad atti di violenza, autolesionismo non basta guardare le immagini, bisogna intervenire”. “La direzione del carcere ha scritto più volte alla Regione e al ministero - dice ancora Villani - ma senza ottenere garanzie sul personale. Basterebbero 3 o 4 ispettori, qualche unità nuova aggiunta al ritorno dei 30 distaccati. Invece nulla. Non si può aprire senza personale, tanto più di fronte a reclusi protetti come pedofili, collaboratori di giustizia e ex appartenenti alle forze dell’ordine. Si tratta di detenuti fragili all’interno del carcere che vanno seguiti in modo particolare. Se si apre senza nuovo personale si finirà per comprimere i diritti minimi dei reclusi e quelli dei lavoratori”. Balzamo sottolinea che “il tasso di recidiva per chi vive il carcere duro è del 70%, mentre è solo del 13 per chi segue attività e progetti rieducativi”. Insomma, la sicurezza dei cittadini passa anche dalle condizioni in cui si vive in cella. “Se un detenuto è costretto 22 ore in cella - dice Balzamo - è più facile controllarlo, ma con il risultato di un aumento dei suicidi, degli atti di autolesionismo e delle violenze. Il problema riguarda la sicurezza di Pavia: ci vogliono alleanze tra le istituzioni, indipendentemente dal colore politico”. Villani parla anche del futuro polo psichiatrico: “L’azienda ospedaliera ha scritto più volte in Regione chiedendo forniture farmaceutiche, personale medico, infermieristico e specialisti, ma senza ottenere risposta. Interverrò immediatamente attraverso la commissione carcere, ma anche in consiglio regionale e presso l’assessore alla Sanità. Inoltre a livello parlamentare ci vuole un’azione presso il ministero della Giustizia affinché destini a Pavia il personale necessario. Torneremo nelle carceri pavesi a Ferragosto e a inizio settembre verificheremo ancora la situazione”. Troiano: il Pirellone provvederà Il direttore generale dell’azienda ospedaliera Daniela Troiano minimizza: “Sappiamo che alla casa circondariale di Pavia a metà settembre ci saranno nuovi detenuti e noi per quel tempo saremo completamente attivi. La Regione non ha ancora risposto alle nostra richieste di personale e forniture di medicinali? Macché è solo una questione tecnica, ci vuole soltanto il tempo materiale di scrivere una lettera, entro il 15 di settembre tutto sarà a posto”. Sergio Edo che ha materialmente stilato la pratica delle richieste in Regione spiega che “sono state fatte più riunioni”. L’azienda ospedaliera dice di aver presentato un progetto complessivo che riguarda l’aumento di detenuti sia al carcere di Voghera sia a quello di Pavia: “Quando abbiamo avuto notizia dell’aumento dei detenuti ci siamo raccordati con Regione Lombardia che ci ha garantito le risorse per l’assistenza per i nuovi detenuti. Non abbiamo ancora fatto bene i conti su quanto personale medico e infermieristico servirà, visto che dipende tutto da quanti detenuti arriveranno e di quanta assistenza necessiteranno e soprattutto dal tipo di integrazione si potrà fare con il personale già esistente”. Diverso invece il discorso del reparto psichiatrico: “Richieste ufficiali non ce ne sono - dice ancora Sergio Edo - Sappiamo che se ne sta parlando e se ce lo chiederanno saremo pronti a partire con l’assistenza psichiatrica. Certo è che, visto che siamo alla prima settimana di agosto, difficilmente riusciremo a recuperare il personale adeguato a fornire assistenza psichiatrica per il 15 settembre”. Como: pochi agenti e troppi detenuti, allarme sicurezza al carcere del Bassone La Provincia di Como, 8 agosto 2013 Mentre a Roma si discute del Decreto Svuota Carceri, e tra le forze politiche sono scintille, al “Bassone” tornano sotto i riflettori i temi della sicurezza e del sovraffollamento. “Dopo due indecenti “Svuota Carceri” e dopo due vergognosi “indulti mascherati”- ha dichiarato ieri il deputato leghista, Nicola Molteni - il Pd ha pensato di proporre l’abolizione dell’ergastolo. Che altro non è che un regalo alla mafia e alla