Giustizia: meno persone in cella e sgravi fiscali alle imprese che assumono ex detenuti di Stefano Liburdi Il Tempo, 13 agosto 2013 “Favorire la decarcerizzazione degli autori di reati di modesta pericolosità sociale, anche se recidivi, fermo restando il ricorso al carcere nei confronti dei condannati per reati di particolare gravità”. È l’obiettivo del decreto-legge “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”, definitivamente approvato e convertito in legge pochi giorni fa. “Una prima, urgente risposta - sottolinea il ministero della Giustizia - ai problemi posti dal fenomeno, ormai endemico, del sovraffollamento carcerario, che ha dato causa alle recenti condanne del nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo”. Queste, nel dettaglio, le principali misure previste dal decreto. La custodia cautelare in carcere può ora essere disposta soltanto per i delitti puniti con pena non inferiore ai 5 anni, fatta eccezione per il delitto di finanziamento illecito dei partiti politici e per il delitto di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.), il cui massimo edittale è stato innalzato in modo da consentire l’applicazione della misura custodiale. È previsto un accesso più agevole alle misure alternative al carcere per i condannati che al momento della irrevocabilità della sentenza fossero già liberi, a meno che non siano autori di gravi reati (come quelli in materia di criminalità organizzata o di maltrattamenti in famiglia). Anche l’eliminazione di alcuni “irragionevoli divieti” alla concessione di tali misure per i recidivi reiterati, i cui reati sono spesso riconducibili a contesti di marginalità sociale o di dipendenza da sostanze psicoattive. Ancora: concedibilità della detenzione domiciliare, senza ingresso in carcere, per le donne incinte e le madri di prole di età inferiore ai 10 anni, per i soggetti portatori di gravi patologie, per gli ultrasettantenni non recidivi, quantomeno nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai 4 anni. Potenziamento del ricorso al lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti, sia pure con limitazioni per i reati più gravi. Anche l’estensione del ricorso al lavoro all’esterno in riferimento ai cosiddetti lavori di pubblica utilità, nonché la concessione di sgravi fiscali e contributivi, già previsti dalla legge Smuraglia, per le imprese che assumano detenuti o ex detenuti. “Considerando che la situazione di difficoltà “strutturale” del nostro sistema carcerario non può essere affrontata unicamente attraverso interventi di carattere normativo - spiega il dicastero di via Arenula - e che pertanto è indispensabile che si proceda alla realizzazione di nuovi istituti penitenziari e al miglioramento strutturale di quelli esistenti, si è inoltre voluta consolidare la figura del commissario straordinario per le carceri, a cui sono conferiti compiti ben definiti ed orientati a raggiungere tali obiettivi nel più breve tempo”. Giustizia: l’ergastolano; carceri come discariche, decreto non restituisce dignità ai detenuti Il Tempo, 13 agosto 2013 L’ex camorrista Cosimo Rega, che ha già scontato 35 anni, boccia il decreto “Serve a metterci in regola con l’Ue ma non restituisce dignità ai detenuti”. A parlare è Cosimo Rega, ergastolano con più di 35 anni di carcere già scontati. Grazie all’articolo 21, che gli permette di uscire la mattina per poi rientrare a Rebibbia la sera, da un anno lavora in una cooperativa presso l’ufficio del Garante dove si occupa della realizzazione e promozione di eventi culturali dei detenuti. Inizia così il suo commento al decreto svuota carceri del governo Letta, che giovedì 8 agosto è stato approvato dal Senato e promette di alleggerire le presenze di circa 3.000 unità in un solo anno. Da Strasburgo è arrivato l’ordine di porre riparo al sovraffollamento degli istituti penitenziari entro maggio 2014. Se a questa data l’Italia non avrà dimostrato di aver intrapreso un percorso idoneo al miglioramento, sarà condannata per trattamenti inumani e degradanti. “Questo provvedimento rischia di essere solo un calmante e non una cura di un sistema che ha bisogno di grosse modifiche strutturali e filosofiche. Forse sarà buono per dare l’impressione all’Europa che qualcosa si sta facendo per rientrare nei parametri fissati dalla Comunità” Cosimo è stato condannato a fine pena mai per gravi reati legati alla criminalità organizzata. Ti aspetti un uomo stanco e provato dalla lunga permanenza in restrizione, trovi invece una persona piena di energia e di vita che, pacatamente, ti illustra e spiega come funziona il sistema carcerario. Nel 2012 è stato tra i protagonisti di “Cesare deve morire”, film di Paolo e Vittorio Tavani vincitore di numerosissimi premi tra cui spicca l’Orso d’oro al festival di Berlino. La pellicola narra la messa in scena del “Giulio Cesare” di William Shakespeare da parte dei detenuti del carcere di Rebibbia. Nello stesso anno, per Robin Edizioni, pubblica “Sumino ‘o falco. Autobiografia di un ergastolano” libro in cui racconta la storia della sua vita. Perché ritiene che il decreto da solo serva a poco? “Le carceri oggi sono discariche umane, dove si perde la dignità. In alcuni reparti si sta in otto in una stessa cella di pochi metri quadrati. In piccoli spazi convivono persone di abitudini, etnie, culture e esigenze alimentari diverse. Là dove dovrebbe nascere l’etica, c’è una totale mancanza di estetica”. Va bene, ma allora cosa si deve fare? “ Ci vuole una grande fantasia rinnovatrice, coraggio, intraprendenza e voglia di fare. Serve una svolta. I penitenziari devono avere gli strumenti idonei per poterla provocare ad esempio permettendo agli operatori del settore di poter ben operare. Faccio un esempio: in carcere si parla solo delle imprese del passato e dei sogni futuri. Per paura si evita il presente. Sono gli psicologi che dovrebbero portare nelle celle il presente. Far capire quello che si sta vivendo per preparare il dopo. Ma questi vengono pagati per 12 ore al giorno e hanno 500 detenuti da ascoltare...”. I soldi sono pochi, c’è la crisi e tanti altri problemi da risolvere. “ Vero. Oggi più che mai per il mondo esterno noi siamo solo un problema in più e per molti, sarebbe meglio “buttare la chiave”. Il cambiamento deve avvenire anche da noi stessi. Non serve aspettare passivamente nell’attesa che qualcuno dall’esterno faccia qualcosa. Siamo noi che dobbiamo capire che attraverso la cultura possiamo trovare la via del riscatto e del reinserimento nella socieà”. A proposito di cultura, come nasce la collaborazione con i fratelli Taviani? “Molti anni fa, nel reparto di alta sicurezza dove mi trovavo, ho fondato la compagnia di detenuti-attori per dare un senso alla vita in un luogo senza senso. Durante una performance di Dante, ci hanno visto i fratelli Taviani e ci hanno proposto il film”. La letteratura e lo studio, possono cambiare le persone? “Proprio cambiare non direi. Possono però fare riflettere. A me è capitato. Con gli studi ho schiarito il mio orizzonte e cominciato a vedere il mondo in un modo diverso. Ora vado in giro a spiegare ai ragazzi in difficoltà che la criminalità organizzata è anch’essa una forma di cultura che addirittura in alcuni casi si preoccupa dell’educazione dei giovani. Solo la vera cultura può sconfiggerla. La trasformazione è culturale. Non basta la repressione, serve la formazione sul territorio. Se tutto questo viene capito, i premi che abbiamo vinto con il film, avranno avuto un senso, altrimenti rimarranno solo una soddisfazione personale”. Cosa si sente di dire a chi sta affrontando ora il percorso che la vita le ha riservato? “La privazione della libertà è un’esperienza che ti segna. Ma si può rinascere. Il carcere mi ha prima tolto e poi dato tanto. Io volevo vivere il carcere, non sopravvivere” Giustizia: un carcere più dignitoso serve a tutti… di Alessandra Limetti Alto Adige, 13 agosto 2013 Vorrei qui semplicemente suggerire alcune riflessioni desunte dalla mia personale esperienza. Ora, io nel carcere di Bolzano non ci sono mai entrata, ma in altre case circondariali sì: ho seguito per molti anni progetti di Teatro in Carcere affiancando il lavoro di una donna eccezionale come Teresa Pomodoro, purtroppo scomparsa cinque anni fa. Ho preso parte a percorsi culturali e di formazione teatrale con i detenuti delle case di reclusione di Opera e San Vittore a Milano, entrando perfino nella sezione di Alta Sorveglianza, a Opera, e nel famigerato Terzo Raggio, a San Vittore, a seguito di un’intellettuale che ha sempre creduto nella forza positiva trasformante della cultura. Ne ho portato a casa la ferrea convinzione che il carcere deve poter essere un luogo dove ritrovare dignità, non uno spazio di degrado e umiliazione. Perché ciò che resta dell’integrità di un essere umano è messo in serio pericolo dall’essere vilipeso e umiliato. Penso che molti non si rendano conto davvero di che cosa sia, un carcere. Un ambiente in cui esseri umani - che devono scontare una pena, d’accordo - spendono un giorno dopo l’altro in una reclusione che, se non trova il modo di avere in sé una propositività, provoca nell’individuo lacerazioni peggiori, e, spesso, peggiori aberrazioni, di quelle che vi sono entrate; perché toglie speranza, fomenta rancori, immeschinisce l’animo. Non