Giustizia: amnistia, ecco la strada… bisogna tentare di Andrea Pugiotto (Docente di Diritto Costituzionale all'Università di Ferrara) Il Manifesto, 27 agosto 2013 Almeno su due cose ha ragione Marco Pannella: quando dice che all'Italia non occorre una via di fuga ma una prospettiva, indicandola poi in un atto di clemenza generale, parte integrante di una riforma strutturale della giustizia, dei delitti e delle pene. L'improvvisa attenzione nel dibattito politico a due parole amnistia e indulto - fin qui neglette rischia, tuttavia, di ridursi a un fuoco di paglia. Perché le piega, deformandole, ad una prospettiva differente: quella di una clemenza di pacificazione a chiusura di un ventennale bipolarismo conflittuale, estintiva delle pendenze giudiziarie e della condanna del senatore Berlusconi. È una falsa partenza. Incalzati dalla caparbia nonviolenza radicale, il Quirinale, la Guardasigilli, le camere penali, l'intera comunità carceraria invocano una legge di clemenza come soluzione a una condizione oramai catastrofica: processi dalla durata irragionevole, prescrizioni a vagonate, sovraffollamento carcerario, morti dietro le sbarre, il suicidio come mezzo di "evasione" dalla galera. È "una questione di prepotente urgenza" che non riguarda un problema di agibilità politica individuale, seminai di ripristino dell'agibilità costituzionale del paese, condannato seriale a Strasburgo, dalla Corte Edu. Come un criminale recidivo e professionale. La necessità di recuperare la Repubblica alla sua legalità è il solo orizzonte che restituisce ad un atto di clemenza la sua autentica funzione. amnistia e indulto, infatti, non sono né uno strappo né uno scandalo, se costruite in modo da rispettare il volto costituzionale della pena scolpito nell'articolo 27, comma 3, della Carta: invece, ove l'effetto estintivo della clemenza "irrazionalmente contrastasse con tali finalità, ove risultasse variante arbitraria" tale da svilire il senso stesso della condanna e della punizione, "non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima" (cosi la Consulta, sentenza 369/1988). Pannella indica la luna. Gli altri fissano il dito, accapigliandosi. Così falchi e colombe del Pdl, intenzionati a caricare sulla legge di clemenza fardelli giuridicamente insostenibili. Qualche esempio? Gli sconti di pena dell'indulto non si possono cumulare come i punti al supermercato. E il loro leader si è già giocato il bonus che rischia anzi di perdere, venendo revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, nei successivi cinque anni, "un delitto non colposo per il quale riporti la condanna a pena detentiva non inferiore a due anni" (così l'articolo 3, legge d'indulto del 2006). I tre disegni di legge in materia depositati in parlamento includono reati individuati sulla base della loro pena edittale massima (4 anni per l'amnistia, 3-4 per l'indulto spingendosi a 5 per i soli detenuti in gravi condizioni di salute), asticelle abbondantemente superate da quelli per i quali il senatore Berlusconi (che gode di ottima salute) è stato condannato o è a processo. E ancora, l'inclusione nell'atto di clemenza di reati fiscali o contro la pubblica amministrazione andrà bilanciata (come nell'indulto del 2006) dalla conferma di tutte le pene accessorie, che non inflazionano né i tribunali né le carceri. Infine, la decadenza da senatore resterebbe sul tavolo, perché l'indulto - salvo disponga diversamente - estingue la pena, mentre la sentenza di condanna, quale titolo esecutivo, conserva immutata validità. Come in un gioco di specchi, le reazioni sdegnate all'idea di un provvedimento di clemenza appaiono altrettanto strumentali. Addirittura ciniche, laddove barattano il timore di un colpo di spugna per uno solo con la certezza quotidiana dello stoccaggio di 66mila detenuti in 47mila posti, come tanti pezzi di legno accatastati in una legnaia. Come ha scritto Andrea Fabozzi, è il "trionfo per annessione del berlusconismo", titolo di un film già visto nel 2006, quando l'indulto fu osteggiato a sinistra perché promuoveva Previti dagli arresti domiciliari all'affidamento ai servizi sociali: eppure, senza quella clemenza così bistrattata, oggi dietro le sbarre la vita sarebbe inimmaginabile. Quanto al benaltrismo di sinistra che boccia amnistia e indulto come scorciatoie, invito a cerchiare sul calendario la data del 28 maggio 2014. È la dead line fissata dalla Corte Edu (sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia), entro cui va risolto il problema "strutturale e sistemico" del sovraffollamento carcerario, per ripristinare "senza indugio" in Italia il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (articolo 3 Cedu). Siamo condannati a fare, e presto. Servono strumenti normativi congrui e tempestivi. La Costituzione li prevede e si chiamano amnistia e indulto, i cui effetti andranno messi in sicurezza con altre riforme da incardinare fin d'ora in parlamento: solo così si potrà stabilizzare una legalità finalmente ritrovata. Conosco l'obiezione: se centrodestra e centrosinistra, non hanno interesse ad un atto di clemenza (inutile per i primi, temuto dai secondi), si sta parlando di niente. Tanto più che per la sua approvazione servono maggioranze vertiginose: i due terzi degli aventi diritto al voto, articolo per articolo e nella votazione finale. Una chimera. È vero, ma solo per chi pensa che la partita della legalità si giochi interamente sui destini (fasti o nefasti) del Cavaliere. Ancora una volta si guarda il dito e non la luna: perché la legalità ha un raggio molto più ampio, riguarda l'intero ordinamento (cioè tutti) e la sua capacità di rispettare le leggi, la Costituzione, i proprio obblighi internazionali. A cominciare dalla dignità delle persone (tali sono i detenuti) e dai diritti fondamentali di chi (parte in un processo) attende troppi anni per avere giustizia. Quanto al nodo procedurale, rileggiamo il comunicato del Quirinale del 27 settembre 2012: "Pongo all'attenzione del parlamento (...) sia le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza, sia della necessaria riflessione sull'attuale formulazione dell'articolo 79 della Costituzione che a ciò oppone così rilevanti ostacoli". Si chieda allora alle camere di riscrivere sul punto la Costituzione. Lo si esiga dal governo, che ha promosso un percorso di revisione costituzionale. È, un'idea realistica sul piano politico? "È il Capo dello Stato che lo chiede", si potrà dire ai riottosi. E poiché i voti non hanno odore, andranno incassati anche i consensi di gruppi non particolarmente sensibili alla condizione carceraria ma interessati a restituire agibilità a due strumenti oggi difficilmente praticabili. A chi, invece, denuncerà il pericolo di un futuro colpo di spugna, andrà spiegato - serenamente, pacatamente - che la nuova procedura costituzionale nulla dice su come sarà poi congegnata una legge di clemenza. Dunque c'è un varco stretto da attraversare, perché la posta in gioco, in termini di civiltà giuridica, è enorme. È come per il calabrone: insetto che ha ali così piccole e un corpo così grande da non poter volare, eppure vola. Vale la pena di tentare. Vale la pena di volare. Giustizia: se Tinti (e "Il Fatto") fanno concorrenza a Gasparri, Larussa e "La Padania" Valter Vecellio Notizie Radicali, 27 agosto 2013 Per favore, annotatevi questa frase: "L'amnistia (come l'indulto, come qualsiasi condono) è criminogena. Alimenta nei delinquenti la certezza dell'impunità e dunque è causa diretta della criminalizzazione di una parte sempre maggiore della società…". E ancora: "L'amnistia non funziona, aggrava il problema. Può essere paragonata all'abuso di antibiotici. I criminali liberati (e i cittadini indotti a delinquere) commetterebbero in breve tempo ulteriori reati…". E per finire: "Davvero vuole rendersi complice (il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, ndr) di una nuova tragedia storica?". Pensate che simili perle siano state concepite da Maurizio Gasparri, da Ignazio La Russa, da un qualunque dirigente di quella Lega in servizio permanente effettivo quando si tratta di far leva sulle viscere di un'opinione pubblica confusa e sommersa da "messaggi" falsi e deformanti? No, a dire queste corbellerie non ci arriva neppure un Borghezio, un Boso, un Calderoli, "La