L’estate in cella si trasforma in un inferno, ma sul sovraffollamento vigila l’Europa Il Mattino di Padova, 5 agosto 2013 L’estate in carcere è l’inferno, e i “bollettini di guerra” di questi giorni parlano di suicidi, di violenze, di sofferenze, di persone accatastate in celle di pochi metri dove perdono anche la dignità. Questa volta però, raccontando le indegne ristrettezze della galera, vogliamo sottolineare anche il rischio di dover pagare colossali risarcimenti che il nostro Paese corre, se non si decide a porre rimedio alla situazione. Perché, se in Italia non desta scandalo trattare come bestie degli esseri umani, che tali restano anche se hanno commesso dei reati, l’Europa questo non lo tollera, e ci impone di trovare rimedi in fretta all’indecente sovraffollamento delle carceri. Centinaia di ricorsi a caccia di risarcimenti In questi giorni si parla molto di sovraffollamento, ci sono centinaia di ricorsi di detenuti contro l’illegalità delle condizioni di detenzione. Nemmeno alla Casa di reclusione di Padova, carcere ritenuto molto più “decente” di altri, può essere garantito lo spazio minimo (3 metri quadri) richiesto dalle norme europee, ma per paura del trasferimento in carceri anche peggiori i detenuti hanno timore ad avanzare richieste per avere lo spazio necessario per vivere. Non perché gli piace stare in queste condizioni, ma perché qualcuno ha vicino la famiglia, qualcun altro ha intrapreso un percorso di rieducazione e reinserimento. Piuttosto preferiscono vivere in questi spazi, che far soffrire le loro famiglie o interrompere il percorso iniziato. Io vorrei però analizzare la questione dall’aspetto economico. L’8 gennaio di quest’anno la Corte europea dei diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) ha condannato l’Italia (non è la prima volta) a risarcire sette detenuti con quasi 100.000 euro. Nella sentenza è scritto: “Chiunque abbia subito una detenzione che ha leso la sua dignità, deve poter ottenere un risarcimento per la violazione subita”. Con la stessa sentenza la C.E.D.U. ha riconosciuto al detenuto Bazoumana Bamba come risarcimento per 39 mesi, che ha passato al carcere di Busto Arsizio in condizioni inumane e degradanti, la somma di 23.500 euro, quindi 7.230,72 euro all’anno. La Casa di reclusione di Padova ha 370 celle, e oltre 900 detenuti. Mettendo 2 detenuti per ogni cella = 740 detenuti che possono vivere in uno spazio “tollerabile”, più di 3 mq a “persona” o meglio dire per ogni detenuto. Ma avanzano 160 detenuti, che devono essere divisi in 160 celle. Da qui deriva che tutti i detenuti che vivono in queste 160 celle (480 detenuti) hanno il diritto di essere risarciti. Riassumendo: oggi, in un carcere come quello di Padova potrebbero chiedere e ottenere un risarcimento 480 detenuti. Calcolando il risarcimento, con il parametro con cui la Corte europea ha risarcito il detenuto Bazoumana Bamba, solo per risarcire i detenuti di Padova i contribuenti italiani dovrebbero pagare 3.470.745,60 euro ogni anno a partire dal 2010, quando è stata montata la terza branda nelle celle dove dovrebbe stare un detenuto. E Padova è uno tra le carceri migliori dell’Italia. Non oso calcolare l’ammontare della somma totale per oltre 66 000 reclusi che si trovano nelle galere oggi. Il tempo di 1 anno che la Corte ha dato all’Italia per trattare noi detenuti come Quasi Persone sta per finire. Nessuno può dire che non lo sapeva, perché la situazione è stata denunciata da tutti quelli che hanno visitato le carceri, le prime condanne da parte dell’Europa sono già arrivate. E paradossalmente Noi che abbiamo commesso anche dei gravi reati oggi siamo diventati le vostre vittime. E mi dispiace, mi dispiace perché non pagherà nessuno di quelli che hanno contribuito al deterioramento della situazione della giustizia, portandola in questo stato, mi dispiace, perché pagherai Tu, contribuente onesto, che quando c’è da pagare sei il primo ad essere chiamato in causa. Çlirim B. Persone trattate peggio delle bestie Un’altra estate infuocata, che bello per quelle moltissime persone che hanno lavorato per tutta la stagione e in questo periodo si preparano per le tanto desiderate ferie, ricordo che quando ero ancora una persona libera questo periodo era una festa, molto aspettata, e ci si preparava per andare a rilassarsi dopo un anno passato a lavorare duramente. Ma per noi che siamo reclusi l’estate è una cosa che ci fa impazzire ancora di più. Il caldo afoso, che in un carcere non è certo l’unica cosa che non va, viene ancora più amplificato in un malessere generale, e non dimentichiamo che in questo posto non ci sono muri con isolamento termico, ma cemento e ferro, un caldo infernale in estate e un gran freddo in inverno. Persone trattate peggio delle bestie, E allora forse si può capire perché proprio in questo periodo sono in tanti qui dentro a “dare di matto”, già per il fatto che nella gran parte delle carceri le persone sono chiuse per 20-22 ore al giorno in una cella, che diventa peggio di un forno crematorio e compromette le nostre funzioni vitali, tutto diventa estremamente più difficile, figurarsi cosa succede a quelli che soffrono per gravi patologie. Il ministro della Giustizia si dichiara preoccupata per i nostri problemi, sottolineando con forza le condizioni di difficoltà in cui vivono i detenuti, e anche il personale che in carcere ci lavora, specialmente in questo periodo dell’anno (non che gli altri periodi siano tanto migliori) e ci fa sperare che qualcosa dovrà cambiare, ma noi detenuti oramai siamo sfiniti, sfiduciati e stufi di sentire molte false promesse, sapendo che anche l’Europa sta condannando l’Italia per tutti i problemi delle carceri, e il fatto che tutto il sistema ormai è fuori da qualsiasi legalità. Noi certo dobbiamo pagare la nostra pena, ma sappiamo benissimo che per “loro”, per chi governa noi siamo solo una goccia in un mare di emergenze, troppo grande perché qualcuno si accorga del malessere che gira attorno ad un istituto di pena. Tutti condannano tutti e intanto noi, ascoltando i telegiornali, sentiamo un gran vociare e non capiamo se veramente qualcuno vuole fare qualcosa, non solo per liberare gli istituti di pena dal problema del sovraffollamento, ma soprattutto per aiutare le persone a pagare per i loro reati in una struttura che sia legale e a misura di esseri umani. Eppure sono proprio loro, le istituzioni, che dovrebbero insegnarci cos’è la legalità. Invece quello che si vive in qualsiasi istituto nel territorio italiano è ben diverso, e ci si accorge in fretta che sono loro i primi a non rispettare la legge; ma non dovrebbe essere il contrario? Cosa vuol dire quella parola, “rieducazione”, scritta nella nostra Costituzione, in un posto che è invece spesso una scuola di delinquenza, perché non ci sono attività che coinvolgano tutti e tanto meno quel personale, che dovrebbe darti il modo di cambiare il tuo stile di vita?. Certo noi intanto viviamo con la speranza almeno di incontrare presto di nuovo la nostra famiglia fuori da qui e riconquistare gli affetti perduti, la speranza che qualcuno ci faccia pagare una pena giusta, la speranza che ce la faremo a riprenderci in mano tutta la nostra esistenza, così da poter tornare a dire: quanto bella è l’estate! Alain C. Giustizia: decreto-carceri alla Camera, reintrodotti limiti per recidivi legge ex-Cirielli La Repubblica, 5 agosto 2013 L’Aula di Montecitorio all’esame dei circa 450 emendamenti proposti al testo passato in Senato. Contrastato soprattutto dal Carroccio. Buonanno: “Un miliardo e mezzo di euro per mantenere 25mila stranieri venuti in Italia per delinquere è folle”. Scaramuccia con il vicepresidente della Camera Giachetti quando l’esponente leghista chiede di esprimersi in dialetto. È cominciato nell’aula della Camera l’esame con votazioni del dl carceri. Sul testo sono stati presentate circa 450 proposte di modifica, per la maggior parte firmate dalla Lega Nord, che contrasta duramente il provvedimento già varato in Senato. Nel corso delle votazioni sugli emendamenti, il leghista Gianluca Buonanno ha sintetizzato così la posizione del Carroccio: “Un miliardo e mezzo di euro per mantenere 25mila stranieri venuti in Italia per delinquere è folle. Bisogna rimandarli a casa”. L’intervento di Buonanno ha coinciso con una scaramuccia con il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti. Buonanno ha chiesto di spiegarsi in dialetto. “No, no. Me lo dica in italiano”, la replica severa di Giachetti, “a Montecitorio si parla italiano. Non in dialetto”. L’esponente del Carroccio: “Ma come, qui a Roma voi parlate in dialetto. Con questo provvedimento ‘nduma i numer”. È intervenuto anche Gianluca Pini, vicecapogruppo della Lega Nord, difendendo “la libertà espressiva del collega” visto che “più e più volte quest’aula ha visto interventi in lingue locali”. Il vicepresidente a questo punto ha rimandato al regolamento e ha concluso: “Il presidente decide e ha facoltà di interrompere un collega perché questa rientra tra le sue responsabilità e intende esercitarla. Quanto all’uso del dialetto, potrei richiamarla a numerosi precedenti, ne