Giustizia: dal carcere di Spoleto… ergastolani nella diaspora di Susanna Marietti (Associazione Antigone) Il Manifesto, 4 settembre 2012 Tranne che per i condannati minorenni, la pena dell’ergastolo è sopravvissuta in Italia a ogni dubbio di costituzionalità. L’ergastolano, nell’argomento della Consulta, può sempre tendere a quella reintegrazione sociale in cui la nostra Carta, interpretata attraverso la norma penitenziaria, vede la finalità della pena. Può sempre aspirare alla liberazione condizionale, perfino nel caso in cui gravi su di lui il cosiddetto ergastolo ostativo, quello che esclude da qualsiasi beneficio di legge. Basta infatti che scelga di collaborare e l’accesso ai benefici tornerà nel suo orizzonte. A lui la decisione. E finché c’è decisione autonoma, c’è costituzionalità. Ammesso e non concesso che tale argomentazione abbia una sua interna forza logica, non è di sola logica che vive il diritto. La potenzialità formale del recupero sociale deve riempirsi di contenuti. Deve farsi attualità attraverso il lavoro, l’istruzione, il contatto con il territorio, le relazioni famigliari e tutte quelle attività penitenziarie previste dall’ordinamento. Nel caldo dell’estate, con la diffusa disattenzione che inevitabilmente lo accompagna, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha preso una decisione della quale si fatica a comprendere il senso. Una sezione di ergastolani del carcere di Spoleto interpretava con grande vivacità lo spirito costituzionale della carcerazione. Carmelo Musumeci, probabilmente l’ergastolano più noto d’Italia, nei mesi scorsi ha raggiunto l’obiettivo della laurea in giurisprudenza, e continuava con profitto a mantenere rapporti con i docenti universitari di riferimento nonché a pubblicare i suoi bei racconti. Oggi si trova nel carcere di Padova. Giovanni Mafrica era iscritto al quarto anno scolastico dell’istituto d’arte. Adesso è a Parma, in una galera dalla quale troppe volte sono uscite testimonianze di condizioni di vita interne indecenti, da dove denuncia che nessun corso scolastico è attivo e che non gli è dunque permesso di continuare il proprio percorso di studi. Domenico Papalia, dopo trentacinque anni di detenzione, si ritrova in una cella con altre cinque persone nel carcere di Nuoro. Esponenti della Comunità Papa Giovanni XXIII, che avevano allacciato relazioni solide e proficue con gli ergastolani ristretti a Spoleto, vedono vanificare il proprio lavoro e quello dei tanti operatori del carcere. È come quando l’Italia paga salatamente la formazione culturale di qualche giovane brillante - il dottorato, i contratti di ricerca, il tempo dei docenti messo a disposizione - e alla fine di tutto gli stringe la mano e lo rimanda a casa. Scelte scellerate. Come quella di chiudere la sezione Asl di Spoleto. Tante energie pubbliche impiegate, tante risorse economiche e umane dilapidate e finite nel niente. Oggi gli ergastolani che erano lì alloggiati sono sparsi in giro per l’Italia, con un grande danno arrecato anche alle loro famiglie. Il blog degli ergastolani ostativi “Le urla dal silenzio”, gestito dal prezioso lavoro di Alfredo Cosco - offre racconti in prima persona. E allora sorge un dubbio. Quanto è estraneo e quanto no, alla decisione presa dall’Amministrazione Penitenziaria, il dinamismo - spesso critico, ma sempre rispettoso delle regole - espresso negli anni passati da Carmelo Musumeci e dai suoi compagni? Quanto è contata in questa imposta diaspora la petizione promossa da Carmelo per l’abolizione dell’ergastolo, per non fare che un recente esempio, che ha superato a oggi le 6.500 firme e che vede in calce i nomi di Stefano Rodotà, Umberto Veronesi, Luigi Ferrajoli, Don Luigi Ciotti, Erri De Luca, Margherita Hack, Agnese Moro, Bianca Berlinguer, Giuliano Amato? Ci auguriamo di cuore che l’Amministrazione ci ripensi. Che ci dimostri che i trasferimenti sono stati il frutto di una scelta non ideologica e poco ponderata, di un goffo tentativo di migliorare le condizioni di affollamento riempiendo con più detenuti quelle celle che per gli ergastolani devono rimanere singole, di un errore che si può riconoscere come tale e dal quale si può tornare indietro. Ci auguriamo che riunisca al più presto quel gruppo di persone che da anni aveva intrapreso un percorso comune e virtuoso nei pieno spirito costituzionale. Giustizia: Card. Martini; vera riflessione autocritica dei prigionieri è interiore e non spettacolare di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 4 settembre 2012 Nel saggio “Orizzonti e limiti della scienza” (Decima Cattedra dei non credenti; a cura di Elio Sindoni e Corrado Sinigaglia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999) il cardinal Martini auspicava che la vicenda di Giordano Bruno, l’“eretico di Nola” bruciato sul rogo in Campo di Fiori (Roma) il 17 febbraio 1600, potesse diventare oggetto di “ripensamento critico” da parte della Chiesa cattolica. Nello scritto “Gli esegeti del tempo di Galileo” ( in “Nel quarto centenario della nascita di Galileo Galilei”, Milano, Vita e Pensiero, 1966) considerava di per sé sbagliate le assenze di “un vero dialogo tra Galileo e il mondo degli esegeti contemporanei” (ibidem, pag. 1224) e “di ogni dubbio serio riguardo alla concezione geocentrica” (ibidem, pag. 124) Mai e poi mai trovò una qualche forma di nobiltà nelle guerre contro gli eretici, nelle abiure e nelle omologazioni statuali ad un pensiero privo di autentici dubbi. Non amava, ad esempio, le leggi scritte dalla Prima Repubblica a favore dei “pentiti”. Riteneva che l’eventuale riflessione autocritica delle persone detenute debba essere un processo fondamentalmente interiore, quindi non qualcosa di mercificato, cinico, spettacolare e opportunistico. Le sue idee, da alcuni definite “profetiche”, erano garantiste, libertarie, amanti dell’egualitarismo, aperte alle novità positive in ogni campo del sapere. Non avevano nulla a che spartire con la “legislazione dell’emergenza”, di cui andò a far parte anche la legge sulla “dissociazione” del 1986, e con il perenne tradimento dell’articolo 27 della Costituzione italiana che prevede la finalità risocializzante della pena detentiva. Le sue idee sulla giustizia erano antitetiche a quelle di chi accetta degli sconti di pena come premio di una qualche forma di “collaborazione” che di fatto danneggia le condizioni di vita di altre persone, libere o detenute che siano. Il 13 giugno 1984, quando uno sconosciuto consegnò all’arcivescovado di Milano un arsenale di armi dei Comitati Comunisti Rivoluzionari (Co.Co.Ri.), un’organizzazione sovversiva scioltasi ben 6 anni prima, fu “messo in mezzo” dai “dissociati” - allora imputati al processo milanese contro Prima Linea e i Co.Co.Ri. - e non poté fare a meno di informare la polizia dell’accaduto. Capì che gli organizzatori di quell’operazione - a cui post factum si aggregarono altri soggetti detenuti che mai avevano fatto parte dei Co.Co.Ri. - volevano pubblicizzare il proprio “ravvedimento” e, per dovere cristiano, li assecondò in quanto ebbe un senso di profonda pietas verso di loro e non perché fosse d’accordo con chi manda in giro una persona con un arsenale di armi e aspira a fare notizia nella Società dello Spettacolo. La vicenda, finita sui mass media e accompagnata da una serie di polemiche, poteva procurargli delle vere grane sul piano giudiziario ma lui non ebbe paura. Il motivo è semplice. Il cardinal Martini dialogava con tutti, anche con le persone colpite dalla cultura del nuovo medio evo chiamato “postmodernità”. Aiutò molte fra tali persone ad evitare l’impazzimento completo e il suicidio. Non fece da “sponda” ai “dissociati” e alla connessa abiura. Fece qualcosa di straordinario. Aiutò perfino chi aveva idee opposte o molto diverse rispetto alle sue sul tema del pentimento e della giustizia. Ecco infatti cosa scriveva nel suo libro “Sulla giustizia” edito nel 1999 da Mondadori: “Pentimento e pentiti. Attraverso una certa legislazione, partita dai tempi del terrorismo, si è giunti a usare il termine pentiti per indicare un atteggiamento che non esprime direttamente l’insegnamento del Vangelo e della Chiesa. Il vero pentimento (…) è dunque un evento interiore, nobilissimo, che dice l’anelito a una vita nuova e pulita. Il “pentito” secondo la legge, cioè il collaboratore, può non avere nessuna intenzione interiore di cambiare vita, di riconoscere le sue colpe. Il pentimento cristiano è un cambiare il cuore.” Adesso, dopo la sua morte, avvenuta il 31 agosto di quest’anno, molti ne parlano bene ma non hanno appreso a sufficienza il significato dialogante, anti oppressivo e antidiscriminatorio del suo messaggio e della sua esperienza. Non