Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: la "sorveglianza dinamica" non fa aumentare i suicidi Ristretti Orizzonti, 3 agosto 2013 In riferimento al comunicato stampa del Sappe in data 29 luglio, la C.N.V.G., pur esprimendo il massimo del rispetto per i fatti che purtroppo, accadono alla Polizia penitenziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, non ne condivide tuttavia l’analisi. È noto che molti agenti hanno salvato persone da suicidi o da altri atti gravemente autolesivi, svolgendo un’azione fondamentale di tutela della vita dei detenuti. Ma l’equazione che fa conseguire l’aumento dei fatti descritti all’avvio della sperimentazione della sorveglianza dinamica ci pare discutibile. Innanzitutto varie autorevoli analisi, tra cui citiamo il parere dal titolo “Il suicidio in carcere. Orientamenti bioetici”, approvato dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), auspicano una maggiore trasparenza delle regole interne al carcere e per una maggiore personalizzazione del trattamento, contrastando le pratiche “deresponsabilizzanti” e “infantilizzanti” che riducono all’impotenza e umiliano le persone detenute. Inoltre, tra i fattori individuati come favorenti la manifestazione di atti autolesivi, vi sono la promiscuità giuridica o penitenziaria, l’affollamento detentivo, l’inattività, i trasferimenti di istituto, la posizione giuridica non definitiva, la reattività comportamentale, che non risulta essere identificata come prima causa; tutte patologie più volte denunciate dell’attuale sistema carcerario. Un passo estremamente importante è stato realizzato con l‘avvio di una riorganizzazione complessiva del sistema penitenziario: nella differenzazione delle strutture per tipologia detentiva in coerenza con la previsione dell’art. 115 dpr. n. 231/2000; nel superamento della dicotomia tra i concetti di sicurezza e di trattamento, in vista dell’apertura a modelli di detenzione più coerenti con le finalità dell’art. 27. A fronte della “rivoluzione normale” che dovrebbe realizzare il carcere così come previsto normativamente, come tanti carceri d’Europa sono già, abbiamo assistito finora, per riprendere una affermazione di Giovanni Maria Flick ad un nostro convegno, ad una “rivoluzione tradita” o meglio al tradimento della “rivoluzione promessa” e dichiarata dalla norma costituzionale. Il tradimento è dimostrato dalla quotidianità del nostro sistema penitenziario, nonostante alcune eccezioni e l’impegno di molti, che nonostante tutto ci è costato le note condanne dall’Europa. Quella del carcere è una situazione di illegalità conclamata del nostro paese (ove il sovraffollamento ha carattere non contingente, bensì strutturale e legato alla identificazione quasi assoluta fra pena e carcere); ma non solo di esso. Il sovraffollamento, i suicidi e le morti in carcere rimandano ai motivi che hanno provocato le condanne, che chiamano in causa il problema carcerario nel suo complesso. Le condanne ci chiedono un’analisi di sostanza delle questioni, proprio per evitare di accantonarle di nuovo non appena le acque si placano, per ritrovarle intatte a distanza di anni. La direzione presa è inevitabile, giusta e necessaria. Ci è stata indicata con forza dalla giurisprudenza costituzionale; dalle Carte internazionali; dall’Ordinamento Penitenziario, dal regolamento penitenziario del 2000 e alle più recenti raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Tornare indietro sarebbe un fallimento per tutti. Per la Presidenza Anna Pia Saccomandi, Segretario generale Giustizia: lavoro in carcere, il giallo dei 16 milioni a “scadenza” per la legge Smuraglia di Giuseppe Sabella www.ilsussidiario.net, 3 agosto 2013 Due settimane or sono, il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha comunicato alle direzioni carcerarie, attraverso i Provveditorati regionali, che alle imprese che hanno in carico detenuti lavoratori saranno riconosciuti il credito d’imposta fino al 31 agosto 2013 e gli sgravi contributivi per tutto l’anno 2013, quindi fino al 31 dicembre 2013, salve successive modificazioni relative al decreto attuativo ancora in fase di perfezionamento. Tale decreto dovrebbe rendere effettiva la cifra di 16 milioni di euro disposta per ripianare i minori introiti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps per l’applicazione della cosiddetta “legge Smuraglia”. Il fondo era stato previsto dalla Legge di stabilità 2013 (n. 228/2012), definita ancora dal governo Monti, in previsione del rilancio del lavoro penitenziario, in linea con il decreto “svuota carceri” già in fase di lavorazione che, più che uno svuotamento delle carceri, prevede di incentivare misure alternative come il lavoro: un fattore riabilitativo che produce, dopo la pena, un abbattimento della recidiva quasi nel 98% dei casi (dato Italia Lavoro). Il decreto “svuota carceri”, in questi giorni in discussione in aula, prevede risposte strutturali dopo i richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo che il 27 maggio scorso ha rigettato il ricorso dell’Italia avverso alla sentenza dell’8 gennaio di quest’anno, con cui il sistema penitenziario nazionale era stato condannato per trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie. A seguito del rigetto disposto dalla Corte di Strasburgo, la sentenza è diventata definitiva. L’Italia ha ora un anno di tempo (maggio 2014) per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario. Altrimenti le sanzioni saranno pesanti. Il provvedimento della Corte europea arriva a seguito di un lavoro di monitoraggio importante sulla situazione carceraria in Europa, che, il 15 dicembre 2011, ha portato in particolare alla Risoluzione sulle condizioni detentive nell’Unione europea approvata dal Parlamento europeo, in cui si sottolinea la necessità di rispettare le attività di rieducazione, istruzione, riabilitazione e reinserimento sociale e professionale, anche con riferimento al lavoro in generale. A livello europeo, la necessità di regolamentare la questione è sorta in seguito al monitoraggio del 2011: in 15 Stati le carceri sono risultate particolarmente sovraffollate; i tassi di crescita nella popolazione carceraria sono elevati e in 11 Stati il tasso di detenuti per 100.000 abitanti è superiore a 100; in 11 Stati gli stranieri sono più di