criminalità organizzata”. A Como l’ultimo caso grave risale a un mese fa. Secondo la denuncia della Federazione nazionale sicurezza della Cisl, un detenuto nord africano, in segno di protesta, ha acceso una bomboletta di gas e ha ustionato in modo serio un ispettore e un detenuto che, a tutt’oggi, sono in ospedale. Inoltre, il carcere, costruito nel 1985 per accogliere non più di 226 detenuti, ospita ad oggi 450 reclusi. E, fino a un anno e mezzo fa, prima della legge Alfano, i detenuti erano 630. Inoltre, 140 detenuti presentano problemi di dipendenza e il loro numero, secondo la Fns Cisl, è in aumento. Lo dimostra il fatto che la maggior parte dei reclusi sta scontando pene per violazione delle leggi sulla droga, seguiti da reati di furti e rapine. Intanto, come conferma la Direzione, l’organico della polizia penitenziaria può contare su 211 unità, a fronte d’un incremento necessario di 80 uomini. Così, “un agente si ritrova a sorvegliare almeno 70 detenuti - denuncia la Fns Cisl - a ciò s’aggiunge l’incremento di autolesionismi, aggressioni e minacce rivolte al personale, a cui fa da contraltare l’immobilismo dell’Amministrazione. Quest’ultima, infatti, si limita a infliggere ai detenuti qualche richiamo mentre sarebbe necessario, almeno, il trasferimento. Mettendo, così, a dura prova, anche con provocazioni e intimidazioni, il personale di polizia”. Ma non è tutto. Lucca: al carcere San Giorgio in poche ore scoppiano due risse tra detenuti stranieri www.luccaindiretta.it, 8 agosto 2013 Il problema della sicurezza e quello del sovraffollamento è ancora al centro dell’attenzione, a qualche giorno dalla visita dei parlamentari alla casa circondariale di Lucca. Soltanto ieri (6 agosto) sono scoppiate due risse tra detenuti, sedate dal tempestivo intervento degli agenti della polizia penitenziaria di Lucca. Due di loro però sono stati attinti dal sangue di alcuni detenuti e dovranno comunque essere sottoposti a profilassi. A denunciare il clima di tensione all’interno del San Giorgio è ancora una volta Donato Capece, segretario nazionale del sindacato Sappe. È lui a spiegare che le due risse sono scoppiate “tra detenuti nella prima e nella terza sezione del carcere di Lucca”. Capece spiega anche che soltanto “il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria da vari posti di servizio ha evitato pericolosissime conseguenze che neppure vogliamo immaginare”. “Nonostante tutto - prosegue - i colleghi intervenuti sono riusciti ad evitare più gravi e pericolose conseguenze, anche se due agenti sono stati attinti dal sangue di alcuni ristretti e saranno sottoposti a profilassi. In più, nonostante il parere dell’Asl che chiuse tempo fa una sezione detentiva perché inagibile, l’amministrazione penitenziaria l’ha riaperta per metterci i detenuti semiliberi. Cos’altro dovrà accadere o dovrà subire il nostro personale di polizia penitenziaria perché ci si decida ad intervenire concretamente sulle criticità di Lucca?”. E qui arrivano i noti problemi legati alla scarsità d’organico e al sovraffollamento. “La carenza di personale di polizia penitenziaria a Lucca - sottolinea ancora Capece - circa 40 tra agenti, sovrintendenti ed ispettori in meno negli organici, il pesante sovraffollamento (sono circa 150 i detenuti presenti, dei quali il 60% circa gli stranieri, rispetto ai circa 100 posti letto regolamentari) con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Episodi di violenza che sono inaccettabili e vanno stigmatizzati e contrastati con fermezza”. “Il grave episodio di Lucca - sottolinea Capece - deve servire da riflessione alla classe politica per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di polizia penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Ci vogliono riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Sul progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perché al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza. Il progetto elaborato dal Capo Dap Tamburino e dal vice