Condannato, fa lo sciopero della fame. Ristretti Orizzonti gli chiede di fermarsi Il Mattino di Padova, 26 agosto 2013 C’è un uomo che nel carcere di Padova ha deciso di mettere a rischio la sua vita con uno sciopero della fame: quell’uomo, Roverto Cobertera, sostiene di essere innocente e di aver subito ingiustamente una condanna all’ergastolo. Ha già perso sedici chili, fatica a parlare, è diventato uno spettro. Noi della redazione di Ristretti Orizzonti gli chiediamo pubblicamente di fermarsi, di non lasciarsi morire, e lo chiediamo con una lettera aperta alla presidente della Camera, e le testimonianze di chi, nella redazione del giornale del carcere di Padova, è in ansia per la vita di Roverto. Gentile Presidente della Camera, gentile Laura Boldrini… Gentile Presidente della Camera, gentile Laura Boldrini, Le chiediamo di fare qualcosa per un uomo, che nel carcere di Padova sta rinunciando al suo diritto alla vita per dimostrare la propria innocenza: lo inviti a interrompere il suo sciopero della fame, siamo sicuri che un suo cenno sarebbe per lui importantissimo Quando il 4 luglio 2013 Roverto Cobertera ha iniziato lo sciopero della fame, speravamo che qualcosa succedesse, che qualcuno gli prestasse attenzione, qualcuno capisse che, se un uomo è disposto a mettere in gioco la sua vita per gridare la sua innocenza, forse si è conquistato per lo meno il diritto di essere ascoltato. Roverto è uno della nostra redazione, un uomo che, da quando è entrato a far parte del nostro gruppo, non ha mai smesso di dire di non aver commesso l’omicidio, per cui è stato condannato allìergastolo. È passato un mese e mezzo, Roverto pesava 82 chili, oggi ne pesa sedici di meno, e fa paura: è tutto pelle e ossa, ma ha ancora il suo sorriso triste che risalta contro la pelle nera. E noi della redazione di Ristretti Orizzonti oggi abbiamo paura, perché non sappiamo quanto resisterà. E gli chiediamo con tutto il cuore di smetterla, di fermarsi, di non rinunciare a vivere perché deve esserci un altro modo per lottare per affermare la propria innocenza. Roverto ha avuto in primo grado una condanna a 24 anni per omicidio, che in appello è diventata un ergastolo, fine pena mai. Si ironizza spesso che in galera si sentono tutti innocenti, nella redazione di Ristretti Orizzonti non è così, le persone si assumono le loro responsabilità, e lo fanno anche davanti a centinaia di studenti che ogni anno entrano in carcere e ascoltano le loro testimonianze. Dunque se una persona lì dentro dice di essere innocente, non è una fra tanti che non hanno voglia di sentirsi responsabili, e se quella persona è disposta a mettere a rischio la sua vita per dimostrarlo, noi continuiamo a dire che quella persona è particolarmente degna di attenzione. Gentile Presidente della Camera, gentile Laura Boldrini, chiediamo prima di tutto a lei, che da anni si batte per la tutela dei diritti umani, di dare un segnale forte di attenzione anche al diritto alla vita di un singolo uomo, così disperato che alla vita invece vuole rinunciare, in cambio di un po’ di giustizia. Il segnale che vorremmo è un invito, un piccolo invito a Roverto Cobertera a tornare a vivere, e a sperare di cambiare le cose senza dover dare in cambio la propria vita. Agli altri, a chi ha a cuore i diritti di tutti, chiediamo invece: qualcosa si può fare perché si riapra un processo, che si è concluso con una condanna senza speranza? Qualcuno può aiutare Roverto? Qualcuno può prendere in mano le carte del suo processo e, se si convince che ci sono elementi seri per provare che quella condanna è ingiusta, prendersi a cuore il suo caso e dargli una mano? La redazione di Ristretti Orizzonti Vale più la libertà o la salute? Vale più la libertà o la salute? Questa è una domanda che si pone chiunque inizia uno sciopero della fame in carcere. Di solito lo scopo dello sciopero è richiamare l’attenzione delle autorità verso problemi che non hanno trovato soluzione attraverso le “strade normali”, tracciate dal sistema. Lo sciopero della fame quindi è spesso legato a questioni complicate, che non sempre si risolvono in tempi rapidi: e il tempo, che diventa il fattore decisivo, sta remando contro anche a Roverto che si trova in sciopero ormai da più di un mese e mezzo perché vorrebbe un altro processo per provare la sua innocenza. Sicuramente la sua condanna non è stata limpida. Roverto viene condannato in primo grado a 24 anni per concorso in omicidio. Fa ricorso in appello ma la condanna si traduce in un ergastolo. Ora Roverto dice che preferisce morire urlando la propria innocenza, piuttosto che rassegnarsi ad una silenziosa condanna a vita. Ho conosciuto diversi ragazzi che hanno trascorso settimane nel rifiuto totale del cibo. Si tratta di un processo autodistruttivo fisico e psicologico: da un lato, la rabbia lascia il posto alla rassegnazione mentre la voce si spegne sempre di più, la fame aggredisce la massa muscolare e quella grassa, mentre la ritenzione idrica gonfia in modo poco umano caviglie e piedi. Per fortuna i ragazzi che ho conosciuto alla fine sono stati ascoltati. Tuttavia, pur nella tragedia evitata, il costo pagato in termini di salute è sempre alto. Quando sono ritornati a mangiare si sono accorti dei danni fatti al proprio fisico. Riattivare l’apparato digestivo è doloroso e ti accorgi che denti, gola, stomaco e intestino sono tutti atrofizzati. Consapevole degli effetti che produce lo sciopero, l’ultima volta che ho visto Roverto, dopo aver cercato inutilmente di convincerlo a rinunciare a farsi male, l’ho pregato di pensare almeno di ridurre il danno alla sua salute. L’ho consigliato di assumere con regolarità olio di ricino, per tenere lubrificato l’intestino. Si è convinto ed è andato dal medico scoprendo che l’olio di ricino non è più disponibile. Con le vacanze estive, in carcere sono sospese le attività culturali, la scuola e i vari corsi: camminando nei corridoi si ha l’impressione che si sia fermata la vita di tutto il carcere. Roverto invece continua a vivere, ma per quanto? La settimana scorsa sono venuti a trovarlo il nonno di cento anni e la moglie con le figlie. Facile immaginare il loro spavento e le loro preghiere di smetterla con lo sciopero; comprensibile anche capire l’ostinazione di chi si sente piccolo e schiacciato dalla macchina gigante della giustizia, ma vuole rialzarsi e avere una rivincita. Roverto ha deciso di usare il suo corpo e di sacrificare la sua salute per avere un altro processo. Ma il pericolo è che finisca per sacrificare la vita. In Italia la revisione del processo è molto difficile: basti pensare che solo da pochissimo tempo è stato affermato il principio che quando la Corte europea rileva delle cause di non equità del processo, allora il processo deve essere rifatto. Una strada che potrebbe percorrere anche Roverto, solo che un processo alla Corte di Strasburgo dura circa quattro anni, un tempo davvero lungo per chi grida ogni notte la propria innocenza. Elton Kalica Il sogno di una giustizia giusta Roverto Cobertera è un detenuto condannato all’ergastolo, un uomo di 50 anni di origine domenicana. È in carcere