Ergastolani a tredici anni di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 15 agosto 2013 Quanto dura una condanna a vita? Determinante è anche l’età del condannato nel momento dell’arresto. Per Antonio Barbeau, che è stato arrestato all’età di tredici anni, accusato di aver ucciso la sua nonna settantottenne con la complicità del coetaneo Nathan Paape, la condanna all’ergastolo inflittagli martedì sarà una pena davvero lunga. Difficile sostenere che il tredicenne sapesse bene a cosa andava incontro. Di certo è un ragazzo cresciuto in fretta, Antonio. Abbastanza grande per dire a Nathan di sapere dove la nonna tiene i soldi. Si intrufolano nel garage dell’anziana. Lei sente che c’è qualcuno. Scende e trova i due ragazzi. Pensa a qualche marachella e li invita a casa. Poi i racconti dei due diventano confusi. Tuttavia entrambi confessano di aver aggredito l’anziana. Una violenza famigliare più unica che rara: due tredicenni che prendono a martellate la nonna. Antonio e Nathan vivono a Sheboygan, nello Stato di Wisconsin, Stati Uniti. Una cittadina tranquilla di cinquantamila abitanti che si affaccia sul Lago Michigan e si fa chiamare la città del formaggio, delle sedie e dei bambini. Sarà anche così. Sicuramente formaggi e sedie si produrranno così in abbondanza da essere l’orgoglio di questa città, ma sui bambini, il fatto che possono essere perseguiti penalmente all’età di tredici anni come se fossero adulti, dimostra che prima vengono l’ordine, la giustizia e forse la vendetta, e poi l’essere bambino. Al processo, Antonio ha tentato di leggere una lettera alla Corte per dire quanto era dispiaciuto, ma è scoppiato in lacrime e non è riuscito a finirla. Il suo avvocato, oltre che facendo leva sulla giovanissima età, ha cercato di impietosire la giuria ricordando che Antonio da bambino ha subito un incidente grave che ha determinato il suo comportamento deviante. Ma né le lacrime, né la sua lesione cerebrale sono riusciti ad intenerire il cuore del Giudice Timothy Van Akkeren che ha condannato Antonio all’ergastolo. Ma non solo. Nello Stato di Wisconsin il Giudice decide anche se, e quando il condannato all’ergastolo può chiedere di essere ammesso a misure alternative al carcere. Quindi il Giudice ha sentenziato che Antonio potrà chiedere di mettere piede fuori dal carcere tra 36 anni, all’età di 50. Il suo amico Nathan invece, che ha fatto il processo separatamente, potrà iniziare a uscire all’età di 45 anni. Di fronte alle telecamere, il Giudice ha dichiarato che “era il minimo necessario per assicurare la tutela della collettività e per scoraggiare altri dal commettere un simile reato, a dir poco orribile”. Forse, se un reato simile fosse successo in qualsiasi stato europeo, il processo non sarebbe andato così. Certo l’ergastolo esiste in quasi tutta l’Europa, ma nessuno stato, nemmeno la Gran Bretagna che recentemente è stata condannata dalla Cedu per la sua forma di whole life tariff (ergastolo senza possibilità di parole) prevede questo tipo di condanna per i minorenni. In nessuna società che si reputa civile si puniscono così severamente due bambini “per scoraggiare gli altri dal commettere lo stesso reato”. L’Italia ha ancora il codice penale fascista e sull’ergastolo non scherza affatto, visto che tiene nelle sue carceri quasi mille ergastolani ostativi, eppure ha messo su un sistema penale che tratta i minori con gran senso di responsabilità e di umanità. In Italia, la giustizia penale minorile pone in primo piano il benessere del minore: il processo, la condanna, la detenzione, le forme di misura alternativa, tutto deve tendere alla rieducazione del minore e nessun giudice avrebbe potuto emanare una sentenza così severa. Insomma, non solo in Italia, ma in nessuna parte del mondo, due bambini che fanno un gesto mostruoso diventano automaticamente dei mostri. Anzi, forse il loro comportamento è frutto di un’infanzia difficile di cui non sono sicuramente colpevoli. Basta questo perché ci sia un doveroso coinvolgimento di tutta la comunità, un impegno collettivo di recupero dei due ragazzini e un’analisi onesta sulle ragioni e sul contesto in cui è maturato quel gesto. Sicuramente il livello di civiltà di una società si vede anche dal modo in cui essa tratta i minori, anche i più cattivi, e la tranquilla cittadina di Sheboygan deve fare ancora molta, molta strada. Giustizia: estate nelle carceri italiane… l’overbooking della disperazione di Antonio Mattone Il Mattino, 15 agosto 2013 Un’altra estate afosa, un nuovo parlamento, un’altra legge svuota-carceri, tuttavia la condizione dei 64.873 detenuti rinchiusi nelle prigioni italiane resta sostanzialmente immutata e critica. Il decreto non ha mantenuto quelle aspettative che il suo nome prometteva. Intanto il sovraffollamento assieme al caldo torrido costituisce una miscela esplosiva che rende penosa la vita a chi è entrato in galera per pagare il suo conto con la giustizia, ma che in queste condizioni accumulerà soltanto rabbia e difficilmente ne uscirà cambiato. La Casa Circondariale “Giuseppe Salvia - Poggioreale” è la sintesi del malessere del sistema carcere. Dopo la recente inchiesta de Il Mattino, è stata sfollata di poche centinaia di unità e sono stati introdotti turni alfabetici per i colloqui dei parenti. Una soluzione poco convincente che aumenta i disagi per quei familiari che si organizzavano per viaggiare insieme venendo da luoghi lontani. E poi, come dicono a Poggioreale, “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”. Cioè finché non si ridurrà sostanzialmente e stabilmente il numero di detenuti, il carcere napoletano resterà in una situazione emergenziale. Alcuni anni fa era stata formulata una proposta per realizzare un call center per prenotare l’orario di visita al proprio congiunto ed evitare così le scandalose file che tutti possiamo vedere transitando la mattina davanti al carcere napoletano. Che fine ha fatto questo progetto? Ma poi c’è l’emergenza delle emergenze, tanto spesso sottaciuta, quella sanitaria che nei mesi estivi diventa ancora più critica per le ferie sacrosante di medici e infermieri che non vengono sostituiti, lasciando i detenuti senza cure e sottoponendo a turni massacranti gli operatori sanitari che restano in servizio. Nel mese di agosto a Poggioreale vengono a mancare o ad essere sottodimensionate figure sanitarie essenziali come il cardiologo e lo psichiatra. Se pensiamo che il 15% dei detenuti italiani ha patologie psichiatriche ci rendiamo conto come sia fondamentale avere un presidio efficiente all’interno di un carcere. D’altra parte basta leggere le recenti cronache per vedere come sia aumentato il numero di reati connessi a questa patologia. Perché l’Asl Napoli1 non interviene? Il carcere è diventato un contenitore e un generatore di povertà. Penso a quei detenuti, non solo stranieri, privi di tutto, anche del conforto di una parola amica e del sapone per lavarsi. Tra questi c’è un algerino che se avesse avuto la liberazione anticipata prevista dall’ordinamento penitenziario, 45 giorni ogni semestre, sarebbe già fuori. Non si tratta di un provvedimento concesso discrezionalmente, ma di un diritto acquisito che viene negato. Giorni di villeggiatura regalati dallo Stato che costeranno alla Pubblica amministrazione 116 euro al giorno. Basterebbe un intervento efficiente e tempestivo per far risparmiare soldi e inutile sofferenza aggiuntiva. Ma chi non può permettersi di pagare un avvocato per seguire le sue vicende giudiziarie non può far altro che rassegnarsi ed aspettare gli eventi. L’Europa è diventata la voce della nostra coscienza e ci impone di fare qualcosa, almeno per evitare di pagare le ulteriori sanzioni economiche previste. L’emergenza carceri potrà trovare una via d’uscita solo quando si cambieranno quelle leggi che riempiono le galere di tossicodipendenti, di persone in attesa di giudizio, di stranieri, e quando verranno ampliati gli organici dei tribunali, del personale carcerario e sanitario. I politici dovrebbe staccarsi da dibattiti sterili e di parte ed impegnarsi a disegnare riforme che parlino di depenalizzazione, decarcerizzazione, misure alternative, ma anche di misure di clemenza (auspicate anche dal Ministro Cancellieri) che non devono essere considerate più un tabù. Vanno anche bene le visite di Ferragosto ma servono fatti concreti affinché non diventino passerelle. Altrimenti l’appuntamento è alla prossima estate nel “Grand Hotel Poggioreale”, l’unico albergo che fa overbooking ma che alla fine accoglie tutti e non manda via nessuno. Giustizia: storia di Roverto, in sciopero della fame dal 4 luglio nel carcere di Padova di Francesca de Carolis www.stampalternativa.it, 15 agosto 2013 C’è un uomo nel carcere di Padova che lo scorso 4 luglio ha iniziato uno sciopero della fame e della sete, per urlare, così, la sua innocenza. Ed è la sua storia la prima che incontriamo lungo il viale, alberato di tigli, delle nostre prigioni. Si chiama Roverto Cobertera. Per la cronaca, dominicano, con doppia cittadinanza, americana anche, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un uomo, Tarik Saad Heddine, del Marocco, che sarebbe stato ucciso per un debito