Padania". Queste scempiaggini le scrive un ex magistrato, che deposta la toga e ora andato in pensione, si è scoperto editorialista per "Il Fatto". Si chiama Bruno Tinti, l'ex magistrato; ed è, ovviamente, nel suo pieno diritto di vedere amnistia, indulto e provvedimenti di clemenza come fumo negli occhi. Il mondo è bello anche perché ci sono giornali come "Il Fatto" e commentatori come Tinti. Però per le proprie idiosincrasie non si possono piegare i fatti, e per dare credibilità alle proprie opinioni non si può spacciare per vero qualcosa che vero non è. Rileggetela questa frase: "l'amnistia (come l'indulto, come qualsiasi condono) è criminogena. Alimenta nei delinquenti la certezza dell'impunità…". Il Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria, anni fa, realizzò uno studio scientifico da cui si ricavava che tra i beneficiari dell'ultimo indulto coloro che erano tornati a delinquere erano una minoranza, e infinitamente superiori (sia numericamente che percentualmente) erano i recidivi tra coloro che non rientravano nel provvedimento. E' uno studio completo, pieno di cifre, dati, che meritano di essere riproposti. Primo: dopo l'approvazione dell'indulto gli stranieri sono stati meno recidivi degli italiani, sono in particolare i nostri connazionali a ricadere nella delinquenza. Secondo: a distanza di otto mesi i dati diffusi dal ministero della giustizia (aggiornati al 31 marzo scorso) sottolineano come tra gli indultati detenuti in carcere sia recidivo solo il 12,15 per cento. Dei soggetti rientrati in carcere dopo il provvedimento il 65,27% era italiano, mentre gli stranieri appena il 34,73%. In particolare, su 15.815 italiani dimessi, ne sono rientrati 1942 (il 12,28%), mentre su 9.750 stranieri ne sono rientrati circa il 10,59%. Ma a sorprendere maggiormente è il fatto che gli stranieri sono rientrati non per la commissione di reati, ma di illeciti amministrativi (violazione della legge sull'immigrazione). Inoltre, viene riconfermato il fatto che le meno recidive sono le donne straniere (appena il 2,58%), subito seguite dalle donne italiane (7,35%) e dagli uomini stranieri (11,14%). I primi della lista sono gli uomini italiani con una percentuale di recidiva del 12,49%. Tra coloro che prima di bene?ciare del provvedimento di clemenza erano sottoposti a misura alternativa, solo il 6, 07 per cento è tornato a delinquere. In particolare, i dati rilevano che su 25.834 detenuti usciti grazie all'indulto, sono tornati a commettere nuovi reati in 2932; mentre su 17.315 soggetti sottoposti a misure alternative, il numero dei recidivi è stato di 356 unità. Il ministero della giustizia conferma i dati diffusi a febbraio, che mettevano in evidenza come la regione che vantava il record dei recidivi era la Campania, e come i reati che accomunavano la maggior parte di chi tornava a delinquere erano quelli contro il patrimonio. Infine, negli ultimi dati viene fatto un raffronto tra i reati denunciati da luglio a dicembre 2005 (1.308.113) e quelli denunciati da luglio a dicembre 2006 (1.310.888), evidenziando un leggero aumento. Il numero dei recidivi resta dunque contenuto, visto che i dati diffusi dal ministero due mesi fa, evidenziavano che da agosto, mese in cui è stata approvata la legge sull'indulto su 25.694 detenuti dimessi dal carcere era rientrato soltanto l'11 per cento, ossia 2.855 persone. Luigi Manconi un paio di anni fa dedicò alla questione una serie di articoli, pubblicati su vari giornali (articoli facilmente reperibili con una ricerca di pochi minuti in google). Noi qui, ci limitiamo a riproporre quello pubblicato su "L'Unità" del 29 luglio 2011. E chissà che Tinti la prossima volta non argomenti meglio le sue "ragioni". "L'indulto venne approvato con 245 sì, 56 no, 6 astenuti. In cinque anni solo il 33,92% dei detenuti beneficiati dal provvedimento è rientrato in cella. Mentre la quota di chi non ne ha usufruito è al 68,45%. Gli italiani tornati a commettere reati superano di 13 punti gli stranieri. se, alla resa dei conti, il tanto bistrattato indulto del 2006 si rivelasse un provvedimento parziale, ma - oltre che sacrosanto - assai utile? Una misura, gravata da limiti e carenze, ma efficace e, soprattutto, molto meno nociva sul piano sociale di quanto si sia detto e scritto. In effetti, quel provvedimento di clemenza è stato uno dei più controversi e diffamati dell'intera legislazione repubblicana. Approvato, come prescrive la norma da i due terzi del Parlamento (oltre l'80%), è stato misconosciuto dalla gran parte di coloro che lo votarono. Mai una legge che aveva avuto tanti padri e madri era stata così repentinamente rinnegata dai legittimi genitori. Molte le ragioni. In primo luogo, il carattere parziale del provvedimento, non accompagnato da una contestuale amnistia (che avrebbe potuto ridurre il numero dei procedimenti e alleviare il lavoro dei giudici), e non sostenuto da adeguate misure di accoglienza e di integrazione per gli scarcerati. Ma, soprattutto, a pesare sull'opinione pubblica e a determinare quel ripudio da parte del legislatore furono due fattori: l'incapacità di reggere l'impatto che i reati commessi dagli indultati avrebbe avuto sul senso collettivo di insicurezza e la contestuale e irresponsabile campagna mediatica. E' decisivo ricordare che, dal 2006 al 2007 (periodo che comprende i mesi successivi all'approvazione dell'indulto) l'informazione televisiva nazionale sulla cronaca nera passa dal 10,7% al 23,7% (come ha documentato il centro di ascolto di Gianni Betto). Inevitabilmente un simile affollarsi di "notizie criminali" crea una sensazione di ansia collettiva e di allarme sociale, tali da esigere l'individuazione di una causa (l'indulto, appunto) e la demonizzazione di quanti avrebbero contribuito a determinarla (sia i parlamentari che vollero quella misura sia chi di essa beneficiò). Ma, a distanza di 5 anni, una ricerca condotta da Giovanni Torrente e da chi scrive per conto di A Buon Diritto onlus, mostra una realtà tutt'affatto diversa: e quanto quella percezione di insicurezza generalizzata fosse alterata e frutto di manipolazione. La premessa è che indulto e amnistia sono, per loro stessa natura, misure di eccezione per un tempo d'eccezione. Ovvero provvedimenti di emergenza per una situazione estrema, in attesa che si ponga mano alle riforme strutturali: le uniche, come è ovvio, che possano risolvere davvero le grandi questioni dell'amministrazione della Giustizia e dell'esecuzione della pena. Ma intanto esaminiamo le conseguenze del provvedimento d'eccezione del 2006, con riferimento al principale allarme allora diffuso: "escono dal carcere e tornano a delinquere". La ricerca prima ricordata affronta di petto proprio questo nodo, permettendo di verificare come quella misura, pur con tutti i suoi limiti, ebbe un esito positivo. L'indulto ridusse l'entità della popolazione detenuta per un periodo di tempo sufficiente a impedire che il disastro si traducesse in una tragedia e che, dai quasi 62mila reclusi, si arrivasse a 80mila.Ma il risultato più significativo è forse un altro. La recidiva dei beneficiari dell'indulto si attesta sul 33,92%. Una percentuale elevata ma da confrontare con quella relativa alla recidiva tra quanti non hanno beneficiato dell'indulto. L'unica rilevazione sul lungo periodo al riguardo è quella dell'Ufficio Statistico del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998, nei successivi 7 anni, sia rientrato in carcere una o più volte. Siamo dunque a una percentuale più che doppia. E questo conferma una tesi avanzata verso la fine degli anni '70 dal Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale, presieduto da Alfonso Beria d'Argentine: i provvedimenti di clemenza approvati in quegli anni non avrebbero provocato un aumento della recidiva. Ma la nostra ricerca riserva altre sorprese. Intanto va notato (pur se si tratta di dati ancora parziali) che la recidiva cala ulteriormente tra coloro che beneficiano dell'indulto mentre si trovano sottoposti a una misura alternativa al carcere. In altre parole, scontare la pena in condizioni meno afflittive e meno disumane può contribuire alla riabilitazione sociale (e a non reiterare il reato). Ancora. Il tasso di recidiva fra gli italiani è di circa 13 punti percentuali superiore a quello