Giustizia: perché siamo indifferenti a chi viola regole e leggi di Giovanni Belardelli Corriere della Sera, 8 settembre 2012 Perché spesso siamo indifferenti verso chi non rispetta le regole? È come se nella patria del diritto (scritto) avesse preso corpo una singolare forma di common law, in virtù della quale molti decidono che una certa norma può essere ignorata. Del resto, non c’è forse un’idea del genere dietro comportamenti diffusi come l’elevata evasione fiscale o quella mancata osservanza dei vincoli edilizi che ha provocato la distruzione del paesaggio italiano? L’episodio dei lavori “gonfiati” dell’Aquila (Corriere, 6 settembre) fa sorgere interrogativi radicali su ciò che è o sta diventando il nostro Paese. Ecco i fatti: da una verifica della Guardia di finanza è risultato che nel capoluogo abruzzese alcuni proprietari di case si sarebbero accordati con un’impresa per dichiarare lavori non effettuati (il totale rifacimento del tetto invece della risistemazione solo parziale, reinstallazione di ponteggi in realtà mai avvenuta e così via) ottenendo in tal modo un maggiore rimborso da parte dello Stato. Ciò che fa dell’episodio qualcosa di diverso dal “solito” scandalo sui dopo terremoto è la dimensione della truffa: su 73 pratiche esaminate, quelle che conterrebbero dati intenzionalmente falsi sarebbero più di un terzo. Anche considerando il campione non rappresentativo dell’intera ricostruzione aquilana, sì tratta di una percentuale molto elevata, che induce a domandarsi se e quanto la propensione a non rispettare le leggi non faccia ormai parte della cultura di un settore consistente del Paese. Qualche anno fa un giurista, Sabino Cassese, notò che la distinzione tra lecito e illecito in Italia viene spesso sostituita “da più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato” (Lo Stato introvabile, Donzelli). Insomma, come se nella patria del diritto (scritto) avesse preso corpo una singolarissima forma di common law, in virtù della quale molti decidono che una certa norma o legge può tranquillamente essere ignorata. Del resto, non c’è forse un’idea del genere dietro comportamenti diffusissimi come l’elevata evasione fiscale o quel mancato rispetto dei vincoli edilizi che ha provocato la distruzione del paesaggio italiano denunciata, ancora di recente, da Ernesto Galli della Loggia su questo giornale? La truffa aquilana, quantitativamente limitata (almeno per il momento) nelle sue dimensioni, ci riporta così al vecchio tema della scarsa cultura civica degli italiani, sul quale circolano da tempo spiegazioni che sembrano fatte apposta per evitarci il fastidio di fare i conti con il problema. È inutile, ad esempio, evocare ancora una volta il “familismo amorale” utilizzato sessant’anni fa da Edward Banfield. Lo studioso americano si riferiva a un piccolo e poverissimo paese della Basilicata, dunque l’assenza di cultura civica che definiva con quell’espressione era il prodotto di un’arretratezza antichissima. E “familismo amorale” di oggi è semmai il prodotto (uno dei danni collaterali, potremmo dire) dei modi in cui è avvenuta, dagli armi 60 in poi, la grande trasformazione della società italiana legata all’arrivo del benessere: una trasformazione che ha travolto strutture culturali, valori, criteri di comportamento legati al passato senza riuscire spesso a sostituirli in modo efficace. L’Italia, s’è detto mille volte, avrebbe sofferto della mancanza di una Riforma protestante: è possibile, ma certamente ha subito negli ultimi decenni gli effetti di una accelerata secolarizzazione che ha contribuito a intaccare, in parti importanti della società, quella distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è che si fondava sulla tradizione cattolica (ed è difficile pensare che i corsi di legalità messi in piedi nelle scuole possano avere la stessa immediata forza impositiva dei dieci comandamenti). Poco utile è anche quella spiegazione del nostro deficit di cultura civica che in anni recenti ha chiamato in causa Berlusconi come principale responsabile. Non solo, infatti, stiamo parlando di fenomeni che precedono la discesa in campo del Cavaliere. C’è anche da dire che, una volta riconosciuto come la cultura profonda del Paese si caratterizzi per una diffusa tendenza a non rispettare le leggi o non pagare le tasse, appare assurdo sostenere - come più volte nella polemica antiberlusconiana è stato fatto - che tutto ciò avrebbe lasciato immune chi votava contro Berlusconi. Come spiritosamente dichiarò una volta un esponente del Pd, l’onorevole Letta, è ridicolo affermare che solo a sinistra stanno le persone oneste mentre è a destra che sarebbero schierati tutti quelli che “parcheggiano in doppia fila”. Tra le false spiegazioni della mancanza di cultura civica del Paese, la più inutile, anzi probabilmente dannosa, è quella veicolata dal Movimento 5 stelle e in generale dall’attuale ondata antipolitica. Non che non siano giustificatissime le critiche al nostro ceto politico e alla resistenza che esso mostra di fronte a qualunque pur minima riduzione dei privilegi di cui gode. Ma episodi come quelli dell’Aquila stanno a confermare che l’idea di una società come sana che si contrapporrebbe a un mondo politico tutto e sempre corrotto non risponde alla realtà. Quell’idea rischia invece di nascondere come a questo punto ci sia forse bisogno di un generale esame di coscienza, in un Paese che per troppo tempo ha consentito che norme e leggi potessero essere aggirate o infrante, a volte con l’approvazione, spesso nell’indifferenza di troppi di noi. Giustizia: Severino scrive al Dap; via poliziotti penitenziari dalle scorte non del Ministero www.giustizia.it, 8 settembre 2012 Nel più rigoroso rispetto della normativa in materia di scorte, il ministro della Giustizia Paola Severino ha ribadito ancora una volta che non spetta al personale di polizia penitenziaria il servizio di tutela nei confronti delle personalità istituzionali estranee al Ministero della Giustizia. Il Guardasigilli lo ha sottolineato in una lettera inviata al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino. La “necessità di recuperare al servizio” nelle carceri i poliziotti penitenziari - scrive il ministro - è una esigenza “da Lei più volte manifestata e reiteratamente sollecitata dalle organizzazioni sindacali”. D’ora innanzi, dunque, la tutela in carico alla polizia penitenziaria dovrà essere limitata “solo ai magistrati e alle personalità istituzionali che attualmente ricoprono incarichi presso il Ministero, con l’unica eccezione per gli ex Ministri della Giustizia che hanno titolo alla tutela da parte della Polizia Penitenziaria”. Giustizia: Osapp; scorte politici, 6 agenti a proteggere Alfano e 22 per l’ex pm Dambruoso Ansa, 8 settembre 2012 Come si giustifica la disposizione di supporto logistico Tutela e Sicurezza in Puglia al segretario del Pdl, Angelino Alfano, (6 agenti solo di quelli di polizia penitenziaria per il 6 settembre) rispetto alle carenze di organici della polizia penitenziaria nelle carceri pugliesi? Lo chiede il vicesegretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli, il quale in una