di droga da 30 euro. Insomma una storia di spaccio e traffico di stupefacenti. La condanna all’ergastolo arriva in appello, aggravando la condanna di primo grado, che era stata a 24 anni. Dell’omicidio Roverto Corbertera si è sempre dichiarato innocente. I suoi giorni senza cibo e senza acqua sul suo diario, li racconta così: “Oggi è il giorno 4 luglio, un gran giorno per l’America, è il giorno dell’Indipendenza del mio paese che penso che sia il miglior paese del mondo, dove i diritti dell’uomo vengono rispettati senza distinzione di colore e di razza. Oggi è iniziato il mio sciopero della fame e della sete per urlare la mia innocenza al di là del muro di cinta. Peso 82 Kg. Oggi ho fatto colloquio per la prima volta nella “Area verde” del carcere ed è stata una giornata bellissima e piena d’amore”. Al quindicesimo giorno dello sciopero della fame e della sete, Roberto pesa 73,70 chili. Ha sentito al telefono la moglie che, insieme alle persone in ansia per lui, gli ha chiesto che almeno bevesse, almeno un poco, perché suo nonno, che ha 105 anni, a mezzagosto verrà a trovarlo e non vogliono che lo veda troppo debole. Così Roverto il 19 luglio scrive: “vado avanti con lo sciopero della fame, mi fermo solo un po’ per quello della sete per non farmi vedere da mio nonno troppo debilitato…” Ma “il diciassettesimo giorno Peso 73,40 Kg… mi sento debole e giù di morale. Cerco di farmi forza perché presto vedrò il caro nonno…” Giovedì scorso, Ornella Favero, la direttrice di Ristretti Orizzonti, il giornale della Casa di reclusione di Padova, non ha trovato Roverto in redazione. Non stava bene, non avrà avuto la forza di scendere… Ieri, venerdì, al 37mo giorno di sciopero della fame, Roverto è comparso. Magrissimo, debolissimo… “stanco, spiega a Ornella, delle solite parole, che non sono servite a niente. Porterà avanti la sua protesta sulla sua pelle, perché quella condanna, che continua a respingere, è cosa che riguarda la sua vita…” Della sua condizione a Padova, sono preoccupati in molti. Il magistrato di sorveglianza che lo ha incontrato, ha dato una grande attenzione alla sua storia. Una vicenda che lo ha molto colpito, sottolinea Ornella Favero, che insieme ai suoi redattori ha scritto: “A Roverto possiamo solo dire che gli siamo vicini, con tutto il nostro affetto, che è grande ed è cresciuto proprio di fronte alla sua sofferenza e alla forza con cui vuole dimostrare che è innocente, possiamo dirgli che vorremmo in tutte le maniere fare qualcosa per lui, ma quello che non vogliamo è che debba rinunciare alla vita per essere ascoltato. Si ironizza spesso che in galera si sentono tutti innocenti, nella redazione di Ristretti Orizzonti non è così, le persone si assumono le loro responsabilità, e lo fanno anche davanti a centinaia di studenti che ogni anno entrano in carcere e ascoltano le loro testimonianze. Dunque se una persona lì dentro dice di essere innocente, non è una fra tanti che non hanno voglia di sentirsi responsabili, e se quella persona è disponibile a mettere a rischio la sua vita per dimostrarlo, noi pensiamo che quella persona sia particolarmente degna di attenzione”. E ricorda i dubbi, davvero forti, che nascono da una sentenza di condanna in appello che tanto aggrava la condanna di primo grado, basandosi sugli stessi elementi… Ma sembra che non ci sia altra alternativa, per provare a farsi ascoltare, allo strazio inferto alla propria carne. A parte i compagni e i familiari, a chi può importare di uno spacciatore di droga, di colore per giunta… Il 21 di luglio Roverto Corbetera sul suo diario ha scritto: “Diciottesimo giorno dello sciopero della fame. Oggi non mi ha visitato nessuno e mi sento abbandonato come un cane nero… “. Il giorno seguente: “La guardia mi ha riferito che l’educatrice gli ha chiesto perché stavo facendo lo sciopero della fame. E anche questa la dice lunga sul menefreghismo dell’Area educativa”. Immagino che oggi, nella sua cella, della sezione “comuni” del carcere di Padova continui a scrivere pagine scarne del suo diario… ad appuntare i giorni della fame… Ancora una nota. Sciopero della fame… invito a provare per capire, anche solo un giorno e qualche ora, un digiuno abbastanza lungo ( a qualcuno, a me, ad esempio, sono bastate 36 ore) per capire… Dopo anche solo 36 ore è come se il corpo, obbligato a negarsi per troppo tempo a ciò che viene dall’esterno, crei una sorta di barriera difensiva fra sé e il cibo. I primi bocconi non hanno sapore, come se le papille gustative si fossero disseccate per sempre. Così nello stomaco il cibo, che pure si desidera suggere, rimane come cosa estranea, ogni molecola del corpo sembra impenetrabile al mondo… ed è cosa che fa paura… come un annuncio del fantasma di una pre-morte. Che non temi di non riuscire più ad allontanare. Dopo solo 36 ore. Oggi, 10 agosto, Roverto è al suo 38mo giorno, più di 900 ore, di chiusura al cibo, e chissà come lo troverà il caro nonno quando verrà a trovarlo… quale banchetto di mezzagosto. Roverto Cobertera ha i capelli neri come il carbone e un sorriso di luce sempre stampato sulle labbra, lo racconta Carmelo Musumeci, che nella redazione di Ristretti orizzonti l’ha incontrato, Carmelo Musumeci, ergastolano laureato in carcere in Giurisprudenza, ( Urla a bassa voce, ricordate?) che si è fortemente convinto della sua innocenza, “perché conosco molto bene la differenza fra la verità vera e quella processuale” e sa che Roverto, che preferisce morire da innocente che vivere da colpevole, ha deciso di dimostrare la sua innocenza con la vita, perché è l’unica cosa che gli è rimasta … Quello che chiedono i suoi compagni tutti, chi l’ha in questi mesi conosciuto, è che “chi può si sbrighi a dare una risposta a questa urla, prima che diventino davvero mute”. Insomma, “qualcuno lo può aiutare? Qualcuno può prendere in mano le carte del suo processo e, se si convince che ci sono elementi seri per provare che quella condanna è ingiusta, prendersi a cuore il suo caso e dargli una mano?” Non ho ancora chiuso questa pagina che arriva un grido, di là dal mare. Dalla Sardegna, storia di Collins Igbinoba (nome che sa d’Africa profonda…) , che ha scontato la sua pena e ora è stato spedito nel Cie di Bari. Salvatore Bandinu, che è scrittore, ne ha narrato la storia, e insieme hanno partecipato a un progetto di scrittura che ha portato alla pubblicazione di un libro “La cella di Gaudì”, fra l’altro in gara per un importante concorso letterario. In carcere, scrive Bandinu, Collins ha sempre tenuto un comportamento esemplare, come si dice, lavorando e conseguendo la terza media. Collins ha anche girato la Sardegna coinvolto in diverse presentazioni del libro con la sua storia. “È disperato e mi chiama piangendo, scrive Bandinu, ora lo buttano come un rifiuto negandogli la semplice possibilità di vedere almeno come va a finire il concorso letterario al quale partecipa”… insomma rifiuti… dalle nostre prigioni quotidiane. Giustizia: pena, clemenza, incandidabilità… le strade davanti al Cavaliere di Dino Martirano Corriere della Sera, 15 agosto 2013 La Cassazione ha condannato Berlusconi a 4 anni di carcere per frode fiscale. La pena da eseguire è stata ridotta a un anno per effetto dell’indulto per cui anche il Cavaliere (grazie al decreto svuota carceri) rientra tra quei condannati che possono optare tra la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali. L’ex premier ha detto che è pronto ad andare in carcere ma anche il capo dello Stato ha dovuto ribadire che “la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva arrogatagli e sancisce precise alternative che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. Se Berlusconi non eserciterà l’opzione, il 15 ottobre il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati adotterà una seconda sospensione dell’ordine di carcerazione per consentire al magistrato di sorveglianza di Milano di ordinare d’ufficio (decisione presa de plano senza convocazione delle parti) la detenzione domiciliare. Berlusconi ha eletto domicilio in via del Plebiscito per cui sarà il magistrato di sorveglianza di Roma a stabilirne le modalità: come successo per Gianstefano Frigerio (Forza Italia), Berlusconi potrebbe essere autorizzato a partecipare alle sedute del Senato (sempre che prima non scatti la decadenza). Il Senato è a rischio e gli atti di clemenza non potranno influire La decadenza da senatore per incandidabilità sopravvenuta è il primo scoglio che deve affrontare Berlusconi anche perché - come ha precisato Dario Stefano, presidente della giunta delle Elezioni del Senato - “l’eventuale grazia che potrebbe concedere Napolitano non c’entra nulla ai fini dell’incandidabilità perché la grazia interverrebbe sulla esecuzione della pena principale e non sugli effetti della condanna”. La condanna a 4 anni per frode fiscale, dunque, fa scattare la scure della legge Severino-Patroni Griffi del 2012 (anticorruzione) che stabilisce la incandidabilità (e quindi la decadenza per gli eletti) dei condannati a pene superiori ai due anni. Lunedì 9 settembre, la giunta del Senato ascolterà il relatore Augello (Pdl) che ha tre strade davanti a sé: 1) chiedere la decadenza di Berlusconi; 