degli stranieri. Quest'ultima circostanza svela, in maniera inequivocabile, quanto gli stereotipi - e le campagne politiche fondate sugli stessi - possono avere le gambe davvero corte. P.S. Per riprendere il discorso sulle riforme strutturali, che vadano oltre lo stato d'emergenza, è utile partire dall'intervista rilasciata dal nuovo ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma al Corriere della Sera. Il ministro affermala necessità di "un programma di depenalizzazione dei reati minori e contro l'"eccessiva criminalizzazione": il fatto, cioè, "che le leggi prevedono la sanzione penale per violazioni" che andrebbero punite con "sanzioni amministrative o civili". Parole sante. Che coincidono puntualmente con quanto è stato raccomandato, con inappuntabili argomenti, dalle relazioni conclusive delle Commissioni per la riforma del Codice penale, presiedute prima da Carlo Nordio (centro destra) e poi da Giuliano Pisapia (centro sinistra), su incarico rispettivamente del governo Berlusconi (2001-2006) e del governo Prodi (2006-2008). Ma è impossibile non far notare al ministro Nitto Palma che il governo del quale entra a far parte ha operato in senso esattamente opposto. Valga un esempio: illeciti amministrativi, quali erano fino a due anni fa, ingresso e soggiorno irregolari in Italia sono stati trasformati in fattispecie penale, con relativa detenzione. Il che ha portato in cella migliaia e migliaia di stranieri, responsabili di "violazioni" che andrebbero punite, al più, "con sanzioni amministrative o civili". Ecco una manifestazione di "eccessiva criminalizzazione" che, oltre a gridare vendetta davanti a Dio e agli uomini, incrementa il sovraffollamento del sistema penitenziario. Con esiti che sono sotto gli occhi di chi li vuole vedere. Giustizia: perché l'amnistia è una trappola di Alberto Asor Rosa Il Manifesto, 27 agosto 2013 Fra le varie motivazioni pretestuose e compromissorie, cui chiedevo di rispondere con fermezza nel mio articolo "Il punto fermo" (il manifesto, 23 agosto), a quanti le avessero usate per salvare Berlusconi (respingere tout court la decadenza, manipolare in qualche modo la ineleggibilità, concedere la grazia, adoperarsi per manovre dilatorie di ogni tipo, ecc. ecc.), non mi era venuto in mente di annoverare anche l'amnistia. Come mai? Perché mi sembrava impossibile che qualcuno avesse il coraggio di tirare in ballo la più bastarda, la più infamante delle possibilità di salvazione del pregiudicato Berlusconi: il baratto, visibile e consapevole a tutti, tra una misura in sé astrattamente giusta e la continuazione, anzi l'inevitabile accentuazione del degrado etico-politico del sistema italiano, e in particolare della sua sinistra, la quale dovrebbe inevitabilmente condividere e votare il colossale inciucio. Massimo Villone ha già illustrato (Il Manifesto, 25 agosto), con la consueta eleganza e dottrina, tutti gli argomenti che muovono contro l'adozione di una linea del genere. Vorrei solo aggiungere una considerazione di ordine, in qualche modo, personale. Cadere in questa trappola per motivi squisitamente umanitari non è in fondo molto diverso, nei molteplici effetti finali, dal condividerne l'ispirazione perversamente assolutoria. Se s'imbocca questa strada, si dimentica, o si accantona, quale sia la posta in gioco. Non mi riferisco soltanto al dogma della legalità puramente e semplicemente considerato. Mi riferisco all'ennesima, catastrofica ricaduta che ne deriverebbe nelle politiche di sostegno ai lavoratori, di riforma della società, di redistribuzione dei poteri, di trasformazione (in meglio) della politica. Questo è il punto fermo, di cui io mi sono sforzato di parlare. Al resto ci si penserà dopo, se ci sarà un dopo. Giustizia: a Berlusconi l'amnistia farebbe assai comodo, ma il Pd e il Sel dicono "no" di Domenico Cirillo Il Manifesto, 27 agosto 2013 La situazione delle carceri la impone. Due ministri la propongono. A Berlusconi farebbe assai comodo. Ma il Pd (e anche Sel) dicono no, e il Pdl cerca altre strade. Il centrodestra dei falchi e delle colombe si divide anche sulle parole di Cancellieri e Mauro Una maggioranza su un provvedimento di amnistia e indulto c'è, ed è una maggioranza contraria. La proposta di due ministri del governo, la Guardasigilli Cancellieri e il titolare della difesa Mauro riceve molte più critiche che consensi. Critiche soprattutto dal partito democratico. E Silvio Berlusconi, che avrebbe potuto guadagnare la cancellazione del reato tributario in ragione del quale dovrà prima o poi lasciare il parlamento, ne approfitta per rovesciare ancora una volta sugli avversari-alleati la responsabilità di una, minacciata ma ancora tutta da verificare, crisi di governo. Oggi a villa San martino ad Arcore, dove il cavaliere conduce da giorni una sorta di pre-detenzione domiciliare, è atteso tutto lo stato maggiore del Pdl. La discussione non mancherà, dopo che nell'ultima settimana la fazione governativa del centrodestra e la fazione che tifa per la crisi si sono scambiate prima critiche poi insulti. Il Cavaliere viene dato sempre più vicino ai "falchi". Anche se nelle sue uniche dichiarazioni ufficiali, quelle rilasciate al settimanale ciellino Tempi, ha continuato ad avanzare le sue richieste e ha sostenuto che una soluzione per evitare la sua decadenza dal parlamento è possibile "secondo buonsenso e Costituzione". Un appello al presidente della Repubblica nel quale evidentemente Berlusconi spera ancora, posto che nella stessa intervista ha dato almeno altri "50 giorni" di vita al governo Letta. Ieri il ministro Mauro ha rilanciato l'idea dell'amnistia. Con una differenza rispetto alla ministra Cancelliere, che ha sempre messo avanti le ragioni della giustizia: e cioè la condizione "ripugnante" delle carceri sovraffollate per la quale il nostro paese deve comunque intervenire entro il prossimo mese di maggio perché lo impone la Corte europea dei diritti dell'uomo. Al contrario Mauro, ex berlusconiano ora con Scelta civica, ha sostenuto che "occorre ripristinare il senso dello stare insieme, che non è nelle corde naturali del centrodestra e del centrosinistra, ma è qualcosa cui siamo obbligati". Ragioni, dunque, tutte politiche e di "pacificazione" alle quali il Pd non può che rispondere no. "Finitela con i continui ripescaggi dell'idea di amnistia per salvare Berlusconi - ha detto il responsabile organizzazione dei democratici Zoggia - sta diventando una storia indecente". Al contrario nel Pdl Frattini e poi Bondi e Matteoli hanno immediatamente colto l'occasione. "Su questo terreno non si può procedere secondo schematismi ideologici, ma deve prevalere il senso di umanità", ha detto Cicchitto. Per il centrodestra c'è un problema in più: gli alleati naturali di Lega e Fratelli d'Italia sono contrari. Per varare un provvedimento di amnistia e indulto, che dovrebbe comunque essere molto ampio per comprendere anche Berlusconi, servirebbe la maggioranza dei due terzi sia alla camera che al senato. E nel Pd, al di fuori dei casi segnalati in queste stesse pagine, è un coro di no. Con l'evidente preoccupazione di non lasciare troppo spazio alle intemerate di Grillo. Anche da Sinistra ecologia e libertà arriva un giudizio contrario. "Visto il clima in cui viene avanzata, non solo riteniamo che è impossibile approvare l'amnistia ma anche solo proporla", dice il capogruppo alla camera Migliore. Che anzi invita i ministri Cancellieri e Mauro "a precisare la loro posizione perché gli italiani sono stanchi di queste furberie e non sono disposti ad accettarle". L'ostacolo Berlusconi è ancora troppo grosso sulla strada di un provvedimento che in molti considerano necessario. E allora è su altri viottoli che si avviano Berlusconi e il Pdl. Partendo da un decisivo allungamento dei tempi in giunta per le elezioni al senato. Si comincia il 9 settembre, ma tra audizioni ed eccezioni non sarà breve. Giustizia: quando Epifani diceva che serviva l'amnistia di Claudio Cerasa Il Foglio, 27 agosto 2013 Oggi Guglielmo Epifani, in un'intervista a Repubblica, ha detto che l'amnistia sarebbe l'ennesimo provvedimento ad personam per Silvio Berlusconi e che nelle Camere non ci sono i numeri per votarla, lasciando intendere che un provvedimento del genere il Pd non lo voterebbe mai e poi mai. La linea