Giustizia: i poveri vanno in galera, i ricchi possono ricattare e oltraggiare impunemente di Lucia Brischetto La Sicilia, 4 agosto 2013 Immaginiamo che al momento in tutti gli istituti penitenziari d’Italia ci sia una vero “dibattito” sulla differenza dell’esecuzione e funzione della pena a seconda che trattasi di “poveri disgraziati” così come molti di loro si avvertono, oppure di ricchi ex Presidenti del Consiglio Nazionale di un Paese civile com’è ritenuta l’Italia che riesce a “ricattare” il Paese prospettando la crisi. Un Paese ove l’oltraggio e il rispetto al pubblico ufficiale non si sa più che cosa siano, dove i politici ritengono di potere amministrare anche la giustizia. Un Paese dove in galera vanno solo i poveri. E tutto questo accade in un momento in cui non si possono più chiudere gli occhi sulle condizioni di vita all’interno delle carceri, un momento in cui l’emergenza detentiva ha già raggiunto il suo culmine consentendo al detenuto di percepire lo Stato come nemico anziché come garante della vita civile anche delle istituzioni carcerarie. E tanto accade con il pericolo di rafforzare l’appartenenza all’illegalità come scelta di campo, come - rafforzamento della propria esclusione sociale. Riteniamo sia gravissimo dovere constatare che la prospettiva pedagogica che lo Stato è chiamato a porre in essere, si risolva esclusivamente in provvedimenti tampone, in gesti di clemenza come l’amnistia e l’indulto e non con i progetti sanciti dal Codice dell’Ordinamento Penitenziario. Scriveva Valentina Ascione qualche tempo fa che “quasi tutti i desideri del povero sono puniti con la prigione”! E che prigione! Un detenuto non vorrebbe vivere a Palazzo Grazioli per godere di “lussi che non mi appartengono” ma per essere l’ultimo servo dei camerieri pur di mandare a casa i soldi per il pane. Da tempo è cresciuta l’esigenza di stabilire una rete di contatti fra il carcere e il territorio che possa contribuire al reinserimento sociale del detenuto e da tempo si lavora con entusiasmo da parte della società civile senza altrettanta considerazione da parte delle istituzioni. La situazione nelle carceri italiane è sempre più insostenibile, le lentezze della giustizia e il sovraffollamento stanno sempre più mortificando la dignità delle persone, aumentando il senso di risentimento dei detenuti verso lo Stato. Stato oramai percepito, da tempo, come nemico anziché come regolatore della vita civile. Il pericolo fortissimo attiene al rafforzamento dell’appartenenza all’illegalità come scelta e come rafforzamento della propria esclusione sociale. È strano che dopo oltre 30 anni dalla civilissima riforma penitenziaria si debba disquisire ancora sulla sua necessaria applicabilità e si debba assistere per avere sconvolgimenti ed eventuali favoritismi non degni di quel Paese civile che è stata l’Italia. Da oltre trent’anni dal varo della riforma penitenziaria ci troviamo ancora a riflettere sui significati e sulle modalità dell’esercizio della punizione legale e sui percorsi di reinserimento sociale senza avere ancora la certezza della sua applicazione e la certezza della qualità e quantità dei servizi necessari per affrontare e risolvere il problema. Giustizia: il Pdl scopre che le pene alternative sono una “grave restrizione della libertà” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2013 Fulminato sulla via di Damasco, il Pdl scopre che l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione domiciliare sono una “grave restrizione della libertà”. Forse una luce, forse una voce... In realtà la folgorazione arriva solo ora che Berlusconi, invece di finire in carcere, dovrà scontare la sua pena optando per una di quelle alternative alla detersione. Il Cavaliere non andrà ad aumentare il sovraffollamento delle patrie galere, non finirà in una cella 3 metri per 4, compresi bagno e cucina, non condividerà un letto a castello insieme ad altri due o tre pregiudicati, non trascorrerà l’ora d’aria in cortili passeggio di cemento e filo spinato. E tuttavia non sarà un uomo libero: né se sceglierà di scontare la sua pena chiuso nella villa di Arcore o a Palazzo Grazioli né se accetterà di essere “rieducato” svolgendo lavori sociali, sotto stretta sorveglianza (per esempio in una comunità di recupero per tossicodipendenti o in un’associazione di volontariato o in una biblioteca piuttosto che in un canile municipale). La privazione della libertà è l’essenza della pena, sia di quella detentiva che di quella alternativa. Ben venga, dunque, la scoperta (tardiva) del Pdl. Purché sia una vera conversione. Finora, infatti, Pdl, Lega e anche M5S hanno strumentalmente “venduto” all’opinione pubblica come “libertà” le misure alternative, cavalcando paura e ignoranza per guadagnare consensi. Ancora pochi giorni fa, durante il dibattito al Senato sul decreto “svuota carceri”, dai banchi Pdl si sono levate grida contro i domiciliari e tra gli argomenti “forti” è stato riesumato anche quello della “povera vecchina scippata fuori dall’ufficio postale”. Risultato: decreto “svuotato”. La Camera sta tentando di rimediare: da domani si vota e vedremo se il Pdl farà come San Paolo o se la sua è una conversione ad personam. Giustizia: meno lavoro per detenuti; calano fondi a disposizione, in 2 anni tagli del 71% Adnkronos, 4 agosto 2013 Disoccupazione in crescita anche tra i detenuti. Il taglio ai fondi per le retribuzioni in generale e in particolare per le strutture produttive presenti all’interno degli istituti penitenziari (falegnamerie, tessitorie, tipografie ecc.) ha determinato una diminuzione della forza lavoro: al dicembre 2012 risultavano 13.808 detenuti lavoranti, contro i 14.061 di un anno prima e i 14.174 del dicembre 2010, con un calo di 366 unità e un ulteriore elemento di aggravio della situazione legata al sovraffollamento. A sottolinearlo è l’ultima relazione del ministero della Giustizia sull’attuazione delle disposizioni relative al lavoro dei detenuti trasmessa al Parlamento. “Malgrado le numerose commesse concesse per la realizzazione delle suppellettili necessarie all’arredamento delle nuove sezioni detentive”, non è stato possibile mantenere lo stesso numero di occupati “a causa della diminuzione del budget assegnato per la gestione delle industrie penitenziarie”. In particolare il Capitolo “Industria”, con il quale vengono retribuiti i detenuti che lavorano nelle officine gestite dall’amministrazione ed acquistati i macchinari e le materie prime, è passato da 11 milioni di euro del 2010, ai 9.336.355 del 2011, ai 3.168.177 del 2012, con una riduzione del 71 per cento in due anni. Tutto questo, nota la relazione “in un momento nel quale le esigenze di arredo e dotazione di biancheria dei nuovi padiglioni realizzati, avrebbero reso necessario un incremento delle produzioni”. Unica nota positiva, la decisione di riportare a 9.336.355 euro lo stanziamento per il 2013. A livello di occupazione, la conseguenza è stata un calo di detenuti impiegati alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria in attività di tipo industriale, passati dai 603 del 31 dicembre del 2010 e dai 559 del 31 dicembre 2011, ai 336 del 31 dicembre del 2012. Complessivamente, come detto, i detenuti lavoranti al 31 dicembre scorso ammontavano a 13.808. “Il budget largamente insufficiente assegnato per la remunerazione dei detenuti lavoranti - afferma ancora la relazione ministeriale - ha condizionato in modo particolare le attività lavorative necessarie per la gestione quotidiana dell’istituto penitenziario (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato) incidendo negativamente sulla qualità della vita all’interno dei penitenziari”. Così il numero di detenuti occupati e destinati alla gestione quotidiana dell’istituto è passato dai 10.050 del dicembre 2010 e dai 9.922 del dicembre 2011 ai 9.773 della fine del 2012, “anche se le direzioni degli istituti, per mantenere un sufficiente livello occupazionale, hanno ridotto l’orario di lavoro pro capite ed effettuato la turnazione sulle posizioni lavorative. I servizi di istituto - ricorda il documento di via Arenula - assicurano il mantenimento di condizioni di igiene e pulizia all’interno delle zone detentive, comprese le aree destinate alle attività in comune, le cucine detenuti, le infermerie ed il servizio di preparazione e distribuzione dei pasti”. Perciò “un decremento nel numero dei detenuti lavoranti - e delle ore lavorate - alle dipendenze dell’amministrazione, ha comportato una forte riduzione dei livelli dei servizi in aspetti essenziali della stessa vivibilità quotidiana delle strutture penitenziarie, con inevitabili ricadute negative anche e soprattutto in materia di igiene e sicurezza”. “Nell’attuale situazione di grave sovraffollamento e di carenza di risorse umane e finanziarie, garantire