capo Pagano in realtà non prevede affatto lavoro per i detenuti e mantiene il reato penale della colpa del custode. È quindi un progetto basato su basi di partenza sbagliate e non è certo abdicando al ruolo proprio di sicurezza dello Stato che si rendono le carceri più vivibili”. Modena: Ferraresi (M5S); contro sovraffollamento carceri, trasferire i detenuti al Cie www.modenatoday.it, 8 agosto 2013 Il deputato grillino sposa la proposta arrivata giorni fa dal Sindaco di Modena e illustra il “contro-piano” sulle carceri elaborato dal Movimento 5 Stelle “Adibire il Cie di Modena a carcere di media sicurezza in modo da risolvere il problema del sovraffollamento del Sant’Anna”, così il deputato centese del Movimento 5 Stelle, Vittorio Ferraresi, che interviene facendo propria la proposta lanciata dal sindaco di Modena, Giorgio Pighi. Il momento sarebbe propizio, dal momento che questa settimana gli ospiti del Cie stanno per essere trasferiti per permettere i sopralluoghi dei tecnici che si dovranno occupare della ristrutturazione della struttura di via Lamarmora. La sollecitazione del giovane parlamentare grillino arriva in occasione della discussione sul decreto “svuota carceri”, che introduce sconti di pena per risolvere l’emergenza del sovraffollamento carcerario. Le norme, appena approvate anche al Senato, hanno avuto parere favorevole solo dalle forze che sostengono il governo, oltre che da Sel. “Altro che alleanza inedita con Lega e Fratelli d’Italia - spiega il deputato in replica a quanto sostenuto ieri dal consigliere provinciale Cigni (Pd) - noi abbiamo votato contro il decreto “svuota carceri” perché non risolve il problema e, soprattutto, apre alla possibilità di enormi speculazioni immobiliari tramite le cessione e la permuta di alcuni istituti penitenziari ad opera del commissario straordinario”. Il M5S ha, infatti, ottenuto voto favorevole a un ordine del giorno che impegna il Governo a non alienare alcuni edifici penitenziari e ha presentato un “contro-piano” che punta a “risolvere l’emergenza in tempi brevi, ridando dignità ai detenuti e a costi contenuti”. Secondo questo piano elaborato dai deputati della commissione Giustizia, di cui Vittorio Ferraresi fa parte, ogni posto detenuto verrebbe a costare 15mila euro contro i 235mila euro già spesi dal ministero delle Infrastrutture. “Una differenza non solo di costi - conclude Ferraresi - ma anche di concezione della pena detentiva non solo come misura afflittiva. In questo modo, infatti, i reclusi sarebbero più vicini alle loro famiglie, vivrebbero in un ambiente più salubre e sarebbe favorita il recupero sociale”. Il piano, infatti, si basa su ristrutturazioni e rifunzionalizzazioni degli istituti invece della costruzione di nuovi edifici come si può evincere dal dossier elaborato dal M5S alla Camera. Varese: Gadda (Pd); il futuro del carcere di Miogni resta tutto da chiarire www.varesenews.it, 8 agosto 2013 Il consigliere del Pd Gadda annuncia nuove azioni per far inserire i il penitenziario varesino nel nuovo piano carceri del Dicastero di Giustizia. Investimenti in arrivo per la struttura di Busto Arsizio. Il futuro del carcere varesino resta tutto da chiarire. La risposta del Ministero della Giustizia sollecitata dall’onorevole del Pd Gadda, infatti, non chiarisce quale sarà la decisione che verrà presa da Roma sui Miogni. Destinatario di un’ordinanza di chiusura che risale al 2001 che ne ha bloccato i finanziamenti, il carcere varesino ha visto recentemente la mobilitazione di alcuni politici. In favore della struttura varesina si sono mossi esponenti bipartisan e la Commissione speciale sulla situazione carceraria in Lombardia che è persino venuta in visita nel giugno scorso, condividendo la necessità di mantenerlo in città riqualificando l’area. “Pur ringraziando il Ministero della Giustizia per i tempi piuttosto rapidi di risposta - fa sapere in una nota Maria Chiara Gadda - devo dire che nel merito la replica soddisfa solo parzialmente, perché