possiamo dimenticare che molti detenuti hanno alle spalle vissuti altamente traumatici, che non sono stati in grado di affrontare e che sono sfociati nella delinquenza. Il recupero umano e sociale passa attraverso l’elaborazione e la metabolizzazione del passato e la speranza di potere, un giorno, condurre una vita “altra”. La cultura veicola valori che, dove c’è un minimo di terreno fertile, anche se mal curato, possono germogliare. Con la cura, appunto. Se è vero che la vita non finisce quando si varcano le sbarre, è anche vero che da tali sbarre non si dovrebbe uscire, a fine pena, come rifiuti della società civile. Sono molte le fragilità psicologiche che derivano dal non avere più un posto nella società. Il reintegrarsi in una ritrovata “normalità” deve passare per una formazione, una trasformazione. Altrimenti la reclusione non ha senso e si ritorna alla logica delle colonie penali, delle deportazioni, alla logica dei Javert. Già la dicitura “istituto di pena” fa venire i brividi e richiama alla mente gironi danteschi. Non il Purgatorio, proprio l’Inferno. È necessario, invece, restituire progettualità, dare un senso nuovo all’esistere e al collaborare. Dopo quattro ore lì dentro, all’uscita avevo la sensazione di essere come dissociata, disincarnata. Figuriamoci viverci, o lavorarci a tempo pieno. Perché il carcere è duro anche per chi ci opera; ci si scorda troppo spesso che pure la giornata della polizia penitenziaria si dipana tra quelle mura. Non è facile. Quando si investe in dignità di una struttura come un istituto carcerario, si investe in dignità umana e questo può portare più frutti, a livello sociale, di quanto si pensi. Si tratta di un sano pragmatismo unito al rispetto per l’esistenza, per la persona. Di alcuni ex detenuti ci è capitato di seguire i primi passi fuori dall’istituto, di raccogliere le loro impressioni sul reinserimento nel consesso civile. Posso testimoniare che il lavoro all’interno, assieme psicologico e culturale, non è stato vano, soprattutto in molti giovani, per i quali ha rappresentato un reale punto di svolta nella coscienza di sé e del proprio futuro possibile. Ecco perché è fondamentale che una casa di reclusione non venga condannata ad essere un non-luogo, ma uno spazio adeguato, per decoro ed infrastrutture, al recupero del proprio valore come individui, al recupero del senso morale, al recupero della vita. Il luogo è importante, non perché debba essere un hotel di lusso, ma a misura di essere umano; semplice, se vogliamo, ma non degradante. Il problema è che costa. Ma il timore è che costi di più, a lungo termine, rimanere ancorati al concetto, senza speranza, di “istituto di pena”. Giustizia: Meloni (Clemenza e Dignità); domani in sciopero di fame e sete per le carceri www.imgpress.it, 13 agosto 2013 “Per sensibilizzare sulla necessità di provvedimenti che oltre la denominazione in questo senso, abbiano, poi, un contenuto sostanziale di effettivo svuotamento delle carceri, nella giornata di domani 14 agosto, seguitando lo stesso gesto simbolico degli anni precedenti, farò nuovamente, dalle ore 7.00 del mattino, alle ore 21.00 della sera, lo sciopero totale della fame e della sete”. È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, responsabile di Clemenza e Dignità, associazione sorta nel 2006, per i diritti dei detenuti e per il progresso del diritto punitivo. Giustizia: legge anti tortura, pene più dure per i pubblici ufficiali di Sara Menafra Il Messaggero, 13 agosto 2013 Dopo la sentenza della Cassazione su Bolzaneto, la morte di Federico Aldrovandi e quella di Stefano Cucchi, il reato di tortura ci sarà anche in Italia. Ma con caratteristiche molto diverse da quelle previste nella Convenzione Onu del ‘94 e da come è stato recepito da tutti gli altri paesi Ue. Nel testo unificato messo a punto dal relatore Enrico Buemi (Psi), che verrà esaminato dalla commissione Giustizia del Senato il 3 settembre, c’è una norma generica alla quale viene aggiunta l’aggravante nel caso in cui a commettere il reato sia un pubblico ufficiale. In tutti gli altri Paesi della Uè e nella Convenzione Onu, invece, il reato di tortura è quello che viene commesso sempre e solo da un pubblico ufficiale. L’intesa tra Pdl, una parte del Pd, Scelta civica, Sei e M5s ora c’è. Anche se viene giudicata “insufficiente” da parti in causa come l’associazione Antigone con Patrizio Gonnella (“Ne riduce l’impatto”) o come i senatori di Sei e il pd Luigi Manconi che avevano presentato dei ddl che recepivano in toto la Convenzione Onu. Nel testo unificato si introducono così due nuovi articoli nel codice penale, il 613 bis e il 613 ter, secondo i quali commette reato di tortura “chiunque con violenza, minacciando di adoperare o adoperando sevizie o infliggendo trattamenti disumani o degradanti la dignità umana, infligge acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o non in grado di ricevere aiuto”. Pena: la reclusione dai 3 ai 10 anni. Stessa pena a chi non fa nulla per impedirla. Se il fatto è commesso da un criminale comune o da un mafioso “la pena è aumentata”. Se invece è commesso da “un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, neh’ esercizio delle funzioni, la pena è aumentata della metà”. Il presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma avverte che a settembre presenterà un testo simile che “calibra meglio le pene”: per il reato comune la pena va dai 2 agli 8 anni. Se commessa da un pubblico ufficiale dai 3 ai 12. In caso di lesioni gravi dai 4 ai 16. Per lesioni gravissime dai 4 e mezzo ai 18. Nel testo Buemi si prevede anche il reato di Istigazione a commettere tortura. Pena: da 1 a 3 se il reato non è commesso, dai 2 agli 8 se a istigare è un pubblico ufficiale. Tanto più col clima incandescente che si è prodotto all’interno della maggioranza, è possibile che a settembre il testo sulla tortura finisca per dividere ulteriormente gli schieramenti, anche perché sul tema il Pd è diviso e Sel minaccia battaglia. “Il fatto - osserva Gonnella - è che con il reato generico il magistrato non sarà vincolato ad alcuna applicazione specifica. Ma è molto curioso soprattutto se si pensa che la tortura in Italia sarebbe un reato costituzionalmente obbligatorio visto che l’unico caso in cui nella Carta si parla di “punizione”, ed in particolare nell’articolo 13, di “ogni violenza fisica e morale su persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Giustizia: in carcere come in albergo, gli agenti ora pagano i letti di Nicoletta Appignani Il, Giornale, 13 agosto 2013 Dormire negli alloggi delle carceri d’ora in poi sarà come soggiornare in albergo, ma senza tutti i confort: si pagherà la quota giornaliera e l’assegnatario avrà l’obbligo, entro le ore 14.00 del giorno successivo a quello di scadenza della concessione, di lasciare libero l’alloggio da persone e cose. Dopo le polemiche sugli stipendi bloccati e gli straordinari non pagati, adesso per la polizia penitenziaria arriva anche il pagamento di un canone sugli appartamenti in caserma. Locali che vengono descritti come fatiscenti, stanze che contengono da uno a tre letti, disposte lungo un corridoio dove si trova un unico bagno a disposizione, ovviamente in comune. La denuncia arriva dal Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che cita una circolare firmata lo scorso 18 giugno da Alfonso Sabella, direttore generale Beni e servizi del Dipartimento dell’amministrazione penitenzia. Del provvedimento si è venuti a conoscenza dopo quasi due mesi, in seguito alle proteste nei vari istituti. Da giugno, infatti, i dirigenti avevano iniziato a richiedere le misurazioni degli alloggi di servizio. “Il costo per ogni agente si aggirerà tra i 7 e i 10 euro a notte - spiega il segretario generale del Sindacato, Donato Capece - ci hanno detto che il provvedimento fa parte della spending review, ma gli agenti della polizia penitenziaria sono gli unici a dover pagare tra le forze dell’ordine”. Una cifra bassa, insomma, ma a dover fare i conti con questa spesa sono persone che guadagnano 1300 euro al mese e che ogni giorno si trovano ad affrontare le proteste dei detenuti per il problema del sovraffollamento carcerario. Senza contare la carenza di personale: secondo il sindacato mancano 7.500 unità a livello nazionale. Con il rischio sempre crescente che l’eccessivo sovraffollamento e la tendenza ad allentare le maglie della sicurezza facciano in modo che il carcere diventi un luogo sempre meno sicuro. Una polemica insomma che getta benzina sul fuoco. A fine luglio, infatti, aveva già fatto molto discutere l’aggressione ai danni di quattro agenti della penitenziaria nella casa circondariale di Brissogne, ad Aosta. Un episodio di violenza scatenato dalla rabbia di alcuni detenuti, che si erano opposti all’arrivo di un’ulteriore persona nella loro cella. E ancora, a preoccupare il sindacato sono anche i crescenti episodi di suicidio tra gli stessi agenti. L’ultimo domenica sera in provincia di Avellino, quando un poliziotto si è tolto la vita mentre si stava recando al lavoro nel carcere di Ariano Irpino. Si tratta del quarto caso in due mesi e del settimo dall’inizio dell’anno. “L’Amministrazione Penitenziaria perde tempo ad assumere decisioni assurde come quella di far pagare i posti letto agli agenti di polizia - conclude Donato Capece - ma non fa assolutamente nulla per il benessere del personale e continua a trascurare il problema”. Dello stesso avviso sono anche i poliziotti, che non sanno come sostenere la spesa, dovendo già pagare di tasca propria i vari trasferimenti. Per questo il Sappe sta organizzando una manifestazione. Se la richiesta del canone per gli alloggi di servizio non verrà ritirata, a settembre la polizia penitenziaria scenderà in piazza per chiedere le dimissioni del capo del Dap, Giovanni Tamburino. Ed è di quest’ultimo la replica: “Si tratta di una circolare, dunque può essere rimodulata anche in relazione allo stato degli alloggi. Può avere una certa elasticità ed essere soggetta a revisione”. Giustizia: Berlusconi ora guarda al Quirinale, fedelissimi in pressing per la grazia di Antonella Coppari La Nazione, 13 agosto 2013 Ore decisive sulla questione della grazia. Un chiarimento da parte di Napolitano è nell’aria: potrebbe arrivare sotto forma di un responso pubblico tra oggi e domani. Per questo, il Cavaliere ha riunito ieri ad Arcore i suoi avvocati. Assieme a Coppi, Ghedini e Gianni Letta (c’è chi continua a dare per possibile un faccia a faccia di quest’ultimo con il capo dello Stato proprio la vigilia di Ferragosto) ha cercato di sviscerare tutte le ipotesi. Chi ha potuto parlare con lui, in serata, lo descrive piuttosto giù di corda. Consapevole che il provvedimento di clemenza - seppure venisse concesso - non risolverebbe tutti i suoi guai. Ecco perché non è sicuro che lui voglia sollecitare questo atto. I legali, Letta e i moderati Pdl lo spingono a farlo, gira voce che Coppi & co. sarebbero pronti a firmare la domanda di grazia, ma lui non ha deciso. Aspetta di sentire quanto dirà il capo dello Stato ma, giurano i falchi, non si aspetta poi molto. “Non mi sono mai venuti incontro - il ragionamento - Non capisco proprio perché dovrebbero farlo adesso”. Ciò che sta più a cuore al Cavaliere non è tanto la questione della pena da scontare: in base al decreto svuota carceri i mesi da passare agli arresti domiciliari o ai servizi sociali sono nove, perché tre vengono cancellati dal provvedimento. Lo preoccupa l’espulsione dal Parlamento senza aver la garanzia che, il giorno dopo, qualsiasi Procura potrebbe emettere un mandato di cattura nei suoi confronti. Ecco perché si guarda bene dal giocare “ora” la carta delle dimissioni da senatore in assenza di un salvacondotto che lo metta al riparo “dalle Procure nemiche”. Ed ecco anche perché segue con interesse il dibattito sulla decadenza da parlamentare e l’incandidabilità alle elezioni su cui si accapigliano gli addetti ai lavori. Sì, perché mentre a sinistra si sostiene che - a prescindere dal voto della giunta del Senato - il Cavaliere non può essere candidato in base alla legge anticorruzione Severino-Monti perché condannato a più di due anni di reclusione (poi è intervenuto l’indulto), il centrodestra non la pensa così. Sisto avanza obiezioni sulla retroattività della normativa: “Non vedo differenze in questo caso fra sanzione penale e amministrativa. I fatti contestati sono avvenuti prima del varo della legge, che non è applicabile”. Nitto Palma afferma che, in caso di scioglimento delle Camere, sull’ammissibilità della candidatura di Berlusconi giudicherebbe la Corte d’Appello e poi “si potrebbe presentare ricorso al Tar”. Netto Calderoli: “Il Cavaliere potrà candidarsi a deputato e solo la Camera potrà giudicare sulla sua ammissione, ovvero sulla sua ineleggibilità o incompatibilità”. In questo clima di incertezza, inizia a farsi strada nel partito il nodo di un futuro senza il Cavaliere. Se i falchi puntano sulla rinascita di Forza Italia e hanno in agenda una “manifestazione a Milano a settembre”, le colombe non disdegnano soluzioni più ariose, come quella prospettata da Casini, di una riunione dei moderati nel nome del Ppe. “Nessuno - dice un ex ministro - si sbilancia per non essere accusato di tradimento”. Giustizia: oggi Napolitano chiarirà le sue intenzioni sulla grazia al Cavaliere di Ugo Magri La Stampa, 13 agosto 2013 Il Capo dello Stato chiarirà “ad horas” le sue intenzioni in materia di grazia a Berlusconi: se sarebbe disposto a firmare un atto di clemenza, in che termini, a quali condizioni. Il responso presidenziale sarà ampio, motivato e soprattutto trasparente com’è nello stile di Napolitano. E proprio per non farsi cogliere alla sprovvista, il Cavaliere ha trascorso la giornata di ieri ad Arcore, chiuso con i suoi consulenti legali. Un elicottero è andato appositamente a prelevare l’avvocato Coppi a San Benedetto del Tronto, dove il principe del foro ha speso qualche spicciolo di ferie. Insieme con lui, con Ghedini e con Letta (Gianni), Berlusconi ha passato in rassegna tutte le ipotesi. E chi l’ha sentito sul far della sera lo descrive molto giù, parecchio depresso. Si è reso conto che la grazia, pure nel caso in cui gli venisse concessa, non sarebbe il toccasana per i suoi guai. Per dirne una, non impedirebbe al Pd di cacciarlo dal Senato in base alla legge Severino. E da quel preciso momento, che secondo gli addetti ai lavori cadrà ai primi di ottobre, qualunque Procura della Repubblica, anche periferica, potrebbe mettere in manette il leader del centrodestra, spogliato da ogni scudo parlamentare. Non è tutto. Per ottenere la grazia, gli toccherebbe chiederla lui personalmente. Forse non basterebbe neppure una domanda dei suoi avvocati. In pratica, Berlusconi dovrebbe calarsi fino in fondo nei panni del condannato, accettare la sentenza che lo trasforma in pregiudicato, iniziare a scontare la pena e sperare nella benevolenza del Colle. Il suo dubbio, espresso con chiarezza nel lungo rendez-vous con gli avvocati, è che ne valga davvero la pena: dovrebbe mortificare il suo megalomane orgoglio con un atto di contrizione, e abbandonare mestamente il palcoscenico della politica calcato per quasi 20 anni. Tutto questo per non trascorrere un anno agli arresti domiciliari oppure in affidamento ai servizi sociali (cioè, in pratica, a piede libero). Anzi, come è emerso nella riunione, la pena residua sarebbe di soli nove mesi, essendo già abbuonati 90 giorni dalla legge svuota-carceri... Insomma, non è affatto certo che Berlusconi intenda sollecitare la grazia. Per quanto Coppi e Letta insistano con molta energia, il Cav è lungi dall’avere preso la decisione. Aspetta di sentire quanto dirà Napolitano, dal quale in verità (stando a certe confidenze di “amazzoni” che “chez” Silvio sono di casa) non si aspetta granché, anzi praticamente nulla di buono. “Mai una volta che mi siano venuti incontro”, è il suo lamento, “perché dal Colle dovrebbero scomodarsi adesso? Non lo credo davvero possibile”. Diverso sarebbe se Napolitano avesse la forza di garantirgli la cosiddetta “agibilità politica”, vale a dire lo scranno in Senato: ma qui siamo nel regno della fantascienza. Per cui le ultime da Arcore, dove è stata accolta a cena Daniela Santanché per parlare della Convention di Forza Italia a settembre, raccontano un Berlusconi più “falco” degli stessi “falchi”, molto orientato a vendere cara la pelle, per nulla disposto a tirarsi da parte, nemmeno se si trattasse di cedere il posto alla figlia Marina: “Non voglio che entri in politica”, sostiene, “perché le farebbero passare gli stessi guai che sono toccati a me”. Qualche consigliere di Arcore non è certo al 100 per cento che il governo collasserà a ottobre, quando Silvio verrà espulso dal Senato per mano dei Democratici. “Quale sarebbe il suo interesse a provocare il caos?”, è la domanda in sospeso. Ma si tratta di mosche bianche. La previsione quasi unanime è che la crisi di governo sarà inevitabile, e la Repubblica vivrà momenti di grave sbandamento. A meno che Napolitano, con un colpo d’ala imprevedibile, non risparmi all’Italia questo destino. Giustizia: la via d’uscita dell’affidamento in prova di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2013 Il Pdl reclama “l’agibilità politica” del suo leader, ma Silvio Berlusconi ha già davanti a sé una possibile strada per allontanare lo spettro della decadenza da senatore e della successiva incandidabilità. Dovrebbe chiedere l’affidamento in prova al servizio sociale che, in caso di esito positivo, “estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale”. Se l’ex premier si affrettasse a farlo (ha tempo fino al 15 ottobre) - accettando di essere “rieducato” attraverso l’assegnazione a un’associazione di volontariato o a un lavoro socialmente utile che ne favorisca la “revisione critica” - e se al termine del periodo di affidamento (dopo un anno, che con lo sconto di 45 giorni per semestre scenderebbe a 10 mesi e 15 giorni) il Tribunale di sorveglianza ritenesse positivo l’esito della prova, cadrebbe l’effetto penale della decadenza da senatore nonché quello della successiva incandidabilità per sei anni. Potrebbe quindi restare al suo posto di senatore e persino ricandidarsi, almeno fino a quando non diventerà definitiva la condanna all’interdizione dai pubblici uffici (la cui quantificazione è stata rimessa dalla Cassazione alla Corte d’appello di Milano). A quel punto si aprirebbe una nuova partita in Parlamento sulla sua decadenza/incandidabilità. Insomma, senza bisogno di strappi politico-istituzionali (la grazia, l’amnistia, le