Giustizia: i diritti dei colpevoli di Michela Marzano La Repubblica, 7 agosto 2013 Che in uno Stato di diritto le forze dell’ordine abbiano il dovere di garantire la sicurezza di tutti i cittadini e il vivere insieme collettivo è fuori discussione. Soprattutto in un periodo di crisi non solo economica ma anche sociale e morale come la nostra, un’epoca in cui i crimini e i delitti contro le persone non cessano di aumentare e la cronaca è scandita quasi quotidianamente da fatti di sangue. È possibile però che queste stesse forze dell’ordine non siano poi in grado di garantire anche l’incolumità dei presunti colpevoli? Come si spiegano gli incidenti che si sono verificati in questi ultimi anni durante l’arresto o l’incarcerazione di alcuni detenuti? È possibile che, in nome del diritto alla sicurezza dei cittadini, alcune persone perdano automaticamente i propri diritti? “Al di là di quello che ha commesso un soggetto, la vita è sacra”, ha affermato ieri il Procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone, commentando i risultati dell’autopsia del giovane tunisino morto in giugno a Santo Stefano al Mare, poco dopo essere stato fermato e portato in una caserma dei carabinieri. Era stato bloccato mentre spacciava in una piazza di Riva Ligure e, dopo aver tentato di fuggire, aveva resistito all’arresto. Il che spiegherebbe la colluttazione violenta con i carabinieri e il fatto che l’uomo sia stato poi schiacciato a terra. Spiegherebbe, ma non giustificherebbe: perché si trattava di un essere umano. Colpevole, molto probabilmente; clandestino, quasi sicuramente: ma non per questo privato di ogni diritto. Talvolta sembra installarsi, anche in un paese come l’Italia che fa della difesa dei diritti umani una delle proprie bandiere, una sòrta di “doppia morale”: da un lato, ci sarebbero tutti coloro che meritano rispetto e protezione; dall’altro lato chi, infrangendo la legge, diventerebbe automaticamente meno degno di rispetto. Una “doppia morale” che finisce poi con il contraddire le premesse stesse che fondano il vivere-insieme collettivo. Come si può difendere uno Stato di diritto quando i principi stessi del diritto vengono cancellati? Come si può anche solo immaginare di essere garanti della civiltà quando si calpestano i diritti di chi, non rispettando le regole deve certo assumersi la responsabilità dei propri gesti, ma non per questo può poi essere trattato senza precauzione? Parlando delle difficoltà che incontrano i medici quando si trovano di fronte ad un paziente, il filosofo francese Georges Canguilhem spiegava che il solo modo per prendersi cura di un malato è “curare tremando”. Quando si ha a che fare con la vita umana, infatti, le certezze vengono meno, e si può solo cercare di compiere o “male minore”. Mutatis mutandis, si potrebbe dire che anche le forze dell’ordine dovrebbero imparare a garantire la sicurezza e l’incolumità dei cittadini “tremando”. Senza quindi mai dimenticarsi che, dietro ad ogni crimine ed ogni delitto, c’è sempre un essere umano. Deve essere estremamente complicato far rispettare la legge e proteggere la sicurezza dei cittadini. Talvolta deve essere drammatico farlo, sapendo che può succedere qualunque cosa non appena si abbassa la guardia. Ma si dovrebbe farlo sempre sapendo che la giustizia, per definizione, non è vendicativa e che la protezione degli uni, non implica mai il non-rispetto degli altri. Come ha spiegato più volte Albert Camus parlando della barbarie della tortura, non si può voler difendere la civiltà quando ci si comporta in modo incivile. Si rischia di fare esattamente come coloro da cui ci si vorrebbe difendere. Giustizia: “Gli impedirono di respirare”, tunisino morto in caserma a Riva Ligure (Im) L’Unità, 7 agosto 2013 Sarebbe morto per asfissia, in seguito a una procedura di arresto troppo violenta da parte dei carabinieri: Bohli Kayes, l’immigrato tunisino di 35 anni che ha perso la vita il 6 giugno scorso, a Riva Ligure, poco dopo la sua cattura, avvenuta al culmine di un’operazione antidroga, in circostanze ancora tutte da chiarire e dai contorni anzi piuttosto sospetti. Il referto dell’autopsia, eseguita dalla dottoressa Simona Del Vecchio, responsabile del servizio di Medicina legale di Imperia, riferisce di “arresto cardiocircolatorio neurogenico, secondario ad un asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica”. “Sostanzialmente l’ipotesi che fa il medico legale è che nel momento dell’arresto o del trasporto in auto, dal luogo dell’ arresto alla caserma, sia stato in qualche modo impedito a Bohli Kaies di respirare e di espandere la cassa toracica - ha affermato, stamani, il procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone, titolare delle indagini - e questo ha determinato, in un individuo che già era in carenza di ossigeno perché proveniva da una violenta colluttazione, un debito di ossigeno notevole”. Una ricostruzione dei fatti che, se trovasse riscontro nelle indagini e negli accertamenti, ricorderebbe molto la morte di Federico Aldrovandi, del quale i periti hanno accertato l’asfissia durante la colluttazione con i quattro agenti della Questura poi condannati per omicidio colposo. I tre carabinieri che procedettero all’arresto di Kayes rimangono indagati per omicidio colposo: “C’è una grossa responsabilità delle istituzioni dello Stato - ancora Cavallone - per la morte di questo cittadino tunisino, perché al di là di quello che poteva aver commesso, la vita è sacra e quando un cittadino, italiano o straniero, è nella disponibilità delle istituzioni, la sua integrità fisica deve essere assolutamente tutelata”. È probabile che, per impedire un’ulteriore fuga di Kayes, i militari gli abbiano compresso la schiena o la cassa toracica, impedendogli di respirare e provocandogli quella sofferenza cerebrale, notata durante l’autopsia. Il consolato tunisino in Italia ha già chiesto copia del referto medico. Sanremo, la morte del tunisino. “Gli impedirono di respirare” (La Repubblica) Il procuratore Cavallone dopo i risultati dell’autopsia: “C’è una grossa responsabilità dello Stato, al di là del reato commesso la vita è sacra”. Tre i carabinieri indagati per omicidio colposo “Arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica”. Impossibilità a respirare. Questa è la causa della morte di Bohli Kayes, il tunisino morto la sera del 5 giugno scorso in seguito ad un arresto particolarmente concitato - per spaccio di droga - da parte dei carabinieri di Santo Stefano al Mare, poco distante da Sanremo. Un caso che, pur con la necessità di avere in mano tutti gli elementi, rievoca la triste storia di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni, morto una settimana dopo il suo arresto per droga nell’ottobre del 2009. O i fatti del 2005 quando Federico Aldrovandi morì per colpa della violenta reazione dei poliziotti durante l’arresto. Secondo quanto è stato ricostruito la sera del 5 giugno scorso a Riva ligure, il 36enne tunisino, dopo essere stato bloccato dai militari mentre spacciava nel piazzale davanti a un supermercato, ha cercato di fuggire e, una volta preso, di liberarsi ad ogni costo, anche scalciando: a questo punto, durante la colluttazione i carabinieri lo avrebbero schiacciato a terra per tenerlo fermo. Poi, una volta trasferito in caserma, il malore. Ma, escluso un infarto e l’assunzione di droga, sarebbe quindi stato lo schiacciamento meccanico, e quindi l’impossibilità di resporare autonomamente, la causa della morte. A confermarlo i risultati dell’autopsia depositata ieri dai medici legali. “I risultati degli esami tossicologici hanno dato esito negativo - afferma il Procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone - quindi si esclude che il ragazzo abbia assunto sostante stupefacenti. Da subito il medico del pronto soccorso della città dei fiori, dove Bohli Kayes è morto aveva escluso un infarto”. “Questa azione - prosegue il Procuratore Cavallone - che ha impedito al 36enne di respirare è avvenuta per un tempo stimato tra un minuto e i 3 minuti, quindi tra il momento dell’arresto e il trasporto nella caserma tra il supermercato dove è avvenuto il fatto e la caserma, che distano all’incirca 500 metri di distanza. Dopo aver escluso l’arresto cardiaco era emersa l’asfissia cerebrale ipotizzabile dall’assunzione di sostanze stupefacenti di cui il soggetto faceva uso ma anche questa diagnosi è stata esclusa.” “C’è una grossa responsabilità - continua il Procuratore - da parte dell’Istituzione dello Stato. Al di là di quello che il soggetto ha commesso la vita è sacra ed è una morte di cui lo Stato deve farsi carico e deve chiedere scusa alla famiglia. C’è qualcuno che è responsabile di aver impedito a Bohli Kayes di respirare”. Sono tre i carabinieri indagati per omicidio colposo che durante l’interrogatorio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere: difficile quindi stabilire l’esatto momento dell’insufficienza respiratoria . Il supermercato dove è avvenuto l’arresto è sprovvisto di telecamere di video sorveglianza. I fatti avvennero il 5 giugno scorso