2) chiedere la convalida della sua elezione; 3) rimettersi alla giunta e chiedere un supplemento di istruttoria. Nel primo caso, se la giunta approva la decadenza, si apre un procedimento di contestazione a Berlusconi che avrà 10 giorni per le controdeduzioni e la possibilità di essere ascoltato in udienza pubblica. La decisione della giunta (presa in camera di consiglio) passa poi all’aula che vota entro 30 giorni. Nel secondo caso (convalida), la proposta se accolta dalla giunta passa all’aula; se invece la convalida è bocciata, si cambia relatore. Ma potrebbe restare la sanzione accessoria La grazia è una prerogativa del capo dello Stato che, però, è stato chiarissimo: “La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma nell’esercizio di quel potere... si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda”. Dunque, resta da vedere se Silvio Berlusconi ha intenzione di avviare con un passo formale il percorso indicato da Giorgio Napolitano che, eventualmente, dopo un’approfondita istruttoria, porterebbe alla concessione di un atto di clemenza individuale. Uno degli avvocati di Berlusconi, Piero Longo, ha detto (e poi ritrattato) che Berlusconi prima o poi chiederà la grazia: “Bisognerà vedere che tipo di provvedimento di clemenza verrebbe concesso”. Agli avvocati del Cavaliere, infatti, interessa molto che l’effetto di un’eventuale grazia presidenziale riguardi anche la pena accessoria (che deve essere ancora ricalcolata dalla corte d’appello di Milano) dell’interdizione dai pubblici uffici. La nota di Napolitano, invece, si riferisce a un “eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale”. Cancellato per 6 anni dalle liste L’incandidabilità di Silvio Berlusconi alle prossime elezioni è uno spettro che agita non poco i vertici del Pdl. La norma in questione è contenuta nell’articolo 13 del decreto attuativo della legge Severino-Patroni Griffi del 2012 (anticorruzione): “L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna..., decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa e ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso, l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria non è inferiore a 6 anni”. In altre parole, stando alla lettera della legge, già oggi, se ci fossero elezioni anticipate, il condannato Silvio Berlusconi sarebbe incandidabile. Il divieto è tassativo? Secondo una scuola di pensiero (diffusa nel Pdl), il condannato potrebbe candidarsi e poi essere giudicato ineleggibile dalla giunta del futuro Parlamento. Ma l’articolo 2 della legge anticorruzione sembra sufficientemente chiaro: “L’accertamento della condizione di incandidabilità alle elezioni [...] comporta la cancellazione dalla lista dei candidati”. Il senatore Nitto Palma (Pdl) ha ipotizzato che contro questa decisione si possa ricorrere al Tar. Un nuovo giudizio ricalcolerà il bando dai pubblici uffici La Corte di Cassazione, nel condannare Berlusconi a 4 anni per frode fiscale, ha anche chiesto alla corte di Appello di Milano di ricalcolare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. I giudici milanesi attenderanno il deposito della motivazione della sentenza della Cassazione (ci sono 30 giorni ma la prassi concede fino a 60 giorni, quindi fino al 30 settembre), e poi fisseranno il ruolo per l’udienza che potrebbe svolgersi a gennaio o a febbraio del 2014. Scontato il ricorso in Cassazione della difesa di Berlusconi ma poi, già in primavera del prossimo anno, potrebbe arrivare il verdetto della Suprema Corte anche sulla pena accessoria: se condannato definitivamente, il Cavaliere sarebbe interdetto dai pubblici uffici da 1 a 3 anni. Ma non è ancora chiaro se la pena accessoria si somma o si fonde con gli effetti (incandidabilità/ineleggibilità) della legge Severino. Per l’avvocato Raffaele Della Valle la soluzione risolutiva è quella della commutazione della pena (una sorta di mini grazia concessa dal capo dello Stato) che “ spazzerebbe via anche la pena accessoria e gli effetti della legge Severino”. L’affidamento in prova cancella la pena Dubbi sull’eleggibilità E se davvero Berlusconi accettasse la messa in prova con affidamento ai servizi sociali? In alternativa ai 9 mesi di detenzione domiciliare (frutto dello sconto - 45 giorni ogni 6 mesi - per “buona condotta”), il condannato per frode fiscale potrebbe scegliere di compiere un percorso di rieducazione lavorando presso una cooperativa che si occupa, ad esempio, di recupero dei tossicodipendenti. Questa scelta congela l’esecuzione della pena che, all’esito positivo della messa in prova, verrebbe completamente cancellata. C’è chi sostiene che, allo stesso modo, l’esito positivo della prova elimina anche gli effetti penali della sentenza di condanna: primo tra tutti, quello innescato dalla legge Severino-Patroni Griffi (anticorruzione) che già entro ottobre potrebbe portare il Senato a votare la decadenza di Berlusconi da parlamentare. Lo stesso varrebbe per l’incandidabilità alle prossime elezioni. Ma Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle camere penali, non è d’accordo: “L’incandidabilità non è un effetto penale né una pena accessoria per cui non può essere cancellata neanche dall’esito positivo di un eventuale affidamento ai servizi sociali”. La pratica sul giudice non modificherà il verdetto definitivo Lo stato maggiore del Pdl confida che il Consiglio superiore della magistratura quanto meno “tiri le orecchie” al giudice Antonio Esposito. A lui, presidente del collegio della Cassazione chiamato a giudicare Berlusconi, viene contestata un’intervista al Mattino in cui si parla anche della sentenza prima ancora del deposito della motivazione. Ora quella intervista, per iniziativa dei tre consiglieri laici del Csm eletti su indicazione del Pdl, è diventata l’oggetto di una pratica aperta in I commissione, quella che si occupa di trasferimenti d’ufficio per incompatibilità funzionale e ambientale. Fermo restando - come ammesso anche dall’ avvocato di Berlusconi, Franco Coppi - che nessuna decisione del Csm può modificare la sentenza della Cassazione, la I commissione si riunirà il 5 settembre per esaminare il caso Esposito. Parallelamente, la Guardasigilli Cancellieri ha dato mandato agli ispettori ministeriali di verificare se ricorrano gli estremi di un’azione disciplinare contro il presidente Esposito. Giustizia: i “costi politici” dell’opzione affidamento ai servizi sociali di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 15 agosto 2013 Mentre il dibattito politico continua a ruotare attorno allo scenario “straordinario” della grazia (scorciatoia attraverso cui Silvio Berlusconi vorrebbe garantirsi la cosiddetta “agibilità politica”), il dibattito tecnico giuridico comincia a cimentarsi sullo scenario “ordinario” dell’affidamento in prova al servizio sociale che, in caso di esito positivo, potrebbe “estinguere” oltre alla pena anche “ogni altro effetto penale”, compresa quindi l’incandidabilità. Il condizionale è d’obbligo perché si tratta di uno scenario politicamente “scomodo” rispetto alla strategia fin qui seguita dal Cavaliere (attacco alla magistratura, disconoscimento della condanna, rifiuto di essere sottoposto a restrizioni della libertà e a un percorso “rieducativo”) ma anche giuridicamente poco chiaro quanto alla nozione di “effetti penali” della condanna, essenziale invece per stabilire se vi rientri o meno l’incandidabilità (si veda il Sole 24 Ore del 13 e 14 agosto). Al di là delle diverse opinioni (tra cui quella autorevole dell’ex presidente della Consulta Valerio Onida, pubblicata in questa pagina), allo stato l’unico punto certo è la giurisprudenza della Cassazione che, anche a sezioni unite, finora ha optato per una nozione ampia di “effetto penale”, in cui rientra ogni conseguenza negativa derivante direttamente da una sentenza irrevocabile di condanna purché non implichi valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione. Secondo questa giurisprudenza, poi, “non necessariamente l’ambito degli effetti penali dev’essere ristretto a quello del diritto penale, sostantivo e processuale, potendo ben riguardare anche rapporti di natura civile, amministrativa ecc., nell’ambito dei quali la legge faccia derivare dalla sentenza penale di condanna conseguenze di carattere sanzionatorio” (Cassazione, sezioni unite n. 7/94, 5859/2012 ma anche sezione I n. 248/93). Certo, il caso-Berlusconi è complesso, anche perché 3 dei 4 anni di pena sono indultati e potrebbero “rivivere” nell’ipotesi di una successiva condanna. E perché il decreto sull’incandidabilità è entrato in vigore solo a dicembre 2012. Ma l’affidamento in prova resta pur sempre, in base alla riforma dell’ordinamento penitenziario, una misura premiale per chi sconta la pena secondo determinate modalità e prescrizioni. Di qui l’estinzione di ogni “effetto penale”. Ecco perché, però, non si applica automaticamente ma su richiesta del condannato, sempre che il giudice ritenga che ce ne siano le condizioni, anche sulla base di un giudizio prognostico. Così come non è automatico l’effetto estintivo sugli “effetti penali”, ma subordinato all’esito positivo della prova, valutata sempre dal giudice. A differenza