nota cita anche la tutela fornita al magistrato Stefano Dambruoso, ex pm a Milano ed ex dirigente del ministero della giustizia, per il quale per 11 giorni di permanenza in Puglia in agosto, in vacanza, sono state utilizzate - afferma l’Osapp - 22 unità soltanto della polizia penitenziaria con un consistente budget di lavoro straordinario, di servizio notturno e spese di compensazione per riposi non goduti dei poliziotti e funzionari di polizia impegnati nella Tutela, oltre ai rifornimenti di carburante per la utilizzata autovettura. Alfano è stato in Puglia ieri - rileva Mastrulli - per partecipare a convegni organizzati e presentazioni di libri dal sud al nord della Puglia con tanti uomini e mezzi al seguito oltre a quelli delle restanti forze di polizia già presenti per l’occasione sul territorio tracciato. Le parole e le promesse del Ministro dell’Interno Cancellieri e le rassicurazioni del Ministro della Giustizia Severino offerte nelle precedenti segnalazioni ai Sindacati di polizia - afferma Mastrulli - non trovano concretezza e realtà”. Tutto ciò avviene, sebbene sia a rischio blocco l’inizio di processi - afferma Mastrulli - per la mancanza di rifornimento di carburante, come è già accaduto a Messina, città di residenza, sottolinea il dirigente Osapp, dello stesso ex ministro. Il sindacato Osapp - continua il vicesegretario - chiede ad Alfano un atto di coraggio politico, rinunciando alla scorta della penitenziaria a favore delle conosciute, preoccupanti, gravi carenze delle carceri. Giustizia: Sappe; dal Dap risposte evasive su sprechi dell’Amministrazione Penitenziaria Ansa, 8 settembre 2012 È quasi offensivo il comunicato di “presunte” giustificazioni diramato dall’ufficio stampa del Dap in risposta alle nostre richieste di chiarimenti sugli sprechi del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Appare pretestuoso e strumentale il tentativo di una inverosimile difesa, a prescindere, dell’attuale capo del Dap. Non corrisponde al vero, infatti, che il capo Dap Giovanni Tamburino avrebbe disposto l’interruzione del servizio di acquisto di quotidiani e periodici per “la necessità di un drastico contenimento della spesa pubblica” perché a noi risulta, invece, che il servizio sia stato stoppato a causa dall’esaurimento dei fondi disponibili sul capitolo di spesa del Centro Amministrativo Giuseppe Altavista di Roma (Centro che ha la sua ragione di esistere principalmente per pagare le “spesucce” dei dirigenti del Dap). Peraltro, gli acquisti brevi manu di quotidiani e periodici sono andati avanti fino a qualche giorno fa”. Lo dichiara il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, dott. Donato Capece, in relazione al comunicato stampa diffuso ieri dal Dap. “La prova di quanto sostenuto dal Sappe” prosegue “si evidenzia nel credito di 10.000 euro che l’Edicola presso la quale ci si è “riforniti” per anni, vanta ancora nei confronti dell’amministrazione penitenziaria. Non ci prenda in giro, quindi, l’ufficio stampa del dap (tanto solerte in queste improbabili difese d’ufficio quanto latitante quando si tratta di tutelare l’immagine e il prestigio della polizia penitenziaria) raccontandoci certe favolette sulle “prassi risalenti nel tempo e non disposte dall’attuale amministrazione” quando sappiamo tutti che l’attuale capo del Dap si è insediato da più di sei mesi e non può sottrarsi, per questo, dalle proprie responsabilità (anche in vigilando). Infondata risulta, parimenti, l’affermazione secondo la quale “le autovetture sono state dismesse da tempo” giacché sono ancora in dotazione al Dap ben 30 Land Rover, dal valore di 100.000 euro ciascuna e dai costi di gestione stratosferici ed un numero imprecisato di automobili ben oltre la cilindrata massima stabilita dalla spendig review. Ci dica, infine, il dott. Tamburino le ragioni per le quali avrebbe concesso auto blu e autista al cappellano della scuola di Roma a spese dell’amministrazione penitenziaria e, quindi, dei contribuenti. Per onestà intellettuale bisognerebbe riconoscere che nella attuale gestione del Dap sono ravvisabili gli stessi sprechi di risorse delle precedenti gestioni”. Giustizia: la nuova Scu rinata in carcere… a Taranto ci si parlava dalla finestra di Chiara Spagnolo La Repubblica, 8 settembre 2012 Le rivelazioni dell’ultimo pentito, che racconta di come proprio nel penitenziario la quarta mafia è riuscita a ristrutturarsi. “Ci sono due sezioni di alta sicurezza poste su due piani uno sopra l’altro per cui è possibile dialogare”. E una fessura nel muro che permette i contatti con i detenuti comuni. È stato il carcere di Taranto, negli anni tra il 2005 e il 2006, il teatro della riorganizzazione di una delle frange più importanti della nuova Scu salentina. E un boschetto di Melendugno, fino a pochi mesi fa, il luogo prescelto per le affiliazioni e i rialzi di grado di una costola della quarta mafia, che controllava le attività criminali di Lizzanello, Cavallino e altri paesi alle porte di Lecce. I segreti dei clan leccesi sono stati svelati da Alessandro Verardi, 34enne di Lizzanello “battezzato” quando aveva 16 anni e da allora organico alla Sacra Corona, che ha scelto la strada della collaborazione con la giustizia dopo aver intuito il tradimento da parte dei suoi uomini di fiducia. Nel carcere di Cosenza è stato ascoltato più volte dal procuratore aggiunto di Lecce Antonio De Donno e dagli uomini del Ros, raccontando opere e miracoli della mala salentina. I verbali dei suoi interrogatori sono stati depositati agli atti del processo che inizierà tra pochi giorni davanti al gup di Lecce. In quelle pagine il nuovo pentito ha spiegato che l’organizzazione criminale che si credeva debellata con le maxi-operazioni degli anni Novanta, è invece risorta come l’Araba fenice, nonostante i suoi componenti storici siano tutti in carcere. Proprio nei penitenziari la Sacra corona unita è riuscita a ristrutturarsi. A Taranto prima di tutto, “dove vi sono due sezioni di alta sicurezza poste su due piani uno sopra l’altro per cui è possibile dialogare dalle finestre”. O dove gli ordini vengono impartiti dai capi clan tramite una fessura nel muro divisorio che separa l’area destinata ai detenuti comuni e quelli dell’alta sicurezza. A Taranto, nel 2009 passò anche Totò Rizzo - uno dei capi storici della Scu - recluso in una cella a ridosso delle docce dove, racconta Verardi, tutti andavamo a prendere comandi e dove “Rizzo diede l’approvazione per l’attivazione di un nuovo locale”. Sempre a Taranto, negli anni tra il 2007 e il 2009, il gruppo facente capo ad Andrea Leo risultava talmente ben ricomposto da rendere possibili alcune elevazioni di grado: “da santa a trequartino e da santa a vangelo”, con tanto di rituale e patto d’onore. Nonostante fossero reclusi, insomma, i “fratelli di sangue” come solevano chiamarsi, misero in piedi una nuova struttura, divisero ruoli e territorio, risolvendo controversie e progettando attentati. Le attività principali del sodalizio rimasero le estorsioni e lo spaccio di droga, per la cui realizzazione sorsero contrasti con il gruppo di Mirko De Matteis e poi con quello di Roberto Nisi