Giustizia: quei lugubri luoghi comuni sull’ergastolo… di Stefano Anastasia e Luigi Manconi L’Unità, 11 agosto 2013 Non è vero che il carcere a vita non viene applicato. Lo dimostrano le storie di tanti dei 1.581 ergastolani in Italia. L’abolizione è un obiettivo di civiltà. La principale motivazione giuridica, morale e sociale a favore della permanenza dell’ergastolo è, nel senso comune, che "tanto prima o poi escono tutti”. Un argomento di fatto. Peccato che non sia così e che quindi non possa essere speso a difesa della pena senza tempo. Al 31 dicembre dello scorso anno i condannati all’ergastolo nelle carceri italiane erano 1.581, circa quattro volte in più di quanti non fossero vent’anni fa. Ma la vulgata vuole che l’ergastolo nei fatti non si sconti. Sorprende e, se è consentito, addolora che a quel lugubre luogo comune regressivo si riferisca una persona stimabile come il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, per il quale "la carcerazione a vita non esiste più, o meglio non viene applicata” (il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2013). Si sa: c’è sempre la liberazione condizionale, dietro l’angolo, a permettere dopo ventisei anni l’uscita dal carcere degli ergastolani e, dopo ventidue, di coloro ai quali venisse riconosciuto l’ordinario sconto di pena per buona condotta. Questo, sulla carta e nei codici. La nostra personale esperienza ci dice che i dati reali non sono mai stati corrispondenti ai calcoli che alimentano la diceria di un ergastolo ineffettivo e inapplicato. Durante la XIII legislatura, in occasione della discussione del disegno di legge che aboliva il carcere a vita (e che fu approvato dal Senato nel 1997), scoprimmo che non erano pochi gli ergastolani che avevano superato il limite per l’accesso alla liberazione condizionale senza poterne godere. Addirittura uno, Vito De Rosa, si trovava sepolto in un ospedale psichiatrico giudiziario da 47 anni (e ci sarebbe rimasto altri sei, prima di essere graziato per andare a morire in un istituto di cura). Dieci anni dopo, gli ergastolani con più di ventisei anni di pena già scontata si erano addirittura moltiplicati per otto: il 17 settembre 2007 erano 94, di cui solo 29 in regime di semilibertà, gli altri ordinariamente chiusi. 49 di questi ergastolani erano in carcere da più di trent’anni, la pena temporanea massima prevista dal nostro ordinamento. Stanno o non stanno scontando la pena dell’ergastolo, queste persone che - passato il termine per l’accesso alla liberazione condizionale, o addirittura il termine di durata massima delle pene detentive - sono ancora in carcere? O dobbiamo aspettare che muoiano in galera per accertare che stiano scontando la pena a vita? È o no un ergastolano Calogero Diana, quarantuno anni di pena scontata, da diciannove in semilibertà, che non riesce ad accedere alla liberazione condizionale e che tutte le sere - dopo aver assistito malati e disabili di ogni genere nella cooperativa sociale per cui lavora - torna a dormire in carcere? Non è una discussione oziosa, dunque, quella intorno all’abolizione dell’ergastolo: e ciò rende ancora più importante il referendum in materia promosso da Radicali italiani. Soprattutto quando quella discussione sia rimotivata - come è accaduto in Italia - dall’emersione di una nuova figura, "l’ergastolano ostativo” che, a causa dei suoi reati, alla liberazione condizionale non può accedere a meno che non collabori con la giustizia o non dimostri di non poter collaborare in qualche modo. Si stima che circa due terzi degli ergastolani attualmente detenuti nelle carceri italiane (più di 1.500, come si è detto) siano in questa condizione; una condizione sotto osservazione anche da parte della Corte europea dei diritti umani, che contesta la legittimità dell’ergastolo senza possibilità di revisione (e dunque di liberazione del condannato). Nel 1975 Aldo Moro scriveva che "un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua”, che contraddice entrambi i principi costituzionali in materia di pena: ossia il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e la sua finalità rieducativa. Se tutto ciò è vero, non basta cavarsela con un giro di parole e inventarsi una realtà che non esiste. Lo disse nel 1974 la Corte costituzionale: l’ergastolo tanto è costituzionalmente legittimo in quanto non si applichi effettivamente. Ecco, allora facciamo questo passo in più e rendiamolo costituzionalmente legittimo vietandone l’applicazione in ogni e qualsiasi caso. Giustizia: Danilo Leva (Pd); progetto per riforma che prevede l’abolizione dell’ergastolo La Repubblica, 11 agosto 2013 "Pensiamo all’abolizione dell’ergastolo. E all’introduzione di nuovi reati come falso in bilancio, tortura e auto riciclaggio”. Il deputato Danilo Leva, presidente del Forum Giustizia del Pd, spiega i pilastri sui quali i democratici poggiano il loro progetto di riforma del sistema giudiziario italiano. Qual è lo spirito della riforma vista dal Pd? "Abbiamo l’idea di una giustizia che alzi la voce con i forti. E non solo con i deboli. La riforma, però, non può essere l’appendice ai problemi personali del Cavaliere, né può essere una sorta di maschera dietro la quale nascondere la richiesta della sua impunità. Né, tantomeno, l’oggetto di un patto segreto di scambio per tenere in piedi questo governo”. Dopo queste doverose premesse, su quali punti non siete disposti a trattare con il Pdl? "La riforma deve partire dal rispetto della Costituzione senza modificare il titolo Quarto. Su questo terremo duro. Però siamo disponibili ad aperture”. Su quali punti c’è margine di trattativa con il partito di Berlusconi che, soprattutto dopo la sentenza Mediaset, invoca una riforma "punitiva” per i magistrati? "A proposito del controverso tema