Giustizia: la “questione giustizia” torna a far spirare i venti elettorali di Massimo Franco Corriere della Sera, 31 agosto 2013 Rischia di esserci una inquietante coerenza fra il Silvio Berlusconi che rivendica come “merito solo nostro” l’abolizione dell’Imu, e quello che minaccia la caduta del governo se “la sinistra mi fa decadere”. Sarebbe la spia di un leader disperato e deciso a tentare una forzatura elettorale per scongiurare un epilogo che il suo ultimatum potrebbe in realtà accelerare. Fra l’altro, si nota una contraddizione vistosa fra l’ex premier che neanche un mese fa assicurava di volere tenere distinti appoggio al governo di Enrico Letta e problemi giudiziari; e che adesso invece è tentato di scaricare sull’Italia le conseguenze della condanna decisa dalla Corte di Cassazione. Eppure, lo stesso presidente del Consiglio ieri alla Festa del Pd ha ammesso di non vedere “grandi margini”. Di più, ha avvertito che far dipendere la tenuta della coalizione dal destino giudiziario del Cavaliere significherebbe dare corpo a “relazioni pericolose” da spiegare poi all’opinione pubblica. Purtroppo, è la conferma che la tregua politica va misurata al massimo in giorni. D’altronde, per intuire che le tensioni sulla giustizia sono destinate a riemergere basta registrare due episodi di ieri, il primo è l’appoggio del Cavaliere ai referendum radicali sulla giustizia il secondo è la malcelata irritazione del centrodestra per la nomina di quattro senatori a vita da parte del capo dello Stato, Giorgio Napolitano: secondo questa tesi, il “vero atto di pacificazione” sarebbe stato il laticlavio a Berlusconi. In realtà, la reazione del Pdl conferma l’affanno per un epilogo che non sembra offrire scappatoie, al massimo un rinvio di qualche settimana il risultato è di tenere l’Italia in ostaggio delle componenti più radicali della maggioranza. Quella che il presidente dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco, definisce “la scorciatoia degli slogan e delle dichiarazioni incendiarie”, fa il paio con la denuncia di Letta contro l’autolesionismo che la fa da padrone”. In modo un pò surreale, ieri Pd e Pdl si rimproveravano di tirare troppo la corda nei confronti del governo Letta; e intimavano all’avversario di smetterla. In realtà, gli attacchi sono venuti da settori di entrambi i partiti, oltre che da Scelta civica. E l’avvertimento arrivato in serata da Berlusconi ha chiuso una giornata nella quale si sono rifatti vivi gli avversari di Palazzo Ghigi anche nel Pd. Eppure, almeno in una parte della coalizione c’è la consapevolezza di trovarsi di fronte a una crisi che non consente forzature e pretese di imporre soluzioni che non siano di compromesso. L’insofferenza verso provvedimenti che aprono sacche di malcontento ora a destra, ora a sinistra è inevitabile quando si tratta di tenere insieme blocchi di interessi e forze politiche in conflitto da sempre. Ma il tentativo di attutire i motivi di rottura, per non scaricare sul Paese l’impotenza di un sistema già a rischio di delegittimazione, si scontra con una sorta di forza d’inerzia conflittuale. Quando l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani chiede al Pdl di separare il proprio destino da quello di Berlusconi, ottiene il solo risultato di irritare e compattare gli avversari. E allo stesso modo, quando il centrodestra minaccia la crisi se il 9 settembre la giunta parlamentare farà decadere Berlusconi da senatore, porta argomenti alla sinistra più viscerale. Letta sa di essere in una posizione scomoda, “sulle montagne russe”. Matteo Renzi chiama a raccolta i malumori sparsi della sinistra per le “larghe intese” e usa toni asprigni verso il vertice del Pd e Palazzo Ghigi, e solletica gli istinti antiberlusconiani. Anche per questo ieri il presidente del Consiglio ha tenuto a spiegare alla Festa del partito a Genova di essere cosciente di guidare un governo diverso da quello che vorrebbe. Ha fatto un appello al realismo ricordando il risultato elettorale di febbraio e gli equilibri in Parlamento. Soprattutto, Letta ha avvertito che se ci sarà la campagna elettorale, lui la farà per consentire la vittoria di una compagine di centrosinistra. È la risposta a quanti nel Pd lo accusano strumentalmente di perseguire progetti neocentristi, di volere rendere eterna l’attuale maggioranza. E forse è anche un modo indiretto di iscriversi alla corsa per la leadership del Pd. Giustizia: ecco la “soluzione Pannella”, il Cav. vede il leader radicale e firma i referendum di Marco Valerio Lo Prete Il Foglio, 31 agosto 2013 La “soluzione Pannella”, così come l’ha presentata il leader radicale a questo giornale la scorsa settimana, funzionerebbe grosso modo così: Silvio Berlusconi sceglie di non “impiccarsi” al voto del 9 settembre sulla decadenza da senatore, accetta le conseguenze della sua condanna giudiziaria (e magari ne fa tesoro elettorale), diventa “leader referendario”, sgrava quindi il governo di coalizione dal confronto su temi spinosi e ne blinda allo stesso tempo la durata fino al voto sui quesiti dei Radicali (primavera 2014), rilanciando se stesso come outsider che sfida partiti e magistratura. Su questa “soluzione” immaginifica, Berlusconi riflette davvero, anche se ieri sera ha dichiarato: “Non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, impedendomi di fare politica”. Il Cav. insomma non ha ancora deciso, e per questo ieri mattina presto - dopo essere tornato a Roma nella notte - ha voluto incontrare Pannella. Non solo: considerato che il leader radicale è in sciopero della fame e della sete affinché il tema dello stato della giustizia italiana sia affrontato, meglio se con un provvedimento di amnistia, il Cav. ha scelto poco dopo le 9 di recarsi direttamente a casa Pannella, una mansarda in via della Panetteria, al centro di Roma. Assieme a lui c’erano Gianni Letta e Angelino Alfano (segretario del Pdl e vicepresidente del Consiglio). Per i Radicali, oltre allo storico leader, c’erano Valter Vecellio, Maurizio Turco e Maria Antonietta Farina Coscioni (ex deputati). L’incontro, che era stato preceduto da contatti con Letta nelle scorse settimane, è durato quasi due ore. A parlare più a lungo, ovviamente, è stato il torrenziale Pannella. Ma a esordire è stato Berlusconi, di fronte a qualche lattina di Coca-Cola messa a disposizione dal leader radicale: “Sui referendum sulla giustizia, come Pdl, siamo già in prima linea”. Entro il 30 settembre, ha garantito di recente il Cav., le firme “garantiste e