e Maurizio Briganti, che “tenevano sotto” l’intera città di Lecce. E se i contrasti in qualche caso furono risolti con violente liti in carcere, proprio dal carcere i capi storici della Scu ordinarono che in Salento non si doveva più sparare per uccidere. Perché la guerra degli anni Novanta doveva continuare ad essere un ricordo e l’attenzione dello Stato doveva restare bassa. “Il mio gruppo non ha mai commesso omicidi”, disse infatti Verardi in uno dei suoi 7 interrogatori resi tra aprile e agosto, consegnando nelle mani degli inquirenti anche un memoriale in cui ripercorre le attività messe in atto dal momento dell’evasione dal carcere di Taranto, a dicembre 2010, fino all’arresto nel settembre 2011. A sostegno della veridicità delle sue parole, e promettendo importanti rivelazioni anche su un traffico di droga dalla Spagna al Salento, il pentito ha fornito ai carabinieri anche le lettere di Andrea Leo, esponente di spicco del sodalizio e di altri affiliati, dalle quali emerge con chiarezza l’esistenza di un’organizzazione strutturata e potente, che ha disponibilità di armi e denaro (“quando fui arrestato - disse Verardi - lasciai nelle casse del gruppo almeno 300.000 euro”), di automobili e motociclette, persino delle attrezzature per rilevare l’esistenza delle microspie. Un’organizzazione che gode del patto stretto con i fratelli brindisini, dai quali i sodali ottengono appoggio durante la latitanza e aiuto nel traffico di droga, che ha contatti con i narcos colombiani e che compra droga a quintali dai fornitori spagnoli. “La cocaina era pura all’85% - raccontò il collaboratore - e la acquistammo a 800 euro al kg a Madrid”. L’acquisto avvenne mentre Verardi era latitante. Poi tornò in Italia e continuò a gestire lo spaccio e le estorsioni, con il placet del boss Rizzo. In particolare, nell’estate 2011, siglò un patto di non belligeranza con i Nisi-Briganti per imporre il pizzo ai gestori degli stabilimenti balneari “ed evitare un conflitto che poteva far allontanare i turisti e ridurre gli introiti”. Agli imprenditori della costa adriatica tra Melendugno e Otranto fu imposto il versamento del 25% degli utili settimanali e l’assunzione dei buttafuori della ditta del nipote del boss. Tutti pagarono, i “fratelli” della Nuova Scu diventarono più ricchi e ricominciarono a comprare droga. Poi, a settembre scorso, arrivò l’operazione Augusta con gli arresti che hanno decapitato il clan. Verardi, in carcere da qualche settimana, aspettava segnali che non arrivarono. Al contrario, leggendo le carte dell’inchiesta e tra le righe dei comportamenti verso i suoi familiari, capì di essere stato abbandonato. E decise che lo Stato avrebbe ottenuto il suo aiuto, in cambio dei benefici previsti. Sassari: il nuovo carcere è quasi pronto, apertura prevista nel 2013 di Michele Spanu www.sassarinotizie.com, 8 settembre 2012 In confronto a San Sebastiano sembra un hotel a 5 stelle. Il nuovo carcere di Bancali è quasi pronto ad accogliere i suoi “ospiti” che, una volta trasferiti, avranno a disposizione comfort mai visti: bagno con doccia, angolo cottura, asciugamano elettrico e persino l’allaccio per la televisione. I lavori nell’enorme cantiere alle porte di Sassari sono al termine e, come sempre avviene prima di un trasferimento, si pensa già agli arredi. In ognuna delle 400 celle ci andranno letti, armadi, tavolini e sedie. Mobili già arrivati a Sassari e che attendono solo il via libera per essere montati. A costruirli sono stati i detenuti di un carcere della Penisola grazie a un’idea intelligente con cui il ministero della Giustizia ha voluto risparmiare tempo e denaro garantendo allo stesso tempo un’occasione di lavoro per decine di operai-carcerati. Sebbene i lavori siano ancora in corso, come si capisce bene dal frastuono delle ruspe, è facile intuire che le condizioni di vita in questa struttura potranno essere adeguate per i detenuti. Certo, le grate, le telecamere e il filo spinato fanno capire che non si tratterà certamente di un luogo di villeggiatura. E la presenza di un braccio dedicato ai mafiosi sottoposti al regime di 41/bis dice fin da ora che da queste parti la disciplina e il rigore saranno le due parole d’ordine. Ma ciò che conta è che accanto a queste due parole ce ne sia un’altra: umanità. Termine finora difficile da declinare tra le mura decadenti di San Sebastiano, nonostante il grande impegno quotidiano degli agenti di custodia e degli educatori. Questa mattina una delegazione della Provincia di Sassari (presenti i membri di tre commissioni consiliari) ha effettuato un primo sopralluogo nella struttura per capire quali progetti potrebbero essere avviati dall’amministrazione provinciale a favore dei detenuti una volta effettuato il trasferimento. L’area è enorme: sono circa 15 ettari, più o meno la superficie di 10 campi da calcio con una colata di cemento che, si calcola, ha già superato i 100mila metri cubi. Numeri impressionanti per un cantiere da guinness costato per il momento circa 86 milioni di euro. Ma i numeri che contano di più sono quelli del calendario: l’obiettivo è arrivare entro il 31 dicembre alla conclusione dei lavori, in modo che i collaudi nei primi mesi del 2013 consentano l’apertura già dalla prossima primavera. A guidare la visita è stata l’ing. Mariella Mereu del provveditorato per le Opere Pubbliche che, nel suo compito di direttore dei lavori, ha spiegato ai consiglieri come è concepita la struttura. Il primo blocco ultimato, all’esterno del carcere, è quello degli alloggi che ospiterà il direttore e alcuni dipendenti. Per trovare l’ingresso del carcere vero e proprio occorre aggirare l’intera struttura ed entrare dalla parte opposta rispetto alla strada. Il primo corpo a essere visitato è il braccio femminile: celle e stanze (c’è anche una palestra) dove potranno trovare spazio circa 20 detenute. Quella del carcere femminile è una delle situazioni più difficili da gestire, come dimostra purtroppo il caso di San Sebastiano dove non mancano situazioni gravi soprattutto per le ripercussioni sui figli delle detenute. Qui a Bancali si cercherà di risolvere o almeno attenuare il disagio con un nido e celle particolari per le mamme. Nel palazzo destinato ai detenuti ordinari, non ci sono soltanto celle ma anche stanze e luoghi comuni per le varie attività ricreative. La sezione maschile è divisa in due bracci: il primo con 131 celle e il secondo con 124: complessivamente c’è spazio potenziale per oltre 500 detenuti, due per ogni cella. Occorre aggiungere la sezione dedicata ai protetti (62 celle) e ai detenuti sottoposti al regime di carcere duro, più conosciuto come 41/bis (circa 90 celle singole). Dietro si estendono gli spazi per l’aria e il campo da calcetto. Tra il reparto per gli ordinari e quello per i mafiosi c’è una palazzina bassa con un piccolo portico: è il teatro per i detenuti. Infine, un particolare di non poco conto. È stata creata una rotonda (in realtà si tratta di una sala ottagonale) dove convergono alcuni bracci del penitenziario. È una sala ampia, perfetta per ospitare il candeliere di San Sebastiano: perché Bancali è pur sempre Sassari. La