Sallusti? Venga nella nostra redazione, da libero di Silvia Giralucci Pubblico, 30 settembre 2012 “Abbiamo una proposta per Alessandro Sallusti: venga da noi, nella redazione della rivista del carcere Due Palazzi di Padova, Ristretti Orizzonti. Non lo vogliamo detenuto, vogliamo solo che capisca che cos’è il carcere. Farebbe bene a lui e anche a noi”. Per arrivare a Ristretti Orizzonti bisogna attraversare 12 porte blindate, dare i documenti all’ingresso e far segnare il proprio nome a due snodi. E questo, anche se si è volontari che frequentano regolarmente il carcere. La redazione è una piccola oasi nella desolazione di una casa di reclusione - considerata modello in Italia - dove in celle costruite per 400 detenuti ce ne sono al momento 900. Per i nuovi arrivi, si prevede di arrivare a 1000 detenuti prima della fine dell’anno, ci si sta attrezzando aggiungendo una terza branda in celle di 3 metri per 4, bagno compreso. Dodici metri quadri per tre letti, tre armadietti, i tavolini, gli sgabelli e tutta la vita di ogni detenuto. In parole povere significa che se uno vuole minimamente muoversi, gli altri due devono stare stesi a letto. Solo pensando a questa situazione si capisce perché quasi nessuno di questi detenuti pensa che il direttore, ormai ex direttore, del Giornale dovrebbe andare in carcere per il reato di diffamazione. “Però un breve stage, anche di un solo giorno - aggiunge la direttrice della rivista, Ornella Favero, che da 16 anni fa questo lavoro quotidiano come volontariato - farebbe bene a tutti i giornalisti. A chi dirige un giornale che ha invocato la galera per ogni genere di reato e che spesso usa le parole per distruggere le persone probabilmente anche più che ad altri”. La discussione in redazione parte dalla terminologia: “reato d’opinione”. “Sono anni - spiega la direttrice - che discutiamo sulle parole. Dire che la diffamazione è un reato d’opinione è sbagliato come dire che una rapina è un reato contro il patrimonio. Perché le vittime sono comunque persone. Una persona che era in banca durante la rapina si porta dietro per anni il trauma della paura. Allo stesso modo con le parole si può distruggere la dignità di un uomo. Da quando c’è Internet poi quel che è scritto, anche se è falso, produce i suoi effetti per anni”. “Detto questo - prosegue Ornella Favero - la pena del carcere è spropositata. Il problema però è generale: le carceri italiane sono piene di persone che non ci dovrebbero stare. A partire dai tossicodipendenti, o dalle persone che provocano un incidente stradale e uccidono. Producono danni terribili, ma il carcere è il modo migliore per restituire alla società persone rieducate?”. Le galere, spiegano i detenuti, sono piene di persone recluse anche per molto meno di quanto ha fatto Sallusti. Sergio Valente: “Nel 1999 mi sequestrarono tre milioni di lire che pensavano potesse essere denaro proveniente da rapina. Non lo era, e i soldi mi sono stati restituiti, ma all’interno c’erano 100 mila lire false, per quelle mi sono preso 8 mesi, che devo scontare in aggiunta alle pene per altri reati”. Paolo Cambedda: “Nella mia sezione alla cella numero 5 c’è un tossicodipendente che scontando due anni di pena definitiva per il furto di una bicicletta che era pure rotta”. Klajdi Salla, albanese: Nel mio piano c’è un connazionale che ha rubato un salame al supermercato. Birti Clirim: Tra i vari reati, sono stato condannato anche perché ho dato un nome falso ad un controllo documenti: “dichiarazione falsa a pubblico ufficiale”, 15 mesi. A questa lista si potrebbe facilmente aggiungere l’oltraggio a pubblico ufficiale: era stato depenalizzato e poi è stato reintrodotto dal centro destra. Prevede una condanna fino a tre anni di reclusione. In generale ci sono due categorie di reati per cui il carcere non serve a restituire alla società persone migliori di quelle che sono entrate: i reati legati alla tossicodipendenza e quelli relativi agli omicidi colposi, per chi alla guida ammazza una persona. “I primi - spiega Ornella Favero - dovrebbero essere curati. Per i secondi più che mesi o anni di carceri potrebbero essere efficaci lavori socialmente utili nei reparti di Pronto soccorso, dove si rendessero conto di quali sono le conseguenze delle loro azioni”. In redazione, ieri, c’era anche un fotografo, Massimo P. Ha addosso il cartellino giallo dei volontari, ma non è propriamente un volontario: “Una sera, era l’una di notte, ho bevuto una birra grande, mezzo litro. Mi hanno fermato, e alla prova dell’etilometro avevo un tasso alcolico di 0,6. La legge prevede che le sanzioni per chi viene fermato ubriaco tra le 22 e le 7 del mattino siano doppie. Sono stato condannato a 45 giorni di carcere. In alternativa potevo pagare 13.500 euro, oppure chiedere di essere messo alla prova con i lavori socialmente utili. Devo “scontare” 332 ore, ed è per questo che ogni lunedì e venerdì fino a marzo sarò qui, nella redazione della rivista del carcere”. I lavori socialmente utili a volte possono fare molto più del carcere. Salluti afferma che non deve essere rieducato. “A me invece - dice Sulla - pare proprio che ne avrebbe bisogno: dovrebbe essere rieducato all’uso delle parole, a quanto possono fare male”. “Gli basterebbe un giorno - aggiunge Dritan - anche un’ora di carcere per capire che cosa vuol dire. Fare il giornalista comporta delle responsabilità: il muratore può fare una casa storta che crolla, il medico può ammazzare un malato e un giornalista può rovinare la vita di altre persone” Si discute di quali altri Paesi in Europa prevedano il carcere per reati a mezzo stampa. C’è forse un altro dato di cui si dovrebbe tener conto. In Italia secondo i dati diffusi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziari l’82,7% dell’esecuzione penale avviene in carcere, meno. del 20% dei condannati può espiare la pena in modo diverso. In altri Paesi europei queste percentuali sono ribaltati: in Francia l’esecuzione della pena avviene in carcere solo per il 26% dei condannati, in Gran Bretagna per il 25,6%. “Da anni - dice Luigi Guida - ripetiamo che il carcere non è la soluzione più opportuna per tanti reati. Ma se lo urliamo tutti noi 67.000 detenuti attualmente reclusi nelle carceri italiani nessuno ci sente, se il problema è Sallusti finisce nella prime pagine dei giornali, sulla scrivania di Napolitano, in cima all’agenda del ministro Severino, nel calendario dei lavori della Camera”. Il Governo proceda con maggiore coraggio per un cambiamento del sistema penitenziario di Luisa Prodi (Presidente Seac - Segretariato Nazionale Enti di Assistenza ai Carcerati) Ristretti Orizzonti, 30 settembre 2012 Gli appelli del Presidente Napolitano al Governo e al Parlamento sulla insostenibile questione delle carceri stanno diventando più frequenti, quasi a controbilanciare un silenzio della classe politica su questi temi che ha dell’imbarazzante. Se nel luglio dello scorso anno il suo richiamo si basava primariamente su valori etici: “Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita” , oggi fa leva sulla credibilità internazionale dell’Italia, confidando in un sussulto di orgoglio affinché si eviti al nostro Paese l’umiliazione di essere ripetutamente condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per questioni riguardanti il sovraffollamento carcerario e il maltrattamento dei detenuti. Del comunicato del Presidente si discute prevalentemente la parte finale, riguardante eventuali provvedimenti di clemenza. Provvedimenti importanti in una situazione di emergenza assoluta, quale è quella attuale, e che se posti in essere potrebbero ridare un po’ di respiro ad un sistema penitenziario al collasso. Ma che in nessun caso potranno essere risolutivi del problema, perché incapaci di incidere sulle sue cause strutturali. Il Presidente ha fatto esplicito richiamo alla funzione rieducativa della pena, affermata nella Costituzione italiana. Le linee ideali propugnate dai padri costituenti non sono mai diventate pienamente pratica, soprattutto perché mai si è voluto immaginare uno scenario penale che si discostasse dal carcere. In Italia quasi ogni reato, dal furto di bicicletta allo spaccio internazionale, si punisce con il carcere, quello che varia è solo il tempo della pena, e parzialmente le modalità di detenzione. È qualcosa che contrasta in modo evidente con l’idea di una pena che deve specchiarsi in un futuro e preparare una vita onesta, utile, ben inserita nella collettività. Il carcere di per sé è ostativo ad un processo educativo, tanto più se le condizioni di vita all’interno degli istituti sono difficili a causa del sovraffollamento. Una persona buttata su una branda a giornate intere, impossibilitata ad assumersi qualsiasi genere di responsabilità, spesso sottoposta a trattamenti irrispettosi della dignità di un essere umano non sarà probabilmente, una volta scontata la pena, un cittadino onesto, consapevole, partecipe della vita della comunità e rispettoso delle sue norme. Occorre puntare decisamente verso modalità di esecuzione penale orientate alla assunzione personale di responsabilità, alla progettazione operosa del proprio futuro, alla reintegrazione nel tessuto sociale dopo la frattura provocata dal reato. Se questo avverrà ne beneficerà non solo la persona in esecuzione penale, che finalmente si vedrà trattata in modo rispettoso, ma tutta intera la collettività. È risaputo, infatti, che si abbassa drasticamente il numero di recidive quando sia possibile l’accesso alla semilibertà, all’affidamento e ad altre forme alternative alla carcerazione, e molto più frequente la conclusione positiva del processo