Giustizia: in vigore la legge svuota-carceri, più alternative alla pena detentiva di Lucia Castellano Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2013 È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge di conversione del decreto legge n. 78 dell’1 luglio 2013. L’Italia muove i primi passi per presentare in Europa un pacchetto di misure volte ad affrontare e risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e delle condizioni di vita disumane e degradanti in cui versa la maggioranza dei circa64500 ospiti dei nostri istituti di pena. Il ministro Cancellieri, nel presentare alle Camere il decreto legge, ha voluto imprimere un netto cambio di passo in tema di esecuzione della pena detentiva. “Un provvedimento capace di indicare una nuova filosofia di espiazione della pena” si legge nella relazione del ministro. Come dice il Poeta, c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria… anzi di antico: il ritorno alla concezione della pena detentiva come “ultima ratio”, per i reati davvero più gravi. L’eliminazione di quel “trattamento contrario al senso di umanità” già bandito dal costituente nel 1948, purtroppo diventato oggi la regola nei penitenziari italiani. La forte spinta a immaginare un ventaglio di risposte punitive diversificate alla commissione dei reati, che diano senso e valore alla sanzione, favorendo il reinserimento sociale degli autori. Sono principi antichi, che hanno vacillato negli anni sotto i colpi di leggi come la ex Cirielli, che riduceva drasticamente l’accesso alle misure detentive per i recidivi, della Fini Giovanardi, con l’aumento delle pene detentive per il reato di spaccio o della Bossi Fini sull’immigrazione clandestina. riemergono oggi, con molta fatica, nel tortuoso percorso di conversione in legge del decreto. Vediamo i punti salienti di questo percorso. In tema di ingresso in carcere, sale da quattro a cinque anni il tetto di pena per cui può essere disposta la custodia cautelare in istituto, con l’eccezione di alcuni reati particolarmente gravi, tra cui il finanziamento illecito dei partiti. Viene inoltre sospeso l’ordine di carcerazione dopo la condanna definitiva a una pena non superiore a tre anni, con facoltà di scelta per il condannato di chiedere la misura dell’affidamento ai servizi sociali o della detenzione domiciliare (eccezion fatta per reati di particolare allarme sociale). La sospensione obbligatoria si applica anche in caso di recidiva aggravata e reiterata. Resta invece la stretta per i recidivi reiterati per l’accesso alle misure alternative alla detenzione. In fase di conversione in legge il Parlamento ha avuto un irrigidimento su questo fronte. Un gran peccato. Non ci aspettavamo questa brusca frenata del legislativo rispetto a una scelta del l’esecutivo più in linea con la ratio della riforma. Questa legge sancisce il valore delle misure alternative (e dei permessi premio) come prima risposta punitiva. Riconosce l’accesso agevolato alle misure dalla libertà, come abbiamo visto, innalza da tre a quattro anni il tetto di pena per la richiesta immediata di permessi premiali, aumentando da 20 a 30 giorni la durata massima complessiva di ogni permesso. Garantisce la detenzione domiciliare immediata per le donne incinte o con prole inferiore ai 10 anni, per i malati gravi, per i settantenni non recidivi. Potenzia il lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti. Perché fermarsi davanti al muro della recidiva reiterata, sapendo che per lo più sono reati bagatellari? Questa frenata sa di “vorrei, ma non posso”. Non credo che possiamo permettercela, considerate le premesse del Ministro e lo stato di emergenza in cui versano le nostre carceri. La nuova legge, si diceva, potenzia anche le opportunità di reinserimento socio lavorativo dell’utenza anche nella fase della detenzione. La disciplina del lavoro all’esterno che affianca quella vigente, prevedendo lavori a titolo di volontariato purché di pubblica utilità, è un completamento normativo importante, disciplinato in modo rispettoso della dignità della vita “intramoenia” e delle priorità dei bisogni del detenuto. Altrettanto importante è la disciplina sulla defiscalizzazione degli oneri alle imprese che danno lavoro a detenuti e semiliberi, molto più compiuta ed esaustiva rispetto alla normativa precedente. È ben evidente quanto questa parte della riforma abbia bisogno del contributo, di pensiero e di azione, dell’amministrazione penitenziaria. Finora, ben poche le realtà detentive in cui viene applicata la misura del lavoro all’esterno (i numeri dei detenuti che lavorano fuori del carcere sono risibili, e non solo per la crisi occupazionale). Se l’applicazione questa norma non entra “nell’agenda politica” dei direttori penitenziari, è stato inutile ritoccarla in modo così raffinato (la stessa riflessione va fatta per gli articoli sulla defiscalizzazione degli oneri). Ancora: la nuova legge prevede “nel rispetto dei criteri di economicità individuati dal Ministero” il mantenimento delle strutture carcerarie piccole, funzionali a percorsi di esecuzione penale differenziata, da attuarsi su base regionale. Appare evidente come sulla permanenza in vita delle carceri di modeste dimensioni l’ultima parola spetti all’Amministrazione Penitenziaria e non al legislatore. Spesso si tratta di strutture vetuste, non a norma nemmeno con il Regolamento del 2000, con costi di gestione molto elevati, la cui ristrutturazione è troppo costosa rispetto al risultato. Primi passi per una riforma, dunque. Con una timidezza del legislativo che, un po’, lascia l’amaro in bocca, rispetto alla terribile emergenza che abbiamo davanti. Ma soprattutto rispetto al fatto che si stanno riportando alla luce tutti i principi che da molti decenni sottendono la politica dell’esecuzione penale in Italia. Come sempre, quindi, il cambiamento che riparte oggi con questa legge ha bisogno dell’apporto di tutti gli altri attori di questa delicata partita. Gli attori di sempre, a cui questa nuova norma si appella: la Magistratura di Sorveglianza e l’amministrazione penitenziaria prima di tutto, gli enti locali e territoriali a seguire. Il cambio di passo dobbiamo segnarlo insieme, ben venga anche se lo facciamo incalzati dalle sanzioni della Corte di Strasburgo. Di leggi innovative se ne contano molte in tema, a partire dagli anni 70. Se le carceri versano nello stato in cui sono vuol dire che, a vario titolo e a vari livelli, non sono state applicate. Giustizia: intervista al ministro Annamaria Cancellieri “processi più brevi e pena certa” di Federico Ferraù www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2013 “L’immigrazione? Non si governa col carcere”. Le riforme da fare? Assicurare “la certezza dei tempi della giustizia e la certezza della pena”. Politica permettendo, e la politica oggi non gode affatto di buona salute. “Capisco che è difficile mettere in cantiere una riforma vera della giustizia oggi. Ma ha ragione il Presidente Napolitano: abbiamo il dovere di provarci”. Parla Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia, ospite oggi al Meeting di Rimini per parlare di pena e di riconciliazione. Ministro, crede che una riforma complessiva della giustizia, come auspicato dal presidente Napolitano, si potrà fare? Per la politica è un momento delicato, capisco che è difficile mettere in cantiere una riforma vera della giustizia oggi. Ma ha ragione il Presidente: abbiamo il dovere di provarci. Se lei potesse scegliere tre riforme da fare subito, quali sarebbero? Sceglierei quelle che, secondo me, interessano più di tutto ai cittadini. Due i punti chiave: la certezza dei tempi della giustizia e la certezza della pena. Con queste due certezze i cittadini forse comincerebbero a ritrovare più fiducia nella giustizia. Cosa pensa dell’ipotesi di un provvedimento di clemenza, amnistia o indulto? La mia opinione personale è favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario; ma come ho detto più volte è un provvedimento che tocca al Parlamento. Mi rimetto alle scelte della politica. Quali sono secondo lei i nodi principali per affrontare l’emergenza carceri? È uno solo. Occorre un cambio di passo culturale. Ripartire da quello che dice la Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Tradotto in due parole significa migliorare, e di molto, le condizione delle carceri e dare al maggior numero di detenuti possibili l’opportunità di reinserirsi nella società. Aumentare quindi le opportunità di lavoro, lavoro sociale e studio. I provvedimenti adottati per superare l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri non rischiano di abbassare il livello di sicurezza dei cittadini soprattutto rispetto alla cosiddetta microcriminalità? È un tema delicato e ho ben presente il senso di insicurezza crescente tra i nostri concittadini. Il nostro provvedimento, affidando sempre al magistrato la decisione finale, vuole proprio evitare che possano uscire dalle celle detenuti considerati pericolosi. La funzione della pena è un tema perennemente oggetto di discussione. È possibile individuare dei punti fermi, generalmente condivisi? Torno alla Costituzione: pene certe, condizioni dignitose di detenzione e rieducazione. Carceri che funzionano e buoni programmi di recupero, di lavoro e di educazione sono una garanzia di maggior sicurezza per tutti. Secondo lei ha senso utilizzare la sanzione penale in chiave di contrasto dei flussi migratori? La pena ci deve essere per chi ha commesso reati ed è stato giudicato: italiano o straniero che sia. Ma è evidente a tutti che il tema dell’immigrazione, che è globale ed è addirittura biblico, non si governa col carcere. Giustizia: il ministro Cancellieri; il “decreto carceri” non metterà in giro delinquenti Asca, 22 agosto 2013 “Il sovraffollamento è il problema centrale, ma non è l’unico delle nostre carceri, serve più in generale una filosofia nuova di intendere il carcere nel nostro Paese”. Lo ha affermato a “Prima di tutto”, su Rai radio 1, il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. Rispondendo a chi sostiene che il decreto “svuota carceri” non risolverà il problema del sovraffollamento, il ministro ha spiegato che “hanno assolutamente ragione, il decreto è solo il primo passo di una serie di misure che stiamo preparando. Agiremo su diversi fronti per rispondere alla Corte europea dei diritti dell’uomo: sull’applicazione del regolamento penitenziario che è illuminato ma non viene applicato in tutte le carceri, faremo nuove norme di depenalizzazione, ricorreremo ancora di più alle misure alternative e stiamo anche procedendo sul fronte della riorganizzazione delle carceri e sulla costruzione di nuovi padiglioni, ad esempio siamo assolutamente carenti sui luoghi comuni, come le mense, molti detenuti mangiano in cella”. Il ministro Cancellieri ha poi risposto alle critiche di chi sostiene che il provvedimento metterà in circolazioni migliaia di delinquenti: “Assolutamente no - ha spiegato - non metteremo in circolazione chi è socialmente pericoloso, ma ci sono tanti che hanno commesso fatti penalmente rilevanti e possono pagare