da 4 anni e non ha mai smesso di proclamare la sua innocenza. Sappiamo tutti che noi detenuti, per lo meno all’inizio della detenzione, gridiamo spesso la nostra estraneità ai fatti di cui veniamo accusati, ma poi ci si rassegna, la maggior parte perché si è veramente colpevoli, in altri casi perché non ti crede nessuno, e ti ritrovi solo. Roverto NO! Lui ha deciso di combattere e ha incominciato uno sciopero della fame e della sete per attirare l’attenzione sulla sua storia, cercando di trovare una persona che riponga fiducia in lui, che creda veramente in un sistema dove la giustizia alla fine vince. Vorrei cercare di farvi capire che in realtà però viviamo in un sistema molto bravo a trovare colpevoli, ma incapace di ammettere che a volte può sbagliare, e per non ammetterlo butta in un dimenticatoio degli esseri umani che appartengono di diritto alla società. Se sei uno “che conta”, il potere è quello che ti può permettere di combattere, che ti dà la forza necessaria per andare avanti in una battaglia personale, ma chi non ha questo potere? Allora io chiedo a uno di questi “potenti” di aiutare Roverto a cercare la verità. La storia di Roverto è pubblica su internet, e con un po’ di attenzione si capisce che ci sono tante incongruenze, troppe cose poco chiare. Io non sono molto pratico di quanto un essere umano possa resistere a non mangiare e bere, ma so che si può morire. Io sono colpevole dei miei reati, dunque non troverei mai la forza per affrontare una protesta del genere, per questo vorrei che venisse presa seriamente la protesta di Roverto cercando di scoprire la verità, se no a cosa serve la giustizia? Lorenzo Sciacca Urla d’innocenza fra le sbarre Roverto Cobertera è nato all’estero ed ha doppia cittadinanza statunitense e domenicana. È detenuto nel carcere di Padova. È stato condannato alla “Pena di Morte Viva” (così viene chiamata da noi ergastolani la pena perpetua). É un uomo di colore e forse anche questo ha pesato sulla sua condanna perché lo straniero e per giunta nero è il colpevole ideale. Roverto Cobertera, ha i capelli neri come il carbone e un sorriso di luce sempre stampato sulle labbra. L’ho incontrato nella Redazione di “Ristretti Orizzonti” e sapendo dei miei studi universitari di giurisprudenza lui mi ha passato le sue carte processuali. Dopo qualche tempo ho letto la motivazione del primo grado e dell’appello e mi sono fortemente convinto della sua innocenza, perché conosco molto bene la differenza fra la verità vera e quella processuale. Roverto Cobertera ha deciso da qualche tempo di dimostrare la sua innocenza con la propria vita, l’unica cosa che gli è rimasta. Dal quattro luglio ha iniziato uno sciopero della fame per urlare la sua innocenza fra le sbarre. Ed è disposto a morire per ritornare dalla sua famiglia e dai suoi meravigliosi figli. Io non posso fare altro che trasmettere tutta la mia solidarietà, da uomo ombra, a Roverto Cobertera. E sostenere la sua battaglia perché venga provata la sua innocenza fra le sbarre con la speranza che qualcuno al di là dal muro di cinta ascolti e senta le grida di una persona che con la sua protesta afferma con forza che preferisce morire da innocente che vivere da colpevole. Carmelo Musumeci Giustizia: emergenza carceri, l’incubo dei reclusi non sembra avere mai fine di Marta Rizzo La Repubblica, 26 agosto 2013 I dati dell’Associazione Antigone. La piaga del sovraffollamento è tutt’altro che sanata: oltre 17 mila persone in più di quante dovrebbero essercene affollano le celle dei penitenziari italiani. I richiami della Corte Europea cadono nel vuoto. I rischi per la salute dei detenuti. All’inizio di questo mese i detenuti dei penitenziari italiani erano 64.873, 17.414 in più della capienza ufficiale. Secondo le stime dell’Associazione Antigone, i posti letto sono ben inferiori ai 40.000 dichiarati. Poco meno di 30.000 persone vivono in spazi ritenuti degradanti dalla Corte di Strasburgo, che prevede regole molto chiare rispetto alla capienza e agli spazi da garantire a chi sconta una pena. Inoltre, i lunghi tempi burocratici accorciano la vita dei detenuti malati. Il numero dei detenuti non cala. Le presenze di reclusi nelle carceri italiane hanno smesso di crescere, ma non sono certo calate in modo significativo. Quale sia poi la capienza effettiva delle nostre carceri, questo nessuno lo sa, ma anche da documenti ufficiali del Ministero della Giustizia, si sa che il dato ufficiale è ampiamente sovrastimato, mentre il piano straordinario di edilizia penitenziaria continua a non produrre effetti. Secondo le valutazioni di Antigone, il numero di posti letto è di molto inferiore a 40.000, il che stabilisce un tasso di sovraffollamento più alto di tutta la UE. Nelle carceri italiane la media dei detenuti è circa 170, ma i posti letto non sono mai più di 100. Poco meno di 30 mila persone quindi vivono in spazi ritenuti degradanti dalla Corte di Strasburgo. L’Italia vìola la Convenzione europea. Per la Corte Europea non prevedere almeno 3 metri quadri a persona nei luoghi di detenzione comporta la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea del 1950 sui diritti umani, che proibisce la tortura e ogni forma di trattamento inumano o degradante. Sono, ad oggi, molte centinaia i ricorsi pendenti per questioni legate allo spazio insufficiente nei penitenziari italiani (150 dei quali presenti dall’Associazione Antigone). La valutazione di questi ricorsi è al momento bloccata nell’esame da parte della Corte europea in attesa che l’Italia assuma provvedimenti sistemici. Le accuse da Strasburgo. Entro maggio 2014 le nostre case circondariali dovranno necessariamente contenere tanti detenuti quanti saranno i posti letto a disposizione, in modo tale da porre fine allo scempio dei 30.000 carcerati che non possono civilmente seguire le norme stabilite al livello internazionale. La Corte di Strasburgo, al riguardo, accusa il nostro paese di essere l’ultimo nella Ue a garantire una decenza umana nelle carceri. Se non verranno presi provvedimenti seri a riguardo, fioccheranno centinaia di denunce dalla Corte Europea e se tutti e 30.000 i detenuti senza spazio vitale dovessero fare ricorso, il nostro Stato dovrebbe spendere circa 450 milioni di euro a titolo di risarcimento. Ritardi e carenze per la tutela della salute. Tra i tanti problemi che il sovraffollamento carcerario comporta, uno dei più delicati è quello della salute delle persone detenute, accentuato dalla mancata soluzione di alcuni gravi problemi emersi da quando la competenza della sanità dei ristretti è passata, nel 2008, dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale (SSN). “Al trasferimento della sanità penitenziaria alle Ssn - spiega Fiorentina Barbieri, coordinatrice dello Sportello di tutela dei diritti di Antigone del carcere di Roma Rebibbia Nuovo Complesso - non ha fatto seguito un’adeguata pianificazione della gestione del settore da parte della Asl. Accade quindi che i ritardi e le carenze nell’assistenza dei malati acuti e cronici, le gravi carenze nelle attività di riabilitazione, le modalità inadeguate di distribuzione dei