liberali” saranno più di 500 mila. Ma questo non è abbastanza, è stata la replica: “Silvio, devi rendere al popolo italiano la ricchezza del potersi confrontare”. Pannella nel pomeriggio ha parafrasato quanto detto prima a Berlusconi: “Devi firmare tutti i referendum radicali, non solo quelli sulla riforma della giustizia. Oppure sembrerà che sosteniate solo i sei referendum sulla giustizia perché ce l’avete con la Boccassini”. Escludere un dibattito sulla linea “Berlusconi vs. Boccassini” è il chiodo fisso di Pannella. Ma è anche la convinzione del più silenzioso Gianni Letta. Chiamare i cittadini al voto contro leggi approvate dai suoi governi, su immigrazione e droghe, è invece il cruccio di Berlusconi. Pannella ribatte: si dia la possibilità di scelta agli italiani, poi in primavera ciascuno darà la propria indicazione di voto; se si vota solo sulla giustizia, per gli oppositori sarebbe facile invocare l’astensione e far fallire i referendum. Il Cav. ascolta, non nasconde un po’ di stanchezza, ma per sottolineare la sua condizione di “perseguitato” scherza pure: “Figurarsi che, per mantenere aperta la strada della detenzione anche per me, oggi tengono in carcere 200 vecchietti” ultrasettantenni cui prima sarebbero stati concessi i domiciliari. Pannella non nega, ricorda “i magistrati e le migliaia di intercettazioni mobilitati a Milano per capire se c’era stata o no una penetrazione”. Poi però rilancia sempre la “sua” ricetta: il Cav. si presenti come leader referendario, spiazzerebbe tutti. Nell’entourage berlusconiano, nel pomeriggio, si è predisposto una sorta di “predellino” referendario, già per oggi o domani. Stamattina a Roma, a largo di Torre Argentina, ci sarà un banchetto particolare, con la presenza di militanti e ex parlamentari radicali. Idem domani, a Milano, in piazza San Babila. La stessa piazza in cui, nel 2007, Berlusconi lanciò la campagna elettorale del Pdl. E la stessa piazza in cui, all’inizio degli anni 90, sempre Berlusconi firmò i referendum radicali. Non solo quelli sulla giustizia, anche quelli antiproibizionisti. Ecumenico e di mobilitazione come lo vorrebbe Pannella e come farebbe gioco alla tenuta del governo. Giustizia: Berlusconi ha firmato i Referendum Radicali “anche quelli che non condivido” Corriere della Sera, 31 agosto 2013 Silvio Berlusconi ha ufficialmente “sposato” la causa dei Radicali per la riforma della giustizia, non limitandosi a un appoggio politico. Sabato mattina l’ex premier si è recato personalmente a sottoscrivere i quesiti preparati dai radicali “per una giustizia giusta”. Tra i quesiti anche quello della separazione delle carriere di pm e giudici. “Non c’è nulla da fare se c’è un pregiudizio politico nei giudici - ha detto il leader del Pdl -. Sono in questa situazione per colpa di una parte della magistratura, Magistratura Democratica. Ho 41 processi alle spalle nei quali non sono riusciti ad arrivare ad alcuna condanna, così hanno deciso di avvalersi di un’altra strategia, sono diventati i padroni di tutti i collegi che mi hanno giudicato. Le condanne solo esclusivamente politiche, infondate e ingiuste, tese a un disegno preciso, eliminare l’ostacolo Berlusconi”. Berlusconi ha scelto per l’occasione il tradizionale banchetto per le firme allestito dal partito di Marco Pannella a Largo di Torre Argentina, cioè a un passo dalla storica sede Radicale e altrettanto vicina a Palazzo Grazioli. Il Cavaliere è giunto accompagnato dal leader dei Radicali con il quale ha avuto un nuovo colloquio - venerdì mattina si era intrattenuto a lungo in casa Pannella - questa volta nella sua residenza. “Firmo non solo i sei referendum sulla Giustizia, che sono sacrosanti, ma anche tutti gli altri su cui non sono d’accordo, voglio affermare il diritto dei cittadini italiani a poter dare il loro voto, sì o no, su dei problemi”. Lo ha detto Silvio Berlusconi, dopo aver firmato. Sabato il Cavaliere aveva invitato i suoi a sottoscrivere i quesiti referendari nel corso di un collegamento telefonico con il direttivo dell’esercito di Silvio, riunito a Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza. Radicali: bene firma Berlusconi, da Pd solo silenzio "Oggi abbiamo visto una persona che va al tavolo radicale e dice che firma anche per abrogare alcune delle leggi, alcune delle quali sue, nelle quali magari crede ancora, su cui voterà contro, ma sulle quali crede sia necessario il dibattito e il voto dei cittadini. è questo che chiediamo: non che i cittadini sappiano quel che fanno i radicali, ma che conoscano quello che lo Stato fa loro ogni giorno". Lo ha detto Maurizio Turco, tesoriere del Partito Radicale ed ex deputato pannelliano, intervistato da Radio Radicale. "Mi auguro che coloro che in questi anni hanno condiviso l'avventura politica di Berlusconi comprendano questo passaggio", ha detto Turco. "Al di là di quel che faranno al momento del voto, è importante che ad un voto si possa andare. Perchè il fatto che Berlusconi dica 'vogliamo il dibattito su cose che abbiamo fatto noì è uno snodo fondamentale. Anche perchè dall'altra parte vi è un silenzio assordante", ha aggiunto. "Proponiamo referendum su due leggi che ogni due minuti ci ripetono essere le vere leggi criminogene, la Bossi Fini e la Fini Giovanardi. E su queste leggi - ha proseguito Turco - Berlusconi ha firmato, perchè si vada al voto referendario, e il gruppo dirigente del Pd no". Quanto ai quesiti sulla giustizia: "Per colpirne uno oggi ci sono migliaia di cittadini ultra-settantacinquenni in galera. Per colpire l'uno, oggi ci sono migliaia di cittadini torturati in carceri illegali come quelle italiane, dei quali un quarto, statisticamente, sarà riconociuto innocente. E la stragrande maggioranza è in carcere per fatti di lievissima entita. Tutto questo per colpire uno". Cicchitto: firma Berlusconi mobilitino militanti e iscritti Pdl “Berlusconi ha firmato i Referendum radicali sulla giustizia. È un giusto segnale che per parte nostra anche il sottoscritto e la Gelmini abbiamo realizzato. La firma del presidente Berlusconi deve mobilitare i militanti e gli iscritti del Pdl in modo tale che entro settembre i 6 Referendum abbiano le firme sufficienti. È il modo per far sentire il peso dei cittadini rispetto all’esigenza della riforma della giustizia”. Lo sottolinea Fabrizio Cicchitto del Pdl. Iacolino: riforma giustizia per efficienza ed equità “Le proposte referendarie in materia di giustizia riaccendono l’attenzione sull’idea di dare finalmente corso alla riforma della