dell’organizzazione della magistratura, siamo contrari alla separazione delle carriere. Ma disponibili a ragionare su norme ordinarie che possano rafforzare la distinzione delle funzioni. Ma, ripeto, senza minare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. Si fa un gran parlare di riforma della custodia cautelare. Qual è la posizione del Pd? "Credo sia ormai improcrastinabile una modifica dell’istituto della custodia cautelare. Nel nostro Paese spesso se ne fa un uso improprio senza contare la correlazione con il sovraffollamento delle carceri. La nostra proposta è eliminare le ipotesi normative che la dispongono obbligatoria per titoli di reati, ad eccezione di quelli gravi. Si lascerebbe così a ogni singolo magistrato la valutazione dell’arresto caso per caso, in base all’effettiva pericolosità sociale dell’indagato”. Siete a favore dell’abolizione dell’ergastolo? "Sì, va reso effettivo l’articolo 27 della Costituzione secondo il quale lo Stato non può rinunciare a priori alla rieducazione e al recupero del condannato. Va eliminata la formula "fine pena mai” e sostituita con una pena massima di trent’anni”. E sull’azione disciplinare, altro argomento usato dal Pdl per "intimidire” la magistratura, cosa proponete? "È possibile ragionare per una soluzione in grado di portare l’esercizio dell’azione disciplinare in capo a un giudice terzo o comunque a una sezione distinta”. Come pensate di ridurre i tempi della giustizia in particolare nella sezione civile? "Va completata su tutto il territorio nazionale l’informatizzazione del processo. Quindi, ci vuole il superamento della frammentazione dei riti: non è possibile costringere i cittadini a passare da un giudice del lavoro a uno civile, poi amministrativo, poi magari fallimentare. Ci vorrebbe una maggiore semplificazione e unitarietà dei riti”. Giustizia: a Reggio Calabria bambini sottratti a famiglie mafiose, per fermare la violenza Corriere della Calabria, 11 agosto 2013 La Bbc, rete informativa del Regno Unito, dedica un ampio articolo all’iniziativa del Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria. Spezzare il circuito della violenza, sottraendo la trasmissione di "valori” mafiosi da padre in figlio. La Bbc, la principale rete informativa pubblica del Regno Unito, si occupa della Calabria, in un articolo a firma di Alan Johnston dal titolo: "Bambini portati via dalle famiglie mafiose per fermare la violenza”. "Avevamo bisogno di trovare un modo per rompere questo ciclo che trasmette valori culturali negativi di padre in figlio”, dice al giornalista inglese Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che ha già collocato 15 adolescenti fuori dal contesto di violenza delle famiglie mafiose. Nel ricordare come ‘ndrangheta calabrese sia tra maggiori trafficanti di cocaina, il giornalista della Bbc sottolinea che i clan ‘ndranghetistici costruiscano la loro forza proprio attorno ai legami di sangue. A spiegare le dinamiche familiari che strutturano le organizzazioni mafiose, la Bbc ricorre a Antonio Nicaso, tra i maggiori esperti del fenomeno: "C’è un battesimo religioso e un battesimo mafioso”, dice Nicaso. "Questo significa - aggiunge - che spesso i figli dei boss, in particolare il primogenito, sono predestinati a seguire le orme del padre”. Così come ci sono donne, nate in famiglie mafiose, costrette a sposare figli di altri boss per creare legami di parentela tra clan prima separati. "A testimonianza di ciò ci sono persino delle lettere di madri che scrivono delle loro figlie obbligate a unirsi in matrimonio con uomini che non amano, proprio per allargare il potere della famiglia”, sostiene ancora Nicaso. A chiarire la portata degli interventi e la determinazione a proseguire, è lo stesso Presidente Di Bella : "Si inizia sempre con un caso che finisce nelle aule dei tribunali. Quando questi bambini vengono accusati di bullismo, di atti vandalici o reati più gravi e le famiglie non fanno nulla, interveniamo noi”. I 15 adolescenti portati via da contesti familiari mafiosi, sono stati collocati in case famiglia, "ma non sono in carcere e possono tornare a casa per le visite”, stabilite dal Tribunale. "Ogni volta che devo togliere un minore in una famiglia - dice ancora il giudice - è una decisione molto difficile”. Ma a volte, è la stessa Corte a non avere altra scelta. "Il nostro obiettivo - osserva ancora il giudice Di Bella - è quello di mostrare a questi giovani che esiste mondo diverso da quello che in cui cresciuti, con la speranza che, raggiunta la maggiore età, scelgano liberamente di non entrare nel mondo criminale”. Ma perché provvedimenti del genere siano compiutamente efficaci, occorre coordinare, in maniera incisiva, operatori sociali, psicologi e strutture di accoglienza. Mario Nasone, assistente sociale con esperienza di trattare con "i bambini di ‘ndrangheta”, a questo proposito afferma: "Il Tribunale per i minorenni di Reggio sta esaminando la questione in maniera globale, ma il programma ha bisogno di più sostegno dello Stato”. Minori allontanati dalle famiglie di mafia per cercare di fermare il ciclo di violenza di Alan Johnston (Traduzione articolo integrale BBC) Nel Sud Italia un giudice sta aprendo la strada a un programma per aiutare i figli dei boss di mafia a scappare dalla vita criminale allontanandoli dai propri parenti al primo segnale di disagio. "Abbiamo bisogno di trovare un modo per spezzare questo ciclo che trasmette valori culturali negativi da padre a figlio” afferma Roberto di Bella, presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, all’estremità dell’Italia meridionale. Questo è il cuore di una delle più potenti mafie del Paese, una rete criminale conosciuta come ‘Ndrangheta, la più grande trafficante di cocaina in Europa. La mafia è