un quarto dei detenuti totali; la percentuale dei detenuti senza condanna definitiva è estremamente alta; i tassi di morti e suicidi sono estremamente preoccupanti. In particolare, il Libro verde della Commissione (14 giugno 2011), menziona l’Italia, con Bulgaria, Cipro, Spagna e Grecia, fra i paesi con il maggior sovraffollamento carcerario e, con Lussemburgo e Cipro, fra quelli con il maggior numero di detenzioni in attesa di giudizio. Gli ultimi dati del recente Rapporto sulla popolazione carceraria (maggio 2013) del Consiglio europeo ribadiscono che l’Italia, dopo Serbia e Grecia, è oggi il Paese europeo con il più alto tasso di sovraffollamento: ogni 100 posti disponibili, i detenuti sono 147 (sono circa 67.000 a fronte di 44.000 posti disponibili). Inoltre, dopo Ucraina e Turchia, il nostro Paese è al terzo posto anche per quel che riguarda il numero di detenuti in attesa di giudizio: sono 14.140 (cioè il 21,1%). Queste sono le due principali anomalie italiane. Nel 2010 inoltre, l’Italia ha speso 116,68 euro al giorno per ogni detenuto (escluse spese mediche): significa che la spesa pubblica per ogni detenuto è di circa 45.000 euro l’anno, escluse spese mediche. Francia e Germania, che invece prendono in considerazione anche le spese mediche, ne hanno spesi rispettivamente 96,12 (circa 35.000 annui) e 109,38 (circa 40.000 annui). In Italia, in risposta ai richiami dell’Ue, Governo e Parlamento stanno varando questo decreto utile al rilancio, come si diceva sopra, del lavoro penitenziario. Quello che stupisce è che il fondo stabilito, pur essendo di gran lunga superiore ai precedenti stanziamenti (4 milioni di euro), va però utilizzato entro il 31 dicembre 2013. Ma come possono essere spesi 16 milioni di euro da qui al 31 dicembre? La sensazione diffusa è che, come già accaduto in precedenza (dicembre 2012), questi denari previsti dalla legge di stabilità finiranno dal 1 gennaio 2014 su altre voci di bilancio. Si profila forse un nuovo indulto? Giustizia: da decreto-carceri riduzione poteri al Commissario per l’edilizia penitenziaria Asca, 3 agosto 2013 “La Commissione Giustizia ha approvato un nostro emendamento al Decreto carceri che elimina l’ingiustificato potere attribuito ai Commissari Straordinari preposti alla realizzazione di nuovi Istituti penitenziari di poter derogare alla normativa del Codice degli Appalti pubblici per la partecipazione alle relative gare. In questo modo sono assicurati i principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza che non possono non guidare l’affidamento di opere pubbliche, ancor di più quelle di importo significativo come nel caso della costruzione di nuove carceri. Il rispetto fermo delle regole, la limpidezza delle procedure e la competizione fra le imprese debbono oggi più che mai affermarsi nel mondo degli appalti pubblici”. Così Raffella Mariani e Tino Iannuzzi, deputati Pd firmatari dell’emendamento al Dl carceri. Giustizia: sentenza Berlusconi… il ricatto del condannato di Massimo Giannini la Repubblica, 3 agosto 2013 La tragicommedia del “Santo Martire della mala-giustizia italiana” è giunta infine al suo climax. Dopo la condanna definitiva decisa dalla Cassazione per Silvio Berlusconi, si dispiegano con geometrica potenza l’improvvisa drammatizzazione del suo ricatto politico e la messinscena mediatica della Grande Banalizzazione dei suoi processi penali. Il ricatto è ultimativo, e chiama in causa il Quirinale: o mi date un salvacondotto, o salta tutto. La banalizzazione è suggestiva, e chiama in causa le coscienze: ho salvato il Paese dai comunisti, quindi sono innocente per definizione. Nell’anomalia berlusconiana non c’è spazio per la realtà. Anche se la realtà è molto semplice. Per lo Stato, in rappresentanza del quale si sono espressi i giudici della Suprema Corte, il Cavaliere è colpevole di un reato gravissimo, provato al di là di ogni ragionevole dubbio in tre gradi di giudizio. Per questo, come qualunque altro cittadino e secondo il principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge, merita la pena che gli è stata inflitta. In qualunque altra democrazia occidentale non ci sarebbe altro da aggiungere. Il condannato prende atto, e sconta il suo debito con la giustizia, pagandone tutte le conseguenze. Comprese quelle politiche, se ne esistono. Solo in questa Italia, narcotizzata dalla propaganda mistificatoria ed egemone di una destra autocratica e populista, può succedere che il carnefice si spacci per la vittima. Solo in questa Italia, lobotomizzata da una “guerra dei vent’anni” combattuta da un conducator che si pretende sempre e comunque legibus solutus, può succedere che il “pregiudicato” si rappresenti come il “perseguitato”. Ed è dunque in nome di questa colossale manipolazione che una verità processuale ormai certificata può essere “venduta” sul mercato politico e veicolata nel discorso pubblico come una banale falsità, che se pure macchia la fedina penale del leader non indebolisce la sua immagine sacrale e la sua tempra morale. Al contrario. I tribunali della Repubblica hanno stabilito che Berlusconi ha frodato il fisco per creare fondi neri, secondo uno schema collaudato che gli è servito e gli serve da decenni per corrompere politici, giudici e finanzieri. Ma questo, per i Grandi Banalizzatori in servizio permanente effettivo, non conta nulla. La sentenza (ancorché definitiva, fattuale e soprattutto documentale) è un groviglio di parole ridotte a gusci vuoti, sulle quali non vale neanche la pena fermarsi a riflettere. Non vale la pena provare a capire cosa, come e perché è successo tutto questo, a un ex presidente del Consiglio di questo Paese. Anzi, proprio questa sentenza di condanna (manomessa e trasformata nel suo contrario) è usata per paradosso a rafforzare la legittimità politica del Cavaliere, che di fronte ai suoi scudieri e ai suoi elettori torna ora a parlare di voto anticipato. Com’era ovvio e prevedibile la “pacificazione”, pilastro ideologico del governo di “unità nazionale”, era solo un pretesto posticcio: quasi la prosecuzione dell’impunità con altri mezzi. Per lo Statista di Arcore non vale l’interesse nazionale, ma solo quello personale. E dunque, come spiega ai suoi gruppi parlamentari, a questo punto conviene andare alle elezioni al più presto, “per vincerle” e per