ho uno in mano, in cui si richiama a parlare in italiano perché tutti possano capire”. Tornando al dl carceri, dopo l’approvazione di Montecitorio, che dovrebbe arrivare in giornata, il testo dovrà tornare in terza lettura a Palazzo Madama, perché modificato in commissione Giustizia della Camera. Ecco tutte le novità previste dal dl dopo il passaggio in commissione Giustizia di Montecitorio. Reintrodotta la custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari per chi è accusato del reato di stalking, ma anche per i reati di finanziamento illecito ai partiti, falsa testimonianza e abuso d’ufficio. In prima lettura al Senato era stato approvato un emendamento, presentato in commissione dal senatore Gal, Lucio Barani, che spostava il tetto per il carcere preventivo a 5 anni. L’innalzamento della soglia per la custodia tagliava quindi fuori i reati che hanno una pena massima di 4 anni: il finanziamento illecito ai partiti, lo stalking, la falsa testimonianza, l’abuso d’ufficio, il favoreggiamento e la contraffazione. Con il passaggio alla Camera però la modifica è stata cancellata: la commissione Giustizia, infatti, ha reintrodotto la possibilità di custodia per i reati con pena massima di 4 anni. L’articolo 1 del decreto legge introduce modifiche al codice di procedura penale, relativamente alla disciplina degli arresti domiciliari e a quella della sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive. Ora sarà il giudice a stabilire il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. E ancora: per i detenuto (per cui non vi sia una particolare necessità del ricorso alle forme detentive più gravi) il provvedimento interviene sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena (pari a 45 giorni per ciascun semestre) il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo (prevista dall’articolo 54 dell’ordinamento penale). La proposta contenuta nel decreto prevede la possibilità che il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e affidi, in caso di valutazione positiva, al giudice competente la decisione. In questo modo, il condannato potrà attendere “da libero” la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri e i soggetti portatori di gravi patologie viene data la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare, senza dover passare attraverso il carcere, ma solo per i casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai quattro anni. La modifica introdotta fa sì che le detrazioni di pena siano anche “anticipate”, al fine di limitare l’ingresso in carcere per brevi periodi di detenzione. Sarà possibile, infatti, sospendere l’ordine di esecuzione ogni volta che la pena detentiva da espiare risulti inferiore: a 3 anni; a 6 anni per i reati connessi alla tossicodipendenza; e a 4 anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter dell’ordinamento penitenziario (donne incinte, padri e madri di figli con meno di dieci anni, persone in condizioni di salute particolarmente gravi). Con il decreto viene ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, a una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità. Questa misura, prevista per i soggetti dipendenti da alcol o stupefacenti, fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga, mentre con il provvedimento potrà essere disposta per tutti reati commessi da questa categoria di soggetti. Verona: decreto-carceri; Camera respinge emendamento contro "salva-Previti" di Donato Notarachille Il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2013 Bocciata la proposta di Colletti (M5S) di abolire la possibilità per gli ultrasettantenni di scontare la pena ai domiciliari e non in carcere. Scontro con Bianconi (Pdl) quando, in riferimento alla norma, viene nominato Berlusconi. Pioggia di modifiche della Lega al testo. L’Aula della Camera ha respinto l’emendamento al decreto svuota carceri presentato da Andrea Colletti del Movimento cinque stelle, che proponeva l’abrogazione della norma salva Previti contenuta nella legge Cirielli. La modifica che sopprimeva la possibilità per gli ultrasettantenni di scontare la pena ai domiciliari e non in carcere, è stato bocciato dall’assemblea di Montecitorio con 321 no e 94 sì, portando gli eletti M5S ad applaudire polemicamente verso i banchi del Pd, convinti che da lì sono arrivati i voti per respingere la proposta di modifica. Colletti, presentando l’emendamento, si era domandato come avrebbero votato “Pd e Sel su questa norma che abroga un pezzo della salva Previti?”. Nel corso del suo intervento prima del voto, Colletti aveva spiegato che l’intenzione era quella di cancellare una norma che “non è solo salva Previti perché, aiutando gli ultrasettantenni, salva anche un noto pregiudicato che ha fatto una manifestazione ieri proprio qui vicino”, facendo infuriare il pidiellino Maurizio Bianconi che è scattato sullo scranno alzando la voce e costringendo il presidente di turno, Roberto Giachetti a richiamarlo all’ordine. “Invito sempre la Presidenza a togliere la sambuca almeno la mattina”, ha aggiunto Colletti, proseguendo il suo intervento irritando visibilmente Bianconi che ha abbandonato l’Aula, tra gli applausi polemici dei grillini. La bagarre in aula ha avuto tra i protagonisti anche i deputati della Lega Nord che hanno bersagliato il testo del dl, approdato in aula venerdì, con una pioggia di emendamenti, contrastando duramente il provvedimento già varato in Senato e in attesa di tornarci in terza lettura dopo le modifiche subite in commissione Giustizia alla Camera. I senatori del Carroccio avevano manifestato tutto il loro disappunto con urla, strepiti e striscioni quando il provvedimento è stato licenziato dall’Aula di palazzo Madama con 206 sì e 59 no, e oggi i deputati leghisti hanno proseguito la loro strenua opposizione a colpi di emendamenti. E non solo. Gianluca Buonanno contestando le misure studiate dall’esecutivo per alleviare l’emergenza carceraria, è stato protagonista di un diverbio linguistico con il presidente di turno, Roberto Giachetti, al quale ha chiesto di poter esprimere il proprio dissenso sulle misure in esame nella propria lingua madre, ‘il lumbard’, per sottolineare che “con questo provvedimento ‘nduma i numer’. Un miliardo e mezzo di euro per mantenere 25mila stranieri venuti in Italia per delinquere è folle. Bisogna rimandarli a casa”. Buonanno rimproverato da Giacchetti ha incassato la difesa di Gianluca Pini, vicecapogruppo della Lega Nord, intervenuto per difendere “la libertà espressiva del collega” visto che “più e più volte quest’aula ha visto interventi in lingue locali”. “Il presidente – ha replicato Giachetti per chiudere la questione richiamandosi al regolamento della Camera – decide e ha facoltà di interrompere un collega perché questa rientra tra le sue responsabilità e intende esercitarla. Quanto all’uso del dialetto, potrei richiamarla a numerosi precedenti, ne ho uno in mano, in cui si richiama a parlare in italiano perché tutti possano capire”. Tra le principali modifiche subite dal testo del dl nel suo passaggio in commissione Giustizia c’è la reintroduzione della custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari per chi è accusato del reato di stalking, ma anche per i reati di finanziamento illecito ai partiti, falsa testimonianza e abuso d’ufficio. L’articolo 1 del decreto introduce modifiche al codice di procedura penale sulla disciplina degli arresti domiciliari e della sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive. Spetterà al giudice ora stabilire il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Per i detenuti per cui non vi sia una particolare necessità del ricorso alle forme detentive più gravi, il provvedimento interviene sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo. La proposta contenuta nel decreto prevede la possibilità che il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e affidi, in caso di valutazione positiva, al giudice competente la decisione. In questo modo, il condannato potrà attendere “da libero” la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri e i soggetti portatori di gravi patologie viene data la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare, senza dover passare attraverso il carcere, ma solo per i casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai quattro anni. Infine con il decreto viene ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità per i soggetti dipendenti da alcol o stupefacenti. La misura fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga. Giustizia: Ucpi contro emendamento su recidivi, decreto liquidato a prezzi saldo politico Il Velino, 5 agosto 2013 Dietro i buoni propositi più volte annunciati, “la maggioranza finisce per liquidare il decreto svuota carceri a prezzi di saldo politico”. Dura la critica dell’Unione Camere Penali riguardo l’emendamento approvato oggi dall’Aula di Montecitorio che riduce la possibilità di concedere benefici ai recidivi. “Quello che poteva essere il primo segnale di inversione di tendenza rispetto alla fallimentare legislazione penale degli ultimi anni, che ha prodotto la disastrosa situazione