dei reinserimento sociale. La richiesta del Presidente Napolitano di un sistema penale che preveda il carcere solo per le fattispecie più gravi e che prenda in esame modalità diverse di restituzione e riparazione rispetto al danno commesso deve essere presa in seria considerazione dal Parlamento (questo o il prossimo, ci dice il Presidente, quasi a dire ai parlamentari che non basta la scusa delle elezioni imminenti per farla franca: i problemi rimangono e si deve avere il coraggio di affrontarli). Anche il Governo, che pure qualche tentativo ha fatto in ordine al decongestionamento delle carceri, deve procedere con coraggio maggiore verso un reale cambiamento del sistema penitenziario, mettendo in campo una sorta di pain-review che mostri almeno lo stesso coraggio con cui si è affrontato il problema della spesa pubblica. Che significa da una parte cambiare la normativa, prevedendo la depenalizzazione di alcuni reati e l’irrogazione di pene non detentive, e allo stesso tempo con lo stanziamento di adeguati fondi alle amministrazioni locali affinché possano predisporre e attuare efficaci piani di reinserimento sociale. Giustizia: ecco il pacchetto svuota-carceri a costo zero di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 30 settembre 2012 Eliminare tutte le ipotesi obbligatorie di ricorso alla custodia cautelare in carcere (salvo per mafia e terrorismo), cancellare anche l’eredità avvelenata della legge ex Cirielli del 2005 e cioè gli automatismi che ad alcune categorie di condannati precludono o rendono ardua la detenzione domiciliare e soprattutto l’accesso alle misure alternative alla detenzione. E poi l’introduzione, quando l’imputato sia detenuto, di un inedito meccanismo di stringente e periodico controllo dei tempi del processo al quale lo Stato lo sottopone; più spazio ai magistrati di Sorveglianza nel valutare caso per caso il condannato, fino al potere di applicargli già in via provvisoria anche l’affidamento in prova ai servizi sociali; e collegamenti in videoconferenza tra il detenuto (dal carcere) e il giudice di sorveglianza (dal Tribunale) per abbattere trasferte, tempi e costi delle procedure che oggi ingolfano e rallentano le decisioni sulle misure alternative. Sono modifiche che la “Commissione d’indagine sui diritti dei detenuti in relazione alla situazione delle carceri” presenta senza pretese di sistematicità e chirurgiche soluzioni organizzative. Eppure può rappresentare una rivoluzione nella politica criminale degli ultimi anni questa ricetta d’emergenza e senza costi aggiuntivi che la Commissione mista tra Consiglio superiore della magistratura (3 membri), Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia (3) e magistrati di sorveglianza (6) si appresta dopo un anno e mezzo a formulare in ottobre per alleviare di alcune migliaia di presenze il sovraffollamento nelle carceri italiane (21 mila detenuti in più dei posti disponibili, 20% in attesa di prima sentenza) sia in uscita sia in non - entrata. In attesa che il Parlamento faccia le grandi scelte (a partire dal ddl Severino sul misure alternative e lavoro in carcere), lo scopo della ricetta della Commissione coordinata dal professor Glauco Giostra è da un lato evitare che restino in carcere per obbligo di legge imputati la cui pericolosità potrebbe invece essere contenuta da misure meno limitative della libertà personale; dall’altro lato scongiurare l’inutile “assaggio di carcere” per chi vi entri obbligatoriamente, essendo però destinato a uscirne dopo poco tempo. E, in più, semplificare i percorsi di accesso a quelle misure alternative dalle quali torna a delinquere solo il 19% dei condannati (stando a statistiche che ora il Dap si propone di aggiornare insieme a Bankitalia, Università di Torino e Sole24Ore) contro il 68% di chi espia la pena solo in carcere, percentuale che tende addirittura a scendere sotto il 5% per chi in carcere comincia a lavorare. Nel mirino della Commissione mista c’è uno dei maggiori produttori di carcere oggi in Italia, e cioè il 4-bis, l’articolo dell’ordinamento penitenziario che per un eterogeneo catalogo di tipi di reati, variabile come il raggio d’azione dei vari pacchetti - sicurezza stratificatisi negli anni per ragioni elettorali, impedisce l’accesso ai benefici penitenziari in forza di rigidi automatismi che non consentono al giudice di sorveglianza di dare proporzionalità caso per caso all’esecuzione della pena. Sulla stessa scia, e seguendo l’opera di smantellamento già avviata dalla Corte Costituzionale, la Commissione propone di eliminare tutti i casi di custodia cautelare in carcere obbligatoria, lasciando il carcere come extrema ratio se tutte le altre misure (comprese quelle interdittive di durata allungata) siano inadeguate. E via anche agli automatismi che la legge ex Cirielli dal 2005 applica ai recidivi a prescindere dal maggiore o minore rilievo del titolo di reato, dalla gravità o meno del fatto, dagli altri parametri di valutazione. Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (in particolare da una sentenza contro la Moldavia del 2007) arriva invece lo spunto per l’idea di uno stringente “orologio” del processo quando l’imputato sia detenuto. Giustizia: le carceri italiane… illegali e pluricondannate dall’Unione europea Alessandro Graziadei www.unimondo.org, 30 settembre 2012 L’Ordinamento Penitenziario che regolamenta le condizioni di vita delle carceri italiane afferma che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. Tuttavia, l’affollamento degli istituti di detenzione, il numero elevato dei suicidi e delle morti in carcere, le condizioni igieniche e sanitarie insufficienti, che avevamo raccontato poco più di un mese fa, dimostrano il cronico stato di emergenza della situazione penitenziaria italiana. “Da agosto - ha detto il Ministro della Giustizia Paola Severino a margine del saluto alle matricole della Luiss - il Governo sulla situazione delle carceri non è però rimasto a guardare e nel pacchetto di riforme sulla giustizia c’è oltre all’approvazione del sistema anti corruzione anche il tema delle carceri”. Il pacchetto, ha ribadito il ministro ricordando che le norme sono già in discussione in commissione Giustizia alla Camera “vertono anche sulle misure alternative, un completamento importante per deflazionare il carcere”. Una modalità già intrapresa dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione autonoma del Trentino Alto-Adige che hanno sottoscritto il 13 settembre col Ministero un protocollo d’intesa sul trattamento sociale dei detenuti e dei soggetti in esecuzione penale esterna con l’obiettivo di realizzare un quadro organico di iniziative per alleggerire le carceri attraverso un reinserimento sociale e lavorativo, lo sviluppo di attività in favore delle vittime dei reati e della comunità oltre alla costruzione di progetti riparatori. Quanto basta? Non proprio a detta dei Radicali. “I dati in nostro possesso smascherano l’inefficacia dei provvedimenti finora adottati dal Governo italiano”, ha denunciato martedì il segretario dei Radicali Mario Staderini con Marco Pannella e Rita Bernardini, ricordando che “l’Italia è lo Stato europeo con il maggior numero di condanne, dopo la Turchia, per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: oltre duemila sentenze della Corte di Strasburgo, in particolare per irragionevole durata dei processi e condizioni delle carceri che possono vantare un sovraffollamento secondo in Europa sola alla Serbia”? Ultimo in ordine di tempo è il verdetto sul caso Sulejmanovic conclusosi nel luglio 2009 che ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che proibisce di sottoporre i detenuti a “trattamenti inumani e degradanti”, e stabilisce il diritto a un risarcimento economico per il danno subito. “Per questi motivi abbiamo fornito al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, chiamato a valutare lunedì quanto fatto dall’Italia rispetto alle condizioni delle carceri, le informazioni sulla reale situazione italiana e la documentazione che prova che il piano d’azione presentato e in discussione dall’esecutivo non inciderà in alcun modo sulla sistematica violazione dei diritti umani a causa della bancarotta del sistema giustizia del nostro Paese” ha precisato Staderini. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 agosto i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 66.271, a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti. “Ma sulla questione dei posti regolamentari il governo si comporta da trecartaro - ha sostenuto la Bernardini. A causa della mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria, intere zone negli istituti sono chiuse, transennate, però restano nel computo della capienza regolamentare” inoltre “il disegno di legge delega del Governo in materia di depenalizzazione e decarcerizzazione, calendarizzato a marzo, oggi è ancora al palo”: tutti i progetti di ampliamento delle carceri non sono ancora appaltati, non hanno una copertura economica e soprattutto per i Radicali il disegno “non fornisce nessuna indicazione in merito alle esigenze sanitarie, al lavoro e ai suicidi di detenuti e agenti penitenziari” Ben diversi dal Ministero i dati riportati dall’Associazione Antigone per la quale la situazione è fuori controllo e richiede interventi strutturali: “i detenuti erano, nel 2008, oltre 63.000, 20.000 in più rispetto alla capienza regolamentare e tollerabile per la stessa amministrazione penitenziaria. Dal primo gennaio 2009, l’aumento è stato di 5.500 detenuti, con un tasso di crescita leggermente inferiore alle 1.000 persone al mese. Numeri allarmanti che, se non contraddetti da misure concrete, potrebbero raggiungere alla fine del 2012, il tetto delle 100.000 unità”. Se questi sono i dati corretti “Occorre fare presto” ha aggiunto l’avvocato Riccardo Polidoro, Presidente dell’associazione Il Carcere Possibile. “Durante l’estate il Ministro Severino è andata in giro per le carceri italiane, promettendo ai detenuti una riforma in tempi brevi, ma l’approdo in aula è stato continuamente rinviato. Cosa che reputo assurda”. Se il carcere dovrebbe restituire alla società civile una persona migliore, rieducata, per molte associazioni le condizioni in cui i detenuti scontano la loro pena non lo permettono: “chiunque peggiorerebbe, a causa dei tagli si sono anche eliminate figure molto importanti come gli operatori sociali, facendo cadere la funzione rieducativa della pena”. A Poggioreale dove in questi giorni i detenuti stanno portando avanti una protesta pacifica per la mancata discussione in Parlamento della riforma del sistema carcerario “ci sono fino a 12 detenuti per cella, non riescono nemmeno a stare in piedi tutti insieme e per dormire fanno i turni sui letti a castello. Questo modello detentivo non è solo punitivo, ma è illegale” ha aggiunto Polidoro. Ora i Radicali chiedono al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa di “adottare un provvedimento forte nei confronti dell’Italia, con l’indicazione dell’amnistia come soluzione da adottare immediatamente e di valutare la sospensione dei rappresentati italiani dell’organo del Consiglio d’Europa”. Tra le misure proposte, anche la “sospensione dell’esecuzione della pena, in caso di sopraggiunto limite della capienza regolamentare”. Ma non è l’unica soluzione: “In Italia c’è un ottimo ordinamento penitenziario che però non viene rispettato, per migliorare subito basterebbe applicarlo” ha concluso Polidoro. Ora le carceri sono oltre il livello di guardia, la corruzione anche. Che i tempi siamo maturi per un intervento del Governo? Martedì 2 Ottobre in un Convegno al Senato, organizzato da Antigone, l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, la Scuola di Filosofia fuori le mura e il Dipartimento di Teoria e Metodi delle Scienze umane dell’Università di Napoli, discuteremo di “Ergastolo e Democrazia”. Sul tema il Sen. Francesco Ferrante ha scritto un articolo pubblicato ieri da Europa: “Carceri, è l’ora delle alternative”, che ci permettiamo di inviare. Giustizia: in Italia di ergastolo si muore… di Francesco Ferrante (Senatore Partito Democratico) Ristretti Orizzonti, 30 settembre 2012 Non bisogna certo essere accaniti giustizialisti in Italia per nutrire dei dubbi sul concetto di certezza della pena nel nostro Paese. La cronaca spesso ci restituisce un’immagine di un sistema giudiziario inefficiente e inefficace e che spesso suscita l’impressione che chi sbaglia non paghi fino in fondo. E molte volte a questa sensazione se ne accompagna un’altra relativa alla pena dell’ergastolo che invece è falsa. L’ergastolo, la massima pena prevista nell’ordinamento giuridico penale italiano per un delitto sarebbe una pena non abbastanza dura perché un luogo comune piuttosto diffuso dice che “non è a vita, dopo un po’ escono tutti”. Invece no, in Italia di ergastolo si muore. O meglio, nelle nostre carceri si infligge e si sconta una “pena di morte viva”. Così l’ha chiamata Carmelo Musumeci, ergastolano, scrittore e attivista per i diritti dei reclusi. In Italia infatti è in vigore l’ergastolo ostativo, ovvero un ergastolo che non prevede assolutamente l’eventualità che la pena carceraria si possa tramutare in una pena alternativa, non prevede permessi, per alcun motivo: si passa la vita dietro le sbarre, fino al giorno in cui il medico del carcere certificherà la morte del detenuto. Per questo a Carmelo le autorità hanno negato il permesso di venire a rendere la sua testimonianza a Roma in Senato, martedì 2 ottobre, al convegno che abbiamo organizzato con Antigone, l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, la Scuola di Filosofia fuori le mura e il Dipartimento di Teoria e Metodi delle Scienze umane dell’Università di Napoli su “Ergastolo e democrazia”. Al convegno parteciperanno oltre a Nadia Bizzotto e al professor Giuseppe Ferraro, ideatori dell’iniziativa, e ai colleghi Di Giovanpaolo, Bonino e Fleres, giuristi ed e esponenti della società civile impegnati sul fronte dei diritti e della civiltà (da Gherardo Colombo ad Agnese Moro, Paolo Ramonda a Stefano Anastasia, da Luciano Eusebi a Carlo Fiorio, da Andrea Pugiotto a Eligio Resta). Sarà l’occasione per tornare a parlare di ergastolo, una pena che contraddice spirito e sostanza della nostra costituzione e in particolare “dell’ostativo”. Spiegheremo che il detenuto condannato a questa pena ha una sola possibilità per sperare in un’ora di permesso, o che un giorno gli vengano riconosciuti i benefici di legge, di legge insisto: occorre che collabori, ovvero che faccia i nomi di altri coinvolti in reati gravi collegati alla criminalità organizzata. Un “pentimento”, che in alcuni detenuti possiamo e dobbiamo ritenere sia sincero, che può dimostrarsi solo in un’azione che per molti equivale a coinvolgere la famiglia, che all’esterno potrà diventare il bersaglio di vendette trasversali. Non stupisce dunque che la grandissima maggioranza di chi ha un ergastolo ostativo non diventi un collaboratore di giustizia. Una voce altamente autorevole come quella l’ex presidente della Corte Costituzionale Onida, nel rispondere a precise domande di Musumeci e altri condannati nelle sue condizioni, ha confutato il nesso tra ravvedimento e pentimento espresso con la collaborazione con la giustizia. Sia chiaro che non è in discussione qui l’obbligo di infliggere una pena severa, ma è il caso però di riflettere se quella che è una sostanziale sentenza di morte, semplicemente diluita nel tempo, sia conforme ai principi di uno stato di diritto, a partire dal nostro e dalla nostra Carta. Il ravvedimento del condannato è il fine ultimo dello Stato che si assume l’onere di punire il colpevole, ma l’ergastolo ostativo è la negazione assoluta del concetto, perché una persona che uscirà solo da morta da un penitenziario, consapevole di questo destino, non potrà mai ovviamente dimostrare alla società se e quanto sia cambiato. L’ergastolo ostativo è l’espressione più eclatante dell’annichilimento del percorso di recupero, ma occorre avere il coraggio di affrontare questioni impopolari quali l’ergastolo nella sua forma più diffusa e più in genere la funzionalità del carcere e della pena. Noi riteniamo che sia giusto dire la verità, elevare il livello di giustizia e democrazia di uno stato affrontando lo stato delle carceri e dei detenuti, con un approccio scevro di emotività e facile demagogia. È arrivato il momento, come disse il cardinal Martini, di non limitarsi a pensare a pene alternative, e già sarebbe qualcosa visto l’intollerabile sovraffollamento delle carceri, ma è necessario cominciare a ragionare seriamente su alternative alle pene. Giustizia: la differenza tra le carceri italiane e quelle inglesi? è nella “trasparenza” di Jacopo Ottaviani Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2012 833 suicidi nelle carceri inglesi in 10 anni. E questo il numero che emerge dai bollettini del Ministero della Giustizia del Regno Unito, che questa estate ha pubblicato gli ultimi rilevamenti sullo stato delle carceri in Inghilterra e Galles (Safety in custody, Luglio 2012). Scendendo nel dettaglio dell’ultimo anno, il 2011, su una popolazione di 85,851 detenuti, 57 si tolti la vita (0.66 su mille). La maggior parte di questi sono uomini, bianchi e di età compresa tra 21 e 49 anni, con condanna definitiva o rimandati a giudizio. Interessante anche il dato sulla nazionalità: il 22.8% dei suicidi è stato commesso da cittadini stranieri. Facendo della trasparenza un principio fondante, il Ministero rivela dati specifici sulle singole carceri - cosa che in Italia si delega al servizio di associazioni di volontariato come Ristretti Orizzonti (sui quali dati si basa la mappa delle carceri pubblicata da Il Fatto Quotidiano). Dai dati ministeriali, rielaborati e mappati dal Guardian Datablog, emergono gli istituti più problematici. A riportare le più alte percentuali di suicidi sono i penitenziari di Bedford, Leicester, Gloucester e Shepton Malleta. E nonostante il Ministero della Giustizia enfatizzi che “tolto il 2007, negli ultimi dieci anni i suicidi nelle carceri inglesi e gallesi sono calati”, non mancano dati che fanno discutere. Dalle elaborazioni del Guardian emergono prigioni che hanno visto il proprio numero di suicidi salire nell’ultimo biennio: è il caso di Glen Parva (da 2 a 4 suicidi dal 2010 al 2011) e Bedford (da 1 a 4). Rapportando il tutto all’Italia, sono due le questioni che risaltano. Primo, il fatto che seppure preoccupanti, i dati inglesi sono meno drammatici di quelli italiani. Nel 2011 i detenuti a togliersi la vita in Italia sono stati 66, su una popolazione carceraria di 66,897 (0.98 su mille). E nel 2012, ad oggi, sono già 40 (fonte: Ristretti Orizzonti). Secondo, la trasparenza. Sul sito Justice.gov.uk - a differenza dell’omologo Giustizia.gov.it - vengono regolarmente rilasciati bollettini statistici in formato open data (in particolare Excel). Dati che offrono uno sguardo sullo stato delle carceri (e della Giustizia in generale), ma anche uno strumento essenziale per i media per denunciare il problema alla pubblica opinione. Giustizia: carceri, confronto con il presidente dell’Associazione Antigone Patrizio Gonnella Radio Vaticana, 30 settembre 2012 Una situazione che