fare finalmente quella “riforma della giustizia” che non serve agli italiani, ma serve solo a lui. Una riforma che non garantisce più attenzioni agli imputati, ma promette più sanzioni ai magistrati. Seguire Berlusconi, nel videomessaggio di due giorni fa, è come osservare i “nuovi tiranni” raccontati da John Berger. Occhi piccoli, pronti, che esaminano tutto e non contemplano nulla. Orecchie capienti come banche dati, ma incapaci di ascoltare. Labbra che tremano di rado, e bocche che minacciano implacabilmente decisioni. Mani gesticolanti, che dimostrano formule e non toccano l’esperienza. Soprattutto, assoluta fiducia in se stessi, pari alla loro tracotanza e alla loro ignoranza. E questo non è che un debutto. Cosa accadrà tra qualche giorno, quando un’altra sentenza precipiterà sulla scena, a scatenare l’ira del pelide Silvio? Cosa succederà quando la stessa Cassazione si pronuncerà sul maxi-risarcimento che la Fininvest deve alla Cir, per un altro enorme episodio corruttivo (anche questo certificato da una sentenza passata in giudicato) come il Lodo Mondadori comprato a suon di mazzette al giudice Metta? Cosa farà il Cavaliere, se non quello che sa fare meglio da quando è sceso in campo nel 1994, cioè rovesciare tavoli, bruciare vascelli, saltare come un ardito nel cerchio di fuoco di un’avventura politica vissuta sempre e soltanto come campagna elettorale permanente? Gli atti sediziosi del Pdl, per adesso solo annunciati, saranno prima o poi realizzati. La Vandea dei ministri, l’Aventino dei parlamentari, l’assedio al Quirinale, costretto ancora una volta a escludere ufficialmente l’ipotesi folle di un provvedimento di grazia ad personam. E chissà che altro ancora, per “ripristinare la democrazia”, violata solo perché un manipolo di magi-strati, coraggiosi e scrupolosi, ha provato a fare fino in fondo il proprio dovere: amministrare la giustizia. Anche nei confronti di un cittadino “eccellente” che ha fatto di tutto per sottrarvisi, dai sovversivi Lodi Schifani-Alfano ai compulsivi legittimi impedimenti “per uveite”. E che si ritiene meno uguale degli altri solo perché la sua gente lo ha votato ed “eletto”, a questo punto non solo in senso parlamentare ma quasi divino. In questo scenario, ragionare ancora sulle prospettive del governo Letta non ha molto senso. L’orizzonte politico, spaziale e temporale, si restringe ineluttabilmente. Era nelle cose, e solo chi si è lasciato e si lascia ancora ammaliare dalla Grande Banalizzazione poteva non vederlo. Verranno ore drammatiche. E per Giorgio Napolitano, che finora ha supplito da solo all’irresolutezza della politica e ha retto tutto intero il peso di una governabilità quasi impossibile, rischia di avvicinarsi ancora una volta il momento delle scelte più difficili. E questo è tanto vero, che anche la sinistra ha il dovere almeno di chiedersi se non occorra giocare d’anticipo, piuttosto che aspettare ancora una volta gli eventi. Un tema cruciale, che interroga il Pd, obbligato a riflettere sulla natura di questa anomala Grande Coalizione, e anche il presidente del Consiglio, chiamato a una rigorosa analisi costi/benefici della sua missione a Palazzo Chigi. Per tornare a John Bergere: non basta “ammassare il branco” per dire che si sta governando. Letta non ha torto, quando sostiene che “fermarsi ora sarebbe un delitto”. Ma ha più ragione di lui chi oggi si domanda: come si può andare avanti con un presunto alleato che un “delitto” lo ha commesso davvero, secondo una sentenza ormai definitiva pronunciata nel nome del popolo italiano? Giustizia: sentenza Berlusconi, la richiesta di grazia… un rebus per il Colle di Marzio Breda Corriere della Sera, 3 agosto 2013 Dubbi su decisioni che suonino come un quarto grado di giudizio Ma non sono escluse altre strade parlamentari per arrivare alla clemenza. E adesso, com’era scontato aspettarsi, ricomincia anche il tormentone della grazia. A evocarla per primi, stavolta, non i giornali di osservanza berlusconiana, ma i militanti del fantomatico “Esercito di Silvio”. Che annunciano un presidio permanente davanti al Quirinale, a partire da lunedì, dal quale far partire una petizione per chiedere a Giorgio Napolitano “la concessione immediata” di un provvedimento di clemenza per il leader del centrodestra. Una raccolta di firme destinata a dilagare in Italia, si spiega con teatrale metafora guerresca, attraverso gli oltre 500 “reggimenti attivi” che i fan del Cavaliere si dicono sicuri di poter dispiegare. Se davvero si concretizzerà, per il presidente della Repubblica questa rischia di essere un’iniziativa quantomeno imbarazzante. Basta riandare a quel che disse il 12 luglio scorso, quando con parole aspre fermò la rincorsa di retroscena su un presunto “piano di salvataggio” per Berlusconi, che sarebbe stato già pronto perfino nei dettagli. “Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e di sguaiatezza istituzionale”, tagliò corto. Anzi, aveva aggiunto, “danno il senso di un’assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica”. Una reazione infastidita, per sottrarre il Colle a una pretesa allora assolutamente fuori luogo (non era ancora cominciato il processo Mediaset in Cassazione) e che appare ancora adesso difficilmente praticabile, per diversi motivi. Anzitutto, una grazia che intervenisse subito dopo una condanna definitiva si configurerebbe di fatto come un quarto grado di giudizio, tale da smentire e potenzialmente delegittimare la stessa Corte. E poi, per concedere un provvedimento di clemenza, servono com’è noto certi requisiti minimi (ad esempio un’istruttoria del ministro della Giustizia, almeno un inizio di espiazione della pena, un parere favorevole degli organi penitenziari e dei servizi sociali, ecc.) che in questo caso mancherebbero. Senza contare che sul Cavaliere pendono comunque alcuni altri processi destinati ad approdare a sentenza definitiva nei prossimi due-tre anni. Il puro e semplice parlarne, dunque, sembra una pressione sbagliata e indebita, al Quirinale. Perché alimenta equivoci, ambiguità e un improprio carico di aspettative. Il discorso potrebbe invece essere diverso, forse, per altre forme di salvacondotto più o meno efficaci (un’amnistia o un indulto sono esclusiva competenza del Parlamento) su cui in queste ore sta almanaccando il centrodestra. E