della detenzione domiciliare, l’affidamento avrebbe un “costo” politico in più per Berlusconi: pur non essendo richiesto che riconosca la propria colpevolezza, è tuttavia necessario che accetti la condanna, e dunque metta da parte invettive e attacchi alla giurisdizione, in particolare a chi l’ha condannato. È un prezzo che è disposto a pagare? Nel suo entourage non si sbilanciano sulle scelte del Cavaliere (affidamento o detenzione domiciliare) proprio perché consapevoli dei rischi che questo percorso comporta. Tra i pochissimi del Pdl disposti a parlare delle mosse dell’ex premier c’è Francesco Sisto, avvocato e presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. “Berlusconi è imprevedibile, quindi non so che cosa deciderà. Ma se l’affidamento dev’essere un modo per non fare politica, no grazie. Abbiamo bisogno di Berlusconi” dice, sostenendo che l’affidamento “richiede l’accettazione della pena, ma non impone né di considerarsi colpevoli né, nel caso di Berlusconi, di criticare l’atteggiamento dei giudici nei suoi confronti perché questo rientra nella sua politica”. Il Cavaliere ha tempo fino al 15 ottobre per scegliere tra affidamento e detenzione domiciliare. Se opterà per il primo, il Tribunale di sorveglianza fisserà l’udienza per decidere. I tempi potrebbero essere lunghi (8-10 mesi) essendo un “condannato libero sospeso” anche perché nel frattempo sarà espletata un’istruttoria preliminare in cui il Tribunale chiede all’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) di predisporre una relazione socio-familiare. L’Ufficio del servizio sociale dovrà assumere informazioni sulla situazione personale, lavorativa e familiare del condannato, riferendo poi al Tribunale se ci sono le condizioni perché la misura possa favorirne il reinserimento sociale. Contestualmente verrebbero chieste le consuete informazioni di polizia, di solito molto negative. Ai fini della decisione, il Tribunale deve anche escludere il rischio che il condannato commetta altri reati. Valuterà anche i processi pendenti e le eventuali condanne che, se definitive, farebbero cadere i 3 anni di indulto? È una delle tante incognite di questo percorso. Giustizia: i confini stretti della clemenza di Gaetano Azzariti Il Manifesto, 15 agosto 2013 Qualora Silvio Berlusconi decidesse di chiedere la grazia al capo dello Stato non è affatto che questa possa essere concessa. La domanda - come ricorda Napolitano - dovrebbe essere s’otto-posta a “un esame obiettivo e rigoroso” per verificare se sussistono le condizioni che possono motivare un atto di clemenza presidenziale. Una decisione della Corte costituzionale (la numero 200 del 2006, puntualmente richiamata nella dichiarazione presidenziale) ha chiarito quali sono questi requisiti. L’esercizio del potere di grazia - ha scritto la Consulta - risponde a finalità essenzialmente umanitarie. Nel caso di Silvio Berlusconi quali sarebbero le ragioni umanitarie? A scanso d’equivoci, si tenga presente che gli argomenti dell’accanimento-persecuzione dei giudici nei confronti del leader del centrodestra ovvero la pretesa rivendicazione di innocenza nei confronti dello specifico reato di evasione fiscale non possono essere utilizzati per motivare la domanda di grazia, dovendo darsi per scontato che l’atto di clemenza individuale ha come suo presupposto il riconoscimento della legittimità della pena inflitta. Come si scrive in ogni manuale di diritto, l’istituto della grazia incide sull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta. Non si spiegherebbe altrimenti la ritrosia di molti detenuti alla presentazione della domanda di grazia: Adriano Sofri, ad esempio, rivendicando la propria innocenza, non ha mai accettato di presentare domanda. Nel caso di Berlusconi appare assai significativo, inoltre, che il capo dello Stato abbia sì fatto riferimento alla possibilità di esaminare con attenzione un’eventuale richiesta di clemenza, ma abbia altresì escluso di poter concedere la grazia motti proprio, come pure l’articolo 681 del codice di procedura penale autorizzerebbe a fare. Dunque, la richiesta al leader del centrodestra è anzitutto quella di smentire se stesso, ponendo fine alla sua guerra personale con i giudici. Riconosciuta, però, così la legittimità della condanna, per quale ragione dovrebbe essere concessa la grazia? Non vi sono gravi ragioni di salute che in molti casi motivano l’atto di clemenza. Né può dirsi che le condizioni in cui verrebbe a scontare la pena (gli arresti domiciliari presso una delle sue ville ovvero l’affidamento al servizio civile) possono essere ritenute contrarie al senso di umanità che deve essere assicurato al condannato ai sensi dell’artìcolo 27 della nostra costituzione. Né, infine, può sostenersi nel caso di Berlusconi che la grazia favorirebbe “l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale” (seguendo le indicazioni di una sentenza della Corte costituzionale del 1976, n. 134). In realtà, è evidente a tutti l’unica ragione per la quale si dovrebbe accordare la grazia a Silvio Berlusconi: la ragion di Stato, che nel nostro piccolo si sostanzia con la sopravvivenza del governo di larghe intese. È il molo di “leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza” (così Napolitano) che indurrebbe a restituire almeno una parte di “agibilità politica” ad un condannato per reati accertati in via definitiva dalla Corte di cassazione sulla scia di due precedenti e conformi giudizi. Dunque, una grazia “politica”. E qui è il vero ostacolo che dovrebbe precludere la strada alla concessione della grazia da parte del nostro presidente della Repubblica. Almeno se ci si vuole attenere a quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale richiamata da Napolitano (la n. 200 del 2006), che, se ha assegnato l’esclusiva titolarità del potere di grazia al presidente della Repubblica, ha altresì ritenuto di escludere che si possano ritenere fondamentali altri elementi se non quelli di natura umanitaria. Il potere di grazia - ha scritto la Consulta - spetta al capo dello Stato proprio perché egli rappresenta F”unità nazionale” ed è dunque estraneo al “circuito” dell’indirizzo politico-governativo. Non dovrebbero dunque rientrare tra le sue valutazioni quelle attinenti alla sfera della politica, ma limitarsi ad adottare provvedimenti di clemenza per ragioni umanitarie. Molti costituzionalisti - chi scrive tra questi - hanno criticato a suo tempo la decisione della Consulta, proprio sostenendo l’indeterminatezza di questa distinzione tra ragioni umanitarie e ragioni politiche che si pongono alla base di ogni decisione di clemenza nei confronti di un condannato; proprio per questo non si condivise - a suo tempo - l’attribuzione al solo presidente della Repubblica di un potere dì grazia. Ma, come per le sentenze della Cassazione, anche le decisioni del giudice costituzionale devono essere applicate con rigore. In assenza di ragioni umanitarie la grazia a Berlusconi non può essere concessa, mentre il suo ruolo decisivo per la salvaguardia degli equilibri politici, così fortemente custoditi dal presidente Napolitano, non possono essere posti alla base di un atto di clemenza. Un comma 22 per il soldato Berlusconi. Lazio: il Garante dei detenuti Marroni; Ferragosto dietro le sbarre per 7.154 detenuti Asca, 15 agosto 2013 A fronte di una capienza di 4.661 posti, sono 7.154 i detenuti che passeranno Ferragosto nelle celle delle 14 carceri della regione Lazio. Lo scrive in una nota il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, esprimendo l’auspicio che questo possa essere l’ultimo Ferragosto con l’emergenza carceri perché “fra sovraffollamento, mancanza di personale, strutture fatiscenti e risorse inadeguate, la situazione è pericolosamente vicina al punto di non ritornò’. Pur non avendo ancora influito positivamente sul problema del sovraffollamento delle carceri laziali, il Garante afferma di “riporre molta fiducia” nel cosiddetto decreto Cancellieri per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni nelle carceri ed il ritorno ad una pena in grado di agevolare il trattamento e il reinserimento sociale del detenuto, nel solco dell’art. 27 della Costituzione. Dai dati emerge, infatti, che le nuove norme hanno iniziato a produrre i primi effetti sul sovraffollamento a livello nazionale (oggi nelle carceri di tutta Italia ci sono 1.400 detenuti in meno rispetto al 25 giugno) ma non ancora nel Lazio, dove il numero dei reclusi presenti è rimasto, nelle ultime settimane sostanzialmente stabile. “A quanto risulta al mio ufficio - evidenzia Marroni - nelle ultime settimane nelle carceri della regione sono arrivati molti detenuti provenienti da sfollamenti effettuati da ogni parte d’Italia. Gli sfollamenti sono il frutto di una politica sbagliata, che da un lato testimonia che nel Lazio la qualità della vita in carcere è migliore che nel resto d’Italia, grazie alle iniziative messe in campo anche da questo ufficio per migliorare la situazione, ma dall’altro non tiene conto del principio della territorialità della pena”. Il Garante sottolinea dunque che “portare periodicamente all’estremo il sovraffollamento rende, alla lunga, inutile ogni