opportunità lavorative ai detenuti - osserva ancora la relazione - è strategicamente fondamentale anche per contenere e gestire i disagi, le tensioni e le proteste conseguenti alle criticità esistenti. Queste attività, pur non garantendo l’acquisizione di specifiche professionalità spendibili sul mercato, rappresentano una fonte di sostentamento per la maggior parte della popolazione detenuta”. Tornando alle cifre, le somme complessive stanziate per i compensi ai detenuti sono diminuite negli anni a fronte di un aumento della popolazione carceraria. Se per il 2006 vennero assegnati 71.400.000 euro con un numero di detenuti pari a 59.523 al 31 dicembre 2005, per il 2007 si scese a 62.424.563, con i carcerati che nel frattempo erano diminuiti a 39.005 grazie all’indulto. Negli anni a seguire, tranne una volta, sempre meno fondi con parallela crescita dei detenuti: 60.753.163 euro per il 2008, 48.198.827 per il 2009, 54.215.128 per il 2010, e poi 49.664.207 per il 2011, 2012 e per quest’anno. Viceversa aumento dei detenuti, con poi un lieve calo: 48.693 il 31 dicembre 2007, 58.127 nel 2008, 64.791 nel 2009, 67.961 nel 2010, 66.897 nel 2011, 65.701 alla fine del 2012. Nelle somme stanziate per il pagamento del lavoro dei detenuti vanno ricompresi anche i 4.648.112 euro destinati alla copertura della cosiddetta legge Smuraglia, che prevede sgravi contributivi e fiscali per imprese e cooperative che assumono detenuti. Somma, nota la relazione ministeriale, “mai adeguata dal 2000”, anno di entrata in vigore della normativa, “ormai largamente insufficiente, determinando in alcune situazioni l’interruzione di rapporti di lavoro già in essere”. Tuttavia per quest’anno la legge avrà un “eccezionale ulteriore stanziamento di 16 milioni di euro”. “L’opera di divulgazione posta in essere dall’amministrazione affinché i soggetti imprenditoriali conoscessero gli incentivi della legge Smuraglia - ricorda il dicastero di via Arenula - ha prodotto un notevole incremento dei detenuti assunti da soggetti esterni all’amministrazione”, passando dai 644 del 2003 ai 1.342 del 2010. In generale i detenuti assunti da imprese e cooperative (all’interno degli istituti penitenziari, ammessi al lavoro all’esterno e semiliberi) sono passati dai 2.064 al 31 dicembre 2010, i 2.233 al 31 dicembre 2011 ai 2.251 del 31 dicembre del 2012, unica categoria per la quale si è registrato un incremento di occupazione. Ancora dolenti note invece per quanto riguarda i finanziamenti per il lavoro dei detenuti nelle colonie e nei tenimenti agricoli, con tagli che mettono in rischio l’esistenza delle stesse colonie: si è passati da 7.978.302 euro del 2010, ai 5.400.000 del 2011, fino a 1.200.000 del 2012, tornando poi a 5.400.000 per il 2013. Ministero della Giustizia e delle Politiche agricole sono riusciti invece ad ottenere anche per il 2012 fondi comunitari per corsi professionali di apicoltura per un massimo di 720 detenuti in 36 istituti penitenziari, da inserire poi nella realtà lavorativa nazionale. Il corso è stato concluso da 499 persone. “In questo settore -conclude la relazione- il numero di detenuti lavoranti presso le aziende agricole è passato dai 359 del 31 dicembre 2010, ai 268 del 31 dicembre 2011 ai 266 del 31 dicembre 2012”. Giustizia: l’Avvocato Roberto Bruni; il decreto carceri? è solo un’occasione mancata… L’Eco di Bergamo, 4 agosto 2013 Il carcere così com’è in Italia non è più sostenibile. Lo ha stabilito anche la Corte europea, che nella sentenza Torreggiani, nel gennaio scorso, ha obbligato il nostro Paese a porre rimedio alla situazione di sovraffollamento entro un anno. Tra gli strumenti che il governo ha messo in atto per trovare una soluzione, oltre al decreto Svuota carceri in questi giorni all’esame della Camera, ci sono anche quattro commissioni di esperti che stanno elaborando delle proposte per rallentare il flusso di detenuti che ogni giorno entrano in cella (oggi sono 67 mila, la capienza regolamentare è di 47 mila) In una di queste commissioni volute dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, nominato dall’Unione camere penali, c’è Roberto Bruni, avvocato da sempre impegnato in politica (ex sindaco, è attualmente consigliere regionale del Patto civico e consigliere comunale) e già chiamato, in passato, a ricoprire incarichi tecnici per consulenze ministeriali. Avvocato Bruni, qual è lo scopo della commissione? “In sostanza abbiamo il compito di studiare una proposta di modifica dell’attuale normativa penitenziaria”. In concreto? “Dobbiamo affrontare una serie di temi: la tutela dei diritti dei detenuti, il testo unico sugli stupefacenti, i collegamenti audio - video per la partecipazione ai processi, la normativa sull’immigrazione, la questione del braccialetto elettronico, le misure cautelari...”. Vi è stato chiesto di intervenire sul decreto Svuota carceri? “Ci è stato chiesto di proporre qualche emendamento migliorativo, ma l’iter parlamentare è già partito, e ha preso tutt’altra direzione”. Qual è il suo giudizio sul decreto? “Lo trovo un provvedimento piuttosto timido, in parte un’occasione sprecata”. Non tiene fede al suo nome, “svuota carceri”, nonostante le polemiche? “No, anche se sicuramente è rilevante per almeno due aspetti. Elimina il “doppio binario” per i recidivi (ossia l’inasprimento delle sanzioni per chi reitera il reato, la cosiddetta ex Cirielli, ndr) e limita alcune carcerazioni inutili consentendo di avere, scusi il bisticcio di parole, in via anticipata la liberazione anticipata”. Ora il decreto è sottoposto all’iter parlamentare. “E il Senato ha fatto un’operazione di peggioramento del testo, perché ha reintrodotto una serie di esclusioni dalla sospensione dell’esecuzione, compromettendo lo scopo per il quale era stato fatto il decreto, che intendeva svuotare il carcere proprio dai recidivi. Ora vedremo alla Camera”. Giustizia: sulla “amnistia sociale”… polemiche tra Valerio Guizzardi e Paolo Persichetti Diritti Globali, 4 agosto 2013 “Una riflessione sull’amnistia sociale”, di Valerio Guizzardi Dopo un tentativo, se non sbaglio nel 2005 o giù di lì, è riemerso ultimamente, in alcuni settori di movimento e in altri della sinistra non parlamentare, il tema dell’amnistia per le lotte sociali. Come componente dell’Associazione Culturale Papillon-Rebibbia di Bologna e militante politico, oggi esattamente come allora dichiaro il mio personale disaccordo e nostro come Papillon, ricollegandomi alle dichiarazioni di Vittorio Antonini, portavoce nazionale della nostra associazione di detenuti, già ampiamente rilasciate sul web e non solo. Invito le compagne e i compagni, le amiche e gli amici che hanno aderito a quell’iniziativa a una seria riflessione: nelle disumane galere del nostro Paese i corpi di 67.000 detenuti/e ammucchiati in un sovraffollamento intollerabile, sottoposti alla regressione psicofisica, alla tortura e a ogni altro genere di illegalità, dal 2000 a oggi sono deceduti 2180 prigionieri, di cui 781 per suicidio. In altre parole siamo di fronte a una Strage di Stato. La nostra Associazione, da sempre, si batte senza risparmio per un provvedimento di amnistia e indulto generalizzati che faccia uscire non meno di 30.000 detenuti/e. Questo non solo per salvare vite umane, ma anche perché ci sia lo spazio e il tempo per una profonda e radicale riforma del Codice penale, di Procedura penale, del Regolamento carcerario e l’abrogazione delle leggi carcerogene come la Giovanardi sulle droghe, la Bossi - Fini sull’immigrazione e l’ex Cirielli sulla recidiva. Certo, per noi l’obiettivo strategico è l’abolizione del carcere tout court pensando a un futuro il più breve possibile. Ma ora, insieme, ragioniamo su ciò che è possibile qui e subito. Proporre un’amnistia per i soli “reati” derivati dalle lotte sociali, settorializzarla quindi a una sola componente della classe, certamente quella più consapevole e combattiva, a mio/nostro parere, significa cadere nel corporativismo e desolidarizzare con i “dannati della terra”, quella parte di proletariato sempre più ampia espulsa dal mercato del lavoro e dal reddito, per questo criminalizzata poiché percepita come classe pericolosa, perciò ammassata nel nostro orribile circuito carcerario. Non come recitano le clamorose balle di Stato e dei partiti per “rieducarli” ma al solo scopo di incapacitazione e annichilimento. Qualcuno della mia età ricorderà certamente quando nei rivoluzionari Settanta si andava sotto le mura di cinta a scontrarci con gli sbirri del regime Pci - Dc per non farli entrare a massacrare i prigionieri in rivolta sui tetti. Da allora sono passati molti anni, e ciò che era organico nel “Programma comunista” di ogni gruppo e organizzazione di classe, la liberazione delle masse diseredate appunto, oggi, purtroppo non ne è rimasto che uno sbiadito