chissà a che cosa pensavano (anche loro davvero alla grazia tout court?) i capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, quando ieri sera hanno comunicato l’intenzione di salire “a breve” al Quirinale “per chiedere al presidente che sia restituita la libertà” all’ex premier e di “usare i poteri costituzionali per difendere la dialettica democratica alterata da questa sentenza”. Segnali di un partito sotto choc e che ancora deve elaborare il lutto della condanna del capo. Indizi che preoccupano molto Napolitano. Tanto da indurlo, a tarda sera, a far diramare una nota chiarificatrice: “È la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda di grazia”. Il senso della puntualizzazione è che questa strada, così come la si vorrebbe imboccare, è strettissima e anzi impraticabile perché, come recita il Codice di procedura penale, la domanda dev’essere sottoscritta “dal condannato o da un suo prossimo congiunto o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale”. Non certo da esponenti politici, insomma. Ma tant’è. A quella drammatizzazione si accompagna la disponibilità a “dimissioni immediate” che tutti i parlamentari pidiellini - ministri compresi - hanno offerto a Berlusconi, non solo come gesto di solidarietà quanto come uno strumento di minaccia, mentre il leader incitava tutti a prepararci per “elezioni presto”. Il capo dello Stato, che durante il weekend rientrerà a Roma da un breve soggiorno in Alto Adige, affronterà la questione attraverso una serie di incontri e contatti politici. E se il centrodestra volesse consegnargli le chiavi della legislatura, affidandogli la sorte di Berlusconi, il Pd apparirebbe in mezzo al guado, incertissimo se staccare la spina al governo. Giustizia: sentenza Berlusconi; gelo del Quirinale sulla grazia, ora richiesta impossibile di Antonella Rampino La Stampa, 3 agosto 2013 I parlamentari del Pdl pressano il Quirinale con una richiesta di grazia. Richiesta peraltro difficilmente ipotizzabile. Con il Pdl che a gran voce, e anche venata di minaccia, chiede a Giorgio Napolitano la grazia per Silvio Berlusconi, il Quirinale si limita a rispondere gelidamente in serata che “la legge stabilisce chi sono i soggetti titolati a presentare la domanda”. È come se il Colle facesse notare che non sono Brunetta, Schifani, la Santanché, l’intero corpo parlamentare del Pdl o i quotidiani vicini a Berlusconi a poter avanzare la richiesta, ma l’unico che in proposito - al momento - tace: Silvio Berlusconi. Il codice di procedura penale infatti prevede che a chiedere la grazia presidenziale, disposta dall’articolo 87 della Costituzione, possa essere l’imputato, o in sua vece un prossimo congiunto, un convivente, un tutore, il suo avvocato. In una parola: sostituti del soggetto condannato. E il motivo del silenzio dell’unico titolare della facoltà di richiesta potrebbe essere che certamente i suoi avvocati, e tra questi certamente il professor Coppi sanno che la domanda al momento, non è ipotizzabile. Non solo perché non la norma ma la consuetudine vuole che il Presidente eserciti il potere di grazia nei confronti di chi è condannato in via definitiva e non ha altri procedimenti giudiziari in corso (un’eccezione a questa consuetudine c’è stata, nel caso del giornalista Lino Jannuzzi, graziato avendo altre querele aperte). Ma soprattutto perché la sentenza con la quale la Cassazione ha condannato Berlusconi prevede il rinvio ad altra corte della valutazione sull’interdizione dai pubblici uffici: dunque, si tratta di una condanna non definitiva. Inoltre, spiega il costituzionalista Valerio Onida, non c’è solo l’aspetto formale ma anche quello sostanziale negli effetti della grazia, “essa funziona infatti come l’indulto, e non estingue le pene accessorie e altri effetti della condanna”. Un aspetto “sostanziale” proprio perché il motivo per il quale il Pdl chiede la grazia per il proprio leader “punta evidentemente ad impedire il decadimento del seggio in Parlamento”: un effetto che, appunto, con la grazia non si otterrebbe automaticamente, a meno che non venga espressamente previsto nel decreto di grazia. Occorre però ricordare che i primi a chiedere la grazia furono i quotidiani vicini a Berlusconi, che invocarono la redenzione per l’ex presidente del Consiglio ancora prima che fosse condannato, il 13 luglio scorso. E in quell’occasione, l’irritazione di Napolitano fu massima, tanto che venne fatta filtrare la reazione, “speculazioni su provvedimenti di competenza del Capo dello Stato che sono segni di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale “ da parte di “giornali che fanno provocazioni abituali, e che per rozzezza istituzionale non meritano né attenzione né commenti”. Anche in quel caso, Silvio Berlusconi non profferì motto, e tantomeno in materia di grazia. Al momento, comunque, visto che per l’appunto il Quirinale esaminerà la richiesta di grazia e la possibilità di accoglierla qualora il soggetto titolato la chiedesse, le perentorie proteste che si sono levate ieri dal Pdl hanno un valore eminentemente simbolico, e dunque politico. Che avrà plastica rappresentazione a partire da lunedì mattina, quando un inedito “Esercito di Silvio” presidierà la Piazza del Quirinale, sempre con l’obiettivo di spingere Napolitano a graziare il loro leader. La neonata organizzazione, costituita a quanto pare su iniziativa dell’onorevole Daniela Santanché, ha già comunicato l’intenzione alla Questura di Roma, e dal Quirinale si guarda a un’iniziativa come tante: è previsto che l’Esercito di Silvio venga transennato negli spazi antistanti alle Scuderie. E il peggio è stato evitato: inizialmente, l’idea era che protagonisti del presidio fossero i parlamentari del Pdl. Un’iniziativa che sarebbe stata di ben diversa gravità, e che certamente avrebbe irritato non poco il Quirinale. Sardegna: Centro Democratico; no a trasferimento reclusi mafiosi nel carcere di Bancali www.sardies.org, 3 agosto 2013 Affollata riunione venerdì sera a Bancali promossa dal Centro Democratico Sardegna per parlare dei pericoli che possono causare al territorio i reclusi per reati di mafia nel carcere di Bancali. A introdurre l’assemblea, nella sede dell’associazione Terra Nostra, è stato il segretario organizzativo regionale Tore Piana che ha illustrato come nel carcere di