politica è comprensibile, ed è evidente che il centrodestra ponga la questione dell'amnistia come un tema legato più alla pacificazione che alle questioni del sovraffollamento carcerario. Eppure è curioso che ogni volta che l'Epifani segretario del Pd parli di amnistia faccia scientificamente finta di dimenticare cosa diceva l'Epifani segretario della Cgil nel 2005, quando, in una lettera inviata a Marco Pannella, sosteneva che l'amnistia era un provvedimento urgente che avrebbe aiutato a risolvere una situazione non più tollerabile come quella carceraria (e che, come ha saggiamente ricordato oggi sulla Stampa il deputato prodiano Sandro Gozi, è una questione che va oltre Berlusconi). Ecco. Omettere questo passaggio negli interventi sull'amnistia, per chi crede che l'amnistia sia un provvedimento necessario, è un modo come un altro per cadere in un vecchio tranello politico: un provvedimento utile, se è utile anche per Berlusconi, semplicemente non è più utile, e dunque è inutile parlarne. Qui la lettera di Epifani, riportata dall'Adnkronos il 14 dicembre del 2005. "La Cgil considera da tempo con allarme e preoccupazione la situazione delle carceri italiane. L'estremo e crescente sovraffollamento; la pratica impossibilità di esercitare quelli che sono i diritti elementari del cittadino detenuto (quello alla salute prima di tutto); i meccanismi di esclusione che portano all'ingresso in carcere e alla recidiva di fasce sociali tipicamente svantaggiate (migranti e tossicodipendenti in primo luogo): tutto ciò configura una situazione che non è più oltre tollerabile". Tale situazione, scrive il leader della Cgil, "rischia inoltre di essere pesantemente aggravata da leggi approvate recentemente, (ex Cirielli) o delle quali è possibile la prossima approvazione (stralcio Fini-Giovanardi sulle droghe)". Ad affermarlo, in una lettera a Marco Pannella, è il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani sottolineando la necessità di un effettivo ed efficace atto di clemenza e condividendo quindi l'iniziativa promossa per il 25 dicembre al fine di ottenere un efficace e tempestivo provvedimento di clemenza. "Questi provvedimenti sia considerati separatamente, che ancor più in combinazione fra loro potrebbero portare assai rapidamente nei luoghi di pena decine di migliaia di nuovi reclusi, oltre agli attuali 60.000, delineando scenari ancora più gravi in una prospettiva più lunga. È chiaro che già nell'attuale situazione, ed ancor più nella prospettiva che delineano provvedimenti tesi a privilegiare alcuni, perseguitando ingiustamente altri, viene meno il carattere rieducativo e risocializzante della pena, che dovrebbe essere tipico di uno stato di diritto, mentre balza in primo piano il carattere esclusivamente e crudelmente afflittivo della detenzione. Tutto questo, si iscrive nel quadro di una tendenza legislativa e di politica sociale, manifestatasi con particolare virulenza negli ultimi anni, che mira a gestire sulla base della sanzione penale problemi che dovrebbero essere affrontati alla radice attraverso le risorse e le garanzie dei sistemi di welfare". "Questa situazione, sottolinea il leader della Cgil, "fa gravare un peso crescente anche sul personale degli istituti di pena, in tutte le sue componenti, determinando uno svilimento del lavoro e delle funzioni di tanti operatori impegnati ogni giorno in un lavoro duro e difficile: diviene così sempre più arduo il raggiungimento di quello che è il primo compito istituzionale dei lavoratori di questo settore: il recupero sociale e psicologico delle persone detenute". Per Epifani "è necessario affrontare questa situazione in modo strutturale, intervenendo anche con proposte che la Cgil ha contribuito a elaborare, con normative che favoriscano la cosiddetta deflazione carceraria (relative ai migranti e al consumo di sostanze in primo luogo) e con meccanismi di assistenza, socializzazione e tutela della salute interni ed esterni al mondo penitenziario". Secondo il segretario generale della Cgil "è importante sia ridurre nettamente il numero delle persone detenute, che garantire il rispetto dei diritti fondamentali di coloro per i quali il carcere può essere utilizzato, sempre però ed esclusivamente come risorsa estrema". Giustizia: l'amnistia è una "cosa di sinistra"… di Giuliano Ferrara Il Foglio, 27 agosto 2013 Gennaro Migliore di Sel la esclude per i "reati più odiosi". Uno pensa allo stupro, e invece sono quelli del Cav. Per Guglielmo Epifani sarebbe un nefasto "provvedimento ad personam" (lui che nel 2005 chiedeva "un effettivo ed efficace atto di clemenza"). Per Rosy Bindi comunque "non riguarda il caso Berlusconi". Per il responsabile Giustizia del Pd, Davide Zoggia, è semplicemente ora "di finirla con i continui ripescaggi dell'idea di amnistia". C'è qualcosa di eccessivo, plumbeo, nella cortina di ferro eretta a sinistra contro l'ipotesi, pannellianamente intesa, dell'amnistia. Inutile ricordare agli eredi del Pci e delle lotte operaie che nel 1946 fu il Guardasigilli Palmiro Togliatti a firmarne una di portata storica, nel nome della pacificazione nazionale. L'accecamento è tale che pure Sandro Favi, (ir)responsabile Carceri del Pd, s'è detto fermamente contrario. Praticamente, un responsabile dei bagni penali. Ma non è invece inutile ricordare a tutti questi nuovi e vecchi nemici della clemenza di stato che l'amnistia è stata a lungo, e ancora è, tutt'altro che lontana da un autentico pensiero di sinistra. Per umanitarismo, giustizia sociale, o fosse anche per diffidenza verso la "giustizia di classe". Ma ci vuole onestà intellettuale e realismo. Sul Manifesto di sabato, Andrea Fa-bozzi scriveva che "l'amnistia non è mai stata una battaglia di destra" e, magari turandosi il naso all'idea che ne possa usufruire Berlusconi, riconosceva come "un'occasione da cogliere" il vento a favore che si sta alzando. E sulla Stampa di ieri, il deputato pd Sandro Gozi ha detto che "bisogna uscire da un ventennio autolesionista di scontro". Preciso Togliatti. L'amnistia è di sinistra. Spiegateglielo. Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); in Italia l'amnistia manca ormai da 30 anni Tm News, 27 agosto 2013 "Questa giustizia può colpire anche te". Con questo slogan, e con l'immagine di Enzo Tortora in manette, i Radicali promuovono la sottoscrizione dei 12 quesiti referendari sulla riforma della Giustizia. Questa mattina, nell'aula consiliare del Comune di Palermo, i temi del referendum sono stati illustrati dall'esponente radicale Rita Bernardini, che da tempo gira le carceri italiane sensibilizzando la società nei confronti della difficilissima situazione in cui versa il sistema penitenziario nazionale. "I referendum sono per una giustizia che manca da 30 anni in questo Paese - ha detto Rita Bernardini -, e per la quale siamo condannati in Europa, per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri e per l'irragionevole durata dei processi. Bisogna raccogliere le firme nelle segreterie comunali. Ci sono milioni di cittadini massacrati da una giustizia che non funziona, e che subiscono una tortura nelle nostre carceri". Tra i vari quesiti referendari spiccano quelli sull'abolizione dell'ergastolo, quello sulla separazione delle carriere dei magistrati, e ancora quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Ma i quesiti non sono limitati soltanto alle questioni delle carceri e dei magistrati. Vi sono infatti anche domande relative alla riforma delle politiche su droghe e immigrazione, per il divorzio breve, per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e la truffa dell'otto per mille. Tra i primi a sposare l'iniziativa dei Radicali è stato anche il leader di Cantiere Popolare Saverio Romano, il quale ha sottolineato come sia "davvero incredibile che il Parlamento, organo sovrano, non riesca ad affrontare il tema della riforma della giustizia. E allora ben vengano i referendum proposti dai Radicali - ha detto Romano, in modo da offrire ai cittadini la possibilità di dare una risposta a queste domande che vengono poste loro. Una cosa è certa: il sistema della giustizia è malato e occorre intervenire con risposte efficaci". Romano (Cp): nostro sistema carcerario è da quarto mondo "Noi oggi affrontiamo pienamente il tema dell'iniziativa referendaria