nel piazzale di un supermercato di Riva Ligure. I Carabinieri di Santo Stefano al Mare arrivano sul posto. Trovano il giovane tunisino intento a spacciare eroina. Non appena vede i militari, il giovane cerca invano la fuga a piedi. I momenti che seguono sono confusi e frenetici: Bohli prima cade, si rialza e poi inciampa nel vano tentativo di fuggire scavalcando il guard rail. A questo punto, dopo la colluttazione con i militari, il giovane verrà ammanettato dai militari e trasportato in caserma, poco distante. Ma è proprio in questi istanti che si consuma la tragedia: nel piazzale della caserma Bohli Kayes perde i sensi. Allertati soccorsi morirà poco più di un’ora dopo nell’ospedale di Sanremo. Dopo una prima analisi del corpo non risultarono fratture evidenti: la salma mostrava alcune escoriazioni alle mani, alle ginocchia e, un’ecchimosi all’altezza dello zigomo destro, dovuti all’arresto animato. La perizia fu effettuata subito dopo il decesso del ragazzo sotto la supervisione del Procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone che ha peraltro sempre precisato che “ non si tratta di un altro caso Cucchi”. Proprio in conseguenza di quest’episodio, pochi giorni dopo l’arresto, nel centro smistamento delle poste centrali di Genova, il 17 giugno, viene intercettata una busta contenente una lettera di minacce accompagnata da alcuni proiettili. È indirizzata ad un carabiniere che ha partecipato all’arresto di Bohli. Verrà trasferito per motivi di sicurezza. È previsto un trasferimento anche per gli altri due carabinieri che presero parte all’arresto. Al momento proseguono le indagini per capire da dove provenga la lettera e chi l’abbia scritta. La busta è al Ris di Parma per gli esami per rilevare eventuali tracce di Dna. Giustizia: Manconi (Pd); troppa violenza sui “fermati”, certi metodi vanno messi al bando La Repubblica, 7 agosto 2013 L’integrità fisica e psichica di una persona che finisce nella custodia delle istituzioni è sacra. “Quando una persona italiana o straniera, innocente o colpevole, finisce nella custodia dello Stato, dei suoi apparati, dei suoi uomini, la sua integrità fisica e psichica diventa il bene più prezioso e più sacro. Perché la legittimità giuridica e morale di un sistema democratico a chiedere lealtà ai cittadini, discende proprio dalla sua capacità di tutelare la vita di chi sta nelle sue mani. Questo è il primo fondamento dello Stato di diritto”. Luigi Manconi è presidente della Commissione straordinaria per i Diritti Umani. Senatore, è successo di nuovo che un detenuto sia morto in cella. “Massima prudenza e il più rigoroso rispetto per le garanzie di tutti e dei tre carabinieri indagati per omicidio colposo”. Ma l’autopsia e la magistratura sembrano non avere grossi dubbi sulle responsabilità. “Quella che emerge è non solo una plausibile ricostruzione dei fatti ma, ancora più significativamente, una attendibile dinamica della morte. Fattori che tendono a definire una sorta di modalità non troppo rara e quasi una situazione tipo, che ritrovo ad esempio nella vicenda della morte di Michele Ferulli, 1 luglio 2011, Milano. Italiano, responsabile del volume troppo alto della radio”. Casi ce ne sono diversi nella cronaca degli ultimi anni. “Purtroppo molti, talvolta conclusisi con la morte, talvolta con violenze e con un’altra ricorrente circostanza: fermi violenti con denuncia per resistenza a pubblico ufficiale del fermato. Quest’ultima fattispecie penale sembra essere il quadro comportamentale e giudiziario che connota pressoché tutte le azioni di fermo e che dovrebbe giustificare comportamenti irregolari delle forze dell’ordine. Tentazione tanto più frequente quando i destinatari sono non garantiti. A volte autori di reato, altre volte persone assolutamente innocenti come Federico Aldrovandi o Michele Ferulli (in questo caso, i poliziotti verranno processati per omicidio preterintenzionale). Giustizia: lo “svuota-carceri”, azzoppato dall’asse Pdl-Lega-M5S, all’approvazione finale di Luigi Manconi L’Unità, 7 agosto 2013 Non parliamo, per favore, di “svuota-carceri”. Il decreto-legge voluto dal ministro Annamaria Cancellieri all’inizio del suo mandato, subito dopo la conferma della condanna del sistema penitenziario da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo, è un provvedimento - nonostante i molti limiti - necessario. E ciò testimonia della serietà con cui il governo intende affrontare il sovraffollamento delle carceri. Non la soluzione, certo, ma un primo tassello, cui altri dovrebbero seguire, allo studio di ben tre commissioni ministeriali. Il ministro della Giustizia, che è persona seria, non ha mai presentato questa sua prima iniziativa come un provvedimento “svuota-carceri”, etichetta che gli viene affibbiata da chi - e non sono pochi, come vedremo -intende soffiare sul fuoco dell’ansia collettiva per lucrare qualche vantaggio elettorale piccolo piccolo. In attesa di più radicali e, alla resa dei conti, più ragionevoli proposte di riforma del sistema delle pene, e lasciando al Parlamento la responsabilità di un provvedimento di amnistia e indulto (sacrosanto, per chi scrive), il decreto si limitava a ridurre l’ingresso in carcere di persone condannate per reati minori. E a potenziare il lavoro dentro e fuori dal carcere e a liberare l’ordinamento penitenziario dalle rigidità contro i recidivi introdotte dalla legge Cirielli. Poche, puntuali misure che avrebbero potuto migliorare le condizioni di detenzione attraverso una modesta riduzione delle presenze in carcere. Ma l’esame parlamentare di questo decreto ha mostrato quanto pelose siano le giaculatorie sul sovraffollamento penitenziario recitate nei giorni festivi se poi nei giorni feriali ci si batte per qualche detenuto in più (e per qualche voto in più). Già in Senato avevamo assistito al formarsi di un’assai strana maggioranza - altro che larghe intese - formata da Pdl, Lega e Movimento 5 stelle: chi per una ragione, chi per l’altra (ma talvolta per le medesime ragioni), tutti alacremente intenti a difendere la peggiore produzione legislativa dell’ultimo decennio, in gran parte responsabile delle gravi condizioni delle nostre carceri, dalla legge Cirielli alla Fini-Giovanardi. A proposito di quest’ultima, un esempio solo. Quella maggioranza (Pdl, Cinque Stelle, Lega) ha ottenuto, al Senato e poi alla Camera, il ritiro di un modesto emendamento che tendeva a ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere per i tossicodipendenti e per gli alcoldipendenti che stessero seguendo un programma terapeutico. Insomma, l’afflato garantista della destra, in tutte le sue accezioni (comprese quelle imprevedibili), si è rivelato occhiutamente e ferocemente selettivo nei confronti del tossicomane anonimo che - per motivi di salute e salvo sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza -sarebbe bene che proseguisse il suo programma terapeutico in libertà: ove non siano disponibili strutture carcerarie idonee al suo svolgimento. Come si temeva, questa battaglia contro una concezione liberale della pena è stata condotta da importanti esponenti del Pdl, con una foga che non ha risparmiato i più grossolani argomenti. Il risultato è quello che si è detto. E così alla Camera, nonostante l’ottimo lavoro svolto in commissione su impulso della presidente Donatella Ferranti, l’esame dell’Aula è tornato a essere una fiera delle vanità, con i deputati di 5 stelle che, ossessionati dal desiderio di vedere Silvio Berlusconi in galera, proponevano misure di segno opposto alla ratio del decreto, finalizzate a incarcerare di più (almeno uno in più), piuttosto che ad affrontare il problema del sovraffollamento. Ora il decreto torna in Senato, per l’approvazione definitiva. Ci torna meglio di come il Senato stesso l’aveva approvato, ma non come l’avevano voluto il governo e la commissione giustizia della Camera. È il prezzo che paghiamo al tetro sodalizio populista messo insieme da Pdl, Lega e M5S. Altro che riforma della giustizia. Quelle sessantacinquemila persone in carcere e le loro famiglie e le condizioni di detenzione che ci umiliano in Europa, come disse il presidente Giorgio Napolitano, tutto ciò vale meno di niente per gli imprenditori politici della paura. Nessun decreto “svuota-carceri”, dunque. Solo un primo passo, cui ne dovranno seguire molti altri. E auguriamoci che siano passi più rapidi e determinati. Giustizia: da 66mila detenuti a 63mila, decreto-carceri non risolve problema affollamento Intervista a Patrizio Gonnella Il Sussidiario, 7 agosto 2013 La Camera ha dato il via libera al decreto “svuota carceri” che ora passa al Senato per il voto definitivo. Contro il provvedimento si sono espressi Lega, M5S e Fratelli d’Italia che a Palazzo Madama annunciano opposizione dura. Per Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone che dal 1991 è impegnata nella tutela dei diritti dei carcerati, il provvedimento inciderà in misura minima sul sovraffollamento dei nostri penitenziari e non basterà all’Europa per toglierci la condanna. Soddisfatto? Il decreto legge del