ricordo. Infatti, non a caso, la questione carceraria è stata espunta dall’agenda politica dei movimenti e si propone un provvedimento di amnistia per le sole lotte sociali. Lo dico senza agitazione contro nessuno e in amicizia; però, compagne e compagni, un’amnistia non può essere una “questione privata”, riservata solo a noi militanti politici e di classe. Al contrario dobbiamo lottare, perché solo la lotta paga, per un provvedimento generalizzato il più ampio possibile che comprenda tutti i reati, tutta la popolazione carceraria. Compresi i “reati” sociali. Non possiamo lasciare 67.000 prigionieri al loro destino, perché è un destino di morte. Invito tutti e tutte a riflettere sull’errore che state facendo. I movimenti e la sinistra che si è associata a questa iniziativa devono, a mio/nostro parere, entrare in massa in una lotta unitaria, trasversale a tutti i settori di classe, per un provvedimento di amnistia - indulto generalizzati che comprenda tutti i prigionieri che ora stanno crepando come cani in un circuito carcerario disumano e stragista. “Amnistia sociale, una replica a Valerio Guizzardi”, di Paolo Persichetti Dall’apparizione del manifesto che lancia la campagna per l’amnistia sociale, la Papillon-Rebibbia, per voce prima di Vittorio Antonini e ora di Valerio Giuzzardi, ha dato vita ad una lunga serie di attacchi sistematici che oltrepassano di gran lunga la critica, sempre utile e stimolante per fare meglio e di più, ma si caratterizzano per una forte acrimonia carica di maldicenze, insinuazioni, accuse di tradimento, manipolazione del discorso e dei propositi, pertanto affermati nel testo del manifesto con una nitidezza cristallina. Perché tanto astio e tanta scorrettezza? Eppure Antonini, non so se Guizzardi lo sa, era perfettamente a conoscenza dei primi passi che hanno portato al varo del manifesto, anzi era perfettamente interno alle discussioni iniziali, ed all’epoca non ha mai contestato il concetto di “amnistia sociale”. Poi ha radicalmente mutato idea, cosa legittima senza dubbio, ma avvenuta senza mai darne una giustificazione plausibile. Semplicemente si è lanciato in una serie di attacchi biliosi. er questo vorrei invitare Valerio ad intraprendere una strada diversa. Continuando per questo versante non si discute. Non si dibatte caricaturando le tesi altrui, attribuendo ai sostenitori del manifesto per l’amnistia sociale cose che non hanno mai scritto, detto e ancor di più pensato. Invito Valerio - se ne è capace - a citare tra virgolette i passaggi del manifesto che a suo avviso sosterrebbero obbiettivi corporativi come un’amnistia unicamente per i reati sociali. Semplicemente un proposito del genere non c’è, sta solo nella testa di chi vuole fare processi ad intenzioni attribuite. Esiste il contrario, la designazione dell’obiettivo dell’amnistia generale per tutti e per ciascuno, l’abolizione dell’ergastolo e del 41 bis, la spinta ad abolire la legislazione d’emergenza, al cui cospetto il codice Rocco appare un paradiso di libertà pubbliche e civili (tanto per intenderci a Gramsci per la concessione della liberazione condizionale, art. 176, nessuno chiese prove di ravvedimento. La dicitura originaria del codice Rocco prevedeva unicamente un comportamento carcerario corretto). E su questo terreno di critica ampia e radicale del populismo penale e del giustizialismo che si sono affermati nella società italiana, conquistando una posizione egemonica dentro la sinistra negli ultimi decenni, il manifesto ha raccolto per la prima volta un’adesione larga fatta di realtà di lotta, associazioni, movimenti, strutture sindacali di base, singoli, insomma parte della sinistra sociale diffusa e autorganizzata. Circostanza che avrebbe dovuto far riflettere, indurre a maggiore prudenza: vedere tante firme in calce ad un testo che chiede l’abolizione dell’ergastolo, del 41 bis, l’obiettivo dell’amnistia per tutti, non è cosa da tutti i giorni. Invece solo attacchi a testa bassa, quasi che l’amnistia sociale fosse il nemico da abbattere, l’unico nemico, il vostro nemico privato. Eppure in questi giorni in campo carcerario sta succedendo quanto di peggio. I rattoppi proposti dalla Cancellieri che, va riconosciuto, per la prima volta abolivano alcuni punti della Cirielli che rendono ostativo l’accesso ai benefici, sono stati vanificati in sede di lavori parlamentari. Da chi rivendica un ruolo di rappresentanza della comunità reclusa ci saremmo attesi un grande lavoro di denuncia e comunicazione. Invece vi state occupando solo dell’amnistia sociale. Cosa dovremmo pensare? Per farla breve la campagna per l’amnistia sociale nasce da due considerazioni: a) La prima riguarda un’evidenza che ha trovato un riscontro immediato. L’emergenza repressiva ha raggiunto livelli capillari che investono ormai il semplice dissenso. Senza stare qui ad evocare le condanne per Genova o i processi per i fatti del 15 ottobre o del 14 dicembre, ogni giorno fioccano denunce e fogli di via per manifestazioni non autorizzate, affissione di manifesti, resistenza, dalla Val di Susa alle periferie delle città. Per non parlare dei teoremi giudiziari che di fronte alla difficoltà di estendere l’uso dei reati associativi previsti dalla normativa speciale anti sovversione ricorrono ad un uso creativo del 416 cp, l’associazione per delinquere finalizzata ai comportamenti tipici dell’attivismo politico, così criminalizzati, come fare scritte sui muri, diffondere volantini eccetera. È chiaro che di fronte ad una situazione del genere ogni forma di azione collettiva dovrà misurarsi, volente o nolente, con questo tipo di problema. Se si vuole tornare a far respirare la società bisogna allargare il più possibile le maglie che la contengono. Non c’è critica dell’attuale società capitalista che possa aver successo senza una contemporanea rimessa in discussione dell’apparato penale che la sostiene. Per farlo bisogna scardinare l’impalcatura giustizialista costruita negli ultimi decenni. Da qui l’esigenza, condivisa oggi da un copro sociale che si sta organizzando in modo autonomo, di aprire una vertenza per l’indulto e l’amnistia in favore dei reati politici, sociali e per sfollare le carceri. b) Le prigioni sono oggi mute e disperate. “Non ci saranno rivolte e grandi scioperi delle carceri perché il loro oggi è un popolo di vinti e di divisi, di schiacciati, in pochissimi hanno la forza di rivendicare un diritto, fosse anche solo una branda al posto di un materasso lurido sul suolo. Intanto chiederanno qualche goccia in più di psicofarmaco o si tagliuzzeranno le braccia o la pancia. Non c’è da preoccuparsene dunque, per il momento”. A conferma di questa frase di Sofri, potrei aggiungere testimonianze ricavate dalla mia esperienza personale, come l’assalto all’armadietto blindato dell’infermeria di un carcere, dove erano conservati gli psicofarmaci, avvenuto durante una protesta. Unico vero obiettivo a cui aspiravano i detenuti di quella sezione: sedarsi. Oppure l’esito di un’altra protesta estiva avvenuta a Firenze e conclusasi con la concessione di due biliardini nella camerone della socialità. A meno che non ci si voglia affidare al principio di speranza o accontentare dell’azione compassionevole delle associazioni e degli imprenditori del paternalismo carcerario che dall’esterno seguono e supportano la situazione carceraria, fondando la loro azione, anche meritevole sulla passività dei detenuti, con campagne di sensibilizzazione, non resta che tentare una nuova strategia Provare un’ altra strada individuando un corpo sociale attivo, di fatto accerchiato dalla legge, sottoposto ad una quantità crescente di denunce, provvedimenti di polizia che di fatto sollevano un problema di agibilità politica, di libertà d’azione e dunque una emergenza strategica, che partendo dal proprio interesse immediato faccia da volano per la riapertura di una vertenza generale contro la società penale . Questa sarebbe una visone corporativa ed egoistica? Un modello d’azione collettiva indipendente e replicabile sarebbe corporativo? Visto che si evocano gli anni 70, mi domando se qualcuno si ricorda della valenza strategica generale che veniva attribuita alla lotta per il contratto nazionale dei metalmeccanici, categoria di punta. Una piattaforma che affermandosi nel suo punto più alto veniva presa a modello per tutte le altre vertenze in cui si stabilivano criteri erga omens. Oggi c’è bisogno dell’azione di un soggetto autonomo che si mobiliti fuori dalle mura del carcere, fuori dalle logica del mercato politico e delle politiche compassionevoli. Pensare di essere ancora a cavallo tra il 1999 - 2000 è l’ingenuità commessa dalla Papillon. Non si può campare di rendita, bisogna sapersi ripensare all’interno di una situazione che nelle carceri si è tremendamente modificata in peggio in questi ultimi 