Giustizia, avvertita dai cittadini a fronte, in particolare, dei 9 milioni di cause civili e penali arretrate”. Lo ha detto l’europarlamentare Salvatore Iacolino, stamane ad Agrigento, dove ha sottoscritto i referendum promossi dai Radicali sui temi della giustizia. “L’eccessiva lungaggine dei processi in Italia e i dati drammatici sul sovraffollamento delle carceri - ha aggiunto - richiamano la responsabilità del Governo per un sistema giudiziario spesso inefficiente e che penalizza oltremisura i cittadini onesti e la sana imprenditoria. I quesiti riguardanti l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, il ritorno dei magistrati fuori ruolo e la limitazione della carcerazione preventiva sollecitano la riforma della giustizia che deve essere capace di coniugare il diritto degli imputati ad un processo rapido e giusto, la tutela della dignità dei cittadini privati della libertà. La riforma della giustizia - conclude Iacolino - dovrà apportare maggiore efficienza ed equità al sistema valorizzando il contributo dei magistrati”. Giustizia: Berlusconi; sono a favore amnistia, ma sinistra non vuole perché può favorirmi Tm News, 31 agosto 2013 “Bloccano ogni provvedimento che può favorirmi”. Silvio Berlusconi si dice “assolutamente d’accordo” con un provvedimento di amnistia, ma “il fatto è che ogni intervento che possa favorire anche Silvio Berlusconi non viene fatto dalla sinistra”. Sollecitato da Marco Pannella al momento di firmare i referendum sulla giustizia dei Radicali, il leader del Pdl aggiunge che l’amnistia servirebbe “per rendere più civili le nostre carceri perché i processi diminuiscano di una buona percentuale”. Ma il problema, aggiunge, è la contrarietà della sinistra a ogni intervento che lo possa favorire. E cita una proposta dell’attuale ministro della Giustizia: “La Cancellieri aveva proposto di sostituire, per le persone sopra i 70 anni, la parola “può” con “deve” scontare la pena nella propria abitazione, ma tutta la rappresentanza della sinistra al governo ha detto no. Allora si è proposta la formula “deve” solo sopra i 75 anni ma siccome io ne ho di più, allora hanno detto no. Ora mi trovo a essere causa, mi dicono, di più di 598 vecchietti come noi due - scherza con Pannella - che hanno passato agosto in carcere a causa mia”. Salvini (Lega): pronti a barricate contro amnistia “Se per caso qualcuno osa portare in Parlamento l’amnistia e prova a votare il buono viaggio per migliaia di delinquenti, nei 1.500 comuni lombardi facciamo le barricate. Non sta né in cielo né in terra”. Matteo Salvini, segretario della Lega Lombarda, intervistato da Affaritaliani.it, attacca Silvio Berlusconi e il suo sostegno alla proposta di Pannella e dei Radicali dell’amnistia. “Già lo svuota-carceri è stato un insulto al lavoro dei carabinieri e dei poliziotti. Gli unici a festeggiare sarebbero gli avvocati, perché questa gente messa in libertà tornerebbe a delinquere e quindi tornerebbe dentro. Se il Cavaliere vuole fare un regalo agli avvocati penalisti lo faccia pure”, aggiunge. L’eurodeputato leghista spara a zero: “Va bene valutare la vicenda personale di Berlusconi e cercare di evitare la sua decadenza, ma aprire le porto di San Vittore e delle altre carceri no. Il gioco non vale la candela. Mi metto nei panni di un poliziotto, con la politica che rimette fuori i criminali. Sono certo che gli otto milioni di elettori del Pdl non saranno d’accordo e saranno al nostro fianco. Un conto è la stima per Berlusconi, un conto è la magistratura politicizzata, ma qui stiamo sbracando. Clandestini e delinquenti... Italia paese di Pulcinella. Assicuro a Pdl e Pd che lotteremo nelle piazze contro questa porcata, simile alla legge Fornero. Non gliela faremo passare”, conclude il vicesegretario della Lega Nord. Giustizia: panettieri o vignaioli, "ghiotte" occupazioni in carcere di Cristina Latessa Ansa, 31 agosto 2013 Agricoltore biologico, panettiere, pizzaiolo, viticoltore e persino apicoltore. Ai detenuti nelle carceri italiani si offre sempre più la possibilità di una formazione in campo agricolo e alimentare per favorire il riscatto sociale e un inserimento lavorativo al termine della pena. Dalla crema spalmabile al pistacchio "Dolci libertà, realizzata nel laboratorio di pasticceria artigianale della Casa Circondariale di Busto Arsizio, alla falanghina biologica "Fresco di galera" prodotta nella casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi, i prodotti da gustare realizzati dai detenuti sono molteplici e messi in vendita su una apposita sezione del sito del ministero della Giustizia. Vi si trovano - spiega il ministero - prodotti enogastronomici di 'nicchià, legati al territorio e con caratteristiche tipiche e tradizionali come i formaggi e l'olio delle colonie sarde, il vino di Velletri e i dolci di Siracusa. Nella vetrina sono presentati anche articoli di alta qualità artigianale, dalla pelletteria alla cartotecnica. Tutte le esperienze messe in campo - riscontrano i direttori degli istituti di pena coinvolti - sono positive, con un coinvolgimento totale dei detenuti e l'impegno premiato da una qualità eccellente, tanto che alcuni prodotti sono citati dalle guide gastronomiche, come nel caso dei panettoni artigianali "I dolci di Giotto" realizzati nel carcere di Padova. Nel 2012 sono stati 63.000 i panettoni sfornati dai 30 detenuti pasticceri, declinati in 7 versioni (l'ultima quella al Moscato di Pantelleria Kabir, realizzato con l'azienda Donnafugata), con un incremento del 15% rispetto alla produzione 2011. Anche Papa Ratzinger ne ha voluti 300 pezzi. I detenuti pasticceri hanno un contratto, quello nazionale delle cooperative, e ricevono un regolare stipendio. Si calcola inoltre che dopo l'impiego nel settore agro-alimentare il tasso di recidiva negli ex detenuti crolli al 2%, contro l'80% normalmente stimato. Per brindare a una nuova vita è inoltre partito di recente il progetto "Frescobaldi per Gorgona", nato dalla collaborazione tra la Direzione della casa di reclusione di Gorgona e l'azienda toscana Marchesi dè Frescobaldi. Il risultato è "Gorgona", un vino bianco a base di vermentino e ansonica. L'imprenditoria privata si dimostra attenta al sociale anche nel caso della scuola permanente per pizzaioli voluta nel carcere minorile di Nisida dalla catena campana di pizzerie 'Fratelli La bufalà diffusa in tutto il mondo. Per i minori sottoposti a misure penali, l'opportunità di un'occupazione in campo agroalimentare può essere particolarmente ghiotta. A