che ha una coda che riguarda il tema dell'amnistia. Il nostro sistema carcerario è da quarto mondo, siamo condannati ogni anno dalla Corte europea per il trattamento dei nostri detenuti. Quello non è più un luogo di rieducazione, ma per gli ambiti di restrizione e per il modello organizzativo delle nostre carceri non siamo in grado di dare una risposta adeguata a quello che dovrebbe essere il percorso rieducativo dei detenuti". Lo ha detto il coordinatore nazionale di Cantiere popolare, Saverio Romano, a palazzo delle Aquile, per la presentazione dei dodici quesiti referendari proposti dai Radicali. Presente, tra gli altri, Rita Bernardini, dirigente Radicale, già parlamentare. Lettere: la contenzione, dall'Opg… agli Spdc di Franco Scarpa* Ristretti Orizzonti, 27 agosto 2013 Ho molto apprezzato l'articolo della D.ssa Tuoni riguardo la contenzione. Ci vuole sicuramente coraggio nell'affrontare, senza averne competenze come Lei stessa afferma, un tema così scottante ed irrisolto come quello della contenzione fisica applicata nel campo sanitario. Si parla infatti dell'applicazione di mezzi, o presidi, per limitare i movimenti di una persona, che potrebbe fare a se stessi o ad altri un danno, se sussiste uno stato clinico di incoscienza o di discontrollo della condotta. Si tratta di una Credo sia però necessario fare una sintetica ricostruzione di quanto accaduto dopo l'irrompere della Commissione Marino negli Opg, ed in specifico nell'Opg di Montelupo. A proposito, nulla è stato più utile, in tanti anni di visite e di ispezioni varie, di queste "irruzioni" per avviare una volta e per tutte il processo di chiusura degli Opg i cui frutti devono ancora completamente maturare ed essere colti (l'effettiva chiusura è stata prorogata e la creazione di un sistema stabile di cura, e di recupero, di tutte le persone autori di reato, sottoposte a misura di sicurezza, è ancora in via di costruzione). Per quanto riguarda Montelupo, quando ho iniziato a lavorarci nel 1986 il numero delle contenzioni era davvero elevatissimo ed ancora più era elevato il numero delle ore, se non dei giorni, di ognuna di esse. Può essere utile, come ricordo aneddotico che descriva adeguatamente le metodologie e la cultura di tale atto, citare quanto uno Specialista Psichiatra ebbe ad affermare riguardo i criteri del ricorso alla contenzione: a suo parere, la contenzione avrebbe dovuto essere adottata ogniqualvolta un paziente si rifiutasse di parlare con lo Psichiatra o apparisse mutacico e non collaborativo. Da notare inoltre, per chiarire come alcune abitudini errate erano incardinate nella cultura del Carcere pre-riforma Dpcm del 2008, che frequentemente venivano inviati in Opg detenuti dagli Istituti Penitenziari, sia regionali che extraregionali, in "osservazione psichiatrica" con la motivazione del rifiuto terapia e la richiesta, più o meno esplicita, di adottare "terapie in maniera coattiva" non attuabili in Carcere. Le condizioni di vivibilità dell'Opg negli anni 90 erano peraltro davvero insostenibili: estrema promiscuità della popolazione presente in Opg, detenuti appartenenti, o sospetti di appartenere, a criminalità organizzata, cameroni da 10-15 posti, estrema riduzione di spazi e di risorse professionali sanitarie, celle permanentemente chiuse 20 ore al giorno, mancanza di progetti ed attività di riabilitazione, sia all'interno che all'esterno dell'Istituto, mancanza di attività o di laboratori interni e di ingresso della Comunità Sociale. Condizioni che rendevano insostenibile per i pazienti, e per gli operatori stessi, il regime di vita quotidiano. La riduzione del ricorso alla contenzione è stato pertanto un obiettivo fondamentale e specifico sia prima del 2008, con una serie di azioni di miglioramento interno e di contatto con la Società civile esterna, sia dopo il 2008 con transito del Servizio Sanitario alle Usl. La neoformata Uoc Salute in Carcere, che ha assunto il compito di cura delle persone internate, ha immediatamente formulato l'obiettivo di ridurre, fino ad azzerarla, la contenzione come numero di episodi e durata di ognuna di esse. Contestualmente si è lavorato per formulare una procedura, sulla scia di quelle già vigenti nelle Usl e nei Dsm, per formalizzare le modalità di intervento nelle crisi, non escludendo il ricorso alla contenzione ma prevedendo tutta una serie di interventi di "raffreddamento" e di azioni per la gestione delle "crisi", inclusa l'attivazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio, e la frequenza dei controlli da effettuare. La contenzione in Opg si era pertanto già molto ridotta ed anche in altri Opg era stata affrontata l' abolizione della contenzione (non ho notizie aggiornate se questo accada ancora o vi siano state modifiche). I dati delle schede degli obiettivi di budget mostrano un progressivo calo annuale, passando dai 48 casi del 2010 ai 17 del 2011, con una corrispettiva durata delle ore complessive e di ognuna di esse. In realtà la contenzione, mai del tutto esclusa, fu definitivamente abolita poiché la Commissione del Senato, nelle ripetute e varie ordinanze di sequestro emesse a carico della struttura, adottò nel 2011 il provvedimento di chiusura della stanza adoperata come contenzione, dichiarandola inadatta, poiché: "…priva di strumenti di monitoraggio a distanza e di segnalazione delle emergenze da parte del soggetto coercito, nonché irraggiungibile in maniera sollecita ed autonoma dal personale sanitario, essendo le chiavi di accesso nella esclusiva disponibilità del personale penitenziario". È curioso come tale provvedimento non escluda il ricorso alla contenzione ma ne preveda la disciplina secondo procedure sanitarie (peraltro è ben noto che i mezzi contenitivi sono usati nei Servizi Sanitari, e non solo in quelli della Psichiatria). È inoltre utile segnalare che nel Documento finale della medesima Commissione, in uno specifico paragrafo, si affronta il problema della contenzione in Opg e si ritiene tale strumento "anti terapeutico oltre che illegale" in quanto essa "…non può trovare automaticamente legittimazione nell'applicazione della misura di sicurezza…" e il ricorso all'art. 54 del Codice Penale ("….stato di necessità….."). Ad ogni buon conto il provvedimento della Commissione del Senato ha indotto, senza alcun indugio, la Direzione Opg a condividere l'obiettivo della Direzione Sanitaria Uoc sul fatto che, mancando questi requisiti, non era possibile adottare alcun provvedimento di contenzione o di limitazione personale in una situazione che non offriva alcuna garanzia di sicurezza al paziente ed al personale stesso. Non è stato facile rendere consapevoli tutti, personale sanitario e personale penitenziario, che la contenzione, attuata in un ambiente non pienamente e strutturalmente sanitario, non offre alcun valore o garanzia terapeutica (seppure qualcuno ne adombra un potenziale significato in tal senso). I tentativi di ricostituire la "stanza della contenzione" sono stati respinti ed alla d.ssa Tuoni riconosco l'indubbio merito di aver sostenuto, nei confronti delle componenti della parte penitenziaria, la necessità di provvedere in altri modi per garantire la sicurezza delle persone e degli operatori individuando forme di limitazione individuale personale per affrontare il problema della garanzia di sicurezza personale individuale del paziente e di sicurezza del personale tutto. È utile sottolineare che l'Opg è sempre stato un Istituto Penitenziario, e lo è diventato ancor più, in mancanza di una reale organizzazione strutturale ospedaliera, o minimamente residenziale comunitaria (analoga prescrizione di adeguamento dell'Opg era stata dettata dalla Commissione del Senato nel 2011 ma mai attuata nonostante le proposte avanzate). Infine la contenzione è stata definitivamente abolita: ma allora quello che si faceva prima era un intervento arbitrario o riconosceva le proprie basi nella necessità di tutela del paziente e del personale? Come si è ovviato dopo tale radicale modifica? La procedura aziendale concernente la gestione emergenze è stata arricchita introducendo il ricorso al Tso extra-ospedaliero per la somministrazione di terapie necessarie ed il ricovero in Spdc con il Trattamento Sanitario Obbligatorio Ospedaliero in caso di necessità di interventi non