manifestazione molto attesa dai detenuti, poco prima della Faradda, quest’anno non si è svolta propria a causa dell’alta pericolosità della rotonda centrale del vecchio carcere. Infine, spazio (e tanto) al lavoro. In un blocco separato, ci sono oltre 3mila metri quadrati di laboratori: è il segno che il reinserimento sociale può davvero passare dalla teoria alla pratica. Al termine della visita i commenti sono tutti di segno positivo. Alba Canu (Pd), vicepresidente del consiglio provinciale, ha spiegato che la Provincia potrà fare molto. “Puntiamo a lavorare soprattutto per quanto riguarda la formazione e l’avviamento al lavoro”. Mariano Mameli (Pdl), portavoce dell’opposizione, da parte sua ha sottolineato che l’amministrazione provinciale potrebbe fare ancora tanto, ad esempio sul settore della viabilità, magari allargando la strettissima strada provinciale che conduce al penitenziario. Occorre infatti dotare quest’area di servizi. La presenza di un impianto per biomasse a poca distanza del penitenziario non è un buon segno. E tutti i commissari si sono ritrovati d’accordo su un punto: il carcere potrà creare nuove infrastrutture Bancali, trasformando questo angolo dell’agro in un luogo strategico per la città. A patto che la città lo voglia, incrementando i servizi pubblici, i bar, i collegamenti. Aumentando il numero dei posti letto per i familiari che arriveranno da tutta Italia. Sarà una sfida per la città, ed è meglio che gli enti pubblici, a partire dal Comune, inizino a capirlo già da ora. Taranto: l’interrogazione di Rita Bernardini sul carcere riceve il plauso del Sappe Corriere del Giorno, 8 settembre 2012 L’interessamento della deputata Radicale ha ricevuto il plauso del Sappe, sindacato degli agenti di polizia penitenziaria. “I Radicali sono gli unici politici in Italia che si spendono in maniera seria e qualificata sulle vicende che interessano il pianeta carcere”, spiega il segretario nazionale del Sappe Federico Pilagatti. Il carcere di Taranto ha in carico attualmente 595 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 200 posti (315 riporta il sito internet del Ministero della giustizia come ricettività legale) e con la ripresa dell’attività giudiziaria, dopo la pausa estiva, l’istituto tornerà alla media dei 700: sono i dati riportati in un’interrogazione della deputata radicale Rita Bernardini al ministro alla Giustizia, Paola Severino. L’iniziativa parlamentare fa seguito ad un sopralluogo tenuto due settimane fa insieme a Maurizio Bolognetti e Maria Antonietta Ciminelli. Bernardini chiede al ministro di “riportare la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali”. Altri problemi segnalati sono carenze infrastrutturali, la carenza di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici dell’intero complesso della casa circondariale di Taranto, un insufficiente budget destinato alle attività trattamentali e la mancanza di fondi per ripianare il debito con Acquedotto Pugliese. Viene chiesto anche un intervento per ripristinare l’organico del corpo degli agenti di Polizia penitenziaria, per rimettere in funzione il parco macchine e furgoni del Nucleo traduzioni e per ristrutturare il piano oggi transennato e chiuso degli alloggi della caserma agenti. Nel testo dell’interrogazione anche la richiesta di abolire l’accompagnamento dei detenuti alle loro abitazioni quandoaccedono al beneficio della detenzione domiciliare, perché ritenuto “inutile e dispendioso”. Di positivo Bernardini riscontra le “buone pratiche” della magistratura di sorveglianza tarantina. Ultima richiesta al ministro è di “assicurare effettivamente l’assistenza legale ai detenuti, soprattutto stranieri, sprovvisti di avvocati di fiducia” avendo riscontrato dei difficili casi umani. È questo il caso di una ragazza rumena di 22 anni, orfana di madre, arrivata in Italia prima di Pasqua con il suo ragazzo che l’ha coinvolta in una rapina a Bari. Non era mai stata prima in carcere, non conosce nessuno in Italia né sa nulla - riferisce Bernardini nell’interrogazione - della sua posizione processuale “perché ha visto il suo avvocato d’ufficio una sola volta”. L’interessamento della deputata Radicale ha ricevuto il plauso del Sappe, sindacato degli agenti di polizia penitenziaria. “I Radicali sono gli unici politici in Italia che si spendono in maniera seria e qualificata sulle vicende che interessano il pianeta carcere”, spiega il segretario nazionale del Sappe Federico Pilagatti. “Senza i radicali il problema delle carceri sarebbe completamente dimenticato dai tanti buoni politici che a Ferragosto, bontà loro, si degnano mettere piede in un penitenziario per recitare il solito rosario di buoni intenti, salvo poi dimenticarsene appena spenti i riflettori dei mass-media”. “Invece di prendere provvedimenti seri e concreti - prosegue il segretario - l’amministrazione penitenziaria dimenticando il grave stato di fatiscenza della struttura,(entra acqua nelle stanze ed il freddo pungente o il caldo afoso sono un a costante) ha in corso il progetto di costruzione di una nuova sezione detentiva di circa 200 posti per un ammontare di 12,8 milioni di euro circa”. Ormai il carcere di Taranto con le 650 presenze che a breve supereranno le 700 (per 315 posti regolamentari), è allo stremo “e si ritiene che se dalle parole non si passi ai fatti, prossimamente potremmo assistere a situazione molto pericolose, nonostante l’impegno, la professionalità e la serietà dimostrata dal gruppo dirigente e dal lavoratori della polizia penitenziaria”. Per questi motivi il Sappe si augura che il Ministro della Giustizia Severino a seguito delle segnalazioni dell’onorevole Bernardini “ponga un occhio di riguardo per il carcere di Taranto e di tutti i penitenziari pugliesi, (i più affollati d’Italia) ponendo in essere delle misure atte a sfollare il carcere nonché a rimpinguare l’asfittico organico di poliziotti penitenziari che allo stato lamenta una carenza di circa 70 unità, senza dimenticare il grave fenomeno del fumo passivo emanato delle sigarette dei detenuti che avvelena sia gli stessi detenuti non fumatori che i lavoratori della polizia penitenziaria nonché gli altri operatori”. Sciacca (Ag): Iacolino (Pdl); con un intervento straordinario tutti i problemi verrebbero superati La Sicilia, 8 settembre 2012 “La struttura carceraria saccense ha urgente bisogno di un intervento manutentivo straordinario”. Lo ha detto l’europarlamentare e vice presidente della Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento Europeo, Salvatore Iacolino. L’europarlamentare è impegnato in un giro di ricognizione sullo stato delle strutte carcerarie siciliane. Il tour serve per “comprendere meglio criticità, condizioni generali delle strutture detentive e per tenere alta l’attenzione rispetto alle problematiche del sistema penitenziario in relazione alle esigenze dei detenuti e del personale di sorveglianza e amministrativo”. E ieri mattina, Iacolino ha visitato la Casa Circondariale di Sciacca. “Vengono - ha detto - segnalati problemi di sovraffollamento dovuti a carenze strutturali che rendono difficile la vivibilità all’interno dell’istituto