sempre costruita sulla base dei legami di sangue, questo accade soprattutto all’interno della ‘Ndrangheta rendendo i suoi clan particolarmente difficili da penetrare da parte delle forze di sicurezza. "C’è un battesimo religioso e un battesimo mafioso il quale è confermato quando raggiungi una certa età” afferma Antonio Nicaso che ha dettagliatamente scritto sulle dinamiche delle famiglie di ‘Ndrangheta. "Questo significa che spesso i figli dei boss, in particolare i primogeniti, sono predestinati a seguire le orme del padre”. Le figlie a volte sono costrette a sposare i figli di altri boss, spiega [Nicaso] mettendo insieme clan separati grazie ai legami di sangue. "Ci sono lettere di donne che scrivono di come le loro figlie sono state costrette a sposare uomini che non amano, solo per estendere il potere della famiglia” afferma Nicaso. Intorno allo Stretto di Messina la mafia siciliana è stata minata dai cosiddetti "Pentiti”, "quelli che hanno fatto penitenza”, che hanno collaborato con la polizia e fornito informazioni sul resto dei criminali. Ma a confronto i clan di ‘Ndrangheta hanno visto pochi pentiti e i codici di condotta sono semplicemente passati da una generazione a quella successiva. Negli ultimi anni il Tribunale del giudice Di Bella si è occupato di figli di mafiosi che già negli anni novanta, ancora minorenni, aveva condannato. Così lo scorso anno ha deciso che qualcosa doveva cambiare. "Come presidente del Tribunale ho preso delle decisioni”, afferma. Il tribunale ha iniziato a prestare più attenzione ai bambini di note famiglie mafiose tra i 14 e i 15 anni e che avevano "iniziato ad acquisire la mentalità mafiosa”, come indica Di Bella, iniziando con piccoli crimini. Finora circa 15 di questi ragazzi- la grande maggioranza- sono stati allontanati dai loro parenti e collocati in case di accoglienza. Ma non sono in prigione e possono saltuariamente tornare a casa per le visite. "Tutto ciò inizia sempre con un caso giudiziario”, spiega Di Bella, "quando questi ragazzi vengono accusati di bullismo o atti di vandalismo contro macchine anche delle forze dell’ordine, e la famiglia non fa nulla, allora interveniamo noi. "Ogni volta che sono chiamato ad allontanare un minore dalla famiglia la decisione è difficile, devo emettere un doppio giudizio”. Ma, precisa, il Tribunale conclude che non vi sono altre soluzioni. "Il nostro obiettivo è dimostrare a questi giovani una realtà diversa da quella in cui sono cresciuti. Se sei un ragazzo il cui padre, zio o nonno è mafioso, allora non c’è nessun altro che può stabilire le regole ma noi gli forniamo un altro contesto”. La speranza è che quando il ragazzo sarà libero di tornare definitivamente a casa, a 18 anni, sceglierà di non entrare a far parte della malavita. Non è la prima volta che giovani con famiglie problematiche sono stati posti sotto tutela. La novità è la determinazione di Di Bella ad intervenire in anticipo e di coordinare più da vicino assistenti sociali, psicologi, per dare ai ragazzi un nuovo inizio. Il programma è ancora descritto come "sperimentale” e "in evoluzione”, ma Di Bella si aspetta che nei mesi e negli anni a venire molti altri minori vengano allontanati dalle famiglie mafiose calabresi e che il programma venga replicato altrove in Italia. L’iniziativa è stata accolta con favore da Mario Nasone, assistente sociale con esperienza in merito ai bambini di ‘Ndrangheta. Il tribunale per i minorenni sta esaminando la questione in maniera globale per la prima volta, dice - ma aggiunge che il programma ha bisogno di maggiore sostegno statale. "Abbiamo bisogno di realizzare un network in cui possiamo garantire che questi bambini andando a casa abbiamo una sorta di "disintossicazione culturale”, dice. I boss di mafia che Nasone e i suoi colleghi visitano in cella sono consapevoli della nuova determinazione delle autorità nell’intervenire in famiglie come le loro. "C’è un certo livello di preoccupazione,” afferma Nasone, "ma dobbiamo parlare con loro, renderli responsabili. Devono comprendere che non possono con l’impunità fare ciò che vogliono con i propri figli e crescerli come mafiosi. Noi non possiamo permetterlo”. Nasone ha visto personalmente che con il giusto approccio i giovani possono essere indirizzati lontano dalla vita criminale. Ci racconta la storia di un ragazzo di sedici anni con cui ha lavorato in un centro di detenzione. Quando era arrivato il momento di lasciare il carcere, sua madre disse che doveva tornare in famiglia per prendere il posto del padre mafioso che era stato ucciso. "Tu sei con noi o con loro”, spiegò, riferendosi al mondo della ‘Ndrangheta. "Scelse e andò via a Milano”, dice Nasone. "Gli trovammo un lavoro ma abbiamo dovuto tagliare i contatti con la sua famiglia e questa non è una scelta facile” Come i bambini vengono introdotti nei clan Così come i membri di una famiglia la ‘Ndrangheta avvicina i minori ai margini del clan e li porta nei propri ranghi. "[i mafiosi] vanno nei vicinati alla ricerca dei più forti, dei giovani più coraggiosi, e scelgono i migliori” spiega Antonio Nicaso. Per un po’ questi bambini seguono un periodo di apprendistato criminale. "Vengono seguiti per dimostrare se sono meritevoli di fiducia, dopo vengono presentati al boss e chi si occupa della presentazione si assume anche la loro responsabilità. Fanno credere ai minori che la ‘Ndrangheta sia un organizzazione composta da persone speciali, con il culto del rispetto e dell’onore”. E c’è anche una cerimonia di iniziazione. Il giuramento comporta il taglio del dito del nuovo arrivato. Il loro sangue viene lasciato cadere su una foto di San Michele Arcangelo che i mafiosi di ‘ndrangheta considerano come loro patrono. "Mettono a fuoco l’immagine e la stringono in mano mentre brucia