Governo, che nella formulazione originaria era di buon senso anche se timido, è stato ulteriormente annacquato nella discussione parlamentare. Cos’è successo alla Camera? Mi sorprende che ancora ci sia stato un dibattito politico di vecchio stile, che ha nuovamente evocato rischi di riempire le strade di criminali, facendo impaurire le persone, dicendo che usciranno delinquenti e così via. Per di più chiamando questo provvedimento “svuota carceri”, cosa mai più lontana dal vero. Questo provvedimento non “svuota” proprio nulla. Perché? Noi dobbiamo rientrare nella legalità penitenziaria. E perché ciò avvenga dobbiamo ridurre quel gap di 30mila unità tra detenuti presenti e posti letto regolamentari. Il decreto “svuota carceri” non basterà a colmarlo? Se va bene, questo provvedimento potrà al massimo arrestare la crescita o ridurre di pochissimo gli ingressi: da 66mila, i detenuti potranno scendere a 65, 64, 63mila. Non è questa la via maestra. Qual è la via maestra? Lo dico soprattutto a chi ieri ha costruito “l’asse securitario”, a Lega, M5S e Fratelli d’Italia: dobbiamo superare l’idea che viviamo accerchiati da criminali pericolosi. La nostra vita non è questa. Dobbiamo decidere chi vogliamo mettere in carcere, perché e per quanto tempo. Dobbiamo chiederci se è giusto tenere in carcere gli immigrati anche se non hanno particolari colpe. O se è giusto tenere in carcere circa 20mila tossicodipendenti, senza curarli, aiutarli, sostenerli. Dobbiamo domandarci se è giusto che si vada in carcere per pochi grammi di sostanze stupefacenti, o perché si vendono cd contraffatti. Se si risponde sì, allora costruiamo carceri all’infinito; se si dice no, allora togliamo quelle persone dalla galera. Sta dicendo che all’Europa non basterà questo provvedimento per togliere la condanna al nostro sistema carcerario? No, assolutamente. Nella migliore delle ipotesi, se il Senato non lo cambia in peggio - e l’eventualità c’è visto che Pd e Sel al Senato non fanno maggioranza e il Pdl al Senato aveva votato una versione molto più arretrata - nella migliore delle ipotesi, come le dicevo, questo provvedimento farà sì che da 66mila si passi a 64-65mila detenuti. Ma i posti letto sono 37mila. E l’Europa ci dice che possiamo avere tanti detenuti quanti sono i posti letto. Nei giorni scorsi si è sentito spesso parlare di piani di edilizia penitenziaria che consentirebbero di recuperare spazi nelle carceri esistenti. Cosa ne pensa? È inutile fare propaganda. Vadano a raccontarlo agli operatori. Sa cosa significa? Ce lo spieghi. Vuol dire stipare ulteriormente la gente. Significa togliere tutti gli spazi ricreativi, buttare fuori le organizzazioni laiche e religiose che organizzano attività a favore delle persone detenute e costruire così posti letto. Non è questa la via. Cosa occorre? Bisogna avere il coraggio di fare riforme che incidono. Anche se va dato atto al ministro Cancellieri di aver impostato un testo che aveva una sua fondatezza, bisogna intervenire nuovamente e ulteriormente su altri provvedimenti - penso alla legge sulle droghe, sull’immigrazione, sulla carcerazione preventiva. Poi, se questi provvedimenti hanno bisogno di tempo per funzionare, bisogna avere il coraggio di dire: facciamo un provvedimento di clemenza. E se questo provvedimento di clemenza aiuta un ricco e 10mila poveri, per come la penso io, ma anche per la nostra storia e la nostra cultura, preferisco 10mila poveracci incolpevoli fuori piuttosto che sacrificarli in nome di un ricco colpevole dentro. Giustizia: affari e numeri finti nell’inferno-carceri; 47mila posti dichiarati, 41mila effettivi di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 7 agosto 2013 L’inganno è già nella definizione. Perché la chiamano emergenza, come se fosse un evento inatteso. E invece il dramma dei penitenziari italiani è una vergogna perenne: fatta di celle stracolme di 66mila detenuti, oltre 20mila in più rispetto ai posti disponibili, e di numeri finti, perché la capienza dichiarata è molto superiore a quella effettiva. Uno sfacelo a cui questo governo risponde con un decreto “svuota carceri” disseminato di misure tampone, e che assegna enormi poteri a un commissario straordinario per costruire nuove carceri e dismettere le vecchie. Non basta, perché l’articolo 1 restringe il campo dei reati per cui si può applicare la custodia cautelare in carcere. Lasciando fuori anche il favoreggiamento personale, tipico nelle inchieste per mafia. “Interverremo con un emendamento quando il decreto tornerà in Senato”, promette Andrea Colletti, deputato di Cinque Stelle. Contro mano, anche sulle carceri: “Il nostro sospetto è che si faccia di tutto perché che la situazione rimanga esplosiva, così da applicare quel piano edilizio sui penitenziari che è un affare enorme, per tanti. E forse perché l’obiettivo finale è sempre l’amnistia: il mezzo migliore per sistemare i problemi di tanti amici degli amici, con un libera tutti”. Per ottenerlo, c’è chi agita strumentalmente i numeri rilanciati anche dal dossier carceri di M5S: il sovraffollamento nei penitenziari è al 152,8 per cento, con 112 detenuti ogni 100mila abitanti. E poi ci sono quei 66mila detenuti (ma il Dipartimento di amministrazione penitenziaria in serata ha fatto sapere che sono scesi a 66.450). Per rimediare, Cinque Stelle ha preparato un suo “contro piano carceri”, che ha inviato ieri al ministro della Giustizia Cancellieri. Un progetto che, con 355 milioni di spesa, punta a una capienza di oltre 69mila posti, senza dover costruire nuove carceri, “se non un istituto da 800 posti tra Napoli e Caserta, dal costo di 800 milioni”. La ricetta di Cinque Stelle è molto diversa da quella del governo: “Il nostro programma prevede il recupero di carceri utilizzate male e di sezioni chiuse, nonché la costruzione di nuovi padiglioni”. Una strada suffragata dalle cifre. Come spiega il dossier di M5S, i posti regolamentari negli istituti sono 47mila, ma “oltre 6mila allo stato non sono utilizzabili”. Ci sono intere aree chiuse, nelle carceri che traboccano. Non solo. “Esistono sezioni con detenuti speciali - ricor - da Colletti - che potrebbero ospitare cento persone, ma dove sono reclusi in dieci”. Esigenze di sicurezza, che però restringono ulteriormente i posti realmente disponibili. Poi ci sono i problemi di fondo, come certe norme. “Almeno un quarto dei detenuti ha violato la Fini-Giovanardi sulla droga” ricorda Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle carceri di Antigone. Ovvero, è dietro le sbarre per una legge che non fa distinzione tra droghe leggere e pesanti, e non chiarisce la differenza tra detenzione per consumo personale o per spaccio. Scandurra: “Un altro problema è la ritrosia ad applicare misure alternative: diversi detenuti potrebbero scontare la pena in strutture diverse dal carcere, eppure nei fatti non succede. Perché? Diciamo che nel mondo carcerario in tanti sono restii ai cambiamenti, perché comportano perdita di potere”. Da domani, M5S comincerà un giro nelle carceri, partendo da Regina Coeli, a Roma. “Uno dei tre penitenziari che il governo vorrebbe vendere, anche se non lo ammettono” sostiene Colletti. Sullo sfondo, la mannaia della Corte europea dei diritti dell’uomo, che in gennaio ha condannato l’Italia a risarcire con 100mila euro sette detenuti a Busto Arsizio e Piacenza. Dandole un ultimatum: entro il maggio 2014 dovrà garantire ad ogni recluso uno spazio minimo di 4 metri quadrati. Altrimenti dovrà pagare un risarcimento di quasi un miliardo ai detenuti. Giustizia: il decreto svuota-carceri dimentica i bambini figli delle detenute Corriere della Sera, 7 agosto 2013 Nessun cenno ai bimbi che vivono nei penitenziari, ma dal 2014 in vigore una legge che favorisce gli Icam, strutture alternative per madri con piccoli fino a 6 anni. Il decreto “svuota carceri”, approvato il 5 agosto dalla Camera, si dimentica dei figli delle detenute. Nel testo, infatti, non compare nessuna norma che disciplini direttamente lo stato dei minori che rimangono in carcere con le madri. “La nuova normativa coinvolge i figli soltanto in maniera indiretta - spiega Francesca Corso, ex assessore ai diritti e alle tutele della Provincia di Milano, da anni in prima linea nella tutela dei bambini delle detenute. I piccoli trarranno vantaggio, indirettamente, dalle norme che favoriscono le mamme, ad esempio da quelle che prevedono sconti di pena e l’estensione dei benefici carcerari per i recidivi”. Ma per il resto si dimentica un’altra legge, che dovrebbe entrare in vigore nel 2014: quella per le strutture alternative al carcere dedicate alle recluse con figli. Nelle carceri italiane ci sarebbero circa 7o bambini da zero a tre anni. Solo nel penitenziario romano di Rebibbia 23 bambini sono costretti a guardare il cielo dietro le sbarre: una situazione non molto diversa da quando, nel settembre 2010, a Roma si tenne la mostra “Che ci faccio io qui? - I bambini nelle carceri italiane”, con le toccanti foto di Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi. Se per questi bimbi il decreto svuota carceri