iniziativa volta ad umanizzare la pena. Al netto di ciò, tuttavia, la conversione del decreto Cancellieri sembra segnare il ritorno verso una concezione della pena, che non sia solo afflittiva ma abbia anche una funzione trattamentale importante. Spero che questo, rappresenti il primo segnale della volontà politica di risolvere definitivamente la situazione delle carceri italiane”, conclude Marroni. Puglia: nelle carceri pugliesi molti malati psichiatrici, la situazione è esplosiva Gazzetta del Mezzogiorno, 15 agosto 2013 “Ormai la situazione delle carceri pugliesi e nazionali diventa sempre più precaria a seguito dell’aumento massiccio di detenuti con gravi problemi psichiatrici a cui si aggiungono malati con le più disparate e pericolose patologie. Ormai le carceri dovrebbero chiamarsi ospedali tanta è la presenza di detenuti con problemi di salute. Tutto ciò ha determinato e determina l’aumento di situazioni pericolose e drammatiche in cui i poliziotti penitenziari, lasciati soli a stessi, vengono fatti oggetto di aggressioni e minacce”. È quanto denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe. “L’assenza di una decente assistenza sanitaria specialistica costringe la polizia penitenziaria ad inventarsi infermiere, medico, psichiatra, con tutto ciò che questo comporta. Come è possibile passare 8 ore in presenza di detenuti che gridano in continuazione, rompono stanze e suppellettili, minacciano, cercano di aggredire?”, aggiunge Pilagatti. “Tutto ciò mentre i vertici del Dap pensano a tutt’altro - conclude Pilagatti - il Sappe chiede che quest’anno in occasione della visita dei parlamentari nelle carceri venga dato ampio risalto a questa problematica che sta rendendo ingestibile la situazione e chiedano al ministro della Giustizia e al capo del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) risposte concrete ad un problema che diventa sempre meno gestibile”. Intanto, anche quest’anno il sen. Luigi d’Ambrosio Lettieri, capogruppo Pdl della Commissione sanità del Senato visiterà a Ferragosto i penitenziari di Bari e Taranto. “Non solo solidarietà - afferma - ma un segnale concreto di attenzione alle problematiche che, nonostante i passi avanti dettati dalla recentissima approvazione del Decreto cosiddetto “svuota carceri”, restano comunque sul tappeto”. Oggi alle 9.30, D’Ambrosio Lettieri sarà al carcere di Taranto. Alle 11.30, visiterà il penitenziario di Bari. “Sul piano del sovraffollamento carcerario - continua d’Ambrosio Lettieri - nel decreto è contenuta una parte importante dedicata alle misure di intervento per la realizzazione di nuove strutture carcerarie. E ci auguriamo che, questa volta, Bari e la Puglia non lascino cadere colpevolmente nel vuoto una opportunità che già una volta Vendola ed Emiliano hanno letteralmente boicottato”. Perugia: visita ispettiva al carcere, di Adriana Galgano (Sc) e Andrea Maori (Radicali) Notizie Radicali, 15 agosto 2013 Ieri, 14 agosto, si è svolta la programmata visita ispettiva presso la Casa circondariale di Capanne della deputata di Scelta Civica Adriana Galgano e del segretario di radicaliperugia.org Andrea Maori. Cliccando qui si può ascoltare l’intervista per radio radicale concessa al termine. La visita si inserisce nelle iniziative “Ferragosto in carcere” da anni programmate dai Radicali e che quest’anno coincide con la raccolta firme per i 12 referendum sulla “Giustizia giusta” e i nuovi diritti umani e civili. Accompagnati nella visita dal Commissario Brillo, abbiamo riscontrato una situazione carceraria per alcuni versi migliore rispetto a quella riscontrata l’anno scorso e in altre visite ispettive. Innanzitutto il Commissario ha tenuto a smentire con forza la notizia che radicaliperugia.org ha reso noto e cioè di alcuni casi di Tbc. notizia che avevamo avuto dal carcere. Notizia falsa: la visita ispettiva è stata intrapresa anche a seguito di questa comunicazione ma si è trattata solo di una voce infondata che si è diffusa nel carcere e che era giunta fino a noi, per cui siamo lieti di poter confermare la smentita. A ieri, non vi erano sostanzialmente situazioni di sovraffollamento intollerabili. Il numero dei detenuti presenti - 464 - coincide grosso modo con il numero regolamentare che il carcere può avere, anche se i flussi di entrata-uscita sono in continuo movimento per cui la situazione può peggiorare da un momento all’altro. Rimane il dato della forte presenza straniera - 65/% - e del sotto organico degli agenti di polizia penitenziaria - 222 presenti - contro i 320 richiesti dalla direzione. L’aumento della cosiddetta vigilanza dinamica - che consente una maggiore socialità tra i detenuti, con un aumento notevole di ore di apertura delle celle - purtroppo applicata solo nelle sezioni maschili - viene considerato un elemento di deterrenza anche degli atti di autolesionismo che dal 1° gennaio 2013 al 15 giugno sono diminuiti notevolmente rispetto all’anno precedente. Con soddisfazione è stato sottolineato un nuovo approccio - anche se insufficiente - che prevede, in convenzione con il comune di Perugia, il lavoro in esterno per 4 detenuti che si aggiungono ai lavori presso la cooperativa agricola per altri 4-5 detenuti. Gravissima la situazione per quanto riguarda la mancanza di un centro clinico presso l’ospedale regionale di Perugia: vertenza che va avanti da molti anni e che ancora non è stata risolta. Con la visita ispettiva si è toccato con mano la necessità di dar corso ad una riforma strutturale della giustizia, a partire dalla riforma della legislazione in materia di droghe e di immigrazione. Per questo i referendum radicali costituiscono un importantissimo tassello - con l’abolizione della pena detentiva per fatti di lieve entità - e per modificare quelle norme discriminatorie sull’immigrazione che favoriscono l’approccio verso la criminalità organizzata. Cagliari: carcere di Buoncammino, una cayenna urbana La Nuova Sardegna, 15 agosto 2013 Celle sovraffollate, pochi agenti di polizia penitenziaria e una struttura fatiscente. Questo il ritratto di Buoncammino, il carcere ottocentesco di Cagliari, immortalato nelle 40 foto di denuncia scattate dalla Uil Pa Penitenziari nel sopralluogo effettuato ieri nell’ambito di un tour nazionale “Lo scatto dentro, la verità venga fuori” e illustrate ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa, dal segretario nazionale Eugenio Sarno. Stando ai numeri diffusi in mattinata, Buoncammino, che ha una capienza di 314 posti, ospita 499 detenuti (di cui 19 donne e 480 uomini). Di questi 59 sono quelli in attesa di giudizio, 39 quelli che aspettano l’appello, 30 quelli che hanno fatto ricorso in Cassazione e 371 i carcerati condannati a pena definitiva. Di segno opposto è la situazione degli agenti di polizia penitenziaria: la pianta organica ne prevede 267 mentre in servizio sono 207, senza contare chi viene distaccato per servizi di traduzione o scorta. “Mancano almeno 50 unità di personale e di notte a Buoncammino ci sono solo 12 agenti in servizio, con la futura apertura del carcere di Uta, se saranno trasferiti gli agenti già in servizio, la struttura potrà essere aperta solo al 50 per cento. Nel carcere come in tante altre realtà italiana si commercia droga, carne e sigarette - aggiunge Sarno. Gli agenti tentano ogni giorno di contrastare questa situazione”. Tra le foto mostrate dal sindacato, quelle più significative ritraggono stanze da due persone che invece ne ospitano sei, particolarmente buie e strette, arredate con letti a castello a tre piani. Mentre, stando a quanto denunciato in conferenza stampa, nella sezione femminile c’è una stanza da tre con otto detenute, “gli spazi per l’ora d’aria non sono sufficienti e molti detenuti preferiscono rimanere in cella”. A rendere l’idea sulle condizioni di vita nel carcere, ci sono anche gli spazi per la cosiddetta ora d’aria: non più di 20 metri quadrati per le 90 persone di ogni sezione. Non meno allarmanti le immagini delle camere di degenza o dell’asilo nido. Ma è l’intera struttura ad avere seri problemi: ad esempio, la garitta del lato viale San Vincenzo è pericolante e potrebbe crollare così come è accaduto qualche mese fa quando si è staccato un pesante sostegno di granito che solo per poco non ha travolto il personale. “In Italia il 43 per cento di chi vive rinchiuso in una struttura carceraria, non ha una condanna definitiva”, ha spiegato ancora Sarno sottolineando che “nel Paese ci sono 24 mila detenuti in esubero per i quali rischiamo di essere condannati ripetutamente e dover pagare le sanzioni della Comunità europea”. Per il sindacalista “l’unica soluzione è l’amnistia”. Il problema della carenza dell’organico delle guardie carcerarie, poi, rende ancora più disumane le condizioni delle carceri italiane e di Buoncammino in particolare. La carenza degli agenti è uno dei problemi che sta alla base, anche, delle difficoltà di promuovere programmi di reinserimento dei detenuti con una condanna definitiva da scontare. La buona volontà della dirigenza carceraria, degli educatori e degli agenti di custodia penitenziaria tenta di supplire ai vuoti, ma ci sono limiti oltre i quali non si riesce ad andare e che