dicendo ‘Prometto di essere fedele a questa organizzazione e se dovessi tradirla brucerò come questo Santo”. Giustizia: Sappe; il Dap pretende dagli agenti 10 euro al giorno per gli "alloggi di servizio” Adnkronos, 11 agosto 2013 Ecco i soldi previsti che il personale di Polizia Penitenziaria dovrà sborsare per pagare i tuguri che il Dap si ostina a chiamare "alloggi di servizio”. Tra i 7 e i 10 euro al giorno, a persona, per vivere in "uno squallido tugurio”, peraltro in carcere; e, se ciò non bastasse, si paga anche l’uso del mobilio. Sta per accadere agli agenti della Polizia Penitenziaria, secondo una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la numero 3828 a firma del direttore generale dei Beni e servizi del ministero di via Arenula, che diverrà operativa dal primo settembre. A parlare di "squallidi tuguri” è il segretario generale del Sappe, sindacato di riferimento della categoria, che oggi ha lanciato l’allarme. La circolare, avverte, è "stata firmata il 18 giugno scorso - dice Donato Capece - ma ne siamo venuti a conoscenza da poco, quando le proteste nei vari istituti hanno cominciato a farsi sentire. Da giugno infatti sono state notate le misurazioni degli alloggi su incarico dei dirigenti, una cosa che ha insospettito tutti”. Il canone da pagare, si legge sulla circolare, va calcolato sommando varie voci, riportate di seguito: 15 euro per l’acqua; 1,20 euro al metro quadro per il riscaldamento; 1 e/mq per l’elettricità; 0,15 e/mq per la tassa sui rifiuti; 1,15 e/mq per i servizi di pulizia; e, dulcis in fundo, 1/240mo del valore del mobilio. La somma va divisa per trenta, dato che l’occupazione dell’alloggio può essere anche giornaliera per le esigenze del servizio. "Ma ci sono anche molti scapoli fuori sede che abitano stabilmente negli alloggi - avverte Capece, e arriverebbero a pagare 150 o più euro al mese. Visto che lo stipendio è di 1.300 euro, si tratta di una tassa di oltre il 10%: inaccettabile, anche considerato che né polizia né carabinieri pagano gli alloggi, che tra l’altro sono molto più dignitosi dei nostri in carcere”. Giustizia: bufera sul decreto contro il feminicidio, Boldrini anticipa riapertura Camera di Sara Menafra Il Messaggero, 11 agosto 2013 Apertura straordinaria della Camera dei deputati, per il decreto sul feminicidio. La presidente dell’assemblea Laura Boldrini nei giorni scorsi aveva già fatto sapere ai deputati che allontanarsi troppo da Montecitorio era sconsigliato, perché la Camera "non chiude mai e può essere sempre convocata”, anche in pieno agosto. E l’occasione si è rivelata propizia per mantenere la promessa: Camere riconvocate per il 20 e 21 agosto. Con polemica, da parte di Pini della Lega Nord che propone di riaprire sì, ma per parlare di abolizione del finanziamento ai partiti. In realtà il decreto contro la violenza alle donne e lo stalking non farà nessun passo avanti nell’iter parlamentare. La seduta servirà solo per l’annuncio ufficiale della presentazione del provvedimento. Si tratta di un adempimento tecnico previsto dalla Costituzione: tutti i decreti legge debbono essere presentati in Parlamento entro 5 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Nel caso del decreto sul feminicidio approvato nell’ultimo consiglio dei ministri, la pubblicazione in Gazzetta avverrà dopo Ferragosto. Da quel momento la nuova normativa sarà in vigore. Alla ripresa dei lavori di settembre sarà poi la commissione Giustizia a entrare nel merito. La presidente della Camera si è compiaciuta per lo slancio di cui le assemblee legislative stanno dando prova: "Se facciamo un confronto con gli altri Parlamenti europei, questa volta l’Italia dà il buon esempio. L’emiciclo di Strasburgo si è fermato il 4 luglio per riaprire i battenti il 9 settembre; i due rami del Parlamento francese sono chiusi da metà luglio e i lavori riprenderanno il 10 settembre e l’ultima seduta del Bundestag è stata il 28 giugno scorso e la riapertura non è stata ancora fissata”. Ma immediatamente è partita la polemica. La lancia il leghista Gianluca Pini, già noto per una proposta di legge sulla responsabilità civile dei magistrati che l’anno scorso ha fatto parecchio ballare il governo Monti. "Ancora una volta Laura Boldrini dimostra non solo di essere totalmente incapace di gestire l’Aula di Montecitorio ma anche di non conoscere come funziona la Camera stessa”. Dice Pini: "Noi siamo pronti - aggiunge - anche domani a lavorare, ma è la conferenza dei capigruppo che decide il calendario. Pertanto se si vuole ripartire subito a lavorare la capigruppo ha già deciso: il primo punto all’ordine del giorno è la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti. Noi siamo pronti”. In serata è arrivata la risposta di Roberto Natale, portavoce della presidente Boldrini: "L’onorevole Pini non perde occasione per attaccare pretestuosamente la Presidente della Camera. Se la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto sul feminicidio avverrà, come è probabile, nei giorni successivi a Ferragosto, la Camera verrà convocata entro 5 giorni, presumibilmente il 21 o il 22, per la presentazione del testo. Si tratta di un adempimento costituzionalmente dovuto, che nulla a che fare con l’inizio della discussione sul tema, la cui data sarà invece ovviamente fissata dalla Conferenza dei Capigruppo”. Lettere: siamo in una condizione che dovrebbe indignare chiunque… Notizie Radicali, 11 agosto 2013 Radicali Perugia ha ricevuto pochi giorni fa una lettera di un detenuto di Perugia, M.S., che ci scrive sulla situazione nel carcere di Capanne. Pubblichiamo qui sotto ampi stralci della lettera, trascrivendola in modo fedele. "Le scrivo questa testimonianza, anche se sono convinto non le dirò nulla di nuovo, per chiedere un suo parere ed