delle carceri e la conseguente condanna dell’Italia da parte della Cedu - sottolinea l’Ucpi - si sta risolvendo in un sostanziale nulla di fatto. Dopo la sconfessione del Senato il dl governativo era stato nuovamente rielaborato in Commissione alla Camera, restaurando la primitiva impostazione, anche a seguito dei rilievi mossi, tra gli altri, dall’Unione delle Camere Penali, ma il passaggio nella assemblea, con la reintroduzione di restrizioni e divieti frutto, prima ancora che di calcolo politico, di una sconcertante arretratezza culturale, sta definitivamente liquidando l’intervento, ed il fatto che talune, poche e timide, innovazioni siano residuate non cambia il giudizio finale”. Peraltro, al di là della specifica vicenda legislativa, questo segnale “dimostra che la politica sulla giustizia in questa legislatura - aggiungono i penalisti - è ancora ostaggio delle demagogia securitaria nella quale si distinguono le opposizioni, Lega e Movimento 5 stelle in prima fila, ma che non si scrollano di dosso neppure i partiti della maggioranza. Se questo è il buongiorno il futuro della legislatura sarà pesantemente condizionato da questa inadeguatezza - di cui la mancata difesa del testo elaborato dalla Commissione Giustizia è testimonianza fedele - di talché anche gli altri annunciati interventi sul sistema penale finiranno per pagarne lo scotto”. L’Italia, conclude l’Ucpi, ha bisogno di “tutto meno che di riformicchie abortite per mancanza di coraggio, lo reclamano la condizione disumana delle carceri, l’inefficienza complessiva del sistema e non ultimo i moniti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a cui, entro la fine dell’anno, di questo passo il Paese non riuscirà ad adeguarsi. In questa situazione ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità, come i penalisti non mancheranno di fare adottando le forme di protesta che la gravità della situazione impone”. Patriarca (Pd): dl è risposta a nostra arretratezza “Il dl sulle pene alternative è una risposta all’arretratezza delle nostre carceri. Chi, come la Lega, parla di svuota carceri lo fa in mala fede”. Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. “Abbiamo la possibilità di coniugare sicurezza dei cittadini e rispetto dei diritti dei detenuti. Una nazione evoluta non può ragionare con la logica del chiudi e butta la chiave - continua Patriarca. È ora di intervenire per evitare che la situazione si aggravi ancora di più e che l’Italia subisca nuove condanne dall’Europa”. Cirielli: FdI continuerà sua battaglia di civiltà “Fratelli d’Italia accoglie con soddisfazione l’emendamento presentato dalla Commissione Giustizia della Camera ed approvato oggi dall’Aula di Montecitorio che riduce la possibilità di concedere benefici ai recidivi”. Lo dichiara Edmondo Cirielli, deputato di “Fratelli d’Italia” e componente dell’Ufficio di Presidenza di Montecitorio. “Si tratta di un piccolo passo in avanti - spiega - che purtroppo, però, non cancella i disastri del provvedimento voluto dal Governo Pd-Pdl, che impatterà sulla sicurezza dei cittadini, sulla dignità delle vittime e la stessa credibilità dello Stato, dal momento che si elimina l’unica riforma seria del centrodestra in materia di giustizia - la legge ex Cirielli - che prevedeva un irrigidimento del sistema di esecuzione penale e processuale per i pluri recidivi”. “Fratelli d’Italia - conclude Cirielli - continuerà la sua battaglia di civiltà contro queste norme di clemenza e di perdonismo che compromettono la certezza della pena, la tutela delle vittime e scaricano tutto sulle Forze dell’Ordine”. Fedriga (Ln): messa in sicurezza nuovi impianti carcerari “Questo è un provvedimento che si basa assolutamente sulla demagogia, ovvero trova delle soluzioni che soluzioni non sono. Infatti, non diminuirà assolutamente il numero di carcerati e, quindi, il sovraffollamento delle carceri non sarà un problema risolto, ma si fa passare un messaggio, che dopo si traduce in atti concreti: quello della non certezza della pena. È chiaro che la giustificazione per la quale si dice che la pena è garantita, ma semplicemente non si svolge in carcere, non regge dal punto di vista sostanziale perché, quando si permette a queste persone di scontare la pena comodamente sul proprio divano di casa, non si può pensare e non si può parlare soprattutto di certezza della pena. L’unica soluzione che si può andare a intraprendere in modo concreto è quella, in primo luogo della costruzione o della messa in sicurezza di nuovi impianti carcerari, e, in secondo luogo, iniziare quella virtuosa opera, che aveva iniziato Maroni quando era Ministro dell’interno, ovvero riattivare gli accordi bilaterali al fine di far scontare ai detenuti la pena nel loro Paese di origine. Riteniamo che questo sia il passaggio chiave che possa risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, perché voglio ricordare che circa un terzo dei detenuti nelle nostre galere proviene da Paesi stranieri. Una via d’uscita che rappresenterebbe anche, per i nostri cittadini, un momento di estrema chiarezza, perché riteniamo che, in un momento di difficoltà economica, pensare di continuare a spendere centinaia di euro al giorno per ogni singolo detenuto, che oltretutto proviene da Paesi esteri, sia quanto meno ingiusto. Se si riuscisse a mettere in atto questo tipo di accordi bilaterali, sicuramente, riusciremmo a risolvere la situazione sia dal punto di vista economico, sia, soprattutto, dal punto di vista della possibilità di avere delle carceri con un numero adeguato di detenuti. Questo provvedimento voluto dal Governo, invece, questo decreto, va nella direzione opposta: non vuole, non intende e non riuscirà a risolvere il problema; continua, invece, a cercare di rendere impuniti, non punire, coloro che hanno commesso dei reati molto gravi. Fortunatamente, grazie anche all’intervento della Lega, qualche reato siamo riusciti ad escluderlo. Ricordo che il testo giuntoci dal Senato ricomprendeva anche...” Queste le parole del deputato della Lega Nord, Massimiliano Fedriga interviene in Aula a Montecitorio dove è in discussione il disegno di legge di conversione del dl svuota carceri. Giustizia: Sappe; decreto-carceri, evitare automatismi e favorire lavoro in carcere Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2013 “L’esame del Dl carceri dovrebbe, ad avviso del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, partire da alcuni punti fermi: favorire l’obbligatorietà del lavoro in carcere, le espulsioni dei condannati stranieri per far scontare loro la pena nei penitenziari dei Paesi di provenienza, accelerare i tempi dei processi e diminuire i tempi della custodia cautelare in carcere. Ed anche agevolare strutture sociosanitarie per permettere di scontare la pena, in luoghi differenti dai penitenziari; potenziare i posti disponibili per persone affette da disturbi psichici in comunità terapeutiche o a doppia diagnosi e il ricovero diretto, in comunità terapeutiche, per i tossicodipendenti. Va sempre garantito, però, il diritto dei cittadini onesti ad avere città più sicure, assicurando la giusta punizione per coloro che commettono reati”. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando l’esame alla Camera dei Deputati del Dl carceri. Per Capece, se la politica volesse intervenire concretamente sui problemi penitenziari potrebbe farlo con 3 provvedimenti concreti: “Processi più rapidi, espulsione dei detenuti extracomunitari per far scontare loro la pena nel paese di provenienza e soprattutto far scontare la pena ai tossicodipendenti in una comunità di recupero - conclude -. “È ovvio che se, come oggi, i detenuti stanno 20 ore in cella, questo alimenta tensioni. Dovrebbero lavorare, ma ci vuole una legge apposita e la volontà politica per farla, che nel nostro Paese non c’è. In Germania è così. Lavorano con soddisfazione perché stare fuori dalla cella dà senso di serenità ed è diverso che stare 20 ore rinchiusi senza fare nulla, alternandosi tra chi sta seduto e in piedi per mancanza di spazio. Questo acuisce la tensione, quindi aggressioni e tentati suicidi. Ma la relazione sul lavoro in carcere recentemente presentata in Parlamento dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Tamburino attesta ben altra realtà, con pochissimi detenuti che lavorano. E anche su questo il Capo Dap dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, rimettendo l’incarico che ricopre nelle mani del Ministro della Giustizia…” Giustizia: Movimento 5 Stelle; l’emergenza carceri? si può superare in due anni… Italpress, 5 agosto 2013 I deputati del Movimento 5 Stelle oggi alle 16.30 nella sala stampa di Montecitorio illustreranno i risultati della loro inchiesta sul sovraffollamento delle carceri italiane. Dati, immagini, numeri e cifre contenute in un dossier che sarà distribuito ai giornalisti a proposito di un’emergenza provocata da “anni d’inerzia della politica e delle amministrazioni competenti”, per usare le parole del prefetto Angelo Sinesio, Commissario straordinario per l’emergenza carceri. I parlamentari M5S riveleranno, per la prima volta, anche i contenuti del “piano carceri” e sveleranno “come l’emergenza potrebbe essere superata nel giro di un paio d’anni e con costi ben al di sotto di quelli sostenuti finora - si legge in una nota del M5S. Basti considerare, infatti, che fra le opere già consegnate dal ministero delle Infrastrutture e quelle previste da un piano dello stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, le differenze si aggirano attorno ai 235 mila euro per singolo posto detenuto. Ciò a dimostrazione che l’alienazione di vecchi istituti e la costruzione di nuove strutture sono semplicemente un favore agli speculatori edilizi, sulle pelle dei detenuti e a spese dei cittadini. Infine, i deputati M5S dimostreranno il rischio di illegittimità di alcune norme contenute nel piano carceri”, conclude la nota. “66 mila detenuti per 47 mila posti. 