penitenziario che esigerebbe, invece, standard di sicurezza e di igiene adeguati”. L’eurodeputato ha rimarcato che è “dovere del detenuto scontare la pena, ma è un suo diritto scontarla in condizioni umane dignitose”. Per Iacolino, la struttura carceraria saccense è “un presidio di giustizia da tutelare, che risente della caratteristica di edificio monumentale, e che per tale motivo ha bisogno di un intervento straordinario di manutenzione”. A proposito di somme da stanziare, l’eurodeputato incontrerà il Capo del Dap, Tamburino, “per sollecitare un immediato intervento finanziaria beneficio della struttura carceraria saccense”. Nel carcere di Sciacca ci sono 88 detenuti, attualmente. “Un terzo è in attesa di giudizio, mentre due terzi si trovano detenuti per reati attinenti lo spaccio della droga”. Iacolino ha poi sottolineato “come la Sicilia sia l’unica Regione in cui il servizio sanitario delle carcere è a carico dell’Amministrazione penitenziaria. Una colpa che imputa alla giunta di Lombardo che non ha saputo adeguare la normativa e renderla simile a quella del resto d’Italia”. Salvato il Tribunale dalla soppressione, adesso si punta alla salvaguardia del carcere saccense. Carcere che altalena a seconda del Governo nazionale. Con Berlusconi, il Piano Carceri prevedeva un finanziamento per la realizzazione della nuova struttura. Sembrava cosa fatta. Con l’attuale Governo, invece, ogni speranza è persa perché non vi sono orizzonti rosei per le nuove strutture penitenziarie. Il carcere di Sciacca risente moltissimo della caratteristica monumentale del sito. Sciacca (Ag): Bernardini (Pd); carcere inadeguato, tra carenza idrica e bagni senza tetto La Sicilia, 8 settembre 2012 Non si parla più della costruzione di un nuovo carcere dopo che il governo Monti ha drasticamente ridimensionato il “piano carceri” voluto dal Pdl e, anzi, emerge sempre più, nonostante il salvataggio in extremis del tribunale, il problema di una struttura inadeguata e parecchio precaria. Da ieri è sulla scrivania del Ministro della Giustizia Paola Severino l’interrogazione del deputato radicale Rita Bernardini, che la casa circondariale saccense l’ha visitata nell’ambito di un’ispezione effettuata in diverse strutture italiane dove da anni si registrano disagi. La Bernardini nell’interrogazione chiede al Ministro della giustizia cosa intenda fare per rimuovere le illegalità strutturali del carcere di Sciacca, tenuto presente che alcune criticità rischiano di mettere in pericolo la salute e la vita del personale e dei detenuti; se intenda immediatamente provvedere a stanziare fondi per il regolare approvvigionamento idrico, incrementare il budget; intervenire per ripristinare l’organico; per assicurare effettivamente l’assistenza legale ai detenuti e se intende rivedere la politica degli “sfollamenti” che allontanano i detenuti dal loro ambiente familiare in aperta violazione a quanto previsto dall’ordinamento penitenziario. Il carcere saccense è ospitato ormai da quasi un secolo nei locale del complesso monumentale che ospitava il convento dei Carmelitani e un recupero dello storico immobile per fini museali avrebbe anche importanti ricadute sul turismo culturale. Nella relazione della Bernardini si legge che le stanze detentive sono da tempo inagibili e che non risulta corretto, pertanto, il dato presente nella statistica pubblicata sul sito del ministero della giustizia che attribuisce alla casa circondariale di Sciacca una capienza regolamentare di 92 posti. Nell’istituto secondo quanto rilevato dal deputato radicale, si registra una grave carenza di agenti di polizia penitenziaria. L’inadeguatezza strutturale è uno degli aspetti problematici. All’interno della struttura, non è presente un’area verde attrezzata per il colloquio dei detenuti con i familiari minorenni. L’area esterna (il cosiddetto passeggio) dove i detenuti trascorrono le ore d’aria è un cortile privo di copertura. La delegazione radicale ha anche dialogato con i detenuti, che hanno lamentato le condizioni in cui sono costretti a vivere. Tra le altre cose si evidenzia che la sala colloqui, in cui è ancora presente il muretto divisore con il vetro, è molto piccola. Il rapporto fra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria è comunque molto buono, ma non basta per dire che la vivibilità è ottima. Molti detenuti lamentano soprattutto la carenza idrica e il fatto che i bagni sono privi di tetto. In cella non c’è inoltre l’acqua calda e la doccia si fa tre volte alla settimana. Benevento: carcere di Capodimonte, incontro tra Schipani e la direttrice Palma www.ntr24.tv, 8 settembre 2012 A seguito di alcune richieste di concittadini detenuti negli istituti penitenziari fuori Benevento che sono giunte presso l’associazione "Io X Benevento", questa mattina, il presidente del sodalizio, Giuseppe Schipani, ha incontrato la direttrice della Casa Circondariale di Benevento, Maria Luisa Palma. I detenuti hanno chiesto al presidente dell’associazione di intervenire in relazione a due problemi molto rilevanti quali il sovraffollamento delle carceri e il reddito basso dei loro familiari. Nel dialogo con Schipani, infatti, alcuni hanno denunciato che sono costretti a scontare la loro pena in una cella con altre otto persone; altri hanno segnalato i notevoli disagi che subiscono i loro familiari, spesso con reddito zero o molto basso, per andarli a trovare fuori regione (Puglia, Sardegna, Sicilia, etc.). Schipani ha chiesto delle informazioni alla Direttrice per cercare di capire in che modo poterli aiutare. Il presidente ha avuto modo, altresì, di prendere atto di un ambiente igienicamente molto pulito, con un personale penitenziario professionale e umanamente molto cortese e premuroso. La Direttrice Palma - si legge nella nota - si è mostrata gentile e disponibile ad affrontare le questioni poste da Schipani ed ha fornito delle delucidazioni precise: premesso che i trasferimenti sono di competenza del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), quindi vengono stabiliti dal Ministero della Giustizia, e in alcuni casi dal Provveditorato Regionale, la Casa Circondariale di Benevento è un Istituto definito A.S., ovvero di Alta Sicurezza, che non può ospitare detenuti che devono scontare pene per reati comuni. Il carcere - prosegue il comunicato - dispone di una piccola sezione che ospita detenuti in attesa di giudizio e che successivamente vengono trasferiti su disposizioni del Dap. L’associazione, dunque, si farà carico di sensibilizzare gli organi competenti e, attraverso una adeguata ed esaustiva documentazione che accerti le reali condizioni di disagio economico familiare, chiedere l’eventuale trasferimento dei propri concittadini in un carcere della Campania deputato ad ospitare detenuti che devono scontare pene per reati comuni. Bologna: alla Dozza corsi di silenzio e meditazione, e c’è chi studia da apicoltore Dire, 8 settembre 2012 Ci sono anche corsi di meditazione e silenzio dentro al carcere di Bologna: i detenuti si siedono in cerchio e riflettono insieme su letture di Platone e Seneca. È una delle attività ricreative che il servizio di