farmaci”. Tutto questo solo a Rebibbia, con i suoi quasi 1.800 detenuti, 1/3 dei quali oltre la capienza regolamentare. Alcuni casi dei malati di Rebibbia. R. N. è un italiano di 54 anni, con sospetto tumore alla prostata, che attende da gennaio di eseguire una biopsia prostatica necessaria per la diagnosi. D. I., straniero di 37 anni, profondamente depresso, è affetto da glaucoma bilaterale, totalmente cieco all’occhio destro, con parziale capacità visiva all’occhio sinistro e che da mesi non effettua alcuna terapia né è sottoposto a nessuna visita specialistica. H. I., italiano di 49 anni, zoppica per una frattura pluri frammentata al femore sinistro, ha subito diverse operazioni con trapianto d’osso, è alloggiato in cella con altre 5 persone e bagno alla turca, di cui non riesce a usufruire. C.I. straniero fi 41 anni, non cammina a causa di interventi precedenti alla colonna vertebrale, convive con forti dolori, ma non è sottoposto ad alcuna fisioterapia né a terapia del dolore, se non con analgesici generici. Detenuti abbandonati nel resto d’Italia. L’inefficienza sanitaria dei nostri penitenziari non riguarda solo Rebibbia ma tutta Italia. Dal carcere di Messina, Q.V., italiano di 34 anni, è affetto da una rara malattia alle spina dorsale che gli ha procurato una definitiva paralisi agli arti inferiori; è interessato poi da incontinenza orinaria e fecale, ma dichiara di non essere visitato da oltre 3 mesi. Da Poggioreale, scrive D.G., affetto da neoplasia vescicale, chiede di essere curato per evitare la perdita dell’arto inferiore destro. D.P., detenuto obeso di quasi 200 chili racconta di essere stato prima alloggiato a San Vittore in una cella al quarto piano senza uso di ascensore, con bagno alla turca, è stato poi trasferito a Opera, in una cella con un accesso al bagno troppo piccolo e, successivamente, spostato a San Gimignano, a 500 chilometri di distanza dai propri parenti, tutti residenti a Milano e costretto a dormire in un letto a castello molto stretto. Giustizia: le condizioni della detenzione in Italia… nuova legge, antichi mali di Laura Coci Il Cittadino, 26 agosto 2013 Il 20 agosto, giorno successivo alla pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”, è divenuta esecutiva la cosiddetta legge “svuota-carceri” - disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena -, ovvero il decreto presentato dal Presidente del Consiglio Enrico Letta e dal Ministro della giustizia Annamaria Cancellieri il 1° luglio, convertito nella legge 94/2013 il 9 agosto, a conclusione di un iter parlamentare durato poco più di un mese. Le ragioni di questo percorso insolitamente celere, specie se in relazione ai tempi lunghissimi della giustizia italiana, sono ben evidenziate all’interno del testo dalle parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che rileva “il perdurare del sovraffollamento delle carceri e il conseguente stato di tensione all’interno degli istituti”; l’insufficienza dei dispositivi - altrettanti “svuota-carceri” - introdotti tra il novembre 2010 e il febbraio 2012; il mancato completamento del “piano straordinario penitenziario” e la mancata adozione della “riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione”; il termine perentorio di un anno che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza dell’8 gennaio 2013, ha assegnato allo Stato italiano per “procedere all’adozione delle misure necessarie a porre rimedio alla constatata violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti”: tale è infatti il sovraffollamento, male ormai antico delle carceri italiane. Ecco, dunque, le ragioni dell’inconsueta celerità nell’adozione di misure per ridurre il numero delle persone detenute e internate, introducendo contestualmente modifiche alle norme del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario: ragioni non solo umanitarie (per quanto l’umanità dovrebbe essere pratica della politica), ma anche e soprattutto giuridiche, tese a evitare al nostro paese una nuova condanna. Al 30 giugno scorso la popolazione detenuta toccava quota 66.028 (fonte: Dap - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), a fronte di una capienza regolamentare di 47.045 posti (fonte: Dap, 31.03.2013), o forse soltanto 45.000 (fonte: Ufficio Tecnico per l’Edilizia penitenziaria, 10.04.2013). Se l’esatta capienza delle carceri non è facilmente determinabile neppure dall’amministrazione, è tuttavia evidente che per riportare il sistema a una situazione legale e sostenibile occorre ridurre il numero dei reclusi di circa 20.000 unità. Cosa impossibile, al momento, poiché non saranno più di 4.000 (stima per eccesso) le persone ristrette beneficiarie della nuova legge, che - al pari di quelle che l’hanno preceduta - non manterrà le promesse insite nel suo nome. La ratio, l’intenzione, della legge 94/2013 è quella di intervenire sui flussi carcerari, in entrata e in uscita, favorendo la decarcerizzazione di soggetti di non elevata pericolosità, fermo restando l’ingresso e la permanenza negli istituti di persone condannate a pene definitive per reati di rilevante allarme sociale. Per quanto riguarda gli ingressi in carcere, da ora in avanti, la custodia cautelare (in attesa di giudizio) è disposta infatti soltanto per gli autori di delitti di particolare gravità, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, ivi compresi i reati persecutori e il reato di finanziamento illecito dei partiti. Va rilevato che dei 66.028 detenuti, ben 12.210 sono in attesa del primo grado del giudizio, dunque, tecnicamente, sono innocenti; di questi, in base alle statistiche, circa metà saranno effettivamente riconosciuti tali e avranno pertanto scontato una detenzione ingiusta; i condannati in via definitiva sono infatti 40.301, meno dei due terzi del totale. È poi innalzato a quattro anni il limite di pena per la sospensione di esecuzione nei confronti di condannati portatori di specifiche fragilità (per esempio donne in stato di gravidanza). Per quanto riguarda le uscite dalla detenzione, l’intervento più significativo è quello sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, che premia con una riduzione di pena pari a 45 giorni per semestre il detenuto che in carcere mantiene una condotta regolare e collabora al trattamento rieducativo: quando - computate le detrazioni - la pena residua da espiare non supera i tre anni (sei per i reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza), il pubblico ministero trasmette “senza ritardo” gli atti al magistrato di sorveglianza, affinché questi provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Con il criterio guida della non pericolosità sociale, sono infine abrogate le disposizioni che limitano per i condannati recidivi l’accesso ai benefici penitenziari e vietano la concessione di misure alternative per più di una volta. Va altresì sottolineato che decarcerizzazione non significa libertà, ma possibilità di scontare la pena avvalendosi di misure alternative al carcere: detenzione domiciliare, o (nel caso di residuo di pena inferiore a tre anni) affidamento in prova ai servizi sociali; misure