13 anni. C’è lo spazio per procedere insieme, dando risalto anche alle diverse sensibilità. Per questo Invitiamo la Papillon a rivedere la propria posizione. “Amnistia sociale, controreplica a Paolo Persichetti”, di Valerio Guizzardi L’incipit della replica di Paolo Persichetti al mio articolo non poteva essere dei peggiori. L’insulto gratuito, la personalizzazione del dibattito, la criminalizzazione delle idee, la categoria di “Nemico del Popolo” attengono a comportamenti che già usava un signore coi baffoni molto amato (e temuto) negli anni ‘30 del Novecento. Non sono della sua famiglia, mai stato. Quindi non ci sarà da parte mia la risposta che pur meriterebbe. Egli ha esposto la sua opinione, la Papillon ha espresso la sua, il dibattito andrà avanti all’interno e all’esterno dei movimenti. Chi avrà più filo tesserà. A chi interessa qui potrà leggere un interessante botta e risposta tra Persichetti e Antonini sulla questione. Per quanto ci riguarda saremo presenti allo sciopero generale indetto da Usb e altri sindacati di classe per il 18 ottobre. Lì ribadiremo la nostra internità alle lotte sociali e porteremo l’appello per una lotta unitaria, dei detenuti e dei lavoratori, per un provvedimento di amnistia e indulto generalizzati. Porteremo anche, idealmente, l’adesione di migliaia di detenuti e detenute che stanno lottando e che non potranno, giocoforza, esserci fisicamente. Con Paolo Persichetti la chiudo qui. Ci vedremo, mi auguro, sulle piazze di questo dannato Paese. Giustizia: Pannella; condanna Berlusconi clamorosa? Italia Stato fuorilegge da 30 anni! Adnkronos, 4 agosto 2013 La condanna di Berlusconi sarebbe un episodio clamoroso che inciderebbe sulla nostra storia? In realtà siamo uno Stato da oltre 30 anni fuorilegge, considerato in palese flagranza di reato rispetto ai massimi reati del diritto nazionale e internazionale. Contro la sua legalità, lo stato di diritto e i diritti umani. Marco Pannella commenta così all’Adnkronos la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, che ha visto la conferma della condanna di Silvio Berlusconi. Lui avrà truffato denaro e relative leggi - aggiunge il leader radicale - ma il vero problema è che il nostro Stato e i suoi massimi responsabili sono in flagranza degli stessi reati che negli anni Trenta venivano imputati allo stato nazista, fascista o comunista, ovvero quelli contro i diritti umani e la legalità. Per Pannella, se in Italia non prendiamo atto che occorre uscire fuori da questa condizione criminale, porre come il grande problema che oggi dobbiamo affrontare la questione se il povero Silvio vada o meno in galera, è semplicemente folle. Un insulto contro quel diritto e quella giustizia che, anche in condizioni difficilissime, dobbiamo conquistare. Poiché non vogliamo piazzali Loreto - conclude - se il nostro obiettivo è quello di realizzare con l’amnistia una riforma strutturale, inevitabile per rientrare nella legalità e nella democrazia, allora occorre anche un’amnistia per questa Repubblica. Giustizia: il Cavaliere rieducato… di Giuliano Ferrara Il Foglio, 4 agosto 2013 Archivista di Paolo Mieli, operaio Fiat con Lapo Elkann, direttore di Rep. delle idee: “Sa fare tutto”. Il Cav. lavorerà nei giornali. Silvio Berlusconi chiede e il tribunale di Sorveglianza acconsente: il percorso rieducativo del condannato sarà risolto in una redazione di giornale. Parte quindi la gara tra le più importanti testate per assicurarsi l’illustre detenuto. Sociali & redazionali. I servizi sociali, tutti nei giornali. Comincia da par suo il Corriere della Sera. Il quotidiano di Via Solferino offre, infatti, a Berlusconi un posto d’archivista presso il prestigioso ufficio ricerche storiche di Paolo Mieli. Il Cav. è fin da subito molto volenteroso, sta sempre tra i faldoni e le scartoffie, compulsa documenti e manoscritti, scartabella schede di cataloghi dimenticati. Non si ferma mai. Registra pure video per “Correva l’anno”, in cui si racconta in esclusiva. Ma il giudice di sorveglianza dice no e poi no: “Mieli non lo rieduca, anzi, interroga il detenuto sul tema del Bunga Bunga e gli chiede la visura catastale della casa di Lampedusa”. Impegnativa l’idea del Fatto quotidiano che offre al Cav. tutto il giornale. Antonio Padellaro e Marco Travaglio sono stati chiari fin dall’inizio. “Da vent’anni campiamo col Cavaliere, non possiamo consentire che stia fermo col rischio di perdere copie”. Detto fatto, sono stati loro due a prendere il posto di Berlusconi e subito si sono posizionati a bordo piscina a Villa Certosa, da dove hanno poi fatto collegamenti con Rete4, interviste in esclusiva con Chi e, infine, hanno anche fatto quattro salti sul lettone di Putin per poi farsi insultare in prima pagina dal Cav. Brainstorming tra Mario Calabresi, direttore della Stampa, e Massimo Gramellini, penna di punta del quotidiano torinese. Dopo sei giorni e sei notti di spremitura di meningi, i due hanno chiamato Lapo Elkann, sperando di poterne ricavare una delle geniali trovate di marketing del rampollo Fiat. E Lapo, come sempre, non delude. Propone la campagna “Figlio del padrone delle ferriere”. Cioè, proprio come Lapo e tutti i figli dei capitani d’industria, Berlusconi inizierà la sua carriera dal gradino più in basso. Farà dunque l’operaio in fabbrica. Il Cav. è splendido e sorridente anche in tuta blu (doppiopetto), alla catena di montaggio. Impugna sempre una chiave del 16 e i colleghi lo chiamano Cipputi. Lui ricambia rallegrando tutti con storie di piccanti crociere di lusso introducendo nella catena di montaggio Fiat la lap-dance - Lapo, ossia, il Lapo - Palo. Impegnando dunque lo stesso rampollo. Il Fatto è chiaro, Repubblica, invece, è confusa. Il Cav. non può più stare tra le pagine e dunque, califanamente, tutto il resto è noia. Ezio Mauro, in un primo tempo, aveva pensato di assumere il Cav. come nuovo agente ed editor di Saviano. “Ha fatto da paroliere ad Apicella, sarà per lui una passeggiata”, ha commentato Eugenio Scalfari, “correggere ‘e piezz’ ‘e Roberto”. Insomma, si sono detti, quest’uomo può fare davvero tutto e finalmente (tra gli applausi di tutti) è arrivata la soluzione, sarà il responsabile della Repubblica delle idee. Entusiasta, Natalia Aspesi: “Come lo capisce lui il corpo delle donne, nessuno”. Qualche dubbio, invece, lo ha sollevato Vito Mancuso: “Non sarebbe più opportuno farlo stare in ginocchio sui ceci? Corrado Augias fa così con me quando io sbaglio il copiato”. Giustizia: processi pendenti, tempi e prassi… tutti i dubbi sulla grazia a Berlusconi di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 4 agosto 2013 In una lettera indirizzata nell’ottobre 1997 ai presidenti di Camera e Senato, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro indicò, tra le ragioni per cui ritenne di non poter concedere un atto di clemenza sollecitatogli da più parti, anche l’eccesiva vicinanza al verdetto dei giudici: “La grazia, qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, assumerebbe oggettivamente il significato di una valutazione di merito opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto tra poteri”. Non che simili valutazioni siano vincolanti per i successori, ma - spiegano i giuristi - nell’esercizio delle prerogative del capo dello Stato la prassi, che in diritto si traduce in “consuetudine”, ha un peso. Scalfaro parlava del cosiddetto “caso Sofri”, e la sentenza definitiva contro i responsabili del delitto Calabresi risaliva a dieci mesi prima; per Berlusconi s’è cominciato a parlare di grazia poche ore dopo la condanna. Anche la pendenza di altri procedimenti penali non è un ostacolo insuperabile alla firma del provvedimento di clemenza, ma non tenere conto della posizione processuale complessiva dell’interessato sarebbe inusuale. E il leader del Pdl è ancora imputato e indagato davanti a diversi giudici e Procure della Repubblica; “difficile immaginare un provvedimento di grazia in questa situazione”, commenta l’ex presidente della corte costituzionale Mirabelli. Tra l’altro anche l’applicazione dell’indulto, a fronte di quei procedimenti, diventa provvisoria: in caso di un’altra condanna definitiva, infatti, la riduzione di pena decadrebbe e Berlusconi dovrebbe scontare tutte le condanne per intero. L’ipotetica grazia, al momento, potrebbe riferirsi solo ai quattro anni di carcere (o a una parte, magari l’anno escluso dall’indulto), e non invece all’interdizione dai pubblici uffici annullata dalla Cassazione che ha rispedito il fascicolo alla corte d’appello di Milano perché ne ridetermini la durata. Piuttosto, se dalla sentenza ormai irrevocabile dovesse derivare la decadenza dalla carica di senatore per effetto della nuova legge anticorruzione, secondo l’opinione prevalente la grazia non servirebbe a reintegrare Berlusconi a Palazzo Madama. L’atto