forzature nella Giunta delle immunità) e senza schizzi di fango contro Antonio Esposito - il presidente del collegio della Cassazione che ha condannato Berlusconi e ha concesso l’intervista “galeotta” al Mattino - finalizzati a scenari del tutto improbabili (come l’annullamento della sentenza), Berlusconi potrebbe percorrere la strada prevista dalla legge per non essere estromesso dalla politica, almeno nel brevissimo periodo. L’esito non è garantito ma altamente probabile. Perché, se è vero che sulla nozione di “effetto penale della condanna” c’è scarsa chiarezza - tanto più che l’effetto incandidabilità contenuto nel decreto del governo Monti è entrato in vigore solo a dicembre del 2012, è anche vero che finora le sezioni unite della Cassazione hanno dato un’interpretazione ampia di “effetto penale”. Punto di partenza è l’articolo 47, comma 12, dell’Ordinamento penitenziario, che sancisce “l’effetto estintivo” derivante dall’affidamento andato a buon fine. È un effetto di ampia portata, perché riguarda tutte le conseguenze negative derivanti automaticamente dalla condanna stessa, diverse dalla pena principale e da quelle accessorie (anche se per queste ultime la questione è tuttora aperta) previste dal codice o da leggi speciali. Quindi: l’impossibilità di godere della sospensione condizionale della pena da parte di chi ne ha già usufruito due volte; l’acquisto della qualità di recidivo o di delinquente abituale o professionale; l’impossibilità di partecipare a pubblici concorsi o di esercitare determinate attività; l’iscrizione al casellario giudiziale. Questo principio è stato ribadito nel 2011 dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza 5859. Che, pur riguardando il caso della recidiva, conferma che l’esito positivo dell’affidamento in prova “estingue la pena detentiva residua e ogni altro effetto penale”. La sentenza non si spinge a definire la nozione di “effetto penale” (inesistente nel Codice) ma c’è un precedente (l’unico) in un’altra sentenza della Cassazione, sempre delle sezioni unite. È la n. 7 del 1994 secondo cui “gli effetti penali” si considerano tali in quanto “effetti diretti”, automatici, delle sentenze di condanna e non derivanti da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione. Pertanto, per il Pdl sarebbe un autogol continuare a sostenere la tesi (peraltro smentita da illustri costituzionalisti) che la decadenza di Berlusconi non è una conseguenza automatica della condanna a 4 anni (di cui 3 condonati dall’indulto) ma deve passare al vaglio discrezionale del Senato. Se prevalesse questa tesi, invece di quella della “presa d’atto”, Berlusconi perderebbe la via di fuga che le norme dell’ordinamento penitenziario gli offrono con l’affidamento in prova (non anche con la detenzione domiciliare). Certo, per quanto lineare sul piano giuridico e indolore su quello istituzionale, questo percorso presuppone anzitutto che l’ex premier faccia una “revisione critica” rispetto al reato per il quale è stato condannato, cioè la frode fiscale di 7,4 milioni di euro per la vendita gonfiata dei diritti Tv Mediaset; e che il Pdl accetti che incandidabilità e decadenza sono effetti diretti e automatici della condanna, su cui le Camere non possono mettere bocca. A queste condizioni, Berlusconi potrebbe avere quell’agibilità politica che rivendica, senza dover tirare per la giacca il Quirinale, senza pretendere un’amnistia “universale” e senza forzature nella Giunta per le immunità del Senato. Che potrebbe anche sospendere la pratica in attesa della fine dell’affidamento in prova. Firenze: Totaro (Fdi); la legge cosiddetta “svuota carceri” crea allarme sociale in città Dire, 13 agosto 2013 Achille Totaro, parlamentare di Fratelli d’Italia e candidato Sindaco di Firenze per il centro destra, e il consigliere Provinciale Guido Sensi, hanno tenuto oggi una conferenza stampa sul tema delle conseguenze legate alla recente legge cosiddetta “svuota carceri”. “Stamane ci siamo recati presso il carcere di Sollicciano, ove il Direttore mi ha fornito i seguenti dati: nell’istituto sono presenti 958 detenuti, di cui circa il 65% stranieri, e 861 uomini e 97 donne. Tra la popolazione maschile, 122 stanno scontando la pena per lesioni, e 180 per delitti di furto, scippo e rapina, mente 414 stanno scontando la condanna definitiva. Ora, con la legge svuota carceri appena approvata dal Parlamento con i voti di Pd, Pdl e Sel, da qui al 2014 quasi 20.000 detenuti beneficeranno di quanto dalla stessa stabilito, o andando agli arresti domiciliari, o assunti con regolare busta paga dal Comune di residenza”. Totaro e Sensi aggiungono che “addirittura, l’imprenditore che assumerà ex condannati in via definitiva e detenuti avrà uno sgravio fiscale di 350 euro mensili, e ciò allo scopo di favorirne il reinserimento nel mondo del lavoro. Ora, l’allarme sociale che creerà questo provvedimento è di tutta evidenza: anzitutto, il Governo ha rifiutato lo stanziamento di 500 milioni di euro diretto a rafforzare i controlli sul territorio per verificare la permanenza in casa dei detenuti che beneficeranno degli arresti domiciliari; in secondo luogo, non sarà possibile fornire un lavoro a tutti coloro che grazie alla legge usciranno di prigione, ed è inevitabile che le fila di coloro che vivono di espedienti non potranno che ingrossarsi. A ciò si aggiunga che nel nostro Comune e Provincia il numero dei furti ha subito un considerevole aumento, e che spesso i cittadini esasperati rinunciano a denunciare i reati di cui sono vittime. “Ora - concludono Totaro e Sensi - è imprescindibile pensare alla tutela di coloro, italiani o stranieri, che vivono onestamente e contribuiscono con il loro lavoro e le loro tasse al benessere comune. A ridosso della campagna elettorale assisteremo a diversi esponenti di centro destra e centro sinistra fare a gara sulla necessità di sicurezza della città, proprio quegli esponenti che in Parlamento hanno votato a favore della legge svuota carceri. Quale assenza di credibilità avranno costoro è assai facile da intuire”. “Io - precisa Totaro - non solo mi sono battuto alla Camera con tutto l’ostruzionismo costituzionalmente possibile per evitare questo sfregio alle vittime di reati così socialmente avvertiti dalla popolazione, ma posso tranquillamente affermare sin da ora che il mio impegno, se sarò eletto Sindaco, sarà di ripulire la mia amatissima città da balordi e delinquenti, che pretendono diritti e che vivono all’ombra di leggi che li proteggono a oltranza, in totale spregio ai diritti delle vittime”. Cagliari: Uil-Pa; le fotografie dall'inferno Buoncammino, degrado e sovraffollamento L'Unione Sarda, 13 agosto 2013 E' quanto emerge dal sopralluogo effettuato nella struttura penitenziaria di Cagliari, dal segretario nazionale della Uil-Pa, Eugenio Sarno. "Il carcere di Buoncammino è una struttura degradata, sovraffollata, inadeguata a ospitare 500 persone. In una cella da due persone ce ne sono sei, gli spazi sono angusti. Dove si cucina si va anche al bagno. Solo grazie all'impegno del personale della polizia penitenziaria, del direttore, regge in queste condizioni, ma si fa sentire la carenza di personale". E' quanto emerge dal sopralluogo effettuato questa mattina, nella struttura penitenziaria di Cagliari, dal segretario nazionale della Uilpa, Eugenio Sarno nell'ambito di un tour nazionale "Lo scatto dentro, la verità venga fuori". All'interno del carcere sono state scattate una quarantina di fotografie, consegnate alla stampa, che testimoniano "l'inferno" dietro le sbarre. "Bisogna alimentare la coscienza sociale, scuotere i cittadini, far capire che la situazione dei detenuti è inaccettabile - spiega il segretario della Uilpa - In Italia abbiamo 24 mila carcerati in esubero, per i quali rischiamo di essere condannati ripetutamente e dover pagare le sanzioni della Comunità europea. Siamo obbligati a dover trovare una soluzione al problema che potrebbe essere anche l'amnistia". "Nel carcere come in tante altre realtà italiana si commercia droga, carne e sigarette - aggiunge Sarno - Gli agenti tentano ogni giorno di contrastare questa situazione". Secondo il sindacalista i problemi del penitenziario cagliaritano sono molteplici: "E' una struttura vecchia che non può contenere un numero così alto di detenuti - sottolinea Sarno - fino a ieri a Buoncammino c'erano 499 detenuti, di cui 19 donne, su una capienza massima di 314. Avevamo 59 persone con lo status di imputato in attesa primo giudizio, 39 in attesa di ricorso in appello, 30 ricorrenti in Cassazione e 371 detenuti con pena definitiva. Proprio questo ultimo dato in controtendenza rispetto alla situazione nazionale". Dal sopralluogo di questa mattina emerge che "i detenuti vivono in spazi angusti, le celle sono piccole e fatiscenti, gli spazi per l'ora d'aria non sono sufficienti e molti detenuti preferiscono rimanere in cella". Inoltre al numero di detenuti non corrisponde un sufficiente numero di agenti di polizia penitenziaria e con la futura apertura del carcere di Uta, vicino a Cagliari, la situazione non dovrebbe migliorare. "In pianta organica ci sono 267 agenti di polizia penitenziaria - evidenzia Sarno - ma mancano oltre 50 unità. Il nuovo carcere, se saranno trasferiti gli agenti già in servizio, potrà essere aperto solo