questo proposito l'Aiab (Associazione italiana per l'agricoltura biologica) ha attivato orti biologici a cui sono dedicati i ragazzi degli Istituti Penali per Minorenni di Palermo, Roma, Pontremoli (Mc), l'Aquila, Airola (Bn), oltre alla comunità di Borgo Amigò di Roma. "Il lavoro in agricoltura per le sue caratteristiche di flessibilità e multifunzionalità e per il rapporto che implica con l'ambiente ha rivelato un alto potere di auto responsabilizzazione: prendersi cura di piante e animali aiuta a prendersi cura di sé - ha dichiarato Anna Ciaperoni, responsabile agricoltura sociale di Aiab. Infine, anche il miele addolcisce le pene, con il progetto di "Apicoltura Casentinese" che fornirà arnie, sciami, attrezzature e formazione alla cooperativa "aManiNude" attiva nel reinserimento sociale di ex detenuti ed ex tossico dipendenti. Giustizia: l'Aiab nelle carceri minorili… nuovi mestieri e cura orti biologici per detenuti Ansa, 31 agosto 2013 Le occupazioni agricolo-alimentari trovano terreno fertile nelle carceri italiani. L’ultima iniziativa per fornire un riscatto sociale ai detenuti, una volta scontata la pena, è legata alla promozione degli orti biologici in alcuni istituti di pena minorili. “Un percorso che può determinare anche una specifica competenza professionale per questi ragazzi - dichiara l’Aiab (l’associazione italiana per l’agricoltura biologica) - ed offrire loro una prospettiva per il futuro”. Ma già da tempo sono attivi nelle carceri corsi di panetteria, pasticceria e viticoltura: spesso con la collaborazione di aziende private che poi favoriscono anche l’inserimento lavorativo dei nuovi formati. Abruzzo: per la Uil Penitenziari c’è carenza di organico negli istituti di pena Adnkronos, 31 agosto 2013 L’organico di polizia penitenziaria dell’Abruzzo ha urgenza immediata di nuove e ulteriori forze se non vuole che il sistema tracolli definitivamente. Lo rileva oggi in una nota il vicesegretario regionale della Uil Penitenziari Mauro Nardella. “Le situazioni più a rischio decadimento -dice Nardella- riguardano gli istituti di pena quali Teramo, Sulmona, Lanciano e l’Aquila alle prese con una carenza di organico che li ha costretti, soprattutto nel periodo estivo in corso, a tagli pericolosi per la sicurezza consistenti in accorpamenti di posti di servizio e che di fatto hanno sguarnito finanche posti di servizio essenziali per il mantenimento del minimo in fatto di sicurezza. Il tutto viene oggi fatto al costo di enormi sacrifici profusi dagli agenti e che solo attraverso l’effettuazione di decine e decine di ore di straordinario permettono lo svolgersi, seppur in maniera ridotta, delle attività istituzionali. Molti sono coloro che hanno svolto doppi turni ed altrettanti quelli che, abitando in caserma, hanno potuto, richiamati in servizio, coprire le carenze che altrimenti ne avrebbero inficiato irrimediabilmente la sicurezza”. “La Uil Penitenziaria Abruzzo auspica -conclude Nardella- che il Dap anche in vista dell’incontro del prossimo 2 settembre torni a valutare le esigenze di questa regione che ha urgenza immediata di nuove e ulteriori forze se non vuole che il sistema tracolli definitivamente”. Foggia: Coosp; nuovo tentato suicidio, detenuto trasportato d’urgenza in ospedale Ansa, 31 agosto 2013 Ancora tentati suicidi nel carcere di Foggia. Lo comunica il Coosp. coordinamento sindacale penitenziario: “uno dei 652 detenuti uomini - 32 le donne - ha tentato oggi il suicidio con un gesto di autolesionismo”. “L’Agente di sezione della Polizia Penitenziaria - che mediamente controlla tra i 70-100 detenuti per due sezioni detentive - ha subito soccorso l’uomo, trasportandolo d’urgenza con scorta agli Ospedali Riuniti”. “Il detenuto è stato suturato e medicato dai medici del Pronto soccorso e subito dimesso, per poi essere trasportato nuovamente nel sovraffollato Carcere Dauno e mantenuto sotto stretta attentissima vigilanza sanitaria e dei Baschi Azzurri”. “La Puglia - ricorda il Coosp - è una Regione con una capienza regolamentare di 2.450 detenuti mentre ne ospiterebbe 4.050. Proprio a foggia sarebbe stata segnalata la presenza di detenuti uomini e donne non mentalmente stabili le cui difficoltà nella gestione da parte del personale di polizia femminile e maschile appare sempre più critica”. “Il Coosp segnala la criticità della carenza di Polizia a Foggia nella misura di 80 unità contro una probabile assegnazione di solo 4 donne della polizia penitenziaria dal Dipartimento che si ritiene un’offesa all’intelligenza ed alla pazienza degli operatori della Sicurezza di Foggia”, dice tra l’altro il segretario generale Mimmo Mastrulli. Padova: sette parlamentari M5S in visita nelle due carceri “situazione disumana” Il Mattino di Padova, 31 agosto 2013 Celle sovraffollate, disagio, noia e mancanza di prospettive. Sono i problemi più gravi che sette parlamenti veneti del Movimento 5 Stelle hanno verificato ieri durante una visita alla casa circondariale e alla casa di reclusione di Padova. Il gruppo, accompagnato dalla redazione di “Ristretti Orizzonti” (il periodico realizzato dai detenuti con volontari), era composto dagli onorevoli Gessica Rostellato, Marco Brugnerotto e Silvia Benedetti e dai senatori Francesca Businarolo, Gianni Girotto, Giovanni Endrizzi ed Enrico Cappelletti. Una visita istituzionale non casuale dopo il recente suicidio di Aziz Bouadili, 21 anni, impiccatosi in una cella il 15 agosto. Sullo sfondo, il giudizio profondamente negativo che il M5S dà al cosiddetto “decreto svuota-carceri”, approvato dal Senato. E partirà proprio da Padova un programma di incontri che i parlamentari del M5S intendono effettuare in tutte le carceri italiane. “Vogliamo capire le reali esigenze dei detenuti”, ha detto Francesca Businarolo, “A Padova sono quasi il triplo rispetto ai posti. Solo un terzo è impegnato in progetti di lavoro, scuola o formazione. E nel settore dove sono concentrati gli extracomunitari, le condizioni igieniche sono difficili”. Secondo Cappelletti, l’attuale situazione di emergenza va affrontata con “la riorganizzazione degli spazi, non con l’edificazione di nuove strutture”. Ha aggiunto Brugnerotto: “È necessario attuare programmi di reinserimento sociale seri”. L’esigenza di utilizzare di più le misure alternative alle detenzione è stata sottolineata anche dai Endrizzi: “Per garantire condizioni di vita accettabili vanno cambiate le logiche di natura organizzativa per coinvolgere anche il personale che è sottodimensionato”. Lucca: Sappe; risse e proteste in carcere, il San Giorgio è al collasso www.luccaindiretta.it, 31 agosto 2013 Torna al centro delle polemiche il carcere di Lucca, dove negli ultimi giorni si sono registrati molti episodi ed eventi critici. E il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe mette sotto accusa i vertici nazionali e regionali dell’amministrazione, “insensibili ed incapaci a risolvere le criticità dell’istituto lucchese”. “Negli ultimi sette giorni si sono verificati nel penitenziario di Lucca diversi eventi critici, che hanno visto quasi tutti protagonisti detenuti della III sezione, quella da poco ristrutturata e riaperta a metà agosto in pieno piano ferie estivo, dove il provveditorato penitenziario di Firenze continua a mandare detenuti di difficile gestione e con molteplici problemi anche di natura psichiatrica”, spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria. “Le criticità sono enormemente in crescita, tanto che negli ultimi sette giorni ci sono state risse per futili motivi, due tentativi di impiccamento di detenuti stranieri (risolti grazie al pronto intervento del pur risicato personale di Polizia Penitenziaria), la protesta di un nutrito gruppo di ristretti che si sono rifiutati di rientrare in cella al termine dell’ora d’aria. In ultimo, qualche giorno fa, un detenuto, dopo essersi procurato tagli ad un braccio, ha dato in escandescenze e tre colleghi della Polizia Penitenziaria, per immobilizzarlo, si sono sporcati di sangue del detenuto e si sono dovuti recare al locale pronto soccorso (con la propria auto) per sottoporsi alla profilassi di eventuali malattie contagiose”. Capece punta il dito contro i vertici nazionali e regionali dell’amministrazione penitenziaria che “più volte sollecitati a prendere posizione per risolvere le criticità del carcere di Lucca, assegnando ad esempio i circa 50 agenti di Polizia Penitenziaria che mancano in organico al reparto, non hanno assunto in realtà alcun provvedimento risolutivo”. Capece sottolinea come sia giunto il tempo “che la classe politica rifletta seriamente sulle parole spesso dette dal Capo dello Stato sulle criticità penitenziarie e si intervenga quindi con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Ci vogliono riforme strutturali, che prevedano l’automatica espulsione dei detenuti stranieri per scontare la pena nei penitenziari dei paesi di provenienza, la detenzione in centri di recupero fuori dal carcere per i tossicodipendenti e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Sul progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perché al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza. Il progetto elaborato dal Capo Dap Tamburino e dal Vice Capo Pagano in realtà non prevede affatto lavoro per i detenuti e mantiene il reato penale della colpa del custode. È quindi un progetto basato su basi di partenza sbagliate e non è certo abdicando al ruolo proprio di sicurezza dello Stato che si rendono le carceri più vivibili”. Como: Sappe, due agenti feriti da un detenuto, punire responsabile aggressione Adnkronos, 31 agosto 2013 Due agenti della Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto straniero nel carcere di Como. Lo rende noto il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria “Il detenuto li ha aggrediti improvvisamente e proditoriamente, con una violenza tale da procurare loro un forte trauma - riferisce il segretario del Sappe, Donato Capece. I poliziotti, seppur feriti, e ai quali va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà, sono comunque riusciti ad evitare conseguenze peggiori”. “Di fronte a questa ingiustificata violenza servono risposte forti - ammonisce - come quella di espellere tutti gli stranieri detenuti in Italia (oltre 23.200 sui 66mila presenti) per far scontare loro la pena nelle carceri dei loro Paesi”. Capece chiede poi di “intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture, punendo con severità e fermezza coloro che si rendono responsabile di aggressioni ai Baschi Azzurri”. Il segretario del Sappe invita poi la classe politica e le istituzioni “a darsi da fare, concretamente e urgentemente, per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso, espulsione dei detenuti stranieri per far scontar loro la pena nei Paesi di provenienza, non il carcere ma comunità di recupero per i tossicodipendenti e un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio”. Teramo: i rom dal carcere alla campagna, per 3 mesi all’istituto agrario “Di Poppa-Rozzi Il Centro, 31 agosto 2013 Cinque rom a lavoro per tre mesi all’istituto agrario “Di Poppa-Rozzi” di Piano d’Accio. Si tratta di detenuti che stanno scontando all’esterno pene alternative alla detenzione e che grazie al progetto “Agroliberi” hanno l’opportunità di imparare un mestiere e favorire il riscatto e il loro reinserimento sociale. Oltre ai cinque rom, per i quali è prevista una retribuzione di 600 euro mensili nei novanta giorni di tirocinio (il progetto è iniziato a luglio e terminerà tra un mese), sono all’opera nell’istituto anche quattro volontari. L’importante azione di recupero è realizzata, per il secondo anno consecutivo, grazie alla sinergia tra il carcere di Castrogno, l’ufficio di esecuzione penale esterna, l’istituto agrario “Di Poppa-Rozzi” e la Caritas diocesana di Teramo. A finanziare il progetto sono i contributi arrivati dall’8 per mille da destinare alla Chiesa. I cinque rom e i quattro volontari si stanno occupando della raccolta dell’uva nei vigneti della scuola, ma anche di sistemare e riverniciare i locali della struttura e la cantina. A tal proposito, la preside dell’istituto superiore Silvia Manetta polemizza contro la Provincia: “È totalmente assente nella manutenzione degli edifici scolastici”, fa notare la dirigente, “e sono 20 o 30 anni che l’amministrazione provinciale non interviene nemmeno per tinteggiare un muro o sistemare le porte delle aule piene di buchi. Pertanto sono riconoscente al lavoro svolto dai Rom e dai volontari che stanno prendendo parte al progetto. In questo periodo a contatto con loro sto apprezzando queste persone, che vanno stimate e aiutate per reintegrarle in società. C’è gente che desidera cambiare, rifarsi una vita e rimediare agli errori commessi nel passato. È giusto dare loro delle opportunità di riscatto”. Il responsabile della Caritas don Igor Di Diomede aggiunge: “Questa iniziativa, giunta alla seconda edizione, si inserisce nel quadro più ampio del progetto denominato “Gli uomini si liberano