non fa onore all’Italia: lo ha detto nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in riferimento allo stato delle carceri. Ed ha auspicato che le proposte di legge volte a incidere sulle cause della degenerazione degli istituti di pena trovino sollecita approvazione in Parlamento, a cominciare da quelle per l’introduzione di misure alternative fino a forme di amnistia o indulto. Una posizione condivisa dal ministro della Giustizia, Paola Severino che in settimana aveva presentato l’avvio di un’indagine scientifica sul rapporto carcere - recidiva. Sull’iniziativa Adriana Masotti ha sentito il parere di Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone. Un’indagine essenziale, perché serve a liberare da tutti i pregiudizi e gli stereotipi che ci sono intorno al fatto che il carcere deve essere solo vessazione, punizione cieca. Invece, noi sappiamo, sia per conoscenza empirica nel nostro lavoro di osservazione, ma anche per conoscenza scientifica - perché ci sono già delle ricerche in tal senso - che chi sconta una pena in carcere con un trattamento umano, con opportunità di educazione scolastica, di un lavoro qualificato, di partecipazione ad attività teatrali degne di questo nome, ha sicuramente un tasso di recidiva più basso. C’è già un’indagine di questo tipo fatta in Germania, che lo ha dimostrato in modo inequivocabile. Chi, per esempio, ha studiato durante l’esperienza di detenzione, poi non ricommette, quasi mai, un crimine quando esce dal carcere. C’è una ricerca in questo senso fatta in Italia su chi ha avuto l’opportunità di una misura alternativa: chi l’ha avuta durante la carcerazione ha un tasso di recidiva tre volte più basso di chi invece si è fatto tutto il carcere dentro. E quindi, ben venga una ricerca in questo senso. Lei parla di opportunità culturali, di lavoro, dentro il carcere e di misure alternative, cioè di tutti e due gli aspetti… Contano entrambi. Conta l’opportunità che si possa avere un progressivo avvicinamento al mondo esterno, perché chi è stato per esempio quattro o cinque anni in carcere senza mai avere contatti con l’esterno, si ritroverà quando esce in un mondo diverso. Figuriamoci chi è entrato in carcere prima dell’era della digitalizzazione, di internet: ora esce, non sa neanche più come cercare lavoro. Quindi piano, piano, bisogna invece, avvicinare le persone, prepararle all’uscita. E poi conta come si è i trattati dentro, perché lo Stato forte, non è lo Stato che tratta male: è lo Stato che tratta nella legalità. Lo Stato forte è quello che dentro ti fa studiare, ti consente di avere un contatto religioso, di imparare un mestiere, di esercitalo e per farlo non ti sfrutta, ti tratta decentemente, ti fa fare un’esperienza di teatro… Pensiamo che oggi è candidato all’Oscar il film: “Cesare deve morire”. Conosco gli attori di quella compagnia teatrale, ed alcuni di questi oggi sono attori professionisti! Giustizia: ministro Riccardi; sì all’amnistia, dobbiamo avere coraggio di fare questo gesto Ansa, 30 settembre 2012 Il ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi, è favorevole all’amnistia. Lo ha detto lui stesso intervenendo, stamane, ai microfoni di Rtl 102.5. “Dopo le dichiarazioni del Presidente della Repubblica - ha spiegato - ho dichiarato di essere molto d’accordo: secondo me bisogna avere il coraggio di compiere alcuni gesti per uscire dalla durissima situazione delle carceri italiane, una situazione insopportabile. Mi chiedo perché dobbiamo sempre lasciare al Presidente della Repubblica la responsabilità di dover fare questi interventi e non siamo noi stessi a proporli”. Giustizia: Vendola; carceri alla deriva; bene Napolitano, da destra solo leggi criminogene Adnkronos, 30 settembre 2012 “Oltre le sbarre, in quel mondo blindato e dolente, nei rettangoli murati della pena, si consuma un frammento cruciale della nostra idea di civiltà. Da molti anni il carcere è alla deriva. Retrocesso nell’oblio. Improvvise accensioni di attenzione politica vengono rapidamente sepolte nel silenzio e nella rimozione. Ha ragione Napolitano a strattonare la politica”. Lo scrive oggi Nichi Vendola, sull’Huffington Post. “Le leggi criminogene della destra - prosegue il leader di Sel - hanno provato a interdire il carcere per i colletti bianchi e lo hanno gonfiato di tossicodipendenti, di immigrati, di poveri. Quei luoghi oggi stanno implodendo. Il trend dei suicidi e degli atti di autolesionismo si susseguono come un’onda drammatica e sporca”. “Il nostro “fuori” è così povero di speranza forse anche perché il nostro “dentro” è consegnato alla disperazione. Credo sia urgente - conclude Vendola - recuperare il bandolo di questa matassa: non invoco alcun buonismo, bensì il diritto, il sentimento di giustizia, la forza anche dei gesti di clemenza”. Giustizia: amnistia sì o no? interviene il Presidente di Prison Fellowship Italia www.laperfettaletizia.com, 30 settembre 2012 “Bene ha fatto Giorgio Napolitano a richiamare nuovamente l’attenzione sul tema carceri, ma occorre arrivare ad una nuova amnistia o indulto solo dopo un efficace lavoro di preparazione e riconciliazione del detenuto in carcere per evitare il fallimento annunciato del 2008”. Con queste parole il Notaio Marcella Reni, Presidente di Prison Fellowship Italia Onlus (un’Associazione nata dall’omonima organizzazione statunitense che opera attraverso il recupero e la riqualificazione dei detenuti, oltre che con l’evangelizzazione all’interno delle carceri), interviene nel dibattito “amnistia sì! Amnistia no!”. “Occorre affrontare il tema carceri con innovazione, coraggio e volontà politica. Al primo posto è necessaria l’armonizzazione di troppe leggi, decreti, disposizioni e regolamenti spesso in sovrapposizione tra loro. Sono come tanti neuroni non collegati tra loro dalle giuste sinapsi. In secondo luogo occorre restituire umanità e dignità alle carceri attraverso la semplice applicazione delle norme dell’ordinamento penitenziario già esistente, che oggi è impossibile applicare correttamente per la crisi generale che ha colpito lo Stato. Non è possibile fare una battaglia per la legalità, se è lo Stato stesso che, per primo, non può rispettare la legalità del trattamento detentivo. Compito dello Stato è innanzitutto quello di dare piena attuazione all’art.3 della Costituzione (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”), per poi passare a garantire quella dell’art. 27 della Costituzione stessa (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”). Ormai è assodato in tutto il mondo che il carcere produce nuovo carcere. È come continuare a pagare il medico quando i pazienti escono dall’ospedale in condizioni peggiori di quando sono entrati. Occorre che le persone vadano in carcere solo come estrema ratio. Occorre un efficace lavoro di preparazione, occorre sperimentare i principi della Restorative Justice, riparazione, restituzione e riconciliazione in carcere tra detenuti e vittime, poi pene alternative e reinserimento lavorativo. Noi ci siamo, ci crediamo fermamente, ci stiamo lavorando e siamo pronti a fare la nostra parte”. Giustizia: Coisp; amnistie e indulti non risolvono il problema carceri Asca, 30 settembre 2012 Il Coisp dopo l’intervento di Napolitano sulle carceri e il possibile ricorso a provvedimenti di clemenza: “La credibilità internazionale non si può costruire a spese della sicurezza interna. Amnistie e indulti non risolveranno il problema”. “Nell’assoluto rispetto che abbiamo nei confronti del Capo dello Stato, siamo però obbligati a manifestare la seria preoccupazione e la nostra posizione critica di fronte al suo riferimento al possibile ricorso a provvedimenti clemenziali per fronteggiare il grave problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Una cosa che, assieme ad altri recenti provvedimenti, dimostra un’impostazione tesa alla totale sottovalutazione delle necessità che pone il mantenimento della sicurezza interna del Paese”. Così Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, dopo l’intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che sul tema della situazione carceraria in Italia ha parlato di “una forte tensione istituzionale e morale per una realtà che non fa onore al nostro Paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le Istituzioni europee”. Napolitano, ha quindi rinnovato “l’auspicio che proposte volte a incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione dello stato delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione in Parlamento”, spiegando che “restano nello stesso tempo aperte all’attenzione del Parlamento, in questa legislatura ormai vicina al suo termine e in quella che presto inizierà” tra le altre anche “le questioni di un possibile, speciale ricorso a misure di clemenza”. “I detenuti che affollano le carceri - argomenta il leader del Coisp - vi si trovano evidentemente per un valido motivo. I provvedimenti clemenziali sminuiscono la riprovazione sociale che la condanna penale sottende, senza che per altro verso si possa attuare, per un’uscita anticipata dei detenuti oltre che per le condizioni proibitive degli istituti penitenziari cui lo Stesso Capo dello Stato ha fatto riferimento, quella funzione di rieducazione che la pena dovrebbe avere. Se a ciò si aggiunge l’altissima incidenza della recidiva per i detenuti, per i quali spesso si aprono le porte del carcere proprio per la reiterazione di reati, nonché lo strisciante messaggio che giunge a chi viola la legge che, prima o poi, un indulto arriverà a tirar fuori molti carcerati, ecco che emerge quanto deleterio possa essere ai fini della legalità, della giustizia