228 milioni di fondi Fas mai utilizzati dal Commissario Straordinario dal 2010. Spese folli per consulenze ad amici di politici - spiega inoltre sul blog di Beppe Grillo il gruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera. Risultato: zero posti in più per i detenuti, appena 5.000 dal prossimo anno. Ora arriva in aula il decreto svuota carceri, che in pratica prevede che il Commissario potrà vendere, dismettere, permutare e servirsi a piacimento degli edifici penitenziari di tutta Italia. Un decreto-regalia dei nostri beni. Eppure una soluzione ci sarebbe, quella del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), che prevede il recupero funzionale di carceri mal utilizzate, sezioni chiuse, nuovi padiglioni, riallocazioni di cubature, e ben 22.000 nuovi posti con una spesa di appena 10.000 euro a detenuto contro gli oltre 250.000 del piano carceri. La costruzione di nuove carceri è un business, la vendita di antichi penitenziari in centro città fa gola a molti, e i cementificatori hanno parenti e amici bipartisan. L’emergenza vera per il partito unico Pd-Pdl è sempre quella: saziare i costruttori. A spese nostre, e dei pochi beni pubblici che sono rimasti”, conclude il M5S. No a indulti e amnistie, Odg contro la vendita di Regina Coeli e San Vittore No al commissario straordinario, niente indulti o amnistie, il Movimento Cinque Stelle propone un piano carceri alternativo al decreto del governo all’esame di Montecitorio, quello elaborato dal Dap, che non prevede nuove carceri (salvo un intervento da 800 posti nel napoletano/casertano) e punta al recupero di strutture mal utilizzate. In conferenza stampa alla Camera, i deputati della commissione Giustizia Tancredi Turco, Giulia Sarti, Andrea Colletti, Vittorio Ferraresi spiegano la loro ricetta al problema sovraffollamento che vede l’Italia ai vertici in Europa con una percentuale del 152,8% e un deficit di posti di almeno 19 mila. Con un ordine del giorno al dl svuota carceri i pentastellati chiedono anche l’impegno del governo a non “vendere, dismettere o permutare cubature attraverso la cessione di edifici penitenziari quelli il Regina Coeli di Roma, San Vittorie a Milano e Piazza Lanza a Catania su cui ci sono notevoli interessi speculativi”. Se il piano del commissario prevede la riapertura di Pianosa “chiuso per legge” e una nuova struttura in Friuli Venezia Giulia che “è l’unica regione in cui non ce n’è bisogno”, quello del Dap permetterebbe di uscire dall’emergenza in due anni con uno stanziamento 355 milioni di euro, creando 21.800 nuovi posti detentivi, al contrario del piano del commissario Ionta, che, denunciano, “stanziava ben 675 milioni per soli 9.000 posti”. Altra misura auspicata è la modifica di leggi “carcerogene” che hanno aumentato la popolazione carceraria, come “la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli”. Giustizia: Berlusconi ha “carichi pendenti”... grazia impossibile, difficile ipotesi amnistia di Liana Milella La Repubblica, 5 agosto 2013 Una folle corsa in cui il veicolo rischia di finire contro un muro. Si potrebbe usare questa metafora per descrivere i disperati tentativi del Pdl per salvare comunque Berlusconi dagli effetti della condanna a 4 anni per frode fiscale. Un accavallarsi drammatico tra un’agognata grazia, anche solo con corrispettivo pecuniario, e un’amnistia ad horas. Poi lo svuotamento della legge Severino sulla sopravvenuta non candidabilità e quindi decadenza da senatore. Ma sentenze della Cassazione (la 13.831 del 2008, prima sezione civile) e del Consiglio di Stato (6 febbraio 2013, n.695) mettono l’aspirazione nel nulla. Per chiudere con l’obiettivo, sfruttando cavilli legali, di rallentare la decisione della corte d’appello di Milano sull’interdizione dai pubblici uffici per agganciare ipotetiche elezioni nella primavera 2014. Le pensano tutte quelli del Pdl, mettendo in imbarazzo il Colle, soprattutto con la vulgata che certe ipotesi sarebbero state, se non concordate, quanto meno discusse con il Quirinale. Come per la grazia e per un’assai ampia amnistia che dovrebbe seguire una riforma della giustizia varata per fornire la pezza “a colore” all’amnistia medesima. Ma sia la grazia che l’amnistia si rivelano subito del tutto non realistiche. Sulla grazia l’argomento principe del Pdl è il paragone con il caso Sallusti, il direttore del Giornale cui Napolitano il 21 dicembre 2012 ha concesso il beneficio limitandosi però a commutare la pena di 14 mesi in 15.532 euro. Ma i due casi - una diffamazione, pur grave, di Sallusti e l’evasione fiscale di Berlusconi - non sono ovviamente paragonabili. Senza contare che il Cavaliere ha altri processi, e per reati gravi, sulle spalle. Quindi la grazia è un cammino impossibile. Del pari lo è l’amnistia. Quando si pone il caso ai costituzionalisti reagiscono sorpresi. “Amni-stia?!? Ma non servono i due terzi? “ dicono presidenti emeriti della Consulta di opposte tendenze come Piero Alberto Capotosti e Valerio Onida. In effetti l’impiccio è proprio qui. Per fare l’amnistia sarebbe determinante il voto del Pd sia alla Camera che al Senato. Alla Camera servono 421 voti, se ne raggiungono 437 se votano assieme Pd, Pdl, Sc. Idem al Senato dove ne servono 212, ne raggiungono 219 gli stessi partiti. Non solo. Nelle tante amnistie fatte in Italia, ma soprattutto le ultime, non è mai stato raggiunto un tetto così alto di reati, che sarebbe necessario per coprire quelli contestati a Berlusconi, la frode fiscale punibile fino a 6 anni (fa testo la pena in astratto non quella irrogata), la concussione per induzione fino a 8 anni. Non va meglio il tentativo di bloccare al Senato la decadenza dell’ex premier per effetto della legge Severino. Si scalmanano fan come Giovanardi e Nitto Palma sostenendo che la norma si applica solo ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge. Insistono sul fatto che l’indulto, riducendo la pena a un anno, farebbe cadere il tetto dei due anni imposto dalla legge. Dice l’ex presidente della Consulta Capotosti: “È assurdo, sono osservazioni del tutto infondate. Il criterio per l’applicabilità della legge è la sentenza sopravvenuta, emessa il primo agosto, in pieno vigore della norma. I fatti potrebbero anche essere di un secolo fa, ma l’importante è che ci sia la sentenza definitiva, in pieno imperio della nuova legge. Non c’è niente da dire, conta la sentenza, non i fatti. Se passasse il loro criterio non si applicherebbe più alcuna legge, soprattutto con i tempi lunghi della giustizia italiana”. Ma ci sono due sentenze che mettono le interpretazioni del Pdl nel cestino. La 13.831 del 2008 della prima sezione civile della Cassazione che, in tema di sopravvenuta ineleggibilità a proposito della precedente legge per gli amministratori locali di cui la Severino è una prosecuzione, dice che l’indulto non incide affatto, ai fini della possibilità di candidarsi conta la condanna e non la pena residua. Ma è dirimente la sentenza del Consiglio di Stato fresca del 6 febbraio 2013, n.695, laddove dice che l’applicazione della legge “non si pone in contrasto con il principio dell’irretroattività delle norme penali e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive”. E ancora: “La condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene configurata alla stregua di “requisito negativo” o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica”. Alla giunta per le elezioni del Senato non resta che andare avanti in fretta. Berlusconi deve lasciare il Senato e non si può più ricandidare. Lettere: contenzione zero e coazione benigna… la differenza tra ideologia e necessità di Gemma Brandi Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2013 Intervengo volentieri sulla provocazione lanciata da Antonella Tuoni, direttore attento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino, con alcune precisazioni che troverei codardo non formulare qui e ora, da tecnico della salute mentale che per dieci anni ha lavorato come consulente psichiatra in quel nosocomio, da ventiquattro in una grande casa circondariale e da trentasei nella salute mentale territoriale, un tecnico che ha il diritto/dovere di stilare quel “semplice certificato medico” che autorizza ad agire contro la volontà della persona, a tutela della sua salute. Un certificato che dunque tanto semplice non