di clemenza presidenziale, infatti, non cancellerebbe la condanna (da cui discenderebbe l’espulsione dal Parlamento), bensì i suoi effetti pratici nell’espiazione della pena. Altre considerazioni desumibili da precedenti decisioni approdate alla Corte costituzionale, danno una definizione della grazia che sembra conciliarsi poco con gli intenti di chi in queste ore la sta chiedendo per l’ex presidente del Consiglio. Ricorrendo alla Consulta contro il ministro della Giustizia Roberto Castelli che non intendeva aderire a una richiesta di grazia (sempre in relazione al delitto Calabresi), l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sostenne che “appare naturale che la sua concessione esuli del tutto da valutazioni di natura politica”. E nella decisione di quel conflitto tra poteri in favore di Ciampi, la Corte costituzionale ritenne che “determinando l’esercizio del potere di grazia una deroga al principio di legalità, il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria”. Un concetto sottolineato più volte in quella sentenza del 2006. In un altro passaggio la Consulta spiegò che proprio la più recente “applicazione ridotta” (peraltro rispettata da Napolitano nel suo primo settennato) rispetto alla manica larga con cui veniva concessa nei primi decenni di Repubblica, “ha fatto sì che l’istituto della grazia sia stato restituito alla sua funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria”. Giustizia: bibliotecario di una Coop o... quale altro possibile futuro per Berlusconi? Affari Italiani, 4 agosto 2013 Impiegato a un centro per anziani, per disabili oppure in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Contabile di un ente di volontariato. Sostegno ad adulti in difficoltà. O magari bibliotecario di una coop sociale. Sono tutti possibili impieghi di Silvio Berlusconi, nel caso il Cavaliere scelga di fare richiesta di affidamento ai servizi sociali. In seguito alla condanna della Cassazione sul processo Mediaset, il leader del Pdl dovrà scegliere in che modo espletare la pena di un anno residua all’indulto entro il 16 ottobre. Nel caso non proponesse un percorso rieducativo al Tribunale di Sorveglianza, finirebbe invece ai domiciliari... La Procura generale ha già trasmesso gli atti alla procura di Milano che ha immediatamente dato corso al decreto di esecuzione della pena detentiva, con relativa sospensione per permettere a Berlusconi di scegliere misure alternative. I carabinieri hanno anche già revocato il passaporto all’ex premier. Al termine della sospensione feriale dei termini di legge, cioè il 16 settembre, Berlusconi avrà 30 giorni di tempo per decidere se chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali oppure la detenzione domiciliare. Dovrà farlo entro il 16 ottobre. Se non dovesse avanzare nessuna richiesta ci saranno i domiciliari perché Berlusconi non può andare in carcere avendo più di 70 anni, come regolato dalla legge svuota - carceri Alfano - Severino, applicabile a chi deve espiare pene fino a 18 mesi ma non chiede misure alternative. L’intervista all’avvocato Caterina Malavenda Avvocato Malavenda, i legali di Berlusconi hanno parlato di un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. È una strada percorribile? Ho sentito la dichiarazione dei colleghi Ghedini e Coppi, però non so quale sarebbe la strada tecnica alla quale stanno pensando. Per andare a Strasburgo bisognerebbe ipotizzare la violazione di una delle norme della Convenzione di Strasburgo sui diritti dell’uomo. Se rinvenissero nell’iter italiano una qualche violazione della convenzione potrebbero chiedere alla corte di Strasburgo di intervenire. La Corte condannerebbe l’Italia per questa eventuale violazione e la sentenza avrebbe ricadute sulla sentenza della corte di Cassazione. Però mi sembra una strada complicata. La corte di Strasburgo è molto attenta alla lunghezza dei processi, e spesso condanna l’Italia su questo punto, e alla violazione dell’articolo 10 sulla circolazione delle informazioni. Invece è più difficile che intervenga sulla giurisdizione interna dei Paesi membri. Berlusconi perderà il titolo di Cavaliere? È certamente un rischio. C’è una procedura specifica che verrà attivata dalla Federazione nazionale dei Cavalieri. Ma non sarà una revoca automatica, occorrerà un’istruttoria ad hoc che valuti le motivazioni della condanna. Comunque accade spesso che dei titoli vengano rivalutati alla luce di eventi giudiziari. È chiaro che Berlusconi non andrà in carcere dopo la sentenza Mediaset. Non ci andrà nemmeno in caso di un’ipotetica condanna definitiva per il processo Ruby? Il carcere è un’ipotesi da escludere qualunque sia l’esito dei processi ancora in corso. Per ragioni anagrafiche non può andare in carcere a meno di condanne pesantissime che non c’entrano nulla però coi processi ancora in corso. Però se dovesse essere condannato a 7 anni (come nella sentenza di primo grado, ndr) alla fine del processo Ruby non potrebbe più scegliere l’affidamento in prova e i domiciliari sarebbero obbligatori. I servizi sociali sono un’ipotesi solo quando la condanna è al massimo di tre anni. Napolitano potrebbe concedere la grazia? Il Presidente della Repubblica può concedere la grazia in qualunque momento oppure può disporre il condono di una parte o di tutta la pena. È una scelta a sua totale discrezione. Potrebbe intervenire sulla pena detentiva concedendo la grazia oppure facendo come con Sallusti, cancellando soltanto la condanna e lasciando il reato. Da oggi Napolitano può concedere la grazia quando vuole perché la sentenza è definitiva. E se eliminasse la pena principale automaticamente eliminerebbe anche la pena accessoria. Calabria: accordo con dipartimento giustizia minorile per minori in Comunità Asca, 4 agosto 2013 L’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro ha sottoscritto il protocollo d’intesa con il centro giustizia minorile per la Calabria e Basilicata - dipartimento di giustizia minorile per gli interventi di valutazione socio - sanitaria di presa in carico dei minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile di competenza dei Servizi minorili della giustizia. È quanto si apprende da una nota della regione Calabria in cui si legge, anche, che il protocollo è stato sottoscritto nella sede degli uffici amministrativi dell’Asp dal direttore generale Gerardo Mancuso e dal direttore del centro giustizia minorile per la Calabria e Basilicata Angelo Meli. Il protocollo definisce le modalità di collaborazione fra i servizi dell’Asp ed i servizi del centro volte alla definizione di un programma personalizzato di interventi terapeutici, riabilitativi, socio - educativi e di re - inserimento sociale dei giovani detenuti. “Il gruppo interistituzionale che si è insediato presso il Dipartimento tutela della Salute - ha spiegato Mancuso - ha elaborato delle linee guida uniformi per quanto riguarda la tutela della salute dei minori sottoposti a provvedimento disciplinare dell’autorità giudiziaria. Il protocollo d’intesa riguarda in particolare i minori che sono dell’area penale esterna, cioè i minori che si trovano nei gruppi appartamento o in comunità. Entro tre mesi dalla sottoscrizione di questo protocollo, dobbiamo individuare un gruppo multidisciplinare di valutazione con delle figure professionali, che farà capo al Dipartimento materno - infantile, che saranno affiancate dal nostro personale sanitario che già lavora all’interno degli istituti penitenziari”. Soddisfazione per il tempismo e la professionalità dell’Asp è stata espressa dal dottor Meli che in particolare ha ringraziato l’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro per essere stata la prima Azienda calabrese ad avere sottoscritto il protocollo d’intesa. “Voglio ringraziare sia l’Asp che la regione - ha detto Meli - per l’attenzione che rivolge a un settore particolare, che è quello dei minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria, sono minori che hanno commesso dei reati e che quindi impattano col sistema giudiziario minorile, il tribunale e la Procura. Voglio ringraziare tutti gli attori dell’iniziativa perché non è scontato che ci sia questa sinergia e collaborazione; la sensibilità dimostrata dall’Asp di Catanzaro è stata pregevole e alta, così come anche l’attività svolta che è stata molto attenta e dettagliata, individuando modalità di operatività e d’intervento molto significative”. Cremona: troppi detenuti e pochi agenti, nuovo padiglione in attesa di essere inaugurato di Lura Bosio www.cremonaweb.it, 4 agosto 2013 I drammatici eventi dei giorni scorsi hanno riportato l’attenzione sulla difficile situazione delle carceri italiane e sulla pesantissima carenza di organico, che colpisce anche la casa circondariale di Cremona. Il suicidio di un carcerato, scoperto da un agente