eventualmente aderire alla vostra protesta ed al vostro gruppo qualora sia possibile per uno come me, visto che in Italia la redenzione non è contemplata e che siamo, rispetto al resto del mondo ancora nel tardo medioevo e non solo per le carceri. (...) Ora che sono in carcere non posso non vedere lo stato in cui vengono abbandonate le persone; indigenti, mentalmente instabili, culturalmente obliati a se stessi senza che nessuno li aiuti e creda in una condizione migliore una possibilità per chi la merita certo, ma anche quella non esiste. Il carcere non offre nulla c’è la palestra, biblioteca, campo da calcio e una piccola sala hobby dove solo in quest’ultima due persone possono passare il tempo, il resto che ho menzionato ed altro ancora che potrebbe esserci qui non esiste sono maiali in una stalla, solo che ai primi la legge dice che devono essere assicurati almeno 7 mq mentre alle persone ne devono bastare circa 5 o 6 ogni 2. Questo è un piccolo esempio. Sono mille le cose che non vanno ripeto siamo proprio in una condizione che dovrebbe indignare chiunque mentre poco cambia, pochi dicono ciò che non va soprattutto da dietro queste mura. Da qui mi è nata un’idea che tra poco esporrò chiedendo il suo consiglio. Prima volevo sollevare la sua attenzione su un fatto recente. Un detenuto si è ammalato di tbc tutto è stato tenuto segreto per 1 mese, poi la direzione ha negato ma ora solo gli assistenti penitenziari e gli impiegati hanno fatto il test (tra l’altro molto evidentemente portavano cerotti nei bracci) mentre alla feccia oltre che non è stata avvertita non è stata presa neanche in considerazione la possibilità di un un’epidemia tra i detenuti. Bene detto questo il resto dei problemi delle carceri italiani le conosciamo bene e forse voi radicali meglio di me. Io pensavo che l’unica cosa che potrei fare sarebbe, tutte le volte che verrò chiamato alle mie udienze, ricordare, leggendo anche un articolo di giornale (vedi l’Espresso del 28/2/2013) ricordando a coloro che giudicano spesso in maniera soggettiva e molto molto poco imparziale, in base sì alla legge ma anche alle sue spesso strane interpretazioni ed a dinamiche tra avvocati pm giudici e chi più ne ha più ne metta a me ignote e non solo a me, che devono giudicare tutti tenendo sempre presente i diritti dell’uomo lesi ogni giorno regolarmente day by day. Forse mi sono espresso malino ma spero mi abbia capito comunque mi scuso per la penna ormai agli sgoccioli. La ringrazio per il lavoro che fate per noi e per l’Italia intera! Molte sono le cose che ci rendono tuttora un paese di merda, arretrato noto che nemmeno le multe e gli ammonimenti dell’Europa di cui facciamo parte, non servono a nulla. Anche il mio contributo non servirà a nulla, ma se lei pensa che io possa fare qualcosa in merito, pur non avendo mai fatto fare qualcosa in merito, pur non avendo mai fatto male a nessuno in vita mia se no a me stesso, la mia "redenzione” sento che può continuare su questa strada. Un strada di protesta pacifica e che sensibilizzi e magari un giorno le condizioni dell’Italia in genere saranno migliori”. Trieste: Russo (Pd); il carcere del Coroneo merita direttore a tempo pieno Ansa, 11 agosto 2013 "Tutte le carceri italiane vivono in situazioni molto problematiche e il decreto che abbiamo approvato cerca, nel possibile, di conciliare esigenze di umanità della pena con quelle di sicurezza della collettività e di giustizia nei confronti delle vittime”. Specificamente, il Coroneo di Trieste "merita di avere un direttore a tempo pieno” e non, come avviene oggi, un vertice che si divide tra Trieste e Padova. Lo ha detto il senatore Pd Francesco Russo al termine di una visita al carcere Coroneo, annunciando che sul caso interpellerà il Ministro della Giustizia. "Ci sono quasi cento detenuti in più rispetto alla capienza prevista e con il caldo di questo periodo la convivenza in celle sovraffollate risulta particolarmente difficile - ha aggiunto - Anche il personale penitenziario, significativamente sotto organico rispetto al numero dei reclusi, è costretto a operare in condizioni non ottimali”. Tuttavia, "ho riscontrato un ambiente sereno e ho avuto modo di verificare di persona quanto il nostro carcere sia ben gestito e investa molto nelle attività trattamentali e formative”. Russo ha ringraziato "pubblicamente la polizia penitenziaria e il personale del Coroneo”. Pavia: dal Pd un’interrogazione sul carcere alla Commissione giustizia della Camera La Provincia Pavese, 11 agosto 2013 A presentarla ieri è stata l’onorevole del Pd Chiara Scuvera che ha chiesto di fare una verifica sull’ampliamento degli organici prima di dare il via all’apertura del nuovo padiglione che dovrebbe ospitare, a partire dal 15 settembre, 300 detenuti protetti. Si tratta di reclusi particolarmente fragili all’interno di un carcere come pedofili, collaboratori di giustizia ed ex appartenenti alle forze dell’ordine. "Risulta che attualmente sono in servizio 213 addetti invece dei 273 previsti in organico - dice Chiara Scuvera - a fronte di una presenza al momento di circa 500 detenuti. Mi sembra necessaria una verifica riguardo il numero di addetti sia per la casa circondariale di Pavia sia per il carcere di Voghera, ma ho anche sollecitato l’assegnazione di personale medico e infermieristico in previsione dell’ipotesi di apertura di un polo psichiatrico al primo piano del nuovo padiglione”. L’allarme sulla situazione carceraria a Pavia era stato lanciato nei giorni scorsi sia dai sindacati della polizia penitenziaria sia dal consigliere regionale Giuseppe Villani. "La situazione è esplosiva e il rischio è quello di mettere in pericolo la sicurezza. Non c’è un minuto da perdere”, aveva detto Villani dopo una visita al nuovo padiglione di