ormai note anche ai non addetti ai lavori in ragione delle vicende del primo Presidente del Consiglio della XVI legislatura. Al contrario di quanto comunemente si crede, la condizione della detenzione domiciliare - per gli obblighi, i divieti, le prescrizioni che comporta - non è affatto semplice; quanto all’affidamento in prova, contempla anch’esso limiti oggettivi e presuppone la stipula di un contratto di lavoro, che di norma è la stessa persona ristretta a ricercare e attivare. Riguardo al lavoro, meritoriamente, la legge 94/2013 prevede sgravi contributivi per le imprese che assumano persone ex detenute o detenute e la possibilità per queste ultime di effettuare lavori di pubblica utilità. La nuova legge in materia di esecuzione della pena rappresenta senza dubbio un primo passo in direzione del ripristino della legalità negli istituti penitenziari italiani. Basta che non sia l’ultimo. Perché i mali del carcere, mali antichi, restano comunque tutti, o quasi: il sovraffollamento, che è all’origine di malattie infettive e patologie psicofisiche; la discrezionalità agita dalle direzioni nei confronti dei detenuti, che ne sono ostaggi in ragione del carattere inglobante dell’ultima istituzione totale; il ricorso all’autolesionismo, fino all’annullamento di sé. Non cala, infatti, il numero dei detenuti suicidi: 35 dall’inizio del 2013 (24 impiccati, 8 asfissiati con il gas, 3 dissanguati), 21 anni il più giovane e 77 il più anziano (fonte: Ristretti Orizzonti, 17.08.2013). Suicidi, pure dall’inizio del 2013, anche 7 agenti di polizia penitenziaria, testimoni di degrado e dolore (fonte: Sappe - Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, 12.08.2013). Il dibattito politico, in queste settimane, non sa sottrarsi all’attenzione ossessiva nei confronti di un solo, possibile e futuro detenuto “eccellente”. È giusto, invece, guardare ai 66.028 (o quanti sono ora) detenuti già ristretti nelle carceri italiane. Criminali? “Può darsi - annota Eduard Limonov nelle sue “Memorie di uno scrittore in prigione” (straordinarie!) - Hanno commesso i loro crimini in una manciata di minuti o in poche ore, ma il resto del tempo non erano e non sono delinquenti. Sono persone…” Giustizia: la legge Severino e i provvedimenti di clemenza in Italia di Nicola Tranfaglia www.articolo21.org, 26 agosto 2013 Le possibili vie di fuga di Silvio Berlusconi dalla decadenza dal Senato e dalla incandidabilità per i prossimi anni hanno di sicuro come prezzo per gli italiani non la modifica ma l’abrogazione del testo costituzionale del 1948. Non è difficile dimostrarlo: il decreto legislativo dell’ex ministro Severino, approvato l’anno scorso, prevede che i condannati in maniera definitiva, con una pena massima in astratto a sei anni, come nel caso della frode fiscale, non possono usufruire dell’amnistia. E, poiché l’amnistia cancella il reato ma potrebbe cancellare anche la pena ci vorrebbe un contemporaneo indulto. Ma Berlusconi, come gran parte dei mezzi di comunicazione in Italia fingono tuttora di dimenticare (soltanto Liana Milella lo ha ricordato) ha già usufruito di un indulto e non potrebbe cumulare i benefici di un secondo provvedimento. Ancora nel 2000, durante un governo di centro-sinistra presieduto dal socialista Giuliano Amato, di fronte a una sollecitazione che veniva dal Papa Giovanni Paolo II durante il Giubileo ci fu un progetto di amnistia a cinque anni che venne bloccato nel gioco delle inclusioni e delle esclusioni dei reati. Ma a parte il fatto che a Berlusconi servirebbe anche una disposizione specifica nel provvedimento di amnistia per la pena accessoria dell’interdizione che la Corte di Cassazione ha previsto nella sua sentenza definitiva, c’ è una ragione politica generale che a me pare insuperabile nell’attuale situazione politica italiana. E cioè che i reati di Berlusconi che non sono soltanto la frode fiscale ma la corruzione per induzione e la prostituzione minorile non potrebbero mai essere inclusi in un’amnistia votabile dal Partito democratico, da Sel e dal Movimento Cinque Stelle. Ed è proprio su questo punto che l’osservanza sulla legge Severino che non può essere messa da parte per un imputato, Silvio Berlusconi, si incontra con la difesa necessaria dei principi della costituzione repubblicana del 1948 che prevedono l’eguaglianza dei cittadini, di tutti i cittadini, di fronte alla legge con particolare riguardo all’applicazione di casi di illegalità molto sentiti a livello popolare come quello dell’evasione fiscale che nei paesi europei più avanzati è stato combattuto con molta maggior efficacia che in Italia. Da questo punto di vista, la difesa di Berlusconi come il suo annunciato video-messaggio shock, più volte propagandato dalle sue televisioni, rischiano di veder crescere l’incertezza tra i suoi amici ed ex ministri (come il liberista Antonio Martino inter-vistato oggi da un quotidiano vicino ai democratici) piuttosto che aumentare l’efficacia del suo discorso. Come si può chiedere agli italiani una condizione diversa dagli altri dopo aver governato direttamente per più di un quindicennio e aver fabbricato e fatto approvare dal suo partito personale decine di leggi ad personam o a lui particolarmente favorevoli come la grottesca legge Frattini sul conflitto di interessi? Già mi è accaduto, in una nota precedente, di aver segnalato parlamentari in carica come l’onorevole Buemi, o ministri del governo Letta-Alfano come Mauro e la Cancellieri che si battono in maniera ambigua per una amnistia rinviando ai giochi parlamentari l’applicazione o meno del provvedimento al caso Berlusconi ma c’è da sperare -indipendentemente dalla data delle elezioni (che sembrano peraltro pericolosamente avvicinarsi) - che i pasticci non aumentino in una situazione politica già confusa, che ciascuno in parlamento e fuori si assuma le proprie responsabilità e che si arrivi senza ulteriori ritardi alla decisione della commissione apposita e del Senato sul caso che riguarda il Cavaliere. Un caso esemplare per sancire ancora una volta l’applicazione delle leggi vigenti e la salvaguardia dei principi della nostra costituzione democratica. Giustizia: Gozi (Pd); l’amnistia? va fatta subito, contro l’illegalità delle nostre carceri di Giacomo Galeazzi La Stampa, 26 agosto 2013 L’amnistia va fatta. Non a favore o contro Berlusconi, ma per salvare la democrazia italiana. L’Europa ci ha imposto di risolvere entro maggio l’illegalità dei 30mila detenuti che superano la capienza delle carceri”. A Montecitorio ha depositato una proposta di legge per ricorrere all’amnistia e ora il deputato Pd Sandro Gozi, vicino a Romano Prodi e presidente della delegazione a Strasburgo, la difende a spada tratta dall’accusa di favorire Berlusconi. L’amnistia è una via d’uscita per Berlusconi? “Bisogna uscire da un ventennio autolesionista di scontro tra berlusconiani e antiberlusconiani. A ottobre il ministro Cancellieri è stata invitata a riferire al Consiglio d’Europa le misure per far uscire l’Italia dall’illegalità per la quale è stata più volte condannata. Il sovraffollamento delle carceri è un’emergenza per cui abbiamo votato la fiducia al governo Letta. Il tema dell’amnistia va posto non pro o contro Berlusconi, ma oltre Berlusconi. Altrimenti cosa andrà a dire il Guardasigilli a Strasburgo?”