la loro colpa lavorando. Per i reati previsti da questo provvedimento il rischio assolutamente non c’è”. Favorevole all’amnistia Anna Maria Cancellieri è favorevole all’amnistia. Il ministro della Giustizia l’ha detto in un’intervista al Sussidiario.net, precisando però che la decisione non è un suo compito. “La mia opinione personale è favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario; ma come ho detto più volte è un provvedimento che tocca al parlamento. Mi rimetto alle scelte della politica”. E le carceri sono piene anche di immigrati: “La pena ci deve essere per chi ha commesso reati ed è stato giudicato: italiano o straniero che sia. Ma è evidente a tutti che il tema dell’immigrazione, che è globale ed è addirittura biblico, non si governa col carcere”. Cancellieri ha spiegato poi a Prima di tutto, su Radio Uno: “Il sovraffollamento è il problema centrale, ma non è l’unico delle nostre carceri, serve più in generale una filosofia nuova di intendere il carcere nel nostro Paese”. A chi dice che il decreto svuota carceri non può risolvere il problema, il ministro ha risposto: “Hanno assolutamente ragione, il decreto è solo il primo passo di una serie di misure che stiamo preparando. Agiremo su diversi fronti per rispondere alla Corte europea dei diritti dell’uomo: sull’applicazione del regolamento penitenziario che è illuminato ma non viene applicato in tutte le carceri, faremo nuove norme di depenalizzazione, ricorreremo ancora di più alle misure alternative e stiamo anche procedendo sul fronte della riorganizzazione delle carceri e sulla costruzione di nuovi padiglioni, ad esempio siamo assolutamente carenti sui luoghi comuni, come le mense, molti detenuti mangiano in cella”. Cancellieri ha risposto anche alle critiche di chi sostiene che il provvedimento rischia di mettere in circolazioni migliaia di delinquenti: “Assolutamente no, non metteremo in circolazione chi è socialmente pericoloso, ma ci sono tanti che hanno commesso fatti penalmente rilevanti e possono pagare la loro colpa lavorando. Per i reati previsti da questo provvedimento il rischio assolutamente non c’è”. Il ministro ha anche parlato a Prima di tutto, su Radio Uno, dando la sua opinione sull’applicabilità della legge anticorruzione al caso di Silvio Berlusconi. “Credo che il governo debba stare a guardare perché c’è la competenza assoluta del Senato, è un dovere che il Senato faccia la sua parte e il governo farà la sua quando sarà chiamato a farla. La legge Severino l’abbiamo fatta in collaborazione tra il ministero della Giustizia, degli Interni e della Pubblica amministrazione. Leggendo i giornali vedo che illustri giuristi e professori hanno posizioni opposte in materia, tutto con motivazioni giuridiche molto forti”. Sulla durata dell’esecutivo il ministro ha precisato: “Io mi ispiro a questo aforisma: fai quel che devi, accada quel che può”. Certo non si può più evitare di affrontare il tema della Giustizia: “Per la politica è un momento delicato, capisco che è difficile mettere in cantiere una riforma vera oggi. Ma ha ragione il presidente Napolitano: abbiamo il dovere di provarci”, ha detto al Sussidiario.net. Per la Guardasigilli due sarebbero i punti chiave della riforma: “La certezza dei tempi della giustizia e la certezza della pena. Con queste due certezze i cittadini forse comincerebbero a ritrovare più fiducia nella giustizia”. Giustizia: il ministro Cancellieri; nuovo Regolamento Penitenziario? non viene applicato Agi, 22 agosto 2013 “Il nuovo regolamento che regola la detenzione in carcere non viene applicato nella maggioranza degli istituti italiani”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Il ministro, che partecipa al meeting di Rimini, ha ammesso che “c’è molto da fare per migliorare il sistema carcerario italiano. Le nuove regole dicono che nei parlatori non ci devono essere barriere, nelle celle non devono esistere grate o altri ostacoli all’ingresso della luce. Ebbene - ha sottolineato - questo non avviene. Sono pochi casi di carceri in regola”. Cancellieri ha anche parlato di “battaglia culturale affinché il detenuto, una volta scontata la pena, esca migliorato e non prenda a pugni la società”. “La situazione attuale - ha spiegato il ministro - ripugna, come ha rimarcato il presidente della Repubblica. Ci sono esempi straordinari, penso ad esempio al carcere di Padova, ma sono a macchia d’olio. Il problema del sovraffollamento è un aspetto, ma non c’è solo quello, i detenuti italiani, infatti, sono costretti a stare 22 ore nelle celle, dove devono fare di tutto, non hanno un refettorio dove mangiare”. Annamaria Cancellieri si è detta d’accordo affinché “per alcuni tipi di reati, vi siano pene diverse da quelle attuali. Questo non significa svuotare le carceri, ma solo trovare un modo più civile per affrontare il problema. Dobbiamo lavorare sull’uomo”. Grati a Europa che ci ha messo con le spalle al muro “Dobbiamo ringraziare l’Europa che ci ha messo con le spalle al muro dicendoci: entro un anno dovete mettervi a posto”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, intervenuta a un incontro al Meeting di Rimini, riferendosi alla condanna inflitta all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni di sovraffollamento delle nostre carceri. “L’Europa in fondo ci dice di fare quello che la nostra Costituzione prevede - ha sottolineato il guardasigilli. Dice di non maltrattate la dignità degli uomini, di far sì che la pena sia strumento per pagare il proprio conto con la società e uscire migliorati. Il problema è che per tutta una serie di motivi in questi anni abbiamo perso la via maestra, abbiamo dimenticato la nostra civiltà. Siamo il paese di Beccaria, ma nella realtà pratica abbiamo una situazione che, ha ragione il presidente della Repubblica, è ripugnante”. Giustizia: il ministro Mario Mauro “amnistia e indulto… come per la fine della guerra” di Angelo Picariello Avvenire, 22 agosto 2013 Il nodo dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi “va risolto politicamente, non per via giudiziaria. E con un provvedimento generale, non individuale”. L’idea di Mario Mauro è ardita: “Amnistia e indulto”, come ai tempi della guerra, “perché la nostra è un’emergenza sul piano economico anche più complicata”. Il ministro della Difesa inizia il suo ragionamento in un salottino del Meeting, dove è venuto a parlare di missioni di pace. Ma ce n’è una, difficile, anche sul versante interno, e Mauro schiera Scelta civica come forza di interposizione fra Pd e Pdl che sono a un passo dalla rottura: “L’Italia è nei guai. Perciò è nato questo governo di natura eccezionale...”. L’intervista si interrompe, all’altro capo del telefono è Angelino Alfano, in procinto di recarsi a Palazzo Chigi da Enrico Letta. Dieci minuti di telefonata, poi il colloquio può riprendere. Che cosa sente di dire a Pd e Pdl? Che le ragioni che ci hanno messo insieme sono ora più valide: interrompere questa collaborazione porterebbe al collasso la nostra economia. Ma la trattativa non decolla, come se ne esce? Esiste o no, mi chiedo, un problema giustizia in Italia, o riguarda solo Silvio Berlusconi? Esiste eccome, mi pare, ce lo ricorda anche la Corte di Strasburgo.... Riforma della giustizia, quindi. Ma lo scoglio della Giunta delle elezioni del Senato rischia di far deflagrare lo scontro. Non possiamo far diventare il Parlamento il quarto grado di giudizio, non può essere questa la soluzione. E quale allora? Una soluzione politica è quella che io propongo: amnistia e indulto. Come nel dopoguerra, con l’amnistia Togliatti. Ricordo poi il caso del partigiano comunista pluri-omicida Francesco Moranino, per il quale ci fu bisogno di una seconda amnistia, nel 1968, e divenne anche parlamentare. Ma lì si usciva da una guerra, qui il caso è diverso. Stando agli indicatori economici, la situazione è anche più difficile di allora. Chiudere quasi 20 anni di contrapposizioni che ci hanno portato a questa situazione è interesse di tutti. Di questa proposta ha parlato anche ad Alfano? Su questo mi permetto di non rispondere. Ma la strada dei rilievi di costituzionalità sulla legge Severino può esser perseguita? Non è questa la strada. Senza entrare nel merito giuridico, serve - ripeto - una soluzione politica generale, non giuridica e ad personam. Una strada illusoria coltivata troppe volte dal Pdl. Perché il Pd dovrebbe accettare? Perché in questo modo avrebbe l’opportunità di far comprendere che il futuro e l’occupazione dei nostri figli e nipoti costituisce un punto di riferimento molto più serio di una contrapposizione rovinosa e fine a se stessa. Il Pdl concede dieci giorni di tempo. La strada degli ultimatum non danneggia solo il Paese, ma Berlusconi stesso, non credo siano notizie fondate. Ho l’impressione che ci siano persone che vogliono la guerra, in quanto esistono solo se c’è la guerra. Non credo che sia interesse di nessuno andar dietro ai loro ultimatum. Ma nel governo c’è fiducia di andare avanti? Si parla di possibili dimissioni dei ministri Pdl. C’è in tutti noi la consapevolezza della missione gravosa da svolgere, di mettere il Paese in sicurezza e voglia di andare avanti. Una consapevolezza che non è scalfita da questi conflitti, spesso amplificati dai giornali. Ma il 9 settembre si avvicina, in Giunta per le elezioni qualcosa si dovrà decidere. Non serve l’attesa spasmodica del giorno del giudizio. Serve forse a vendere alcune copie di giornali in più per qualche giorno, ma nulla più. Neanche la nota del Quirinale, però, ha sbloccato la situazione. Perché essere ancora ottimisti? Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti. Non ci si può far guidare dall’umore, nella situazione in cui siamo, ma dal giudizio e dall’azione. Giustizia: intervista a Luciano Violante (Pd) “no ad una amnistia che salvi i politici” di Federico Ferraù www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2013 Torna al Meeting di Rimini, Luciano Violante, per parlare di pena, di carceri e di redenzione insieme al vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano e al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Magistrato, penalista, l’ex presidente della Camera è ora nella commissione dei saggi voluta dal governo Letta. Con lui ilsussidiario.net ha fatto il punto sul nostro sistema carcerario e su alcune riforme possibili (alcune si possono fare in fretta, dice Violante) per non continuare a ricevere i richiami della Corte europea. Intanto la situazione politica è divenuta instabile e lo stesso governo Letta è di nuovo a rischio, perché Berlusconi potrebbe togliere la fiducia se non sarà risolto il problema della sua “agibilità politica”. “Tutto ciò che per interessi personali o di parte politica facesse cadere il governo” afferma Violante “farebbe un danno enorme al paese, proprio adesso che ci sono segnali di ripresa”. Presidente Violante, proprio l’anno scorso al Meeting si parlava di carcere. Ci sono stati progressi? Indico quattro fatti positivi. È stata rifinanziata la legge Smuraglia per il lavoro dei detenuti. Sono state approvate nuove misure per spostare l’esecuzione della pena fuori dal carcere. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che è contraria al senso di umanità una detenzione in meno di tre metri quadri per persona. Ma ce n’è un altro che non vorrei tacere. Di che si tratta? Il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha sollevato un’importante eccezione di incostituzionalità perché la legge non prevede ipotesi di differimento di pena nel caso in cui questa debba essere eseguita in condizioni contrarie al senso di umanità. Cominciano insomma a vedersi elementi positivi, sia dal punto di vista dei valori che per la vita concreta dei detenuti. Pena, de-carcerazione e diritti: cosa pensa? C’è a mio avviso un certo disordine su questioni di fondo come il lavoro e lo studio in carcere. Noi possiamo anche decarcerizzare quanto vogliamo, ma in un sistema democratico non possiamo risolvere il problema delle carceri stabilendo come regola la “fuga” dal carcere. Ciò detto, a chi vi rimane vanno certamente garantiti i diritti fondamentali. Prendiamo il lavoro. Dove sta il punto? Per quanto riguarda lo studio e il lavoro - e parlo di lavoro per ditte esterne, quello che richiede davvero una capacità professionale - mancano dati organici su quello che avviene alla fine della pena. Quando un detenuto è diventato un bravo giardiniere, una volta fuori riesce a trovare lavoro? È importante saperlo, perché consente di capire se il lavoro in carcere ha solo una funzione di contenimento disciplinare o serve effettivamente a reinserire nella società. Lo stesso avviene per lo studio? Sì. Non sappiamo quanti conducono a termine gli studi, quanti li interrompono per trasferimento, quanti perché non hanno più voglia di farlo. Sullo studio poi c’è da dire una cosa importante. I detenuti che studiano sono pagati. Credo che sia giusto farlo per chi non può pagarsi i libri, ma che lo Stato paghi per studiare chi può permetterselo, mi sembra francamente sbagliato. Il problema di fondo comunque è avere un chiaro sistema di centralizzazione dei dati per sapere effettivamente le condizioni e gli effetti delle pratiche rieducative. Quali sono secondo lei le cose che si potrebbero fare subito per avere un sistema più efficiente? Me ne vengono in mente alcune. Primo: come c’è un commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, occorrerebbe istituire un commissario straordinario per il lavoro e lo studio in carcere. Fondo sociale europeo, fondo nazionale per le politiche sociali, regioni e comuni finanziano progetti e iniziative del terzo settore, ma un coordinamento unitario che aiuti a razionalizzare la spesa secondo me va fatto. Anche perché a breve si tratterà di gestire i fondi europei 2014-20. La seconda? Penso che l’Italia dovrebbe adeguarsi agli altri paesi europei dotandosi di un garante nazionale dei diritti dei detenuti. Ci sono enti e figure che lo fanno a livello territoriale, ma manca una figura di coordinamento nazionale. Cosa pensa del braccialetto elettronico? Abbiamo speso 90 milioni di euro per poche decine di detenuti. Francamente è incredibile che con la scarsità di risorse che c’è non si applichi fino in fondo questa misura che consentirebbe un forte risparmio in termini di controllo, di carico di lavoro sulle forze di polizia, di estensione del ricorso a misure alternative. Secondo lei ha senso utilizzare la sanzione penale per ostacolare i flussi migratori? Non solo è una grande sciocchezza, ma stiamo attenti a una cosa: sanzionare penalmente uno status - sanzionarti cioè non per quello che hai fatto, ma per quello che sei - lo facevano i nazisti con gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici. Nel nostro caso: sei un immigrato e quindi ti punisco. Ha fatto bene l’Europa a esprimersi contro la Bossi-Fini. È anche vero che l’Italia per la sua posizione geografica ha uno “status” del tutto particolare... Delle migliaia di persone che arrivano in Italia soltanto il 7-8 per cento si trattiene nel nostro paese, gli altri sono diretti in Francia, Inghilterra, Germania. Ha fatto bene il governo Letta, ma anche i governi che lo hanno preceduto, a porre la questione a livello europeo. Deve essere l’Europa a dotarsi di una politica dell’immigrazione. Che ora non ha. Non ritiene che sia giunto il tempo, insieme alle riforme in cantiere, di varare un provvedimento di clemenza (amnistia o indulto), sia per favorirle, sia per riaffermare con forza il primato della politica? Non sono favorevole nelle condizioni attuali. Servirebbe soltanto a svuotare temporaneamente le carceri e ad alleggerire temporaneamente il lavoro dei magistrati per ritrovarsi dopo sei mesi/un anno nelle condizioni di prima se non peggiori. Il problema è più complesso. Un provvedimento di amnistia potrebbe essere messo in campo solo dopo una riforma del diritto e del processo penale così profonda, da richiedere un azzeramento della situazione preesistente per far partire il nuovo ordinamento. Diversamente sarebbe solo l’ennesimo placebo che tranquillizza ma non cura la malattia. A proposito della pena: può essere il perdono e non la restrizione il fulcro del sistema penale? Perdono è un termine che mi sembra fuori luogo, parlerei di riconciliazione, la biblica tsedaqha. Chi è legittimato a perdonare? Se Tizio ha commesso un reato nei confronti di Caio, a che titolo lo Stato deve “perdonarlo”? Altro è la riconciliazione, cioè attuare pratiche che, nella pena, tendano a ricostruire un rapporto positivo tra chi ha commesso un reato e la società. Il problema della riconciliazione riguarda poi non solo la detenzione ma anche la società e le regole che la società si deve dare. In che senso? Non siamo una comunità di santi che indica la via della santificazione a quelli che stanno dall’altra parte. C’è molto male, molta corruzione dei costumi nella società. Non bisogna arrendersi e bisogna combattere la propria battaglia quotidiana. Ma montare in cattedra è sbagliato e controproducente. Mai dunque abbassare il livello di sicurezza di cittadini: vale anche per la cosiddetta microcriminalità? La microcriminalità è tale per chi la guarda, non per chi la subisce. Molto spesso sono vittime della microcriminalità, o meglio detta criminalità di strada, le persone più deboli. Se a un pensionato che vive con 700 euro rubano il televisore, quello non se lo può ricomperare. Il pietismo verso chi ha commesso un reato non lo aiuta di certo. È più utile un approccio realistico, volto al ristabilimento di un rapporto con la società. Ma la pena non può non essere anche una punizione. Secondo lei si riuscirà a mettere in cantiere una riforma della giustizia come auspicato dal presidente Napolitano? Ci sono cose che si possono fare subito: la riforma delle circoscrizioni giudiziarie per esempio, senza tergiversare. Pur comprendendo le varie spinte localistiche che ci sono e si farebbero sentire, la priorità è far funzionare la macchina nel suo complesso. Il commissario straordinario per il lavoro penitenziario lo può fare subito il governo, senza bisogno di una legge. Oggi manca del tutto e fornirebbe quel punto di raccolta dati e di coordinamento che ora non c’è. Come giudica il barometro del governo? Arriverà alla fine? Dipende. Intende alla fine dell’estate, dell’anno, della legislatura...? Non sarebbe auspicabile che si trattasse di quest’ultima? I governi dovrebbero sempre durare fino alla scadenza naturale della legislatura, e questo è il mio auspicio anche per il governo Letta. Tutto ciò che per interessi personali o di parte politica facesse cadere il governo, farebbe un danno enorme al paese, proprio adesso che ci sono segnali di ripresa. Far cadere un governo vorrebbe dire bloccare il paese per non so quanti mesi, facendolo ripiombare nel passato e rendendo inutili i sacrifici che gli italiani hanno fatto fino ad ora. Spero che tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra ci siano riflessioni responsabili su questo punto. Sul Corriere della Sera, Michele Ainis ha sostenuto la necessità di reintrodurre una forma rinnovata di immunità parlamentare per attenuare il conflitto politica-magistratura: cosa ne pensa? Ainis fa benissimo come studioso a prospettare queste possibilità. Ma ho l’impressione che non ci siano le condizioni politiche per una cosa di questo genere. E poi non è detto che l’immunità parlamentare sedi il conflitto tra legalità e politica. Anzi, potrebbe scatenarne di peggiori. Io credo che si possa invece assumere un quadro come quello europeo, questo sì. Ma tra riforma della giustizia che non si fa e riforme istituzionali da mandare avanti, ipotizzare adesso una riforma per i parlamentari invece che per il paese mi sembra francamente sbagliato. Giustizia: Luigi Manconi (Pd); sì a amnistia e indulto, per portare sistema alla normalità Adnkronos, 22 agosto 2013 “Credo che un provvedimento contestuale di amnistia e indulto sia la più ragionevole delle proposte eccezionali per una situazione che è eccezionale. Due misure capaci di introdurre nel sistema penitenziario quell’elemento di normalità che potrà consentire le riforme strutturali che sono indispensabili”. A sostenerlo è Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, commentando all’Adnkronos la nuova apertura del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri all’ipotesi di ricorrere all’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. “La depenalizzazione, la riduzione delle misure carcerarie, gli interventi per ridurre il numero dei comportamenti considerati reato e dei reati puniti con il carcere: si tratta di una strategia fondamentale - spiega Manconi - che per essere applicata oggi richiede quel provvedimento di deflazione che solo amnistia e indulto possono ottenere”. Spesso peraltro, sottolinea il senatore, “si dimentica che si tratta di due provvedimenti presenti nella Costituzione, e non di provvedimenti eversivi”. Manconi ricorda poi un’indagine svolta sugli effetti dell’indulto del 2006, “che ha dato risultati straordinari. Tra i beneficiari la recidiva è stata inferiore al 34%, un dato di per sé elevato ma inferiore della metà rispetto alla recidiva ordinaria che, tra coloro che scontano pena in cella, si attesta ordinariamente intorno al 68% . Ancora, la recidiva cala ulteriormente tra chi ha beneficiato dell’indulto partendo da domiciliare, ed è inferiore per gli stranieri rispetto agli italiani. Questo - osserva - dimostra quanti stereotipi sulla clemenza circolino indisturbati, quasi si tratti di misure che tradiscono il popolo e uccidono la sicurezza laddove si è rivelato l’esatto contrario”. Sicuramente, ammette Manconi, “sembra difficile che il Parlamento possa approvare un provvedimento di amnistia o di indulto, ma questo non è una buona ragione per non provarci. Si tratta di misure parziali e provvisorie la cui efficacia è ridotta nel tempo ma in assenza dei quali non è possibile procedere alle riforme di sistema - ribadisce Manconi - Due strumenti che si sono sempre rivelati efficaci nel breve e medio periodo i cui risultati, anche sotto il profilo dell’allarme sociale, smentiscono molti luoghi comuni che circolano”. Giustizia: il ministro Alfano; i Paesi d’origine paghino il vitto degli immigrati detenuti Il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2013 “Gli immigrati che vanno in carcere ledono il patto con lo Stato dove hanno deciso di andare a vivere. Almeno il vitto e l’alloggio dei detenuti immigrati facciamolo pagare agli stati di provenienza”. Angelino Alfano, ministro dell’interno del Popolo della libertà ha commentato così la difficile situazione carceraria italiana. “Dobbiamo ringraziare l’Europa che ci ha messo con le spalle al muro dicendoci: entro un anno dovete mettervi a posto”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, intervenuta a un incontro al Meeting di Rimini, riferendosi alla condanna inflitta all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni di sovraffollamento delle nostre carceri. “L’Europa in fondo ci dice di fare quello che la nostra Costituzione prevede - ha sottolineato il guardasigilli - Dice di non maltrattate la dignità degli uomini, di far sì che la pena sia strumento per pagare il proprio conto con la società e uscire migliorati. Il problema è che per tutta una serie di motivi in questi anni abbiamo perso la via maestra, abbiamo dimenticato la nostra civiltà. Siamo il paese di Beccaria, ma nella realtà pratica abbiamo una situazione che, ha ragione il presidente della Repubblica, è ripugnante”. “Abbiamo un Regolamento penitenziario perfetto” che purtroppo “non sempre viene applicato”. Lo ha evidenziato il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, nel suo intervento all’incontro sul tema “Una pena per redimere in una società più sicura”, che si è tenuto al Meeting di Rimini. Il regolamento, ha ammonito il ministro, va applicato al 100%. Stiamo cominciando a fare applicare le leggi che già ci sono e che però non vengono applicate. Turco (Pd): proposta Alfano del tutto strampalata “In un momento in cui la crisi economica morde è giusto porsi il problema di risparmiare in ogni ambito. Tuttavia, la proposta di Alfano è assolutamente strampalata, anche perché difficilmente praticabile”. Lo ha detto Livia Turco, presidente del forum Politiche Sociali e Immigrazione del Pd, commentando la provocazione del ministro dell’Interno, secondo il quale gli stati di provenienza dovrebbero pagare vitto e alloggio agli immigrati detenuti. “Se vuole risparmiare nell’ambito delle politiche per l’immigrazione, è meglio che il ministro dell’interno riveda le strutture dei Cie, centri di identificazione ed espulsione, che oltre ad essere disumani e inefficaci sono anche molto costosi. Si adoperi per ottenere aiuti concreti dall’Europa e faccia gli accordi bilaterali con i paesi da cui provengono i flussi migratori. I fatti - conclude Turco - dimostrano che solo così si governa in modo efficace l’immigrazione”. Giustizia: il ministro Alfano; volto di Cristo ricorda l’esigenza di un giusto processo Italpress, 22 agosto 2013 “Quello di Cristo è un esempio che evidenzia l’esigenza di un giusto processo e i limiti di un giudizio popolare”. Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, parlando durante un dibattito sulle carceri insieme al ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Ricordando una visita ad alcuni detenuti, Alfano ricorda come “la prima volta che sono andato a visitare un carcere da Guardasigilli, il cappellano mi ha detto di guardare gli occhi dei detenuti perché vi avrei trovato gli occhi di Cristo. E per me l’esempio di Cristo, non poteva essere più pertinente perché evidenzia l’esigenza di un giusto processo e i limiti di un giudizio popolare”. Giustizia: Comi (Pdl); 3 mq a detenuto, politica non può girare la testa dall’altra parte Italpress, 22 agosto 2013 “Il sovraffollamento è ormai da decenni un problema strutturale delle nostre carceri. Il ministro Cancellieri qui al Meeting di Rimini ha perfettamente illustrato la situazione delle nostre prigioni, che peraltro soffrono ulteriormente anche la presenza di tantissimi extracomunitari che scontano in Italia la pena anziché nei loro Paesi d’origine e dunque con l’aggravante di aumentare le nostre spese e diminuire la vivibilità”. Lo afferma in una nota Lara Comi, europarlamentare del Pdl. “Il carcere di Busto Arsizio che ho più volte visitato è stato oggetto della sanzione europea di cui ha parlato il ministro Cancellieri e cioè a risarcire quei detenuti costretti a vivere in meno di 3 metri di spazio a testa - aggiunge. La politica nel suo complesso non può girare la testa dall’altra parte. Il richiamo che il ministro Alfano ha fatto alla necessità del recupero e della rieducazione previsti anche nella nostra Costituzione, trasmettono un messaggio di speranza. Ha perfettamente ragione Alfano: ogni detenuto si trova di fronte a un bivio dell’anima. Il compito dello Stato è quello di mettere il detenuto di fronte alla possibilità di scegliere se continuare a delinquere o avere l’opportunità di riscattarsi attraverso il lavoro. Ed è con questo spirito di mettere al centro l’uomo, salvaguardando la dignità dei reclusi che la politica deve muoversi: non reprimendo ma recuperando”, conclude la Comi. Giustizia: Cirielli (Fdi); riforma non può partire da amnistia, noi voteremo contro Il Velino, 22 agosto 2013 “Fratelli d’Italia non voterà mai l’amnistia per risolvere l’atavica emergenza del sovraffollamento carcerario. Una riforma complessiva del sistema penitenziario non può essere messa in cantiere partendo da un nuovo provvedimento di clemenza che scarica sui cittadini le inefficienze e le incapacità dello Stato”. È quanto dichiara Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia. “Ancora una volta - spiega - il ministro Cancellieri dichiara di essere personalmente favorevole all’amnistia e ribadisce che si tratta di una scelta che spetta al Parlamento. Ci auguriamo, quindi, che le forze politiche di governo, in particolar modo il Pdl che ha già accettato un provvedimento vergognoso come lo svuota carceri, dimostrino di essere responsabili e dicano no a simili soluzioni tampone. Occorrono riforme strutturali - conclude Cirielli. Svuotare temporaneamente le carceri non risolve il problema e mina profondamente la sicurezza della società”. Lettere: non vogliamo sconti… ma trattateci da uomini di Gianni, detenuto nel carcere di Padova www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2013 Pubblichiamo la lettera di un detenuto ergastolano che partecipa per la prima volta, assieme ad altri compagni, al Meeting di Rimini. Gianni, questo il suo nome, scrive a nome di tanti detenuti e leggerà il suo appello oggi, alla presenza del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. “Buongiorno, mi chiamo Gianni e sono un ergastolano detenuto nel carcere di Padova, dove lavoro presso la cooperativa sociale Giotto che ringrazio non solo per avermi portato qui tra voi, ma anche e soprattutto per avermi dato l’opportunità di parlare della nostra condizione in un convegno importante come questo dove di solito si affrontano tematiche politiche e imprenditoriali legate al mondo del lavoro e dove si tracciano le linee guida non solo etiche ma anche economico-sociali del nostro paese. Cioè l’esatto contrario della realtà dalla quale provengo che, a causa di concezioni arcaiche ancora in voga negli istituti di pena italiani, è solo luogo di dissipazione di denaro pubblico per mantenere in carcere uomini che usano l’ozio, il far niente, unicamente per ideare nuovi e spesso più efferati crimini, incrementando in tal modo la recidiva. Dunque oggi approfitto della rara occasione che ha un detenuto di parlare del sistema penale dinanzi al ministro della Giustizia, ma soprattutto davanti a una platea che da sempre ha fatto dei diritti e dei bisogni degli ultimi la propria bandiera. È dunque a tutti voi che rivolgo l’invito a nome di tutti i detenuti di fare il possibile per restituire fiducia e dignità a uomini e donne che oggi espiano la loro pena in condizioni disumane. Noi crediamo che un passaggio fondamentale sia costituito dal rafforzamento del lavoro e dell’istruzione, che sono a nostro avviso elementi essenziali a ridare dignità e libertà di spirito a un uomo. Nella mia lunga esperienza detentiva ho sentito spesso tanti compagni, soprattutto alla prima esperienza in carcere, pronunciare frasi del tipo: “Ah, se mi dessero una possibilità, non tornerei più in questo posto!”. È proprio in questo momento che le istituzioni devono essere presenti, non quando un uomo pieno di rabbia e rancore è giunto ai bordi del suo fine pena ed è convinto di non dovere niente a nessuno avendo pagato secondo lui il proprio debito con la società e quindi di non dovergli più nulla, non avendo minimamente rielaborato i passaggi della propria vita che lo hanno condotto a porsi al di fuori della società. A chi serve un carcere strutturato in questo modo? Non certo a rendere una società più sicura né tantomeno a renderci uomini migliori. È a nostro modesto avviso un sistema malato che non funge né da prevenzione né tantomeno da rieducazione come previsto dalla nostra Carta costituzionale. È questo il messaggio che i miei compagni mi hanno pregato di portare, io che sono uno dei pochi privilegiati ad avere un lavoro che mi ha reso libero pur essendo ristretto fra quattro mura. La cooperativa Giotto nel carcere di Padova, non produce solo ottimi dolci, cibi, e utensili vari, ma soprattutto uomini migliori, lavorando fianco a fianco con noi, dandoci fiducia, insegnandoci cos’è la responsabilità, in una parola, trattandoci da uomini. Questa è a nostro avviso la strada da percorrere per ridare un minimo di senso al carcere e quindi vi prego umilmente di provare a darci fiducia e a credere su chi tanto ha sbagliato, ma ha anche tanta voglia di ricominciare. E mi rivolgo a voi, cari amici, che siete la parte più sensibile della società, perché non è e non può essere solo un problema istituzionale, ma un problema sociale che coinvolge tutti, poiché è da come sono trattati gli ultimi e i reietti che si comprende il grado di civiltà di una società. Non vogliamo sconti per i nostri errori, ma solo la possibilità di essere trattati come uomini”. Cagliari: Sdr; carcere di Iglesias escluso da programma recupero detenuti sex offenders Dire, 22 agosto 2013 “La Casa Circondariale di Iglesias, che ospita in Sardegna la maggior parte dei sex offenders, è stata esclusa da un programma sperimentale per l’abbattimento della recidiva dei reati sessuali. Una discriminazione che comporta pesanti negativi risvolti non solo sociali ma anche occupazionali e professionali”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che il programma “Soft” (acronimo inglese per trattamento completo per i responsabili di reati sessuali) coinvolgerà 400 detenuti di Rebibbia, Cassino, San Vittore, Opera, Bollate, Pesaro, Secondigliano e Poggioreale. “Anche nella nostra isola i reati sessuali su donne e minori - sottolinea Caligaris - hanno una certa incidenza e i responsabili sono attualmente privati della libertà prevalentemente a Iglesias, una delle strutture penitenziarie che il Ministero peraltro intende chiudere, e a Lanusei. Un sistema