insieme” in cui abbiamo svolto diverse attività, tra le quali il sostegno scolastico a bambini di etnia Rom in cinque comuni del teramano. Con queste persone si vuole cercare un contatto umano ed è importante che ciò avvenga”. Molto soddisfatti i protagonisti del progetto. I rom che stanno lavorando all’interno e nei campi dell’istituto sottolineano: “Siamo a lavoro qui da un mese e mezzo e ogni giorno c’è molta umanità e calore nei nostri confronti. Ringraziamo chi ci sta dando questa grande opportunità. È per noi ancora più difficile trovare un impiego, ma se veniamo messi alla prova dimostriamo tutta la nostra voglia di lavorare e di renderci utili”. L’istituto agrario “Di Poppa-Rozzi”, nei mesi scorsi, ha visto protagonisti alcuni detenuti in un altro progetto, denominato “Scuola nel carcere”, per imparare a coltivare la terra, curare gli orti e i giardini (con tre ore di lezioni al giorno) e ottenere la qualifica di operatori agroalimentari. Tra gli studenti che sono riusciti a diplomarsi c’è l’ex caporal maggiore Salvatore Parolisi, condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio della moglie Melania Rea avvenuto a Ripe di Civitella nell’aprile del 2011 e rinchiuso nella casa circondariale di Castrogno da due anni. Parolisi si è diplomato insieme a dodici detenuti, costretti a maggiori restrizioni (assegnati alla prima sezione), con il punteggio finale di settantaquattro centesimi. Immigrazione: il Pdl contro la Serracchiani; i Cie sono da rivedere… non da chiudere Messaggero Veneto, 31 agosto 2013 Una lettera scritta alla presidente della Regione per invitare la Giunta a non chiudere il Cie di Gorizia, ma a ripensarlo, migliorandone la burocrazia, diminuendo i tempi di custodia e i costi di spostamento. A firmarla sono i consiglieri del Pdl Rodolfo Ziberna, Roberto Novelli, Alessandro Colautti, Paride Cargnelutti, Luca Ciriani e Riccardo Riccardi. “Al termine dell’incontro sul problema del Cie, svoltosi in Municipio a Gradisca il 23 agosto - scrivono, abbiamo appreso che la Giunta regionale e quella del Comune di Gradisca d’Isonzo hanno indirizzato una lettera al Governo nazionale con cui richiedere la chiusura del Cie di Gradisca d’Isonzo. Noi riteniamo - rimarcano - che su problemi di questa portata, che si ripercuotono in diversi quanto delicati ambiti (dalla sicurezza degli ospiti a quella della popolazione, dalle condizioni di vita all’interno delle strutture a quelle degli operatori di polizia, sino alle relazioni internazionali legate alla necessità di una comune disciplina europea e alla suddivisione comunitaria degli oneri), si debba abbandonare quella demagogia con cui questa Giunta ha prevalentemente operato, puntando più sulla spettacolarizzazione che sulla sostanza”. “Chi oggi chiede tout court la chiusura dei Cie in Italia - sottolineano - è come se chiedesse la chiusura delle carceri e la conseguente messa in libertà dei detenuti. Perché chi fa questa proposta deve avere il coraggio di dire ai cittadini che, prendendo ad esempio il Cie di Gradisca, la maggior parte dei clandestini, che non hanno nulla a che fare con quelli appena giunti a Lampedusa, stanno scontando pene detentive per stupro, rapina, spaccio di stupefacenti, violenza. Diversa, naturalmente, è la situazione presso il Cara e il Cpa”. A loro dire, la legge Bossi-Fini “può essere certamente migliorata, come anche la struttura gradiscana. É necessario ottenere maggiore efficienza, chiedendo alle autorità consolari di recarsi presso il Cie e non viceversa, al fine di diminuire i tempi di custodia e i costi di spostamento. Vanno poi accelerate le procedure di identificazione e di espulsione dei clandestini”. E se qualcuno ritiene che “l’Italia sia oggi in grado di accogliere un flusso di decine o centinaia di migliaia di clandestini ai quali trovare alloggio e lavoro e assistenza sanitaria deve avere il coraggio di dirlo” e indicare “come trovare le risorse per garantire lavoro e casa agli immigrati, ma anche ai cittadini italiani”. Necessaria, infine, anche un’adeguata formazione del personale che si rapporta con gli ospiti delle strutture. “Ci attendevamo - sottolineano ancora - che la Regione esprimesse formalmente un ringraziamento e apprezzamento nei confronti del prefetto e del questore, ma anche delle forze di polizia che hanno svolto il loro dovere, senza cedere alle provocazioni, agli insulti e agli atti cui essi sono stati sottoposti nella struttura del Cie. Si rende necessario rinforzare adeguatamente il numero di addetti”. Infine, i firmatari spiegano che “dobbiamo non semplicemente chiedere ma pretendere che l’Unione Europea si faccia carico pro quota degli oneri derivanti dall’immigrazione clandestina. La stessa disciplina dei diversi stati membri non può prevedere respingimenti immediati o successivi verso l’Italia. L’Italia non può essere considerata lo zerbino d’Europa. Gentile Presidente - concludono -, ci auguriamo che questa Giunta tolga la testa dalla sabbia per affrontare il problema del Cie passando dalla protesta alla proposta. In quest’opera le possiamo assicurare che avrà leali collaboratori anche i consiglieri del Pdl”. Bolivia: orrore nascosto, migliaia di bimbi in cella di Lucia Capuzzi Avvenire, 31 agosto 2013 “La cassa di Leonardito si notava subito, perché era la più piccola”. Porta l’immagine dei funerali scolpita nella mente Roberto Simoncelli, coordinatore di ProgettoMondo Missionari laici America Latina (Mlal) in Bolivia. Trentatré feretri uguali contenenti i resti dei prigionieri morti nella rissa esplosa lo scorso fine settimana nel carcere di Palmasola, a Santa Cruz. A chiudere la fila, una “bara in miniatura”: quella di un bambino di un anno e mezzo. Tanti ne aveva Leonardito, una delle migliaia di piccoli reclusi negli istituti penali del Paese andino. In cui i minori rappresentano almeno il 10 per cento della popolazione carceraria. Secondo le stime preliminari dell’amministrazione penitenziaria, i “baby carcerati” sono oltre 2.100. Un registro preciso, però, non esiste. Per fonti umanitarie, dunque, sarebbero molti di più. Un caso unico al mondo. Che l’assassinio di Leonardito - massacrato insieme al padre durante uno scontro fra detenuti per il controllo dell’istituto penale - ha catapultato sulla ribalta internazionale. Eppure non è la prima volta che i minori vengono uccisi o seviziati nelle prigioni boliviane. Appena due mesi fa, ha suscitato scalpore il caso di una ragazzina di 12 anni, rinchiusa insieme alla madre a San Pedro, nella