. Il fine giustifica i mezzi? “Dobbiamo uscire dalla fragranza di reato. L’Europa ci sanziona perché non garantiamo i tre metri quadri minimi di spazio vitale ai quali ciascun detenuto ha diritto. È in gioco la democrazia reale in termini di diritti civili. È inaccettabile ridurre tutto allo scontro su Berlusconi. L’Italia è stata messa in mora dall’Europa dopo condanne della Corte dei diritti umani: calpestiamo la dignità dei detenuti con trattamenti inumani e degradanti. Strasburgo ci ha dato tempo fino al prossimo maggio bloccando i nuovi ricorsi, ma pretende provvedimenti realmente svuota-carceri. L’amnistia e l’indulto sono le uniche soluzioni praticabili”. Si aspetta un’accelerazione? “Finora il Parlamento ha discusso le norme Ue sullo spazio vitale dei polli d’allevamento ma non delle persone. Adesso si affronta l’amnistia solo in riferimento a Berlusconi e invece sono decine di migliaia le persone in attesa di un gesto di civiltà. È incostituzionale negare la funzione rieducativa della pena. L’amnistia è la vera riforma strutturale. Siamo pluricondannati per la lentezza della giustizia e l’amnistia decongestiona i tribunali da milioni di procedimenti perché estingue i reati. Va abolito il ricorso eccessivo alla carcerazione che la legge Bossi-Fini provoca tra i clandestini e la Fini-Giovanardi tra i consumatori di droghe leggere. Bisogna firmare i referendum radicali”. Giustizia: l’amnistia? è tabù… se salva il Cavaliere di Vittorio Feltri Il Giornale, 26 agosto 2013 La proposta di essere clementi, ora, verso i detenuti pigiati nelle celle come sardine in spre­gio ai più elementari diritti umani, è stata avanzata da Marco Pannella e ha trovato l’appoggio del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, gente al di sopra di ogni sospetto. Ciò nonostante, fa ribrezzo non solo a Lerner, amico di quel Romano Prodi che dell’amnistia beneficiò per azzerare qualche peccatuccio, ma anche alla massa di sedicenti progressisti ormai asserviti al giustizialismo più vieto, e dimentichi perfino dell’operazione di Palmiro Togliatti tesa a obliterare condanne d’ogni specie emesse per punire delitti perpe­trati in “zona” fascista. Per quale motivo i compagnucci osteggiano l’iniziativa meritoria del leader radicale e dell’ex prefetto cooptata nel governo? Sentite il loro ragionamento. È vero che i carcerati subiscono torture criminali nelle prigioni di Stato, talché esso stesso si macchia quotidianamente di intollerabili infamità, tuttavia un’amnistia, sacrosanta onde ripristinare la legalità dietro le sbarre, non è praticabile in quanto finirebbe per favorire il Cavaliere. Effettivamente un provvedimento del genere, che interessa almeno 30mila carcerati e che solleverebbe la magistratura dall’obbligo di celebrare un milioncino di processi arretrati, mettendola quindi in condizione di lavorare su imputati di maggiore pericolosità sociale, agevolerebbe anche Berlusconi. Non sia mai. Piuttosto che dare una mano, indirettamente, a costui, è preferibile per gli ex pci sacrificare tutti gli altri disgraziati e lasciarli marcire in topaie impropriamente definite stabilimenti di pena. Capito, i progressisti illuminati? Pur di evitare il rischio che l’ex premier rimanga a piede libero, bloccano una legge essenziale per ridare dignità umana a 30mila detenuti trattati colpevolmente dallo Stato quali polli d’allevamento. Altro che legge ad personam. Questo è menefreghismo contra personas, migliaia e migliaia, che pagano sulla loro pelle l’infingardaggine di politici dalla coscienza dormiente. Ciò dimostra che la sinistra non dà peso agli affanni di chi patisce in cella sofferenze supplementari rispetto a quelle previste dal codice; le preme soltanto che Berlusconi sparisca dalla circolazione. Come e con quali conseguenze per il sistema carcerario più sgangherato del mondo, non le importa. Lettere: l’amnistia ora, come conferma della certezza del diritto… di Michele Macelletti Gazzetta del Mezzogiorno, 26 agosto 2013 Chi con appelli o slogan urlati, chi con riflessioni più giuridiche e chi con bizantinismi o artifici politici... ma tutti la stanno cercando! L’agibilità politica di Berlusconi è il nodo da sciogliere. Sembra una “mission” impossibile, troppe le esigenze da tutelare e tutte importanti, a partire dalla necessità di non far cadere il governo Letta. Corrispondere ai “desiderata”, dettati con sagacia istituzionale, di Napolitano. Disarmare le opposte truppe armate dei contendenti all’interno della compagine governativa e svelenire il clima di odio generale nel paese. Arrivare al semestre di presidenza europeo almeno con un governo in carica. Evitare che un’eventuale elezione si svolga ancora con l’indecente legge elettorale, già in procinto di essere dichiarata incostituzionale. Non rischiare un ennesimo salto nel vuoto che rischia di trascinarci nella crisi più nera. Questo ed altro ancora contribuisce a disegnare un difficile rebus da risolvere. In questo marasma c’è una soluzione che pare prendere corpo. Il Ministro Mario Mauro propone, come un atto di sano realismo una amnistia generale, unica alternativa praticabile per riportare il confronto politico a toni più civili e attenuare l’emergenza carceraria. Un’ipotesi che risolverebbe anche, e soprattutto l’agibilità politica di Berlusconi. I Radicali e Pannella esultano nel vedere riconosciuta una loro storica proposta. Far uscire il Paese da una flagrante situazione di illegalità internazionale, migliaia di detenuti in sovrannumero affollano le nostre carceri in attesa di giudizio. La proposta di Mauro raccoglie d’altro canto, l’allarme che puntualmente ogni anno viene denunciato dagli stessi magistrati... le carceri stanno scoppiando. L’amnistia dunque, come “ragionevole” via d’uscita che rafforzi la certezza del Diritto e della pena. Lombardia: la raccolta delle firme per i Referendum Radicali nelle carceri della Regione Notizie Radicali, 26 agosto 2013 Come anticipato nel corso del presidio che Radicali Milano ha tenuto il giorno di Ferragosto davati al Carcere di San Vittore (link), l’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano, in collaborazione con le Associazione Radicali della Lombardia e l’aiuto di Rita Bernardini, sta ottenendo i permessi dal Dap - Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, per garantire anche alla popolazione detenuta nelle carceri lombarde il diritto di sottoscrivere i 12 Referendum Radicali. A quasi un mese dalla chiusura della campagna referendaria, Radicali Milano ha fortemente voluto dare la possibilità, anche ai detenuti della Lombardia, di esercitare il diritto costituzionale di partecipare alla vita democratica del Paese. L’iniziativa, resa possibile dalla disponibilità dimostrataci dalle Direzioni delle carceri - in particolare San Vittore e Bollate - e dalla collaborazione delle Associazioni Radicali Lombarde, Bergamo e Como in primis, rispettivamente con Giorgio Myallonnier e Paola Caspani, si