hanno ancora capito quanto sia sbagliato definirlo come un sostenitore di qualche spettacolare sceneggiata postmoderna. A suo avviso la Chiesa Cattolica era indietro di 200 anni. E forse, in rapporto a ben altri e più civili paesi europei che da tempo hanno abolito l’ergastolo e le pene detentive superiori ai 15 anni, non giudicava molto diversamente l’attuale Stato italiano con le sue carceri sovraffollate e decine di persone detenute da più di tre decenni. Giustizia: dal capo clan al detenuto ignoto, dalle carceri lezioni di rivolta di Enrico Salvatori Notizie Radicali, 4 settembre 2012 Succede che dalle carceri italiane giungono a noi lezioni di rivolta. Nelle carceri italiane i detenuti, i “delinquenti”, in questi giorni, nella censura più totale, stanno insegnando ai partigiani d’Europa, ai partigiani di tutto il mondo, ai partigiani di tutte le storie, che è possibile rivoltarsi, senza fucili, senza Piazzali Loreto, senza teste in giù, senza spargimenti di sangue, senza profanare corpi o tombe. C’è un regime che ti tiene in carcere fuori da ogni legalità, dai dettami costituzionali di questa costituzione - italiana - e da tutte le costituzioni - europea e della carta fondamentale. Metà dei detenuti è innocente, e più dei due terzi delle vittime di reato non riesce ad ottenere giustizia perché i tribunali sono intasati, quasi 5 milioni di procedimenti penali pendenti. E tutte le giurisdizioni condannano lo Stato Italiano, lo definiscono tecnicamente fuorilegge. E così dalle carceri italiane arrivano lezioni di nonviolenza e disciplina. L’altro ieri in migliaia i detenuti ignoti hanno battuto pentole forchette e metalli sulle sbarre e ovunque - si chiama battitura - per rompere il silenzio attorno a questo crimine di Stato. Ignorati, censurati, non è notizia. Tg5 a parte, nessun altro ha ritenuto questo episodio degno di nota. Nessun altro tg gli ha dato voce come nessun tg diffonde e promuove la nonviolenza ma quotidianamente favorisce e incoraggia la violenza, quella peggiore. Perché la nonviolenza non è notiziabile la violenza si. Quella no tav, quella black block, quella bombarola, quella “indignada”. Perché se avessero impiccato un direttore, bruciato vivi agenti di polizia, se si fossero squartati tra loro, allora oggi e per qualche settimana sicuramente in tv se ne parlerebbe. Per questo dico onore ai detenuti, tutti, di tutti i reati, di tutte le pene, perché cittadini italiani che subiscono la violenza del potere, gli abusi da parte di chi è pluricondannato e pretende di rieducare indossando una tenuta da boia e carnefice di Stato. Dal 41 bis al reparto nuovi giunti di Regina Coeli, dall’Ucciardone a Poggio Reale. Dal capo clan all’ultimo immigrato clandestino, l’ultimo tossico. Onore a voi, bestie non conformi, partigiani veri. Giustizia: Don Balducchi (Capo Cappellani); serve l’amnistia, politici ascoltino grido detenuti Adnkronos, 4 settembre 2012 “Dalle carceri si alza un grido che non riesce a passare le sbarre e a essere ascoltata da chi dovrebbe, in particolare dai politici che devono prendere le decisioni. Le persone stanno perdendo la voce a forza di gridare...”. Lo dice don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri. Sessantatré anni, fino all’anno scorso cappellano del carcere di Bergamo, il sacerdote assiste i detenuti da vent’anni, dentro e fuori il carcerè Nel suo lavoro sempre sul campo, oggi coordina 210 cappellani che prestano sevizio nelle 206 carceri italiane. “Serve l’amnistia - rimarca - come atto di giustizia rispetto a ciò che sta capitando. Ma questo non è sufficiente: c’è bisogno di riforme che permettano di scontare la pena responsabilmente all’esterno. La strada del carcere deve essere l’ultima soluzione”. “Dietro le sbarre c’è tanta disperazione - sottolinea - la situazione è gravissima, in alcuni posti è invivibile e gli atti di autolesionismo aumentano”. “Spero che ciò sta facendo il Guardasigilli Paola Severino - aggiunge - insistendo sulla necessità di misure alternative, non trovi intoppi. C’è un’attenzione da parte del ministro, di tutta l’amministrazione penitenziaria e delle forze di polizia penitenziaria, ma manca un pezzo: nessuno di noi può fare le leggi. Solo il Parlamento - conclude - può intervenire con misure urgenti”. Far incontrare detenuti con loro vittime “Si possono costruire strade per far incontrare i detenuti con le loro vittime, almeno quelle che accettano di farlo. E le comunità cristiane possono accogliere sul proprio territorio le persone con dei cammini di riparazione sociale”. È l’appello che lancia don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri, che spiega: “Le comunità cristiane si rendano disponibili ad accogliere le persone detenute attuando percorsi di riconciliazione con le loro vittime”. “Da persone che hanno danneggiato - aggiunge - i detenuti potrebbero ora costruire altre storie di impegno sociale, se fosse loro offerta un’opportunità. A tutti vorrei ricordare che i cristiani credono in un condannato a morte”, il Nazareno. “Dai detenuti - ricorda don Balducchi - mi arrivano anche molte lettere. Chiedono di poter avere qualche speranza di vita, perché sono all’inferno, in una situazione di ingiustizia profonda. Stanno scontando una seconda pena, come ha detto Benedetto XVI quando ha incontrato alcuni di loro. Tanti, in quelle pagine scritte a mano e sempre in maniera sofferta, chiedono di scontare una pena che sia utile per loro, per e loro famiglie e per la società”. Giustizia: Cassazione; non basta ipotesi di cure migliori all’esterno per riconoscere i domiciliari La Stampa, 4 settembre 2012 Detenuto malato e depresso. E, purtroppo, a rischio di un ulteriore peggioramento della sindrome ansioso - depressiva. Ma non basta - nonostante copiosa documentazione medica - per vedere concesso il regime dei domiciliari. Perché non può essere valutata come decisiva la possibilità che le cure necessarie per il detenuto siano “praticate meglio fuori dalla struttura penitenziaria” (Cassazione, sentenza 29767/12). “Condizioni di salute particolarmente gravi”: così il legale, che rappresenta il detenuto, motiva la richiesta di “ammissione alla detenzione domiciliare”. A corredo anche due relazioni medico - legali, centrate sullo status fisico e psichico dell’uomo. Ma il quadro complessivo non è ritenuto sufficiente dal Tribunale di sorveglianza: istanza respinta, perché “le condizioni del detenuto” non sono “incompatibili con lo stato di detenzione”. Secondo il legale, però, le valutazioni compiute dal Tribunale sono erronee. Soprattutto alla luce della fotografia fissata dalle relazioni medicolegali, che hanno evidenziato “come le condizioni di salute, anche psichica” del detenuto “fossero particolarmente gravi ed insuscettibili di un effettivo miglioramento in presenza di un trattamento solo farmacologico, rendendosi perciò necessario un suo ricovero in una apposita struttura esterna”, peraltro “già disponibile”. E a rendere il quadro ancora più delicato, secondo il legale, anche il fatto che era stata segnalata “la possibilità di un peggioramento della sindrome ansioso - depressiva in caso di mera somministrazione di una terapia farmacologica”. Tale visione, però, è rigettata completamente dai giudici della Cassazione, i quali ricordano, innanzitutto, che la “detenzione domiciliare per motivi di salute” è legata alla ipotesi che si realizzi una “sofferenza aggiuntiva per effetto della privazione dello stato di libertà”. Alla luce di questo principio, le valutazioni compiute dal Tribunale vengono ritenute corrette, anche, anzi soprattutto, perché il detenuto era “visitato con frequenza costante (giornaliera) a ragione di un quadro di oscillazione rapida dell’umore” e il “quadro del disturbo psichiatrico appariva stabile dal punto di vista clinico - farmacologico e compensato negli aspetti impulsivi - temperamentali”. Quadro chiarissimo, secondo i giudici - che, difatti, confermano il rigetto della domanda avanzata dal detenuto - , i quali aggiungono un ulteriore chiarimento: ciò che può risultare decisivo è “l’impossibilità di praticare utilmente le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena”, non già “la possibilità di praticarle meglio fuori dalla struttura penitenziaria”. Giustizia: Osapp; nel 2013 il 30% carceri senza direttori, serve riforma polizia penitenziaria Adnkronos, 4 settembre 2012 “Dopo il sovraffollamento, la carenza di fondi e la crescente penuria di poliziotti penitenziari, non rimpiazzabili nel quadriennio 2012/2015 grazie alla spending review, per le carceri italiane presto l’ulteriore tegola dei pensionamenti anticipati del 30% dei direttori” a precisarlo in una nota è