rieducativo ridotto all’osso e operatori carcerari sovraccarichi di lavoro non possono certo affrontare le diverse sfaccettature della violenza che necessita di interventi terapeutici specifici. Senza un’assunzione di responsabilità da parte dell’istituzione detentiva, con l’impiego di figure professionali specializzate, il rischio di recidiva rimane alto. Tornato in libertà, benché abbia scontato una pena pesante, il violentatore spesso ripete il reato. Rendere le pene più severe senza un’attività di prevenzione sociale è inutile. Così come diventa assurdo attivare il sistema di protezione delle vittime e favorire l’emersione della violenza domestica da parte delle donne”. Il programma, che si avvarrà di fondi europei, prevede infatti il coinvolgimento in équipe di criminologi, psicologi e psichiatri. La novità consiste nel fatto che per avere successo il detenuto sarà seguito non solo durante il periodo di restrizione ma anche dopo avere scontato la pena. Il progetto, che esclude l’uso di psicofarmaci, è stato messo a punto per ridurre la recidiva dal 17,3% al 3,2%”. “Il fatto che siano stati del tutto ignorati i detenuti della Sardegna - conclude la presidente di Sdr - fa nascere il sospetto che l’isola, chiamata a ospitare i cittadini privati della libertà con il regime più duro, a subire una servitù penitenziaria importante con le Colonie Penali, sia presa in considerazione dal Ministero solo quando ha necessità di risolvere qualche problema. Un’occasione mancata di equità che peserà ancora una volta sul destino dei sardi”. Modena: detenuto libico tenta di impiccarsi, salvato dagli agenti di Polizia penitenziaria Ansa, 22 agosto 2013 Ha fabbricato un cappio rudimentale e si è buttato dallo sgabello in piena notte. “Non c’è neanche il sapone per lavarsi”. Momenti di tensione questa notte nel carcere di S. Anna per il tentato suicidio di un detenuto di origine libica. L’uomo, dopo aver fatto un rudimentale cappio con pezzi di stoffa, e salito su uno sgabello e si è lanciato andare ma il compagno di cella, svegliato dal rumore, lo ha sollevato ed ha chiamato gli agenti in servizio che lo hanno salvato. La notizia dell’accaduto è stata diffusa da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Il libico avrebbe detto di essere stanco della detenzione, di non avere neanche il sapone per lavarsi. Ora è sottoposto a sorveglianza per scongiurare ulteriori gesti inconsulti. “La situazione nelle carceri in tutta Italia - sostiene Durante - è sempre più difficile a causa della carenza di personale, mancano 7.500 agenti. Il sovraffollamento è molto grave: ci sono 24.000 detenuti in più”. Padova: Sappe; se in carcere non ci sono altri morti è merito dei poliziotti penitenziari Il Gazzettino, 22 agosto 2013 “Le tensioni degli ultimi giorni nel carcere di Padova, con i poliziotti accusati di violenze senza alcuna prova concreta, offendono una Istituzione sana e tra le più qualificate del mondo. Quello che vorremo è un Capo della Polizia Penitenziaria consapevole di questa specificità istituzionale, impegnato in prima linea al fianco dei suoi uomini e delle sue donne, motivato ed ambizioso a rendere sempre più coinvolto il Corpo al servizio del Paese. Cosa che oggi non abbiamo”. Questo il commento di Donato Capece segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Se la già critica situazione penitenziaria non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria che tra il 2011 ed il 2012 sono intervenuti tempestivamente salvando la vita a più di 2.000 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che gli oltre diecimila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di oltre 7mila unità e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”, conclude Capece. “Il suicidio è sempre un gesto che addolora. Penetrare la psiche umana è difficile e francamente non ritengo collegabile il suicidio al sovraffollamento delle carceri anche perché in passato si sono tolte la vita persone in stato di isolamento - sottolinea la senatrice Elisabetta Alberti Casellari, ex sottosegretario alla Giustizia. Ma al di là di quello che è successo a Padova, il sovraffollamento è una vera emergenza cui si sta cercando di porre rimedio con varie misure che vanno dall’edilizia penitenziaria, allo sconto dell’ultimo anno di pena ai domiciliari per reati che non destano allarme sociale, ad accordi internazionali perché gli stranieri scontino la pena nel loro Paese di origine e così via. Da sottosegretario nella scorsa legislatura ho portato nella mia città le risorse necessarie per terminare la palazzina adiacente al carcere circondariale e altre per soddisfare le esigenze di strutture carcerarie nel Veneto”. L’Aquila: Uil-Pa; allarme legionella in carcere Sulmona, detenuto ricoverato in ospedale Asca, 22 agosto 2013 Un detenuto è stato ricoverato in un ospedale della regione ed è tuttora piantonato, dopo aver contratto la malattia. A dare la notizia - non ufficializzata dalla direzione del carcere - la Uil Penitenziari che ha chiesto proprio al direttore della struttura “cognizione di quanto realmente sta accadendo presso la casa di reclusione e del perché gli addetti del servizio di prevenzione e protezione non sono stati messi al corrente della situazione”. Da ieri nel carcere sarebbero in corso in corso sopralluoghi da parte dei tecnici Arta e degli ispettori sanitari della Asl per prelievi, in modo da attivare la relativa profilassi. Catania: detenuto ritorna in carcere perché il comune non ha fondi per parargli retta La Sicilia, 22 agosto 2013 L’amministrazione comunale del suo paese in un primo momento aveva autorizzato il ricovero dell’uomo nella struttura ma il 14 agosto scorso ha dichiarato di non essere in grado di assumersi l’onere della retta del suo ricovero nella comunità. Il Comune di Bronte non paga la retta mensile alla Comunità riabilitativa vittoriese e la Corte d’Appello di Catania ripristina la custodia cautelare nei confronti del brontese Giuseppe Uccellatore, 29 anni, che stava scontando la sua pena presso una cooperativa sociale di Vittoria. Dopo aver trascorso un periodo di detenzione in carcere, il 31 luglio scorso la Corte d’Appello aveva concesso gli arresti domiciliari nella cooperativa sociale. L’amministrazione comunale del suo paese in un primo momento aveva autorizzato il ricovero dell’uomo nella struttura ma il 14 agosto scorso, alla richiesta da parte della comunità dell’impegno di spesa, ha dichiarato di non essere in grado di assumersi l’onere della retta del suo ricovero nella comunità. Il sindaco ha detto: “non conosco la vicenda, mi riservo di approfondire lunedì prossimo al mio rientro”. Comunque il Comune soldi non ne ha. “Da tre anni non organizziamo nessuna manifestazione proprio perché non abbiamo assolutamente soldi”, ha detto il sindaco di Bronte Pino Firrarello commentando la vicenda di Uccellatore. “Come possono succedere queste cose? Dovete chiederlo allo Stato - ha concluso - che ci ha dato il 35 per cento in meno negli ultimi due anni e alla Regione, che è stata più benevola, che ci ha dato il 20 per cento in meno. Perciò i soldi dove dobbiamo prenderli?”. Firenze: all'Ipm "Meucci" i detenuti diventano gelatai... con la frutta della Mercafir www.ilreporter.it, 22 agosto 2013 I primi cinquanta chilogrammi tra cocomeri e poponi, pesche e susine sono stati consegnati oggi all'istituto di pena minorile Meucci di Firenze, nell'ambito del progetto Mercafir che dal 2011 prevede la distribuzione a famiglie e persone in difficoltà di alimenti (soprattutto frutta e verdura) messi a disposizione dagli operatori del mercato di Novoli e che altrimenti andrebbero sprecati. Nel caso del penitenziario, la frutta sarà utilizzata nel laboratorio interno di produzione del gelato nell’ambito dei corsi di formazione professionale dedicati ai ragazzi ospiti. Un'attività che entrerà nel vivo a settembre, quando si intensificheranno le consegne della Mercafir. "Il progetto Mercafir si allarga ancora – commenta il vicesindaco di Firenze Stefania Saccardi – conservando a pieno la sua finalità sociale: anche in questo caso si tratta infatti di dare una mano a persone in difficoltà, nello specifico ai ragazzi ospiti dell’istituto penale minorile. Grazie alla Mercafir, e ancora prima alla Mukki, è infatti possibile per loro frequentare un corso professionale per imparare il mestiere di gelataio. Una competenza che potranno utilizzare una volta terminato il percorso all’interno del Meucci”. “È la continuazione di una collaborazione già avviata con il Comune di Firenze e in particolar modo con l’assessorato al sociale che è presente con varie iniziative all’interno dell’istituto – aggiunge Fiorenzo Cerruto, direttore del Meucci – . La frutta che Mercafir ci ha consegnato oggi è il primo passo di una collaborazione che si concretizzerà pienamente a settembre quando riprenderanno i corsi professionali nella gelateria presente all’interno del Meucci. Ai gusti che già vengono prodotti, grazie al rapporto avviato da tempo con la Mukki sempre grazie all’iniziativa del vicesindaco Saccardi, sarà infatti possibile aggiungere anche le specialità alla frutta rendendo quindi il gelato prodotto dai nostri ragazzi ancora più gustoso. Si tratta quindi di una collaborazione che prosegue e si consolida e sicuramente sarà di giovamento all’istituto e soprattutto ai ragazzi” conclude Cerruto. Parma: Sappe; detenuto omicida tenta di aggredire il magistrato, poi colpisce i poliziotti www.grnet.it, 22 agosto 2013 Ha prima tentato di aggredire un giudice del Tribunale di Bologna al termine di una udienza e poi ha colpito i quattro agenti di Polizia Penitenziaria di scorta. Protagonista un detenuto albanese del carcere di Parma, ristretto per omicidio e già sottoposto a restrizioni penitenziarie per analoghe aggressioni al Personale. Ne danno notizia Donato Capece ed Errico Maiorisi, rispettivamente segretario generale e vice segretario regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Al termine dell’udienza a Bologna - spiegano i sindacalisti - il detenuto ha tentato l’aggressione fisica al giudice ma solo grazie alla prontezza di riflessi della scorta della Polizia Penitenziaria, si sono evitate drammatiche conseguenze. Tornato in carcere a Parma, ha quindi aggredito i poliziotti della scorta, ai quali va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale di Polizia Penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità penitenziarie, a cominciare dal carcere di Parma dove il direttore dell’istituto è presente solamente un giorno alla settimana!”