inserisce nell’iniziativa Radicale nazionale, iniziata con la raccolta firme in molte delle carceri italiane in concomitanza con il consueto “Ferragosto in carcere”. All’appello, coordinato dall’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano, inviato ai Sindaci e agli Assessori alle Politiche Sociali dei Comuni sedi delle carceri, affinché informassero i Consiglieri Comunali dell’iniziativa al fine di poter esercitare le funzioni di autenticatore, hanno prontamente risposto: Andrèe Cesareo, consigliere comunale Pd, Como; Simone Paganoni, consigliere comunale Lista Bruni - Patto Civico, Bergamo; Roberto Irpo, assessore welfare e politiche alla persona Pdl - Mantova; Donatella Albini, consigliere comunale Sel - Al Lavoro con Brescia - Brescia In Lombardia, la raccolta delle firme nelle carceri, alla chiusura della campagna referendaria, vuole significare metaforicamente l’impatto che i referendum, specialmente i quesiti sulla Giustizia Giusta, possono avere su tutti coloro che sono gli stessi “utenti” del servizio carcerario e della (mala) giustizia italiana. Questo il programma della raccolta firme nelle Carceri lombarde: Lunedì 26 agosto 2013, ore 09.00 CC San Vittore - Milano Domenica 1 settembre 2013, ore 09.30 CC Como (Bassone) * Venerdì 6 settembre 2013, ore 10.00 CC Bergamo * Sabato 7 settembre 2013, ore 09.30 CC Mantova * Domenica 8 settembre 2013 CC Opera - Milano dalle ore 09.00 CC Bollate - Milano dalle ore 14.30 Giovedì 12 settembre 2013, ore 15.30 CC Canton Mombello - Brescia * * in attesa di autorizzazione dal Dap Stiamo definendo la raccolta nelle carceri non presenti nell’elenco. Catania: i detenuti del carcere di Piazza Lanza sottoscrivono i 12 Referendum Radicali Notizie Radicali, 26 agosto 2013 Sono 246 le firme per i 12 Referendum raccolte oggi, da una delegazione radicale guidata da Rita Bernardini, nella Casa circondariale di piazza Lanza a Catania. E si uniscono alle 100 già raccolte la mattina del 15 agosto, Ferragosto in carcere, mobilitazione nazionale “per l’uscita dalla flagranza criminale dello Stato italiano, per l’Amnistia e i Referendum. Ha potuto firmare così chi non era riuscito a farlo a Ferragosto. Per quell’occasione, infatti, la risposta di adesione alla raccolta firme è avvenuta immediata e corale, 430 su 450 detenuti e detenute (ricordiamo che la capienza regolamentare della Casa circondariale è di 155 posti). Il personale penitenziario si è distinto, anche questa volta, per l’efficienza e la disponibilità. Ricordando i problemi organizzativi del 15 agosto, la delegazione dei Radicali e le guardie penitenziarie hanno subito trovato soluzioni per migliorare la velocità delle firme. I detenuti hanno partecipato con entusiasmo e consapevolezza, spesso hanno posto domande tecniche su leggi e prospettive. La situazione d’invivibilità delle celle è confermata dai loro sfoghi e dal personale penitenziario che ne è cosciente e vittima anch’esso. Il comandante Salvatore Tramontana ha spiegato che gli attuali lavori nella struttura dovrebbero portare miglioramenti in tal senso. Bisognerà però aspettare il 2015. La mattinata iniziata alle 9,30 si è conclusa alle 14,30. Vi hanno partecipato: Rita Bernardini, Laura Harth, Matteo Angioli, Gianmarco Ciccarelli, Luigi Recupero, M. Daniela Basile, Eliana Verzì, Elio Cumitini. Ascoli: Sappe denuncia carenza d’organico della Polizia penitenziaria e caserma fatiscente Il Messaggero, 26 agosto 2013 Si è tenuta sabato 24 agosto nel carcere di Ascoli la visita di una delegazione del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). La presenza dei dirigenti sindacali del Sappe ad Ascoli - spiega il segretario generale del sindacato Donato Capece - ha voluto per prima cosa testimoniare la vicinanza agli addetti quotidianamente impegnati in una situazione di costante sovraffollamento con significative carenze di organico. Alla data del 31 luglio scorso, ad esempio, erano detenute ad Ascoli 144 persone (57 imputati e 87 condannati) rispetto ai 122 posti letto regolamentari. Donne e uomini della Polizia Penitenziaria sono sotto organico di 50 unità visto che ve ne sono in forza 120 rispetto ai 170 previsti. Il Sappe denuncia una situazione difficile nel carcere ascolano. I posti di servizio degli agenti e la stessa Caserma sono in condizioni assai precarie. Per questo chiederemo al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ed ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria interventi migliorativi per il personale del carcere di Ascoli Piceno, auspicando un loro interessamento urgente anche per un potenziamento dell’organico. Roma: Reparto psichiatrico giudiziario in Ospedale “Angelucci”, parola a Corte dei conti Il Tempo, 26 agosto 2013 Dal decreto 80 alla legge 180. Dopo 3 anni a rischio-riconversione, con la decimazione da 82 a 8 posti letto sospesa ma pendente, ora la Regione destina 2 piani dell’ospedale di Subiaco ai detenuti “con grave disagio psichico”. Quaranta posti letto degli ospedali psichiatrici giudiziari, aboliti per legge dal prossimo aprile, dovranno essere ospitati all’interno dell’Angelucci, unico nosocomio del Lazio a sperimentare questo tipo di coabitazione, spingendo la Valle dell’Aniene sull’orlo di una crisi di nervi. Perché saliranno a 75 gli ospiti della “Psycho-Subiaco”: l’Angelucci ha già un reparto psichiatrico da 15 letti e altri 20 di “elevata intensità assistenziale psichiatrica” sono stati accreditati all’Italian Hospital Group di Corso Battisti. Sui 40 del post-Opg il Tribunale per i diritti del malato chiede “se siano compatibili all’interno di un nosocomio per acuti”. Pdl e Fratelli d’Italia dicono “no al manicomio criminale di Zingaretti”, contro il cui decreto il Movimento 5 Stelle ha presentato un esposto alla Corte dei conti per danno erariale. L’Asl Rm G avrà 4 milioni e 576 mila euro per ristrutturare 2.570 metri dell’Angelucci. Immigrazione: rendere i Cie dignitosi? costerebbero troppo… di Piero Innocenti Gazzetta di Modena, 26 agosto 2013 Si continua a parlare dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) e non sempre si conosce bene (o si finge di non sapere) la realtà che li riguarda. Ecco, allora, che, dopo alcuni disordini e rivolte (prevedibili) delie ultime settimane nei centri di Crotone, Gradisca, Torino e Modena, si assiste ai consueto susseguirsi di dichiarazioni governative (“quelle strutture vanno ripensate” la ministra Kyenge), di politici “locali” (“il Cie di Gradisca va chiuso” Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia), lagnanze sindacal-poliziesche (“la polizia, da tempo, lamenta gli organici e l’organizzazione della sicurezza nei Cie”), considerazioni “tecniche” (“strutture inidonee ad ospitare esseri umani” Chiorazzo, presidente Cooperativa Sociale Auxilium), imprecise valutazioni giornalistiche (“i Cie sono campi di concentramento illegali dove le persone devono arbitrariamente sostare non si sa per quanto tempo e poi deportate non si sa dove” Furio Colombo). A queste note si aggiunge l’indagine conoscitiva avviata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza che convoca, per il 28 