Bancali oltre agli attuali 162 reclusi trasferiti dal carcere di San Sebastiano possono arrivare tra ottobre e novembre altri 92 detenuti con il 41bis e altri 200 ad alta pericolosità per reati di mafia. Piana ha specificato che la presenza del carcere a Bancali non è un fattore negativo, anzi può essere senz’altro un modo di sviluppo economico per il territorio per l’indotto che riesce a creare, ma, ha specificato, “senza i detenuti di stampo mafioso” che al contrario porterebbero il modello mafioso con il rischio che nei prossimi anni il sistema mafia venga insediato nel nostro territorio oggi indenne dal fenomeno. “Oggi - ha spiegato Tore Piana - il territorio del triangolo Sassari-Alghero-Porto Torres è considerato area di crisi con tassi di disoccupazione di 6 ragazzi su 10. Bisogna che tutti i cittadini sappiano e si mobilitino”. L’avvocato Anna Maria Busia, esperta delle problematiche carcerarie e fondatrice dell’associaizone “Cambi@lamente”, ha illustrato i motivi che hanno portato il Governo ad individuare la Sardegna luogo dove trasferire i reclusi mafiosi. Fu il Governo Berlusconi, ed il ministro Maroni in particolare, nel 2009 a fare inserire l’espressione “luoghi insulari” nella Legge carceraria, posti dove trasferire i reclusi mafiosi tutti presenti nelle carceri del nord. La Lega non vuole i mafiosi al nord e ha fatto legiferare per il loro trasferimento in Sardegna: quasi tutti i parlamentari sardi di allora, tra l’altro, votarono a favore. L’onorevole Roberto Capelli, deputato del CD Sardegna, nel suo intervento ha illustrato la sua proposta di legge presentata alcuni giorni fa alla Camera che, se approvata, bloccherebbe il trasferimento dei reclusi per reati di mafia a Bancali e in Sardegna. Il nostro territorio è appettibile per l’insediamento mafioso in particolare nei settori: parchi eolici, bonifiche area Porto Torres, investimenti nel settore turistico e agricolo nonché per il controllo del commercio della droga e del commercio. Sono inoltre intervenuti: Angelo Acaccia, assessore a Porto Torres, e Nicola Sanna, assessore a Sassari, entrambi per ribadire la contrarietà delle rispettive amministrazioni alla presenza di reclusi nel carcere di Bancali. Hanno preso la parola anche Nino Marginesu, coordinatore provinciale del CD, Antonello Zanza, medico carcerario, l’avvocato Giorgio Murino e Aldo Curcio, del sindacato di polizia giudiziaria. Sassari: detenuto romeno di 30 anni muore d’infarto nel carcere appena aperto di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 3 agosto 2013 Viorel Neicu, 30 anni, si è sentito male alle sei del mattino di ieri ed è morto subito. Oggi l’autopsia voluta dalla Procura. Sindacati polemici. Il carcere di bancali è stato aperto da appena un mese. C’è il primo morto nel moderno carcere di Bancali, inaugurato solo qualche settimana fa. Ieri all’alba un detenuto romeno di 30 anni, Viorel Neicu, è stato stroncato da un infarto fulminante. Inutili i soccorsi che sono scattati immediatamente, appena il compagno di cella ha dato l’allarme. La procura della Repubblica di Sassari ha aperto una inchiesta e il magistrato di turno ha disposto l’autopsia per accertare le cause del decesso del detenuto. Il corpo di Viorel Neicu è stato trasferito all’istituto di Patologia Forense dove il medico legale oggi eseguirà la perizia necroscopica. L’episodio si è verificato alle 6 del mattino. Il giovane romeno - che divideva la cella con un connazionale - ha accusato un forte dolore al torace e il compagno, che ha intuito la situazione di difficoltà, ha chiesto aiuto all’agente della polizia penitenziaria di guardia. Il detenuto è stato soccorso: medico e infermiere presenti nell’istituto penitenziario hanno attivato le procedure per la rianimazione, ma non è stato possibile salvare la vita al giovane romeno. Il direttore del carcere Patrizia Incollu ha confermato l’episodio e ha anche sottolineato che Viorel Neicu non soffriva di alcuna patologia e non era sottoposto ad alcuna terapia. “Si è trattato di un malore improvviso e imprevedibile - ha detto - e dagli effetti devastanti. I soccorsi sono stati rapidissimi, purtroppo non c’è stato niente da fare. Caldo nelle celle? Più o meno come nelle case in questi giorni”. Sull’episodio ha preso posizione Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”: “Dieci giorni fa - ha affermato - per la seconda volta in due settimane, un detenuto romeno aveva tentato di togliersi la vita ed era stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. Ora un infarto ha stroncato l’esistenza di un altro romeno. Tutto ciò appare sconcertante, considerato che quello di Bancali è un istituto all’avanguardia, appena inaugurato”. E Maria Grazia Caligaris pone un interrogativo: “C’è da chiedersi se in caso di un evento imprevedibile esistano le condizioni oggettive per impedire che abbia un finale tragico. La vicinanza degli istituti di pena ai nosocomi, oltre a un efficiente centro clinico, deve essere considerata circostanza imprescindibile per i detenuti e per tutti coloro che lavorano nella struttura”. Triste il ricordo di Cecilia Sechi, il Garante dei detenuti che aveva incontrato Viorel Neicu due giorni fa: “Lavorava - ha detto - stava benissimo, nessun problema. Era sicuro di poter dimostrare la sua innocenza e contava molto sull’appello, che attendeva con ansia. Mi dispiace molto”. Il segretario generale aggiunto del sindacato della polizia penitenziaria Osapp, Domenico Nicotra, ha sottolineato: “È evidente come sempre più spesso le criticità di un sistema penitenziario al collasso generano più eventi critici. E per questo è necessario che vengano adottati immediati provvedimenti di natura legislativa”. Il giovane romeno era in carcere dal mese di ottobre del 2012, era stato arrestato dai carabinieri a Sassari (dove gestiva un circolo privato) con l’accusa di sfruttamento della prostituzione, lesioni aggravate ed estorsione. Napoli: io, ex detenuto a Poggioreale, vi racconto la vita in carcere di Enzo Corona Corriere della Sera, 3 agosto 2013 Egregio direttore, cari lettori di questo prestigioso quotidiano, sono un giovane ex detenuto del carcere di Poggioreale stanco di tante parole al vento e desideroso di farvi conoscere la realtà delle condizioni carcerarie. Qualche giorno fa, a seguito del reportage