. “La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e il costante sovraffollamento detentivo - concludono Capece e Maiorisi - con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti, sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, il personale di Polizia Penitenziaria deve gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Il Dap pensa alle favole, alla vigilanza dinamica ed all’autogestione dei detenuti della quale si tenta di parlare anche per le carceri dell’Emilia Romagna. Addirittura, dal primo settembre si vorrebbe far pagare l’affitto ai poliziotti che dormono in Caserma, senza evidentemente neppure sapere che gli Agenti che dormono e vivono in Caserma sono i primi a mobilitarsi (anche quando sono fuori servizio) in caso di gravi eventi critici in carcere. Ma le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture. E bisogna che chi aggredisce gli Agenti sia punito con severità e fermezza”. Sassari: in carcere show “Pino e gli Anticorpi”, nella notte recluso aveva tentato suicidio La Nuova Sardegna, 22 agosto 2013 Preoccupazione nella notte di martedì per un detenuto che ha tentato di togliersi la vita in cella (ma è stato prontamente assistito dagli agenti e dal medico di turno), dopo che in precedenza era stato protagonista di diversi atti di autolesionismo. Poi, ieri mattina, due ore di spettacolo con lo show di Pino e gli Anticorpi che hanno regalato risate e momenti di serenità alla popolazione carceraria di Bancali. Un passaggio - voluto fortemente dall’area degli educatori e dalla direzione dell’istituto - che è servito anche a stemperare le tensioni che, inevitabilmente, si porta dietro ogni trasferimento di sede. E se anche a San Sebastiano si viveva senza bagni e senz’acqua, in mezzo alla muffa, molti detenuti hanno risentito del trasloco, soprattutto per la mancanza di “contatto” con la città, che in via Roma era comunque una opportunità. L’idea è quella di programmare altri “incontri” con la realtà esterna, attraverso l’arte, la musica e lo spettacolo in genere. E siccome stavolta - per una serie di motivi - non è stato possibile preparare il candeliere dei detenuti, allora c’è stato l’appuntamento con lo show di Pino e gli Anticorpi: i comici sassaresi hanno aderito gratuitamente e con entusiasmo alla proposta giunta all’ultimo momento, e ieri mattina sono state risate per tutti, fino alle lacrime. Applausi e grida di approvazione, nella sala teatro da 400 metri quadrati che ha accolto più di 150 detenuti, praticamente tutti quelli presenti attualmente a Bancali (fatta esclusione per alcuni stranieri che non capiscono bene l’italiano e il dialetto sassarese). La sala non è ancora arredata e, per questo, sono state trasferite le sedie dei passeggi, il palco è stato realizzato grazie alla collaborazione del Comune che ha messo a disposizione anche il service. Una mattinata di tranquillità che ci voleva e che conferma come certe iniziative siano possibili ora che sono disponibili spazi adeguati e strutture. Certo, resta il problema degli organici. Ieri il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra, ha sollecitato provvedimenti urgenti per incrementare il personale della polizia penitenziaria. Ma si tratta di una esigenza sentita anche in altri settori, a cominciare dall’area educativa che svolge un servizio fondamentale nella complessa comunità carceraria. Il garante dei detenuti Cecilia Sechi, ha voluto sottolineare l’importanza delle iniziative come quelle di ieri mattina “che consentono di mantenere un collegamento con la realtà esterna e di regalare momenti di normalità”. Maria Paola Soni, responsabile dell’Area educativa del carcere ha rivolto un ringraziamento a Pino e gli Anticorpi per la disponibilità dimostrata nell’accogliere l’invito in così poco tempo. Immigrazione: Leonardo Sacco (Misericordie); cambiare i Cie, per evitare altre rivolte di Gabriella Meroni Vita, 22 agosto 2013 Parla Leonardo Sacco, a capo delle Misericordie che gestiscono il Centro di Capo Rizzuto. “I Cie sono carceri dove si può rimanere chiusi anche un anno e mezzo. E un uomo privato della libertà è pronto a tutto”. Il ministro Kyenge, in visita, accolta da applausi e proteste. La notizia ha fatto in breve il giro dei mass media: il Cie di Isola di Capo Rizzuto è stato chiuso in seguito alla rivolta degli immigrati che vi si trovavano, rivolta scoppiata dopo la morte di uno di loro. Fin qui i fatti. Ma aggiungeteci il colore, che in questi casi non manca mai: l’immigrato (il marocchino Moustapha Anaki, 31 anni, per la cronaca) sarebbe deceduto “per un malore”, “in circostanze non chiare”; i migranti “protestavano per le condizioni di detenzione”, alcuni responsabili della struttura “erano in ferie” e subito nella mente del lettore si insinua il dubbio: c’è qualcosa di poco chiaro. Aggiungeteci poi la confusione tra immigrati ospiti del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) e del vicino Cara-Cda (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), metteteli tutti nello stesso calderone (i migranti sbarcati dalle carrette del mare nella notte), sottolineate che i Centri sono gestiti dai volontari delle Misericordie (volontari, quindi mezzi incompetenti, per l’immaginario di tanti) e la frittata della disinformazione è fatta. Le cose in quel di Capo Rizzuto non sono andate proprio così, e a spiegarlo è il vicepresidente nazionale delle Misericordie nonché responsabile delle Misericordie di Isola, Leonardo Sacco, che nel Cie e nel Cara lavora ogni giorno. Parole che precedono di poche ore la visita presso il centro del ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, che ha ribadito come “la condizione dei centri di accoglienza è un problema anche europeo. L’Europa non può lasciare sola l’Italia”. Vita: Allora presidente Sacco, che cosa è successo veramente al Cie? Sacco: È successo che nel Centro di identificazione ed espulsione, che ospitava in tutto una cinquantina di immigrati, uno di loro si è sentito male. L’abbiamo subito soccorso e portato in ospedale, dove purtroppo è deceduto per problemi cardiaci, come ha accertato l’autopsia. Ora, c’è da dire che al Cie ogni motivo è buono per scatenare le proteste degli ospiti, che sono trattenuti lì contro la loro volontà e senza poter uscire, perché raggiunti da provvedimenti di espulsione dettati dall’autorità giudiziaria italiana. In pratica, sono tutti ex detenuti condannati da un giudice per reati di diverso tipo; l’immigrato morto, per esempio, era stato condannato per violenza sessuale. Vita: Quindi al Cie non si trovano i migranti che sbarcano sulle nostre coste quasi quotidianamente? Sacco: Assolutamente no. I migranti che arrivano in Italia in quel modo vengono accolti al Cara, che qui a Capo Rizzuto si trova in un edificio adiacente al Cie, e possono entrare e uscire liberamente, in attesa che la loro domanda di asilo venga esaminata. Ricevono anche un sussidio economico e gli altri benefici previsti dalla normativa. Nel nostro Cara, che giustamente viene additato come un centro modello, si trovano attualmente 1700 persone di 50 nazionalità diverse e non si sono mai verificate violenze. Vita: Al Cie invece com’era la situazione? Sacco: Sicuramente più difficile, ma non certo per colpa di chi gestisce il Centro ogni giorno con impegno e buona volontà. Quello che nessuno sottolinea è che il Cie è come un carcere, dove le persone sono trattenute in un regime di detenzione di fatto, ed è ovvio che un uomo privato della libertà diventa capace di tutto. Vita: I Cie andrebbero chiusi, secondo lei? Sacco: Non dico questo, anche perché non si risolverebbe di colpo il problema di dove trattenere gli immigrati espulsi perché hanno commesso reati. Il punto da rivedere secondo me sarebbe un altro, e cioè il termine massimo di permanenza all’interno dei Centri, che è stato portato da 6 a 18 mesi in seguito al decreto di recepimento della Direttiva Rimpatri dell’Unione europea. Come è ovvio, un conto è rimanere chiusi in un posto sei mesi, un altro conto restarci un anno e mezzo. Vita: Qual è il vostro stato d’animo in questo momento? Sacco: Siamo sereni e continueremo il nostro lavoro. Le Misericordie contano ben 350 operatori nei centri per migranti di Crotone, abbiamo sempre svolto il nostro lavoro con dedizione e mettendo al primo posto gli ospiti. Nel Cara si svolgono anche attività ricreative e artistiche, le persone di diverse religioni pregano fianco a fianco, cerchiamo di costruire un clima positivo. Siamo molto lieti che la ministra Kyenge sia in visita nella nostra regione, e la aspettiamo per mostrarle quello che facciamo insieme ai migranti. Immigrazione: Boldrini (Camera); smettiamola di strumentalizzare l’immigrazione di Stefano Arduini Vita, 22 agosto 2013 Lo ius soli? Un tema contingente. La politica? Non è solo ruberia. Welfare, carceri e servizio civile gli impegni da tenere in alto nell’agenda. Una chiacchierata a 360 gradi con la Presidente della Camera sui temi caldi del Terzo settore. La riapertura-lampo dei lavori della Camera dei Deputati a spezzare le ferie estive l’ha proiettata al centro delle polemiche. Mossa demagogica? Giusto adempimento? La neo presidente della Camera, Laura Boldrini, è un personaggio che la scena politica sta ancora cercando di decifrare, e che a ogni mossa divide le opinioni tra fan e duri oppositori. Vita con Laura Boldrini ha una “frequentazione” di lunga data. E non poteva essere altrimenti visto l’impegno e la dedizione che l’attuale presidente della Camera ha profuso nei suoi 14 anni (dal 1998 al 2012) da portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Prima delle ultime elezioni politiche a cui ha partecipato con successo nelle fila di Sel la Boldrini aveva rilasciato a Vita.it una bella intervista, in cui l’allora candidata tracciava le linee guida del suo impegno politico e in cui aveva dimostrato il suo vivo interesse per la piattaforma elettorale elaborata dalla nostra testata e dal suo comitato editoriale. In quel testo naturalmente c’era anche l’impegno per la stabilizzazione del 5 per mille come del resto chiediamo con forza nella petizione che abbiamo lanciato… L’assenza del tema in questo dialogo è figlia di un’esplicita richiesta dell’entourage della Terza carica dello Stato che ha preferito evitare l’argomento “per rispetto del Parlamento e del dibattito che sulla questione si aprirà”. Un paravento un po’ formalistico di cui prendiamo atto. Quella sul 5 per mille, per correttezza bisogna specificarlo, è l’unica domanda schivata dalla Boldrini. Sul resto, dal carcere a Grillo, passando per l’immigrazione e la definizione di bene pubblico/statale, come potete leggere la presidente della Camera non si è sottratta al confronto. Ad osservare il dibattito di questi mesi il welfare viene ancora concepito esclusivamente come un costo sociale sempre più insostenibile. Non crede invece che possa essere interpretato come creazione di valore sociale, indispensabile al rilancio del Paese? In tempi di crisi il welfare deve essere rafforzato, e non ridotto, come invece è successo in Italia negli ultimi anni. Nel momento di maggior bisogno le risorse sono state drasticamente ridotte, e questo ha lasciato le fasce più vulnerabili senza le adeguate reti di salvataggio. In particolare le donne sono state messe a dura prova da un welfare carente. Sono state loro, le donne italiane, a supplire ai servizi mancanti, e il prezzo lo hanno pagato perdendo posti di lavoro. Se manca il welfare, l’attività di cura viene necessariamente addossata alle donne. Il fenomeno delle badanti è tutto italiano: non c’è bisogno di ricorrere a loro nei Paesi in cui il welfare