l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che a firma del segretario generale Leo Beneduci rivolge l’ennesimo appello al Governo e ai Gruppi Parlamentari di Camera e Senato. Secondo quanto scrive il sindacato: “gli attuali 363 dirigenti penitenziari con funzioni di direttore d’istituto penitenziario e gli attuali 25 dirigenti generali, dovrebbero scendere nel 2013, rispettivamente, a meno di 270 e a 20, nonostante che la totalità degli incarichi da ricoprire in periferia e al centro sia superiore ai 350. Delle due l’una - prosegue l’Osapp - o si tratta dell’ennesimo escamotage per trovare la collocazione ministeriale ad un esercito di magistrati fuori ruolo, oppure ci si è effettivamente incamminati sulla strada dello smantellamento dell’amministrazione penitenziaria, verso l’affidamento delle carceri a società private. Riguardo alla carenza di dirigenti che non fanno, comunque, parte della polizia penitenziaria, una possibile via d’uscita potrebbe essere l’affidamento della direzione di alcuni istituti penitenziari ai Commissari del Corpo, andando anche e finalmente ad affrontare il processo di riforma della polizia penitenziaria che come sindacato stiamo richiediamo da tempo, a 21 anni dalla precedente ed incompiuta riforma - conclude Beneduci - ma, visto quanto di negativo continuamente accade per le carceri e per il personale, dubitiamo fortemente che si voglia fare qualcosa di realmente utile nell’attuale legislatura”. Giustizia: Capece (Sappe); spending review? il Dap spende 11mila euro per acquistare giornali Adnkronos, 4 settembre 2012 “Undicimila euro all’anno per acquisto di giornali e periodici nonostante la quotidiana rassegna stampa realizzata dal ministero della Giustizia”. Il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), si dice “seriamente sconcertato” per alcune determinazioni dell’Amministrazione penitenziaria che contrastano palesemente con i provvedimenti del governò in materia di revisione della spesa. “Ogni giorno - spiega una nota del sindacato dei baschi azzurri - scopriamo le assurdità che caratterizzano l’Amministrazione penitenziaria. Dopo la vergogna delle Maserati e delle Bmw usate per accompagnare gli alti dirigenti del Dap - denuncia il segretario generale del Sappe, Donato Capece - mentre i mezzi dei Nuclei Traduzioni sono fermi nelle officine perché mancano i soldi per ripararli e per acquistare la benzina, dopo le decine di Land Rover costate 100.000 euro l’una per accompagnare i collaboratori di giustizia e invece distolte per portare in giro i dirigenti penitenziari, veniamo a sapere che per anni l’Amministrazione penitenziaria ha pagato 11.000 euro all’anno per acquisto di giornali e periodici nonostante la quotidiana rassegna stampa realizzata dal ministero della Giustizia”. “Non solo - incalza Capece - decine di migliaia di euro vengono spese per la rivista Le Due Citta, che negli Istituti quasi nessuno legge e che non vede nessun poliziotto nel Comitato di Redazione. Il Guardasigilli Severino - conclude il leader del Sappe - blocchi queste spese inutili e questo sperpero di denaro pubblico, e accerti responsabilità e colpevoli. In questo strano clima di spending review, dove si cerca di tagliare e tassare la povera gente pur di recuperare denaro per le casse dello Stato, queste spese del Dap sono davvero una vergogna”. Campania: Tocco (Garante detenuti); l’amnistia è impossibile, puntiamo sulle misure alternative Il Velino, 4 settembre 2012 “Le proteste civili registrate in queste ore nelle carceri campane si inseriscono nell’ambito di una protesta nazionale con cui i detenuti chiedono l’amnistia, sulla base di un’iniziativa promossa dai Radicali. Ma dobbiamo chiedere al Parlamento altre strade rispetto all’amnistia”. Così il Garante dei detenuti della Regione Campania, Adriana Tocco, commenta quanto sta accadendo nei penitenziari campani. “L’amnistia è una misura deflattiva, ma le condizioni politiche in questo momento non ci sono - aggiunge Tocco. Nel coordinamento dei garanti alcuni di noi hanno firmato la richiesta, ma la mia posizione è che in questo momento non c’è la fattibilità ed è meglio utilizzare misure alternative”. In merito, il Garante annuncia un incontro col Dap il 2 ottobre. “Anche perché - conclude Tocco - noi abbiamo pochi poteri: solo quello di mediare e riferire agli organismi istituzionali competenti”. Sicilia: Uil-Pa; situazione esplosiva, 7.300 detenuti rispetto una capienza di 4.400 posti Agi, 4 settembre 2012 In Sicilia con oltre 7.300 detenuti, rispetto una capienza di 4.400 posti, la situazione è “esplosiva”. Lo denuncia Gioacchino Veneziano, coordinatore regionale Uil - Penitenziari, che parla di “collasso” del sistema penitenziario siciliano dove nelle 27 carceri distribuite in tutto il territorio, il personale di Polizia penitenziaria è di appena 4000 unità, di cui 800 dedicati al servizio traduzioni e piantonamenti. Considerando i vari servizi svolti, ma anche riposi e congedi, solo 1.600 unità si occupano nell’arco delle 24 ore di vigilare sulla sicurezza delle carceri. “Speriamo - conclude Veneziano - che il ministro Severino e il capo del Dipartimento Tamburino inizino a prendere atto che la strada maestra è una revisione vera degli organici”. Cagliari: Sdr; 60 milioni di euro già spesi, per il nuovo carcere, rischiano di andare in fumo Ansa, 4 settembre 2012 “È evidente che se il Ministro delle Infrastrutture non impone e fa rispettare alla società Opere Pubbliche le norme contrattuali si profila un collasso e a sette anni dall’assegnazione dei lavori andranno in fumo quasi 60 milioni di euro”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento alla nuova forte azione di protesta, con l’occupazione del cantiere, attivata dagli operai a Uta dove sta sorgendo la struttura penitenziaria che dovrebbe sostituire Buoncammino. “Opere Pubbliche - sottolinea - non rispetta le scadenze, non paga regolarmente gli operai ai quali impone ferie forzate lasciando i lavori sospesi per mesi. C’è poco spazio per sognare un futuro della struttura. Prende invece sempre più consistenza il pericolo di un’incompiuta anche perché appare del tutto infondata l’idea di sostenere con altri consistenti fondi un’opera che doveva essere conclusa almeno da due anni. Appare inoltre sempre più evidente che il progetto di dotare la Sardegna di quattro nuove carceri si sta configurando come un bluff”. “L’assegnazione del bando risale al 22 dicembre 2005 quando il Piano venne sostenuto e varato dai Ministri Pietro Lunardi e Roberto Castelli. Per quanto riguarda Uta dopo la stipula del contratto risalente al 18 aprile 2006, i lavori sono iniziati il 19 novembre successivo e la conclusione era prevista a giugno 2010. Al contratto originario sono seguiti tre atti aggiuntivi nel 2006, 2008 e infine nel 2009. Sorprende però che nonostante l’atteggiamento di Opere Pubbliche, la società abbia ottenuto recentemente altri 3 milioni di euro per realizzare una parte delle infrastrutture. Ricordiamo che è ancora aperto il contenzioso con le proprietà dei terreni espropriati, che potrebbe sfociare in un’ulteriore levitazione dei costi. Le costruzioni continuano a insistere in un’area ancora maleodorante e dove sono ubicati dei vasconi colmi d’acqua per l’irrigazione di alcuni campi limitrofi al muro perimetrale. Non è stata più resa nota - conclude Caligaris - la data della fine dei lavori a cui dovranno seguire i collaudi. Insomma tutto fa presumere che la situazione non è affatto chiara”. Taranto: da Rita Bernardini interrogazione sulle condizioni drammatiche del penitenziario Notizie Radicali, 4 settembre 2012 Non si arresta la battaglia radicale in difesa delle carceri. Dopo la “battitura della speranza” che ha coinvolto diversi istituti da nord a sud del Paese, tornano le interrogazioni parlamentari di Rita Bernardini che mirano a far luce sulle condizioni di vita dei detenuti. L’ultima interrogazione a risposta scritta mira a indagare la situazione - a dir poco drammatica - nella Casa circondariale di Taranto. La deputata radicale in un lungo testo, dopo aver descritto nei dettagli le problematicità di questo carcere, chiede al ministero della Giustizia di attivarsi per “riportare la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali” previsti dall’Ordinamento Penitenziario e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Nel testo dell’interrogazione, riportato integralmente sul blog di Rita Bernardini si legge a proposito della deficienza strutturale del penitenziario di Taranto: “il carcere di Taranto, entrato in funzione a metà degli anni 80, presenta molte problematiche strutturali, date le scarse risorse destinate centralmente per la manutenzione sia ordinaria