e della sicurezza, affrontare il problema del sovraffollamento carcerario semplicemente mettendo fuori chi delinque. Qualcosa che, storicamente, ha mostrato i suoi effetti negativi senza peraltro che ciò abbia mai risolto il problema delle carceri”. “E di più - insiste Maccari - non si può sorvolare sugli effetti disastrosi che la cosa avrebbe sul lavoro già insostenibile delle Forze dell’Ordine, già schiacciate da pesanti tagli e sacrifici di varia natura, oltre che messi in ginocchio da decisioni catastrofiche come quella di farci lavorare fino a 67 anni! La verità, come tutti sanno bene, è che se i detenuti verranno messi fuori poi noi, nella maggior parte dei casi, dovremo andare a riprenderli. E toccherà farlo a colleghi anziani ormai allo strenuo delle forze”. “Se la nostra credibilità nel panorama internazionale è incrinata dallo stato delle nostre carceri - conclude il Segretario del Coisp - è necessario intervenire in ben altra maniera, ma non certo a spese degli Operatori delle Forze dell’Ordine e della sicurezza interna del Paese, già calpestati a sufficienza. Se in Italia non si è in grado di affrontare seriamente questa, come altre gravi problematiche, ma si sa solo ricorrere ciclicamente a provvedimenti clemenziali per fare un po’ di posto nei penitenziari che poi noi dovremo nuovamente riempire come evidentemente il livello di commissione dei reati richiede, allora sarebbe il caso di assumersi la responsabilità di cambiare quelle leggi penali che siamo chiamati a far rispettare, abbassando la soglia di quella famosa riprovazione sociale di cui sopra, in modo che i cittadini possano farsi una ragione di certe ingiustizie che subiscono e noi possiamo risparmiarci un sacco di lavoro inutile”. Giustizia: Ucpi; contro l’inerzia del Governo penalisti pronti a un nuovo sciopero Ansa, 30 settembre 2012 Contro l’inerzia di governo e parlamento di fronte alla situazione di illegalità delle carceri italiane, i penalisti sono pronti a sfoderare l’arma dello sciopero. Perché, con un sovraffollamento che vede 21.285 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, non solo si vanifica il fine costituzionale di rieducazione della pena, ma anche il diritto alla salute, visto che non viene assicurato il rispetto delle elementari norme igieniche e sanitarie. È una mozione approvata all’unanimità nell’ultima giornata del XIV Congresso dell’Unione delle camere penali a vincolare i vertici a portare avanti la battaglia sulle carceri. Ma questo sarà solo uno dei tanti fronti dell’impegno dei penalisti, che guardano con preoccupazione anche a quello che sta avvenendo in Europa, con la prossima dirompente istituzione di una Procura europea e il contemporaneo e non più accettabile stallo nel campo della tutela effettiva e concreta dei diritti fondamentali. Ed è stata anche approvata una mozione che impegna il confermato presidente Valerio Spigarelli e la sua giunta a insistere perché sia corretto il provvedimento del governo sulla geografia giudiziaria, visto che opera unicamente tagli lineari in violazione al diritto dei cittadini ad avere una giustizia di prossimità. Giustizia: "Le Due Città"; servizio sui colloqui con i detenuti... finestre sulla libertà Adnkronos, 30 settembre 2012 Un momento di libertà, e un argine al disagio. Ogni anno sono decine di migliaia i colloqui organizzati dagli istituti penitenziari italiani, non solo tra detenuti e famiglie. Tra chi entra ed esce dal carcere c'è infatti un altro esercito di cui nessuno parla, composto da migliaia di persone, che bussano alle porte degli istituti italiani per portarsi a casa una parola o raccogliere uno stato d'animo di chi è dietro le sbarre. Sono parenti, amici, tutti quelli che insieme formano il "popolo dei colloqui". Ogni giorno varcano i cancelli degli istituti italiani; si registrano, vengono perquisite, fanno lunghe file, e finalmente visitano il loro caro. A raccontare come cambiano queste "finestre sulla libertà", tra regolamenti e difficoltà, è uno speciale dell'ultimo numero di "Le due Città", rivista del Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, che mostra alcuni esempi di buone pratiche per favorire l'incontro tra i detenuti e visitatori. Da Nord a Sud, dai grandi istituti penitenziari fino a quelli più piccoli di provincia oppure edificati sulle coste di un'isola, il regolamento che sancisce come i colloqui devono essere organizzati è uguale per tutti, ma cambiano le tipicità, le caratteristiche geografiche, le esigenze delle parti e tutto questo aggiunge complessità al sistema dei colloqui. Poggioreale, storico carcere di Napoli, ospita oggi oltre 2.500 detenuti, la cui maggioranza sono proprio napoletani, circa 400 quelli stranieri. Ogni giorno circa 500 detenuti vengono portati a incontrare una media di 1.500 visitatori. Le statistiche elaborate dall'istituto parlano di 64.190 colloqui realizzati nei primi sei mesi del 2012. "In genere - racconta la direttrice di Poggioreale, Teresa Abate - i familiari dei detenuti, che sono per la maggior parte di Napoli, cominciano ad assieparsi alle porte del carcere già dalla notte per assicurarsi i primi posti. Quando poi accedono all'interno vengono divisi su due piani dove sono allestite diverse sale per i colloqui. La più grande ne può ospitare anche 30 tutti insieme". L'accettazione apre alle 7,30 fino alle 11,30: da quel momento chi è stato registrato accede ai colloqui che continuano fino alle 16. Tra accettazione, controllo dei pacchi, perquisizioni dei visitatori e controllo dei detenuti sono in media 40/45 gli agenti impegnati giornalmente nella pratica del colloquio. Sono in corso i lavori per la realizzazione delle nuove sale colloqui che dovrebbero essere operative dal 2013. "Saranno più grandi -assicura la direttrice Abate- più moderne e rispettose dei nuovi sistemi previsti come l'assenza di divisioni tra il detenuto e il visitatore". Le nuove sale permetteranno inoltre di realizzare anche "una ludoteca per i bambini, di cui attualmente l'istituto è sprovvisto". A Biella, sull'altro capo della Penisola, la casa circondariale ospita una media di 300 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 216 posti. Nell'istituto piemontese i colloqui con i familiari vengono effettuati nelle giornate di giovedì e sabato in base alla tipologia di classificazione dei detenuti e in modo alternato al fine di assicurare equamente la giornata di sabato che rimane comunque la più richiesta dai familiari. Nelle giornate di colloquio i detenuti hanno la possibilità, tramite richiesta preventiva, di effettuare più ore di colloquio e per i familiari che vengono da lontano la possibilità di fruire di sei ore di colloquio continuative. Soprattutto per rispondere alle esigenze dei bambini che vanno a trovare i genitori, in primavera e in estate, quando le condizioni climatiche lo consentono, viene messa a disposizione un'area verde, attrezzata con giochi da giardino donati dall'Associazione San Vincenzo, per favorire la relazione genitori-figli con ricadute positive sulla qualità di vita durante la detenzione soprattutto in riferimento agli aspetti aggregativi e socializzanti. "Grazie alla collaborazione della Banca del Giocattolo di Biella - racconta la direttrice di Biella, Antonella Giordano - sono state attrezzate le salette adibite a colloquio e con il contributo dell'Associazione di volontariato Gruppo Diocesi è stato predisposto un angolo per il cambio dei bebè con apposito fasciatoio e un forno microonde da usare come scaldavivande". Da un lato quindi la voglia di socialità dei detenuti che, anche e soprattutto nella costrizione della detenzione, rivendicano il diritto di non vedere rescissi i loro legami con la famiglia; dall'altro l'impegno dell'Amministrazione che, anche in condizioni di estrema difficoltà, è impegnata a tutelare questo diritto. Questo avviene anche nel caso limite di Favignana, dove l'eccezionalità è tutta nella geografia di quest'isola a largo delle coste siciliane. Qui il nuovo carcere è stato inaugurato il 9 settembre scorso, mentre la vecchia struttura è stata adibita a caserma. "Nel nostro istituto i detenuti sono quasi tutti campani -racconta il direttore Paolo Malato - e già questo rappresenta un evidente problema per il mantenimento dei rapporti con le famiglie. Favignana è difficilmente raggiungibile dai parenti che devono organizzare privatamente il viaggio e prendere l'aliscafo per arrivare sull'isola. I colloqui si tengono il giovedì e il venerdì di ogni settimana, ma proprio per venire incontro ai visitatori che magari si possono concedere la trasferta solo una volta al mese, il direttore ha allungato i tempi previsti da una a due/tre ore. La sala colloqui - spiega il direttore del carcere di Favignana - può ospitare i parenti di sei detenuti alla volta, e visto il prolungamento dei tempi a disposizione i colloqui durano tutta la giornata, in genere fino alle 16,30 del pomeriggio. Alle volte capita che i parenti non riescano a vedere i detenuti e siano costretti a pernottare sull'isola. Favignana è un istituto di ultima generazione, ospita in media 50 detenuti e 50 internati nella casa lavoro, divisi in 17/18 stanze ognuna delle quali dotata di doccia in camera. La lontananza dalle famiglie e dal proprio territorio crea però i problemi maggiori. La maggior parte dei detenuti - spiega ancora il direttore - fa domanda di trasferimento e sono abbastanza comuni proteste come lo sciopero della fame che possono in alcuni casi sfociare in atti di autolesionismo. Anche per questo la disponibilità ai colloqui è fondamentale, insieme a un percorso di reinserimento sociale