al 50%". A Buoncammino 185 detenuti in più e 60 agenti in meno (Agi) Celle sovraffollate, pochi agenti di polizia penitenziaria e una struttura fatiscente. Questo il ritratto di Buoncammino, il carcere di Cagliari, immortalato nelle foto di denuncia scattate dalla Uil Pa Penitenziari e illustrate stamane, nel corso di una conferenza stampa, dal segretario nazionale Eugenio Sarno. Stando ai numeri diffusi in mattinata, Buoncammino, che ha una capienza di 314 posti, ospita 499 detenuti (di cui 19 donne e 480 uomini). Di questi 59 sono quelli in attesa di giudizio, 39 quelli che aspettano l’appello, 30 quelli che hanno fatto ricorso in Cassazione e 371 i carcerati condannati a pena definitiva. Di segno opposto è la situazione degli agenti di polizia penitenziaria: la pianta organica ne prevede 267 mentre in servizio sono 207, senza contare chi viene distaccato per servizi di traduzione o scorta. “Mancano almeno 50 unità di personale e di notte a Buoncammino ci sono solo 12 agenti in servizio”, ha sottolineato Sarno. Milano: il 15 agosto all’Idroscalo la seconda “Giornata della Restituzione” con i detenuti www.assesempione.info, 13 agosto 2013 Giornata della restituzione 2012: il 15 si ripete il progetto con maggiori adesioni Giornata della restituzione 2012: il 15 si ripete il progetto con maggiori adesioni. Ferragosto “Alternativo” all’Idroscalo. Alla presenza del presidente Guido Podestà, 135 detenuti di Bollate, San Vittore, Opera e Monza puliranno alcune aree del Parco e trascorreranno una giornata in famiglia. Dopo il successo dello scorso anno, a Ferragosto l’Idroscalo ospiterà la “Giornata della Restituzione”. L’iniziativa, alla quale prenderà parte il presidente Guido Podestà, rientra nel quadro della consolidata collaborazione tra la Provincia di Milano e il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria Lombardia, finalizzata al reinserimento nella società delle persone in stato detentivo. Podestà: “Riproponiamo un’iniziativa dal forte valore simbolico: i partecipanti restituiranno idealmente alla comunità ciò che hanno sottratto commettendo un reato”. Nell’occasione, 135 detenuti - più del doppio rispetto a quelli che vi parteciparono nel 2012 - si impegneranno a pulire alcune aree del Parco per poi trascorrere fino alle 17 (prima di rientrare in Istituto) un pomeriggio insieme con le famiglie, gli educatori e gli operatori. All’evento, oltre alla casa di reclusione di Bollate, hanno aderito anche quelle di San Vittore, Opera e Monza. Nella mattinata i detenuti saranno, così, impegnati in attività di manutenzione dell’area adiacente al “Laghetto delle Vergini”. A mezzogiorno si ritroveranno poi con mogli e figli; con loro potranno trascorrere un pomeriggio di svago nelle acque del “Mare dei milanesi” e gustare il pranzo preparato dall’associazione “Giacche Verdi”. “Anche quest’anno, la “Giornata della restituzione” consentirà a chi ha commesso atti contrari alla legge di riabilitarsi con semplici ma significative azioni a favore della società - ha dichiarato il presidente Podestà. L’aspetto più gratificante della seconda edizione è, senz’altro, l’adesione di altri istituti penitenziari della Lombardia. Carceri, come Bollate, capaci di promuovere progetti innovativi per integrare gradualmente nella comunità chi sceglie la strada della legalità. A Ferragosto lanceremo, dunque, un messaggio chiaro: la detenzione non può prevedere solo un aspetto afflittivo ma anche dei momenti di partecipazione sociale utili alla vita della collettività. Tale principio è sinora risultato alla base dell’azione condotta da Palazzo Isimbardi. Basti pensare alla creazione di un asilo nido aziendale a Opera, destinato ai figli degli agenti della Polizia penitenziaria e degli altri operatori, o all’Istituto a custodia attenuata, nel quale tante donne possono scontare la pena insieme con i propri bambini”. Previsto anche uno spazio dedicato all’arte con la mostra di pitture e di sculture realizzate, in collaborazione con l’Accademia di Brera, dai laboratori artistici delle carceri e l’installazione interattiva, dal titolo “Il muro del sorriso”, donata dall’artista Caterina Borruso all’Amministrazione penitenziaria. Si tratta di una reinterpretazione del “Muro del pianto”, che rievoca la forza e l’importanza del sogno per intraprendere un percorso di risocializzazione. I visitatori potranno sperimentare personalmente alcune tecniche pittoriche con il docente di Brera che, solitamente, opera con i carcerati. Programma della giornata Ore 11,30 - Ritrovo con i giornalisti presso il parcheggio interno della Punta dell’Est per assistere alle attività dei detenuti. A seguire, ricongiungimento dei detenuti con le famiglie nella zona balneabile per fare un bagno nel bacino e pranzo organizzato dalle Giacche Verdi presso la loro sede (sempre alla Punta dell’Est). Ore 17,00 - I detenuti lasceranno l’Idroscalo per ritornare alle rispettive carceri. Pavia: detenuto fuggito e subito catturato, negli ultimi anni c’erano state altre due evasioni La Provincia Pavese, 13 agosto 2013 Negli ultimi anni altri due detenuti erano fuggiti dal carcere di Torre del Gallo ma, entrambi, erano stati ripresi in brevissimo tempo. Nel mese di agosto del 2007 Giancarlo Gallucci, un camorrista di 29 anni di Acerra, era fuggito mischiandosi tra i parenti dei detenuti. In braccio aveva il figlio di quattro anni. Era stato poi bloccato in un sottopasso della stazione ferroviaria di Bologna. Giancarlo Gallucci era rinchiuso in una cella del reparto di massima sicurezza del carcere e aveva a disposizione sei visite al mese. Quella mattina erano arrivati il cugino Massimo Paolillo con il bimbo di quattro anni e con la moglie. La donna e il bimbo erano entrati per il colloquio con il detenuto. Al termine l’uomo si era mischiato con i parenti ed era riuscito a superare tutti i controlli. Era saliti sull’auto guidata dal cugino e si era allontanato. Anche il cugino era stato arrestato. La seconda evasione era avvenuta nel mese di novembre del 2010. Era fuggito Valerio Paladini, un killer della sacra corona unita. L’uomo, verso mezzogiorno, era uscito dalla palazzina delle celle in compagnia di altri detenuti e di un agente di polizia penitenziaria. Il gruppo doveva raggiungere la palestra per svolgere il solito allenamento. Il killer aveva visto una scala appoggiata al muro di cinta. Era stata lasciata dai muratori che erano in pausa pranzo. Era stata questione di un attimo: la fuga, infatti, non era stata programmata. Valerio Paladini si era messo a correre in cortile, era salito sulla scala e aveva raggiunto il muro dove si era aggrappato ad un cavo di una gru. L’uomo non aveva nulla da perdere e si era lasciato cadere all’esterno da circa dieci metri di altezza. Si era messo a correre e aveva fatto perdere le tracce nelle campagne. Era stato rintracciato dai carabinieri cinque ore dopo in una cascina del Cassinetto. Teramo: droga al detenuto nascosta nelle scarpe, scoperta dalla polizia penitenziaria Ansa, 13 agosto 2013 Droga al detenuto nascosta nelle scarpe. La polizia penitenziaria di Teramo ha sequestrato, ieri, la sostanza stupefacente destinata ad un detenuto condannato al 416 bis (associazione di tipo mafioso). Se l’era fatta arrivare attraverso un pacco postale. Soddisfazione è stata espressa dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Mi auguro - afferma Giuseppe Pallini, responsabile provinciale del Sappe - che tale episodio non sia sottovalutato dalla direzione del carcere, provvedendo immediatamente a sospendere la ricezione dei pacchi tramite servizio postale e tramite colloquio con i familiari, contenenti oggetti, capi di vestiario e generi alimentari non controllabili destinati ai detenuti. L’auspicio è che l’amministrazione centrale assegni a Teramo unità cinofile, al fine di scongiurare gravi rischi alla salute dei ristretti a garanzia dell’ordine e della sicurezza interna”. Porto Azzurro (Li): proposta inviata all’Enpa; il canile municipale? facciamolo in carcere Il Tirreno, 13 agosto 2013 “Il canile possiamo farlo all’interno del carcere”. L’idea è di Paolo Maddonni, uno degli educatori che lavorano ogni giorno all’interno della casa circondariale di Forte San Giacomo. “Possiamo gestire un canile, lo abbiamo detto agli amici dell’Enpa - spiega l’educatore del carcere di Porto Azzurro - siamo disponibili a creare una struttura in grado di dare questo servizio fondamentale e del resto abbiamo garantito insieme all’Enpa, sino a poco tempo fa, un gattile nella nostra struttura, impegnando Giuseppe, uno dei nostri detenuti”. L’educatore fa presente che, nella quotidianità, è un fatto normale nella struttura di Forte San Giacomo, provvedere alla cura di gatti e cani di vari reclusi. “Quindi la svolta può avvenire e il carcere può dare una risposta a esigenze pluriennali fino ad oggi disattese - conclude Maddonni - ovviamente sarà importante avere i finanziamenti necessari e trovare gli accordi con gli enti locali. Noi possiamo garantire questo servizio per un certo numero di cani, lo spazio idoneo non ci manca”. Ora dal carcere di Porto Azzurro sembra poter spuntare una nuova soluzione per il problema annoso del canile. Chissà se non possa essere una sorta di “uovo di Colombo” che darebbe agli amici dell’uomo a quattro zampe abbandonati