di Marco Piscitelli pubblicato su Il Mattino, il ministro della Giustizia ha dichiarato che era al corrente della pessima situazione carceraria ma di non aspettarsi una realtà tanto degradata. L’ha seguita a ruota il presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini. Stavolta altro carcere. Ma mai nei reparti più drammatici. Ebbene, vorrei dire al ministro Cancellieri e al presidente Boldrini che hanno visitato solo alcune delle pochissime celle messe bene, alcune nuove, forse perché sapevano del vostro arrivo. Ora vi racconto io come è un carcere italiano: bagni inadeguati, vecchi, con piastrelle a terra quasi sempre spaccate, pieni di umidità e ruggine ovunque; si cucina nel bagno, sì, proprio accanto alla tazza del water; le celle sono piccole e stanno tutti ammassati uno sull’altro. È di questi giorni la notizia che la figlia dell’imprenditori Ligresti ha lamentato che in carcere si può fare la doccia solo una volta al giorno. Sappia che i detenuti “normali” la doccia la fanno 2 volte a settimana. L’acqua è sempre fredda, sia d’estate che d’inverno. Se stai male, occorrono 10 giorni per una visita medica e spesso non riceviamo cure adeguate. I detenuti di Poggioreale chiamano il famoso Buscopan “la pillola di Padre Pio” perché quella pillola ti danno e con quella ti devono passare tutti i dolori. Poi c’è il capito “violenza”. Abbiamo appreso la notizia di un altro ragazzo di 22 anni Manuel Eliantonio, massacrato di botte nel carcere di Marassi. Dobbiamo dire “morto in circostanze sospette”. Non se ne parla e non si prendono seri provvedimenti su questa tragedia. Eppure le denunce ci sono state: dal programma le Iene al Corriere della Sera che con una serie di video inchieste dal nome “Le nostre prigioni” di Antonio Crispino ha mostrato non solo la realtà carceraria ma ha addirittura riportato la testimonianza di un secondino che ha partecipato ai raid punitivi ai danni di alcuni detenuti. “Per futili motivi” dice nell’intervista l’ex poliziotto penitenziario. E così è, ve lo posso testimoniare. Si prendono botte per aver alzato la testa, per aver risposto male a una guardia, per non essersi alzati in tempo, etc. I detenuti vogliono e devono pagare i loro sbagli ma chiedono di farlo con umiltà e dignitosamente, da esseri umani e non come bestie. Anche i colloqui sono diventati una tragedia. Figli, mogli e madri non hanno colpa e non è giusto che per poter parlare con i loro cari un’ora a settimana devono stare in fila fuori al carcere dalle 2 o 3 della notte. Anche su questo tema ci sono alcuni video girati dai Radicali che testimoniano bene in che condizioni si fanno i pacchi, le file e i colloqui. Se per un adulto è sopportabile, tutto questo è ingiusto soprattutto per i bambini. Abbiamo anche noi dei figli che non devono pagare le nostre colpe. Cresceranno e ricorderanno questi traumi. Subiranno la violenza di avere un genitore in carcere e in più l’umiliazione di averlo visto ridotto come un cane. Le richieste di amnistia e indulto che arrivano da più parti ormai, le condividiamo. Non perché vogliamo far uscire delinquenti ma, credetemi, chi vive così è come se pagasse due volte la sua pena. E poi, questo ve lo dico con il cuore, ci sono tante persone che vogliono cambiare vita davvero. Invece sono costretti a pregare di passare indenni agli occhi dei camorristi, di non essere assoldati dalla camorra, di non essere adocchiati dai boss. Perché oggi il carcere non ha niente di “rieducativo” ma è solo un’università del male. Date a queste persona una nuova possibilità. Io sono uno questi. Voglio pagare la mia pena ma uscire migliore e non peggiore, ritornare alla società e non odiare la società. grazie per avermi ascoltato. Lucca: Granaiola e Marcucci (Pd) al carcere San Giorgio “Una vergogna da chiudere” www.loschermo.it, 3 agosto 2013 “Il carcere San Giorgio è una vergogna. È una struttura da chiudere”. Non usano mezzi termini i senatori Pd Andrea Marcucci e Manuela Granaiola alla visita al carcere di Lucca che definiscono “vetusta, sovraffollata e con significative carenze d’organico”. Ma se queste sono le - purtroppo - ben note carenze della casa circondariale lucchese, un altro è l’aspetto che i due senatori vogliono mettere in risalto in questa visita: la mancanza della nomina della figura del Garante per i diritti del detenuto. “Una legge regionale - spiega Marcucci - ha dato alle città sedi di carcere di nominare questa figura che, certamente, non risolve i problemi della struttura ma permette un continuo monitoraggio della situazione del carcere e, di conseguenza, permette una più rapida soluzione dei problemi che si pongono”. Ma a Lucca questa figura non c’è. “Qua, dove il carcere è inserito e legato così strettamente al tessuto urbano - proseguono Granaiola e Marcucci - non esiste motivo per il quale non si provveda alla nomina di questa importante figura”. Per tale ragione i due senatori scriveranno ai sindaci e ai presidenti del consiglio di Lucca e Viareggio, per sollecitare che si arrivi a tale nomina. Non solo, i due senatori Pd scriveranno anche al ministro Cancellieri per chiedere “Di inserire Lucca - dicono - nel piano delle nuove carceri: San Giorgio è una vergogna da chiudere”. Sia Marcucci che Granaiola sono d’accordo nell’asserire che la presenza di una struttura come il ‘San Giorgiò nel cuore di una città come Lucca è una contraddizione che va in qualche modo affrontata: “Per una città legata al mondo cattolico, al mondo del volontariato e della solidarietà - dicono - la presenza di un carcere in queste condizioni è una macchia e non può accontentarsi di effettuare dei lavori che vanno a tamponare le emergenze in una struttura che sarebbe antieconomico voler rendere realmente a norma e in linea con gli standard dettati dalla Comunità Europea in materia di carceri. È necessario pensare e lavorare a un progetto che contempli la chiusura del San Giorgio così com’è oggi”. Per effettuare un tale progetto, secondo i senatori Pd, non è da escludersi nemmeno l’intervento di finanziamenti privati, in quanto si tratterebbe di un progetto importante per la città, ma che renderebbe nuovamente disponibile anche una struttura come quella dove oggi ha sede la casa circondariale e, quindi, non è da escludersi che, in un futuro e a fronte di un progetto