non ha apportato alcun miglioramento, uno spiraglio potrebbe aprirsi dall’applicazione di una legge del 2011 che ha per madrina Anna Finocchiaro. La normativa consente alle donne di tenere con loro i bambini fino ai 6 anni in strutture non carcerarie, gli Icam: Istituti a custodia attenuata per le detenute madri. Fino a fine anno, resta invece in vigore la legge 26 luglio 1975 n. 354, che all’articolo 11 permette alle detenute madri (quelle che non possono usufruire di percorsi alternativi alla detenzione), di tenere con sé i figli solo fino all’età di 3 anni. Il regolamento carcerario prevede poi la creazione di nidi e infermerie dedicati ai piccoli, ma a Rebibbia il nuovo nido ancora non c’è.. Eppure nella stessa struttura è attivo da 18 anni il progetto “Crescere e giocare insieme”: a portarlo avanti è un gruppo di volontari. Gli Icam cambierebbero il panorama della detenzione di madri e infanti. Finora le uniche strutture del genere sono state costruite, con anticipo sulla legge, a Milano e Venezia. La nuova normativa entrerà infatti in vigore il primo gennaio 2014. La Regione Lazio, con la Giunta Polverini, aveva già predisposto un piano per la realizzazione di un Icam nel parco di Aguzzano a Roma ma il progetto, arrivato a una fase avanzata, si era bloccato. L’attuale assessore regionale alle Pari opportunità, autonomie locali e sicurezza, Concettina Ciminiello, però, rilancia il piano e auspica che per l’inizio del 2014 la struttura sia completata. “Siamo favorevoli e ci impegneremo a realizzare un Icam a Roma - spiega l’assessore -. Si tratta di un atto di civiltà che non può essere più rimandato. È necessario, però, verificare i requisiti per la realizzazione della struttura. Dovremo confrontarci con i comitati di quartiere per valutare se il progetto precedente può andare avanti o deve essere modificato”. Uno degli “stop” al progetto della Giunta Polverini era, infatti, arrivato dai residenti dell’area limitrofa al parco di Aguzzano. Mentre in Regione il provvedimento era stato approvato quasi all’unanimità. Una convergenza che l’assessore Ciminiello spera si verifichi nuovamente: “Auspichiamo una larga intesa in Regione, si tratta di un passo in avanti fondamentale per le donne detenute e i loro bambini”. Isabella Rauti, attuale Consigliere del Ministro dell’Interno per il contrasto alla violenza di genere e al femminicidio, durante la sua esperienza nel Consiglio Regionale del Lazio, è stata sicuramente il politico più sensibile alla costruzione di un Icam a Roma. Sue una proposta di legge e svariate interrogazioni in merito. Nonostante non sieda più alla Pisana, tende una mano all’assessore Ciminiello nella speranza che il progetto, stavolta, riesca ad andare in porto. “Abbiamo lavorato due anni e mezzo su un progetto che, posso dire con rammarico, ero convinta si realizzasse - ricorda. Il Lazio ha un numero di detenute-madri maggiore di quello delle altre Regioni e spesso la capienza “limite” viene superata. Bisogna uscire dall’impasse e unire le forze”. “Non ho un ruolo istituzionale in Regione - prosegue Rauti, ma se l’Assessore (ndr. della giunta di centrosinistra guidata da Nicola Zingaretti) lo desiderasse non mi tirerei indietro e metterei a sua disposizione tutta l’esperienza che ho in questo campo. Sarei orgogliosa di fare la mia piccolissima parte. L’Icam è una struttura che permette alle madri di sentirsi meno in colpa per quello che hanno fatto e che soprattutto evita ai bambini lo strazio del carcere”. La necessità di procedere alla costruzione di nuovi istituti di custodia attenuata per le detenute madri, è stata ribadita anche dal vice presidente del Senato, Valeria Fedeli: “Queste strutture sono un esempio virtuoso e un modello da far crescere, ma ad oggi non esistono purtroppo in numero sufficiente. Occorre trovare i fondi perché è in gioco il futuro di bambini che non hanno colpe”. Il primo Icam in Italia, quello di Milano, dal 2007 ha ospitato centinaia di madri e bambini fino ai tre anni. Un esperimento ideato da Francesca Corso, che si pone come modello per la realizzazione di nuove strutture. “Gli agenti non sono in divisa, le madri cucinano per i figli e seguono molti corsi - spiega la Corso. In questa struttura il bambino acquista la gioia della quotidianità che in carcere non aveva. Alcuni bimbi che prima si rifiutavano di parlare, trasferiti all’Icam hanno ripreso a farlo. Il beneficio sociale è altissimo: fra le donne che sono uscite dall’istituto nessuna è tornata a commettere reati”. Giustizia: Ucpi; a settembre 5 giorni sciopero, politica sempre più “debole” sulle carceri Ansa, 7 agosto 2013 Cinque giorni di sciopero dei penalisti contro una politica sempre più “debole” in tema di riforme della giustizia e sull’emergenza carceri. La protesta sarà attuata dal 16 al 20 settembre e nel primo giorno di astensione sarà compiuta una raccolta di firme per i referendum sulla giustizia promossi dai Radicali. I nodi della giustizia e delle carceri andrebbero affrontati con “interventi strutturali, e vi sarebbero le iniziative legislative per farlo, ma il Parlamento - si legge nella delibera di astensione dell’Ucpi trasmessa alle massime cariche dello Stato e a tutti i capi degli uffici giudiziari - appare condizionato da fatti di cronaca e da polemiche spicciole i cui effetti si riscontrano nei ritmi alternati di importanti disegni di legge”. La protesta dei penalisti di “forte denuncia politica per indirizzare la ripresa dei lavori parlamentari verso una sessione straordinaria sulla giustizia”, passa attraverso la battaglia per restituire un grado minimo di civiltà alle carceri, “uno dei punti fondanti del programma di governo”, ma su cui “non sono state licenziate fin qui misure davvero efficaci per fronteggiare l’emergenza”; e arriva fino alle riforme costituzionali e del sistema penale nel suo complesso, che ha visto protagoniste, oltre alla mancanza di coraggio della politica, “le reazioni corporative del sindacato dei magistrati e quelle velenose dei giustizialisti”. Persino le indicazioni sul tema che erano state elaborate dal gruppo di saggi nominati dal Presidente della Repubblica, lamentano i penalisti, “sono state di fatto del tutto accantonate, e tuttavia la necessità di una riforma organica della giustizia, anche con riguardo ai suoi assetti costituzionali, continua ad essere evidenziata dal Capo dello Stato, che non ha mancato di farne riferimento anche in questi giorni invitando la classe politica ad una coraggiosa inversione di rotta. Proprio questo monito - conclude l’Ucpi - riapre la questione del dibattito costituzionale e comunque complessivo sul tema giustizia, reclamato da anni e con forza dai penalisti, che dunque diventa tema di stretta attualità cui la politica è di nuovo chiamata a rispondere nei prossimi mesi”. Giustizia: Leva (Pd); a settembre in Parlamento proposta di legge per abolizione ergastolo Agi, 7 agosto 2013 “Il Pd dice sì all’abolizione dell’ergastolo, da settembre la proposta sarà in Parlamento”. Lo dice il responsabile giustizia del Pd, Danilo Leva, che in un’intervista al Foglio esprime preoccupazione anche sulla carcerazione preventiva “Non si può continuare così, troppe persone in carcere senza condanna”. “Credo - spiega - siano due i problemi che andrebbero affrontati. Uno riguarda il carcere, l’altro l’organizzazione della magistratura”. Sul carcere, dice Leva, “il Pd continuerà a sostenere quanto fatto da questo governo per combattere il sovraffollamento attraverso la promozione di misure alternative e a settembre farà alcune cose importanti. Una proposta per abolire l’ergastolo e una battaglia per riformare la custodia cautelare al fine di limitare l’utilizzo improprio di tale istituto in assenza di una sentenza passata in giudicato”. Molteni (Ln): abolizione ergastolo è regalo alla mafia “Dopo due indecenti svuota carceri e dopo due vergognosi indulti mascherati che metteranno in libertà migliaia di criminali, il Partito Democratico ha pensato di proporre l’abolizione dell’ergastolo, che altro non è che un regalo alla mafia e alla criminalità organizzata. I cittadini onesti chiedono più sicurezza, più legalità e certezza della pena non certamente l’abolizione dell’ergastolo. È chiaro che ormai il Partito Democratico ha gettato la maschera e si sta manifestando per ciò che veramente è: un movimento che ha cuore le sorti di delinquenti e criminali e non più quelle di operai e lavoratori”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo in commissione Giustizia per la Lega Nord a Montecitorio. Giustizia: la Procura di Milano non chiederà l’incarcerazione di Silvio Berlusconi di Paolo Biondani L’Espresso, 7 agosto 2013 La procura di Milano (sì, quella delle “toghe rosse” che lo “perseguitavano”) non chiede il carcere per l’ex premier. Saranno invece applicate misure alternative come l’affidamento ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. La procura di Milano non chiederà il carcere per Silvio Berlusconi. Lo confermano a “L’Espresso” autorevoli fonti giudiziarie, precisando che non si tratta