che straordinaria: alcune aree risultano transennate perché pericolanti; alcune sale colloqui hanno ancora il muretto divisorio: una di esse è definita “la pescheria” per il cattivo odore che emana l’ambiente sovraffollato all’inverosimile; il percorso per i familiari (bambini e persone anziane comprese) che si appresentano ad incontrare il congiunto detenuto, è sotto il solleone (o con la pioggia, d’inverno) o con coperture, come quella della pensilina prossima all’ingresso, che dovrebbero essere coibentate essendo “roventi” d’estate e con infiltrazioni d’acqua nella stagione delle piogge; per mancanza di spazi, l’ex campo sportivo è stato diviso in due e adattato a passeggio per le ore d’aria: un deserto polveroso privo di servizi e di approvvigionamento di acqua; la casa circondariale è destinataria del piano carceri per la costruzione di un padiglione da 200 posti i cui lavori sono ancora nella fase di aggiudicazione attraverso gara; all’interno dell’area c’è però un padiglione a 48 posti inutilizzato perché per metterlo in funzione - magari per una custodia attenuata come suggerisce la direttrice - oltre al personale, occorrerebbero modifiche strutturali essendo stato concepito per ospitare detenuti malati di aids”. Napoli: al carcere femminile di Pozzuoli mestoli contro le sbarre per sollecitare l’amnistia Asca, 4 settembre 2012 Una nuova protesta ha avuto luogo oggi per sensibilizzare lo Stato sull’emergenza del sovraffollamento delle carceri. Le detenute della casa circondariale femminile di Pozzuoli hanno battuto utensili da cucina contro le celle per denunciare le pessime condizioni di vita e per sollecitare una legge sull’amnistia. La protesta rientra nell’ambito di iniziative intraprese anche in altre carceri, come Secondigliano, dove maggiormente si avverte il numero eccessivo di presenze. Le ospiti della casa puteolana quotidianamente, tra le 19 e le 20, reclamano un intervento delle istituzioni. La situazione carceraria a Pozzuoli, come più volte evidenziato, è tra le più difficili del panorama nazionale per il sovraffollamento. A fronte di 90 posti disponibili si toccano punte, in alcuni periodi, di 170 - 180 presenze, che inevitabilmente rendono problematica la convivenza. Nel carcere di Pozzuoli vengono attuati vari progetti di coinvolgimento delle ospiti, che puntano anche a creare possibilità di lavoro per il post detenzione. Per le detenute c’è anche l’offerta formativa scolastica che punta al recupero degli anni di studio e al raggiungimento di un titolo di studio di scuola superiore, grazie ad un protocollo di intesa con l’Ims Virgilio di Pozzuoli. Bologna: miele “made in Dozza”…alla festa dell’Unità si presentano progetti e risultati Dire, 4 settembre 2012 “La bellezza delle api è il loro essere libere”, come scrive un detenuto del carcere della Dozza. Le api volano anche fuori dal carcere. E nei dintorni della Dozza vanno a pescare il nettare di acacia e di tanti altri fiori, che riportano nelle arnie da cui i detenuti raccolgono il miele. Da due anni, un gruppo di reclusi ha infatti iniziato a praticare l’apicoltura, grazie a un progetto che questa sera alle 21 sarà presentato alla Festa dell’Unità di Bologna. Oltre alla vendita dei vasetti di miele, “faremo una breve storia degli usi del miele - spiega Elisabetta Tedeschi, referente del progetto per Conapi, il Consorzio apicoltori ed agricoltori biologici italiani - e proietteremo delle diapositive sul lavoro dei detenuti e sulle loro impressioni riguardanti il corso e il lavoro con le arnie”. Riflessioni e pensieri scaturiti dalla vicinanza con le api e dalla conoscenza approfondita del loro universo, come queste: “Il miele diventa amaro se non curato, come la vita”; “Se gli esseri umani fossero come le api le cose andrebbero meglio: non ci sono menefreghismi, tutti hanno un compito e lo rispettano”; “Più rispetto si usa più rispetto si riceve”. Il progetto è nato da una partnership tra Conapi (che ha fornito le arnie, le api provenienti da allevamenti biologici, l’attrezzatura e individuato gli insegnanti del corso), i gestori del carcere, l’allora garante dei diritti dei detenuti del Comune, Desi Bruno, la Provincia di Bologna (che ha consentito il finanziamento dei corsi di apicoltura attraverso fondi europei) e l’ente di formazione Cefal, che ha inserito i corsi nel proprio catalogo. Al progetto collabora anche la cooperativa Anima, che ha confezionato il miele in vasetti e che collabora alla gestione delle arnie. Al primo corso, organizzato nel 2010, hanno partecipato 10 detenuti. Nel 2011, il corso ha chiamato a raccolta 18 detenuti (di cui otto provenienti dalla precedente edizione). Dalle 20 arnie presenti nel cortile del carcere, sono stati raccolti 680 chili di miele di tiglio e millefiori chiaro e scuro, confezionati in 1.440 vasetti di miele risultato, alle analisi, di ottima qualità. Sull’ammontare del ricavato delle vendite “stiamo ancora facendo i conti - spiega Tedeschi - ma quanto incasseremo andrà a finanziare le successive edizioni del progetto o costituirà un premio per i detenuti che vi hanno partecipato”. Nel 2012 “il progetto ha avuto difficoltà crescenti, a causa della carenza del personale della Dozza, delle difficoltà dei detenuti a seguire i corsi e a partecipare alle attività di apicoltura ma anche del clima torrido, che ha penalizzato le api”, racconta Tedeschi. Al corso ha comunque partecipato una decina di detenuti, e la raccolta ha prodotto 350 chili di miele. In futuro “speriamo di riuscire a far gestire l’apiario in autonomia da uno, due o tre detenuti: sarebbe un modo per consentire loro di avere anche delle entrate economiche” conclude Tedeschi. Il miele prodotto alla Dozza è in vendita nel negozio Alce Nero Caffè Bio a Bologna, nel punto vendita di Conapi a Monterenzio e alla Locanda Smeraldi, a San Marino di Bentivoglio, in provincia di Bologna. Per le vendite dirette si può scrivere a elisabettatedeschi@conapi.it. Parma: malato di tumore e detenuto al 41 bis, sarà curato ed operato La Repubblica, 4 settembre 2012 Dopo oltre 100 giorni di attesa sarà finalmente trasferito in Ospedale e sottoposto ad un intervento chirurgico per asportargli un carcinoma maligno diagnosticatogli alla mammella sinistra. Si tratta del calabrese Tommaso Gentile, detenuto presso il Carcere di Parma e sottoposto al regime detentivo speciale del 41 bis. Il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia ha finalmente concesso l’autorizzazione per il trasferimento del detenuto presso la Sezione Detentiva dell’Azienda Ospedaliera di Parma affinché questi possa essere ricoverato e sottoposto ad intervento chirurgico di mastectomia sinistra. Il trasferimento dell’uomo presso l’Ospedale di Parma avverrà, salvo ulteriori problemi, mercoledì 5 settembre mentre l’intervento sarà realizzato venerdì 7. La sua degenza in Ospedale non potrà superare i 5 giorni. Dopo dovrà essere riportato in cella al “carcere duro” poiché la Sezione Feriale della Corte di Appello di Catanzaro con ordinanza dello scorso 31 agosto ha dichiarato inammissibile l’istanza formulata dagli Avvocati Giuseppe Bruno e Sergio Rotundo con la quale si chiedeva in via principale la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari o, in via subordinata, accertamenti peritali sulle sue condizioni di salute al fin di verificare la sua compatibilità con la detenzione carceraria. La Corte (Bravin Presidente, a latere Russi e Ferriero), ha motivato l’inammissibilità dell’istanza poiché, la stessa, riproponeva sostanzialmente quanto già contenuto in altra precedente richiesta. Secondo i Giudici d’Appello Cautelare “la nuova istanza non prospetta alcuna concreta novità, oltre generici ed astratti riferimenti alla patologia in atto e ritenuto, quindi, che trattasi di reiterazione di istanza già oggetto di valutazione, si dichiara inammissibile”. I legali del detenuto avevano richiesto al Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia anche di regolamentare la visita, e quindi, la presenza, dei familiari durante il periodo di degenza ospedaliera atteso che, trattandosi di un motivo di salute grave, era opportuno oltre che umanamente comprensibile consentire allo stesso, un’adeguata assistenza e sostegno psicologico dei propri congiunti. In merito non si è registrato, per il momento, alcun pronunciamento né positivo né negativo da parte del Magistrato di Sorveglianza. In favore di Gentile erano intervenuti Emilio Quintieri, Ecologista Radicale nonché l’Onorevole Rita Bernardini, Deputato Radicale membro della Commissione Giustizia che, unitamente agli altri Deputati Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Maria Antonietta Farina Coscioni, Elisabetta