educatori organizza all’interno della casa circondariale. Ma ce ne sono anche tante altre: si leggono libri (nel 2011 dietro le sbarre ne sono arrivati 1.155 grazie alla convenzione con Sala Borsa), si fa sport, si studia, si impara un mestiere (tra cui anche l’acconciatore o l’apicoltore), si guardano film, si prega e si recita. E quest’anno, in giugno, per otto detenuti in permesso premio è stato anche organizzato un “cammino” fino ad Assisi. Il tasto dolente di un’attività ricca e diversificata è però il fatto che gli educatori sono sempre pochi, il personale amministrativo ancora di più (sono in quattro di cui due gravemente malati) e mancano le risorse. Il che limita tantissimo la possibilità di far lavorare i detenuti, che è poi la loro richiesta principale. Un bilancio è contenuto nel dossier “Progetto d’istituto 2012”, messo a punto quest’estate e pubblicato online sulla pagina web al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. Le attività cosidette “trattamentali”, in quest’ultimo anno, sono state garantite dagli otto educatori (che diventano nove se si conta il responsabile dell’area, Massimo Ziccone), da due esperti) uno psicologo e un criminologo (che aiutano gli educatori con un’attività di osservazione dei detenuti per 50 ore al mese) e dal grande contributo del volontariato. Tutte le attività verranno portate avanti anche “per il prosieguo del 2012”, è l’impegno di Ziccone, che firma il progetto insieme alla direttrice della Dozza, Ione Toccafondi. Dalla relazione emerge che continua a essere sempre basso il numero dei detenuti che lavorano e, anzi, alla luce delle poche risorse, sarà necessario abbassarlo ancora. Se le risorse disponibili per il 2011 hanno reso possibile il lavoro di 128 detenuti (è appena il 10%, e quasi tutti hanno lavorato part time, per un monte ore totale che equivale in tutto a 73 posti a tempo pieno), nel 2012 i fondi si sono ulteriormente abbassati, per cui è stato necessario ridurre i lavoranti per evitare problemi di mancata retribuzione (e dunque di sicurezza). Che lavoro fanno i (pochi) detenuti della Dozza che lavorano a rotazione? Cessata l’attività di tipografia (per mancanza di commesse), c’è il laboratorio di recupero rifiuti (in cui lavorano in quattro) e la sartoria (altre quattro). Una decina di detenuti sono impegnati nel settore della meccanica. Poi ci sono i lavori domestici, ovvero le pulizie, che occupano diversi detenuti a turno. Da quest’anno, poi, ci sono anche due nuove occupazioni: le pulizie dei locali sanitari (si alternano in 11) e la raccolta differenziata cella per cella (lo fanno tutti i giorni in cinque per turno). Ma alla Dozza si studia anche. Italiano per chi non lo sa (13 i corsi di alfabetizzazione, frequentati nell’ultimo anno da 189 detenuti che hanno ottenuto il certificato) e scolastici per tutti gli altri. Ci sono sette corsi di scuola media inferiore e tre classi di ragioneria per quanto riguarda l’istruzione superiore. Ma alla Dozza ci sono anche 12 detenuti che portano avanti gli studi universitari grazie ad una convenzione con l’Alma Mater (rinnovata dal dicembre 2009 e fino al 2012) che dà loro la possibilità di accedere gratuitamente ai corsi universitari. C’è poi chi, all’interno delle mura del carcere, studia per imparare un lavoro: i corsi professionali, nel 2011, sono stati 10, tutti finanziati dalla Provincia di Bologna. Si va dal muratore all’addetto delle pulizie, dall’acconciatore all’addetto alla produzione di pasti, dall’apicoltore (nel 2010 è stato allestito un apiario negli spazi verdi del carcere grazie al progetto proposto da Conapi, Consorzio nazionale apicoltori, che ha donato alla Dozza 20 arnie) al giardiniere, dalla contabilità alla meccanica fino alla pulizia dei muri (formalmente il corso si chiama “Rimozione del vandalismo grafico” e alle lezioni hanno preso parte anche docenti della Direzione dei beni culturali dell’Emilia-Romagna). Ma le sorprese più interessanti, andando a vedere cosa fanno il volontariato e gli educatori fanno alla Dozza, si hanno leggendo delle tante attività culturali, ricreative e sportive che nell’ultimo anno sono state proposte ai detenuti della Dozza. Sì perché oltre a laboratori di teatro e musica (quest’anno una trentina di detenuti ha partecipato al progetto “Papageno” che ha visto nascere un coro alla Dozza in collaborazione con l’Orchestra Mozart), di giornalismo e videoforum, ci sono anche corsi di meditazione. E di silenzio. A gestirli (con i detenuti seduti in cerchio per terra) è Pier Cesare Bori, docente dell’Università di Bologna (che tiene anche corsi di lingua araba ai detenuti), insieme ai volontari dell’associazione “Una via”. Sono corsi di etica o filosofia morale, pensati appositamente per essere frequentati anche da detenuti stranieri. I testi che vengono proposti per aprire le riflessioni vanno da Seneca a Platone (il Simposio e la Caverna), Mencio, testi buddisti (Bhagavadgita) e anche alcuni testi islamici. Bori (le sue parole sono riportate nel Progetto d’istituto) la vede così: “In carcere ci sono molte attività di volontariato, tante persone che si adoperano, ma mi pare che nessuno affronti un lavoro di formazione etica così esplicito e diretto senza ricorrere nell’evangelizzazione, che come potete immaginare, nel mondo mussulmano susciterebbe estrema ostilità”. Invece, “leggendo Platone o facendo silenzio insieme, stiamo riempiendo un vuoto importante, stiamo rispondendo a una necessità spirituale profonda”. Un’altra attività degna di nota, a cui hanno partecipato otto detenuti della Dozza in permesso premio (e per alcuni era il primo dopo tre anni di carcere), è stata la gita di meditazione fatta in giugno ad Assisi: un ‘camminò di riflessione in quattro tappe (a piedi), in cui sono stati guidati da frate Franco, cappellano della Dozza. Un’esperienza pilota, che ha visto gli otto detenuti (tra loro c’erano anche magrebini di fede islamica) camminare insieme per quattro-sei ore al giorno, col brutto e cattivo tempo, dormito nei sacchi a pelo e condiviso il pranzo (panini ma anche cous cous cucinati da loro stessi). Quest’ultima attività (di cui frate Franco è rimasto entusiasta definendola “una vera e propria esperienza di fraternità”) rientra nell’insieme delle attività religiose offerte ai detenuti, tra cui c’è anche la “Giornata del dialogo cristiano islamico”, a cui il 27 e 28 ottobre 2011 hanno partecipato quasi 150 detenuti di diversi culti religiosi (non solo cattolici ed islamici). Ma non si dimentica la famiglia: per iniziativa dei volontari di Avoc e dell’associazione “Il Poggeschi”, due volte l’anno (in maggio e novembre), si è svolta la “Festa delle famiglie”: in quel giorno, i detenuti possono stare con i familiari in giardino, o nei locali comuni. Un momento diverso, insomma, dai colloqui di routine. Ivrea (To): Re-start, progetti per i detenuti anche dopo il carcere La Sentinella, 8 settembre 2012 Reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. Percorsi che consentano, una volta terminato di scontare la pena, di riprendere una vita normale e di non dover rientrare più nel circuito del violare la legge e, di