è, perché richiede capacità diagnostiche e prognostiche, quindi competenza, e alta responsabilità professionale. Relativamente al tema sollevato dalla Dottoressa Tuoni, l’Articolo 13 della Costituzione recita: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. […] È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. […]”. Esiste una situazione in cui, “un semplice certificato medico”, crea le condizioni per agire a tutela della salute del cittadino senza averne potuto raccoglierne il deliberato assenso. Si tratta dello stato di necessità descritto nell’Articolo 54 del Codice Penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Tra le “restrizioni della libertà personale previste dalla legge” si annoverano, poi, Accertamento e Trattamento Sanitari Obbligatori [Aso e Tso], regolati dagli articoli 33, 34, 35 della Legge 833/78. La loro effettuazione risponde a criteri che non la rendono affatto generica, nel rispetto di quanto sostiene l’Art. 13: “nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Quando nel 1981 cominciai a lavorare come psichiatra nell’Opg di Montelupo F.no, fui colpita dall’uso invalso di contenere delle persone per somministrare terapie contro la loro volontà, in occasione di condotte pantoclastiche e aggressive che non rispondevano a strategie persuasive, sulla scorta, come osserva la Dottoressa Tuoni, di un “semplice certificato medico”. Anche Aso e Tso sono resi possibili da “semplici certificati medici”, che però passano al vaglio della Autorità Sindacale (il sindaco del luogo in cui vengono effettuati) e della Autorità Giudiziaria (il Giudice Tutelare). Ricordo che posi apertamente il problema all’allora direttore e al Magistrato di Sorveglianza, chiedendo di applicare la regolamentazione di Aso e Tso anche in Opg, tanto più che l’Aso può essere eseguito ovunque meno che nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura [Spdc], quindi anche in Opg, e il Tso può per legge essere anche extra ospedaliero, quindi effettuabile anche in Opg. La risposta che ottenni fu mortificante: mi si ricordò, con tono di sufficienza e rimprovero al tempo stesso, che lavoravo in Opg, dove le cose seguivano una diversa procedura. Non appena, nel 1990, mi fu affidata la corresponsabilità, con il Dottor Mario Iannucci, della Casa di Cura e Custodia [Ccc] di Sollicciano, altro istituto di internamento, ponemmo al Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria analogo quesito: si potevano effettuare Aso e Tso in Ccc? La risposta fu un netto no. Decisi di approfondire la questione, ma sarebbero trascorsi altri dieci anni prima che l’Azienda Sanitaria di Firenze varasse il protocollo per Aso e Tso, condiviso da Autorità Sanitarie, Giudiziarie e Sindacali dell’area corrispondente al perimetro di detto ente, protocollo unico nel suo genere in Italia, di cui ho avuto l’onore di coordinare l’estensione. Volli includervi, non a caso, le modalità di esecuzione di Aso e Tso in carcere. Sollicciano, dove la Dottoressa Tuoni era all’epoca Vicedirettore, venne informato della possibilità di effettuare lì Tso extra ospedalieri, ed evidentemente Aso. Prese in tal modo avvio la pratica di somministrare terapie, anche contro il volere dei soggetti interessati, in carcere, previa certificazione medica che ne accertasse la necessità e relativa ordinanza sindacale, ma soprattutto ricorrendo a operatori del Dipartimento di Salute Mentale. Non ho capito se questo non accada nell’Opg di Montelupo Fiorentino oggi e, in tal caso, auspicherei che possa avvenirvi in futuro, rispettando l’Articolo 13 e la normativa in materia di salute mentale. Senza dubbio non vi si verificano più le contenzioni vecchio stile, e di questo non si può che essere grati alla decisione della Dottoressa Tuoni. Ora, se Aso e Tso sono tra gli strumenti della coazione benigna, in quanto necessari, individualizzati, interdisciplinari e somministrati umanamente, la contenzione fisica non è pregiudizialmente uno strumento della coazione maligna. Lo diventa, qualora vi si ricorra in maniera gratuita, generica, autoreferenziata e crudele, in contrasto con l’Articolo 13 della Costituzione, laddove recita: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Del modesto numero di contenzioni fisiche cui ho fatto ricorso nei trentasei anni di attività professionale, non mi vergogno affatto. Le rifarei tutte e non raramente sono stata ringraziata, poi, dalle persone che l’hanno subita. Detestavo la contenzione in Opg, perché sapevo che il paziente veniva affidato alle “cure” di un altro paziente e non a quelle di personale preposto alla cura, appunto, e formato a una attenzione debita. E insieme era sconfortante agire fuori della normativa esistente, che prevede un controllo reciproco, sull’azione terapeutica contro la volontà del paziente, da parte delle istituzioni coinvolte: sanitaria, sindacale, giudiziaria. Le contenzioni avvenute nel Spdc sotto la mia responsabilità seguivano ben altro percorso: quando un paziente era contenuto, non si riposava certo la notte, lo si vegliava con preoccupazione e affetto, si provvedeva a svolgere tutte le piccole funzioni impossibili per un soggetto costretto a letto, lo si ascoltava. E così, quelle tensioni che lo avevano temporaneamente reso incompatibile con la convivenza sociale, mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza in vita (lo psichiatra sa che ci sono talora spinte autolesive gravissime - strapparsi gli occhi o castrarsi, tra quelle che io ricordi - e incoercibili in un paziente in acuzie) e/o quella dei suoi compagni e degli operatori, si scioglievano gradualmente e affidabilmente. Tutto questo per significare e argomentare in maniera né pregiudiziale, né ideologica le ragioni di un agire medico, anche estremo, nell’interesse del paziente temporaneamente incapace di tutelare sé stesso e di controllare le proprie azioni, e insieme per dare prova della difficoltà che un medico accorto incontra nel suo cammino, quando tenta di far sì che sia applicata la legge, vuoi pure all’interno della istituzione giudiziaria. La cura, l’educazione e dunque la rieducazione passano anche attraverso la coercizione, purché non maligna e quindi commisurata alla necessità del momento, al progetto terapeutico o educativo della persona riguardata, alla umanità della somministrazione dell’obbligo e infine alla accettazione di un controllo sul proprio agire. Lo dico, pur sapendo come sia pleonastico rammentarlo a un accorto direttore di carcere. *Gemma Brandi, Psichiatra Psicoanalista, Responsabile della Salute Mentale Adulti di Firenze 1 e 4 e degli Istituti di Pena di Firenze Lettere: i 25 anni della Compagnia della Fortezza, con il nostro “teatro oltre il carcere” di Armando Punzo* La Repubblica, 5 agosto 2013 Anni di lavoro nel penitenziario di Volterra con i detenuti-attori. Trenta spettacoli, con l’animo da pionieri. Piccoli cadeaux di poetica senza filtri, senza pretese saggistiche. A me non interessano quelli che si sentono prigionieri in carcere, mi preoccupano di più quelli che si pensano liberi fuori dal carcere. Venticinque anni di lavoro nel carcere di Volterra con i detenuti-attori, con la Compagnia della Fortezza Trenta spettacoli messi in scena. Venticinque anni da pionieri del teatro raccontati in un libro, attraverso immagini, note di regia, materiali, documenti, ma soprattutto attraverso frasi e parole bianche su nero, ingombranti come macigni, incrociate e sparpagliate come tessuto connettivo di un testo volontariamente scompaginato. Piccoli cadeaux di poetica senza filtri, senza pretese saggistiche né inquadramenti teorici, che raccontano l’oggi gettando luce su quanto è già stato. La parola, il frammento, come chiave di accesso a un percorso di attraversamento di un pensiero. Quando si varca quel limite. Da “É ai vinti che va il suo amore” (Edizioni Clichy) 25 anni passati a rifare l’Uomo, il Teatro di rappresentazione, il concetto di Realtà, l’architettura mentale e fisica della Prigione, l’Essere Prigioniero, l’Io prigione di noi stessi, l’Arte come superamento dell’Arte, il concetto di bellezza rassicurante, il maledettismo nichilista, il pessimismo, la morte di Dio, l’inferno prima di Dante, l’anelito al paradiso in noi. Per un teatro dove la ricerca della verità e del bisogno di essa sono le uniche motivazioni. Il teatro come campo neutro, come oasi in cui ci si incontra al di fuori di qualsiasi tentazione ideologica. Il teatro come mezzo per superare la vergogna di essere Uomo, come per Deleuze era la scrittura. Teatro come non-luogo fuori dal tempo ordinario dove puoi non-essere. Entrare in carcere significa varcare il limite. Anche nel mondo esterno al carcere c’è il limite, ma lì dentro si visualizza e si concretizza in modo abnorme: il teatro diventa lo strumento per straniare questo limite. E il limite è l’uomo. Annullare l’istituzione e puntare all’uomo. A me non interessano quelli che si sentono prigionieri in carcere, mi preoccupano di più quelli che si pensano liberi fuori dal carcere. A me interessa solo chi si sente libero in un carcere. Non si tratta di abolire il carcere quanto di abolire il carcere che