concretamente realizzabile, possa esserci l’interessamento di privati. Intanto, nella visita di oggi, Granaiola e Marcucci hanno tirato le somme della situazione: “Il numero dei detenuti è di 142 persone, di cui 78 stranieri, prevalentemente extracomunitari - spiegano -: il numero è diminuito per effetto di un intervento di manutenzione in una delle sezioni, ma è destinato a raggiungere, nel giro di poche settimane, l’abituale cifra di 200, il doppio di quanto consentito, con 92 agenti di custodia, invece dei 125 previsti. Per fare solo un esempio di come la situazione non sia più sopportabile, in tutto l’istituto ci sono 22 docce”. Nel corso dell’incontro con il direttore Francesco Ruello, i due parlamentari hanno verificato anche l’applicazione del protocollo d’intesa tra Anci e Dap sul reinserimento sociale dei detenuti e hanno concordato sul fatto che, anche da questo punto di vista: “Gli enti locali possono fare di più”. Sia Andrea Marcucci che Manuela Granaiola hanno rimarcato i piccoli miglioramenti e “la buona volontà del direttore e degli operatori - concludono -, ma è una goccia nel deserto: il carcere di Lucca resta una vergogna”. Genova: incendio oggi pomeriggio nel carcere di Marassi, otto persone intossicate Ansa, 3 agosto 2013 Incendio oggi pomeriggio nel carcere di Marassi, a Genova. Otto persone hanno riportato una lieve intossicazione e sono stati portati in ospedale per accertamenti. Secondo quanto riferito dal direttore dell’Istituto penitenziario, Salvatore Mazzeo, un detenuto ha appiccato il fuoco al materasso nella propria cella. I fumi scaturiti dalle fiamme hanno provocato la lieve intossicazione di otto persone, che hanno avvertito malori e sono state portate negli ospedali San Martino e Galliera per accertamenti. Nel carcere sono intervenuti i vigili del fuoco, che hanno spento l’incendio, già in parte risolto grazie all’intervento della polizia penitenziaria, e i medici del 118 con i mezzi di soccorso. Salerno: ieri il sit-in dei Radicali a Fuorni, per l’amnistia e la “giustizia giusta” La Città di Salerno, 3 agosto 2013 Hanno manifestato pacificamente per tutta la mattinata di ieri davanti al carcere di Fuorni per chiedere, ancora una volta, una “giustizia giusta”. I Radicali salernitani, guidati da Donato Salzano, e molti familiari dei detenuti, a partire dalle ore 10.30 si sono seduti a terra nel piazzale antistante l’entrata della casa circondariale e hanno così dato il loro sostegno “Alla sete e alla fame di Marco Pannella (che sta effettuando da alcuni giorni un digiuno di protesta, ndr) che lotta per uno Stato di Diritto affinché questa Repubblica possa rientrare nella legalità che ci chiede di ottemperare la Corte di giustizia per i trattamenti inumani e degradanti e per la lunghezza dei processi”. Il carcere di Fuorni, spiega Salzano - accompagnato per l’occasione anche dal presidente delle Camere Penali di Salerno, Saverio Maria Accarino - è un carcere tristemente famoso: “Fino a qualche settimana fa contava fra donne e uomini 625 detenuti quando il numero legale è di 280 posti”. E ha aggiunto: “Un carcere che ha al suo interno un enorme presenza di detenuti in attesa di giudizio - ha aggiunto Salzano. Qui sfioriamo il 60 per cento, superando di molto la media europea. Questo è carcere in cui la presenza di un magistrato di sorveglianza è sempre più rara. Di richieste di benefici alternative alla detenzione, di scarcerazioni anticipate, della 149, ce ne sono state tante ma sempre respinte”. Tante le adesioni, anche da parte degli stessi detenuti, al digiuno proposto da Pannella per combattere quelle che sono definite le “catacombe del terzo millennio”. Volterra (Pi): la Cena Vegaleotta è servita… ed è cruelty free Il Tirreno, 3 agosto 2013 Il festival Volterra Vegan comincia stasera con la Cena Vegaleotta, la prima cena vegana della storia che si terrà all’interno del Carcere. Nel cortile della Fortezza medicea sarà servito l’aperitivo durante il concerto delle “Apparenti Stonature” e a seguire la cena completamente cruelty free con accompagnamento musicale da parte dei detenuti per poi concludere con musica d’autore del duo “l’aruggine” di Nicola Pineschi e Massimiliano Casalini. I piatti sono preparati dagli stessi detenuti coordinati dagli chef della Veganeria e della Capra Campa di Roma, il ricavato andrà all’associazione Gavol che si prende cura dei randagi, gatti e cani. Domani e domenica il festival invade la Piazza dei Priori e altri luoghi del centro storico con banchetti informativi a cura delle associazioni italiane che si occupano di “animali non umani”, di stand con articoli e cibo vegan, di installazioni video, musica e divertimento, mentre in Torre Toscano, nella Sala Melani, si contribuirà a far luce sulla realtà dello sfruttamento animale nei nostri giorni, grazie a interventi di esponenti del mondo scientifico, filosofico, medico, imprenditoriale e di attivisti che operano, in varie forme, su tutto il territorio nazionale e internazionale. E non mancheranno laboratori per grandi e piccini nel Parco Archeologico Fiumi, dove sarà possibile fare la conoscenza di Bega, una pelosetta che insegnerà ai bambini il giusto approccio al cane e le cose da fare e non fare, oppure partecipare al laboratorio artistico e creativo e infine rilassarsi alla lezione di Yoga. Tra gli ospiti anche Paolo Susana e la cagnolina Smilla: lui la porta in giro per l’Italia sul sidecar in una campagna di sensibilizzazione contro i canili lager. Il loro viaggio si può seguire sul blog sidecarsmilla.blogspot.it e su Facebook. Mondo: Interpol; c’è al-Qaida dietro le evasioni dalle carceri in Iraq, Libia e Pakistan Ansa, 3 agosto 2013 Dietro ai recenti assalti armati a carceri in Iraq, Libia e Pakistan e alla conseguente evasione di centinaia di estremisti, terroristi e criminali comuni c’è lo zampino di al-Qaida: lo sospetta l’Interpol, che lancia un appello ai 190 paesi membri perché indaghino su eventuali collegamenti fra gli episodi. “Sospettando l’implicazione di al-Qaida in diverse evasioni che hanno consentito la fuga di centinaia di terroristi e criminali, l’Interpol lancia un allarme chiedendo l’assistenza dei suoi 190 paesi membri perché stabiliscano se questi episodi recenti siano coordinati o collegati”, scrive in una nota l’organizzazione di polizia