di polizia penitenziaria ma poi morto in ospedale, ha suscitato numerose polemiche: i detenuti sono troppi rispetto al numero delle guardie, e inoltre a Cremona ci si appresta a inaugurare un nuovo padiglione, e quindi nuovi posti, senza incrementare il numero degli agenti. “Sono oltre 400 i detenuti in questo carcere, a cui se ne aggiungeranno, con l’apertura del nuovo padiglione prevista per settembre prossimo, circa 200” sottolinea la Fp Cgil di Cremona. “Il dramma della popolazione carceraria purtroppo continua. Affiancato dalla sovra-esposizione lavorativa del personale assegnato a seguirla, visto che già nella sede attuale mancano circa una ventina di agenti di polizia penitenziaria e cinque operatori ministeriali”. Occorre tenere presente che l’Istituto cremonese registra una capienza regolamentare di 196 posti e una capienza massima di 353. Accanto a questo troviamo numerosi problemi strutturali. “Come, ad esempio le infiltrazioni di acqua piovana, particolarmente rischiose per lavoratori e detenuti perché finiscono nei cavedi che contengono gli impianti elettrici” sottolinea ancora la Funzione pubblica Cgil, che chiede la messa in sicurezza la struttura, prima che si verifichi qualche incidente. Rispetto al nuovo padiglione, la Fp Cgil chiede che l’amministrazione si impegni “affinché non si assista all’ennesima inaugurazione di un padiglione detentivo da parte delle solite autorità, con tanto di taglio del nastro, solo esclusivamente sulle spalle del personale in servizio, senza che ci sia stato l’adeguamento degli organici di entrambi i comparti, ministeriali e polizia penitenziaria”. “Ci attiveremo per fare dei sopralluoghi nel nuovo padiglione e chiederemo all’amministrazione carceraria e al Dap regionale un incontro urgente per affrontare le problematiche dell’organizzazione del lavoro e del personale necessario” sottolineano la segretaria Fp provinciale Monica Vangi, e il segretario regionale, Antonio Oliverio Florindo. “La Fp è e sarà sempre al fianco dei lavoratori della Casa Circondariale di Cremona anche per eventuali azioni sindacali che si decideranno per raggiungere le richieste avanzate”. I dipendenti non sono più disposti ad accettare passivamente una situazione che si prospetta sempre più pesante, come evidenzia anche il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Sappe. “Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere gli eventi critici non potranno che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una celere soluzione alle criticità degli istituti penitenziari italiani”: dura presa di posizione di Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Ogni giorno accade qualcosa di grave in uno degli oltre 200 penitenziari del Paese e il Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) non ci sembra in grado di fronteggiare l’emergenza”. Non è da sottovalutare il tentativo di evasione, sventato, verificatosi nei giorni scorsi sempre al carcere di Cremona, da parte di un detenuto. “L’evasione sventata sabato pomeriggio è la goccia che fa traboccare il vaso della precarietà delle politiche gestionali dell’amministrazione penitenziaria” continua Capece. “In poche ore, negli ultimi giorni, è accaduto di tutto: nel carcere Poggioreale di Napoli un gruppo di rivoltosi si è barricato in cella per contestare il sovraffollamento della struttura. A Monza e Roma Rebibbia due detenuti si sono tagliati la gola mentre nel carcere di Aosta 4 poliziotti sono rimasti feriti a seguito di una colluttazione avvenuta con un detenuto magrebino. Tutti questi eventi critici rendono evidente quanto sia precaria la situazione della sicurezza nelle carceri italiane”. Intanto la Funzione pubblica Cgil ha già inviato a più livelli la richiesta di un incontro, in prima istanza con la direttrice del carcere, ma anche cercando un interlocutore a livello nazionale: “A livello locale non vi è la possibilità di decidere eventuali nuove assunzioni, perché tutto dipende dal ministero” spiega Monica Vangi. “Il problema è proprio questo: manca un interlocutore diretto. Il nostro obiettivo è di tutelare il personale di polizia penitenziaria, sia dal punto di vista della sicurezza che del carico di lavoro, che ad oggi si rivela eccessivo; dall’altro lato vogliamo tutelare anche gli stessi detenuti, che hanno diritto a un ambiente di vita dignitoso. Tra le problematiche che da tempo segnaliamo, infatti, c’è anche quella del sovraffollamento della popolazione carceraria, che purtroppo colpisce anche Cremona”. Genova: allarme Sappe dopo incendio in cella “20mila detenuti con patologie psichiche” Ansa, 4 agosto 2013 Dopo l’ennesimo evento critico in carcere che ha visto coinvolto un detenuto con problemi psichici, che a Genova Marassi ha dato fuoco alla cella provocando 10 intossicati tra le file dei Baschi Azzurri del Corpo, il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe sottolinea come “anche questo grave fatto che vede coinvolto un detenuto affetto da problemi psichici deve fare seriamente riflettere. Troppo semplice dire chiudiamo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, come ha fatto il precedente Parlamento con in testa l’attuale Sindaco di Roma Marino. E poi? Quel che serve per questi detenuti sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l’assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci. Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria, confermata dall’incapacità di superare davvero gli Opg, come peraltro conferma il rinvio al 1 aprile 2014 rispetto alla data fissata per legge del 31 marzo 2013. Se i politici, a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, avrebbero per tempo messo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni disumane in cui versano gli Opg sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma soprattutto dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria”. Lo dichiara Roberto Martinelli, Segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) il giorno dopo l’incendio causato nel carcere di Genova Marassi da un detenuto con problemi psichici. “Con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) si acuirà a danno delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria il problema del sovraffollamento in carcere, già’ ora a livelli record con 150 detenuti per 100 posti, contro i 107 del resto d’Europa. Quando chiuderanno tra un anno, una parte dei loro detenuti tornerà in carcere, e se la situazione non cambierà, potrebbe diventare esplosiva. Già oggi un terzo dei detenuti è ad alto rischio di malattie mentali. Dal recente congresso dei Giovani Psichiatrici è emerso che su quasi 70mila persone nelle carceri italiane, sono ventimila (secondo calcoli per difetto) i casi l’anno di patologie: psicosi, depressione, disturbi bipolari e di ansia severi sono la norma nel 40% dei casi, a cui vanno aggiunti i disturbi di personalità borderline e antisociale. Quel che è successo a Marassi è che se la già e critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, che ieri a Marassi hanno sventato eroicamente una tragedia. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Parma: chiesta scarcerazione boss Provenzano, per gravissime condizioni di salute Ansa, 4 agosto 2013 L’avvocato Rosalba Di Gregorio, ha presentato al magistrato di sorveglianza di Parma richiesta di scarcerazione del capomafia, detenuto nel carcere del capoluogo emiliano e ricoverato da giugno in gravissime condizioni di salute. Il legale del boss Bernardo Provenzano, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, ha presentato al magistrato di sorveglianza di Parma richiesta di scarcerazione del capomafia, detenuto nel carcere del capoluogo emiliano e ricoverato da giugno in gravissime condizioni di salute. L’istanza, preceduta da analoghe richieste fatte sia al magistrato che al tribunale di sorveglianza di Bologna, tutte respinte, segue la trasmissione ai familiari del boss del referto fatto il giorno del ricovero del boss. I medici, nel documento compilato all’accettazione parlano di “decadimento neurologico, malnutrizione e disidratazione” del paziente arrivato nel nosocomio in stato di coma. “La detenzione - si legge nell’istanza - ha arrecato gravissimi pregiudizi” a Provenzano. Il legale ha trasmesso la richiesta alla Procura di Parma che ha aperto un’indagine sulle condizioni del capomafia. Nei giorni scorsi le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta, su sollecitazione dell’avvocato, hanno dato parere favorevole per la revoca del 41 bis a Provenzano. Parere contrario, invece, è stato espresso dalla Dna. Sulla vicenda si aspetta la decisione del Guardasigilli. “Mentre il ministro attende - commenta il legale - e la Dna scrive un parere fuori tema sul regime del 41 bis, si scopre che al carcere lo ricoverano in coma per disidratazione, infezione e malnutrizione. Ma chi si occupa delle condizioni dei detenuti? I giudici di sorveglianza, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria?”