bloccano la crescita di programmi che hanno sempre dato risultati su un fronte delicato, quello delle recidive dei reati. “Bisogna alimentare la coscienza sociale, scuotere i cittadini, far capire che la situazione dei detenuti è inaccettabile”, ha concluso Sarno. Rimini: detenuto magrebino tenta il suicidio; salvato da un agente, ora è in coma Ansa, 15 agosto 2013 Un giovane di origine magrebina ha inalato il gas della bomboletta usata per riscaldare cibo e bevande. È intervenuto un uomo della Penitenziaria. “Un giovane detenuto di origine magrebina, del carcere di Rimini, sezione Cassiopea per detenuti tossicodipendenti, ha inalato il gas della bomboletta che aveva legittimamente per cucinare e riscaldare cibi e bevande. Solo grazie al pronto intervento dell’agente della polizia penitenziaria in servizio nel reparto l’uomo non è deceduto”. Lo riferisce Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). Il fatto è avvenuto nei giorni scorsi. “Il medico del carcere - aggiunge Durante, intervenuto subito, ne ha disposto l’invio in ospedale. Nonostante il sollecito intervento ed i soccorsi il detenuto è entrato in coma e si trova tuttora ricoverato. Ciò dimostra ulteriormente come sia fondamentale ed insostituibile la presenza della polizia penitenziaria, ormai assolutamente insufficiente a gestire la sicurezza nei reparti, a causa della mancanza di assunzioni. Mancano circa 7mila unità a livello nazionale e circa 600 in Emilia Romagna. Nonostante ciò, a fronte degli oltre 1.000 agenti che vanno in pensione ogni anno ne vengono assunti circa il 30 per cento. Quest’anno è stato bandito un concorso per meno di 200 agenti che dovrebbero essere distribuiti sul territorio nazionale. Inoltre, sarebbe opportuno vietare l’uso delle bombolette di gas, considerato che il cibo viene fornito dall’amministrazione”. Milano: Ferragosto in carcere, Radicali in presidio a San Vittore Notizie Radicali, 15 agosto 2013 Come ogni anno, molti dei dirigenti Radicali, tra cui Marco Pannella ed Emma Bonino, trascorreranno il Ferragosto nelle carceri italiane: tra il 15,16 e 17 agosto sono infatti previste le visite dei Radicali a Regina Coeli, Rebibbia, Firenze, Napoli, Lecce, Palermo, Trieste e molti altri: visite per l’uscita dalla flagranza criminale dello Stato, per l’Amnistia e per i Referendum Radicali Constatata l’impossibilità di avere un autenticatore disponibile per la giornata del 16 agosto, per raccogliere le firme per i Referendum Radicali - giorno che era stato comunicato al Dap - e cercando di ottimizzare la raccolta delle firme all’interno delle carceri lombarde e definito che l’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano, con il prezioso lavoro di Marina Milella, in collaborazione con tutti i Radicali lombardi, sta già programmando la raccolta firme nelle carceri della Regione (San Vittore, Opera, Monza, Voghera, Vigevano, Pavia, Busto Arsizio, Varese, Brescia, Sondrio, Cremona, Como, Lecco, Mantova e Lodi) per l’ultima settimana di agosto e la prima settimana di settembre, al fine di significare la presenza Radicale nelle carceri anche a Milano, oggi, 15 agosto 2013, Radicali Milano terrà un presidio, dalle 11.00 alle 12.00, all’esterno delle mura di San Vittore, in piazzale Aquileia, con Lucio Bertè, dirigente radicale, già consigliere regionale. Così il Segretario di Radicali Milano: “Siamo rammaricati di non aver potuto trovare nessun autentificatore disponibile per dare la possibilità ai detenuti di esercitare i loro diritti, sottoscrivendo anche i referendum radicali. Abbiamo cercato di contattare tutti i Consiglieri Provinciali e Comunali e i dipendenti comunali che hanno richiesto la delega, ma per il 16 agosto, data comunicata al Dap, ci è stato impossibile reperirne. Per significare quindi la nostra vicinanza a chi, in molte delle carceri italiane, da Pannella, a Bonino, da Staderini a Bernardini, Da Turco a De Lucia - insomma tutta la dirigenza radicale - riesce a far visita ai detenuti e a portare loro un pezzetto di democrazia con la possibilità di firmare i referendum radicali, ecco allora che Radicali Milano, l’Associazione Enzo Tortora, su iniziativa di Lucio Bertè, vuole essere anch’essa presente di fronte al Carcere di San Vittore, ma idealmente all’interno, per annunciare che nelle prossime settimane anche i Radicali lombardi faranno tutto il possibile per entrare nelle carceri, dare la possibilità ai detenuti di sottoscrivere i referendum radicali che, è bene ricordarlo, rappresentano anch’essi un mezzo, uno dei tanti, per cercare di portare fuori dalla flagranza criminale lo Stato Italiano e per renderlo sempre un poco più libero e civile”. Monza: Ferragosto in carcere con Giorgio Bertazzini, Garante dei diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 15 agosto 2013 Giorgio Bertazzini, recentemente nominato dalla Provincia Garante per i diritti delle persone limitate nella libertà personale, trascorrerà la mattinata di Ferragosto incontrando i detenuti ospitati presso la Casa Circondariale in via Sanquirico a Monza. Accompagnato dal Direttore del Carcere Maria Pitaniello, visiterà le sezioni, le cucine e infine consegnerà le copie della Carta dei diritti e dei Doveri dei Detenuti e degli Internati in lingua italiana, tedesca, rumena, araba, inglese e francese e spagnola che saranno poi lasciate a disposizione presso le Biblioteche maschile e femminile. “Trascorrere la giornata di Ferragosto in carcere rappresenta un segno concreto di vicinanza delle istituzioni e della comunità non solo ai detenuti ma a tutto il personale in servizio - commenta il Presidente Dario Allevi per spiegare l’iniziativa - Mi piace dire che il carcere è il 56esimo Comune della Provincia di Monza e della Brianza e per questo non dobbiamo dimenticarci di questi particolari cittadini nemmeno nei giorni di festa. L’impegno della Provincia in questi anni continua ad essere il sostegno a tutte le attività di ri-inserimento attraverso il lavoro che offre alle persone detenute un’occasione concreta di riscatto, proprio attraverso l’acquisizione di competenze professionali e la costruzione di una consapevolezza autentica che il passaggio dall’illegalità alla legalità è sempre possibile. Per questo abbiamo inserito anche i detenuti in quel pacchetto di azioni a sostegno dell’occupazione che abbiamo presentato recentemente”. Durante il ponte di Ferragosto i detenuti del Carcere di Monza, come quelli di Milano e di altre città, saranno impiegati in attività di lavori socialmente utili, come la tutela ambientale dell’Idroscalo di Milano. I detenuti partecipano all’iniziativa ripulendo il parco dai rifiuti e terminando il servizio con un pic-nic con le proprie famiglie. Il Garante, in questi primi mesi di attività, ha già effettuato diverse visite ispettive per valutare le condizioni dei detenuti presso la Casa Circondariale di Monza. Nell’ultima visita del 5 agosto 2013 è stato riscontrato un incremento significativo delle presenze in un intervallo di tempo piuttosto ridotto: da 675 presenze nel mese di maggio,si è passati a 685 nel mese di giugno e quindi 720 nel mese di luglio, un numero che va oltre la capienza regolamentare che dovrebbe essere pari a 405 detenuti. È stato rilevato che nonostante la normativa preveda che le Case Circondariali debba ospitare essenzialmente imputati, il Carcere a Monza subisce non solo le conseguenze del sovraffolamento diffuso ma anche della prevalenza dei condannati (nel mese di giugno 306 imputati e 374 condannati). “Sperando di riuscire a diminuire una presenza così significativa - spiega il Garante - è imminente il trasferimento inizialmente previsto per giugno e rinviato a settembre della sezione Alta Sicurezza che ad oggi registra una presenza di 80 detenuti, i quali verranno trasferiti presumibilmente entro un certo numero al Carcere di Voghera. Ciò significherà che il Carcere di Monza non ospiterà più detenuti in alta sicurezza ovviamente ospiterà altre persone detenuti del circuito dei cosiddetti comuni”. Una ulteriore azione tesa a migliorare le condizioni di detenzione rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria, è l’apertura della II sezione dei “comuni” alla “sorveglianza dinamica”, ovvero in sezione i detenuti possono uscire dalle camere di pernottamento e muoversi all’interno della sezione stessa fino alle ore 17.30. “È imminente - informa il Garante - l’apertura di un’altra sezione che contribuirà ad alleggerire la condizione di vita poiché ad oggi i detenuti vivono in tre in celle concepite per ospitare un sola persona (celle di 11 mq comprensivi di servizio igienico).” Salerno: raccolta firme in carcere, per Referendum radicali e Leggi di iniziativa popolare La Città di Salerno, 15 agosto 2013 Una raccolta di firme in carcere per sostenere i dodici referendum e le quattro proposte di leggi d’iniziativa popolare su giustizia e i nuovi diritti civili proposti dai Radicali. Gli attivisti del movimento politico si recheranno questa mattina nella struttura penitenziaria di Fuorni. “La delegazione che raccoglierà le firme e visiterà il carcere in queste ore caldissime di Ferragosto - spiegano in una nota i promotori dell’iniziativa - sarà