di una decisione ad personam, ma della semplice applicazione di un principio generale, valido per tutti gli imputati e condannati. Il punto di partenza è la direttiva impartita nel gennaio scorso dal procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati, dopo le severe condanne inflitte all’Italia dalla Corte europea dei diritti umani per l’eccessivo sovraffollamento delle carceri e la conseguente violazione del divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti. Nel documento, che ha l’aspetto formale di una circolare tuttora in vigore, il capo della procura invitava già allora tutti i suoi pm a non chiedere il carcere ogni volta la legge renda possibile, anche se non obbligatorio, applicare una misura diversa, in particolare i domiciliari. Nel caso di Berlusconi, la legge c’è: già dal 2005 il giudice di turno può concedere la detenzione domiciliare, invece del carcere, ai condannati con sentenza definitiva che abbiano più di 70 anni, con l’esclusione dei soli reati gravissimi come omicidi, mafia o terrorismo. La legge in sé non prevede alcun automatismo, ma va sempre interpretata e applicata nel caso concreto, con tutte le sue particolarità, per cui il pm in teoria può chiedere e il giudice decidere anche il carcere, ma in via eccezionale e con una motivazione dettagliata, che è sempre contestabile e impugnabile dai difensori. In pratica, però, dal gennaio scorso la direttiva del procuratore ha già prefissato in via generale proprio i paletti per l’interpretazione e applicazione concreta della legge: i magistrati milanesi sono chiamati a “ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione”, e questo “sia in tema di misure cautelari, che in fase di esecuzione”, cioè sia per gli arresti decisi prima dei processi, sia per le condanne definitive dopo tre gradi di giudizio. La detenzione domiciliare, dunque, è diventata la regola concreta applicata a Milano, come in molti altri distretti giudiziari, a tutti i condannati ultra-settantenni, con possibili eccezioni che però non ricorrono nel caso di Berlusconi, come confermano le fonti giudiziarie interpellate da “L’Espresso”. Formalmente la procedura di esecuzione della pena si chiuderà con un provvedimento finale solo dopo il 15 ottobre, ma la posizione della procura è già chiara: il carcere per Berlusconi non verrà neppure chiesto. Quindi per gli avvocati difensori diventerà superfluo presentare una loro richiesta di evitare il carcere, visto che la stessa procura è destinata per così dire ad anticiparli. A quel punto gli avvocati dell’ex premier potranno invece chiedere al tribunale di sorveglianza di cancellare anche gli arresti domiciliari per sostituirli con l’affidamento ai servizi sociali, cioè con alcune ore di lavoro settimanale in una comunità rieducativa: il termine scadrà appunto il 15 ottobre. La direttiva del procuratore, che era stata ampiamente discussa con i magistrati del settore esecuzioni, è stata già applicata a centinaia di condannati e il suo contenuto è ora riconfermato e ampliato anche dalle nuove leggi “svuota-carceri” varate dai governi Monti e Letta. Ad ispirare queste norme è il principio costituzionale di rieducazione dei condannati, rafforzato dalla comprovata efficacia delle misure alternative anche in termini di maggiore sicurezza per i cittadini: i condannati che ottengono benefici e permessi di lavoro esterno hanno un tasso medio di recidiva (che misura quanti ex detenuti vengono riarrestati per aver commesso nuovi reati) inferiore al 4 cento, cioè molto più basso rispetto alla massa dei detenuti costretti invece a scontare tutta la pena in carceri diventate “criminogene”. Il paradosso politico è che queste regole-base del vero garantismo, sancite per la prima volta in Italia dalla storica legge Gozzini, sono state negli scorsi anni pesantemente attaccate e spesso modificate in peggio proprio dallo schieramento di centrodestra guidato da Berlusconi. Giustizia: Berlusconi ha deciso, vuole l’amnistia... “l’Esercito di Silvio” raccoglierà le firme di Tommaso Cerno L’Espresso, 7 agosto 2013 Una legge uguale a quella del 1992: per “svuotare le carceri” affollate, ma che cancelli anche la condanna per frode fiscale. È la richiesta decisa dal Cavaliere e dai suoi. Con un ricatto implicito: o passa o crolla tutto. Una petizione popolare per presentare al Parlamento la legge che garantisca l’amnistia a Silvio Berlusconi. Una legge ritagliata su quella del 1992, ma ben attenta a non “escludere” dalle maglie il condannato per eccellenza, il leader del Pdl, pur condannato in via definitiva per frode fiscale. È l’ultima trovata del centrodestra per tentare di salvare il Cavaliere dagli arresti domiciliari e soprattutto dall’incandidabilità, visto che l’amnistia è un provvedimento che cancella sia il reato che la pena. La proposta casca proprio all’indomani dell’incontro al Quirinale fra i capigruppo di Senato e Camera del Pdl, Renato Schifani e Renato Brunetta, con il presidente Napolitano. Mentre i vertici istituzionali erano a colloquio sul Colle, insomma, invocando “agibilità politica” per il Cavaliere, l’Esercito di Silvio stava mettendo a fuoco i dettagli dell’iniziativa, presentata oggi alle 12 davanti a Montecitorio, come anticipato da “l’Espresso”. Iniziativa per la quale in realtà la macchina organizzativa dell’ultimo gruppo nato nell’alveo del centrodestra con lo scopo di difendere Berlusconi da quella che considerano un’aggressione è già al lavoro per gazebo e moduli. E c’è da scommettere che troverà con molta facilità l’aiuto della macchina organizzativa del partito, con il rischio che diventi l’ennesima tegola sul già traballante governo di Enrico Letta. “Presenteremo una proposta di legge di iniziativa popolare la settimana prossima e a partire da settembre inizieremo la raccolta delle firme su tutto il territorio nazionale”, ha detto Furlan ai cronisti. “Si tratta di una proposta di pacificazione nazionale che ci auguriamo anche le forze politiche di altri schieramenti possano condividere: mi riferisco ai Radicali ma anche alla sinistra che è sensibile a questo tema”. Che non si tratti di una boutade lo dimostra anche il fatto che i rappresentanti dell’Esercito di Silvio, ha aggiunto Furlan, hanno chiesto un incontro con il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Sì perché, profili di costituzionalità a parte, è chiaro che una mobilitazione di massa degli elettori del centrodestra per fermare la sentenza della Cassazione non favorirebbe il clima di larghe intese, almeno fra gli elettori. Non solo. Il tema dell’amnistia, al netto del caso Berlusconi, è una questione che divide i due poli, fra chi ritiene che le carceri vadano svuotate al più presto, per ripristinare condizioni di vita umane per i detenuti negli istituti italiani. E chi, come la Lega Nord, considera l’amnistia un fatto inaccettabile. A presentare l’iniziativa sarà Simone Furlan, il portavoce dell’Esercito di Silvio, ma in molti - stando ai boatos - sono già pronti a mobilitarsi sui territori. Per poter presentare la norma che, se votata dai due terzi del parlamento, regalerebbe a Berlusconi la scappatoia dagli arresti domiciliari servirà raccogliere 50 mila firme, un’impresa per nulla complicata per il Pdl, se l’iniziativa di Furlan troverà appoggi e sponde fra i vertici del partito di Berlusconi. Ieri, verso sera, l’annuncio della presentazione, piuttosto criptico, faceva sapere che l’Esercito di Silvio, associazione nata per “difendere colui che rappresenta un patrimonio per i moderati italiani”, alle 12 di martedì 6 agosto in piazza Montecitorio presenterà alla stampa e a tutti gli interessati un’iniziativa “concreta e strategica, di forte ausilio per la situazione politico/istituzionale del nostro Paese che mira a coinvolgere l’intero popolo italiano, nella piena tradizione democratica”. L’esercito di Silvio raccoglie le firme per chiedere l’amnistia (Huffington Post) Più di 500 “reggimenti” dell’Esercito di Silvio sono pronti a scendere in campo da settembre per raccogliere le firme a sostegno di una proposta di legge d’iniziativa popolare per l’amnistia. Lo ha annunciato Simone Furlan, il fondatore del movimento che sostiene il leader del Pdl Silvio Berlusconi, durante un presidio in piazza Montecitorio. “Stiamo studiando una proposta di legge, chiederemo anche consigli al ministro della Giustizia Cancellieri - ha spiegato Furlan, che poi presenteremo a settembre ai cittadini per la raccolta firme. Contiamo che grazie al nostro lavoro capillare sul territorio dei reggimenti raggiungeremo presto le 50 mila firme necessarie per portare la proposta alle Camere”. Il promotore dell’iniziativa, che ha parlato di amnistia “necessaria non per Berlusconi ma per l’Italia”, ci sono ormai i tribunali “ingolfati da troppe cause civili”. Furlan si è rivolto a tutti i partiti, sinistra e radicali compresi: “Questa non è una battaglia di destra o di sinistra, ma è una battaglia di tutti gli italiani - ha aggiunto, è un atto di pacificazione, l’unica strada per pacificare il paese, e ci auguriamo che tutti i partiti la