lascia aperte troppe incertezze sul destino del carcere di Varese e non chiarisce pienamente se si voglia proseguire con l’intento di chiusura, dal momento che la struttura non rientra nel nuovo piano carceri, o se invece si lasci aperta la possibilità per una ristrutturazione della casa circondariale. Si legge infatti nella risposta che “si intende procedere in ogni caso ad una approfondita valutazione della convenienza, sia in termini tecnici che economici, di interventi di recupero conservativo e funzionale dell’istituto di Varese”. Quest’ultima ipotesi rimane a nostro avviso la più auspicabile perché, come richiede anche il territorio, si tratta di una struttura penitenziaria di assoluta necessità, dove nell’ultimo anno sono state eseguite circa 750 misure di custodia cautelare, in un comune che ospita un Tribunale di una città capoluogo di Provincia. Per queste ragioni valuterò se, alla ripresa dei lavori, sarà necessario avanzare nuove iniziative parlamentari sul tema”. Più soddisfacenti sono invece i progetti ministeriali relativi alla casa circondariale di Busto: “Va valutata molto positivamente”, prosegue Gadda, “l’intenzione di avviare un programma di investimenti per il carcere di Busto Arsizio. Nella struttura penitenziaria di Busto ci sono condizioni di sovraffollamento che non rispettano né la dignità dei detenuti né l’impegno di chi lavora per questa casa circondariale con grande dedizione, come sancito dalla recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo”. La Spezia: detenuti sono pronti a dare una mano per vincere la guerra al rifiuto selvaggio di Marco Toracca La Spezia, 8 agosto 2013 “Fateci pulire la città di Spezia. Siamo pronti a farlo”. Anche i detenuti del carcere di Villa Andreini sono pronti a dare una mano per vincere la guerra al rifiuto selvaggio. La richiesta parte dalla casa circondariale di via Fontevivo e giunge sul tavolo del sindaco, Massimo Federici. La formula un gruppo di reclusi pronti a dare il proprio contributo al decoro della città anche “nella raccolta differenziata dei rifiuti domestici porta a porta”. Non solo: i carcerati sono disponibili anche per essere impiegati nella pulizia dei canali e nella prevenzione del dissesto idrogeologico “ovviamente sotto la scorta di agenti e con i modi previsti dalla legge. Questa sarebbe un opera utile per noi e anche per la Comunità”, spiegano. La missiva è ora nelle mani dell’assessore all’Ambiente, Davide Natale che su sollecitazione del consigliere comunale Luigi De Luca ieri mattina ha fatto il punto della situazione nel corso della riunione della Seconda Commissione Consiliare (Ambiente) presieduta da Enrico Conti. “È una proposta importante che valuteremo con grande attenzione - dice Natale - Bisogna prendere subito contatto con gli organi preposti lavorando a una convenzione che ci permetta di venire incontro a questa richiesta. Da parte nostra c’è la massima apertura”. Nel frattempo Natale rivela che qualcosa c’è già. Nei giorni scorsi la giunta comunale ha dato l’ok a una delibera che garantisce ai condannati in sede penale al pagamento di una sanzione pecuniaria la possibilità di affrancarsi dal debito con la legge effettuando servizi sociali tra cui il decoro urbano. Ma il patto, eventuale, con la casa circondariale non è l’unico a cui pensa palazzo Civico. Un altro lo ha già stretto con la Caritas diocesana per la raccolta degli ingombranti mentre già da oggi l’azienda Acam avrà dei rinforzi. “Ha acquisto tre mezzi, uno è arrivato ieri e un altro entrerà in servizio subito - dice Natale - si tratta di due camion a carico posteriore e uno laterale. Uno destinato alla carta. Tutti e tre rinforzeranno così la pattuglia dei tre che Acam ha noleggiato”. Da segnalare inoltre il centro città presto farà i conti con un cambio di registro nel sistema di raccolta. Addio ai Porter, i furgoncini Piaggio dal musetto simpatico e del nome friendly per i pubblicitari (Porta a Porter era lo slogan scelto per la