servizi idonei che attualmente non hanno. E chissà che il miracolo, dopo 16 anni, di tira e molla e niente di fatto possa avvenire. Sassari: festa di San Sebastiano amara per i detenuti, da due anni senza il loro candeliere di Daniele Murino www.sassarinotizie.com, 13 agosto 2013 Sono ormai due anni che all’interno delle carceri sassaresi non si sente più il rumore dei tamburelli e dei pifferi che accompagna la ballata del candeliere. Da due stagioni il cero di San Sebastiano, fatto dai detenuti nel 2005, ha smesso di danzare all’interno del cortile del penitenziario. E neanche il recente trasferimento verso il super carcere di Bancali sembra aver invertito questa tendenza. Eppure il momento in cui il candeliere di San Sebastiano veniva issato al cielo era diventato un punto fermo della Festha manna. Nel giro di pochi anni, i detenuti erano riusciti ad accattivarsi le simpatie di tutta la città che vedeva in quella danza un momento di partecipazione alla faradda. Anche i rappresentanti delle istituzioni non disdegnavano l’invito: le autorità civiche, religiose e della direzione del carcere assistevano con trasporto al rinnovarsi della giovane tradizione. Una consuetudine che in molti sperano possa riprendere già dal prossimo anno. Anche perché nel nuovo carcere di Bancali esiste un ampio spazio adatto per questo evento. La storia. Il candeliere dei carcerati, di color rosso mattone, rassomiglia in tutte le sue componenti al resto dei candelieri di Sassari, l’unica differenza sta nelle dimensioni: il cero dedicato a San Sebastiano è più sottile rispetto agli altri. La base del candeliere è di colore rosso-mattone con inserti romboidali color oro. Nel fusto c’è l’effigie di San Sebastiano mentre il capitello è sormontato da bandierine color oro o azzurre. La sua costruzione è avvenuta nel 2005 per mano dei detenuti sassaresi che, anche grazie al consenso dell’amministrazione locale, hanno plasmato la tradizione centenaria dei candelieri sul loro status di carcerati. Immigrazione: scontri al Cie di Gradisca per fine Ramadan, la polizia spara lacrimogeni Il Piccolo, 13 agosto 2013 Tensioni innescate dal rifiuto di un gruppo di immigrati a rientrare nelle stanze dopo la cerimonia di fine Ramadan. Chiusura del Ramadan turbolenta l’altra notte al Cie di Gradisca d’Isonzo. Gli agenti della polizia, in assetto antisommossa, hanno dovuto sparare alcuni lacrimogeni e usare i manganelli per avere ragione di un gruppo di immigrati che, al termine del Ramadan, non aveva alcuna intenzione di rientrare nelle proprie stanze ed aveva chiesto di rimanere negli spazi aperti del centro, anche per il grande caldo. Nel parapiglia, anche per sfuggire ai gas, alcuni ospiti, utilizzando una sedia a rotelle che si trovava nei paraggi, hanno infranto una lastra in plexigas spessa 28 millimetri per cercare una via di fuga. C’è voluto un bel pò di tempo e una colluttazione tra agenti e ospiti per riportare la calma in un Cie, dove da tempo si levano segni di insofferenza da parte degli immigrati nonostante il numero sia ridotto a un terzo della capienza massima, stimata in 200 posti. A raccontare questa turbolenta notte - i fatti sono stati confermati anche da fonti interne del Cie - è stata la parlamentare di Sel Serena Pellegrino. Serena Pellegrino (Sel): violenza assurda e modalità disumane “È stata una notte indescrivibile quella vissuta al Cie di Gradisca d’Isonzo e che ha concluso il Ramadan: i racconti che le persone recluse mi hanno consegnato durante la mia visita alla struttura sono una testimonianza delle modalità inumane con cui è gestito il Centro. E io sento l’obbligo civile e morale di portar fuori da quel recinto, ormai simile ad un lager, questa ennesima storia di violenza e violazione dei diritti umani”. Questa la dichiarazione con cui Serena Pellegrino, deputata di Sel alla Camera, rilasciata al termine della visita fatta al Centro di identificazione ed espulsione e di Gradisca. “I detenuti, visto il caldo torrido di questo periodo e le condizioni bestiali in cui sono rinchiusi normalmente, hanno chiesto di poter stazionare nelle aree aperte anche al termine del Ramadan - racconta la Pellegrino. Al diniego senza appello si è aggiunta una reazione inusitata da parte della polizia: sono stati lanciati lacrimogeni e alcuni dei rinchiusi si sono sentiti male, non riuscivano a respirare; allora i compagni hanno spaccato uno dei vetri che limita le cosiddette vasche, nel tentativo di uscire da quella vera e propria camera a gas”. L’onorevole Pellegrino ha presenziato anche all’arrivo al Cara del gruppo di eritrei sbarcato sulle coste della Sicilia. “Nessuno dei passeggeri voleva scendere dalla corriera - dice -: la loro intenzione era ed è quella di transitare oltre l’Italia verso altri Paesi europei. Messo piede a terra, sapevano di essere immediatamente schedati, e che questo avrebbe determinato l’immediato rientro in Italia qualunque fosse la destinazione raggiunta. Quel che dicevano era che si sarebbero fatti tagliare le mani piuttosto che farsi prendere le impronte digitali”. Dopo è stato raggiunto un accordo con la Questura. “Si sono fidati - dice la Pellegrino -, sono scesi e sono stati accolti - si fa per dire visto che in realtà sono stati ammucchiati uno sull’altro - al Centro. Mi auguro possano ripartire quanto prima, del resto sono consapevoli che il nostro Paese non offre loro alcuna possibilità”. La Pellegrino ha riportato immediatamente la propria testimonianza alla Presidenza della Camera dei deputati, denunciando l’accaduto e sollecitando le opportune discussioni e iniziative alla ripresa dell’attività parlamentare. Pellegrino (Sel): chiesto incontro con prefetto di Gorizia “Ho richiesto un incontro urgente al Prefetto Marrosu per trovare una soluzione dopo gli episodi della scorsa notte. La situazione al Cie di Gradisca è al limite e le condizioni di vita sono durissime. Oltre allo stress e ai disagi di questa situazione detentiva si aggiunge il caldo insopportabile”. Lo dichiara in una nota la deputata di Sinistra e Libertà Serena Pellegrino, entrando in Prefettura a Gorizia, dopo la notte di tensione al Cie di Gradisca. “I migranti hanno avanzato ulteriori richieste rispetto a quella iniziale, di poter cioè permanere all’aperto durante la notte anche dopo la fine del Ramadam, e la riduzione del periodo di reclusione che, solo al Cie di Gradisca, è di 18 mesi. È assolutamente necessario - continua Pellegrino - garantire i principi umanitari e la tutela dei diritti civili in questo luogo di disperazione. Diritti che riguardano tutti: detenuti e forze dell’ordine”. Anche il Cara in affanno dopo l’arrivo di 40 richiedenti asilo eritrei Per operatori e forze dell’ordine si è aggiunta poi anche una difficile situazione venutasi a creare nell’adiacente Cara, il centro per richiedenti asilo politico. Era da poche ore finito il parapiglia al Cie, che dalla Sicilia sono arrivati una quarantina di clandestini di nazionalità eritrea sbarcati nei giorni scorsi a Lampedusa. Il gruppo, tra loro c’era anche una giovane incinta, non voleva scendere dalla corriera perché non volevano essere schedati: il loro obiettivo non era l’Italia ma altri paesi europei e quindi temevano di non poter lasciare il nostro territorio. Sono rimasti per ore a bordo della corriera mentre iniziava una lunga mediazione con le autorità e solo l’intervento della Questura ha permesso di sbloccare la situazione. Al gruppo degli eritrei è stato assicurato che sarebbero evitate le consuete procedure previste: sarebbero stati provvisti di un documento con fotografia e generalità, idoneo a riprendere il viaggio in territorio italiano verso l’estero. Intanto il ministero dell’Interno, proprio per i continui sbarchi di immigrati sulle coste della Sicilia e della Calabria, ha quasi raddoppiato il numero dei posti disponibili al Cara portandoli da 138 a 204. Questo significa che nei prossimi giorni potrebbero arrivare a Gradisca d’Isonzo, che ha uno dei centri per immigrati più grandi d’Italia, altri gruppi di extracomunitari. Immigrazione: tentano fuga da Cie Gradisca; due extracomunitari feriti, di cui uno grave Adnkronos, 13 agosto 2013 Due extracomunitari sono rimasti feriti durante un tentativo di fuga dal Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo. Uno dei due, un marocchino di circa 30 anni, versa in gravi condizioni all’ospedale di Cattinara, a Trieste. I tentativi di fuga, conferma la Questura di Gorizia all’Adnkronos, sono stati messi a segno nell’ambito della protesta organizzata dagli immigrati all’interno del Cie. Al momento, la situazione appare tranquilla. Nel dettaglio, durante la notte scorsa il marocchino, al Cie dall’8 agosto scorso (proveniente dalla Questura di Bergamo e con precedenti per spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti) è salito sul tetto e si è lanciato giù, sbattendo contro la recinzione. L’uomo è stato soccorso dai sanitari del 118. L’iter per l’identificazione del marocchino è a buon punto e sarebbe stato espulso a breve. Poco dopo, ha tentato la fuga un sedicente siriano, in realtà sarebbe un algerino di 28 anni. Il giovane si è procurato un tondino di ferro e un cavo. È salito sul tetto, ha lanciato il cavo verso la recinzione e su questa fune tesa ha tentato la fuga, ma è caduto, ferendosi. Il tetto