Torre del Gallo. Cagliari: solidarietà a Buoncammino, raccolta cancelleria da destinare ai figli dei detenuti La Nuova Sardegna, 11 agosto 2013 Matite colorate, penne, diari, quaderni e zaini. Dodici ore davanti al carcere di Buoncammino per raccogliere cancelleria da destinare ai figli dei detenuti in vista dell’avvio del prossimo anno scolastico a metà settembre. L’obiettivo degli organizzatori dell’iniziativa, il Comitato "Oltre il carcere libertá e giustizia”, è accontentare tutte le richieste pervenute dalla casa circondariale. L’appuntamento è fissato per il 13 agosto: sarà installato un gazebo, aperto dalle 9 alle 21, per ricevere il materiale. Sarà poi il direttore dell’istituto di pena, come ogni anno, a distribuire la cancelleria ai detenuti che, nel primo giorno di colloqui con i familiari, daranno il pacco dono ai loro bambini. Un’occasione per sorridere anche in un momento sicuramente difficile. L’anno scorso tante persone si erano avvicinate alla postazione degli attivisti del comitato per dare il loro contributo. Non è soltanto un modo di dare una mano dal punto di vista economico, ma è anche un gesto di speranza per le famiglie (e soprattutto per i bambini) che devono fare i conti con la detenzione di un loro caro. Solidarietà che non finisce mai davanti a Buoncammino. Lo dimostra un’altra iniziativa. Nei giorni scorsi quaranta chili di datteri, frutto di una piccola raccolta fondi, sono stati consegnati e distribuiti durante i trenta giorni di digiuno rituale del ramadan. L’assessorato alle politiche sociali del comune di Cagliari, in collaborazione con l’Associazione Socialismo Diritti e Riforme, l’Area Educativa e la Direzione del carcere di Buoncammino, hanno promosso l’iniziativa "Ramadan, cultura e preghiera” rivolto ai detenuti di religione islamica. Ciascuno di loro, nei trenta giorni del ramadan, ha ricevuto la frutta: la tradizione prevede infatti, che la consumazione del cibo dopo il tramonto sia preceduta dall’assunzione di alcuni datteri. Avellino: i detenuti dipingono, si è conclusa ieri la mostra "Benedici questa Casa" www.cittadiariano.it, 11 agosto 2013 La mostra "Benedici questa Casa", ha auto una ruolo attivo all’interno della VII edizione dell’evento "Vicoli ed Arte", con la direzione artistica dell'Associazione Miscellanea, di Ariano Irpino. Il Dirigente Scolastico, Prof. Francesco Caloia, coadiuvato dalla collaborazione del Vicepreside, Prof. Domenico Ciccarelli, si è attivato per promuovere, oltre alle attività didattiche curriculari, anche dei laboratori estivi, contro la dispersione scolastica, coinvolgendo le sei botteghe artigiane di Ariano Irpino dei seguenti ceramisti: Massimo Russo, Luigi Russo, Flavio Grasso, Christian Pannese, Mario Pietrolà, Rosa Caggianiello. Sono state coinvolte anche delle associazioni: L’Associazione Culturale Miscellanea (Ente partner), l’Istituto Comprensivo "Camporeale”(scuola partner), l’Associazione U.N.A. Uomo Natura Animali di Savignano Irpino (Ente partner) e la Cooperativa Sociale "Artour” (Ente partner) Le botteghe di ceramisti e associazioni culturali sopracitati, hanno offerto i propri progetti culturali nell’ambito dell’arte, dei laboratori di ceramica, design, moda, e, di tutto ciò che ruota intorno al mondo dell’arte, garantendo al Liceo "Dorso”, la qualità e l’unicità dell’evento sul territorio. Con l’augurio che l’orizzonte non sia necessariamente quello locale. Si comprende, attraverso questa esperienza, che il dialogo tra arte e impresa è un binomio che non può essere eluso. E’ chiaro ed evidente il potenziale investimento nel settore del Design. Ecco perché tanti ragazzi, provenienti da Ariano Irpino ,ma anche dalle zone limitrofe, scelgono di iscriversi al Liceo Artistico "Guido Dorso”. Attraverso l’arte e il talento personale investono sul proprio futuro lavorativo. La mostra "Benedici questa Casa” La mostra di pittura dal titolo "Benedici questa Casa” è il risultato finale del modulo "Ai confini dell’anima, la pittura come espressione del’individualità”. Il corso, affidato all’esperto esterno Prof.ssa Barbara Maraio, si è svolto presso la Casa Circondariale di Ariano Irpino, dal 26/06/2013 al 19/07/2013. Hanno partecipato i detenuti-allievi della classe IªA del Liceo Artistico. Il modulo è parte del progetto PON F-3 FSE 04-POR_Campania-2013-146, predisposto dal Liceo Guido Dorso di Ariano Irpino, denominato "Realizzazione dei prototipi di azione educativa in aree di grave esclusione sociale e culturale, anche attraverso la valorizzazione delle reti esistenti”. Il titolo della mostra "Benedici questa Casa” è una preghiera che sgorga dal cuore, scevro da quei rancori e sentimenti che si pongono in antitesi con il precetto del divino amore. Il termine"Casa” è molto complesso, basta citare Gaston Bachelard, filosofo ed epistemologo, che nel libro "la poetica dello spazio” associa la psiche umana alla casa, intesa, oltre che come dimora fisica dell’uomo, anche come "dimora psichica”, ossia contenitore di ricordi e sogni. Anche Carl Gustav Jung, psichiatra e psicoanalista parla dell’anima, servendosi della metafora della Casa. La Benedizione della "casa" è chiesta dai detenuti, con atteggiamento di grande umiltà e dignità, per sé e per gli altri, usando il linguaggio dell’arte. Questa sorta di altruismo porta giovamento alla propria autostima, nota senz’altro positiva in chi si ciba quotidianamente di sofferenza fisica e morale. Quindi: l’arte come rinascita. I lavori esposti non sono la naturale conclusione scolastica di un corso di pittura ma opere di pregio artistico e spirituale elevato. Il messaggio percepito è uno: le idee e le potenzialità artistiche non hanno sbarre. I quadri realizzati dai detenuti sono racconti di vita vera, vita passata , vita presente e, speranza