che cerchiamo di assicurare attraverso accordi con il Comune che coinvolgano i detenuti nella pulizia delle spiagge, delle strade o delle scuole. Sicilia: Fleres; nei penitenziari condizioni di vita al di sotto della dignità umana di Patrizia Penna Quotidiano di Sicilia, 30 settembre 2012 Il Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia condivide l’apertura di Napolitano ad indulto ed amnistia. In Sicilia 1.735 detenuti di troppo e Polizia Penitenziaria sottodimensionata. Il Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia, Salvo Fleres, ha rivolto il suo plauso alle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha confermato nei giorni scorsi la sua apertura ad amnistia ed indulto, riaprendo così lo spinoso dibattito sulla drammaticità della situazione carceraria nel nostro Paese. “La degenerazione dello stato delle carceri in Italia - ha detto Napolitano - non fa onore al nostro Paese, ma anzi ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee”. Senatore Fleres, qual è il suo commento alle parole del Capo dello Stato? “Il Presidente della Repubblica da tempo si occupa attivamente della drammatica situazione delle carceri italiane”. Amnistia ed indulto costituiscono a suo avviso un intervento strutturale “risolutivo”? Possono da soli migliorare in modo significativo le condizioni di vita dei detenuti rinchiusi nelle carceri? “Mi auguro che la presa di posizione del Capo dello Stato costituisca un forte sprone per il Governo e per il Parlamento in direzione di quattro obiettivi: la concessione dell’amnistia per i reati minori, la realizzazione di nuovi istituti, l’assunzione di personale di custodia e di assistenza ed il varo di una legge sulla depenalizzazione, la quale eviti che gli effetti dell’amnistia, in termini di riduzione del drammatico fenomeno del sovraffollamento, abbiano breve durata”. Lo speciale ricorso a misure di clemenza spetta al Parlamento e richiede una maggioranza amplissima (i 2/3 delle Camere). Napolitano ha sollecitato il Parlamento ad approvare al più presto il ddl sulle misure alternative alla detenzione, al momento in discussione alla commissione Giustizia della Camera. Lei pensa che la risposta all’appello di Napolitano arriverà in breve tempo? “Sono moderatamente ottimista, perché i giustizialisti ed i securitari che siedono alla Camera ed al Senato, in entrambi gli schieramenti, non hanno mostrato, almeno sino ad oggi, una grande sensibilità attorno alle problematiche penitenziarie. Un dato è certo: l’esecuzione penale italiana presenta criticità al di sotto della dignità umana ed i frequentissimi suicidi che riguardano sia i reclusi, sia gli agenti della polizia penitenziaria pesano come un macigno sui responsabili della mancata adozione dei provvedimenti necessari”. Nella nostra Isola, al momento ci sono 1.735 detenuti “di troppo”, cioè 7.200 reclusi rispetto ad una capienza regolamentare di 5.465 unità distribuite nei 27 istituti penitenziari presenti in Sicilia. Il Quotidiano di Sicilia ha da sempre riservato grande attenzione alla difficile situazione della popolazione carceraria dando voce anche ai numerosi appelli lanciati dal Sindacato della Polizia Penitenziaria: tra casi di aggressione ai danni degli agenti, suicidi ed episodi di violenza ed autolesionismo, la vita impossibile oltre le sbarre non è un fatto “geografico” ma un’emergenza nazionale. Marche: il presidente Spacca chiede al ministro decisione per il nuovo carcere Camerino Asca, 30 settembre 2012 “Da qualche giorno circolano notizie informali sulla possibile rimodulazione del piano carceri, con conseguente revisione della decisione di realizzare un nuovo istituto penitenziario a Camerino”. È quanto il presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, ha chiesto con una missiva al ministro della Giustizia, Paola Severino. “Sulla questione - scrive ancora il Governatore - ritengo importante ricordare che il 17 novembre 2010 è stata sottoscritta una specifica intesa istituzionale tra questa regione ed il commissario delegato per l’emergenza da sovrappopolamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, proprio per la realizzazione di una nuova struttura penitenziaria a Camerino. Inoltre, lo scorso 12 aprile 2012, il nuovo commissario delegato ha convocato la conferenza di servizi per l’esame e l’approvazione del progetto preliminare, che si è conclusa con la declaratoria di insussistenza di motivi ostativi alla realizzazione dell’intervento. La previsione di un nuovo istituto a Camerino - prosegue Spacca - è stata condivisa ed auspicata da tutte le componenti sociali ed istituzionali di questa Regione, perché utile per razionalizzare il sistema penitenziario marchigiano, in questo momento fortemente congestionato, ed anche per migliorare la possibilità di reinserimento dei detenuti ed il lavoro degli operatori penitenziari. Le chiedo perciò - conclude - urgenti notizie sulla questione, dichiarando sin da ora, se necessario, la disponibilità ad incontrarla”. Torino: detenuta di 32 anni si impicca al letto a castello, era in carcere da un giorno Ansa, 30 settembre 2012 Una nigeriana di 32 anni si è suicidata in serata nel carcere Le Vallette di Torino. La donna - da quanto si è saputo - si è impiccata con una sciarpa rudimentale alla branda di un letto a castello, in una cella della Sezione femminile. Era stata arrestata ieri dalla Polizia municipale di Torino ed era accusata di tratta di persone e riduzione in schiavitù. Per Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), “prosegue la strage di Stato nelle carceri italiane con la Polizia penitenziaria sempre più impotente a fronteggiare il dramma che la politica si ostina a non considerare e l’amministrazione penitenziaria continua a sottovalutare”. Lo ha detto commentando il suicidio di una detenuta nigeriana, avvenuto in serata nel carcere Le vallette di Torino. Avellino: Sappe; detenuto di 34 anni muore “improvvisamente”, inutili i soccorsi www.positanonews.it, 30 settembre 2012 Un detenuto di anni 34 è deceduto improvvisamente all’interno della Casa Circondariale di Avellino. Dopo aver cercato in tutti i modi di salvargli la vita con il rituale massaggio cardio respiratorio, non si è potuto far altro che costatarne il decesso. "Raffaele Romano, originario di Sorrento, appellante con un fine pena fissato nel 2015 era in compagni di altri detenuti che hanno tempestivamente avvisato gli uomini della Polizia Penitenziaria del malore che aveva colpito il recluso che è stato prelevato immediatamente dalla sua cella e condotto verso la locale infermeria, ma il medico di turno nulla ha potuto fare dinanzi alla volontà della morte di colpire ancora. La notizia della morte del detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l’esasperante sovraffollamento”. A darne notizia è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri “Questa ennesima morte di un detenuto testimonia ancora una volta la drammaticità della vita nelle carceri italiane” rilancia il Sappe, che rinnova il suo appello alla classe politica del Paese. “Rinnoviamo l’auspicio che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri “terribilmente sovraffollate” e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso, un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale ma soprattutto l’impiego dei detenuti durante la detenzione in attività lavorative compresi, per quelli con pene brevi e di minore allarme sociale, quelli di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio”. Caltanissetta: detenuto si suicidò in carcere, aveva necessità di cure in centro psichiatrico La Sicilia, 30 settembre 2012 Giuseppe Di Blasi doveva essere trasferito in una struttura carceraria dotata di un reparto specializzato per le cure psichiatriche. Ma prima che venisse individuata questa struttura, l’operaio nisseno di 46 anni si impiccò nella sua cella del “Malaspina”. Era il 27 dicembre scorso, quando il detenuto - sottoposto alla misura della grande sorveglianza di custodia e sanitaria dopo diversi atti di autolesionismo e quattro tentativi di suicidio - si appese alla grata della cella. Adesso nella relazione che i consulenti della Procura hanno consegnato al pubblico ministero Elena Caruso, viene espressamente evidenziato che Di Blasi non poteva restare in una casa circondariale qualsiasi. Parlano chiaro i medici legali Antonina Argo e Manfredi Rubino e lo psichiatra Maurizio Marguglio, i tre consulenti nominati dal pm che ha aperto un’inchiesta ancora contro ignoti per omicidio colposo per la morte dell’operaio del canile, arrestato nel gennaio 2010 prima per armi e poi per abusi su una ragazzina e condannato in primo grado a 17 anni. La sera prima di uccidersi, Di Blasi aveva ingoiato pezzi di lamette da barba e le lenti degli occhiali. “Durante la detenzione - scrivono i tre esperti nelle conclusioni della relazione - Di Blasi ha manifestato disturbi psichici che sono stati opportunamente monitorati e trattati con terapia specifica sotto l’aspetto psichiatrico. È stata più volte evidenziata l’esigenza di trasferimento presso una struttura specialistica, confermata anche da due perizie di ufficio”. Già, perché la Corte d’Appello che stava processando Di Blasi, il 22 dicembre 2010 trasmise al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria la perizia del medico legale Vito Milisenna - incaricato dai giudici di secondo grado - il quale suggeriva di trasferire Di Blasi “in una struttura psichiatrica”. Ma l’indomani il Dap, piuttosto che spostare Di Blasi, chiese chiarimenti alla Corte sull’applicazione della misura e in particolare chiedeva se si trattava di