. Milano: all’Idroscalo, la spiaggia dei milanesi che viene curata dai detenuti Il Giornale, 4 agosto 2013 Sport, relax e intrattenimento, è così che l’Idroscalo ha ampliato la sua gamma di proposte dedicata ai milanesi di ogni età. Con il caldo dei mesi estivi la voglia di fuggire dalla città è il primo desiderio, ma non tutti possono permettersi di partire verso mete di villeggiatura. L’Idroscalo ha quindi pensato a una vasta offerta di attività per tutti quelli costretti a Milano. Ce n’è davvero per tutti i gusti. A partire dalla balneazione, sia nell’area riservata del lido, costantemente sorvegliata dal personale della Federazione italiana nuoto, sia nelle due piscine di Punta dell’Est e della Villetta. L’ingresso è gratuito e sono a disposizione di tutti lettini e ombrelloni per il noleggio. L’idroscalo, però, non si limita a essere la casa milanese degli sport d’acqua. Grazie ai lavori di riqualificazione una parte del parco è stata trasformata e dedicata all’arte, esponendo sculture di artisti di fama internazionale come Giovanni Campus, Alex Corno, Alberto Ghinzani, Nada Pivetta o Fabrizio Pozzoli. Spazio ai più piccoli che saranno accolti al meglio nello spazio “Il Villaggio del Bambino”, interamente pensato per i giochi, con una pavimentazione realizzata in materiale anti trauma mettendo la sicurezza al primo posto. Sempre in funzione il trenino impiegato per il giro panoramico del parco e sono ancora aperte le iscrizioni per i nuovi e richiestissimi camp estivi organizzati in collaborazione con il Coni. I più sportivi e dinamici hanno a disposizione, oltre al lungo percorso intorno allo specchio d’acqua, percorribile sia a piedi che con la bicicletta, noleggiabile sul posto, anche un impianto di teleski, unico in Italia, dove nel 2015 si disputeranno i campionati mondiali di sci nautico e wakeboard e, dal 28 agosto al 15 settembre di quest’anno, quelli per atleti con disabilità. Valorizzata anche l’Isola di Buona Speranza con un romantico roseto e un grande prato centrale per tutti gli amanti della natura. Da non perdere il nuovissimo teatro intitolato a Walter Chiari, indimenticabile comico e presentatore televisivo. L’arena può ospitare fino a trecento spettatori ed è costituita da una scalinata bianca affacciata sul lago che sarà scenario di rappresentazioni per grandi e piccini. Idroscalo abbraccia anche il mondo della solidarietà con l’iniziativa “La Festa della Restituzione”. Si tratta di un appuntamento nel quale alcuni detenuti delle carceri di Milano si occuperanno della cura e della pulizia del parco, per poi trascorrere il resto della giornata in compagnia delle proprie famiglie, un momento di libertà durante il periodo di rieducazione. Questo progetto si inserisce all’interno di un’intesa tra la provincia di Milano, già protagonista di alcuni lavori di rinnovamento del parco, e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, che hanno sottoscritto i protocolli per l’avvio di percorsi per la reintegrazione sociale. Reggio Emilia: tre carcerati al lavoro nelle aree verdi, accordo tra Comune e Carcere La Gazzetta di Reggio, 4 agosto 2013 Se sempre più spesso si parla di certezza della pena e di riforma della giustizia, il problema del reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, dopo l’uscita dal carcere, è questione troppo spesso tralasciata. Ad Albinea, però, l’argomento è stato messo al centro dell’attenzione da parte dell’amministrazione comunale. Tanto che, per un anno (dall’agosto 2013 al luglio 2014), tre dei carcerati della casa circondariale di Reggio saranno impiegati, affiancati da operatori comunali, nella cura delle aree verdi. I carcerati diventeranno dunque giardinieri, occupandosi del verde, ma dedicandosi pure al tinteggio di alcuni locali, alla verniciatura di cancellate e manufatti in ferro, alla pulizia delle piazzole di deposito e delle aree cimiteriali, alla manutenzione delle strade. Il progetto, già approvato in consiglio comunale il 15 luglio, ha ricevuto il nulla osta ieri mattina, quando è stato stretto l’accordo tra Comune e casa circondariale. L’iniziativa, fortemente voluta dal vicesindaco Luca Poletti e caldeggiata dal consigliere Marco Iori, avrà la durata di circa un anno e sarà distribuita su cinque giorni settimanali: dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 13. “L’intento - a detta del Comune - è di offrire un’opportunità di lavoro e di reinserimento sociale alle persone ristrette, riducendo l’eventualità che, una volta tornate in libertà, possano riprendere a delinquere”. Dunque, un progetto che possiede un importante fine educativo, che darà ai tre detenuti (scelti dagli operatori che finora li hanno seguiti in carcere) l’opportunità di nuova inclusione sociale, tramite un utilizzo proficuo delle proprie ore giornaliere. “Se questo primo tentativo darà buoni risultati - ha detto Poletti - è nostra intenzione proseguire il percorso con altri detenuti, per dare a sempre più persone possibilità di reintegro sociale, una volta tornati in libertà. La fase post - detentiva, infatti, è sempre un momento fragile, in cui si possono manifestare recidive per mancanza di opportunità”. L’iniziativa non è la prima in Italia né nella provincia di Reggio: “La prima collaborazione in terra reggiana - ha affermato il direttore della casa circondariale di Reggio, Paolo Madonna - tuttora in auge, è avvenuta a Reggio nel 2011/2012 e sta dando buoni risultati. L’idea di esportare ad Albinea una simile esperienza è nata da una docente locale, che insegna alla casa circondariale e che si è adoperata per favorire i contatti. Io sono favorevole a queste forme collaborative, perché si tratta di una ipotesi di reinserimento sociale e lavorativo di persone detenute”. L’attività non sarà gratuita, dal momento che l’amministrazione comunale dovrà versare un “costo simbolico” alla struttura detentiva per l’impegno che i soggetti partecipanti daranno, ma la somma sborsata sarà minima. In questo modo - sottolineano dal Comune - “l’amministrazione trae beneficio nell’avere forza - lavoro supplementare e la società può sperare di riportare un senso di giustizia e legalità in chi ha sbagliato”. Evitando così, almeno in parte, la piaga della marginalizzazione degli ex carcerati. Voghera (Pv): Villani (Pd); carcere sotto osservazione, per apertura nuovo padiglione La Provincia Pavese, 4 agosto 2013 “Teniamo sotto controllo la situazione del carcere di Voghera: abbiamo visto come si sta organizzando la direzione per l’apertura del nuovo padiglione”. Giuseppe Villani, consigliere regionale del Pd e Riccardo Canevari, collaboratore di Villani che fa parte del partito radicale, hanno fatto visita ieri alla casa circondariale di via Prati Nuovi. Il 15 settembre aprirà la nuova ala del carcere: ospiterà 200 detenuti che devono scontare pene per reati associativi e criminalità organizzata. Villani ha preso in considerazione il problema degli organici e gli aspetti sanitari, relativi all’apertura della nuova struttura. “Ci facciamo portavoce dell’azienda ospedaliera di Pavia - spiega Villani. Serviranno farmaci, infermieri, guardia medica e personale. Chiederemo alla regione risposte prima del 15 settembre”. “Si tratta di detenuti di massima sicurezza - continua Canevari - garantire il minimo indispensabile è la condizione basilare per aprire”. Il padiglione è pronto, bisogna finire la cucina prima di aprire un terzo della struttura. “Il giudizio del carcere di Voghera è positivo - conclude Villani - ma l’organico è insufficiente e la sezione di media sicurezza è sovraffollata: il nuovo padiglione potrà aiutare. Ci sono solo due educatori e due ispettori, occorre adeguare anche gli ambulatori”. Detenuto 39enne colpito da infarto Intervento d’urgenza del 118 ieri mattina nel carcere di via Prati Nuovi a Voghera. Un detenuto di 39 anni, che era rinchiuso in una delle sezioni a non alto grado di vigilanza, è stato colto da un grave attacco cardiaco mentre si trovava in cella. Gli altri detenuti hanno subito dato l’allarme e hanno chiamato gli agenti di polizia penitenziaria. Poco dopo il 39 enne è stato trasportato nell’infermeria del carcere. Qui il medico si è subito accorto che non si trattava nè di una simulazione nè di uno dei soliti atti autolesionistici o provocati dall’assunzione di sostanze pericolose (come respirare il gas delle bombolette, per esempio): era un attacco cardiaco in piena regola. L’uomo è stato quindi portato d’urgenza all’ospedale di Voghera. Bologna: scarcerata la giovane mamma detenuta con la figlia di due mesi La Repubblica, 4 agosto 2013 È stato firmato ieri il decreto di scarcerazione per la ragazza