possano condividere”. Giustizia: il Pdl raccoglie firme su progetto di legge per l’amnistia? meglio i referendum… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 7 agosto 2013 Ora apprendiamo che tra le varie cose che il PdL sta meditando c’è anche l’ipotesi di una raccolta di firme per un progetto di legge di iniziativa popolare per l’amnistia. L’idea nasce all’indomani della condanna da parte della Corte di Cassazione di Silvio Berlusconi, ma i promotori assicurano e garantiscono che non è ad personam, non riguarda specificatamente Berlusconi, ma tutti coloro che per una ragione o per l’altra sono costretti a vivere all’interno delle carceri italiane. Crediamoci. Però è curioso. Vogliono riformare la giustizia, sono preoccupati per quello che accade. Invece che darsi appuntamento a settembre per raccogliere 50mila firme per un testo che comunque per essere legge deve essere discusso e approvato dal Parlamento. Potrebbero più utilmente raccogliere le firme da subito per i dodici referendum. Non solo firmarli, ma raccogliere le firme. Berlusconi aveva promesso i gazebo. Non solo non ci sono. Non ha neppure firmato, e non ne ha parlato né nel suo comizio televisivo venerdì scorso, né in quello sotto palazzo Grazioli domenica scorsa. Ha parlato di tutto, meno dei referendum. Il sospetto è che tutto questo finimondo a parole e questo minacciato sfracello, serva per occultare una politica che fa pensare ai ladri di Pisa, che litigano di giorno, per spartirsi meglio il bottino la notte. Se poi il sospetto è infondato, c’è un modo semplice per dimostrarlo: firmi, e raccolga le firme, e attraverso i suoi non pochi giornali, consenta quell’informazione cui abbiamo tutti diritti e che non viene assicurata. Lombardia: svuota-carceri solo sulla carta; fuori 800 detenuti, ce ne sono 3mila di troppo di Nicola Palma Il Giorno, 7 agosto 2013 Negli istituti lombardi seimila posti per novemila persone. Gli operatori: “Bisogna fare di più”. Entro maggio 2014 il nodo sovraffollamento va risolto. “Ossigeno puro”. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma il primo via libera della Camera al decreto svuota carceri fa tirare un bel sospiro di sollievo agli operatori del settore. Del resto, molte delle 19 strutture lombarde sono tra le più sovraffollate dello Stivale: secondo gli ultimi dati disponibili sul sito del Ministero della Giustizia, dietro le sbarre ci sono attualmente 8.961 detenuti per una capienza regolamentare di 6.051. Ora, se è vero che il provvedimento del Governo dovrebbe concretizzarsi a livello nazionale in una diminuzione di circa 6 mila persone (tra uscite e mancate entrate su stime ricavate da esperienze precedenti), la proiezione (1 su 11) su scala regionale porterebbe a un calo di circa 800 unità in 2 anni: “Numeri plausibili”, approva Gianluigi Madonia, segretario regionale Uil penitenziari. Su questa previsione, però, pesa l’incognita stranieri, che in Lombardia rappresentano il 44% della popolazione in cella. Infatti, alcuni dei benefici garantiti dalla nuova normativa - gli sconti di pena anticipati per condanne inferiori a 3 anni, ad esempio - potrebbero risultare inapplicabili per gli extracomunitari: “Serve un domicilio, un lavoro, una famiglia di riferimento - sottolinea Madonia - e spesso loro ne sono sprovvisti”. “In effetti - conviene Luigi Pagano, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - è un problema da non sottovalutare: ci stiamo lavorando, coinvolgendo enti locali e realtà territoriali”. Sì, perché non si tratta solo di carceri, “ma di società civile”, aggiunge Pagano. Con un obiettivo ineludibile: risolvere l’emergenza sovraffollamento entro il maggio del 2014, come ordinato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Un verdetto durissimo, quello arrivato dai giudici di Strasburgo qualche mese fa, originato peraltro da una denuncia di alcuni carcerati di Busto Arsizio: “Trattamento inumano e degradante”. “Ci stiamo muovendo a 360 gradi - assicura Pagano - speriamo di avere presto dei risultati”. A breve “saranno operativi i nuovi reparti a Pavia, Voghera e Cremona”, che serviranno soprattutto ad alleggerire la pressione su penitenziari al limite come San Vittore. “Per ora ci accontentiamo di un buon inizio - chiosa Donato Giordano, garante dei detenuti delle carceri lombarde - ma bisogna fare molto di più”. Sassari: Centro Democratico; detenuti mafiosi a Bancali, un grave pericolo per il territorio La Nuova Sardegna, 7 agosto 2013 Il Centro Democratico dice no al trasferimento dei reclusi mafiosi nel carcere di Bancali e in Sardegna. C’è stata un’affollata riunione, venerdì sera a Bancali, durante la quale si è parlato dei pericoli che possono causare al territorio i reclusi per reati di mafia nel carcere di Bancali. A introdurre l’assemblea Tore Piana che ha illustrato come nel carcere di Bancali oltre agli attuali 162 reclusi trasferiti da San Sebastiano possono arrivare tra ottobre e novembre altri 92 detenuti con il 41bis e altri 200 ad alta pericolosità per reati di mafia. Piana ha specificato che la presenza del carcere a Bancali non è un fattore negativo, anzi può essere senz’altro un’opportunità di sviluppo economico per il territorio per l’indotto che riesce a creare “ma - ha specificato - senza i detenuti mafiosi, se non vogliamo rischiare che nei prossimi anni il sistema mafia si insedi nel nostro territorio oggi indenne da tale fenomeno”. “Oggi - spiega Tore Piana - il territorio del triangolo Sassari-Alghero-Porto Torres è considerato area di crisi con tassi di disoccupazione fra i più alti della Sardegna e d’Italia”. Anna Maria Busia esperta di problematiche carcerarie e fondatrice dell’associazione Cambi@lamente ha illustrato i motivi che hanno portato il governo a individuare la Sardegna come luogo dove trasferire i reclusi mafiosi. Roberto Capelli nel suo intervento ha illustrato la sua proposta di legge presentata giorni fa alla Camera che, se approvata, bloccherebbe il trasferimento dei reclusi per reati di mafia a Bancali e in Sardegna. “Sarebbe interessante confrontarsi con l’avvocato Mameli - ha detto Capelli - in un pubblico confronto, sulle prospettive di Bancali, il sistema carcerario in Sardegna e il 41bis: le sue ragioni e le nostre ragioni. Il nostro vuole essere un invito costruttivo, non una sfida”. All’incontro di venerdì sono intervenuti anche Angelo Acaccia, assessore di Porto Torres e Nicola Sanna assessore di Sassari per ribadire la contrarietà delle rispettive amministrazioni alla presenza di reclusi nel carcere di Bancali. Sono intervenuti Nino Marginesu coordinatore provinciale Centro democratico, Antonello Zanza medico carcerario, l’avvocato Giorgio Murino e Aldo Curcio del sindacato di polizia giudiziaria. Ferrara: donazione ai detenuti di colliri, occhiali, prodotti per igiene e presidi medici Ristretti Orizzonti, 7 agosto 2013 Iniziativa di solidarietà di AFM a garanzia della qualità della salute dei detenuti. Anche quest'anno le Farmacie Comunali hanno organizzato un'iniziativa di solidarietà a favore dei detenuti della Casa Circondariale di Ferrara. Sono stati acquistati colliri, occhiali da vista, prodotti per l'igiene e presidi medici che l'Azienda farà recapitare in Via Arginone. L'iniziativa è sostenuta dai vertici di AFM, in particolar modo dall'amministratore Sergio Caselli e dal direttore Riccardo Zavatti che nella mattinata di domani mercoledì 7 agosto, negli uffici della struttura carceraria, incontreranno il garante dei diritti dei detenuti di Ferrara Marcello Marighelli, i dirigenti e i medici del carcere per la consegna ufficiale della donazione di prodotti sanitari. L'obiettivo è quello di contribuire al miglioramento delle condizioni di salute dei detenuti, attenuando le difficoltà dovute alla reperibilità di materiale sanitario in rapporto dell'elevato numero di carcerati. Si tratta di un progetto in forte sintonia con le politiche sociali delle Farmacie Comunali, un intervento che pone l'accento sull'importanza di promuovere azioni volte a garantire la qualità della salute e a dare risposte ai bisogni dei più disagiati. AFM ha preso davvero a cuore la situazione dei carcerati di Ferrara, molti di loro non hanno i mezzi economici per potersi permettere quel minimo di cure e attenzioni necessarie per la salute. L'azienda municipalizzata che non è nuova ad iniziative di solidarietà, già lo scorso anno è intervenuta con l'acquisto di ausili sanitari a sostegno dei detenuti che non erano in grado di fronteggiare le spese di materiale protesico necessario. Parma: detenuto barese denuncia “torture” nel penitenziario. Il Sappe: nessun pestaggio di Miriam Maggi www.barilive.it, 7 agosto 2013 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Art 27 terzo comma, Costituzione della Repubblica Italiana. La difficile strada della detenzione italiana ha ancora una volta, il peso di un’altra presunta ed insostenibile ombra. Ematomi, ferite e malnutrizione gli elementi comuni nel sanguinario fil rouge del carcere italiano. In queste condizioni, la signora Lucia Masella ha ritrovato il marito nell’ultimo colloquio avvenuto sabato 3 agosto, presso la casa circondariale di Parma. In quella occasione il boss barese le avrebbe detto di subire torture, senza specificare da parte di chi, e che “gli mettevano ammoniaca e varichina nel cibo e nelle bevande e che lo legavano e gli facevano siringhe di valium”. La donna aveva visto il marito l’ultima volta nel maggio scorso, a Cuneo. L’aveva poi sentito “tranquillo” telefonicamente a fine giugno e il 29 luglio successivo oramai trasferito a Parma, in netto in stato confusionale. Nelle ultime settimane - racconta la donna dopo aver depositato la denuncia- non gli hanno recapitato nemmeno le lettere che io gli ho inviato e gli hanno fatto credere che io e mio figlio fossimo in pericolo di vita. “Lo stanno torturando in carcere per costringerlo a pentirsi. Non dico che mio marito sia innocente e che debbano scarcerarlo - dice - se ha sbagliato è giusto che paghi e sta pagando. Ma adesso sta male e ha bisogno di cure!”