agosto p.v., una riunione a Roma per affrontare le problematiche gestionali e della sicurezza interna ed esterna dei Cie. Consapevole del rischio che si corre di essere considerato “noioso” su questi temi e prima ancora che il senatore Manco ni, a settembre, inizi il preannunciato giro in alcuni Cie, per rendersi conto della situazione, vorrei ricordare corsie valutazioni critiche sulla gestione e sulle carenze organizzative e sanitarie di tali centri siano già state ripetutamente formulate da molteplici organismi da diversi anni a questa parte. iniziò Medici senza Frontiere nel 2004, seguì l’articolato rapporto De Mistura (2007), ancora Msf nel 2010, la Commissione senatoriale per la tutela e la protezione dei diritti umani (2012) e Medu (Medici per i diritti umani) nel 2013. Ma c’è di più. Soltanto quattro mesi là, aprile 2013, una commissione (voluta dall’allora ministro dell’Interno Cancellieri), presieduta dal Sottosegretario Riaperto, ha redatto un “documento programmatico” sui Cie, evidenziando, tra l’altro, “discrepanze nella conduzione dei centri” e formulando alcune proposte tra cui l’affidamento di tali strutture ad un unico gestore a livello nazionale e la creazione di un corpo di operatori professionali per gestire le difficili attività di contatto diretto con gli stranieri. Servono, soprattutto, risorse finanziarie adeguate per assicurare condizioni di vita dignitose alle persone “trattenute”. Anche sui periodi di trattenimento si danno, a volte, notizie inesatte. È vero che tale periodo di tempo può essere drammaticamente lungo (fino ad un massimo di 18 mesi secondo la legge italiana che ha recepito sul punto una direttiva comunitaria del 2008), ma va detto che, attualmente (agosto 2013) in Italia i giorni di permanenza media sono 42, contro i 38 dei 2012, i 41,5 del 2011 e i 50,9 del 2010. Va anche detto che le procedure per l’identificazione non sempre sono agevoli perché non si riscontra una grande collaborazione da parte delle autorità di alcuni paesi. D’altronde identificare una persona è assolutamente indispensabile. Si pensi alla possibilità reale di presenze di pericolosi delinquenti, di ricercati ( diverse le evasioni, anche recenti, dalle carceri di alcuni paesi africani), di terroristi, di persone comunque da rintracciare per motivi di giustizia o altro. È certo che gli arrivi di questi ultimi mesi ( non solo via mare), in gran parte di stranieri che chiedono asilo (e per questo i centri appositi sono insufficienti), richiedono un gran lavoro sul campo degli addetti alla sicurezza e al soccorso. Si pensi alle 3.783 persone transitate quest’anno -alla data del 24 agosto- nei Cie ( sono scesi a dieci, su tutto il territorio nazionale, quelli funzionanti), di cui 1.722 rimpatriati, (45,7%), 463 (12,3%) per i quali il giudice di pace non ha convalidato il provvedimento dei questore, 209 (5,5%) quelli dimessi perché noti identificati alla scadenza dei termini, 779 (20,7%) quelli dimessi per motivi di salute, gravidanza, accoglimento del ricorso, per motivi di giustizia). 411 (10,9%), infine, quelli allontanatisi arbitrariamente e 61 (1,6%) gli stranieri arrestati nei centri per delitti vari. Resta, dunque, un problema molto serio quello della gestione dei Cie ed ho la (quasi) certezza che l’attuale distratta classe politica al Governo, nonostante la buona volontà delia Kyenge, non troverà alcuna soluzione. I riflettori mediatici (e la politica) torneranno a farsi vivi solo tra qualche settimana, quando il papa Francesco visiterà, come annunciato, un centro per rifugiati. Naturalmente tutto si assopirà qualche giorno dopo. Droghe: con il Referendum dei Radicali più multe ma meno carcere di Andrea Cuomo Il Giornale, 26 agosto 2013 L’antiproibizionismo in materia di droghe è da quarant’anni un pallino dei Radicali. I quali tornano alla carica inserendo nel pacchetto dei dodici referendum per i quali stanno raccogliendo le firme (e dei quali concludiamo oggi l’analisi) un quesito che intende abrogare il Dpr 309 del 1990 nella parte che prevede la pena detentiva per tutte le violazioni che riguardano fatti di lieve entità legati alla droga (come la modesta coltivazione domestica, il possesso e il trasporto di quantità medie, le condotte borderline tra consumo e piccolo spaccio), conservando soltanto la multa da 3mila a 26 mila euro. Naturalmente siamo ben lontani dalla legalizzazione completa delle droghe che secondo i referendari sarebbe il bersaglio grosso. L’obiettivo sarebbe parificare gli stupefacenti, almeno quelli “leggeri”, all’alcol e al tabacco, il cui acquisto e consumo sono legali e gestiti dallo Stato, anche grazie a un pesante sistema di tassazione. Ma la liberalizzazione non può essere decisa per via referendaria, a causa delle convenzioni internazionali stipulate dall’Italia. Ma secondo i proponenti qualche obiettivo importante se vincessero i “sì” sarebbe comunque raggiunto: ad esempio, liberare le forze di polizia dai compiti investigativi su fatti di lieve entità e di limitato impatto sulla sicurezza e diminuire il carico giudiziario e penitenziario complessivo. I Radicali sono da sempre convinti che una regolamentazione legale del fenomeno degli stupefacenti possa aiutare i tossicomani ad affrontare quello che secondo Marco Pannella e i suoi in Italia è stato sempre visto come un problema di ordine pubblico e invece è un’emergenza prima di tutto sanitaria. Secondo i Radicali il proibizionismo ha condotto alla presenza sul mercato di sostanze mediamente più tossiche e più pericolose, in quanto meno costose; ha creato un mercato nero con minori garanzie di qualità e quindi maggiori rischi per la salute del consumatore; ha spinto i tossicodipendenti a modi di vita precari per l’alto prezzo delle sostanze offerte dal mercato nero; ha favorito gli appetiti della grandi organizzazioni criminali, che hanno fatto del traffico degli stupefacenti uno dei più remunerativi business. Idee forti, controverse, che urtano contro la sensibilità di molti e contro l’idea di Stato-mamma da cui non riusciamo a liberarci. L’antiproibizionismo parte, infatti, da un concetto che molti di noi trovano inaccettabile: che cioè il consumo di droghe sia in qualche modo ineliminabile e allora tanto vale regolamentarlo sottraendolo alla gestione occulta delle mafie e rendendolo meno pericoloso. Il proibizionismo, un po’ utopisticamente e ipocritamente ma in fondo comprensibilmente, ritiene che invece una malapianta come la tossicodipendenza non possa essere accettata, inquadrata, regolamentata, ma soltanto combattuta, anche a costo di condannarla alla gestione complessiva delle holding del crimine. Ogni tentativo di gestione statale dell’assunzione di stupefacenti da parte dei tossicomani sarebbe, infatti, un segnale di resa. E quanto al parallelismo con il tabacco e l’alcol, non regge in quanto questi due fenomeni sono da sempre considerati socialmente accettabili e costituiscono, soprattutto l’alcol, un’emergenza sanitaria relativamente limitata. Se per questo referendum verranno raccolte le 500mila firme necessarie e se sarà ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale, si