di 19 anni rinchiusa assieme alla figlia di soli due mesi al carcere della Dozza di Bologna. Per la madre e la piccola, detenute da oltre 30 giorni, si è trovata una soluzione alternativa, come avevano chiesto la garante regionale per i detenuti, Desi Bruno, quella di Bologna, Elisabetta Laganà e l’avvocato che difende la donna, Alberto Simionati. Con la sentenza di condanna passata in giudicato per reati contro il patrimonio, la 19enne di origine Rom ha potuto godere di un provvedimento di scarcerazione, firmato ieri dal giudice. Immigrazione il Cie di Gradisca d’Isonzo è come un manicomio pre-Basaglia di Franco Femla Il Piccolo, 4 agosto 2013 Il Cie di Gradisca d’Isonzo assomiglia più a un manicomio dell’era pre Basaglia che a una struttura per ospitare gli immigrati in attesa di identificazione ed espulsione. Ne è convinta l’assessore regionale al Lavoro, Loredana Panariti, e lo ha detto a chiare lettere nella relazione presentata nell’ultima seduta della giunta regionale. La Panariti ha visitato nei giorni scorsi la struttura gradiscana assieme a quattro consiglieri regionali (Franco Codega, Silvana Cremaschi, Stefano Pustetto, Mauro Travanut), amministratori locali, esponenti politici e di associazioni. L’assessore regionale ha descritto le condizioni degli ospiti parlando di “caldo soffocante”, “camerate/gabbie”, “cibo di scarsissima qualità”, condizioni di fatto di “prigionieri” dei cosiddetti “trattenuti”, che sfociano in episodi frequenti di autolesionismo. “Ho riscontrato - ha relazionato l’assessore Panariti in giunta - più di una analogia con gli ospedali psichiatrici pre Basaglia: gabbie in condizioni di assoluta precarietà igienica e sociale, con annessa abbondante somministrazione di psicofarmaci. Dove sta la necessità di tanta repressione e di tanto degrado? Le spiegazioni addotte dal responsabile della gestione, abbondantemente insufficienti, vanno da presunti problemi connessi alla ristrutturazione della sede a questioni di regolamento e di incolumità”. “Di fronte a una situazione come questa - ha aggiunto la Panariti - l’Amministrazione regionale deve intervenire con urgenza, verso il Prefetto e verso le autorità competenti affinché siano ripristinate le condizioni strutturali e igieniche che rispettino almeno i livelli minimi di dignità umana, attualmente gravemente violati”. In seconda istanza, l’esponente di Sel ha chiesto “un intervento immediato del Parlamento per chiudere tutti i Cie”. Una giudizio negativo lo aveva espresso anche Codega del Pd all’uscita dalla struttura gradiscana,”struttura che non solo non ha praticamente quasi nessuna utilità, ma si è trasformata in un luogo in cui spesso sono a rischio i più elementari diritti”. “Le mense sono chiuse, gli ospiti mangiano nelle loro stanze e gli unici spazi di aria sono i cortili ristretti circondati da gabbie di ferro - rileva Codega - . Si è di fronte a un vero e proprio zoo: nessuno spazio comune, telefonate centellinate, cellulari sequestrati e contatto con l’esterno affidato a una carta telefonica di 5 euro ogni due giorni. Attività ricreativa inesistente. Ci sono disfunzioni organizzative pesanti: da due mesi le lavatrici non funzionano e vestiti e lenzuola o restano sporchi o vengono lavati a mano dagli stessi trattenuti. La consulenza legale registra ampie falle: per quattro giovani siriani non sono state ancora avviate le pratiche di asilo politico. E dopo 18 mesi in questa situazione verranno tutti rilasciati liberi. Che senso ha tutto questo”, si chiede ancora Codega che come la Panariti sostiene che i Cie vanno chiusi sull’intero territorio italiano. Attualmente il Cie di Gradisca d’Isonzo, che per grandezza è il secondo in Italia, ospita 67 extracomunitari sui 240 posti disponibili. Per la loro sorveglianza vengono utilizzate 150 persone al giorno, carabinieri ed esercito. Di queste 67 persone, 20 provengono da altre carceri e 47 sono trattenute solo in attesa di identificazione. La gestione è affidata alla Connecting people, una cooperativa di Trapani. La presenza ridotta di extracomunitari è stata decisa dopo i gravi incidenti avvenuti nell’estate di tre anni fa quando avvennero nel giro di tre mesi una serie di rivolte con un totale di 60 evasioni e ingenti danni alla struttura. A fianco del Cie c’è il Cara, il Centro di accoglienza richiedenti asilo politico che invece di posti disponibili ne ha 138 che possono arrivare in caso di necessità a160. Attualmente nel Cara sono ospitati 150 immigrati. Medioriente: il 13 agosto i primi 26 detenuti palestinesi saranno scarcerati da Israele La Presse, 4 agosto 2013 Il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat fa sapere in una dichiarazione che Israele rilascerà il primo di quattro gruppi di detenuti palestinesi, composto da 26 carcerati, il 13 agosto. Lo Stato ebraico ha acconsentito in linea di principio alla scarcerazione di 104 prigionieri da lungo tempo, nell’ambito dell’accordo promosso dagli Usa che ha aperto la via alla ripresa dei negoziati di pace in stallo dal 2008. I colloqui preliminari si sono tenuti a Washington lunedì scorso, il prossimo incontro è previsto a Gerusalemme la prossima settimana. Un ufficiale del governo israeliano non ha commentato. Mentre gli Usa vogliono che un accordo per uno Stato palestinese sia raggiunto entro nove mesi, i palestinesi temono che Israele voglia in realtà solo una soluzione provvisoria. Per Erekat un accordo parziale sarebbe inaccettabile. Egitto: in sciopero della fame 179 sostenitori di Morsi in carcere Adnkronos, 4 agosto 2013 Hanno iniziato uno sciopero della fame i 179 sostenitori del deposto presidente egiziano Mohammed Morsi detenuti nel carcere del Cairo. Lo ha dichiarato l’avvocato dei Fratelli Musulmani Ali Kamal, spiegando che la decisione è stata presa per denunciare i “maltrattamenti” subiti. La denuncia, infatti, è che altri detenuti siano stati incitati dalle guardie penitenziarie ad attaccarli. Mostafa Baz, responsabile del ministro degli Interni per gli Affari penitenziari, ha negato che ci siano detenuti in sciopero della fame. Turkmenistan: Presidente firma amnistia per 1.100 detenuti in occasione fine Ramadan Tm News, 4 agosto 2013 Il presidente turkmeno, Gurbanguly Berdymukhamedov, ha firmato l’amnistia per 1.166 detenuti in occasione della fine del Ramadan: lo ha reso noto la stampa ufficiale. Il Presidente ha spiegato in una riunione del governo di voler dare “l’occasione a coloro che hanno intrapreso una cattiva strada di espiare la loro colpa con un lavoro onesto e una partecipazione attiva allo sviluppo del Paese”. Nel corso del 2012 Berdymukhamedov ha amnistiato oltre 6mila detenuti, ma secondo le ong per la difesa dei diritti umani migliaia di persone si trovano ancora in carcere. Marocco: dopo proteste di piazza il re ordina inchiesta su liberazione pedofilo spagnolo Adnkronos, 4 agosto 2013 Il Re del Marocco Mohammed VI ha annunciato di aver ordinato l’apertura di un’inchiesta dopo le forti proteste scatenate dalla decisione di concedere la grazia reale ad un pedofilo spagnolo, “al fine di determinare le responsabilità e le mancanze che possono aver avuto come conseguenza questa deplorevole liberazione, identificare i responsabili di questa negligenza ed adottare le necessarie sanzioni”. L’uomo, Daniel Galvan Fina, era stato condannato nel settembre 2011 a 30 anni di reclusione dopo essere stato riconosciuto colpevole dalle corti a Kenitra, vicino Rabat, di aver stuprato 11 bambini. Era uno dei 48 cittadini spagnoli graziati martedì scorso. Proteste sono scoppiate a seguito di questa decisione in molte città del paese dove la gente ha chiesto la revoca del provvedimento di grazia. Secondo quanto reso noto dal palazzo reale, “il re non è mai stato informato in qualunque modo né in alcun momento della gravità dei crimini orrendi per i quali l’interessato è stato condannato. È evidente che mai il sovrano avrebbe acconsentito” a che il detenuto “potesse cessare di scontare la sua pena in considerazione dell’atrocità dei crimini mostruosi per i quali è stato riconosciuto colpevole”, riferisce l’agenzia Map. Honduras: inviate truppe per la repressione della rivolta nel carcere di Tegucigalpa Ansa, 4 agosto 2013 Le autorità dell’Honduras hanno mandato le truppe per ristabilire il controllo sul più grande carcere del Paese, situato poco lontano da Tegucigalpa, Capitale del Paese. Nel corso della rivolta sono morti tre detenuti e feriti due agenti di guardia. “È ora di mettere fine al dominio della criminalità nelle carceri” ha dichiarato il Presidente dell’Honduras Porfirio Lobo. Secondo gli esperti internazionali, nelle carceri di questo Stato dell’America Centrale comandano i banditi. Secondo i dati ufficiali delle autorità, le carceri sono sovraccariche, al posto di 8 mila di detenuti se ne trovano 12 mila.