. Antonio Battista, 43enne pluripregiudicato, da settembre scorso è detenuto in regime di 41 bis, cioè carcere duro. Ritenuto il reggente del clan Di Cosola, sconta una condanna di 15anni( non ancora definitiva) per reati di associazione mafiosa e traffico di droga. Il suo avvocato ha depositato un’istanza perché venga visitato da un medico esterno al carcere e domani, ha annunciato, depositerà presso la Corte d’Appello di Parma una richiesta di trasferimento in una struttura sanitaria. “Lo conosco bene - ha detto l’avvocato - in passato ha scontato altri 10 anni di carcere per un omicidio e non farebbe mai tutto questo per uscire da una cella”. Sappe: nessun pestaggio a Parma “La polizia penitenziaria opera sempre con professionalità e senso di umanità. Non vorremmo considerare l’ipotesi che sul carcere di Parma sia in atto un vero e proprio tentativo di delegittimazione. Invitiamo il Dipartimento ad assumere idonee iniziative a tutela dell’immagine e dell’onorabilita del personale di polizia penitenziaria in servizio a Parma”. Lo afferma in una nota Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto Sappe, in riferimento “alle notizie diffuse ieri, relative ai presunti pestaggi avvenuti nel carcere di Parma nei confronti di un detenuto sottoposto al regime del 41 bis”. “Sembra che il detenuto in questione - spiega Durante - abbia più volte creato gravi problemi all’interno della casa di reclusione di Parma, dove avrebbe distrutto varie parti della cella, compreso pezzi del bagno ed aggredito anche il personale di polizia penitenziaria, fatti per i quali sarebbe anche stato denunciato dallo stesso personale. Pertanto, riteniamo di poter smentire quanto denunciato”. Viterbo: agenti in protesta dopo le aggressioni; direttore troppo “morbido” con i detenuti Asca, 7 agosto 2013 “Non è possibile chiederci di intervenire a mani nude”. Questa l’istanza degli agenti di Polizia Penitenziaria del carcere Mammagialla di Viterbo attualmente in stato di agitazione per richiedere la rimozione del direttore, Teresa Mascolo, colpevole, a loro dire, di avallare una linea troppo “morbida” in un carcere di massima sicurezza come quello della provincia laziale che “non è un carcere normale come gli altri”. Ad un anno e mezzo dall’insediamento di Mascolo lo scontro di visione con gli addetti alla sicurezza penitenziaria si è trasformato in un vero braccio di ferro dopo che, alla fine di giugno, nella casa circondariale di Mammagialla si sono registrate quattro aggressioni in 16 giorni da parte di detenuti ai danni degli agenti. “Il carcere di Viterbo non è un carcere normale in quanto ospita circa 200 detenuti con problemi psichiatrici, ad alto livello di pericolosità, in un quadro già grave di sovraffollamento che vede un totale di circa 750 detenuti a fronte di una capienza di 444. Noi agenti, invece, siamo in forte sottorganico, di circa 225 unita”, premette all’Asca Daniele Nicastrini della Uil-Pa, una delle sigle sindacali che insieme a Sappe, Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Cnpp e Cgil-Fp, sottoscrive la protesta in corso. La decisione più contestata al direttore Mascolo è quella di limitare fortemente l’utilizzo da parte degli agenti dei dispositivi di protezione individuale, principalmente scudi ma, in casi estremi, anche manganelli e altri strumenti offensivi. ‘Una cosa è bene precisare: anche se chiediamo l’avvicendamento del direttore, il nostro problema più grande è con il provveditorato a Roma, con il potere centrale che non interviene sul grave problema di sovraffollamento della struttura di Viterbo”, precisa Luca Floris, coordinatore locale del Sappe, il principale sindacato di Polizia Penitenziaria. Il quale sottolinea anche come “in ogni caso non ci stiamo a passare come gli aguzzini della situazione: non cerchiamo teste da rompere o sangue da far sgorgare, chiediamo solo di poterci difendere in situazioni di vera criticità con strumenti adeguati e nel pieno rispetto del nostro mandato istituzionale”. In luogo delle maniere forti, il direttore Mascolo chiede agli agenti di Polizia Penitenziaria di “curare una sana relazione con le persone ristrette, improntata a correttezza e trasparenza anche quando si fornisce una risposta negativa”. Lo si legge nell’ordine di servizio firmato lo scorso novembre dal direttore e dato in visione dagli stessi sindacati, dal momento che Mascolo è impossibilitata alla replica, vincolata dal silenzio stampa. Ma la via del solo dialogo non convince gli addetti ai lavori “costretti adesso ad affrontare a mani nude sputi, schizzi di sangue e aggressioni fisiche quando si verificano situazioni di estrema criticità legate a detenuti molto delicati dal punto di vista della gestione, che non possono essere affrontate con un fiorellino come vorrebbe la nostra direttrice”, afferma Nicastrini di Uil-Pa. In generale, “dopo 20anni in cui il carcere di Viterbo è stato considerato esemplare da Roma al punto da continuare ad inviarvi detenuti difficili, che in altri istituti resistevano appena pochi giorni, adesso si è rotto un equilibrio”, illustra Gino Federici di Cgil-Fp. Tutti e tre i rappresentanti sindacali interpellati concordano in tal senso nell’individuare “un senso di impunità sempre più diffuso” tra i reclusi dopo l’insediamento dell’attuale direttore. “Per la prima volta in due decenni - aggiunge Federici - c’è stato un accoltellamento tra detenuti in un passaggio: una lama di 20 cm non si era mai vista prima tra queste celle”. In questa situazione “chiediamo che ci vengano impartite direttive precise su come reagire in caso di necessità poiché - sostiene Floris del Sappe - si sta creando il paradosso per cui agenti in tenuta antisommossa sono autorizzati a usare la forza contro liberi cittadini che abusano, ad esempio, del loro diritto legittimo di manifestare, mentre non possono farvi ricorso nel caso di persone ristrette che, non rispettando le regole, mettono a rischio la sicurezza personale di quanti vivono tra le mura carcerarie”. Da parte sua, il provveditorato regionale del Lazio del ministero della Giustizia ha assicurato in una missiva indirizzata ai sindacati di “aver provveduto a sollecitare vivamente la competente direzione generale dei detenuti ad autorizzare un intervento di sfollamento, peraltro già richiesto da tempo, di circa 250 detenuti della Regione Lazio, nel quale sono ricompresi anche un certo numero di ristretti presso il carcere di Viterbo”. Una goccia nel mare, comunque, che separa la posizione degli agenti penitenziari da quella del loro direttore. Aosta: Garante detenuti; agenti aggrediti, su svuota-carceri servono informazioni chiare Aosta Sera, 7 agosto 2013 Sull’aggressione a 4 agenti di polizia penitenziaria, avvenuta il 26 luglio scorso nel carcere di Brissogne, a seguito dell’ingresso di un nuovo detenuto, proveniente da San Vittore, interviene oggi il Garante dei detenuti, Enrico Formento Dojot. “Come noto - ricorda il Garante - tutto è nato dallo spostamento di un detenuto, a seguito dell’ingresso a Brissogne di ristretti provenienti da San Vittore, in altra cella, il cui occupante ha manifestato la sua contrarietà. Ne è derivata una colluttazione tra un detenuto e gli agenti della Polizia Penitenziaria, accorsi nel frattempo per placare gli animi”. Secondo Dojot i fatti del luglio scorso “vanno inquadrati in un contesto temporale preciso e delicato. Il decreto legge di inizio luglio, detto svuota-carceri, era apparso come un segno significativo e concreto, dopo annunci e promesse mai giunti a buon fine, di attenzione verso il mondo carcerario. Senonché, ai detenuti giungono informazioni contrastanti sull’effettiva applicazione delle misure ivi contenute, con conseguente disorientamento tra coloro che, ovviamente, vi avevano riposto grande affidamento. Nella fattispecie, l’ulteriore ingresso di detenuti da altro Istituto ha prodotto sicuramente nervosismo. L’auspicio è che intervenga rapidamente la legge di conversione del decreto, che sia foriera di certezze nella materia”. Il Garante ricorda inoltre come la Valle d’Aosta sia in attesa