è nell’uomo. Annullare il fantasma dell’istituzione carceraria e puntare dritto all’uomo. Divagare liberamente in quella che per altri è una prigione e concedersi ancora una possibilità. L’uomo che non accetta di essere uomo. Ho sempre intuito al di là del teatro qualcosa di intimamente utile che non poteva e non può essere ridotto al solo momento spettacolare. Un’utilità intesa come superamento di limiti personali e oggettivi, come sguardo e azione coraggiosa verso nuovi orizzonti, come esercizio sincero di libertà. L’animo del detenuto-attore. Un’oasi per un confronto profondo con noi stessi e il mondo deformato che amiamo costruirci intorno. Detenuti-attori anche per ricordare agli attori che non sono liberi. Proprio loro devono preoccuparsi di capirci qualcosa. Proprio loro che sognano di interpretare diverse individualità devono approfondire la questione dell’identità che è sempre e solo una. I caratteri sono altra cosa. Sono la polvere sulla pietra, il fango che nasconde il frutto. Il detenuto-attore è quello che manca alla conta, al censimento quotidiano, ripetuto ossessivamente a intervalli regolari, e non perché è evaso con le lenzuola sporche dell’Amministrazione, divenute vele di falsa e illusoria libertà, ma perché è presente altrove. Non è più cittadino recluso, più recluso di un cittadino libero, ma una persona che si concede un permesso premio, una libertà infinita ogni qual volta riesce a prendere sull’altro se stesso che si sente imprigionato e senza via di scampo. La mia rivoluzione. La mia rivoluzione nasce con il doppio termine connesso da un trattino che è il ponte, la passerella, la connessione, cordone ombelicale tra detenuto e attore (detenuto-attore) per definire la nascita di un nuovo soggetto multiplo, capace di sottrarsi alla realtà del carcere, alla prigionia senza nessuna evasione, ma per forza della scoperta di una nuova identità che fa arretrare la realtà dove è inserito e la realtà personale. In questo senso è sbagliato parlare di teatro carcere, si tratta di carcere-teatro, ed è proprio questa connessione che fa arretrare la realtà del carcere, la sua funzione nell’immaginario collettivo e soprattutto mette in crisi il ruolo e l’identità di carceriere dei rappresentanti dell’Istituzione che ostacolano, facendosi tutori e custodi del significato unico accordato dalla maggioranza dell’opinione pubblica, del termine carcere e della sua rappresentazione mentale che ne scaturisce. In questo, alcuni sono custodi di una visione conservatrice e agiscono di conseguenza riducendo il teatro ad attività, una tra le tante con finalità rieducative. Il timore recondito. Da questo conservatorismo naturale nasce l’ostacolo alla realizzazione di un edificio teatrale nel carcere di Volterra. Il timore recondito è che tutto il carcere per forza di quel trattino si trasformi in un teatro. Da questo il timore tutto personale di perdita del proprio ruolo, del proprio potere. È come se il carcere difendesse, attraverso un suo tutore e custode, un significato obsoleto del termine “carcere”, superato di fatto nel suo essere significante carcere-teatro. Per una vita immaginaria. Per un Teatro Stabile in Carcere. *Armando Punzo, drammaturgo e regista teatrale. Direttore artistico del Teatro di San Pietro di Volterra e del festival VolterraTeatro Abruzzo: nasce struttura per accogliere ex internati in ospedali psichiatrici giudiziari Adnkronos, 5 agosto 2013 La Regione Abruzzo sarà capofila per la realizzazione di una struttura destinata ad accogliere coloro ai quali sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a case di cura e custodia, che siano residenti in Abruzzo e in Molise. Lo prevede l’accordo approvato oggi dall’Esecutivo regionale, riunito all’Aquila, proposto dell’assessore alla Prevenzione collettiva, Luigi De Fanis, e che sarà a breve sottoscritto. La struttura, che ospiterà venti posti letto, è stata localizzata nel territorio della Asl Lanciano-Vasto-Chieti e risponde alla necessità, sancita da norme e intese Regioni-Governo, di creare articolazioni destinate alla tutela della salute mentale negli istituti penitenziari. I posti letto saranno ripartiti in base alla popolazione residente: quattro al Molise e sedici all’Abruzzo. “La Giunta regionale - spiega De Fanis - dopo aver programmato la realizzazione di una struttura con questi requisiti, accoglie la richiesta della Regione Molise in ordine alla stipula di un accordo interregionale per l’attuazione di quanto disposto dal Decreto ministeriale. L’obiettivo comune - conclude - è il superamento degli attuali ospedali psichiatrici giudiziari”. Palermo: detenuto morto d’infarto all’Ucciardone, disposto un supplemento d’indagine di Riccardo Lo Verso www.livesicilia.it, 5 agosto 2013 Respinta la richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Dino Naso, detenuto a Palermo. Dubbi sulla tempestività dei soccorsi in cella. La direzione: “Garantita l’assistenza necessaria”. Altri quattro mesi di indagine per fare luce sulla morte di Dino Naso, detenuto di 41 anni morto tre anni fa all’Ucciardone. Il supplemento investigativo è stato ordinato dal Giudice per le indagini preliminari Giuliano Castiglia che ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero. L’inchiesta è ancora oggi a carico di ignoti. Il Gip vuole chiarezza sulla possibile mancanza di tempestività nei soccorsi. Ci sono dei vuoti, soprattutto temporali, da colmare nella ricostruzione di quanto accadde nell’estate di tre anni fa all’interno del carcere palermitano. Il 4 agosto 2010, intorno alle 9,30 del mattino, Naso, in cella per spaccio di droga, avverte un fastidio alla gola. Gli portano una pillola e una bustina. La situazione non migliora, ma è ancora sopportabile tanto che verso le 13 il detenuto si prepara una camomilla. Alle 15,30 Naso ha una crisi respiratoria. I compagni di cella chiedono aiuto e viene chiamato il medico. Alle 16,25 Naso riceve le prime cure in infermeria, così come refertato nella cartella clinica. Alle 16,57 parte la telfonata al 118. Bisogna trasferire naso in ospedale. L’ambulanza arriva all’Ucciardone alle 17,10. I medici e gli operatori sanitari del 118 tamponano l’emergenza e alle 17,56 lasciano il vecchio penitenziario per aggiungere il Buccheri La Ferla, dove il detenuto arriva in condizioni gravissime. Sono trascorsi 12 minuti dopo le 18. Naso è in coma. Il 10 agosto, sei giorno dopo il concitato pomeriggio all’Ucciardone, il suo cuore smette di battere. Non rivedrà più i suoi familiari, la moglie e i quattro figli che si affidano all’avvocato Enrico Tignini per denunciare alla Procura un buco di tre ore dal momento in cui Naso si è sentito male fino al suo arrivo in ospedale. Una ricostruzione sempre respinta dalla direzione del carcere, secondo cui il detenuto ha ricevuto tutta l’assistenza necessaria. Alla stessa conclusione arriva il pubblico ministero Francesco Grassi che chiede l’archiviazione, senza trovare sponda, però, nel giudice per le indagini preliminari. L’indagine deve andare avanti, così come chiesto dall’avvocato Tignini e dal garante dei detenuti Salvo Fleres che si erano opposti alla richiesta di archiviazione, puntando sull’inefficienza dei soccorsi in una struttura carceraria obsoleta sulla cui invivibilità il parere è unanime. Parma: la moglie di Antonio Battista; mio marito torturato nel carcere, per farlo pentire Ansa, 5 agosto 2013 La moglie del boss barese Antonio Battista ha depositato una denuncia in Procura a Bari, riferendo di presunti maltrattamenti subiti dal marito nel carcere di Parma, dove è sottoposto al regime del 41 bis. Nella denuncia la donna racconta di aver incontrato il marito per un colloquio sabato 3 agosto e di averlo trovato “denutrito, pieno di ematomi dappertutto, sugli occhi, dietro al collo e con le orecchie piene di sangue raggrumito”. In quella occasione il marito le avrebbe detto di subire “torture”, senza specificare da parte di chi, e che “gli mettevano ammoniaca e varichina nel cibo e nelle bevande e che lo legavano e gli facevano siringhe di valium”. Antonio Battista, 43enne pluripregiudicato, è stato condannato in secondo grado a 15 anni di reclusione per associazione mafiosa e traffico di droga. Inizialmente detenuto nel carcere di Cuneo, è stato trasferito a Parma circa un mese fa. “Nelle ultime settimane - ha raccontato la donna all’Ansa dopo aver depositato la denuncia - non gli hanno recapitato nemmeno le lettere che io gli ho inviato e gli hanno fatto credere che io e mio figlio fossimo in pericolo di vita. Lo stanno torturando in carcere per costringerlo a pentirsi”. Caltanissetta: il Garante; segnalazione abusi ai danni di un minore recluso presso l’Ipm di Salvo Fleres (Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia) Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2013 “Ho immediatamente segnalato agli organi competenti, quanto mi è stato comunicato attraverso una breve ma significativa lettera, relativa a presunti abusi che avrebbe subito il giovane detenuto tunisino S.M., ristretto presso il carcere per minori di Caltanissetta”. Questo è quanto ha dichiarato l’On. Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, nell’apprendere quanto si sarebbe verificato lo scorso 22 luglio all’interno del predetto Ipm. Sembrerebbe che il ragazzo sia stato ripetutamente e violentemente picchiato e poi, senza prestargli alcun soccorso, trasferito presso altra struttura. “Questo fatto, ha proseguito il Garante, se accertato, getterebbe un’inquietante ombra su una struttura che, sino a questo momento, insieme agli altri Ipm dell’Isola, si è prodigata nell’importante opera di sostegno ai minori autori di reato. Sono in ogni caso particolarmente amareggiato, ha concluso l’On. Fleres, per l’accaduto e mi auguro che gli organi preposti facciano presto luce sui fatti i quali, ove fossero confermati, sarebbero gravemente lesivi dei diritti del recluso e porrebbero lo Stato in una situazione di irregolarità”. Cagliari: Sdr, Negato ad Annino Mele permesso per portare fiore a tomba madre Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2013 “Annino Mele, ininterrottamente in carcere dal 1987, autore di 6 libri, si è visto negare dal Magistrato di Sorveglianza di Cagliari un permesso premio per fare una visita alla tomba della madre. Un rifiuto ingiustificato considerando che l’uomo, condannato all’ergastolo, è in carcere da 26 anni 23 dei quali trascorsi fuori dall’isola”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sostenendo che “non si vuole riconoscere che Annino Mele è profondamente cambiato e subisce una palese ingiustizia”. “Non si riesce a comprendere - sottolinea l’ex consigliera regionale - come sia possibile applicare la legge sull’ordinamento penitenziario ad alcuni ed escluderne altri. Il caso più noto è quello di uno dei banditi più famosi della Milano degli anni Settanta e negarla a Mele. Renato Vallanzasca, condannato a quattro ergastoli e 260 anni di carcere, accusato e condannato per 7 omicidi e 4 sequestri di persona, in carcere dal 1987 dopo diverse evasioni, ha nuovamente ottenuto il permesso di lavoro esterno. Lascia l’Istituto Penitenziario di Bollate (Milano), tutti i giorni alle 7.30 e rientra alle 21.30. Il sabato addirittura alle 24. Per raggiungere questo traguardo ha usufruito di un diritto sancito dalla legge”. “Annino Mele, mamoiadino, condannato all’ergastolo per omicidio e sequestro di persona, benché abbia tenuto un comportamento eccellente, non ha mai usufruito - evidenzia la Presidente di SdR - di un permesso premio. Ha pubblicato 6 libri, un altro sta nascendo nella Casa Circondariale di Buoncammino dove si trova attualmente. È coinvolto in un vero e proprio progetto didattico con due classi del Liceo Scientifico e Classico “Marie Curie” di Meda. Partecipa attivamente alle iniziative culturali e rieducative che sono state promosse all’interno degli Istituti in cui è stato ristretto. Dipinge, costruisce vasi e cestini con gli stecchini, confeziona colorati centri tavola con filati di viscosa. È rimasto fuori dall’isola fino al 2012 quando il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha finalmente accolto una domanda di trasferimento da Fossombrone per poter effettuare regolari colloqui con i parenti. Nel frattempo è deceduta l’anziana madre che non ha potuto incontrare per 11 anni essendogli state costantemente respinte tutte le istanze di permesso. L’ultimo incontro, ottenuto in virtù di un avvicinamento colloqui, è avvenuto poche settimane prima della morte della donna”. “Annino Mele non chiede un favore ma l’applicazione della legge. Un rigetto con la motivazione che non collabora con la giustizia dopo una così lunga detenzione, una sentenza passata in giudicato, una carcerazione esemplare, appare del tutto ingiustificato e palesemente punitivo. Mele chiede da anni di poter partecipare alla presentazione dei suoi libri, la declassificazione, lo scorporo dei reati. L’esito è costantemente negativo perché non vengono tenuti in considerazione i suoi meriti, il suo profondo cambiamento. Neppure il suo impegno civile. Il ricavato dei libri e dei lavori viene destinato ad atti solidaristici non ad un vantaggio personale. Rifiutargli un permesso premio per poter salutare con il fratello la madre scomparsa insieme al fratello, sembra affermare - conclude l’ex consigliera regionale socialista - che la legge non è uguale per tutti. È però auspicabile che in udienza collegiale il Tribunale di Sorveglianza nell’accogliere il ricorso del detenuto, consenta ad Annino Mele di far visita alla tomba della madre”. Brindisi: prodotti “Made in carcere” per salvare il “bianco” del centro storico di Ostuni Ansa, 5 agosto 2013 Per salvare il bianco, colore caratteristico della calce che ricopre i muri del centro storico di Ostuni (Brindisi), sono scese in campo le detenute delle carceri di Lecce e Trani che lavorano per “Officina creativa”, una cooperativa non a scopo di lucro che ha inventato il marchio “Made in carcere”. Con il coordinamento di Luciana Delle Donne, la fondatrice della coop, sono stati infatti creati braccialetti e t-shirt con la scritta “salviamo il bianco” e griffati con il logo “Made in Carcere” che saranno da oggi distribuiti nei luoghi clou della movida ostunese presso la scalinata Antelmi, nel centro storico, e alcuni bar. Quanto ricavato servirà a creare un fondo - hanno spiegato oggi i componenti di un comitato sorto qualche mese fa proprio per le iniziative a tutela del colore tipico di Ostuni - per la difesa del bianco che identifica la città, conosciuta appunto come la “Città Bianca”, in Italia e all’estero. Torino: rissa all’Ipm, poliziotti che sono intervenuti sono stati aggrediti con pugni e calci Ansa, 5 agosto 2013 Rissa al carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Questo pomeriggio, intorno alle 13.45, una lite tra un gruppo di detenuti tunisini e un gruppo di sudamericani è degenerata in una rissa furibonda. I poliziotti che sono intervenuti sono stati aggrediti con pugni, calci. I detenuti hanno brandito i manici di alcune scope come bastoni. Tra loro anche un tunisino già segnalato più volte per azioni violente all’interno del carcere. Due agenti e un detenuto sono stati soccorsi dal 118 e trasportati in ospedale. Nessuno di loro è rimasto ferito in modo grave. È il secondo episodio nel giro di pochi giorni. Ieri pomeriggio, intorno alle 17, un tunisino ha completamente devastato la cella di isolamento in cui era stato messo dopo essersi azzuffato con alcuni detenuti senegalesi nei giorni precedenti. Frosinone: al sovraffollamento detenuti rispondono con volontariato, tinteggiano le celle Prima Pagina News, 5 agosto 2013 Contro il sovraffollamento delle carceri, i detenuti del penitenziario di Frosinone decidono di non mettere in atto proteste plateali ma di diventare volontari all’interno della casa circondariale. “Da più parti arrivano proclami, proposte e soluzioni che, nella maggior parte dei casi, si rivelano valide fino al prossimo annuncio. Scioperi della fame - scrivono i detenuti in una nota - battiture, atti di autolesionismo, disagi degli agenti e preoccupazione della così detta società civile (quest’ultima è già terrorizzata all’idea che migliaia di mostri torneranno presto a scorrazzare nelle strade delle loro città) sono ormai all’ordine del giorno. Noi detenuti di Frosinone vorremmo far sentire la nostra voce ma vorremmo che il nostro grido però non arrivasse solo a chi conosce già quella che è la drammatica realtà carceraria, ma a tutti coloro che sono convinti che non ci può essere il recupero, che non ci possa essere nella vita una seconda chance”. “Offriremo, per tale ragione, - spiegano i reclusi - servizi di volontariato all’interno della nostra struttura sperando che le autorità preposte raccolgano la nostra sfida e accettino questa nostra forma di protesta. Il nostro lavoro, volontario e gratuito, consentirà di rendere vivibili gli ambienti carcerari, che da troppo tempo ormai necessitano di interventi urgenti, senza pesare sul bilancio dell’amministrazione penitenziaria, senza pesare sulle casse ormai prive di risorse. Tinteggiatura e pulizia delle celle e degli ambienti comuni vorrebbero essere il nostro primo atto, sperando - concludono - che l’impegno sociale sia la conquista della consapevolezza e della responsabilità che ci consenta di tornare utili alla società per essere poi, usciti di qui, reintegrati a pieno titolo”. Messina: la Crivop Onlus non va in ferie… un agosto a fianco dei detenuti Ristretti Orizzonti, 5 agosto 2013 La Crivop non va in ferie. Desideriamo in questo periodo, dare un sostegno a quei detenuti che non realizzando attività, spesso, cadono in depressione e sconforto e, nello stesso tempo aspiriamo a dare un supporto agli agenti che per il calo del personale si ritrovano a dover reggere un peso gravoso per gli stati d’animo. Per tutto il mese d’Agosto una volta la settimana desideriamo realizzare nella Casa Circondariale di Messina nella sezione di Media Sicurezza, nell’Istituto Penitenziario Minorile di Bicocca Catania e in un giorno nella Casa Circondariale di Mistretta (Me) il progetto “Cineforum Onesimo” con una serie di film adatti ad un pubblico ristretto. Il 23 agosto ripeteremo l’esperienza fatta l’anno scorso, con il progetto “Escursione Crivop”, Gita con gli Internati dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona P.G. (Me). Desideriamo ringraziare i Direttori dei vari penitenziari che, con il loro contributo, ci hanno permesso di alleviare la sofferenza di coloro che si trovano dietro le sbarre di una prigione in un periodo dove tutte le attività hanno un fermo estivo. Michele Recupero Presidente Nazionale Crivop Onlus Spagna: detenuto pugliese chiede di non essere estradato; mia vita qui, in Italia che faccio? Corriere della Sera, 5 agosto 2013 Ha scontato un quarto della pena a Siviglia, chiede ai giudici iberici di non essere estradato: “In Italia poi come lavorerò?”