di una vita che li aspetta fuori dal carcere. Vita futura. In questa mostra , per una volta non si parla di "uomini ombra" o "guardatori di soffitto” (dal film:”Cesare deve morire” dei fratelli Taviani) o ancora "morti viventi”, definizione di uno degli allievi del corso. Per una volta i detenuti hanno un loro posto al sole, grazie alla pittura. Parlano attraverso le loro tele alla società. Parlano con verità assoluta.Non hanno timore a raccontarsi, forse attraverso l’arte tutto è possibile, non nascondono il loro "male di vivere”, ma ciò che tocca le nostre corde più intime è vedere con i lori occhi che oltre le sbarre s’intravede un pezzo di cielo, il sole e gli uccelli che volano liberi, anche nel grigiore dell’inverno. Hanno dipinto i propri stati d’animo con i colori caldi, rosso, giallo, arancione. Si sono affidati ad una forma geometrica per delimitare sulla tela lo spazio "fisico" della casa che hanno nell’anima, fatta di emozioni negative e positive, come tutti gli esseri umani, di gioia, di rabbia, di pentimento, di presa di coscienza di sé, miracolo fatto da una tela bianca, pronta per essere riempita da un mondo di colori, dalla foglia oro, gialla come il sole. Hanno messo le ali ai propri pensieri, immergendosi nella tavolozza di colori, di smalti, pennelli e gessetti e carta da imballaggio, cimentandosi con entusiasmo nello studio della composizione astratta e tema sacro, utilizzando i pastelli, il chiaroscuro e lo sfumato. Nella "preghiera”, c’è una rivisitazione delle proprie impressioni e ricerca di sé, forse anche inconsciamente. L’arte come espressione di libertà mentale. Analisi dei dipinti I dipinti esposti, rappresentano i liberi pensieri dei detenuti che, prendono forma in un miscuglio di forme e colori attraverso il potente mezzo della pittura ed escono dal carcere sotto forma di tela. Pensieri veri, pezzi di vita, sentimenti e spiritualità, tutto questo si legge nelle opere esposte. Troviamo un trittico che raffigura la Croce, contornata dall’ azzurro: azzurro come il cielo, la libertà. La Croce nel Cristianesimo ha un duplice significato: la Croce di Passione , la Morte e, la Croce di Resurrezione, tenuta dal Cristo mentre esce dal sepolcro . L’ambivalenza di sentimenti è il pensiero del detenuto che l’ha dipinta: Morte e Rinascita. Un’altra opera raffigura in prospettiva l’interno di un carcere, la dimora attuale dell’allievo che l’ha dipinta. I colori utilizzati sono prevalentemente il grigio e il giallo. In tutto questo grigiore di vita quotidiana ecco che all’improvviso tra le sbarre di una finestra posta in alto appare un pezzo di cielo, da cui arrivano i raggi del sole. Un’illuminazione che viene dall’alto? O una preghiera a quell’entità che sta al di sopra di tutti noi, fisicamente e idealmente? Il dipinto ci riporta alla mente "l’Estasi di Santa Teresa" del Bernini, una folgorazione divina improvvisa.” C’è sempre una via d’uscita”, sostiene positivamente il detenuto che ha dipinto la tela, e questa visione della vita scritta con i colori, su una tela bianca ci riporta al libro del profeta Isaia (9,1):" Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, su coloro che abitavano nel paese dell’ombra della morte, si è levata una luce ".Queste parole sono davvero quelle adatte alla comprensione del dipinto. Una terza opera si è ispirata alla Madonna con Bambino e San Giovannino. Ciò che risalta maggiormente è la figura di San Giovanni mentre, la Vergine Maria appare in secondo piano. Perché?La Madonna è la madre per eccellenza, la madre di tutta l’Umanità. La maternità nell’arte sacra è l’amore più sublime. Allora perché questo detenuto ha dato più importanza al San Giovannino?Cosa voleva esprimere? Qual era il suo pensiero? La paternità. "Il bimbo è mio figlio che si chiama Giovanni” ha detto. La paternità è espressa in maniera forte, vibrante ,vitale. Ma allora non è vero che la paternità "si insegna”, come sostengono alcuni psicologi e invece la maternità è un fatto naturale? Non sempre è così. Non nella dura realtà del carcere. Ci sono sentimenti che assumono una dimensione che va oltre ogni logica. Questa tela mi viene d’istinto associarla alla figura mitologica greca di Ettore che è "il padre per eccellenza”, al contrario di Achille, altro eroe della mitologia greca che è per antonomasia "il guerriero, l’eroe”. Le altre opere esposte riguardano temi come il mare, gli uccelli che volano oltre il filo spinato, pezzi di normali attività di vita quotidiana, quella quotidianità tanto auspicata da chi ha temporaneamente perso la libertà. C’è anche chi si è voluto esprimere con l’arte astratta, con i colori, accostando macchie di colore fino a farle divenire forme. Questi sono i pensieri dei detenuti. Così si vive la libertà mentale al chiuso di una cella, perché non ci sono sbarre che tengano alla nostra fantasia. Se esiste un linguaggio artistico capace di far "evadere” mentalmente e in grado di rigenerare la mente che ben venga. Perché l’arte è stata accolta come vita e rinascita, laddove prima c’era solo buio nelle menti, sconforto e depressione. Viva l’arte, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sfaccettature. Una considerazione personale. I detenuti che hanno partecipato al corso hanno rinunciato all’ora d’aria (in piena estate!!!), per frequentare 10 lezioni di 3 ore ciascuna, senza alcun riscontro economico, confidando in un attestato finale che testimoni la loro assidua presenza e cogliendo al volo un’opportunità offerta loro dal mondo della scuola, in sinergia con la gestione penitenziaria, e, gli agenti penitenziari, impegnati per tutta la durata del corso. Alla luce di ciò si capisce anche la portata e il valore sociale di questa mostra: l’arte può far rinascere le persone. Con l’esposizione dei