dei trasferimenti dei fondi dallo Stato “necessari e ineludibili per consentire l’effettivo esercizio della competenza in materia di Sanità Penitenziaria, al fine di garantire il pieno diritto alla salute dei detenuti, diritto costituzionalmente riconosciuto a tutti gli individui e interesse della collettività”. Volterra (Pi): “Adotta la compagnia della Fortezza”, così i detenuti-attori cercano fondi Ansa, 7 agosto 2013 Armando Punzo, anima del progetto: “Il nostro lavoro è apprezzato da anni e divenuto un’esperienza consolidata a livello internazionale, ma questo non basta a garantirci un futuro solido”. La campagna si chiama “Adotta la compagnia della Fortezza” e serve a raccogliere fondi da associazioni, imprenditori, privati cittadini e teatri in tutta Italia per realizzare dentro la casa di reclusione di Volterra (Pisa) un autentico teatro stabile. Il progetto è stato lanciato da Armando Punzo, anima della compagnia di detenuti volterrani, da 25 anni attiva dentro e fuori dal carcere. E il suo sfogo pubblicato oggi dal quotidiano Il Tirreno. “Il nostro lavoro - spiega Punzo - è apprezzato da anni e divenuto un’esperienza consolidata a livello internazionale, ma questo non basta a garantirci un futuro solido. Per questo ci rivolgeremo a cittadini, associazioni, sponsor, imprenditori, teatri stabili e non d’Italia e anche ai Festival nazionali e internazionali, perché non possiamo più dipendere dalle istituzioni locali che dopo 25 anni ancora non colgono tutte le potenzialità di questa esperienza unica a livello mondiale. La campagna servirà a realizzare una cordata a livello mondiale capace di reperire le risorse necessarie per creare il teatro stabile e uno spazio di formazione all’interno del carcere”. Immediata la replica della Provincia di Pisa che, in una nota congiunta dell’assessore alla Cultura, Silvia Pagnin, e del presidente della commissione cultura, Massimiliano Casalini, difende il suo operato: “Venticinque anni di coraggio, di competenze. Venticinque anni per un percorso che i moralisti e i rancorosi considerano una perdita di tempo e di risorse poiché schierato: ma evidentemente non è così. Le categorie attuali di lettura socio-politica non possono interpretare né la storia né il presente della Compagnia della Fortezza, fortunatamente nemmeno il futuro: invece si parla di arte e di vita e della forma più alta di teatro e di esistenza”. Infine, concludono Pagnin e Casalini, “nessuna polemica da ombrellone, è l’evidenza che conta: sono le centinaia di persone che tutti gli anni entrano non per vedere ma per partecipare” e “il teatro stabile all’interno del carcere” sarà “il coronamento del camminare, senza guardarsi indietro, per aprire definitivamente gli spazi, mentali e fisici: perché in quegli spazi si rappresenta la dignità non di pochi ma di tutti noi e ormai la strada fatta ci ha portati qui e non è più possibile tornare indietro”. Macerata: in corso mostra di Ye Jiandong, artista detenuto, diplomato in arte a Spoleto www.tuttoggi.info, 7 agosto 2013 Dal 3 al 10 agosto il Centro di studi biblici “G. Vannucci” di Montefano (Macerata) ospita la mostra “Nostalgie” di Ye Jiandong, artista cinese attualmente detenuto nel carcere di San Gimignano (SI). La mostra, curata da Rita Cerioni con la collaborazione del Centro studi biblici di Montefano e della Casa dei popoli di Foligno, vede esposte venti opere dell’autore, “espressione originale della sua sensibilità - dice Rita Cerioni volontaria nel carcere di Spoleto dove Ye Jiandong si è diplomato frequentando l’Istituto Statale d’Arte presso la sezione staccata del carcere in cui opera anche l’Arch. Giorgio Flamini, già assessore alla Cultura del Comune di Spoleto- laddove la solitudine e la desolazione sono mitigate da un uso fantastico del colore”. Nei suoi quadri Ye Jiandong spazia nella dimensione conflittuale del carcere, in quella della vita contadina in Cina oppure nella ricerca di serenità attraverso la contemplazione del paesaggio. “Attraverso l’esposizione delle opere di Ye Jiandong - sottolinea Rita Cerioni - si vuole proporre non solo il percorso artistico di un autore che si confronta con i moderni stili occidentali impregnato però di nostalgia per una cultura cinese in via di estinzione, ma anche un percorso di riscatto e di ricostruzione del proprio essere, in cui l’arte ha assunto un rilievo educativo importante”. “La vita è fatta di sorprese - ha scritto Ye Jiandong commentando un suo quadro - e non ti aspetti i suoi doni, soprattutto in un luogo come il carcere”. “Ed è questa la più grande delle sorprese che la vita ci offre - dice padre Ricardo Perez Marquez, direttore del Centro studi biblici di Montefano - sentire che non ci sono barriere, neanche quelle dei propri limiti, che impediscano a una persona di aprire il suo essere alla fiducia, quella volontà innata nell’uomo e nella donna di non cedere di fronte alla più grande desolazione”. Ye Jiandong ha trovato nella pittura una possibilità di evasione: sentirsi libero anche in un microcosmo come il carcere perché - come lui stesso ha scritto - “quando dipingi non ti accorgi né dei muri freddi, né delle sbarre soffocanti, né dello spazio circostante... e non mi perseguitano pensieri angoscianti”. India: ministro Mauro su caso marò; li riporteremo a casa nel più breve tempo possibile Asca, 7 agosto 2013 Il governo Letta non “considererà assolto il suo compito se non riuscirà a risolvere” il caso dei due marò ancora detenuti in India. Lo ha affermato il ministro della Difesa, Mario Mauro in una intervista rilasciata al sito del ministero della Difesa. Un caso, ha aggiunto Mauri che deve essere “risolto in un tempo breve”. Il ministro ha poi ribadito “di essere certo dell’innocenza dei due fucilieri di Marina che operavano - ha detto - in acque internazionali e su un mandato che li indentificava chiaramente come soldati”. Pur ribadendo la vicinanza alle famiglie dei pescatori indiani rimasti vittime dell’incidente, Mauro si è detto certo che “nel più breve tempo possibile riporteremo i fucilieri di Marina a casa”. Oman: sultano concede la grazia a 155 detenuti per la fine del mese sacro di Ramadan Aki, 7 agosto 2013 Sono 155 i detenuti in carcere nell’Oman per vari reati che hanno ottenuto la grazia dal sultano Qaboos in occasione delle festività dell’Eid Al Fitr che segnano la fine del mese sacro di Ramadan. Lo rende noto l’agenzia di stampa dell’Oman. Tra le persone graziate vi sono 87 omaniti, i cui reati e le successive condanne non sono stati resi noti. Le altre persone perdonate sono stranieri ed espatriati. L’atto di clemenza è il secondo gesto di questo tipo in meno di un mese. Il 21 luglio Qaboos ha rimesso in libertà 219 prigionieri in occasione dell’Anniversario del rinascimento del Sultanato, che commemora la nascita della nazione moderna il 23 luglio 1970. Tra questi erano compresi 139 omaniti. Iran: detenuti otto slovacchi, ci sono possibili progressi nei negoziati per loro rilascio Reuters, 7 agosto 2013 Il quotidiano Sme ha scritto oggi che si registrano degli avanzamenti nei negoziati per il rilascio di un gruppo di slovacchi appassionati di parapendio, che sono detenuti in Iran ormai da 11 settimane. Spionaggio è l’accusa delle autorità iraniane nei confronti degli (ignari, immaginiamo) viaggiatori. L’ufficio stampa del Ministero degli Esteri ha detto a Sme che ci sono timidi segnali da parte iraniana che lasciano sperare in un certo ottimismo. Le trattative sono iniziate a maggio, quando le autorità slovacche sono venute a conoscenza della detenzione degli otto parapendisti. Il Ministro degli Esteri Laicak ha incontrato all’inizio di giugno l’Ambasciatore iraniano Hassan Tajin e gli ha chiesto di permettere al console slovacco in Iran di incontrare i detenuti. In un successivo incontro, il Segretario di Stato Peter Burian ha reiterato la richiesta, che a tuttoggi non risulta, scrive Sme, essere stata accontentata. Alcune istituzioni iraniane, per la verità, hanno rallentato le loro attività nelle ultime settimane a causa delle elezioni e i preparativi per l’inaugurazione del mandato del nuovo presidente, avrebbe ricordato il ministero. Nel frattempo, comunque, c’è stato anche un incontro il 12 luglio tra una delegazione iraniana e il presidente della commissione parlamentare per gli Affari europei, Lubos Blaha, il quale avrebbe confermato al giornale che si è discusso della detenzione degli slovacchi, e i colloqui sono stati definiti “costruttivi”. Secondo i racconti dei media, gli otto slovacchi sarebbero stati arrestati per attività definite illegali dalle autorità iraniane. In particolare, i deltaplanisti avrebbero scattato fotografie di luoghi proibiti nel territorio della provincia di Isfahan. Nell’area si trovano molti impianti nucleari, tra cui un sito per l’arricchimento dell’uranio. Alcuni giornali hanno scritto che i detenuti sono membri della Paragliding Expedition Slovakia, un’organizzazione che ha fatto numerose spedizioni nel corso degli ultimi anni, nelle quali sono stati prodotti documentari presentati a vari festival.