tratterà della seconda volta che gli Italiani saranno chiamati a esprimersi su temi legati agli stupefacenti. Nel 1993 passò per un soffio (il 55,4 per cento di “sì”) il quesito che proponeva la depenalizzazione del possesso di droga per uso personale. Francia: “Verità e giustizia”, striscione degli amici di Daniele Franceschi, morto in carcere Ansa, 26 agosto 2013 Nel giorno del terzo anniversario della morte di Daniele Franceschi, 36 anni, viareggino, deceduto il 25 agosto 2010 nel carcere francese di Grasse gli amici hanno affisso, nel quartiere Varignano dove l’uomo abitava a Viareggio, uno striscione con scritto “Verità e giustizia per Daniele Franceschi, 2010-2013”. Ad oggi la famiglia attende di conoscere come sono andati effettivamente i fatti che hanno portato alla morte di Franceschi, recluso a Grasse dopo essere stato arrestato per una vicenda di una carta di credito falsa. A metà agosto uno dei legali della famiglia ha reso noto che è stata chiusa in Francia l’indagine sul decesso: tre gli indagati, due infermieri e un medico della struttura sanitaria interna al penitenziario. Secondo la magistratura francese, i tre indagati non sarebbero intervenuti con efficacia sul malore che accusò Franceschi prima di morire. Stati Uniti: le carceri private… tra business, corruzione e repressione di Fabio Polese www.ilfarosulmondo.it, 26 agosto 2013 Dal 1990 al 2009 il numero delle persone detenute nelle carceri private degli Stati Uniti è aumentato del 1.600 per cento e non è un caso: più alto è il numero dei detenuti e maggiori sono gli introiti. In dieci anni le prigioni private negli Stati Uniti sono arrivate ad essere oltre cento. Secondo l’organizzazione California Prison Focus “nessuna altra società nella storia umana ha imprigionato un così alto numero di suoi cittadini”. Questo business non dà segni di crisi: le società private di detenzione statunitensi hanno visto aumentare i loro profitti da 760 a 5.100 milioni di dollari. Questo, molto spesso, anche grazie ai rapporti clientelari tra deputati e funzionari governativi con chi gestisce le strutture private e leggi sempre più repressive. Frank Smith, attivista statunitense che lotta da 15 anni contro la privatizzazione delle carceri negli Usa, spiega che “i lobbisti lavorano per convincere i funzionari governativi a modificare una legge in favore della corporazione che rappresentano, o per fare in modo che non cambino quelle già favorevoli. Spesso, inoltre, - continua Smith - raccolgono fondi per sostenere quei candidati e politici in carica che mirano a influenzare. E non è raro che in passato abbiano lavorato per quelle organizzazioni o partiti politici sulle quali hanno poi fatto lobbying”. Ma almeno, viene da domandarci, la gestione privata fa risparmiare le casse statali americane? È ancora Frank Smith a sottolinearci un altro fattore interessante: “I detenuti più malati o più pericolosi sono collocati nelle strutture pubbliche, in modo che i costi più alti della carcerazione non ricadano sul settore privato”. Uno studio del Progressive Labor Party segnala che i “contratti privati per il lavoro dei carcerati sono un incentivo per imprigionare sempre più gente”. Perché “le prigioni dipendono da questo reddito”. Gli azionisti corporativi fanno i soldi grazie al lavoro dei carcerati e “fanno lobbing a favore di pene più lunghe, per espandere la loro mano d’opera. Così il sistema si autoalimenta”. A tutto questo segue una logica aziendale ben precisa: le prigioni private sono quotate in borsa. “Questa industria multimilionaria quotata in borsa - continua lo studio del Progressive Labor Party - ha le proprie reti commerciali, convention, siti web e punti vendita su internet”. Il mercato statunitense delle carceri private, come riporta un recente articolo uscito su The Post Internazionale, “è dominato interamente dalla Correction Corporation of America e dalla Geo Group, che ha acquistato le concorrenti Correctional Services Corporation e Cornell Companies rispettivamente nel 2005 e nel 2010”. Indiscussa regina di questo settore, la Geo Group è stata fondata nel 1954 da George Wackenhut, un ex funzionario dell’Fbi, e possiede carceri negli Stati Uniti, in Australia, nel Regno Unito e in Sud Africa. “Uno dei suoi principali accessi al mondo della politica è rappresentato da Stacia Hylton, contemporaneamente membro del Dipartimento di Giustizia federale e capo di un’agenzia che da lungo tempo stipula contratti con la Geo Group”. Anche i più giovani non sono sottratti a questo enorme business: negli istituti di pena giovanili privati, infatti, vengono spediti centinaia di adolescenti. “Molte volte - dichiarano gli attivisti - finiscono in galera per piccoli reati, talvolta grazie persino alla corruzione di giudici compiacenti che si prestano a condannarne in massa”. Mozambico: la solidarietà fra prigionieri può superare i muri del carcere www.santegidio.org, 26 agosto 2013 Nel carcere di massima sicurezza di Machava, alla periferia di Maputo, ogni settimana alcuni membri della Comunità DREAM si recano a visitare i detenuti, parlare con loro, e creare un ponte con il mondo esterno - in particolare con i parenti - e per cercare di far sì che nessuno sia dimenticato dalla giustizia e inghiottito dal carcere. L’amicizia nei confronti dei detenuti si esprime ogni settimana anche nella preghiera comune, sempre molto partecipata. Durante il mese di agosto, ai “soliti” visitatori si sono aggiunti amici delle Comunità di Sant’Egidio dall’Italia e dalla Germania. Avevano nel loro bagaglio oggetti di cui nel carcere di Machava c’è molto bisogno: sapone, spazzolino da denti e dentifricio per ogni detenuto. C’era grande attesa. Ognuno dei detenuti ha ricevuto un dono pensato proprio per lui. In più sono stati consegnate grandi quantità di riso, zucchero e fagioli - un aiuto molto utile per la cucina, che riesce a preparare un unico pasto al giorno. Questa distribuzione aveva un valore particolare, perché è stata realizzata grazie ad altri detenuti, quelli del carcere di Würzburg (Germania). Quando hanno saputo che alcuni della Comunità di Sant’Egidio sarebbero andati durante l’estate in Mozambico, hanno deciso di dare un segno della loro solidarietà verso i detenuti africani. Molti perciò nel mese di luglio hanno rinunciato a una parte della piccola somma che ogni mese viene loro messa a disposizione per comprarsi alcune cose per loro necessarie, per destinarla a cose ancora più necessarie ai detenuti mozambicani. Per sottolineare la nota personale della loro donazione, questa è stata accompagnata da una lettera indirizzata ai “colleghi” mozambicani. In questa lettera, che è stata letta al termine della preghiera, i detenuti di Würzburg esprimono la loro convinzione che l’ingiustizia e le differenza di condizioni di vita siano qualcosa che riguarda tutti. “Ognuno può fare la sua parte per cambiare e migliorare le situazioni. Perché chi accetta un’ingiustizia ne aggiunge un’altra.” “Voi non siete dimenticati”, conclude la lettera. Da Machava sta per partire una lettera di risposta: è nata un’amicizia che varca molte frontiere.