dipinti siamo portati ad una riflessione: i detenuti sono nel nostro mondo, nella nostra società, pur "non essendoci”. Immigrazione: ministro Bonino; non c’è rimedio magico per fermare esodo disperato Adnkronos, 11 agosto 2013 "Quello che vediamo sulle coste italiane è conseguenza dell’esodo disperato, perchè si mettono insieme due fenomeni: chi fugge dalla guerra e chi fugge dalla povertà”. Lo ha detto il ministro degli esteri Emma Bonino, intervistata questa mattina da Radio Radicale. "Le frontiere sud della Libia - poco controllabili - vedono ad esempio fuggire sudanesi, nigeriani, molti altri. I siriani passano per il Libano e poi per l’Egitto. Dall’Iraq si passa alla Turchia, e poi in Grecia, altro Paese, come il nostro o la Spagna, che a un fardello molto pesante da subire”, ha detto Bonino. "E si accumulano motivazioni diverse, tutte accomunate dalla speranza di una vita diversa. Sogno o illusione che sia, queste persone rischiano di finire nelle mani di veri e propri venditori di illusioni o di morte. Ma si tratta di persone che scappano per fame, o per guerre, o per un misto delle due cose. E per questo non c’è una soluzione miracolosa. Basti pensare a quel che succede in Libano, dove i rifugiati siriani sono 1 milione, o in Giordania, dove sono 600 mila”, ha aggiunto il ministro degli esteri. "Proprio la settimana scorsa ci siamo riuniti con i ministeri della Giustizia, della Difesa, degli Interni per cercare di essere un po’ più pronti, per fronteggiare una emergenza che è qui, e che non ha una soluzione magica. Anche in Europa era in discussione una direttiva, che però è stata ostacolata da molti Paesi, proprio perchè nell’accoglienza temporanea ogni Paese vuole la certezza che sia appunto temporanea. Noi siamo un Paese più di transito che di destinazione, non siamo noi il sogno per questi immigrati”, ha concluso il ministro. Immigrazione: sponda anomala… sei corpi senza vita allineati su una spiaggia catanese di Giuliana Sgrena Il Manifesto, 11 agosto 2013 Sei corpi senza vita allineati su una spiaggia catanese. Erano a 15 metri dalla riva, un sogno sembrava avverarsi e invece hanno trovato la morte. La morte che erano riusciti a sfuggire nel loro paese, la Siria, dilaniata dalla guerra civile. È andata meglio agli altri 94 che erano con loro sul barcone. Non è solo Lampedusa la meta, anche se resta quella principale, gli approdi cambiano a seconda delle provenienze dei profughi e dei controlli: Tunisia, Libia, Somalia, Afghanistan, Egitto, Siria, etc. Attraverso il punto di approdo possiamo ricostruire la geografia delle crisi più acute di questa parte del pianeta: guerra, fame, povertà. Tutti abbiamo diritto a sognare una vita migliore e noi, con il passato di migranti, possiamo capirlo ora più che mai nel momento in cui molti giovani abbandonano l’Italia per cercare un futuro altrove. È una consapevolezza che abbiamo sempre trovato nella popolazione di Lampedusa, la più esposta alle ondate di sbarchi, ma anche la più solidale nei confronti dei profughi. Ma l’abbiamo visto anche ieri a Catania, dove lo stupore per la scena che si presentava sulla spiaggia, non si è tramutato in astio o fastidio, com’era accaduto in passato, ma in pietà e comprensione. Sarà l’effetto del viaggio del papa a Lampedusa, della sobrietà della ministra Kyenge, dei messaggi della presidente della Camera Boldrini, dell’umanità della sindaca Nicolini, ma l’atteggiamento è cambiato, nonostante le campagne razziste della Lega nord che sembra aver fatto della lotta ai migranti l’unica ragione della sua esistenza. Centinaia di uomini, donne e bambini raggiungono la nostra terra, ma molti altri annegano o sono buttati a mare perché la vita li ha abbandonati durante una traversata drammatica su un peschereccio dismesso e comprato per pochi soldi dai trafficanti che hanno già messo in conto di perderlo. Eppure per salire su quei rottami gli sventurati pagano migliaia di euro, sacrifici di una vita, di famiglie intere, oppure resteranno per tutta la vita ostaggio dei trafficanti. Nulla e nessuno li potrà fermare, né l’ottusità di Malta, né gli accordi per uno sbarramento con i paesi di provenienza o di passaggio, né il rimpatrio forzato. Però molto si può fare per dare un aiuto concreto, innanzitutto una politica di accoglienza che riguardi tutta l’Europa, a partire dall’Italia. Se i visti per l’Europa comprendono tutta l’area Schengen non si capisce perché la richiesta di asilo può essere fatta solo nel paese di riconoscimento. Molti migranti non vogliono restare in Italia, alcuni si sono bruciati i polpastrelli per evitare l’identificazione nel nostro paese. E poi l’Europa dovrebbe avere un ruolo di mediazione nei conflitti che dilaniano paesi molto vicini a noi come la Siria. La ministra Bonino sostiene, giustamente, che il conflitto siriano non può avere una soluzione militare, allora occorre un’iniziativa decisa per spingere verso un negoziato. Nel frattempo non possiamo permettere che chi fugge dalla guerra muoia in mare davanti alle nostre coste. E chi ha fatto della solidarietà il proprio stile di vita, come la popolazione di Lampedusa, meriterebbe il premio Nobel per la pace. Grecia: rivolta in Centro migranti; struttura data alle fiamme, polizia in azione in forze Ansa, 11 agosto 2013 Polizia in azione in forze stanotte in Grecia per far fronte a una rivolta di migranti scoppiata nel centro di raccolta di Amygdaleza, creato nel 2012 non lontano da Atene. La struttura, in cui sono detenuti sotto sorveglianza centinaia di migranti senza permesso provenienti per lo più dall’Asia e in attesa di rimpatrio, è stata data parzialmente alle fiamme dai rivoltosi. La polizia greca é stata accusata varie volte da attivisti dei diritti umani di comportamenti brutali sui migranti.