funziona bene, o dove c’è una maggiore distribuzione del lavoro domestico tra uomo e donna. La nostra società deve ancora fare molti passi in avanti. Il tempo di crisi ci impone un cambio di mentalità, ma anche un cambio nella gerarchia delle spese. Anche se non sta a me stabilire le priorità dell’azione di governo, mi sento di dire che nella società italiana è forte la richiesta di più welfare, e di rimettere invece in discussione le spese per gli armamenti. Mi dà una definizione di Pubblico e di Bene Pubblico. Dal suo punto di vista Pubblico coincide con Statale oppure il concetto ormai ha un’estensione più vasta? Di conseguenza: i Beni pubblici devono essere gestiti esclusivamente da enti pubblici o c’è spazio anche per il privato sociale? Tengo a dire che “pubblico” non è necessariamente il terreno dello spreco e della ruberia. Ho fatto dell’urgenza di tagliare le spese parlamentari una delle linee-guida della mia azione, in questi primissimi mesi alla Presidenza della Camera, perché sono convinta che ai cittadini, per riconquistarne la fiducia, si debba dare un segnale chiaro di sobrietà. Ma vorrei che uscissimo da un clima in cui la categoria di pubblico viene considerata troppo spesso con disprezzo. Credo che abbia fatto molto bene alla società italiana il successo dei referendum sui beni comuni di due anni fa: ci ha ricordato che non tutto può essere valutato in base alla logica di mercato. Quanto al rapporto tra “pubblico” e “statale”, non c’è coincidenza. Però io penso che lo Stato debba rimanere sempre il perno, che non esclude altri attori. In una democrazia la responsabilità prioritaria dei beni pubblici deve rimanere al pubblico. Dopodiché è un buon esempio di sinergia il fatto che allo Stato vada incontro il privato, ma a mio avviso la porzione dello Stato dovrebbe restare maggioritaria, essere in grado di far fronte alla manutenzione e alla salvaguardia dei beni pubblici. Il servizio civile nazionale sta morendo nel silenzio, per mancanza di fondi e di riforme. Vita si è fatta promotrice di una campagna affinché a tutti i giovani sia data la possibilità di fare un’esperienza di quel tipo. L’abbiamo chiamato servizio civile universale. Cosa ne pensa? E cosa pensa dell’ipotesi di un servizio civile obbligatorio? Penso che il servizio civile sia un regalo che i giovani fanno al Paese, dedicando agli altri alcuni mesi della propria vita. ma è anche un contributo che danno al consolidamento della coesione sociale, perché mentre la crisi rischia di produrre lacerazioni profonde loro fanno un lavoro di ricucitura per tenere insieme la collettività. Ritengo perciò un errore che alcune decine di migliaia di giovani che vogliono aderire a questo progetto vedano respinta la loro richiesta perché non ci sono i mezzi. Mi sembra uno spreco, perché è un’esperienza altamente formativa. Una scelta miope anche dal punto di vista strettamente economico. Il 2 giugno, in occasione della Festa della Repubblica, sono andata in visita ad uno dei centri in cui operano i volontari del servizio civile. E lì ho avuto la conferma che i soldi spesi sono un investimento ad alta redditività sociale: le stime dicono che ciascuno dei ragazzi e delle ragazze in servizio civile “rende” quattro volte i 6mila euro che costa allo Stato. Ritengo però che il servizio civile debba rimanere una scelta libera, senza imposizione. Deve continuare ad essere rilevante la motivazione. Capitolo Immigrazione. Su vita.it prima dell’elezione a parlamentare aveva detto come la riforma della legge sull’immigrazione fosse una sua priorità. Lo conferma anche oggi di fronte a un governo sostenuto da Pd e Pdl e alle polemiche suscitate dalle esternazioni del ministro Kyenge sullo ius soli? Bisogna superare gli schemi ideologici che hanno avuto la prevalenza negli anni scorsi, quando sull’immigrazione si è giocata una partita politica e il tema è stato letto in modo miope, strumentalizzato attraverso l’esercizio della paura. L’immigrazione è un fenomeno ampio, strutturale, che non può essere ridotto a una questione di sicurezza. Va gestito e non subìto, ci deve essere una governance. Oggi è tempo di uscire da quella dimensione così asfittica e fare seriamente, rimettere al centro una questione che è epocale e gestirla con gli strumenti più adeguati, in linea con altri Paesi dell’Unione Europea. Serve una visione di medio-lungo termine. Quanto alla cittadinanza, è un tema che ci viene richiesto dal tempo in cui viviamo, deve poter far parte del dibattito politico in maniera più serena. Come sta accadendo negli Stati Uniti, dove si sta lavorando in modo bipartisan. E come ci chiede il Presidente Napolitano, che ha più volte sottolineato l’assurdità di una situazione in cui i compagni di banco dei nostri figli non sono cittadini italiani. Vorrei che, dopo anni e anni di battaglie ideologiche, si riuscisse a lavorare insieme su una legge realistica, che non criminalizzi, e che renda possibile un percorso di integrazione. Le carceri continuano a vivere in uno stato di illegalità silenziosa, tanto che anche l’Europa ci ha messo alla sbarra. Sarebbe favorevole a un’ipotesi di indulto/amnistia? La situazione delle carceri italiane non fa onore al Paese. Come lei ricorda siamo stati condannati dalla Corte Europea dei Diritti Umani per un trattamento “disumano e degradante” ed ora dobbiamo rispondere. Se la pena deve riabilitare, ci devono essere le condizioni adatte per farlo, ma al momento proprio non ci sono. È giusto dunque che si valutino forme alternative alla pena detentiva, in una situazione in cui molte carceri sono fatiscenti e hanno bisogno di essere ristrutturate in maniera profonda, non con interventi di piccola manutenzione come quelli fatti negli ultimi anni. Si tratta anche di mettere in atto le buone pratiche che, per la riabilitazione, hanno sperimentato altri Paesi dell’Unione. Lei tutti i giorni vede al lavoro i rappresentati dei M5S. Che tipo di attenzioni stanno dimostrando nei confronti dei temi delle politiche sociali? Sui provvedimenti fin qui discussi alla Camera, i deputati M5S stanno svolgendo un’attenta attività di opposizione, anche ricorrendo all’ostruzionismo. A volte, a mio avviso, esagerano nella spettacolarizzazione, come se l’Aula fosse un teatro dove sono previsti ripetuti applausi a scena aperta. I 5Stelle non sono aiutati dalle esasperazioni del loro leader: anziché dare atto degli sforzi per cambiare quello che non funziona, Grillo più di una volta ha insultato pesantemente l’istituzione. Se si definisce il Parlamento una “tomba maleodorante”, significa che la democrazia non ha valore. E allora quali alternative vi sono? Questo atteggiamento è nichilista e distruttivo. Mi piacerebbe vedere invece più oggettività, più capacità di cogliere i mutamenti in corso, gli sforzi che vengono fatti da tutti coloro che credono nel cambiamento. Un cambiamento che non passa per l’abbattimento delle istituzioni, per la loro distruzione: questo fa paura. Il cambiamento è un processo difficile, che si porta avanti con gradualità, rendendo le istituzioni più forti, più trasparenti, più comprensibili. Immigrazione: 6mila euro per trasferimento in Cie Trapani, Corte Conti apre inchiesta di Massimo Mugnaini La Repubblica, 22 agosto 2013 “Il caso del detenuto cileno da rimpatriare costato 23.000 euro alla collettività è eclatante ma gli sprechi più gravi riguardano gli accompagnamenti ordinari dei clandestini in auto o aereo da Firenze e dalla Toscana ai Cie sparsi per l’Italia. I fiorentini non lo sanno ma lo scorso 6 giugno, ad esempio, hanno speso oltre 6.000 euro per portare due detenuti georgiani al Cie di Trapani”. Riccardo Ficozzi, segretario generale del sindacato di polizia Siulp, interviene a gamba tesa sulla vicenda delle espulsioni d’oro scoppiata dopo la scoperta del viaggio aereo che due settimane fa ha riportato in Cile un detenuto condannato a 6 mesi per furto in appartamento. Intanto le indagini sui presunti sprechi all’ufficio immigrazione entrano nel vivo: “Stiamo acquisendo tutte le carte e i documenti utili alla ricostruzione della vicenda “ dichiara il procuratore generale della Corte dei Conti Angelo Canale. Un laconico “no comment” è invece la posizione della Prefettura, che dispone del fondo rimpatri gestito dal Viminale. “La Toscana, com’è noto, non ha centri di identificazione ed espulsione” spiega Riccardo Ficozzi. “Soltanto da Firenze, di accompagnamenti ai Cie ne facciamo almeno un paio alla settimana: ci costano migliaia di euro l’uno e sottraggono all’attività sul territorio auto di servizio e 4-5 agenti per due giorni alla settimana”. Ma soprattutto, secondo il sindacalista, “non servono a niente”. Tanto che tra gli agenti gira una battuta sui viaggi di rimpatrio degli immigrati irregolari che passano attraverso i centri di identificazione e espulsione: “gli paghiamo pure le vacanze”, dicono. Perché è tutt’altro che raro che molti espulsi rimangano in patria qualche giorno con la famiglia e poi rientrino in Italia. Racconta il segretario del Siulp: “Tempo fa accompagnavamo al Cie di Roma un clandestino. Durante una sosta in autogrill l’auto di servizio, col detenuto dentro, ha preso fuoco per un guasto alla centralina. Un agente ha spaccato il vetro e l’ha tirato fuori dalla macchina salvandogli la vita. Quando a Fiumicino è salito sulle scalette dell’aereo che lo avrebbe rimpatriato, lo straniero si è voltato e ha detto al nostro collega: “tu sei un brav’uomo, appena torno di porto un regalo”. Dopo neppure una settimana l’immigrato era davanti all’agente, in ufficio, col regalo in mano”. Naturalmente è stato di nuovo bloccato ed espulso. “Sembra un semplice aneddoto ma in realtà è un chiaro segno del fallimento della Bossi-Fini”. Una legge che sembra fatta appositamente “per sperperare denaro pubblico” commenta Ficozzi. Come è accaduto lo scorso 6 giugno, quando gli agenti della Questura di Firenze dovevano accompagnare due ladri georgiani al Cie. “Abbiamo chiamato il dipartimento ministeriale a Roma e ci siamo fatti dire quale fosse il centro con due posti liberi più vicino”. Quello di Trapani, hanno risposto dalla Capitale. “Alla fine il viaggio è costato oltre 6.000 euro”. E non per arrivare al Cie siciliano, come previsto inizialmente, ma a quello di Ponte Galeria, nella Capitale. Perché sull’aereo che da Peretola doveva portare due agenti della scorta e due detenuti in Sicilia (oltre 1.000 euro a testa il prezzo del biglietto, acquistato come al solito dall’unica agenzia di viaggio convenzionata con la Prefettura fiorentina) “è scoppiato un putiferio: un georgiano ha dato in escandescenze, si è ferito, ha ferito una agente (20 giorni di prognosi) e ha costretto la scorta a denunciarlo e rimanere a Roma, senza poter salire sul volo Fiumicino- Trapani. Così dal ministero è partito l’ordine di portare in auto i due detenuti al Cie di Ponte Galeria”. Lo stesso che fino a poche ore prima non aveva due posti liberi. I biglietti aerei sono rimasti inutilizzati per metà e alle spese, già alte, si sono aggiunti pernottamenti, pasti, benzina, autostrada e straordinari degli agenti. India: il