è spiovente ed è posto a un’altezza di circa 6 metri. L’extracomunitario è stato portato all’ospedale di Gorizia. Questi tentativi di fuga, spiega la Questura, sono avvenuti perché durante le proteste dei giorni scorsi, gli immigrati hanno danneggiato la recinzione e così tentano di scappare attraverso i varchi. Anche perché gli extracomunitari non rischiano nulla, non esistendo un reato di tentata fuga dal Cie. Stamattina la rete di recinzione è stata riparata. Al momento, il Cie ospita 65 extracomunitari, in prevalenza di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La sua capienza massima è al momento di 68 persone e non oltre 200, in quanto una parte della struttura è in via di ristrutturazione. Il gruppo più numeroso di ospiti è magrebino: 17 algerini, 13 tunisini e 20 marocchini. Cinquantacinque ospiti su 65 hanno precedenti penali, quasi tutti per spaccio e detenzione di droga e altri anche per reati vari, quali rapina, violenza sessuale e furto. Diciassette provengono da carceri di tutt’Italia. Pellegrino (Sel): maggioranza intervenga “Sono persone che non hanno nulla da perdere, una volta appreso che sarebbe stato espulso ha tentato la fuga, ha tentato il tutto per tutto”. È il commento della parlamentare Serena Pellegrino (Sel) impegnata nei confronti dei diritti degli immigrati e che da giorni sta seguendo la vicenda del Cie di Gradisca (Gorizia), in particolare l’incidente della notte scorsa. “Ho avuto conferma che il cittadino marocchino è in coma, in uno stato dal quale non c’è possibilità di rientro. Questa strana maggioranza governativa - ha concluso. È ora che si sbrighi riguardo a questo fenomeno”. Immigrazione: sgomberato il Cie di Modena, al via lavori di adeguamento della struttura Ansa, 13 agosto 2013 È stato ultimato in mattinata lo sgombero del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena, al cui interno non rimangono più trattenuti in attesa dei lavori previsti per l’adeguamento della struttura. Lo rende noto la prefettura di Modena con un comunicato. “Come preannunciato - si legge - la struttura necessita di interventi indispensabili per assicurare il mantenimento di standard adeguati”. Degli interventi è stato informato il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche. La prefettura precisa poi che “sono state promosse urgenti iniziative sia per perfezionare le procedure relative alla posizione dei lavoratori, sia per la vigilanza della struttura”. La prefettura spiega che tutto il procedimento degli interventi al Cie sarò sottoposto per valutazioni all’attenzione del Ministero dell’Interno. Stati Uniti: garantismo e calcolo, Obama mette mano agli eccessi della politica carceraria di Mattia Ferraresi Il Foglio, 13 agosto 2013 Il procuratore generale degli Stati Uniti, Eric Holder, ha arricchito con motti ad alto coefficiente politico la proposta di ammorbidire la policy carceraria americana: “Non dobbiamo smettere di essere duri sul crimine. Ma dobbiamo anche essere più intelligenti sul crimine”. Nell’incontro annuale dell’American Bar Association a San Francisco, Holder ha indicato ai procuratori la via per aggirare le pene minime obbligatorie che la legge prevede nei reati di droga, anche in quelli minori. Basterà che l’accusa ometta le quantità di stupefacenti in possesso degli indagati per evitare che entri in azione il dispositivo che porta automaticamente al carcere, secondo un protocollo che rappresenta il precipitato legale della “War on Drugs” cominciata negli anni Sessanta e riformata da Ronal Reagan a metà degli Ottanta. Le pene minime obbligatorie sono fissate da uno schema rigido che non tiene conto di attenuanti, minimizza l’impatto del contesto, sbiadisce l’aspetto della riabilitazione e valorizza quello della punizione, alla ricerca di un effetto deterrente che, dice il procuratore, ha portato come unico risultato significativo la sovrappopolazione delle carceri. Il tema carcerario non ha mai solleticato le fantasie politiche di Barack Obama. Il presidente non ha aizzato campagne militanti per diminuire la popolazione delle prigioni americane né ha cercato di smarcarsi dall’immagine dello zelante tutore della legge che per una lunga stagione è stato un connotato ineludibile del presidente americano. Il commander in chief è anche un inflessibile “law enforcer” che sbatte in prigione i cattivi. Obama però ha dato mandato al suo procuratore generale di esplorare il terreno poco battuto della lotta alla sovrappopolazione carceraria, e la riforma sostanziale annunciata ieri è la conclusione di un percorso che Holder ha iniziato alcuni mesi fa. In aprile ha detto che “troppi americani finiscono in troppe prigioni americane per troppo a lungo e senza una buona ragione legale” e qualche settimana più tardi, davanti a una commissione della Camera, ha spiegato: “Come società dobbiamo domandarci: stiamo mandando le persone giuste in carcere? Le pene sono appropriate? Alcune persone devono stare in prigione a lungo, e io ho emesso parecchie condanne quand’ero giudice qui a Washington, ma penso che ci siano alcune domande legittime sulle politiche che abbiamo promosso per parecchi anni, e dovremmo chiederci se la popolazione carceraria che abbiamo s’accorda con le risorse limitate che abbiamo a disposizione”. Le disposizioni diramate davanti agli avvocati riuniti in California si presentano come realizzazione, in ambito penale, di quella scaltra armonia fra senso morale ed esigenze della realtà che Obama ha eretto a principio cardine del suo governo. Holder dice che l’abolizione delle pene minime obbligatorie contribuirà a svuotare le carceri stracolme di detenuti, restituirà il potere discrezionale ai magistrati, ingabbiati da griglie inflessibili, e contemporaneamente libererà il sistema giudiziario americano da leggi che “se applicate in modo indiscriminato non servono la pubblica sicurezza, hanno un effetto negativo sulle comunità e sono, in ultima analisi, controproducenti”. La svolta garantista di Holder tradisce un calcolo d’immagine. Il procuratore è l’unico tassello del governo di Obama sopravvissuto ai rimpasti naturali di ogni amministrazione, e la continuità non è certo dovuta all’assenza di punti critici nel suo operato. Holder è rimasto invischiato nel traffico di armi finite nelle mani di narcos messicani, il cosiddetto “fast and furious”, si è attirato le antipatie dei liberal per le acrobazie legali con cui ha giustificato gli attacchi con i droni e le detenzioni a tempo indeterminato, si è gettato con furore giustizialista sui banchieri responsabili di ogni male, salvo poi scoprire che nelle liste del procuratore alcuni istituti erano “too big to prosecute”. Da ultimo, il dipartimento di Giustizia ha dovuto ammettere che i numeri della task force per le indagini sulle frodi sui mutui erano gonfiati: l’Amministrazione non ha messo sotto inchiesta 530 persone, come aveva dichiarato, ma soltanto 107, e l’ammontare delle perdite dei proprietari di immobili sono passate dalla cifra roboante di un miliardo di dollari a quella più modesta di 95 milioni. Un attacco frontale al sovraffollamento carcerario ammorbidisce l’immagine diffusa del procuratore che amministra selettivamente le iniziative per favorire la Casa Bianca, cambio di prospettiva che ben s’accorda con le preferenze dell’opinione pubblica. Allo stesso tempo Holder introduce nell’arena politica un problema di proporzioni enormi. Con 716 detenuti ogni centomila abitanti, gli Stati Uniti sono nettamente in testa alla classifica mondiale della detenzione (l’Italia ha 108 detenuti ogni centomila abitanti); secondo il Bureau of Justice Statistics - controllato dal dipartimento di Giustizia - nelle prigioni federali ci sono un milione e mezzo di detenuti, cifra che riflette una tendenza calante negli ultimi tre anni. Gli americani costituiscono il 5 per cento della popolazione mondiale, ma la popolazione carceraria ammonta al 25 per cento di quella globale, situazione che difficilmente si può slegare dal fatto che l’accusa vince il 95 per cento dei casi giudiziari; il 90 per cento di questi non arrivano nemmeno alla fase del dibattimento. Intervenire sulle pene obbligatorie minime per i reati di droga non svuoterà istantaneamente le sovraffollate prigioni americane, ma rompe quella cieca cinghia di trasmissione che conduce senza distinzioni né possibilità di pene alternative i criminali dietro le sbarre. E mette al centro del dibattito quella che per decenni è stata la battaglia di una nicchia vociante e sostanzialmente inascoltata, dinamica analoga a quella che si dipana dentro ai nostri confini. Uno dei più agguerriti critici del sistema carcerario è l’ex magnate dei media Conrad Black, che nelle prigioni americane ha passato alcuni anni durante un processo denso di sottintesi politici che ha visto il progressivo sgretolamento dell’impianto accusatorio. Da quando è stato dichiarato innocente (e tuttavia bandito dagli Stati Uniti), il businessman canadese si è dedicato a tempo pieno all’esposizione dei peccati del sistema giudiziario americano, un organismo che prospera grazie alla complicità fra la corporazione degli avvocati, lo zelo manettaro dei procuratori e l’esternalizzazione ai privati del business delle carceri. Il conservatore Black coltiva una passione profonda per il libero