accertare le infermità psichiche. “Non ci è dato sapere - è l’analisi di Argo, Rubino e Marguglio inoltrata alla Procura - perché il soggetto non è mai stato trasferito in struttura psichiatrica, come ripetutamente richiesto dai sanitari delle case circondariali. Probabilmente un trasferimento presso un reparto psichiatrico dell’Amministrazione penitenziaria avrebbe determinato una evoluzione più favorevole delle condizioni psichiche del detenuto”. Ci sono state presunte omissioni o ipotetici ritardi nella valutazione dei rischi di suicidio, poi concretizzatosi, di Giuseppe Di Blasi? Interrogativo che aleggia sull’indagine ancora in itinere del pm Caruso. Nel fascicolo della Procura finora è entrata la relazione dei suoi consulenti, ma a breve confluirà quella redatta dai consulenti della famiglia Di Blasi. Si tratta del medico legale Carla Ippolito e dello psichiatra forense Domenico Micale, incaricati dall’avvocato Massimiliano Bellini che ad aprile ha inviato un esposto al Guardasigilli Paola Severino, da allora rimasto resta risposta. In quel documento la madre e i fratelli del detenuto suicida chiedono verità e giustizia e se “tutti i soggetti tenuti a vigilare sulle condizioni psicofisiche di nostro fratello abbiano fatto il proprio dovere”. Un suicidio che, secondo i familiari del detenuto nisseno, qualcuno aveva il tempo e la possibilità di evitare. Bologna: vivere nel carcere sovraffollato della Dozza… sperando in un’amnistia La Repubblica, 30 settembre 2012 Plauso alle parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che giovedì è tornato a sollecitare interventi radicali per alleggerire il sovraffollamento delle carceri e creare condizioni di detenzione più civili. Speranze che si riaccendono, tra i detenuti, gli operatori, i volontari della Dozza. Ma anche scoraggiamento, rassegnazione, timore che a breve nulla cambi e che amnistia e indulto siano obbiettivi utopistici. Dopo mesi di progressivo calo dei numeri, seguito al picco di 1201 presenze, la popolazione detenuta nell’istituto alla periferia della città ricomincia ad aumentare. “Ci stiamo riavvicinando a quota 900 - raccontano da via del Gomito - dopo l’alleggerimento legato agli sfollamenti pianificati in seguito al terremoto. In questi giorni siamo a 890 - 895 persone”. “Il presidente ha ricordato quali sono le difficoltà che ci sarebbero per arrivare all’amnistia - aggiunge Massimo Ziccone, responsabile dell’area educativa della Dozza - e insieme è tornato a spronare tutti. Le sue prese di posizione, e quelle del ministro Paolo Severino, ben vengano. Ma resta la necessità di fare qualcosa adesso, subito. Il 60 per cento dei nostri ospiti è povero, senza reddito. I posti di lavoro interni sono pochi, insufficienti. I tagli ai budget di spesa sono pesantissimi”. Napolitano raccoglie apprezzamenti anche da Renzo Orlandi, docente di diritto processuale penale dell’Alma Mater e coordinatore dei corsi di laurea magistrale di Giurisprudenza, unico bolognese nella delegazione ricevuta l’altra sera al Quirinale. “Dai commenti che vedo su sitie blog - dice - mi pare prevalgano posizioni ostili a amnistia e indulto, giustizialiste. Il clima è condizionato da una informazione carente, dalla sottovalutazione del peso negativo avuto da provvedimenti “carcerogeni” varati anni fa: le restrizioni all’accesso alle misure alternative introdotte dalla legge Cirielli e l’aggravamento della condanne per droga”. Francesco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza, aggiunge proposte concrete, oggetto d’esame alla commissione del Csm di cui fa parte: “Si stanno valutando modifiche all’ordinamento penitenziario e alla legge sugli stupefacenti, nella direzione dell’abbassamento delle pene per i tossicodipendenti e della estensione dell’affidamento in prova. Le amnistie - è la sua opinione - non servono a niente. Sarei favorevole se, prima, si facessero le riforme necessarie, a partire da quella della custodia cautelare. L’indulto del 2006 è stato un’occasione positiva per i detenuti e un’occasione sprecata per il sistema: non si è colta l’occasione per cambiare”. Frate Franco Musocchi, cappellano della Dozza, sposta il discorso sul fuori e sul presente: “Uno dei problemi bolognesi, che non consentono di estendere fin da ora le misure alternative, è la carenza di riferimenti all’esterno. Per gli stranieri, poi, non c’è nulla”. Eppure non ci si arrende. Sul tema degli ospedali psichiatrici giudiziari da chiudere, ad esempio, sono in programma più iniziative promosse dal gruppo StopOpg. Uno striscione esposto a Palazzo d’Accursio, oggi. E un incontro - dibattito in Tribunale, lunedì. Larino (Cb): direttrice del carcere denuncia “per i detenuti assistenza sanitaria carente” Ansa, 30 settembre 2012 Il carcere di Larino da un punto di vista dei servizi sanitari è abbandonato a se stesso. Lo ha denunciato oggi la direttrice della struttura penitenziaria frentana, Rosa La Ginestra. La dirigente sottolinea come l’organico sanitario minimo previsto dalla legge per la cura dei detenuti tossicodipendenti ovvero un medico ed infermiere non c’è. “L’infermiere che dovrebbe seguire i tossici non c’è più da diverso tempo - ha spiegato La Ginestra - mentre il medico in servizio porta avanti tale attività sanitaria come può, dalle 6 alle 9 ore. Ho più volte sollevato il problema con l’Asrem, ma non è mai cambiato nulla. Devo, invece, registrare che al carcere di Campobasso non solo è assicurato il servizio con un sanitario e paramedico ma sono presenti anche tutti gli infermieri per l’assistenza continuata ai detenuti. Il Carcere di Larino, nonostante sia il più popoloso delle strutture della regione, è quello più abbandonato a se stesso da un punto di vista dei servizi sanitari”. Intanto ai quattro infermieri presenti nella Casa circondariale, dopo le forti e veementi denunce degli stessi, si è aggiunta una quinta unità, ma non risulta ancora sufficiente per la copertura dei turni ed i riposi in quanto il minimo è di sei paramedici per la garanzia del servizio di assistenza ai detenuti da espletare 24 ore su 24. “Il problema dell’assistenza qui a Larino è ancora presente anche se riconosco la buona volontà dell’Asrem a risolvere il problema ma sfortunatamente il quinto paramedico - ha detto ancora la direttrice - non è sufficiente a chiudere la questione. Ribadisco che nel carcere di Campobasso sono oltre 6 le persone in servizio dedicate alla cura dei detenuti mentre qui con 5 unità non c’è possibilità per l’organico di fare riposo”. La vicenda, secondo quanto confermato da alcuni sindacalisti, è all’attenzione dell’Ispettorato del Lavoro di Campobasso che starebbe verificando gli esposti presentati dal personale sanitario dell’istituto di pena. Reggio Calabria: Sel e Pd contrari a chiusura del carcere-modello di Laureana www.strill.it, 30 settembre 2012 Segue la nota dei vendoliani: Apprendiamo con preoccupazione della “tragica” chiusura del carcere a custodia attenuata di Laureana di Borrello. Un carcere quello di Laureana che “ospitava” giovani detenuti per cui il percorso di riabilitazione era possibile vissuto e praticato, come non avviene purtroppo, e sempre meno, nel nostro Paese e meno che mai negli Istituti di pena Calabresi. La situazione delle carceri è un dramma nel dramma: viviamo in una regione in cui, sono i numeri a fare paura, è una vera e propria emergenza nazionale che non risparmia la nostra regione: i dati confermano infatti che, in Italia vi sono 66.200 detenuti per 45.750 posti, con Friuli, Lombardia, Liguria, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto che continuano a superare qualsiasi capienza tollerabile (1 detenuto in più ogni 2) e, nella nostra Calabria, in Campania, Emilia Romagna, Piemonte, Sicilia, Toscana, si registra il 40% in più di presenze detentive rispetto ai posti disponibili. E poi ci sono i suicidi, dei detenuti soprattutto, ma anche degli agenti di Polizia Penitenziaria. Qualche mese fa, a Rossano un assistente capo della polizia penitenziaria si è suicidato nella caserma del carcere utilizzando la pistola d’ordinanza. E qualche tempo prima nello stesso carcere calabrese un altro agente della Polizia era salito sul tetto per protestare contro l’amministrazione penitenziaria. La notizia di oggi non fa che confermare la difficile situazione del sistema penitenziario nella nostra regione, legata alla patologica carenza di organico dove si vivono oltre i pesanti problemi di sovraffollamento, anche quelli legati ad una gravissima situazione di organico che stanno minando il regolare servizio; ci sono carceri in cui gli agenti di polizia penitenziaria non fruiscono del previsto riposo settimanale, e il personale è costretto oramai da troppo tempo ad effettuare circa 50 ore di straordinario mensile per sopperire alle serie carenze di organico. In questo quadro il carcere a custodia attenuata di Laureana di Borrello rappresentava l’esempio che un altro carcere è possibile, che il carcere può davvero essere un luogo di reinserimento e di conoscenza e pratica di percorsi alternativi alla illegalità, fatti di lavoro formazione e conoscenze. La chiusura per presunti problemi di organico rappresenta una beffa, un ingiustizia e un fallimento del nostro sistema delle regole! Nella nostra Regione dove la legalità ed il rispetto delle regole deve valere per tutti prima di tutto, si vive l’ennesimo paradosso. Oggi vogliamo affermare il nostro deciso no alla chiusura del carcere di Laureana, raro esempio di rispetto del dettato costituzionale, che all’articolo 27 prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Prevedere percorsi di reinserimento, offrire