conseguenza, subire una punizione. Lo prevede la Costituzione e, nonostante le risorse sempre più risicate, l’impegno in questa direzione, alla Casa circondariale, non manca. Ed è così che domani saranno presentati i risultati del progetto Re-start. Progetto promosso, appunto, dal Comune con il sostegno della Compagnia di San Paolo per realizzare, appunto, diverse azioni connesse tra loro che mirano a facilitare il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti attraverso il loro coinvolgimento nel periodo della detenzione in attività tese a migliorare le competenze professionali. Ma non è tutto. Nel difficile percorso che il detenuto è chiamato ad affrontare un ruolo importante ce l’hanno le relazioni affettive. Relazioni che, spesso, sono difficili per tante ragioni, a cominciare dal fatto che c’è di mezzo la privazione della libertà personale, passando attraverso conflitti che queste situazioni inevitabilmente finiscono per generare. Coltivare i legami familiari, garantirne le continuità per trarne forza dentro un percorso di impegno personale è importante e coinvolte anche i servizi territoriali che hanno in carico i nuclei familiari dei detenuti e che seguono un progetto di facilitazione e sostegno alla genitorialità. Ed è per questo che oggi sarà inaugurato, in carcere, uno spazio verde all’aperto, che sarà riservato ai colloqui dei detenuti con i propri familiari. E sarà anche il primo momento pubblico del nuovo direttore, Assuntina di Rienzo. “L’obiettivo - spiegano dalla Casa circondariale - è quello di consentire che l’incontro genitore-figlio possa svolgersi in un contesto meno freddo rispetto alla stanza per i colloqui del carcere. Sicuramente crediamo che uno spazio all’aperto, attrezzata con alcuni giochi come scivolo e altalena, possa contribuire a rendere l’incontro settimanale padre-figlio un momento familiare”. La giornata avrà un prosieguo nel pomeriggio, al centro congressi La Serra, dove l’assessore alle Politiche sociali Paolo Dallan illustrerà nei dettagli tutto quanto avvenuto nell’ambito del progetto Re-start. Modera Giovanni Torrente. Le altre aree di intervento sono state legate all’attivazione di percorsi formativi e informativi e di accompagnamento al lavoro per fornire ai detenuti nuovi e differenti strumenti per un rientro in società. Dopo il rinfresco, all’Abcinema, proiezione a ingresso libero del film Cesare deve morire, di Paolo e Vittorio Taviani Vasto (Ch): detenuto tenta di suicidarsi in ospedale, la polizia lo ferma in tempo www.vasto24.it, 8 settembre 2012 Non tollerava il pensiero degli anni di prigionia che aveva ancora da scontare: un detenuto di Torre Sinello ricoverato al San Pio da Petralcina prova a farla finita ingollando pasticche. Non ce la faceva più a essere ingabbiato in una stanza spoglia e immersa nella penombra, col martellante pensiero degli anni che ancora aveva da trascorrervi. Così un detenuto della casa circondariale San Pio da Petralcina decide di stroncarsi la vita con una massiccia dose di medicinali. Tutto s’è svolto nella giornata di ieri, dopo che l’uomo, accusando un malore, è stato ricoverato nel nosocomio vastese. Qui, con degli agenti penitenziari a montare la guardia, non ha resistito: sopraffatto dall’angoscia, ha approfittato di un momento di distrazione per agguantare un flacone di pillole con l’intenzione di spegnersi definitivamente. Le ragioni del gesto estremo affondano nelle paure di un’interminabile pena di cui deve scontare ancora molti anni prima di riassaporare la libertà. Oppresso dalla certezza della lunga reclusione che lo aspettava, dopo gli anni già affrontati, e temendo di soccombere a solitudine e dolore, ha pensato di beffarsi lui della prigionia. Questo trovando l’unico modo possibile per “tornare libero”: il suicidio. Eppure lo stesso direttore del carcere, Carlo Brunetti, instilla il dubbio che possa essersi trattato di un autentico gesto disperato. L’uomo avrebbe disseminato indizi su ciò che si accingeva a compiere: indizi sapientemente colti e decifrati dagli agenti che gli hanno prestato i primi soccorsi prima che fosse troppo tardi. Quello del detenuto - di cui non sono state divulgate le generalità per preservarne la privacy - potrebbe, insomma, essere stato solo il tentativo di simulare il terribile atto richiamando l’attenzione di chi di dovere per attenuargli la pena. Cosenza: Sappe; due agenti aggrediti da un detenuto del carcere di Rossano Ansa, 8 settembre 2012 Due assistenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Rossano sono stati aggrediti da un detenuto. Gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria hanno dovuto fare ricorso alle cure mediche e la prognosi è per entrambi di sette giorni. Sull’episodio intervengono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. “Ci riferiscono - affermano - che a Rossano le condizioni di sicurezza in cui opera il personale sono ormai ridotte al di sotto del minimo consentito, sia a causa delle carenze di risorse, sia per una organizzazione probabilmente carente. È da tanto tempo - si legge in una nota - che sollecitiamo un’ispezione ministeriale e un cambio dei vertici dell’istituto rossanese, considerato che gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria non si sentono più tutelati nel loro quotidiano servizio”. Televisione: “Fratelli e sorelle”, documentario sulle carceri italiane, vince il Premio Ilaria Alpi Italpress, 8 settembre 2012 Il Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi 2012 per il Miglior reportage italiano lungo è stato assegnato a Riccione a “Fratelli e Sorelle” di Barbara Cupisti, una produzione Rai Cinema, Clippermedia e Rai Teche. Il documentario, trasmesso su Rai Tre nel maggio scorso con ottimi risultati di ascolto, si inserisce nella linea editoriale sul cinema della realtà diretta dal presidente di Rai Cinema Franco Scaglia. “Fratelli e sorelle” realizzato da Barbara Cupisti, già vincitrice di un David di Donatello per il documentario “Madri” - afferma Franco Scaglia - rientra nella nostra linea di produzione che affronta temi sociali legati all’attualità. La stretta collaborazione tra la filiera produttiva cinematografica e le reti televisive rafforza l’impegno del servizio pubblico nel restituire uno sguardo profondo sui punti di crisi del nostro Paese”. “La regista - afferma Paolo Del Brocco, amministratore delegato Rai Cinema - affronta il delicato tema delle carceri italiane attraverso le testimonianze di chi vive dietro le sbarre, detenuti, agenti della polizia o funzionari dell’amministrazione penitenziaria, restituendoci un ritratto reale e intenso dell’umanità carceraria. Siamo particolarmente orgogliosi di questo premio intitolato ad una giornalista che per tutti noi della Rai rappresenta un esempio professionale straordinario”. Stati Uniti: il record mondiale dei detenuti, 1 adulto su 100 è in carcere di Elisa Serafini L’Opinione, 8 settembre 2012 Stati Uniti, terra di libertà, o forse no? Dai dati pubblicati dalla Fondazione Pew Center e dal Governo Americano, emerge infatti un quadro preoccupante. Il Paese “a stelle strisce” vanta infatti un triste primato: quello del maggior numero di detenuti al mondo. I dati parlano forte e chiaro: sul nostro pianeta vivono 6.8 miliardi di persone, di questi, 9.8 milioni si trovano in stato di detenzione (viene considerato anche chi è in attesa di giudizio) e sebbene sul suolo americano risieda solo il 4,5% della popolazione mondiale, si trovano, dietro le sbarre, il 23% di tutti I prigionieri del mondo. Questo significa che il Paese “a stelle e strisce” detiene il tasso di incarcerazione pro capite più alto al mondo: 715 persone ogni 100mila abitanti, 7 volte quello di Italia e Francia (tra i 95 e 100 detenuti ogni 100mila abitanti), 10 volte quello di Svizzera, Grecia o Danimarca (70 persone ogni 100mila abitanti). I numeri diventano ancora più allarmanti se consideriamo esclusivamente la popolazione adulta: con questo calcolo emerge che negli Usa, quasi una persona su 100 si trova dietro le sbarre. Di questi, circa il 20% si trova in prigione a causa di crimini legati all’uso o allo spaccio di sostanze stupefacenti. Decine di esperti, professori, avvocati e politici si sono interrogati riguarda l’attuale preoccupante situazione. Le soluzioni proposte sono diverse: alcuni Repubblicani di stampo libertario, capitanati da Ron Paul, propongono di depenalizzare i crimini legati alle droghe leggere e regolarizzarne il commercio. Altri, tra cui molti Democratici, propongono invece di sfruttare maggiormente altre forme di detenzione “leggera”: l’equivalente dei nostri arresti domiciliari o della libertà vigilata. Il problema che emerge, non è infatti solo quello del sovraffollamento e del costo umano, ma anche quello dei costi materiali. Ogni anno, gli Stati Uniti spendono oltre 44 miliardi di dollari in spese per mantenere il sistema carcerario. Il doppio di quanto spende uno Stato come quello dell’Arizona, per mantenere 40 università, poco meno di quanto spenda il governo nazionale per tutto ciò che riguarda l’ambiente (parchi, aree naturali, fiumi ecc...). Insomma, si tratta di una cifra veramente importante. E oltre a considerare i costi umani, sociali e materiali, viene naturale chiedersi se sia accettabile che un Paese come gli Stati Uniti imprigioni più persone che paesi molto più grandi e autoritari come la Cina (1.5 milioni) e la Russia (800mila). Gli Stati Uniti sembrano avere bisogno di un’enorme e urgente riforma. Tra pochi mesi vedremo chi, tra i due sfidanti alla presidenza, saprà portare questo problema sotto i riflettori, e, magari, anche nelle aule del Congresso di un paese che, ricordiamo, fu fondato sui principi di “libertà individuale e dei popoli”. Stati Uniti: il lavoro nelle carceri con manodopera sottopagata affossa i piccoli business www.america24.com, 8 settembre 2012 La manodopera economica nelle carceri affossa i piccoli business. La corporation statale Federal Prison Industries, che produce abbigliamento militare ma svolge anche attività di call center, può contare su 13.000 dipendenti in 83 prigioni americane, pagati da 23 centesimi a 1,15 dollari l’ora. È anche grazie al basso costo del lavoro che, l’anno scorso, l’azienda ha registrato un fatturato da oltre 900 milioni di dollari. La conseguenza, come spiega Business Insider, è una crisi a catena delle altre società che operano negli stessi settori, che non possono competere con i prezzi della Federal Prison Industries. Tennier Industries, un’altra società che produce abbigliamento militare, ha licenziato oltre 100 dipendenti dopo avere perso un ordine da 45 milioni di dollari, che il dipartimento della Difesa ha preferito affidare alla Federal Prison Industries. E le aziende che si sono trovate in una situazione simile sono diverse, da American Apparel, società dell’Alabama specializzata in abbigliamento militare, a Power Source. “Un programma federale sta distruggendo la nostra industria”, ha avvertito Kirt Courtney, direttore delle relazioni governative di American Apparel e Footwear Association, “adesso per trovare lavoro bisogna andare in prigione”. Siria: il Comitato internazionale della Croce Rossa vuole accesso a tutti detenuti Ansa, 8 settembre 2012 Il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) Peter Maurer ha chiesto al presidente siriano Bashar al-Assad l’accesso dell’organizzazione umanitaria a tutte le persone detenute in relazione all’attuale crisi, nelle prigioni, ma anche nei locali gestiti dai servizi di sicurezza e in quelli usati per gli interrogatori, ottenendo l’impegno del presidente Assad ad “esaminare la questione”. Lo ha detto Maurer in una conferenza stampa oggi a Ginevra. Reduce da una visita di tre giorni in Siria, il presidente del Cicr ha sottolineato che un accordo è già stato raggiunto in passato tra l’organizzazione umanitaria e la Siria per l’accesso alle prigioni centrali: “quel che ho chiesto è di accelerare il programma sulla vita nelle prigioni e di estenderlo agli altri luoghi di detenzione. Il presidente Assad - ha riferito - non ha detto né sì né no su questo punto. Ma si è impegnato a “proseguire le discussioni”. Dallo scoppio delle rivolte contro il regime, si stima che decine di migliaia di persone siano state poste in detenzione in Siria. Durante la sua visita, Maurer ha incontrato il presidente Assad e membri del governo di Damasco e ha visitato diverse zone colpite dal conflitto. “Il presidente Assad ha convenuto sulla necessità di rafforzare con urgenza gli aiuti umanitari” in particolare “rendendo più facile l’entrata dei soccorsi nel paese e dei mezzi necessari ad intensificare le attività umanitarie”, ha detto Maurer. Ma tali impegni positivi dovranno essere verificati nei fatti “nelle prossime settimane”, ha concluso. Afghanistan: presidente Karzai a Usa, no rinvio consegna prigione Bagram Ansa, 8 settembre 2012 Il presidente Hamid Karzai ha ricordato oggi alle massime autorità militari e diplomatiche americane in Afghanistan che “qualsiasi ritardo nel trasferimento al governo afghano del carcere di Bagram sarà considerato un attentato alla nostra sovranità nazionale”. Il capo dello Stato, riferisce un comunicato diramato dall’ufficio stampa presidenziale, ha formulato questa valutazione in un incontro con il comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato), John Allen, e con l’ambasciatore Usa a Kabul, James Cunningham. Durante l’incontro Karzai ha ribadito che la struttura carceraria “deve essere trasferita al governo dell’Afghanistan lunedì prossimo, come previsto”. Questo trasferimento, ha infine notato, “è un passo importante verso il riconoscimento della sovranità nazionale afghana”, istruendo le autorità competenti affinché le leggi esistenti sulla gestione delle prigioni ed il trattamento dei carcerati siano pienamente applicate dopo l’assunzione della responsabilità sulla struttura carceraria. La decisione di consegnare le chiavi del carcere al governo dell’Afghanistan era stata presa in marzo e racchiusa in un memorandum d’intesa che ora trova pieno compimento. Sotto accusa per denunce di maltrattamenti ai prigionieri afghani, molti dei quali militanti dei talebani, la prigione di Bagram è arrivata ad accogliere più detenuti di quella di Guantanamo Bay.