capitale, rimasta incinta dopo ripetute violenze da parte di altri detenuti. Un dramma prevedibile dato che i minori condividono gli stessi spazi, malsani e sovraffollati, degli adulti. In quell’occasione anche l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso preoccupazione per quest’infanzia invisibile, condannata senza processo a crescere dietro le sbarre. “È una conseguenza dell’inattività dei servizi sociali. Non esiste un sistema che si preoccupi di trovare famiglie sostitutive per i figli dei prigionieri. I genitori, non sapendo a chi affidarli, li tengono con loro, ben oltre i sei anni consentiti dalla legge”, spiega ad Avvenire Simoncelli. A questo si aggiungono i bimbi nati in cella. E quelli “portati” dai familiari. Gli stessi parenti, cioè, non potendo mantenerli, accompagnano i ragazzini in visita ai genitori reclusi e li lasciano là. Del resto, in Bolivia, come in buona parte dell’America Latina, il controllo statale sulle prigioni è blando, quando non assente. A comandare sono gruppi di detenuti affiliati alle mafie: sono questi a “garantire” vitto e alloggio. Oltre a gestire ogni genere di traffico illegale. “I detenuti devono pagare per tutto, perfino per avere una cella”, continua il coordinatore. Sono sempre le gang a decidere se e a quali condizioni i bambini possono restare. In genere, i familiari devono pagare “un’assicurazione sulla vita” di mille dollari, più un “affitto” mensile, che va dai 100 ai 750 dollari. Le prigioni sono in pratica un grande giro d’affari per la criminalità, ma anche per poliziotti e giudici corrotti: nella sola Palmasola, il traffico di droga rende 450mila dollari al mese. Non esistono, inoltre, strutture apposite per i prigionieri minorenni, come prevede la legge. A parte il Centro Qalauma di El Alto-La Paz, terminato un anno fa dal Mlal, dopo un decennio di difficoltà, grazie al prezioso contributo della Conferenza episcopale italiana (Cei) e del governo di Roma. Qui sono ospitati 160 ragazzi tra i 16 e i 21 anni, che hanno la possibilità di frequentare la scuola o un corso professionale. “E gli effetti si vedono. Il tasso di recidiva è sceso dall’80 al 4 per cento. Per questo, stiamo cercando di costruire un altro centro a Santa Cruz - conclude Simoncelli -. Oltre a sensibilizzare il governo perché riformi il sistema di giustizia e favorisca le misure alternative alla detenzione, la vera soluzione del dramma carcerario boliviano”.?? Un giorno nero per la Bolivia (progettomondomlal.blogspot.it) A differenza degli altri 33 corpi carbonizzati, quello di Leonardito era l’unico riconoscibile. Leonardito, tra le vittime dell’inferno scoppiato nel carcere di Palmasola nella città boliviana di Santa Cruz, è un bambino di appena un anno e mezzo. Venerdì 23 agosto, alcuni prigionieri della sezione riservata ai condannati considerati ad alta pericolosità (responsabili cioè di omicidi efferati e violenze sessuali) hanno tagliato la rete di ferro che li separava dai detenuti in attesa di giudizio e scatenato un regolamento di conti terminato con 34 vittime e numerosi feriti. La versione ufficiale sostiene che all’origine del massacro ci sia la brutale rivendicazione di molteplici interessi imperanti all’interno del carcere, quali il controllo del traffico di droga e alcool, del pagamento dell’assicurazione sulla vita prevista per i detenuti, la compravendita degli appartamenti, la riscossione del pagamento degli affitti, la guida delle reti di criminalitá esterne. Detto questo, nessuno saprà mai le vere ragioni che hanno scatenato l’inferno. Il Centro penitenziario Palmasola ospita piú di 5.000 persone fra detenuti, familiari in visita e bambini, e costituisce il vero centro operativo della criminalitá della regione. Se ti rubano l’auto, è probabile che, il giorno dopo, la chiamata per la riscossione di una somma pattuita ti arrivi direttamente dal carcere. Leonardito era uno dei numerosi bambini che in Bolivia vivono in carcere insieme ai genitori: stava con il papà, morto con lui nel terribile inferno. Si stima che il 10% della popolazione carceraria sia costituito infatti da bambini. E ogni mattina, lunghe file di bambini lasciano le carceri boliviane per andare all’asilo o alle scuole elementari. Nelle carceri boliviane, bambini, adolescenti e giovani convivono con gli adulti e, anche per questo, sono vittime predestinate di maltrattamenti, violenze psicologiche, fisiche e sessuali, nonché delle condizioni subumane che caratterizzano ancora oggi il sistema carcerario boliviano. In occasione dell’ultimo Seminario internazionale sulla giustizia penale giovanile secondo un approccio “riparativo”, organizzato dall’Ong ProgettoMondo Mlal, i relatori brasiliani, chiamati a illustrare il metodo Apac (ovvero delle carceri senza polizia), avevano definito il sistema carcerario tradizionale “un sistema carisimo para convertir gente mala en gente peor”! Il sistema della giustizia boliviano è una bomba a orologeria. Il sovraffollamento, la corruzione, il ritardo della giustizia, la mancanza assoluta di programmi di riabilitazione, la mancata applicazione di misure alternative alla privazione di libertà e l’assenza di un sistema normativo specializzato per adolescenti costituiscono le caratteristiche fondamentali del sistema attualmente in vigore. Ne è vittima lo stesso Centro Qalauma, realizzato due anni fa nella città di El Alto-La Paz da Progetto Mondo Mlal dopo più di una decina di anni di impegno tra mille difficoltà e grazie a diversi finanziamenti, tra cui quelli fondamentali del governo italiano e della Conferenza episcopale italiana. Anche qui, nel primo Centro nella storia del Paese specificatamente dedicato ai detenuti minori, il 95% degli adolescenti ospitati (160) è in attesa di giudizio; il 70% dei giovani si trova in carcere perché accusato di reati minori. I coetanei di altri Paesi, dove vigono sistemi di giustizia più rispettosi dei diritti umani e dell’interesse superiore dei giovani, stanno scontando misure cautelari alternative alla detenzione in carcere. Anche in Italia, per i minorenni, la Giustizia prevede processi rapidi (6 mesi), responsabilità penale minore e si ricorre alla detenzione in carcere come ultimo rimedio. Dei 20.500 adolescenti italiani in conflitto con la legge, solo 500 sono in carcere mentre, ad altri 20mila vengono applicate misure alternative. In questi ultimi due anni, l’esperienza di Qalauma ha notevolmente contribuito a sollecitare l’interesse dell’opinione pubblica sul tema della Giustizia Penale