Zamparutti e Marco Beltrandi, aveva presentato un Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute Paola Severino e Renato Balduzzi. Entrambi chiedevano allo Stato il rispetto delle Leggi della Repubblica, a cominciare dalla Costituzione Repubblicana nonché delle Convenzioni Europee e dei Trattati Internazionali per la Salvaguardia dei Diritti e delle Libertà Fondamentali. Sul caso, nei prossimi giorni, sarebbe anche intervenuto il Gruppo Parlamentare dei Verdi Europei con la presentazione di un atto di Sindacato Ispettivo alla Commissione Europea. La Deputata Radicale Rita Bernardini aveva vibratamente protestato in forma pubblica per questa inqualificabile storia di mancato rispetto dei diritti umani fondamentali ritenendola un altro tassello della profanazione della Legge e dello Stato di diritto in Italia. Inspiegabilmente, il Magistrato di Sorveglianza - dichiarava la battagliera parlamentare pannelliana - aveva rigettato l’istanza adducendo l’indisponibilità del Gentile ad eseguire l’intervento presso l’Istituto di Parma, dimostrando così di non aver nemmeno letto le carte che provano esattamente il contrario. La reclusione, dichiara il Verde Radicale Emilio Quintieri, non può essere considerata una vendetta dello Stato. La pena si paga con la detenzione non anche con la salute per cui Tommaso Gentile già da tempo avrebbe dovuto essere trasferito in Ospedale ed operato così come, da alcuni mesi, chiedevano gli stessi Sanitari del Carcere di Parma. Il diritto alla salute - prosegue Quintieri - è un diritto inviolabile della persona anche durante la detenzione che non viene assolutamente sospeso neanche dal “carcere duro” del 41 bis a cui Gentile, nonostante sia ancora imputato e presunto innocente, è stato sottoposto con decreto del Ministero della Giustizia. Mi auguro - conclude Quintieri - che sia consentito dal Magistrato di Sorveglianza ai familiari del Signor Gentile di poter star vicino al proprio congiunto in un momento così delicato per la propria situazione fisica e psicologica. Udine: Pdl; completare le opere per la vivibilità nel carcere Messaggero Veneto, 4 settembre 2012 “Premessa la solidarietà ai familiari, va detto che il recente suicidio di un detenuto può essere riconducibile anche all’incomprensibile trasferimento dell’uomo da “un luogo di cura” al carcere. In ogni caso i due ultimi episodi accaduti a Udine (la morte di un giovane detenuto e ora il suicidio) sono il riflesso di una strage silenziosa che coinvolge tutto il sistema giudiziario italiano”. Lo dicono Gianfranco Leonarduzzi, Adriano Ioan e Alessandro Colautti, del Pdl udinese, che aggiungono: “La direttrice del carcere è preparata e capace di elevata sensibilità umana come tutto il personale. L’ultima nostra visita in agosto ha confermato quella che è la storia della casa circondariale di via Spalato dove va completato il piano delle opere pubbliche per aumentare gli standard di sicurezza e vivibilità. Dunque - concludono gli esponenti pidiellini - gli interventi programmati nel secondo lotto devono trovare al più presto un finanziamento per giungere rapidamente al completamento. Il progetto poi di estendere il sistema sanitario regionale ai reclusi risponde non solo a principi di civiltà, ma può portare a un sistema di erogazione dei servizi stessi più efficace a tutto vantaggio della collettività”. Salerno: Consigliere regionale Petrone; caso disabile detenuto per due birre ha dell’incredibile Il Denaro, 4 settembre 2012 Il consigliere regionale della Campania Anna Petrone, vice presidente della Commissione Sanità, ha visitato nel pomeriggio il carcere di Fuorni (Salerno) per verificare le condizioni dei detenuti e dei livelli di assistenza socio - sanitaria soprattutto alla luce dei tagli ministeriali. La consigliera è stata ricevuta dal direttore della struttura, Stendardo, che l’ha accompagnata nella visita. “Le visite periodiche al carcere - ha detto Petrone - sono un mio impegno preciso, un dovere morale, prima come donna e poi come politico impegnato nelle Istituzioni”. Durante la visita, - prosegue una nota - la consigliera regionale ha anche incontrato il giovane disabile di Casalvelino Marzo Penza al quale, “per un tasso alcolemico elevato tre anni addietro gli è stata ritirata la patente con conseguente denuncia penale, per poi (pochi giorni fa) essere arrestato”. “Sembra una storia incredibile - aggiunge il vice presidente della Commissione Sanità - non entro nel merito, avendo piena fiducia nella magistratura ma ritengo comunque abnorme la misura restrittiva sia per il reato commesso, sia per le sue condizioni precarie di salute (oltre all’amputazione della gamba, soffre di pressione alta ed insufficienza renale); forse un misura domiciliare era più indicata”. “Comunque - continua Petrone - non è vero che gli hanno tolto la protesi ma solo il bastone (per un giorno), in quanto in cella poteva essere pericoloso per la sicurezza sua e degli altri detenuti. Sicuramente depresso e provato ma speranzoso in una misura alternativa, così l’ho trovato e spero che così sia per lui e per tutti coloro che hanno pene leggere, in quanto le celle sono già strapiene con 7 - 8 detenuti e il carcere di Salerno è già con un sovraffollamento allarmante (oltre 500 detenuti per 380 posti previsti)”. Ivrea (To): detenuto marocchino tenta più volte il suicidio in cella di isolamento La Sentinella, 4 settembre 2012 Un detenuto della casa circondariale di Ivrea, A. B. trentenne originario del Marocco, ha tentato di suicidarsi. Il fatto è accaduto al termine delle proteste che hanno interessato, nella serata di giovedì, il carcere eporediese in contemporanea con altre strutture penitenziarie italiane. Il marocchino, detenuto in una cella di isolamento, avrebbe prima provato a tagliarsi i polsi con un oggetto metallico affilato, poi avrebbe inspirato del gas ed, infine, ingoiato un certo quantitativo di candeggina. Gli agenti di polizia penitenziaria sono immediatamente intervenuti mentre il detenuto cercava di mettere in atto i suoi propositi suicidi. Fortunatamente tutti gli atti autolesivi non sono stati sufficienti a causargli al morte. Un medico è stato chiamato immediatamente per soccorrerlo, ma il marocchino lo ha aggredito, mentre il dottore lo stava medicando, e dopo avergli sottratto delle forbicine avrebbe nuovamente provato a colpirsi per togliersi la vita. Anche in questo caso, grazie all’intervento dei poliziotti, non sarebbe stato in grado di portare a compimento il suo suicidio. Dopo una breve colluttazione sono riusciti ad immobilizzarlo prestandogli le necessarie cure, salvandogli così la vita. Simili tentativi sono sempre più comuni negli istituti di pena a causa del sovraffollamento e delle condizioni drammatiche di trattamento dei detenuti e dei gravi deficit strutturali di cui soffrono le case circondariali italiane. Tanto che il mondo carcerario è in fermento. Giovedì la protesta pacifica da parte dei detenuti, è stata messa in campo battendo un ferro contro le sbarre delle celle, dalle 19.30 alle 20. Obiettivo denunciare l’attuale situazione nelle carceri e far sentire la propria voce. Quello che vorrebbero i detenuti è un provvedimento di amnistia da parte del Parlamento ed azioni mirate per il reinserimento sociale dei detenuti. Lanciano (Ch): presentato progetto per inserimento lavorativo detenuti in enti pubblici e privati Ansa, 4 settembre 2012 Sono 29 le persone, tra detenuti ed ex, beneficiari del Programma di sostegno e rafforzamento di misure per l’inclusione sociale per le categorie svantaggiate e a rischio di emarginazione attraverso un intervento integrato denominato “In-Formare per Integrare”, presentato oggi al Comune di Lanciano. Ampio il partenariato con capofila la Fondazione Sviluppo e Competenze, quindi i comuni di Lanciano e Casoli, l’Amministrazione Penitenziaria di Lanciano, EAS 22, Ente d’Ambito di Lanciano, Enfap Abruzzo, le Cooperative Volentieri e Blue line, i Consorzi Iam e Cisi, Progetto Vita e Adecco. Per 9 detenuti c’è l’assunzione presso aziende del territorio, uno è già assunto dalla Honda, per altri 20 ci sono 2 percorsi formativi, 10 per installatore e manutentore di impianti termoidraulici, e altri 10 per disassemblatore meccanico. L’iniziativa è stata illustrata dall’assessore alle politiche sociali Dora Bendotti, Silvio Di Lorenzo, presidente Fondazione Sviluppo e Competenze, Massimo Di Rienzo, direttore del supercarcere di Lanciano, all’interno del quale il Comune aprirà un sportello per accoglienza ed orientamento. “Il progetto, è stato spiegato, ha come obiettivo quello di sviluppare percorsi integrati finalizzati all’acquisizione di qualifiche professionali rivolti a persone