attuabili in Opg. In alcuni casi si è provveduto con il ricorso al Tso ospedaliero in Spdc, soluzione semplice che richiede il ricovero esterno del paziente, ma la presenza della scorta da parte della Polizia Penitenziaria In altri casi si è fatto ricorso al Tso extra ospedaliero, adottato nei locali sanitari (Ambulatorio od Infermeria) dell'Opg per la somministrazione di terapia e con la collaborazione del personale di Polizia Penitenziaria nell'eventuale uso necessario della persuasione e, solo raramente, con l'applicazione di forza fisica, in molti casi più paventata come deterrenza che come vera e propria concreta messa in atto Ambedue i provvedimenti sono divenuti oggetto di monitoraggio e di verifica inserendoli negli obiettivi della struttura operativa in quanto rappresentano indicatori di esito dei trattamenti terapeutici o comunque di presenza di fattori destabilizzanti ambientali extra terapeutici. Il gruppo che settimanalmente si riunisce per esaminare i "casi critici" monitora i singoli pazienti che presentano tale rischio e, ancora settimanalmente, si discute in equipe con i Capi Area della Direzione Penitenziaria per individuare le forme congiunte di azione e di miglioramento. Particolarmente frequente è invece diventato il ricorso a forme di "contenimento interno" adottate per prevenire e ridurre i rischi al personale o ad altri pazienti. Mi riferisco ai provvedimenti di chiusura delle celle, cioè di provvedimenti che determinano la compressione del regime di apertura della stanza che ordinariamente, come in ogni Comunità vera e nei Carceri a Custodia attenuata, dovrebbe essere aperta e consentire alla persona di circolare negli spazi comuni, determinando pertanto una conseguente limitazione negli spostamenti. Tali misure spesso non offrono garanzie rispetto al rischio di autolesionismo, anche grave, poiché la persona resta in una cella chiusa senza possibilità di gestire relazioni sociali. Ma chi, e come, gestisce questi provvedimenti? Il confronto con la Direzione Penitenziaria su questo aspetto è serrato, ed ancora aperto, poiché, allo stato attuale, per ogni provvedimento di chiusura della cella viene richiesta una proposta sostenuta da un "semplice certificato" del sanitario. Ciò avviene in molti casi spesso anche dopo che la chiusura della cella è stata già adottata dal personale di Polizia Penitenziaria per motivi di sicurezza, parola che nel Carcere spesso ingloba, rendendola priva di potere e significato, qualsiasi altra opinione. Non lo riteniamo una procedura condivisibile ma troveremo una soluzione soprattutto se si definiranno adeguatamente i profili di intervento e di responsabilità, particolarmente complessi in una situazione organizzativa non ancora chiaramente definita (e soprattutto transitoria visto che gli Opg saranno chiusi). Il carcere, e la pena che vi si sconta, rappresenta, già di per sé, una restrizione della libertà personale e la misura di sicurezza non è certo difforme da essa né esclude un analogo significato (l'internamento è in ogni caso una misura di restrizione della libertà personale e viene scontata in una struttura penitenziaria). Ma l'ulteriore limitazione, cioè la chiusura della cella, può essere sostenuta dall'esigenza di sicurezza determinata dal rischio di commissione di atti aggressivi nei confronti di altri pazienti, od operatori, ed anche nei confronti di sé stesso ? Nell'Uoc abbiamo avviato i processi di Gestione del Rischio Cinico, sulla scorta della Delibera Regionale n. 967 del 14.11.2011, approfondendo i temi della valutazione e del Management del rischio clinico ed introducendo, per ogni evento sentinella, l'analisi degli eventi tramite Audit e la proposta di azioni di miglioramento scaturite dal risk assessment. Gli eventi sono così frequenti che richiedono, e richiederanno, un focus specifico di approfondimento congiunto con l'Amministrazione Penitenziaria a tutti i livelli. Siamo pertanto arrivati all'adozione di differenziate forme di contenimento ambientale fisico, e non corporeo come la contenzione, ammesse dalla norma, seppure avvalorate dalle procedure e dalle norma di sicurezza del penitenziario. E cosa accade se la persona si rifiuta di entrare in cella o mette in atto condotte reattive e/o aggressive incomprimibili? È del tutto evidente che l'estrema ratio è rappresentata dall'uso della forza da parte del personale di Polizia Penitenziaria, pertanto altra forma di contenimento fisico, contemplata nell'art. 41 della Legge 354/75. Il ricorso al Tso in ospedale sarebbe pertanto la misura più idonea se non ci fossero evidenti limiti di tempo o di risorse di personale di accompagnamento (ometto di affrontare invece il problema delle risorse degli Spdc e della contaminazione della specifica sua funzione ma sarebbe utile conoscere il parere dei colleghi dei Servizi). Concludo facendo una manifestazione di intenti su alcune questioni chiave che chiariscano la mia posizione rispetto al problema contenzione, e non solo. Mi è sembrato più opportuno collocare tali considerazioni alla fine dell'articolo ("in cauda venenum") e non all'inizio dell'articolo come forma di premessa. A) Gli Opg devono chiudere, senza se, senza ma e, soprattutto, senza indugio od altre disastrose proroghe; non voglio con questo dire che non sia necessario tempo per chiudere gli Opg ma dettare la tempistica di un operazione solo come annuncio, senza avere certezze dei tempi di attuazione, è un operazione priva di sostanza ed assomiglia molto alla molteplice posa delle "prime pietre" di opere senza certezza di realizzazione. Mi auguro che non sia così davvero B) Sono necessarie strutture sanitarie, non manicomi ma comunque strutture terapeutiche di cura e di assistenza, che si facciamo carico delle persone con malattia mentale, autori di reato, nella fase in cui viene disposta misura detentiva o non sia possibile l'accoglienza in strutture residenziali dei Servizi. C) la contenzione non serve né può a mio parere essere considerata un atto sanitario ma solo una extrema ratio, e limitata come tempo, per consentire l'adozione di misure di trattamento più idonee a risolvere stati acuti patologici che possono creare o accrescere il rischio di gesti aggressivi. D) L'abolizione della contenzione negli Spdc, campo dove non sussistendo il tema della responsabilità rispetto alla prevenzione di comportamenti da parte di soggetti ritenuti già socialmente pericolosi, è prevista già dal Documento della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome n. 10/081/CR07/C7 del 29 luglio 2010 che elabora specifiche raccomandazioni e strategie per la prevenzione del ricorso alla contenzione in psichiatria. Siamo in un campo non giudiziario e pertanto non sussiste, se non in forma specifica, il problema della responsabilità rispetto ad una già accertata e pronunciata pericolosità sociale giuridico penale, come nel caso di pazienti sottoposti a misure di sicurezza F) I Dipartimenti di Salute Mentale devono farsi carico della salute mentale dei detenuti con problemi psichici presenti negli Istituti Penitenziari del loro territorio. Intervenire non solo con le terapie psichiatriche ma, soprattutto, come promotori di interventi di prevenzione dei danni psichici e di promozione della salute mentale, attuati da tutti i soggetti che operano in carcere, per migliorare le condizioni di vita, ossia le vere cause del numero elevatissimo di detenuti con patologia psichica registrato dalla recente ricerca dell'Agenzia Regionale della Toscana. Mi auguro che questo scritto inviterà a raccogliere lo stimolo al dibattito promosso dalla D.ssa Tuoni producendo dati e prevedendo un monitoraggio del ricorso alla contenzione e degli eventi sentinella previsti nella Gestione Rischio Clinico. *Psichiatra, Criminologo, Direttore Uoc Salute Mentale in Carcere Usl 11 Opg Montelupo Fiorentino - Ccf Empoli, Coordinatore Tavolo di bacino interregionale ,Coordinatore sottogruppo regionale per il superamento Opg Molise: approvato provvedimento su prevenzione tentativi suicidari da parte dei detenuti di Elisa Signoretti www.infooggi.it, 27 agosto 2013 Dopo la pausa ferragostana, l'Esecutivo regionale è di nuovo al lavoro: nella seduta di ieri, è stato approvato, su proposta dell'assessore alle Politiche sociali, Michele Petraroia, un