composta oltre che da Donato Salzano e Carlo Padovano segretario e tesoriere di Radicali Salerno “Maurizio Provenza”, dal consigliere regionale Dario Barbirotti, dagli avvocati Fiorinda Mirabile, Massimo ed Emiliano Torre”. Quest’ultimo, che è anche capogruppo di Sel al Comune di Salerno, spiega così la sua adesione: “Lo strumento referendario è l’unico mezzo oggi possibile affinché si diffonda nella società un dibattito sul tema della giustizia non inquinato dalle vicende personali di quel politico o di quel magistrato”. di Barbara Cangiano Condizionatori a singhiozzo, invasione di zanzare, sistema di chiamata inesistente e personale sanitario ridotto all’osso: in una nota indirizzata alla direzione sanitaria di presidio, la Cgil ha denunciato ancora una volta le drammatiche condizioni in cui sono costretti i pazienti ricoverati nella sezione detenuti dell’Azienda ospedaliera di via San Leonardo. Nelle quattro celle - tre maschili ed una femminile - negli ultimi giorni l’aria era irrespirabile, hanno denunciato gli operatori. “Per via di un guasto all’impianto elettrico i condizionatori funzionano poco e malissimo - ha tuonato Margaret Cittadino delle Rappresentanze sindacali unitarie - Le maglie delle zanzariere poste alle finestre, ormai a dir poco vetuste, sono larghe, dunque nelle stanze entrano insetti di tutti i tipi. Con il caldo è diventata una emergenza da risolvere per la salute dei detenuti e degli infermieri che si occupano delle terapie”. Ieri mattina una delegazione del sindacato ha sollecitato un sopralluogo da parte dell’ufficio tecnico per tamponare i problemi di un reparto “che il nostro direttore generale ha definito un albergo a cinque stelle. Peccato - ha incalzato Cittadino - che non esista alcun sistema di chiamata (particolare che espone i pazienti ad un alto rischio), che possano entrare insetti nelle celle e che non vi sia neppure una radio o un televisore, come se si trattasse di un braccio da isolamento. A Fuorni si sta meglio”. Non la pensa proprio così Donato Salzano dei Radicali, che oggi effettuerà una visita ispettiva nella casa circondariale dove a luglio si è rischiata la sommossa: “Sembra incredibile, ma è vero: il mese scorso la struttura di Fuorni è arrivata ad ospitare 625 detenuti a matricola oltre ad una ventina di semi liberi. Oggi il numero è sceso a 550, a fronte di una capienza legale di 280 unità, che si riducono a 240 per via di alcuni lavori che sono in fase di ultimazione - ha spiegato. La parola sovraffollamento non basta più a testimoniare lo squallore ed il degrado in cui sono costretti a vivere i detenuti. È sicuramente un problema nazionale, ma il carcere di Fuorni non fa eccezione ed è tra quelli messi peggio in tutta Italia da questo punto di vista”. In neppure venti metri quadrati coabitano dai sei ai sette persone, le donne sono ammassate su un unico piano, mentre la mancanza di personale penitenziario fa sì che i detenuti abbiano limitate possibilità di uscita. Nelle celle maschili, inoltre, mancano i bagni; in quelle femminili i water sono a vista (in violazione dell’ultimo regolamento penitenziario). Parma: arrestato uno dei due albanesi evasi dal carcere di via Burla lo scorso febbraio Gazzetta di Parma, 15 agosto 2013 È stato arrestato nel pomeriggio a Cassano d’Adda, nel Milanese, Valentin Frrokaj, uno dei due albanesi evasi dal carcere di Parma lo scorso 2 febbraio. A fermarlo sono stati i carabinieri della locale stazione ed ora è stato trasferito in carcere. Valentin Frrokaj, 35 anni, stava scontando nel carcere di via Burla la pena dell’ergastolo per l’omicidio, avvenuto nel 2007, di un connazionale nella zona di Brescia, a Parco Gallo. Frrokaj era evaso dal penitenziario di Parma assieme al connazionale Taulant Toma, 29 anni, in carcere per rapina e già protagonista di un’evasione nel 2007 dal carcere di Terni. Gli evasi pochi giorni dopo la fuga erano stati intercettati alla periferia di Milano a bordo di un’auto rubata a Piacenza; in quell’occasione erano riusciti ad avere la meglio sulle forze dell’ordine, mentre questa volta Frrokaj non ha avuto scampo. Sull’evasione dei due ha aperto un fascicolo la Procura di Parma, che ha iscritto nel registro degli indagati il vicedirettore del carcere di Parma (la figura del direttore è tuttora vacante), l’allora comandante del reparto di polizia penitenziaria e otto agenti. Sono accusati, a vario titolo, di procurata evasione ed omissione di atti d’ufficio. La Spezia: detenuto minaccia di morte e aggredisce agente penitenziario www.grnet.it, 15 agosto 2013 Episodio di violenza accaduto martedì 13 agosto nel carcere di La Spezia, da parte di un detenuto nordafricano che ha colpito un agente di polizia Penitenziaria in servizio. “Durante l’apertura pomeridiana per l’immissione al passeggio del detenuto - spiega Roberto Martinelli, Segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il poliziotto, giunto davanti aduna cella, si è visto prima oggetto, senza peraltro alcuna plausibile motivazione, di minacce di morte da parte del detenuto, che rafforzava la minaccia mimando il gesto del taglio della gola, tenendo in mano una lametta, quindi tentava di scagliarsi contro il collega che, soltanto grazie alla sua prontezza di riflessi, evitava drammatiche conclusioni. Comunque nella concitazione il detenuto riusciva a procurare un’escoriazione all’altezza dell’addome al collega e il collega stesso nell’evitare ulteriori danni e per tentare di allontanarsi sbatteva violentemente la mano contro le sbarre della cella. Ovviamente tempestivo è stato l’intervento degli altri poliziotti e dopo le prime cure in infermeria il collega è stato trasportato al pronto soccorso su consiglio del medico di guardia”. “A lui va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà - prosegue Martinelli - , ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità penitenziarie. Questa aggressione ci preoccupa, anche perché avviene a poche ore da analoghe aggressioni a poliziotti nelle carceri di Vercelli e Porto Azzurro”. “La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e il costante sovraffollamento detentivo - conclude Martinelli - con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti, sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, il personale di Polizia Penitenziaria deve gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Il Dap pensa alle favole, alla vigilanza dinamica ed all’autogestione dei detenuti della quale si tenta di parlare anche per le carceri liguri. Addirittura, dal primo settembre si vuole far pagare l’affitto ai poliziotti che dormono in Caserma, senza evidentemente neppure sapere che gli Agenti che dormono e vivono in Caserma sono i primi a mobilitarsi (anche quando sono fuori servizio) in caso di gravi eventi critici in carcere. Ma le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture! E bisogna che, chi aggredisce gli agenti, sia punito con severità e fermezza”. Immigrazione: dal M5S solidarietà ai detenuti e agli operatori del Cie di Gradisca Il Friuli, 15 agosto 2013 “Era prevedibile che il Cie di Gradisca diventasse per l’ennesima volta teatro di episodi di violenza e di disperazione. Fino ad oggi non si è fatto nulla per risolvere la situazione. Al governo Letta non interessano minimamente né le persone trattenute in modo disumano nel Centro né gli agenti di custodia costretti a operare in situazioni di grande difficoltà”. Il Movimento 5 Stelle esprime tutta la sua solidarietà verso chi è coinvolto nella triste vicenda del Cie di Gradisca attraverso le parole dei deputati Walter Rizzetto e Aris Prodani e del consigliere regionale Ilaria Dal Zovo. “In una Paese civile - aggiunge Rizzetto - non è ammissibile che delle persone vengano detenute di fatto fino a 18 mesi in condizioni estreme. Un lasso di tempo enorme per questi migranti che molto spesso, privi di documenti validi, non possono nemmeno fare ritorno nei loro paesi di origine”. “L’intero quadro normativo va riformato - propone Prodani -. Quanto sta accadendo è la dimostrazione lampante del fallimento di politiche oscurantiste e fuori da tempo. È evidente che le situazioni che si vengono a creare nei centri di identificazione sono solo la punta dell’iceberg di un problema, quello dell’immigrazione, che bisognerebbe affrontare e risolvere una volta per tutte, non limitandosi ai semplici proclami - ribadisce Prodani. È necessario implementare la convenzione di Dublino e renderla pienamente efficace, ed evitare, con il supporto della diplomazia europea, che l’ Italia resti ostaggio di alcuni paesi nordafricani, che utilizzano i disperati in partenza da quelle coste come merce di scambio”. “Come se la situazione non fosse abbastanza critica, il Ministro dell’Interno ha inoltre pensato bene di emanare un decreto che istituisce a Gradisca d’Isonzo un Centro di accoglienza (Cda) - ricorda Ilaria Dal Zovo -. Si tratta di persone sbarcate per lo più sulle coste del sud Italia. Il rischio molto serio è che in regione arrivino almeno 500 immigrati al mese, destinati ad aumentare a dismisura il numero dei clandestini presenti nel Friuli Venezia Giulia. È una situazione insostenibile, anche per le forze