soggette a restrizione della libertà e all’inserimento lavorativo per i detenuti in regime di esecuzione penale esterna, e per i detenuti in fase di conclusione dei periodo di reclusione, attraverso l’erogazione di servizi di orientamento al lavoro e inserimento in contesti lavorativi in forma di work experience”. Fano (Pu): il Movimento a 5 stelle porta libri in carcere “la reclusione deve educare” Corriere Adriatico, 4 settembre 2012 Il Movimento 5 stelle sostiene e promuove un’iniziativa dedicata ai libri e all’importanza della lettura per i detenuti. “A tale scopo - comunica il Movimento 5 Stelle di Fano - invitiamo chiunque volesse a collaborare e aderire all’iniziativa, chiedendo informazioni sulle modalità contattandoci sul nostro sito internet www.fano5stelle.it , oppure inviando una mail all’indirizzo giacomosim28@libero.it Un libro ti fa compagnia, un libro è un amico che non giudica, un libro è lo strumento migliore per evadere dalla propria condizione di recluso e viaggiare attraverso le parole e i racconti”. “Il Sig. Lib(e)ro - continua il Movimento 5 Stelle di Fano - entra nella casa circondariale e cerca di diventare amico dei detenuti, attraverso mille strumenti: con la narrativa che farà volare la loro fantasia e immaginazione, con la saggistica che saprà interessarli ad argomenti di riflessione e conoscenza, con l’umorismo che saprà riempire i vuoti lasciati dalla solitudine e dalla condizione di reclusione. Non sta a noi giudicare il loro reato, chi di competenza l’ha già fatto comminando anche la pena, a tutti noi, che rappresentiamo la società, è dato invece il compito di riempire quegli spazi di vuoto e di non senso con il valore e la ricchezza che solo la cultura può restituire”. “Con questa iniziativa favorevolmente accolta dai carcerati, - conclude il Movimento 5 Stelle di Fano - ci auguriamo che chi entra nella casa di reclusione per scontare una pena, ne esca consapevole di aver sbagliato, ma che niente è perduto. Con la buona volontà e soprattutto la consapevolezza di se stessi, la vita regala sempre un’altra opportunità. Perché parafrasando quello che già nel 700 scriveva Beccaria, la Casa di Reclusione non deve essere essenzialmente un posto di punizione, ma di educazione e miglioramento. Nella pratica possono essere consegnati libri senza segni personali e non rovinati. I generi sono quelli più svariati: dalla saggistica ai fumetti, dalla narrativa al Corano (ci sono molti musulmani in carcere e persone curiose di religione), dal codice civile e penale al romanzo. In più sono molto richiesti e molto utili Vhs e Dvd originali. Infine computer e stampanti, magari obsoleti, ma funzionanti! A voi la scelta!” Bologna: Ipm del Pratello; domani Susanna Camusso partecipa a serata finale rassegna teatro Redattore Sociale, 4 settembre 2012 Domani a Bologna si conclude “Teatri di lavoro” con “Singing and working”. Prologo con il segretario della Cgil e i ragazzi della Compagnia. Dal 30 novembre il nuovo spettacolo “Danzando Zarathustra”. John Lennon, Bruce Springsteen, Chico Buarque ma anche i Radiohead, Milton Nascimiento e Cesaria Evora. È un percorso nel panorama musicale internazionale il concerto che chiude la rassegna “Teatri di lavoro” organizzata dal Teatro del Pratello e Tra un atto e l’altro con la direzione artistica di Paolo Billi e Angela Malfitano. Il tema è sempre quello del lavoro che, dopo essere stato sviluppato attraverso alcune parole chiave (migrazione, preghiera, arte, libertà, guerra, fabbrica, vagabondare), è analizzato attraverso le sfumature con cui è trattato nelle canzoni. “Singing and working”, questo il titolo dello spettacolo costruito da Guido Sodo, vede come protagonista la cantante Cristina Renzetti, ospita la cantante Cristina Zavalloni e il segretario nazionale della Cgil, Susanna Camusso. “A differenza dell’altro concerto proposto non si tratta di canzoni popolari o canti di lavoro - spiega Paolo Billi - ma di canzoni che trattano il tema del lavoro”. Il concerto sarà preceduto da una scena dello spettacolo “Lavorare e vagabondare” che Billi ha realizzato insieme ai ragazzi della Comunità ministeriale (e quindi in esecuzione penale esterna) che ha dato il via alla rassegna. Lo spettacolo va in scena il 5 settembre alle 21 nella Corte del quartiere Saragozza (in caso di pioggia si terrà all’interno, nella sala Cenerini). Si canta per il lavoro che non c’è, per il lavoro faticoso o per quello nocivo. Si canta perché si è sfruttati o maltrattati. Il concerto “Singing and working” passa dalle riflessioni di Lennon sul percorso che un individuo deve fare per entrare nel mondo del lavoro alla descrizione di un disoccupato fatta dal Boss. Si canta di lavoratori come il portiere di “Albergo a ore” o “Pedro Pereiro” di Buarque, l’impiegato che aspetta il tram, il sole, l’aumento che non gli danno e sogna di vincere al gioco. In apertura una scena dello spettacolo allestito dai ragazzi della Comunità ministeriale farà da cornice al prologo che vedrà la partecipazione di Susanna Camusso. “In scena un maestro fa lezione a un gruppo di discoli sull’importanza non tanto del lavoro quanto dell’ozio - racconta Billi - e la lezione viene interrotta dall’arrivo della direttrice, impersonata da Susanna Camusso”. Oltre ad aver portato in scena “Lavorare e vagabondare” il gruppo dei ragazzi della Comunità ministeriale a cui ha preso parte anche un ragazzo del Minorile, ha collaborato con la gestione delle altre serata della rassegna. Dopo aver animato via del Pratello con i 9 appuntamenti della rassegna “Teatri di lavoro”, Paolo Billi riprenderà il lavoro all’interno del carcere minorile per mettere in scena il nuovo spettacolo. “Ogni anno sposto l’asticella sempre più in alto - dice - Dopo aver pescato a piene mani dalla letteratura alta, questa volta ho scelto la filosofia: il prossimo spettacolo sarà tratto da Friedrich Nietzsche”. Si intitolerà, infatti, “Danzando Zarathustra”, il nuovo allestimento che la Compagnia del Pratello (che durante l’anno è formata dai ragazzi dell’istituto minorile) porterà in scena dal 30 novembre al 15 dicembre (con 14 repliche). Solo 2 settimane fa, il regista aveva lanciato un appello perché ancora non sapeva se avrebbe potuto proseguire l’attività teatrale che da 14 anni porta avanti insieme ai ragazzi del Pratello. “Ho avuto metà delle risposte che aspettavo - spiega - e ne mancano altre, senza le quali non credo di poter arrivare fino in fondo: questo progetto pur raccogliendo numerosi consensi non riesce a ottenere un sostegno continuativo”. Cinema: “La nave dolce” forse ha addolcito il giudizio degli italiani su noi albanesi di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 4 settembre 2012 Per una volta, gli albanesi sono proiettati sullo schermo nella loro umanità, liberati dal ruolo del mostro essi assumono l’importanza di essere testimoni, e di trasmettere oggi la memoria di un evento che per certi versi ha cambiato la percezione dello straniero. “La nave dolce” è un documentario di Daniele Vicari, che è stato presentato il 2 settembre come evento speciale fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2012 C’era una volta una nave piena di zucchero che attraversò l’Adriatico. Non ricordo quante volte mi è stata raccontata la storia della nave dolce. I primi racconti li ho ascoltati seduto sul marciapiede di fronte a casa. Sandali, pantaloncini e canottiera bianca, una fila di otto quindicenni ascoltava con la testa in su il vicino diciottenne che, tornato il giorno prima da Bari, raccontava la sofferenza del viaggio, le umiliazioni dell’attesa sul molo, le violenze nello stadio. Poi alla sera, seduti sulle gradinate della Piramida, l’ex museo di Enver Hoxha, ascoltavamo altri ragazzi raccontare le stesse sofferenze, le umiliazioni, le violenze. Avevo vissuto da vicino il cambiamento politico di Tirana. Uscire sotto casa mentre era in corso una delle prime manifestazioni degli studenti mi era costato un polpaccio ferito da una pietra di un manifestante, una manganellata sulla spalla da parte di un militare, e una sfuriata finale di mia madre. Poi avevo visto la statua di Enver Hoxha tirata giù con le corde dagli stessi ragazzi che poi, armati di spranghe, avevano battagliato sull’arena dello stadio di Bari per accaparrarsi i panini lanciati dagli elicotteri. Io ho atteso di finire il liceo per emigrare, e in questi diciassette anni italiani, la vita mi ha portato a incontrare centinaia di connazionali, ognuno con la propria storia di disperazione, ma per tutti, quelli della nave dolce rimangono i più sfortunati. Sono passati ventun anni. Seduto nella Sala Grande della Biennale di Venezia, attendo di vedere la storia della