campagna dell’epoca) che forse non hanno mai incontrato il favore totale della gente. “Stiamo studiando qualcosa di diverso per il 2014 - spiega Natale - Nel ventaglio ci sono tante cose e annunciarne una definitiva sarebbe prematura. Diciamo che per capirci potrebbero esservi dei cassonetti mobili intelligenti a differenziazione automatica che fanno tutto da soli”. Nel pacchetto di migliorie Natale ha anche annunciato la sostituzione in città di 30 cassonetti ormai inutilizzabili, un maggiore controllo serale con una pattuglia dei vigili urbani contro l’abbandono degli ingombranti e l’enzimizzazione (disinfestazione) delle aree ecologiche. In settembre, infine, partirà la gara per il centro di smaltimento a Biogas che tratterà 34 mila tonnellate di rifiuti e nascerà a Boscalino. “Sarà pronto in un anno e mezzo mentre Saliceti tornerà ok in autunno”, dice. Da segnalare infine che in ottobre partirà la differenziata anche a Fabiano e Pegazzano portando l’asticella a 60 mila abitanti (ora 44 mila), cioè due terzi della città. “Tra poco supereremo il 40% e già adesso il valore della produzione della nostra differenziata è di 270 mila euro con una qualità migliore di quella di Capannori comune principe di questo settore”, conclude. Campobasso: il Vicepresidente della Giunta regionale Petraroia visita detenuti del carcere Ansa, 8 agosto 2013 Anche il vicepresidente della giunta regionale, Michele Petraroia, farà visita domani, giovedì 8 luglio, ai detenuti del carcere di Campobasso, alla polizia penitenziaria e ai dirigenti dell’istituto di via Cavour. “La Regione Molise - scrive l’assessore in una nota - ha inteso, fin dalla programmazione sociale regionale 2004-2006, inserire tra i progetti sperimentali a carattere regionale, quelli in favore delle persone con problematiche di giustizia, attraverso il finanziamento di specifici progetti realizzati all’interno dei tre istituti penitenziari di Campobasso, Isernia e Larino e dell’Ufficio di esecuzione penale esterna di Campobasso - Isernia. I progetti sono finalizzati alla rieducazione dei soggetti che stanno scontando una pena detentiva ed al loro reale reinserimento socio-economico”. Le attività sono sia di carattere strettamente manuale che di carattere culturale e formativo. Per ogni annualità la Regione ha messo a disposizione 150 mila euro. La III annualità è attualmente in fase di realizzazione. Nei tre istituti penitenziari del Molise sono reclusi n. 505 detenuti di cui 66 stranieri e 42 in attesa del primo giudizio. Cagliari: detenuto ustionato da bombola gas, trasportato d’urgenza all’ospedale L’Unione Sarda, 8 agosto 2013 Cambia la bomboletta della cucina a gas all’interno della cella e viene investito da una fiammata. Un uomo di 45 anni, di Quartu, detenuto nel carcere cagliaritano di Buoncammino, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Brotzu con ustioni sul 60 per cento del corpo. Il 45enne, che condivideva la cella con altre quattro persone, stava cambiando la bomboletta della cucina a gas e nel farlo avrebbe commesso un errore, innescando una fiammata. Il fuoco lo ha investito in pieno, ustionando in modo lieve anche uno degli altri detenuti. Il ferito più grave è stato subito soccorso e trasportato con un’ambulanza del 118 all’ospedale Brotzu dove si trova adesso ricoverato. Le sue condizioni sono gravi. Nuoro: incendio minaccia Isili e Nurallao, trasferiti i detenuti della colonia penale L’Unione Sarda, 8 agosto 2013 Fiamme in Trexenta: tra Isili e Nurallao le fiamme stanno bruciando ettari di territorio. Evacuata la colonia penale. Ancora incendi in tutta l’Isola, favoriti dalle alte temperature. Due elicotteri regionali e due canadair stanno intervenendo a Isili, vicino alla colonia penale, per domare un rogo scoppiato poco dopo mezzogiorno. I detenuti (41) sono stati trasferiti nella colonia penale di Mamone. Al lavoro anche le squadre a terra con gli uomini del Corpo forestale, i volontari e i vigili del fuoco. Fuoco vicino a capannoni