Minorile. Proprio nella città di Santa Cruz Progetto Mondo Mlal sta collaborando per l’apertura di un nuovo Centro per adolescenti e giovani (CenviCruz). Il governo autonomo di Santa Cruz ha inoltre chiesto a Progetto Mondo Mlal di collaborare per l’organizzazione di un nuovo seminario internazionale sulla tematica per sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità competenti. L’organismo di cooperazione allo sviluppo Progetto Mondo Mlal, che in Bolivia è impegnato sul tema della giustizia e della giustizia minorile fin dal 2002, è riuscito nell’impresa di costruire e aprire il primo istituto nella storia del Paese andino specializzato nella riabilitazione degli adolescenti e di giovani privati della libertà. Con risoluzione n.032/2012-13, l’Assemblea Legislativa Plurinazionale riunita per l’occasione proprio all’interno dell’istituto Qalauma, ha riconosciuto il Centro realizzato dalla cooperazione italiana “una pietra miliare del reinserimento e del ripristino dei diritti degli adolescenti e dei giovani in conflitto con la legge”. Come coordinatore dei Progetti “Qalauma” e “Liber’Arte” posso confermare che lavoriamo giorno e notte per cambiare l’attitudine dei giovani e adolescenti privati di libertà, ma è necessario che siano innanzitutto la società e l’opinione pubblica a contribuire al cambiamento di paradigma, affinché non si ripetano simili tragedie! E per Progetto Mondo Mlal i risultati di questo impegno non mancano. In soli due anni dall’apertura del Centro Qaluama sono stati registrati un abbassamento dall’80% (media nazionale) al 4% del tasso di recidiva e l’elaborazione, con conseguente applicazione, di un nuovo modello socio-educativo riconosciuto formalmente dalla Direzione Nazionale di Regime Penitenziario. Oggi i 160 adolescenti e giovani, attualmente ospiti del Centro, sono infatti coinvolti in un percorso educativo di valorizzazione dell’essere umano che promuove il rafforzamento dei processi di responsabilizzazione e protagonismo di adolescenti e giovani, attraverso la partecipazione a diverse attività di formazione professionale e di terapia occupazionale (falegnameria, serigrafia, industria alimentare, sartoria, agronomia, artigianato). A fianco di questo ambito, è stato comunque sviluppato anche il settore di formazione umanistica e scolastica. In questo caso, sì è ottenuto il via libera da parte del governo alla creazione di un Istituto Superiore Umanistico e Tecnico a (Cea “Ana Maria Romero de Campero”) proprio all’interno del Centro Qaluama che oggi si avvale di un corpo di 12 docenti. Grazie a uno specifico nuovo progetto cofinanziato dall’Unione europea (Liber’Arte), è stato inoltre avviato uno specifico programma di cultura e arte-terapia per il quale, nell’ultimo anno, sono stati realizzati 20 laboratori artistici (teatro, fotografia e disegno grafico) e diversi eventi aperti al pubblico esterno. Viene infine considerato forse il risultato più importante, per determinare un reale cambiamento nel sistema di Giustizia boliviano, l’avvenuto coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, della societá civile e della comunitá in programmi di riabilitazione. In questi anni è nata infatti una piattaforma di sostegno costituita da enti locali, nazionali e internazionali (come Comune di Viacha, Cdc, Croce Rossa Internazionale, Iseat, Pastoral Penitenziaria, Unicef, Onduc, Senadep, Associazione di Arte Compa, Istituto Berlino, RC, la Associazione Tedesca per l’educazione di adulti, Fautapo, Gregoria Apaza, Cecasem, Fondazione Solon, Fondazione Simon Patiño, BID, Università Salesiana, Ministero di Educazione; Defensoria del Peublo, Ministero di Giustizia boliviano, Soboche, F. Arco Iris, e diversi mezzi di informazione). Roberto Simoncelli, coordinatore Progetto Mondo Mlal Centro Qalauma, El Alto, Bolivia. Brasile: uccisero bimbo durante rapina, avvelenati in carcere Ansa, 31 agosto 2013 Erano in carcere con l’accusa di aver ucciso un bambino di 5 anni durante la rapina ai genitori i due detenuti trovati morti uccisi con un cocktail di cocaina e viagra. Il loro caso aveva suscitato commozione e sdegno per la dinamica dell’orrendo reato. I rapinatori avevano sparato al bambino perché non smetteva di piangere mentre loro rapinavano i genitori. Paulo Ricardo Martins e Felipe dos Santos Lima sono stati trasportati nell’infermeria del carcere, ma sono morti poco dopo. Secondo la stampa brasiliana, i due sarebbero stati eliminati in carcere da altri detenuti appartenenti al Primero comando da capital (Pcc), la gang più sanguinaria del Brasile, che controlla le carceri. Almeno 10 detenuti sono morti negli ultimi mesi nelle carceri di San Paolo avvelenati con cocktail a base di cocaina e viagra. Nord Corea: annullato l’invito all’inviato Usa per rilascio detenuto Agi, 31 agosto 2013 Salta la missione a Pyongyang dell’inviato Usa per i diritti umani in Corea del nord, Bob King. Il regime nordcoreano ha ritirato l’invito al diplomatico che avrebbe dovuto trattare per il rilascio per motivi umanitari del missionario cristiano Kenneth Bae, 45enne missionario cristiano condannato ad aprile a 15 anni di lavori forzati. Lo ha reso noto la portavoce del Dipartimento di Stato Marie Harf, sottolineando che gli Stati Uniti sono “sorpresi e delusi dalla decisione della Corea del Nord” e sono molto preoccupati per le condizioni di salute di Bae, che si trova ricoverato in ospedale e di cui Washington chiede la liberazione per motivi umanitari. India: processo davanti alla Corte Suprema per due italiani condannati all’ergastolo Ansa, 31 agosto 2013 Hanno raggiunto Varanasi, in India, Luigi Euro Bruno, Marina Maurizio e Romano Boncompagni, per assistere al processo davanti alla Corte Suprema, che vede imputati i figli Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni. I due giovani, lui di Albenga, lei di Torino, sono accusati dell’uccisione l’amico Francesco Montis, durante una vacanza. I due sono detenuti da oltre tre anni e mezzo e sono stati condannati all’ergastolo. Tomaso ed Elisabetta si sono sempre detti innocenti. Il dibattimento di terzo grado si aprirà martedì prossimo. I giudici della Cassazione indiana dovranno valutare il ricorso con cui l’avvocato Mukul Rohatgi, difensore dei due giovani, ha chiesto l’annullamento dell’ergastolo per la morte di Francesco Montis. “Abbiamo incontrato Tomaso ed Elisabetta - hanno detto i genitori dei ragazzi - Li abbiamo trovati in forma e fiduciosi, come del resto sono stati sempre in questi mesi di attesa”.