internazionale dalla sua sede di Lione, aggiungendo che episodi di evasione di questo tipo sono avvenuti in nove paesi membri, fra cui Iraq, Libia e Pakistan. Nella nota si chiede inoltre ai paesi membri di “avvertire i paesi coinvolti se un terrorista in fuga viene individuato, per prevenire nuovi attacchi terroristici”. In Iraq il 22 luglio almeno 500 detenuti, fra cui diversi combattenti di al-Qaida, sono riusciti a evadere dal famigerato carcere di Abu Ghraib in un attacco armato ben coordinato. Il 27 luglio, in seguito a una rivolta dal carcere di Bengasi, in Libia, circa 1’000 detenuti sono fuggiti, un centinaio dei quali poi ripresi. Il 29 luglio in un attacco armato notturno in grande stile rivendicato dai talebani al carcere di Dera Ismail Khan, in Pakistan, sono evasi 243 detenuti, fra cui molti talebani ed estremisti. Brasile: massacro Carandiru, 25 agenti condannati a 624 anni di carcere ciascuno Ansa, 3 agosto 2013 Venticinque poliziotti sono stati condannati a 624 anni di reclusione a testa per aver preso parte al massacro del carcere brasiliano di Carandiru, nel 1992, quando una rissa fra bande rivali si trasforma in una rivolta sedata con la violenza che provocò 111 morti fra i detenuti. Il gruppo di poliziotti è stato accusato della morte di 53 detenuti nell’ambito della seconda parte di un processo a San Paolo che dovrà giudicare in totale 79 agenti. Lo scorso aprile, 23 agenti sono stati condannati a 153 anni di reclusione ciascuno per l’omicidio di 13 dei 111 detenuti uccisi. Il processo è stato diviso in quattro parti per consentire alla giuria di analizzare i fatti per ordine di ingresso degli agenti nei vari padiglioni del carcere in cui sono avvenute le morti. La rivolta del 2 ottobre 1992 iniziò a causa di una lite tra due prigionieri e si diffuse rapidamente all’interno di quella che era all’epoca una delle più grandi prigioni del Sud America, al suo interno alloggiavano ben 10.000 detenuti. La difesa dei poliziotti sostiene che i poliziotti agirono per legittime difesa. Francia: Amnesty; non estradare Ablyazov, Ucraina potrebbe consegnarlo al dittatore di Anais Ginori La Repubblica, 3 agosto 2013 Caso Kazakhstan, l’appello di Amnesty International al governo Hollande. Da Kiev in settimana la richiesta a Parigi. La Francia deve “garantire la sicurezza “ del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov e verificare che l’esame della procedura di estradizione presentata dall’Ucraina sia “rigorosa ed equa”. È l’appello di Amnesty International, pubblicato ieri sul sito del suo ufficio francese. Secondo l’ong, nel caso di un’estradizione verso l’Ucraina sarebbe “molto probabile” che Ablyazov venga in seguito trasferito verso il Kazakhstan. Se fosse riconsegnato ad Astana, avverte Amnesty, rischierebbe di subire “un processo iniquo, oltre ad atti di tortura e altre forme di maltrattamenti”. Per questo, sottolinea il direttore del programma Europa e Asia della ong, John Dalhuisen, “le autorità francesi devono esaminare il caso sotto tutte le angolazioni, e vigilare affinché‚ quest’uomo non sia inviato in un paese in cui sarebbe in pericolo”. Dopo l’arresto mercoledì, Ablyazov è ancora in carcere a Luynes, in Provenza. La Corte di Aix-en-Provence non ha accettato per ora la richiesta degli avvocati di rilasciarlo su cauzione. Nei prossimi giorni i legali scrupolosamente, presenteranno una nuova domanda, con l’aggiunta delle garanzie necessarie, tra cui un domicilio francese. Secondo l’avvocato Bruno Rebstock, il dissidente kazako potrebbe così essere liberato entro metà mese, con sorveglianza elettronica e obbligo di firma. Nel frattempo, le autorità giudiziarie ucraine hanno annunciato che spediranno il dossier per l’estradizione “con tutte le risposte” alle domande sul caso poste dai magistrati francesi. Ma secondo Rebstock la procedura aperta da Kiev e che ha fatto scattare l’arresto in Costa Azzurra, è “solo un passaggio preliminare per un successivo rinvio in Kazakhstan”: “Visto il polverone sollevatosi in Italia dopo l’espulsione della moglie, il governo kazako ha deciso di usare l’Ucraina, un paese un po’ più presentabile in materia di diritti umani”. Marocco: pedofilo spagnolo graziato dal re, manifestazioni protesta represse nel sangue Aki, 3 agosto 2013 È stata repressa nel sangue la manifestazione di protesta a Rabat contro la grazia concessa dal re del Marocco Mohammed VI a un cittadino spagnolo che nel 2011 era stato condannato a 30 anni di carcere per pedofilia, con l’accusa di aver violentato 11 minori dai quattro ai 12 anni dal 2003 al 2010. Migliaia di persone sono scese in piazza ieri sera a Rabat per contestare la decisione del monarca, presa in occasione della Giornata del Trono il 30 luglio e coincisa con la recente visita in Marocco del re di Spagna Juan Carlos. Oltre a Daniel Vino Galvan, che ha lasciato il Paese giovedì. È stato disposto il rilascio di altri 47 spagnoli. La grazia concessa al pedofilo, 64 anni, è stata definita dai manifestanti come “una vergogna internazionale” e la dimostrazione che lo Stato “tutela lo stupro dei bambini marocchini”. Gli scontri tra manifestanti e polizia si sono registrati quando i primi hanno raggiunto la sede del Parlamento. Decine di manifestanti, compresi giornalisti e fotografi, sono stati feriti negli scontri con la polizia, che ha ricevuto l’ordine di disperdere la protesta. Manifestazioni simili si sono svolte anche nelle città di Tangeri e Tetouan. Secondo quanto emerge dalla stampa marocchina e spagnola, il rilascio di Galvan seguirebbe “una richiesta dei servizi segreti spagnoli”. A condannarlo per pedofilia era stato un Tribunale di Kenitra, 40 chilometri a nord di Rabat, usando come prove i filmati degli stupri. “È la prima volta che i marocchini contestano direttamente una decisione del re”, ha detto uno degli organizzatori della manifestazione, Fadel Abdellaoui, ad al-Jazeera. “È la prima volta che manifesto perché mi vergogno di questa grazia che ha rimesso in libertà un pedofilo”, gli fa eco una giovane studentessa. Abdelali Hamiddine, esponente del Partito islamico di Giustizia e Sviluppo al governo, ha definito la grazia un “errore”. “I marocchini hanno diritto a manifestare quando si sentono umiliati e le autorità non hanno diritto di reagire in modo così violento”, ha detto.