alternative di vita e di modelli possibili alla illegalità, è questa la missione che gli istituti di pena nel nostro ordinamento giuridico dovrebbero perseguire, pensare di chiudere un carcere che era faro e modello per l’intero sistema penitenziario italiana, è gravissimo, per i diritti delle persone detenute e per tutti quelli che affermano la legalità come valore assoluto, come l’unico capace di ridare dignità ad una terra devastata da sistemi corrotti e illegali. Ma ancora una volta, nella pratica delle cose ciò che dobbiamo registrare è un vero e proprio tradimento dei valori Costituzionali. Valori che come partito non rinunciamo a rivendicare e a difendere. Orlando (Pd): chiusura Laureana di Borrello errore grave “Apprendiamo con sorpresa che sarebbe stata disposta la chiusura del carcere di Laureana di Borrello. Una scelta del Dap che risente sicuramente della mancata nomina del provveditore per la Calabria che è stata più volte sollecitata per la consapevolezza che un ruolo del genere richiede conoscenza oltre che competenza. Si tratta di un istituto in cui vengono da qualche anno ospitati giovanissimi detenuti che scontano la prima pena”. Lo ha denunciato il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando. “L’esperienza - ha proseguito Orlando - ha dimostrato che un sistema carcerario dedicato riesce a ridurre drasticamente le recidive e a garantire, quantomeno per i giovani che sottoscrivono il progetto di rieducazione previsto per gli ospiti del carcere di Laureana di Borrello, la funzione di rieducazione della pena prevista dalla Costituzione. Non è smantellando le esperienze positive che si risolvono i problemi del sovraffollamento e della carenza di personale. Per questo chiediamo al Dap e al ministro della Giustizia di rivedere la scelta annunciata e di tener conto dei danni che una interruzione dei progetti di rieducazione provocherebbe per i giovanissimi detenuti, tanto più in un momento in cui si riapre un opportuno dibattito sulle finalità e sull’umanizzazione della pena e sul rilancio delle pene alternative, stimolato dal capo dello Stato”. Trieste: carceri affollate, blitz di Pannella al congresso dei penalisti italiani Il Piccolo, 30 settembre 2012 L’Unione dei penalisti a congresso denuncia l’emergenza nazionale. E il radicale chiede l’amnistia. Un’angusta cella carceraria, pochi metri quadrati occupati per metà dai letti a castello, catapultata sulle Rive. È il segnale forte che l’Unione delle camere penali ha voluto lanciare durante il suo XIV congresso nazionale per sottolineare il problema delle carceri in Italia, rievocato appena qualche giorno fa dallo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il presidente dell’Unione, Valerio Spigarelli, ha voluto rimarcare nel suo intervento il ruolo squisitamente politico dell’associazione: “La nostra Unione è nata moltissimo tempo fa come un’associazione degli ottimati, composta soltanto dai migliori penalisti - ha dichiarato. Con il passare del tempo la forma è cambiata ma la componente eminentemente politica dell’associazione resta un punto fermo: noi non siamo una semplice congrega professionale, noi siamo quelli della separazione delle carriere, siamo quelli dell’abolizione del 41bis, siamo quelli della battaglia per la riforma della custodia cautelare”. Tra le battaglie dei penalisti anche quella per i diritti dei carcerati, lesi in particolare dal problema del sovraffollamento: in Italia ci sono oltre 66mila i detenuti per 45mila posti disponibili. Le morti in carcere sono state 117 dall’inizio dell’anno, di cui 40 casi suicidio. Un’emergenza contro la quale i penalisti sono impegnati da tempo in prima linea, da ultimo anche con l’adesione allo sciopero della fame organizzato qualche tempo fa dal leader dei Radicali Marco Pannella, e con un giro di visite nei penitenziari italiani. E il leader radicale è intervenuto anche al congresso di ieri: “L’amnistia è l’unico metodo individuato per il problema storico di questo territorio italiano - ha detto - . Noi siamo da almeno 40 anni in flagranza dei reati massimi per chi ha una concezione civile dello Stato e di civile convivenza” in un Paese che “da 25 anni ha le condanne costanti da parte della giurisdizione europea”. Oltre che per i numerosi e autorevoli interventi, il congresso verrà ricordato per la riconferma alla presidenza di Spigarelli. La sua è l’unica candidatura presentata al congresso che si concluderà oggi, il che rende scontato che sarà ancora lui, per altri due anni, a rappresentare l’organizzazione che conta 9mila penalisti e che lui guida dal 2010. Romano, 54 anni, Spigarelli, è stato anche presidente della Camera penale di Roma. Difensore di Diana Blefari Melazzi, la br detenuta per l’omicidio Biagi che si suicidò nel carcere di Rebibbia tre anni, è il legale anche di Nicola Testini, il maresciallo dei carabinieri coinvolto nel caso Marrazzo. Catanzaro: i detenuti donano giare in terracotta alla presidente della provincia Quotidiano di Calabria, 30 settembre 2012 I detenuti della casa circondariale catanzarese hanno donato le opere da loro realizzate nel laboratorio della struttura penitenziaria all’amministrazione provinciale. Dodici meravigliose giare di terracotta. Piccole opere d’arte, che nella loro semplicità rappresentano l’espressione del più autentico legame con la terra, e con il sole che splende al di là delle sbarre. Per i detenuti del carcere di Catanzaro lavorare l’argilla è anche un modo di conquistarsi, almeno negli spazi della mente, un po’ della libertà perduta per le diverse e complicate vicende della vita. Un modo per dedicare la propria passione e la propria abilità alla creazione plastica, tangibile, di quotidiani atti d’amore. Amore nei confronti dei propri familiari, i cui nomi sono riportati nei tanti incantevoli lavori di ceramica, ma anche nei confronti della comunità, che avrà presto l’opportunità di ammirare le opere lungo i percorsi naturalistici del Parco della Biodiversità Mediterranea. Le giare sono state infatti donate dai detenuti al presidente dell’Amministrazione Provinciale Wanda Ferro, nel corso di un incontro tenuto all’interno della casa circondariale di località Siano, alla presenza della direttrice dell’istituto Angela Paravati, e del magistrato di sorveglianza dott.ssa Antonella Magnavita. “L’iniziativa - ha spiegato la direttrice Angela Paravati - si inserisce nella progettualità dell’istituto, diretta ad attuare i principi della legge penitenziaria, in particolare quello di offrire ai detenuti delle opportunità di trattamento finalizzate anche al reinserimento lavorativo. All’interno della casa circondariale esiste un laboratorio di ceramica storico, che appena arrivata a Catanzaro ho voluto riattivare e implementare, anche cercando la collaborazione di un volontariato serio e capace. Abbiamo quindi iniziato un lavoro con i ceramisti di Squillace, per dare una formazione di qualità ai detenuti che possa essere anche spendibile sul territorio. Il presidente della Provincia Wanda Ferro ci ha sempre sostenuto in queste iniziative, anche con contributi che ci hanno dato la possibilità di partire e di dar vita ad una vera e propria produzione. I detenuti hanno iniziato questo lavoro negli anni scorsi proprio con la Provincia di Catanzaro, arredando il Parco della Biodiversità, e per questo hanno voluto fare omaggio al presidente Wanda Ferro di alcune giare personalizzate con il logo dell’Amministrazione Provinciale e antichizzate. Purtroppo molti di loro sono detenuti condannati a lunghe pene, che non potevano godere di alcun beneficio per una consegna all’esterno, per questo abbiamo voluto consegnare le giare all’interno della struttura”. “Non nascondo l’emozione per un dono tanto meraviglioso - ha detto il presidente Wanda Ferro - che porta in sé il vissuto, ma anche le molteplici e complesse emozioni di questi uomini che hanno certamente avuto un percorso di vita difficile. Speriamo di potere ricambiare questo gesto d’amore che i detenuti hanno rivolto verso le comunità del nostro territorio. Si tratta di oggetti di grande pregio, che meritano di essere apprezzati dalla cittadinanza. Per questo ho sposato l’idea della direttrice dell’istituto, di esporre questi lavori realizzati con passione e maestria da questi autentici maestri ceramisti. Quella di Siano è una struttura che ci sta molto a cuore, perché sa guardare al sociale e, soprattutto, sa costruire un futuro per chi sconta la propria pena. Penso che con questo rapporto diretto tra le istituzioni si possa davvero pensare di cambiare le sorti di questa terra, e di migliorare la qualità della vita dei cittadini, con pari dignità per tutti, anche per chi è costretto a vivere in una cella”. Stati Uniti: ultimo detenuto occidentale di Guantánamo estradato in Canada Tm News, 30 settembre 2012 Omar Khadr, ultimo detenuto occidentale nel carcere militare statunitense di Guantanamo, è in viaggio verso il Canada, dove sconterà l’ultima parte della sua pena: lo ha reso noto la televisione canadese Cbc. Catturato in Afghanistan nel 2002 all’età di 15 anni, Khadr era stato condannato nel 2010 a otto anni di carcere da un tribunale militare statunitense per aver ucciso un soldato con una granata. Khadr - il cui arrivo in Canada è stato confermato dal sottosegretario alla Sicurezza canadese, Vic Toews - aveva accettato di dichiararsi colpevole in cambio di un rimpatrio in Canada: la relativa richiesta alle autorità di Ottawa era stata presentata l’anno scorso. Secondo fonti di stampa canadese Khadr dovrebbe scontare il resto della pena in un carcere di massima sicurezza in Quebec.