dell’ordine continuamente sotto organico, che va avanti da anni nell’indifferenza totale della politica. Crediamo - aggiunge - si debba prendere in seria considerazione la chiusura della struttura di Gradisca”. Stati Uniti: il prigioniero di Guantánamo… di John Grisham (Traduzione di Anna Bissanti) La Repubblica, 15 agosto 2013 Nel supercarcere Usa da 11 anni è detenuto senza processo Nabil. Il giovane ha chiesto inutilmente di leggere i libri di Grisham. E lui qui racconta la sua storia Poco tempo fa ho scoperto che alcuni miei libri erano stati proibiti nel carcere di Guantánamo. Pare che i prigionieri li richiedessero, gli avvocati glieli portavano, però i libri venivano respinti per il “contenuto non ammissibile”. Incuriosito, ho rintracciato un detenuto cui piacciono i miei libri. Si chiama Nabil Hadjarab, è un algerino di 34 anni cresciuto in Francia. Ha imparato a parlare francese prima dell’arabo. In Francia ha parenti stretti e amici, ma non in Algeria. Da ragazzino, quando abitava vicino Lione, era una piccola promessa del calcio, sognava di giocare un giorno per il Paris St. Germain o qualche altra importante squadra francese di calcio. Tragicamente per lui, Nabil ha trascorso gli ultimi 11 anni in prigione a Guantanamo, per gran parte del tempo in isolamento. Da febbraio partecipa a uno sciopero della fame, e di conseguenza è alimentato a forza. Per ragioni che hanno niente a che vedere con il terrorismo, la guerra o un comportamento criminale, l’11 settembre 2001 Nabil abitava pacificamente in una “guest house” algerina a Kabul, in Afghanistan. Dopo l’invasione americana, s’era sparsa la voce tra le comunità arabe che l’Alleanza afgana del nord stesse rastrellando e uccidendo gli arabi stranieri. Nabil s’era avviato assieme a molti altri verso il Pakistan nel tentativo disperato di sottrarsi al pericolo. Lungo il percorso, racconta, era rimasto ferito in un raid aereo e s’era risvegliato in un ospedale di Jalalabad. In quei giorni gli Stati Uniti elargivano soldi a chiunque potesse consegnare loro un arabo straniero presente nella regione. Nabil è stato venduto agli americani dietro una ricompensa di 5mila dollari ed è stato portato a Kabul, in una prigione sotterranea. Lì, per la prima volta, ha conosciuto la tortura. Per recludere i prigionieri della sua guerra al terrore, i militari Usa hanno allestito un carcere improvvisato nella base aerea afgana di Bagram. Questo avrebbe in breve tempo acquistato una fama molto cupa, tanto che al suo confronto Guantánamo sembra un campo parrocchiale. Nabil è stato incarcerato lì nel gennaio 2002, assieme ai primi detenuti: non c’erano ancora le pareti, ma soltanto gabbie di rete metallica e filo spinato. Malgrado il freddo pungente, Nabil è stato costretto a dormire sul pavimento di cemento, senza coperte. Acqua e cibo erano scarsi. Durante gli spostamenti per i frequenti interrogatori, Nabil veniva percosso dai soldati americani, trascinato su e giù per le scale di cemento. Altri prigionieri sono morti. Dopo un mese a Bagram, Nabil è stato trasferito in un carcere di Kandahar, dove gli abusi sono proseguiti. Per tutto il tempo della sua detenzione in Afghanistan, Nabil ha smentito con forza qualsiasi legame con Al Qaeda, con i Taliban, con organizzazioni o con chiunque fosse stato anche lontanamente legato agli attentati dell’11 settembre. In più, gli americani non avevano alcuna prova di un suo coinvolgimento, a parte qualche fasulla dichiarazione ricavata con la violenza da altri prigionieri nella camera delle torture di Kabul. Parecchi investigatori americani gli hanno detto che il suo è un caso di scambio di identità. Ciò nonostante, gli Stati Uniti hanno adottato regole severe per gli arabi in carcere: sono stati tutti trasferiti a Guantánamo. Il 15 febbraio 2002, Nabil è stato caricato su un aereo diretto a Cuba: ammanettato, legato e incappucciato. Da allora Nabil è stato sottoposto a tutti gli orrori previsti dal manuale di Gitmo (nome in codice del campo di detenzione della base navale della Marina degli Stati Uniti a Guantánamo, ndt): privazione del sonno, deprivazione sensoriale, temperature estreme, isolamento prolungato, privazione della luce del sole, nessuno svago, scarsa assistenza medica. In undici anni, non gli è mai stata concessa la visita da parte di uno dei suoi familiari. Per ragioni note soltanto a chi dirige il carcere, Nabil non è stato sottoposto al water boarding, la tortura dell’acqua con il finto annegamento, e i suoi legali credono che ciò dipenda dal fatto che egli non sa nulla e non ha nulla da rivelare. Il governo degli Stati Uniti dichiara qualcosa di diverso. Nei documenti, i rappresentanti dell’accusa delle Forze armate affermano che Nabil fosse ospite di un alberghetto gestito da chi aveva collegamenti con al-Qaeda e che il suo nome è stato fatto da altre persone perché egli era affiliato ai terroristi. Ma Nabil non è mai stato accusato di alcun reato. Anzi, in due occasioni è stato giudicato pronto per un “trasferimento” o per essere scarcerato. Nel 2007 la commissione per la revisione dei casi dei detenuti, voluta dal presidente George W. Bush, ne ha raccomandato la liberazione. Ma non è successo niente. Nel 2009, un’ulteriore commissione d’indagine istituita dal presidente Barack Obama ha raccomandato il suo trasferimento. Niente. Non è accaduto niente. Secondo le guardie, Nabil è un detenuto modello. Tiene la testa bassa e se ne sta alla larga dai guai. Ha perfezionato il suo inglese e insiste a parlarlo con i suoi difensori britannici. Lo scrive anche in maniera impeccabile. Per quanto possibile in circostanze a dir poco tremende, ha fatto di tutto per mantenersi in salute, fisicamente e psicologicamente. Negli ultimi sette anni, nell’ambito della mia attività per Innocent Project, finalizzata a liberare chi è stato incarcerato per sbaglio, ho incontrato molti uomini innocenti rinchiusi nel braccio della morte. Senza eccezioni, mi hanno riferito quanto sia crudele l’isolamento totale per un assassino che abbia ammesso il proprio crimine. Per un detenuto innocente, il braccio della morte è ancora peggio: lo spinge pericolosamente vicino alla pazzia, al punto da ritenere impossibile di poter sopravvivere un giorno di più. Depresso e portato al punto di massima angoscia, a febbraio Nabil si è unito al gruppo in sciopero della fame. Non si è trattato certo del primo sciopero del genere a Gitmo, ma è stato quello che ha attirato maggiore attenzione. A mano a mano che il caso ha acquistato risonanza e Nabil e i suoi compagni di prigionia stavano sempre più male, l’Amministrazione Obama si è ritrovata con le spalle al muro. Il presidente si è giustamente arrabbiato, perché le promesse audaci ed eloquenti da lui fatte in campagna elettorale di chiudere Gitmo sono state dimenticate. All’improvviso si è trovato davanti alla raccapricciante prospettiva di detenuti che cadevano al suolo come le mosche, dopo essersi lasciati morire di fame sotto gli occhi di tutto il mondo. Invece di liberare Nabil e altri prigionieri che non costituiscono una minaccia per gli Stati Uniti, l’Amministrazione ha deciso di prevenire la morte alimentando a forza chi praticava lo sciopero della fame. Nabil non è stato l’unico “errore” nella nostra guerra al terrore. Centinaia di altri arabi sono stati rinchiusi a Gitmo e inghiottiti dal sistema senza essere mai accusati con un’imputazione precisa, per essere poi riportati nei loro paesi d’origine. (Questi trasferimenti sono avvenuti più clandestinamente e silenziosamente possibile.) Non ci sono state scuse ufficiali. Né dichiarazioni formali di rammarico. Nessun risarcimento, niente del genere. Gli Stati Uniti hanno platealmente sbagliato, ma non lo si può ammettere. Nel caso di Nabil, gli agenti delle intelligence e delle Forze armate statunitensi si sono affidati a informatori corrotti pronti a far man bassa dei soldi degli americani o, ancora peggio, a spie in prigione, disposte a barattare informazioni fasulle in cambio di dolciumi, riviste porno, e talvolta anche solo una pausa nelle percosse. La settimana scorsa l’Amministrazione Obama ha annunciato che sta per trasferire altri prigionieri arabi in Algeria. È probabile che Nabil possa essere uno di loro, e se ciò accadrà si commetterà un altro tragico errore. Il suo incubo continuerà. Sarà un senzatetto. Non riceverà aiuto alcuno per reintegrarsi in una società dove molti nutrono ostilità nei confronti degli ex detenuti di Guantánamo. Invece di dimostrare di avere fegato ed ammettere di aver commesso un errore, le autorità statunitensi si libereranno di lui, lo abbandoneranno per le strade di Algeri e se ne laveranno le mani. Che cosa dovrebbero fare? Ovvero, che cosa dovremmo fare? Prima di tutto ammettere l’errore commesso e presentare formalmente le nostre scuse. In secondo luogo, provvedere a un risarcimento. I contribuenti statunitensi hanno speso due milioni di dollari l’anno per tenere Nabil rinchiuso a Gitmo per 11 anni: ora dovrebbero dargli almeno qualche migliaio di dollari per rimettersi in piedi. Terzo, esercitare pressioni sulla Francia per permettergli di rientrare. Suona tutto semplice. Ma nulla di ciò accadrà mai.