importante provvedimento finalizzato alla definizione delle linee di indirizzo per l'individuazione di procedure condivise ed uniformi nell'adozione di strumenti di prevenzione dei tentativi suicidari da parte dei detenuti inseriti negli istituti penitenziari e nelle strutture minorili della nostra regione. "Un atto - ha affermato il vicepresidente della Giunta, Michele Petraroia - che dimostra grande sensibilità da parte dei vertici istituzionali dell'Amministrazione regionale e una spiccata attenzione nei confronti dello stato di salute di chi vive, anche nel nostro Molise, condizioni di disturbo e di disagio psicologico". Il provvedimento recepisce il "Programma per la prevenzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale", un programma condiviso ed approvato all'unanimità, lo scorso 27 maggio, dall'Osservatorio regionale permanente sulla Sanità penitenziaria, organismo del quale fanno parte rappresentanti dell'Assessorato alle Politiche per la salute, dell'Azienda sanitaria e dell'Amministrazione penitenziaria. La realizzazione di tale programma prevede una serie di protocolli locali tra Asrem ed Istituti penitenziari/strutture minorili, all'interno dei quali, tenuto conto della tipologia di utenza e del contesto ambientale, dovranno essere predisposte una serie di misure atte ad incentivare l'integrazione tra interventi sanitari, sociali ed educativi a favore del detenuto, con l'obiettivo principale di prevenire tentativi di suicidio o di atti autolesivi in ambito penitenziario. La metodologia individuata consiste nell'effettuare, in ingresso, anche attraverso l'ausilio di schede specifiche allegate alla delibera approvata dalla Giunta del Molise, una valutazione complessiva del recluso che permetta di evidenziare le criticità e i propri bisogni assistenziali per poter, successivamente, sviluppare un piano di accoglienza qualificato attraverso cui predisporre percorsi ad hoc di reinserimento sociale. Fondamentale importanza è stata data, all'interno del Programma operativo, alla fase di monitoraggio e gestione del rischio clinico attraverso strumenti epidemiologici opportunamente contestualizzati. Ogni protocollo locale, inoltre, dovrà prevedere la formazione specifica del personale sanitario e dell'amministrazione penitenziaria sulle condotte suicidarie. "La nostra intenzione attraverso questo programma - ha concluso l'assessore alle Politiche sociali - è che si possa mettere in piedi un sistema in cui al concetto di "sorveglianza" si affianchi, in un percorso parallelo, quello di "sostegno" del detenuto, il quale potrà beneficiare di un'accoglienza estesa a tutto il corso della sua permanenza in carcere e non solo alle prime fasi della detenzione e che possa rendere la vita carceraria meno traumatica di quanto già sia". Il "Programma operativo per la prevenzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale" rientra nell'ambito di una serie di iniziative rivolte ai detenuti presenti nelle carceri molisane, avviate con l'approvazione delle "Linee guida per la Carta dei Servizi sanitari degli Istituti penitenziari molisani" da parte della Giunta regionale del Molise lo scorso 25 giugno, e che hanno fortemente motivato l'assessore alle Politiche sociali, Michele Petraroia, a visitare lo scorso 28 aprile il carcere di Larino e l'8 agosto quello di Campobasso. Ascoli Piceno: Uil-Pa; 9 detenuti in celle da 4, carcere sovraffollato e in grave difficoltà Adnkronos, 27 agosto 2013 "Ascoli Piceno, oggi, è soprattutto un carcere sovraffollato e in grave difficoltà". Lo denuncia in una nota Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa penitenziari, al termine della visita effettuata stamane presso la struttura penitenziaria di Marino del Tronto. "Abbiamo potuto documentare in 40 fotografie tutte le criticità del penitenziario di via dei Meli, non solo la mancanza di spazi nelle celle (in stanze per quattro sono stipati nove detenuti), ma anche le indecorose condizioni di lavoro della polizia penitenziaria, le cui postazioni sono costituite generalmente da tavolini e sedie poste nei corridoi degli ambienti detentivi". Sarno denuncia inoltre la mancanza di letti "per i nuovi giunti" che - riferisce - "ha costretto i responsabili del carcere a ricavare cuscini di fortuna ritagliando materassi in fuori uso". E ancora: "In una struttura che ospita 44 detenuti sottoposti al 41 bis che ha un'area riservata, in cui sono ospitati 2 soggetti di punta della criminalità organizzata, non è concepibile che si debba ricorrere ad un numero esorbitante di visite specialistiche esterne". "Occorre prevedere uno spazio di ospedalizzazione, anche per limitare gli effetti sull'ordine pubblico causato dagli spostamenti dei 41bis". "È del tutto evidente - prosegue il sindacalista - che anche il gap organico della polizia penitenziaria genera squilibri operativi. Non di meno - conclude - l'attività del nucleo traduzioni e piantonamenti afferma ricadute sull'operatività dell'intera struttura. Dall'1 gennaio al 30 giugno del 2013 sono state effettuate 306 traduzioni per un totale di 448 detenuti tradotti (di cui 38 41bis) per un impiego totale di 1151 unità di polizia penitenziaria". Gli esiti della visita - informa la nota - saranno illustrati da Sarno in una conferenza stampa, prevista per domani alle 10, davanti al piazzale del carcere ascolano, durante la quale verrà distribuito copia del servizio fotografico effettuato nel corso della visita di oggi. Palermo: Osapp; l'Ucciardone è un carcere a rischio, per insufficienza di agenti di Patrizia Penna Quotidiano di Sicilia, 27 agosto 2013 L'allarme arriva dal segretario generale aggiunto dell'Osapp, Domenico Nicotra. Timori per l'ordine e la sicurezza penitenziaria della struttura palermitana. "L'ordine e la sicurezza penitenziaria del carcere palermitano Ucciardone sono a rischio per l'insufficienza di poliziotti penitenziari". Lo dice il segretario generale aggiunto dell'Osapp, Domenico Nicotra, secondo il quale "l'ormai esiguo personale in servizio nell'istituto palermitano non riesce più a garantire i livelli minimi di sicurezza". "È gravissimo - continua - che un importante presidio di sicurezza qual è un istituto penitenziario non possa adempiere al proprio mandato e questo perché negli ultimi anni nessun significativo incremento di poliziotti penitenziari sia stato disposto dal Dap". L'allarme lanciato dal segretario Osapp Nicotra, resterà anch'esso inascoltato? Non c'è dubbio che quasi sicuramente esso resterà lettera morta eppure è ormai fin troppo evidente che, non solo all'Ucciardone, ma in tutte le strutture carcerarie italiane, il dramma vissuto al di qua e al di là delle sbarre, ha pari gravità e desta in egual modo crescente preoccupazione. Se la situazione dei detenuti, infatti, tra sovraffollamento e carenze igienico-sanitarie è divenuta ormai insostenibile e la condanna dell'Ue in tal senso è giunta senza appello, come un coro unanime, quella degli agenti penitenziari (gli "altri detenuti") non è di certo migliore: sottodimensionamento, stress, turni insostenibili e supporto psicologico carente costituiscono problematiche comuni all'intera categoria, la cui vita lavorativa è divenuta ormai impossibile. I numerosi casi di suicidio tra i poliziotti rappresentano la manifestazione più drammatica ed evidente del fatto che i penitenziari sono divenuti strutture invivibili sotto tutti i profili: umano e lavorativo. Pochi agenti penitenziari, troppi detenuti: le carceri italiane sono sempre più bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Caserta: il senatore Pdl D'Anna e i Radicali visitano il carcere di S. Maria Capua Vetere www.pupia.tv, 27 agosto 2013 Ieri, 26 agosto, il senatore del Pdl Vincenzo D'Anna, accompagnato da Luca Bove, segretario dell'associazione "Legalità & Trasparenza" dei Radicali Caserta, e da Domenico Letizia, dei Radicali Italiani, ha effettuato una visita ispettiva al carcere di Santa Maria Capua Vetere. D'Anna e i radicali casertani sono stati accolti dalla direttrice della struttura, la dottoressa Carlotta Giaquinto, che ha fornito un elenco di dati, molto importanti, tra cui risalta, purtroppo, il sovraffollamento all'interno della casa circondariale, infatti la struttura ha una capienza regolamentare di 600 unità e attualmente ospita 