ministro Mauro sul caso marò; i 4 fucilieri possono testimoniare dall’Italia… Il Velino, 22 agosto 2013 No alla richiesta di interrogare in India gli altri fucilieri a bordo della Lexie. “Gli altri fucilieri possono essere ascoltati in Italia, oppure in videoconferenza, oppure attraverso una loro dichiarazione che poi è simile a quella resa dai marò”. È questa la risposta del ministro della Difesa, Mario Mauro, alle dichiarazioni del governo indiano sulla necessità che gli altri quattro militari del battaglione San Marco che erano a bordo della Enrica Lexie insieme a Salvatore Girone e Massililiano Latorre, vadano in India per testimoniare. Pena il rallentamento delle indagini e il conseguente blocco del processo a carico dei due marò, detenuti in India da febbraio del 2012. “Non c’è nessuna necessità di inasprire, in questo momento, le reazioni delle autorità indiane che stanno procedendo bene per la soluzione equa e rapida del caso - ha spiegato il ministro al meeting di Rimini. Non c’è stato nessun rifiuto nostro, ma semplicemente il fatto che le leggi indiane consentono di fornire testimonianza in diversi modi, tra cui in teleconferenza, oltre alla possibilità per gli inquirenti indiani di venire a interrogare in Italia. Come governo, attraverso l’incaricato speciale Staffan De Mistura, abbiamo espresso la nostra contrarietà affinché i nostri fucilieri di Marina andassero in India”. Polizia indiana pronta a chiudere l’indagine anche senza interrogare gli altri 4 fucilieri La polizia indiana (Nia) non ha problemi a chiudere le indagini sull’incidente che coinvolge i due marò italiani anche se si allontanasse troppo la possibilità di interrogare gli altri quattro fucilieri di Marina italiani (Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte) che erano a bordo della nave Enrica Lexie. Lo scrive il quotidiano The Times of India. Nella sua edizione online il giornale cita “fonti della Nia” secondo cui le indagini “sono in uno stadio avanzato” e “vi sono sufficienti prove e testimonianze a sostegno dell’istruttoria”. In particolare un ufficiale della Nia ha precisato che “il rapporto contenente i capi d’accusa può prescindere dalle dichiarazioni dei quattro marò. Se c’è un eccessivo ritardo nel loro arrivo in India, presenteremo il risultato del nostro lavoro senza le loro testimonianze. Eventualmente potremmo più tardi inviare un supplemento di inchiesta”. Di fronte alla indisponibilità dei fucilieri a recarsi a New Delhi per testimoniare, la Nia ha chiesto al ministero dell’Interno e alla Procura indiani un parere sull’atteggiamento da tenere. Ma le fonti consultate dal giornale hanno insistito che “abbiamo registrato le dichiarazioni di 50 testimoni e vi sono già quindi sufficienti prove indiziarie e legali per blindare questo caso”. Stati Uniti: troppi detenuti nelle carceri, esplode il dramma dei figli abbandonati di Gabriella Meroni Vita, 22 agosto 2013 Sono ormai 2,7 milioni i minori americani con almeno un genitore in carcere, un problema che riguarda più del 10% dei piccoli afroamericani. L’amministrazione Obama promette di riformare la giustizia, ma intanto migliaia di bambini l’anno sono collocati fuori dalla loro famiglia di origine. Un’emergenza sociale che rischia di esplodere con conseguenze devastanti, tanto da spingere il ministro della Giustizia Usa Eric Holder a chiedere un’immediata riforma della giustizia penale. Stiamo parlando dell’emergenza “genitori in carcere”, o meglio dei milioni di bambini americani che hanno il padre o la madre (o entrambi i genitori) dietro le sbarre. Si calcola infatti che mentre la maggioranza dei detenuti statunitensi ha figli con meno di 18 anni, addirittura due terzi di questi genitori incarcerati non abbiano commesso crimini di sangue. I numeri relativi ai bambini sono ancora più impressionanti: negli Usa circa 2,7 milioni di minori (1 su 28) hanno almeno un genitore in carcere, un dato che sale a un bambino su 9 tra gli afroamericani; solo 25 anni erano 1 su 125 in generale e 1 su 36 tra i neri. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: almeno 14mila figli di detenuti ogni anno vengono affidati a famiglie diverse dalla loro, mentre un numero imprecisato di figli di detenuti varca a sua volta la soglia degli istituti di pena minorili. Il dramma è ormai talmente diffuso che anche i produttori di una celebre serie animata per bambini, “Sesame Street” (che va in onda anche da noi con il nome del protagonista, Elmo) ha introdotto il personaggio di Alex, un pupazzo il cui padre è in carcere. Ma non è finita. Le recenti norme varate dal sistema giudiziario americano rendono molto difficili mantenere i rapporti tra genitori detenuti e figli, perché molti detenuti vengono sistematicamente inviati in penitenziari molto lontani dal luogo di residenza. E se la condanna è pesante, il genitore perde per sempre la patria potestà. Non va meglio per i figli rimasti a casa: la mancanza delle figure genitoriali si ripercuote sul comportamento e rendimento scolastico; i bambini spesso subiscono atti di bullismo o sono isolati dai compagni, tanto che molti nascondono la verità; altri invece si abbandonano a comportamenti antisociali o violenti, il che alimenta quella che il procuratore ha definito “la corsia scuola-carcere”. Anche una volta usciti di prigione, i genitori si trovano spesso in difficoltà, perché esclusi in molti Stati dall’assegnazione di case popolari, buoni pasto, sussidi e finanziamenti per far studiare i figli. In alcun Stati gli ex detenuti non possono neppure aprire un’attività commerciale, visto che per ottenere alcune licenze serve la fedina penale pulita. Che fare, dunque? Holder ha lanciato alcune proposte, soprattutto relative alla depenalizzazione di reati connessi con il consumo di droga, che sono state accolte positivamente dalle associazioni più attive nel settore della protezione dei minori figli di detenuti (come per esempio la Annie E Casey Foundation di Baltimora e Forever Family di Atlanta), ma molta strada resta ancora da fare. “La guerra alla droga condotta a colpi di carcerazioni di massa ha fallito”, ha scritto sul Guardian Leo Owens, docente di Scienze Politiche alla Emory University, “danneggiando soprattutto i più deboli, i bambini, e distruggendo famiglie e comunità”. Stati Uniti: caso Wikileaks, Bradley Manning condannato a 35 anni di carcere Tm News, 22 agosto 2013 Il soldato americano Bradley Manning è stato condannato dal tribunale militare di Fort Mead a 35 anni di carcere. Il 25enne è accusato di avere passato al fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, 700.000 documenti segreti sulle operazioni militari americane in Iraq e Afghanistan. Oltre ai 35 anni di reclusione Manning sarà congedato con disonore e perderà la paga e la diaria da soldato. Due settimane fa il 25enne era stato dichiarato non colpevole dell’accusa di “aiuto al nemico”, per la quale rischiava l’ergastolo. Manning è detenuto nelle carceri militari dal maggio 2010. Amnesty International e il Bradley Manning Support Network hanno presentato una petizione online per chiedere la grazia al presidente americano. Stati Uniti: nel processo WikiLeaks una condanna che ci fa tornare al medioevo di Vincenzo Vita Il Manifesto, 22 agosto 2013 Nessuno ha salvato il soldato Manning, cui il tribunale militare ha inflitto 35 anni di prigione e il congedo con disonore per aver fornito a Wikileaks 700.000 file secretati inerenti alle attività diplomatiche e militari degli Stati Uniti “all around the world”. In realtà, si tratta di verità indicibili sulle guerre in Iraq e in Afghanistan. E il documento forse più clamoroso è il video “Collateral murder”, che testimonia come nel luglio 2007 un elicottero americano Apache abbia sparato a morte sui civili, tra i quali un padre che portava i figli a scuola e due cameraman della Reuters. Insieme al disvelamento degli altri 15.000 civili morti nei conflitti “democratici” e alla vergogna di Guantánamo, la cui sola esistenza dovrebbe portare al ritiro del frettoloso Premio Nobel per la pace conferito nel 2009 ad Obama. Tra l’altro, la pena stabilita per Manning è di dieci anni superiore alla conclusione del tempo di secretazione del materiale diffuso. Si tratta, dunque, di una condanna micidiale ed esemplare, che appartiene alla tradizione degli stati autoritari piuttosto che alla favola del paese-guida della democrazia. Ben al di sotto delle analisi svolte nel XIX° secolo Alexis de Tocqueville e da John Stuart Mill sulla democrazia americana. Ben al di sotto dei punti migliori della storia dello stesso partito di Roosevelt e di Kennedy. Un buco nero della tanto mitizzata globalizzazione. Assange-Snowden-Manning rappresentano il dr. Jekyll e il mr. Hyde nella doppia narrazione dell’era digitale: l’enorme circolazione di informazioni e l’occultamento sistematico di ciò che esce dall’ufficialità, dal pensiero unico. Scrive lucidamente il nemico n.1 Julian Assange nel suo Freedom and the Future of the Internet (2012) che è in atto “Una critto -guerra in cui la posta in gioco è l’accesso all’informazione... in cui i più forti sanno rendere inaccessibili le informazioni che li riguardano, e i più deboli si ritrovano nudi, completamente esposti”. Snowden ha disvelato i mostruosi apparati di controllo: Prism, Xkeyscore. Un capo di stato (Morales) si è visto l’aereo dirottato nel timore che trasportasse il colpevole della “soffiata” al Guardian, costretto quest’ultimo a distruggere file e memorie, pur ospitando ieri una confessione straordinaria di un commilitone inglese di Manning, che aveva visto ma non trovava il coraggio di rivelare le atrocità, che tali sono sempre: senza differenze tra i carnefici. Qualche volta la storia rende giustizia e santifica chi parla delle atrocità delle guerre; altre volte chiama i coraggiosi “traditori”. O gli avvocati difensori sono costretti a ricorrere all’espediente della pazzia (ricordate il “Comma 22”?) per difendere chi è accusato di aver irragionevolmente violato la ragion di stato. La vicenda Manning è un punto di svolta: la circolazione dei dati e la libera informazione sono diritti relativi, mai assoluti. Così si sancisce senza pietà. La crisi mondiale è, dunque, crisi della democrazia, prima ancora che delle economie e delle finanze. Il modello accentrato e chiuso di gestione del potere è l’inveramento della post-democrazia. Questo ci insegna la squallida condanna di un giovane oggetto di pratiche bullistiche perché omosessuale, ignaro probabilmente di avere messo le dita sul “muro” che difende la verità che conta: quella che si fonda sulla censura. Del resto, non sarà un caso se il paese che fece dimettere Nixon è precipitato al 47° posto della classifica mondiale di Rsf. La protesta si leverà contro una sentenza così iniqua e farisaica, visto che sbatte in galera chi ha portato alla luce tanti crimini, questi sì impuniti? C’è un giudice a Berlino? Attenzione, perché Manning ci parla di quella faccenda che in modo saccente viene chiamata “modernità seconda”, laddove la sottile linea d’ombra tra era di Internet e Medioevo si fa impercettibile.