nave di zucchero. Immagini video di repertorio mi ricordano le marce del 1° maggio, i discorsi al paese di Enver Hoxha, e la mia divisa da pioniere. Poi la caduta del muro di Berlino, le proteste degli studenti a Tirana, il cambiamento del sistema politico, e il desiderio collettivo di scappare. Le riprese sono dell’Archivio di stato albanese. Riconosco le strade vuote di Tirana, i palazzi popolari, le file di fronte ai negozi, i vecchi camion Skoda in attesa di partire per il porto di Durazzo, la nave coperta di persone, e gli ultimi arrivati che si aggrappano alle corde per unirsi agli altri nell’avventura italiana. È l’inizio di una storia che conosco, ma le immagini mi prendono alla gola e seguo gli eventi come se fossi tornato indietro nel tempo. Non c’è un narratore che interpreta gli eventi. Ci sono le testimonianze di alcuna persone che hanno vissuto l’esperienza in prima persona. Vengono ripresi in piedi. Dietro, un insolito sfondo bianco sembra voglia estrarli dal presente e dal passato: quello che hanno vissuto nei “giorni della nave” è prezioso, il resto non conta. I testimoni sorprendono con la loro allegria. Non esprimono giudizi. Con generosità regalano frammenti preziosi della loro esperienza, come si sono arrampicati, come hanno trascorso il viaggio, come sono sopravvissuti alla lunga detenzione nello stadio. Il tono non è disperato, non ci sono piagnucolii e tantomeno rivendicazioni. Sono semplicemente le vite di uomini, donne e bambini, i pezzi di un puzzle che, messo insieme, restituisce l’anima di quella nave che aveva fatto tanta paura. Mi trovo di fronte ad un racconto nuovo. Le immagini dello stadio trasformato in un carcere costringono alla paura. L’affacciarsi sui muri dello stadio, le urla in una lingua straniera, i continui tentativi di evasione, gli scontri con la polizia, il rumore degli elicotteri e delle sirene, tutti i colori di un quadro di paura. Nell’immaginario di noi albanesi, l’Italia corrispondeva al mondo della televisione. Prima della caduta del muro gran parte degli italiani invece non aveva alcuna idea dell’Albania. Dopo l’arrivo della nave Vlora, l’albanese è diventato qualcuno da temere, qualcuno da respingere. È iniziata così la creazione dell’immaginario sullo “straniero mostro”, così forte da legittimare le autorità a mettere in atto ogni tipo di reazione per difendere la “fortezza” Italia. L’istinto di paura, si sa, spesso prevale sulla ragione. E quando ci sono situazioni in cui lo Stato decide soluzioni violente, la paura dell’opinione pubblica diventa la migliore giustificazione. È successo anche al G8 di Genova, dove le immagini di alcuni gruppi di manifestanti violenti hanno suscitato in milioni di spettatori il consenso alla repressione e alle violenze delle forze dell’ordine su tutti i manifestanti. Poi il documentario “Diaz” di Daniele Vicari ci ha regalato un’altra prospettiva: anche in quella occasione, le singole storie dei partecipanti alla manifestazione ci hanno restituito le vere identità di quelli che tanti media avevano descritto come una massa pericolosa da cui difendersi. Così come a Genova, anche a Bari quelle ventimila persone, nude, stanche, ammassate su una banchina coperta di polvere di carbone, potevano anche essere viste come disperati da soccorrere da parte della Protezione civile. Invece hanno presto risvegliato le stesse fobie che in altri tempi hanno dato consenso a soluzioni finali tragiche. In questo modo, è stata legittimata la loro detenzione senza un ordine giudiziario, ciò che oggi viene chiamato “trattenimento”, e in giro per l’Italia sono stati costruiti decine di piccoli stadi, chiamati CPT, dove vengono rinchiuse tutte le persone che arrivano in Italia senza documenti. Il documentario ricorda anche il contrasto tra l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e il sindaco di Bari, tra il governo centrale che aveva deciso di risolvere il problema in termini di emergenze dell’ordine pubblico e l’amministrazione locale che si opponeva, denunciando il trattamento inumano della reclusione nello stadio. Ma è prevalso il principio dell’emergenza che, in contrasto con il principio di ragionevolezza ed equilibrio, non ha permesso nemmeno di separare le donne e i bambini, rinchiudendo anche loro in condizioni disastrose, senza acqua, senza cibo e senza servizi. Ci sono accadimenti storici che macchiano un po’ tutti, dando un senso di sporco anche a chi è rimasto impotente a guardare gli eventi. Ormai c’è un’assuefazione collettiva ai respingimenti in mare, ai naufragi, alla conta dei cadaveri sulle spiagge, un’adesione collettiva al rifiuto dell’ospitalità, una mancanza di sensibilità giustificata da concetti come “emergenza”, “insicurezza”, “ordine pubblico”. Tali oltraggi alla dignità umana a volte sporcano anche noi immigrati che viviamo il tutto con una sensazione di impotenza, una rassegnazione collettiva verso una realtà ormai considerata ineluttabile; alcuni invece si rifiutano di accettare questa realtà e rimangono fuori dal sistema cercando una vita diversa nell’illegalità, con l’inevitabile conseguenza del carcere, dove l’umiliazione e la perdita della dignità sono totali. Al termine del film, gli applausi non finiscono più. Mi stupisce l’effetto suscitato dal film a tal punto che mi viene il sospetto che la sala sia piena di albanesi. Mi guardo intorno e sento solo commenti in italiano. Allora voglio pensare che la nave dolce forse ha addolcito il giudizio degli italiani su noi albanesi. Se la storia della nave Vlora rimarrà sempre una drammatica avventura, questa volta ho provato uno strano senso di gioia nell’ascoltarla: per una volta, gli albanesi sono proiettati sullo schermo nella loro umanità, liberati dal ruolo del mostro essi assumono l’importanza di essere testimoni, e di trasmettere oggi la memoria di un evento che ha cambiato la percezione dello straniero. Il problema dell’immigrazione accompagnerà ancora per molti anni le paure degli italiani, ma questo documentario diventerà una ricchezza culturale perché permetterà di ricordare come queste paure ebbero inizio, come il respingimento degli albanesi segnò una nuova direzione nelle politiche sull’immigrazione in cui la parola d’ordine sarebbe diventata “respingere”. Una deriva che, ahimè, arriva al suo culmine con lo speronamento della nave “Kater i Rades”, dove annegarono quasi cento persone, ancora albanesi, tra le quali molte donne e bambini. Ma quella è un’altra storia, tutta da raccontare. India: Salvatore Girone e Massimiliano Latorre… una storia infinita www.ilmediano.it, 4 settembre 2012 I nostri due Fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono ancora detenuti in India, nelle mani di una nazione che non fa di meglio che rimpallare il caso da un’istituzione giuridica all’altra. L’India è un paese bellissimo, con 1,3 miliardi di abitanti, dalle tante etnie e religioni, dalle mille contraddizioni. Non ultima, visto che parliamo di una vicenda accaduta nell’ambito della lotta alla pirateria, quella di essere uno dei paesi firmatari del trattato Unclos (United Nations Convention on the Law of the Sea), ovvero la “Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare”. Massimiliano Latorre, 44enne di Taranto, e Salvatore Girone, 34 anni, di Bari, giocatore di Rugby, sono Fucilieri del Reggimento “San Marco” della Marina Militare; fanno parte di un nucleo di protezione formato da militari altamente specializzati. I nostri due ragazzi, in forza a Brindisi, erano imbarcati sulla petroliera italiana “Enrica Lexie”; sono stati accusati di omicidio per l’uccisione, durante un’azione antipirateria, di due pescatori indiani scambiati per pirati. Secondo il rilevamento effettuato al momento dell’accaduto, il cargo italiano si trovava a 33 miglia dalla costa, in acque internazionali, per cui, per “diritto ultra consolidato”, l’India non può perseguire nessuna ipotesi di reato. Secondo la legge indiana, l’articolo 302 del codice penale prevede per l’omicidio pene severe, fino a quella di morte; inoltre, Girone e Latorre sono al centro di una campagna mediatica estremamente sfavorevole, che sembra averli già condannati. La presenza di militari a bordo di navi mercantili è regolata da una specifica legge italiana che si uniforma ai protocolli internazionali e alle risoluzioni delle Nazioni Unite in materia di lotta alla pirateria. Oltretutto, i militari sono organi dello Stato italiano, pertanto godono dell’immunità, il che li esime dall’essere giudicati da uno stato straniero. Il personale della Marina Militare Italiana a bordo dell’”Enrica Lexie” ha seguito rigorosamente le regole di ingaggio; il comandante della nave, Umberto Vitelli, è stato indotto, con la scusa del riconoscimento di un peschereccio armato (presumibilmente quello dell’abbordaggio indicato dai fucilieri) a portare il cargo nel porto di Kochi, consegnando di fatto Latorre e Girone alle autorità indiane. Riguardo questo punto, è lecito chiedersi chi abbia impartito questa direttiva e perché. Per gli indiani sarà karma, ma a noi sembra una grande farsa, una farsa dove i tanti interpreti, non solamente indiani, rimangono attoniti sulla scena. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati arrestati illegittimamente, sono detenuti e giudicati impropriamente, nell’assoluto disprezzo del diritto internazionale, nel silenzio dell’Ue, dell’Onu, del trattato Unclos, e così via. E l’Italia? L’Italia, quella della gente, grida, s’indigna, protesta e chiede il rilascio dei nostri ragazzi. Quella delle Istituzioni, invece, tratta, non fa la voce grossa, permette che il Festival del Cinema di Venezia cominci con un film prodotto in India. Sarà perché l’Italia non ha peso in campo internazionale? O, piuttosto, perché gli interessi commerciali sono più importanti? Più importanti dei nostri militari di protezione antipirateria che combattono il diffuso fenomeno di banditi che attaccano e sequestrano mercantili per poi chiedere un cospicuo riscatto? I fatti avvenuti in prossimità delle acque indiane, in mare aperto, sono regolati da una convenzione firmata sotto l’egida delle Nazioni Unite che rappresenta una forma scritta di Diritto internazionale che regola giuridicamente l’Alto Mare. La missione navale Atlanta Ue in atto della zona del Corno d’Africa, ha un costo di 720 mln di euro suddiviso tra i Paesi partecipanti; le nazioni maggiormente interessate e danneggiate dalla pirateria, poi, sono proprio quelle che non vengono gravate dai costi delle missioni; in una simile crisi, anzi, se ne lavano le mani o, peggio, ne osteggiano la risoluzione, come sta facendo l’India in questo momento. Il Governo italiano dovrebbe proteggere in nostri fucilieri Latorre e Girone, perché militari italiani in missione, non carne da macello. Dovrebbe mettere in atto contromisure e ritorsioni commerciali, intensificare le proteste diplomatiche e, se tutto ciò non bastasse, extrema ratio, andare a riprenderseli. Invece, li ha mandati nelle fauci del lupo. Poi, alla fine di questa brutta vicenda, dovrebbe, almeno, chiedere scusa a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, alle loro famiglie e al Paese intero. Bulgaria: licenziato capo carcere di Burgas, dopo suicidio di un cittadino tedesco Associated Press, 4 settembre 2012 Il capo della casa di reclusione di Burgas Plamen Minkov è stato licenziato e nei suoi confronti è stato avviato un procedimento penale per violazioni, hanno comunicato dal centro stampa presso il Ministero della Giustizia. Il Ministro della Giustizia Diana Kovacheva ha disposto un controllo presso la casa di reclusione di Burgas dove il cittadino tedesco Rolf Gremel si è strangolato usando un cavo elettrico. Ricordiamo che Rolf Gremel ha confessato di aver ucciso il suo amico Henri Schtenberg per gelosia ed è stato detenuto per 72 ore. Gremel soffriva l’astinenza alcolica e basandosi su informazione non confermata nella casa di reclusione si è trovato in stato di astinenza, pianto e depressione chiedendo di guardare la TV. Probabilmente è stato portato fuori dalla cella, ma non è ancora chiaro il motivo per cui le guardie di turno non avessero chiamato uno psicologo in modo di poterlo calmare. E ancora per quale motivo un detenuto per reato grave fosse stato lasciato da solo. Sono state licenziate anche le guardie di turno per la irresponsabilità commessa. Iran: impiccati tre detenuti, di cui due fratelli condannati per droga Aki, 4 settembre 2012 Sono stati impiccati ieri mattina i due giovani fratelli Parviz Parvizi (33 anni) e Iraj Parvizi (31) nel carcere di Gohardasht, vicino Teheran. La notizia è stata resa pubblica solo oggi dal sito attivo nell'ambito dei diritti umani Herana, il quale ha spiegato che i due erano stati condannati a morte dal Tribunale della Rivoluzione di Karaj per traffico di droga. Stando al sito, i familiari dei condannati non erano stati informati dalle autorità giudiziarie della data dell'impiccagione. Insieme ai due fratelli, è stato impiccato un altro uomo, di cui però non si conoscono le generalità. Il carcere di Gohardasht è una delle prigioni più dure in Iran. Vi sono rinchiusi, oltre a criminali comuni, numerosi prigionieri politici. Secondo i siti attivi nell'ambito dei diritti umani, negli ultimi due anni sono state impiccate in Iran oltre mille persone. A partire dalla rivoluzione del 1979 e dall'istituzione della Repubblica Islamica, vige nel paese il diritto penale islamico sciita, che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra i quali il traffico di droga. Svizzera: muore detenuto che si era dato fuoco in cella due settimane fa Apcom, 4 settembre 2012 Un detenuto che lo scorso 24 agosto ha dato fuoco alla sua giacca in una cella a Zurigo è deceduto ieri in ospedale a causa delle gravi ustioni riportate. L’uomo, sulla quarantina, si trovava in detenzione preventiva dalla fine di luglio. Nell’episodio di dieci giorni fa ha riportato ustioni di secondo e terzo grado, indica oggi in una nota il servizio cantonale per l’esecuzione delle pene. Il Ministero pubblico ha aperto un’inchiesta. Gran Bretagna: Paralimpiadi 2012; dal carcere spagnolo al podio paralimpico Redattore Sociale, 4 settembre 2012 Era il 1985 quando il giovane Rodriguez militava nel “Grapo”, un gruppo di estrema sinistra dedito ad attività terroristiche. Colpevole di avere ucciso Rafel Padura, un uomo d’affari, fu condannato a scontare una pena di 84 anni La maggioranza degli atleti paralimpici di Londra ha storie strabilianti da raccontare. Tra queste, quella di Sebastian Rodriguez non fa eccezione. Il nuotatore spagnolo è, infatti, passato in pochi anni da una condanna a 84 anni di carcere ad una medaglia d’argento nei 200 metri stile libero. La sua vicenda è riportata dal sito dell’Inail Superabile.it. Era il 1985 quando il giovane Rodriguez militava nel “Grapo”, un gruppo di estrema sinistra dedito ad attività terroristiche. Colpevole di avere ucciso Rafel Padura, un uomo d’affari molto conosciuto in Spagna all’epoca, fu condannato a scontare una pena di 84 anni. Cinque anni più tardi Rodriguez iniziò una protesta contro il governo, il quale si era rifiutato di riunire tutti i membri del Grapo nello stesso carcere. Lo sciopero della fame indebolì progressivamente il fisico di Rodriguez, a tal punto che il suo organismo divenne ben presto non più in grado di assumere proteine, con la conseguente perdita dell’uso delle gambe. Proprio a causa di questa disabilità, nel 1994 Sebastian, nonostante le proteste della famiglia della vittima, riceve la grazia da parte del Governo spagnolo ed esce dal carcere in cerca di riscatto. Il debutto paralimpico è a Sydney, dove vince ben cinque medaglie d’oro. I successi, tuttavia, non si arrestano. Ad Atene arrivano tre ori e due argento, mentre a Pechino lo spagnolo porta a casa due bronzi. Dopo la vittoria di Londra il medagliere personale di Rodriguez ha raggiunto quota tredici. Chissà cosa riserverà ancora la vita a questo nuotatore che in una recente intervista ha dichiarato “Il passato non può essere cancellato, non basta che mi batta il petto e che mi penta”. Russia: ex campione mondo Karpov organizzerà torneo di scacchi tra detenuti Tm News, 4 settembre 2012 Un torneo di scacchi tra detenuti russi e americani: per ora un’idea, ma presto un concreto evento, assicura il pluricampione del mondo Anatoly Karpov, che intende organizzare la sfida tra carcerati del suo Paese con quelli americani. L’ex zar della scacchiera - riferisce Ria Novosti - oggi ha organizzato a Mosca una serie di partite tra detenuti e impiegati del Servizio penitenziario russo e ora intende estendere l’esperienza a livello internazionale, ha annunciato il direttore del dipartimento governativo che gestisce le carceri russe, Boris Suchkov. “Anatoli Karpov ha presentato l’idea di un torneo di scacchi tra detenuti russi e americani, se tutto va bene, saremo felici di invitarvi presto a seguire questo torneo”, ha detto l’alto funzionario. Karpov ha poi spiegato che gli scacchi hanno un loro ruolo da tempo nel mondo carcerario di vari Paesi. In particolare, in Brasile 200 giovani giocatori volontari insegnano le regole degli scacchi ai carcerati. Anche negli Usa, ha aggiunto, sono partiti alcuni programmi: “l’America ha davvero bisogno di questo programma”, ha sostenuto il gran maestro, che conta di mettere alla prova gli sfidanti americani anche in questa versione.