e fabbricati anche a Serrenti, nella zona di Monte Mannu. Per domare le fiamme è stato richiesto l’intervento di due elicotteri. Infine Corpo forestale e vigili del fuoco stanno lavorando su altro incendio di sterpaglie scoppiato nella zona di Samatzai. Intervenuto anche un elicottero. Stati Uniti: chiusura carcere di Guantánamo a rischio dopo nuovo allarme terrorismo Adnkronos, 8 agosto 2013 Il nuovo allarme terrorismo lanciato dagli Usa, che si concentra principalmente nello Yemen, mette a rischio la realizzazione del nuovo tentativo dell’amministrazione Obama di procedere verso la chiusura di Guantánamo. Oltre la metà dei prigionieri ancora detenuti nel carcere realizzato nella base militare americana a Cuba, infatti, sono yemeniti ed un loro eventuale trasferimento è quindi cruciale per raggiungere l’obiettivo, promesso ormai da molto tempo da Barack Obama, di smantellare il campo. “Visto che ora è riconosciuto che la cellula di al Qaeda che ha la base nello Yemen sta complottando contro di noi, non vedo come il presidente possa onestamente dire che qualsiasi detenuto debba essere trasferito nello Yemen”, ha detto Saxby Chambliss, capogruppo repubblicano della commissione intelligence del Senato. “Mandarli nel paese dove al qaeda e suoi affiliati operano e continuano ad attaccare i nostri interessi non è la soluzione”, ha aggiunto in una dichiarazione. A far riaprire la polemica internazionale, ma anche interna, su Guantánamo, dopo il fallimento del primo tentativo dell’amministrazione Obama di mantenere la promessa fatta agli elettori americani e, soprattutto, al mondo, è stato lo sciopero della fame che ormai da mesi i detenuti portano avanti per attirare l’attenzione sulle condizioni di detenzione. E sul fatto che rimangono in prigione da anni, alcuni oltre 10, senza alcuna formale incriminazione e senza nessuna prospettiva dell’avvio di un processo formale. Così Obama si era assunto l’impegno di ricominciare a cercare di rimpatriare i detenuti per i quali era stato dato l’ok al trasferimento. Ed è stata riconvocata la commissione del Pentagono che dovrà rivedere i file dei circa 70 detenuti ai quali non è ancora stato dato l’ok per il trasferimento. Nei giorni scorsi è stato notificato al Congresso che si intende rimpatriare, a seguito di accordi con il governo locale, due detenuti algerini. Ma con l’allarme terrorismo in corso, appare quanto mai improbabile che Washington possa procedere con i negoziati per il rimpatrio dei detenuti yemeniti, che sono la maggioranza degli 86 per i quali la commissione ha già dato il via libera. Tunisia: il presidente Moncef Marzouki ha concesso la grazia a 343 detenuti Adnkronos, 8 agosto 2013 Il presidente tunisino Moncef Marzouki ha concesso la grazia a 343 detenuti in occasione della festività religiosa dell’Eid al-Fitr che segna la fine del mese sacro di Ramadan. Lo rendono noto le autorità tunisine, precisando che nessuno dei detenuti graziati è accusato di terrorismo. La decisione di Marzouki è stata annunciata dopo un incontro con il ministro della Giustizia Nadhir Ben Ammou e il capo dell’amministrazione penitenziaria Habib as-Subui. Ammou ha spiegato che sono stati esaminati i casi di 568 prigionieri e si è deciso di perdonarne 343. Tra questi, 266 avrebbero terminato di scontare la pena entro i prossimi tre mesi. Inoltre sono state ridotte le condanne al carcere per 981 detenuti. Cina: video attivista detenuto, invita “i cittadini a farsi avanti per ottenere i loro diritti” Ansa, 8 agosto 2013 Beffando la polizia cinese, l’avvocato democratico Xu Zhiyong è riuscito a far uscire dal carcere un breve video, nel quale invita “i cittadini coraggiosi a farsi avanti per ottenere i loro diritti e realizzare i loro sogni”. Il video è stato girato probabilmente da qualcuno che ha potuto visitare Xu in prigione. Xu Zhiyong, 40 anni, è uno dei fondatori del Nuovo Movimento dei Cittadini, che si batte per il rispetto della legge e per l’ affermazione dei diritti civili.