. Antonio Venere, 42 anni, sposato. “Con uno splendido bimbo di 4 anni”. Luogo di nascita: Mola di Bari, Italia. Residenza: Dos Hermanas, Siviglia, Spagna. “Da 14 anni”. Professione: camionista. Stipendio: “regolare nonostante la crisi che c’è qui in Andalusia”. Casa di proprietà, “ma con un mutuo, sempre pagato”. Precedenti penali: uno, per traffico di droga. “La più grossa stupidaggine della mia vita. Volli fare un favore al padrone del mio camion e non capii che mi mettevo in gabbia da solo”. Condannato in via definitiva a 4 anni di prigione di cui un quarto già scontanti con la carcerazione preventiva. Problema: passare quel che resta della condanna in una prigione vicino a casa. “Perché, mi capisca - dice al telefono da Siviglia al Corriere, se vado in Italia tra il decreto svuota carceri e gli sconti vari, finisce che non passo neppure un mese in cella. Quindi dove mi mettono? Agli arresti domiciliari a casa di mamma a Mola di Bari. E lì cosa posso fare? Non conosco nessuno che mi dia lavoro, tutti i miei contatti, la fama che ho come lavoratore sono qui a Siviglia. Qualche pregio l’avrò pure se in 14 anni di Spagna non sono mai stato disoccupato. A Mola di Bari, invece, come potrò guadagnare per pagare il mutuo? E più ancora, cosa dirò a mio figlio quando lo sentirò via Skype? Perché papà non torna? Perché ha sbagliato, è vero ed è giusto che paghi, ma è sensato rovinare la vita di una famiglia? Io non scappo, voglio chiudere il debito che ho. Ma se il carcere è redenzione, perché deve diventare sciagura?”“. Sono nove mesi che Antonio Venere sta provando ad andare in prigione in Spagna. Suona surreale, ma è così. Ci prova da quando la sua condanna per traffico di droga ha passato l’ultimo grado di giudizio in Italia. Valigia in mano si è presentato alla Corte suprema, in commissariato, ha contattato giudici, scritto ricorsi, petizioni. “Quando ho spiegato che volevo costituirmi per andare in cella mi hanno preso per matto. Glielo leggevo in faccia ai poliziotti. Pensavano, ma guarda questo “tio”, gli altri scappano e lui ci si infila tra i denti”. In luglio il giudice oggi più famoso di Spagna, Pablo Ruz, lo stesso che ha in mano quel caso Barcenas che sta mettendo a rischio lo stesso governo, aveva stabilito che in attesa dell’esame dei ricorsi, “vista l’assenza del rischio di fuga”, Antonio Venere avrebbe dovuto passare a firmare la sua presenza una volta alla settimana in un qualunque commissariato spagnolo. “Con ciò mi ha anche permesso di continuare a fare il camionista” racconta Antonio con gratitudine. Invece poi è arrivata la sentenza di un altro tribunale penale che ha stabilito l’arresto e l’estradizione in Italia. “Formalmente quindi sono adesso un latitante, anche se la polizia di Siviglia sa perfettamente dove abito e anche adesso che vado a caricare le pesche nei campi, lascio sempre detto a mia moglie l’itinerario che faccio, per poter essere meglio arrestato. Magari con la calma di agosto non c’è nessuno che decide di venirmi a prendere, però, le assicuro, è difficile vivere senza sapere cosa ti succederà fra 5 minuti”. La sua storia al limite del paradossale è emersa ieri su El Mundo. “Non ho neppure troppa paura della brutta fama delle carceri italiane - spiega Antonio. Primo perché non ci starò molto, secondo perché a Roma, nel 2006, non ho vissuto situazioni drammatiche. La prigione è brutta ovunque: è una desolazione morale, si perde il contatto con il mondo esterno, con la realtà. Forse è giusto così, chi sbaglia, paga. Ma perché non posso pagare qui in Spagna? Perché rovinare anche mia moglie e mio figlio? Gli spagnoli invece degli arresti domiciliari hanno il terzo grado. Di notte stai in prigione e di giorno puoi uscire. Nel mio caso, a lavorare per pagare la casa e il cibo per la famiglia. Onestamente, come ho sempre fatto, tranne quell’unica, stupidissima volta. Voglio andare in prigione, ma per favore non rovinate la mia famiglia”. Svizzera: i detenuti devono lavorare, anche se superano i 65 anni di età www.tio.ch, 5 agosto 2013 Il Tribunale Federale ha respinto la richiesta di un pedofilo detenuto dal 2003. I detenuti devono lavorare anche se superano i 65 anni di età. Il Tribunale federale (TF) afferma che questo obbligo non dipende dall’età del prigioniero, poiché il suo scopo è lenire le conseguenze negative della detenzione, come la solitudine. Il TF ha così respinto la richiesta di un pedofilo detenuto dal 2003 in una prigione zurighese. Nel 2011 l’uomo aveva chiesto di essere sollevato dall’obbligo di lavoro poiché superava i 65 anni di età. I giudici federali hanno invece stabilito che un’esenzione non è possibile, in quanto il lavoro - secondo il codice penale -, oltre ad aiutare il reinserimento professionale una volta scontata la pena, serve a mitigare il degrado delle capacità psichiche e fisiche. Inoltre, l’attività dei carcerati serve a mantenere la gestione del penitenziario. Il concetto di AVS non può pertanto venire applicato in regime di detenzione, conclude il TF. Il detenuto tedesco si è suicidato Le indagini riguardo alla morte di un detenuto tedesco, sopraggiunta durante un tentativo di evasione dal carcere di Basilea, hanno confermato la tesi di un colpo auto inferto con un’arma da fuoco. Lo ha comunicato oggi il Pubblico ministero. Il primo agosto il detenuto aveva tentato di evadere dal penitenziario Waaghof nel corso di una visita medica. Uno dei due agenti di guardia lo aveva inseguito e acciuffato, ma il fuggitivo gli aveva sottratto l’arma e si era sparato. L’uomo si trovava in detenzione preventiva da alcuni giorni per una rapina alla banca Raiffeisen di Riehen (BS). Il sospetto - assieme ad un complice - aveva minacciato il personale con un’arma ed era fuggito con una grossa quantità di denaro. I due hanno presumibilmente anche sottratto una cassaforte dal loro posto di lavoro, senza tuttavia riuscire ad aprirla. Afghanistan: difficoltà per chiusura del carcere di Bagram, la “seconda Guantánamo” Adnkronos, 5 agosto 2013 La chiusura del centro di detenzione noto ormai come “la seconda Guantánamo” potrebbe essere una delle sfide più difficili da affrontare per gli americani nell’ambito della guerra in Afghanistan. Sono 67 i detenuti non afghani che si trovano nella prigione della base aerea di Bagram, fuori Kabul, alcuni dei quali sarebbero operativi di al-Qaeda catturati in tutto il mondo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Chiudere la struttura presenta molti dei problemi che l’amministrazione Obama ha già riscontrato per la chiusura di Guantánamo, sull’isola di Cuba. Ma, secondo alcuni funzionari americani, una soluzione al caso afghano sarebbe ancora più complicata e urgente. Quest’anno il governo americano ha consegnato alcuni detenuti afghani alle autorità locali, ma il dilemma resta cosa fare con i prigionieri stranieri. “C’è un piano? No. C’è il desiderio di chiudere la struttura? Si”, ha detto il generale americano Joseph Dunford, comandante della forza della Nato in Afghanistan, Isaf. Il dipartimento di Stato e il Pentagono non sono stati in grado di elaborare una strategia per il processo o il rimpatrio dei detenuti di Bagram, che provengono da oltre una decina di Paesi e che nel frattempo continuano anche ad aumentare, l’ultimo è arrivato lo scorso mese. Dal momento che il centro di detenzione è in territorio afghano, le forze Usa sono tecnicamente tenute a chiuderlo quando finirà il loro ruolo di combattimento nella guerra, nel dicembre 2014. Ma, secondo alcuni funzionari e politici americani, questo costituirebbe un enorme rischio per la sicurezza. La soluzione migliore, sostengono, sarebbe mantenere la struttura aperta, sotto il controllo degli Stati Uniti. Non è chiaro però se la controparte afghana lo consentirà. Così come nel caso di Guantánamo, per i funzionari americani, rimpatriare i detenuti in Paesi che non possono o non vogliono tenerli in carcere rappresenta una minaccia troppo grande. E mantenere in Afghanistan un carcere gestito dagli americani oltre il 2014 richiederebbe comunque l’autorizzazione del presidente afghano, Hamid Karzai, secondo cui gli Usa dovrebbero lasciare il centro entro il prossimo anno. Quest’anno il governo afghano ha consentito agli americani di continuare a gestire il centro di detenzione nel caso di “cittadini di Paesi terzi” - per lo più pachistani - in cambio della consegna di prigionieri afghani, ora detenuti in una struttura separata.