mercato, ma non quando i detenuti diventano la “commodity” che accresce gli affari dei gestori delle prigioni, in accordo con il sindacato delle guardie carcerarie, una ricca corporazione che generosamente distribuisce finanziamenti a politici che ricambieranno il favore costruendo nuove strutture detentive. Le quali poi dovranno essere opportunamente riempite per dare frutto. Le disposizioni di Holder segnano il circospetto ingresso dell’Amministrazione nel ginepraio della politica detentiva. Usa: pene meno severe per i piccoli spacciatori, di Francesco Semprini (La Stampa) Il ministro Holder: “Carceri troppo affollate, distinguere tra boss della droga e criminali minori”. Ma per la riforma servirà un appoggio bipartisan a Capitol Hill. Svolta del governo degli Stati Uniti nella lotta contro la droga. Il dipartimento di Giustizia americano annuncia un cambiamento di approccio nel modo di giudicare alcuni reati minori e “non violenti” legati all’uso e al commercio degli stupefacenti, riducendo al minimo l’applicazione delle pene. Ad annunciarlo è il ministro Eric Holder il quale, ieri, ha levato i veli a una serie di iniziative di modifica attualmente in corso nel dicastero sulle procedure che disciplinano la materia. “Troppi americani finiscono in troppe prigioni per troppo tempo, e questo accade senza una opportuna applicazione della legge”, spiega Holder in un intervento all’ordine degli avvocati di San Francisco. Ecco allora che il Procuratore generale espone la sua ricetta fatta di riduzione al minimo della pena per i piccoli spacciatori non legati ai grandi cartelli di narcotrafficanti, misure alternative alla prigione per criminali non pericolosi o non violenti, sconti di pena per anziani. “Ho dato avvio a un’ampia revisione delle procedure di incriminazione in modo tale che si evitino misure draconiane in casi in cui non sono affatto necessarie”. La popolazione carceraria americana è, in proporzione, più elevata rispetto a quella di altri Paese, anche per le leggi anti-droga assai severe approvate negli anni Ottanta e Novanta. Il ministro punta inoltre a stabilire una serie di linee guida che permettano di valutare se un reato debba essere oggetto di incriminazione da parte delle autorità federali. La filosofia della revisione è quella di spostare gli obiettivi principali della guerra alla droga sulle grandi organizzazioni e i cartelli che controllano i traffici. “La legge non deve aumentare la criminalità, bisogna perseguire i boss della droga, non chi è afflitto dalla povertà e ridurre la popolazione carceraria. - spiega Holder - Purtroppo c’è un circolo vizioso tra povertà, criminalità e carcere che intrappola troppi americani e indebolisce troppe comunità locali”. La “manovra Holder”, inoltre, consentirebbe di risparmiare miliardi di dollari in soldi pubblici, data l’aumento vertiginoso dei costi di mantenimento delle strutture carcerarie e delle procedure processuali. A spingere Holder su questa strada riformista non è solo una ragione di equità, quindi, ma anche di bilancio: si calcola che il costo dell’amministrazione carceraria nel 2010 sia stato pari a 80 miliardi di dollari. La popolazione americana rappresenta un 5% di quella mondiale, ma il 25% dei detenuti al mondo, uno su quattro è rinchiuso negli Usa. Mentre la cittadinanza è cresciuta di un terzo dal 1980 a oggi, i reclusi sono cresciuti dell’800%, tanto che secondo il dipartimento di Giustizia le prigioni americane sono oltre il 40% oltre la loro capacità massima. Dal punto di vista procedurale il ministro intende dare nuove indicazioni ai suoi “federal prosecutors”, i titolari dell’accusa in dibattimento, nel chiedere alla Giuria pene minime per piccoli reati di droga, in modo che non scattino, come accade ora, sentenze draconiane con anni e anni di detenzione. È inoltre allo studio dei tecnici della Giustizia un provvedimento “Svuota carceri” volto a ridare libertà a quelle persone “condannate per reati minori in circostanze straordinarie, e che non costituiscono alcun pericolo per la collettività”. Molte delle misure proposte da Holder, però avranno bisogno di un voto parlamentare e ci sarà bisogno di un appoggio bipartisan, come imposto dai numeri tra Camera e Senato. La vera battaglia si giocherà, quindi, di nuovo a Capitol Hill. Marocco: sciopero fame 10 spagnoli in carcere Tetuan, chiedono trasferimento in patria Dieci detenuti spagnoli che scontano la condanna nel carcere di Tetuan, al nord del Marocco, hanno cominciato uno sciopero della fame a oltranza per chiedere alle autorità spagnole di sollecitare il loro trasferimento in Spagna, come è già avvenuto per altri connazionali detenuti. Ne danno notizia fonti dell'amministrazione penitenziaria marocchina citate dall'agenzia Efe. Lo scorso 30 luglio il re Mohamed VI del Marocco ha concesso l'indulto a 48 detenuti spagnoli nelle carceri del paese, sebbene la richiesta presentata dalla Spagna riguardasse la liberazione di 18 detenuti e il trasferimento degli altri, perchè finissero di scontare la condanna in carceri iberiche. Due provvedimenti di indulto sono stati al centro di roventi polemiche: quello riguardante Daniel Galvan, il presunto pedofilo attualmente detenuto in Spagna, revocato dallo stesso monarca marocchino a causa delle proteste provocate dalla scarcerazione; e quello di Mohamed Mounir Molina, beneficiato dalla misura ancora prima di essere processato per tre reati relativi al traffico di hashish. Attualmente sono 60 i detenuti spagnoli nel penitenziario di Tetuan, uno dei più moderni del Marocco, costruito nel 2010, ma che ospita 600 persone in più della sua capienza. Libia: oltre 14mila detenuti evasi nel 2011, ancora in libertà Ansa, 13 agosto 2013 Oltre 14mila detenuti evasi dalle carceri libiche durante la rivoluzione contro il regime di Muammar Gheddafi, nel 2011, sono ancora in libertà: lo ha reso noto il Ministero degli Interni di Tripoli, secondo il quale si tratta di una situazione che mina la sicurezza del Paese. Molti di questi detenuti erano stati condannati a pene gravi come l’ergastolo o addirittura la condanna a morte, e sono in corso delle operazioni delle forze di sicurezza per la loro cattura. Evasioni di massa continuano ad accadere regolarmente nelle carceri libiche, molte delle quali sotto il controllo di ex milizie ribelli: il 26 luglio scorso oltre 1.200 detenuti sono scappati da una prigione di Bengasi. Brasile: rivolta carceri minorili, direttore istituto preso in ostaggio e ferito gravemente Ansa, 13 agosto 2013 Rivolte scoppiate in due carceri minorili brasiliane: in una è stato sequestrato e ferito gravemente il direttore del carcere. Una rivolta è scoppiata stamani nel carcere minorile “Fundacao Casa” di Itaquera, nella zona est di San Paolo. Tra gli ostaggi, di cui non è stato fornito il numero esatto, c’è anche il direttore dell’istituto. Poche ore dopo l’inizio della sommossa, otto persone erano state liberate, alcune delle quali ferite. Rivolta anche in un altro penitenziario minorile, a Vila Leopoldina, nella zona ovest della megalopoli brasiliana: 12 gli ostaggi. In azione reparti antisommossa della polizia militare. Secondo fonti dello stesso penitenziario, la rivolta a Itaquera è iniziata dopo un tentativo di fuga. Un altro gruppo di giovani detenuti - di cui non è stato precisato il numero - era invece riuscito a scappare poco prima. Per il sindacalista Julio Alves, che sta seguendo la situazione dall’esterno, il direttore del carcere, Orlando Vieira Mendes, è “ferito gravemente, ma non corre rischio di vita”. I ragazzi insorti lo avrebbero picchiato violentemente con calci e pugni. Media locali informano che la sommossa nel presidio di Vila Leopoldina è nel frattempo terminata, dopo circa quattro ore di tensione e disordini. Egitto: gli Stati Uniti chiedono la revoca di ogni “detenzione politica” Tm News, 13 agosto 2013 Gli Stati Uniti hanno chiesto alle autorità egiziane di revocare tutte le “detenzioni politici”, senza tuttavia citare esplicitamente il caso del deposto presidente Mohammed Morsi. “La nostra posizione non è cambiata, continuiamo a chiedere di mettere fine a tutte le detenzioni politicamente motivate e insistiamo sul fatto che non aiutano l’Egitto a superare la crisi” politica in cui si trova, ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf, rispondendo a una domanda sulla decisione della magistratura egiziana di prolungare la custodia cautelare di Morsi di altri 15 giorni. Morsi, ancora tenuto in un luogo segreto dalle forze armate dopo la sua estromissione dal potere il 3 luglio scorso, era stato formalmente posto in custodia cautelare il 26 luglio. L’ex Presidente è sotto inchiesta per dei presunti legami con Hamas che riguardano una serie di attacchi contro le forze di sicurezza e l’evasione dal carcere di Wadi Natrun, nel 2011. Il 23 giugno scorso un tribunale egiziano aveva accusato l’organizzazione estremista palestinese e le milizie sciite libanesi di Hezbollah di essere coinvolti nell’evasione di numerosi prigionieri - fra i quali lo stesso Morsi - dal carcere, durante la rivolta contro il regime Mubarak. All’epoca Morsi aveva affermato di non essere evaso, ma che alcuni abitanti del luogo - una settantina di chilometri a nordest del Cairo - avevano aperto le porte della prigione liberando i detenuti.