940 detenuti tra cui il 30% di stranieri e il 25% tossici dipendenti. Nonostante i progressi fatti negli ultimi 12 mesi la nuova casa circondariale sammaritana resta sprovvista di un diretto collegamento con la rete idrica della città, ciò comporta un uso razionato dell'acqua creando non pochi disagi soprattutto nei mesi estivi. Ma ci sono anche delle notizie positive. Infatti, la dottoressa Giaquinto ha dichiarato che a breve una parte dei detenuti potranno iniziare dei lavori di pubblica utilità per il comune di San Tammaro, distante pochi chilometri dalla struttura. Inoltre, il senatore D'Anna ha comunicato alla direttrice che donerà alla struttura un abbonamento alla tv cavo satellitare a uso dei detenuti, iniziativa intrapresa anche in altre strutture penitenziarie della Campania. "Ringraziamo il senatore D'Anna che ha effettuato la visita ispettiva e ringraziamo la dottoressa Giaquinto che si è resa disponibile a sbrigare tutte le pratiche burocratiche per effettuare all'interno della struttura la raccolta delle firme a sostegno dei 12 referendum radicali, che effettueremo nei prossimi giorni", dichiarano Bove e Letizia. Venezia: da domani "temporary shop" dedicato alla sartoria del carcere della Giudecca di Barbara Ganz Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2013 Sarà inaugurato domani alle 10, e resterà operativo per tutta la durata della mostra del Cinema di Venezia, sempre fino a sera inoltrata: abiti, giacche e borse di svariati modelli, ma anche vestiti ispirati al 700 veneziano rivisitato, tutti realizzati all'interno della Casa di reclusione femminile della Giudec-ca, in centro storico, e per l'occasione in trasferta in una sorta di temporary shop, proprio di fronte all'hotel Excelsior. Fra sartoria e lavanderia sono circa 20 le persone che lavorano in carcere: quattro stanno imparando tramite "borse lavoro" finanziate dall'amministrazione comunale, altre sono ormai esperte: "Abbiamo già clienti che ci conoscono da anni: francesi, americane, austriache e tedesche. E già l'anno scorso molte giornaliste straniere che seguivano la Mostra al Lido venivano a vestirsi da noi" racconta Gianni Trevisan, presidente della Cooperativa Il Cerchio che oggi è composta da 160 soci, 29 volontari e 131 lavoratori, più della metà provenienti da pene alternative (semilibertà, domiciliari). Un'esperienza che non si limita a un periodo -oltre 30 le ex detenute che sono rimaste nell'ambito della coop - mentre tutti i dati mostrano l'importanza del fattore lavoro per il reinserimento sociale e la minore frequenza di recidive. L'inizio è stato con la produzione di borse - ognuna un pezzo unico - lavorate sulla base del campionario di tessuti Ru-belli, storica azienda tessile veneziana. Dal 2003 la produzione della sartoria viene esposta nel negozio Banco Lotto n. 10, in Salizada S. Antonin (Castello 3478/a): "Quest'anno abbiamo una linea di abiti ispirato agli anni Cinquanta, con gonne a ruota, tessuti di pregio, e la domanda rispetto alla scorsa stagione è raddoppiata - racconta Trevisan. Lavorando come sartoria non abbiamo rese. Ora la presenza nei giorni in cui Venezia è capitale dello spettacolo ci permetterà di farci conoscere meglio: un grazie alla delegazione della Biennale, che ha dimostrato ancora una volta sensibilità e la volontà di rafforzare il rapporto con la città e gli istituti penitenziari che ne sono parte integrante". I prezzi dei pezzi in vendita partono da che a 150-200 euro, a salire a seconda del modello e del tessuto impiegato. La sartoria ha in corso collaborazioni anche con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia e con Fortuny. Frosinone: Sappe; evade un detenuto con il permesso di lavoro all'esterno Il Messaggero, 27 agosto 2013 Un detenuto straniero ammesso a lavoro all'esterno è evaso e non ha più fatto rientro nel carcere di Frosinone. Sull'episodio Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, commenta: "Il mancato rientro di un detenuto straniero (fine pena 2015) che era ammesso al lavoro all'esterno del carcere rientra purtroppo tra gli eventi critici che possono accadere. Ma questo non deve certo inficiare l'istituto della concessione di permessi ai detenuti, anche perché gli episodi di evasione sono minimi, ma è evidente che c'è sempre qualcuno che se ne approfitta: nel 2012 sono state complessivamente 13 le evasioni commessa da soggetti ammessi al lavoro all'esterno, come in questo caso, 14 quelle poste in essere da Istituti di pena, 55 dopo aver fruito di permessi premio e 27 dalla semilibertà". Capece sottolinea il Sappe ha sollecitato il Ministro Cancellieri a mettere sul terreno idonee soluzioni alle criticità penitenziarie. "L'allarmante e costante dato di oltre 20mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare di 43mila posti letto impone l'adozione di provvedimenti urgenti. Noi ci appelliamo ai ministri dell'Interno Alfano, già Guardasigilli, e della Giustizia Cancellieri perché riprendano dai cassetti quello schema di decreto che prevede l'utilizzo della Polizia Penitenziaria all'interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione". Orvieto (Pg): Associazione Umbria Folk porta in carcere un momento di musica e allegria www.atlantidemagazine.it, 27 agosto 2013 Difficile prevederne fino in fondo gli esiti, tanto che la sorpresa non si è fatta attendere. La sala del teatro della Casa di Reclusione di Orvieto era gremita. Purgatorio Sud. Musiche dal profondo dell'anima stava per avere inizio. Gran parte dei 130 detenuti hanno preso posto con ordine. La Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini ha chiesto umilmente di poter presenziare e a lei si sono aggiunti il Sindaco di Orvieto Antonio Còncina, l'Assessore Marco Marino, il Presidente del Consiglio Comunale Marco Frizza, l'ex Assessore Loriana Stella. La manifestazione, autorizzata dal Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, rappresentato per l'Umbria dal Dirigente Settimio Monetini, ha avuto nel Direttore del carcere Luca Sardella, nel Comandante Enrico Gregori, nel vice comandante Giovanni Virgilio, nel Coordinatore della Segreteria di Sicurezza Fabrizio Bonino e nel corpo di Polizia Penitenziaria al completo una fattiva collaborazione. L'idea di offrire un concerto di alta qualità alla popolazione detenuta è venuta, in primis, al Presidente dell'Associazione Umbria Folk Raffaele Ferrazza e alla sua vice Lucia Gismondi, che hanno trovato nei dirigenti della Casa di Reclusione validissima sponda. Nella veloce presentazione di Giuseppe Baiocco, autore drammatico e narratore, da ventiquattro anni psicologo precario nel penitenziario di Orvieto, è stato ricordato che dagli anni Venti si procedette alla ristrutturazione di un vecchio convento realizzando una struttura che aveva previsto sin dall'inizio la dotazione di un teatro. Penitenziario che dopo Asl e Comune è il maggior ente pubblico della città come forza lavoro impiegata, oltre cento unità fra agenti, amministratori, educatori, psicologi, assistenti sociali, cappellano, volontari, medici, infettivologi, dentisti, infermieri, oltre all'indotto comprendente le aziende che forniscono prodotti alimentari e di servizio. Una città nella città. Ambrogio Sparagna, artista di livello internazionale, ha dato il via al suo concerto, accompagnato dall'Orchestra Giovanile Popolare, ed è stato subito accolto da autentico calore. Nel finale dell'apprezzatissimo concerto i detenuti hanno chiesto a gran voce che uno di loro potesse esibirsi. Sparagna ha accettato volentieri e quello che chiameremo Franco, per comodità, ha eseguito un brano da sceneggiata napoletana, con i musicisti che, improvvisando, lo hanno accompagnato. Alla fine un boato ha accolto "Franco" e l'intero gruppo di artisti, segnando un punto di congiunzione in qualche modo paradigmatico. La società esterna che entra in carcere, in questo caso musicisti di Umbria Folk Festival, in corso in città, porta il suo contributo e accetta volentieri di riprendere insieme un percorso che era stato interrotto per motivi di giustizia. In fondo un augurio. Visto il gradimento congiunto non è da escludere, nel tempo, qualche altra iniziativa artistica che coinvolga la popolazione detenuta. Al concerto hanno presenziato troupe di Rai Uno Mattina, Rai 3, Tele Orvieto Web.