Giustizia: dopo parole Napolitano una Conferenza nazionale sull’esecuzione penale di Elisabetta Laganà* Ristretti Orizzonti, 29 settembre 2012 Ancora una volta, con la consueta chiarezza e determinazione, il Presidente Napolitano si è espresso a favore di una azione urgente tesa all’intervento di miglioramento della condizione carceraria, che preveda molteplici interventi e proposte. Parole che richiamano la stessa forza e indicazione già espresse dal Presidente nel suo intervento al Convegno dello scorso anno promosso dai Radicali, che avevano sollecitato l’attenzione sul problema delle carceri la cui situazione, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni e trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. L’urgenza è data quindi dal riportare il carcere a livelli di legalità, non solo dal punto di vista numerico ma anche sulla qualità dell’esecuzione penale. I provvedimenti posti in essere alcuni mesi fa, per ottenere la deflazione numerica degli istituti vanno sicuramente nella giusta direzione, ma non sono sufficienti. È quindi indifferibile procedere il più rapidamente possibile con le proposte in esame sul potenziamento delle misure alternative, della messa alla prova, della revisione delle ben note leggi responsabili di avere portato il carcere a questi livelli di sovraffollamento, e parallelamente perseverare, con coraggio, verso la direzione di “carcere minimo” a cui bisogna tendere attraverso una pluralità di iniziative e di strumenti. In questa prospettiva la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha svolto nel giugno scorso la V Assemblea generale sui temi fondamentali inerenti l’esecuzione della pena e la sua prospettive, per effettuare un dibattito tra tutte le parti coinvolte nell’esecuzione penale, nell’ambito delle rispettive tematiche, per poter definire proposte, progetti e linee guida su cui confrontare l’operato di tutti gli attori istituzionali e del privato sociale, in una sorta di task force sullo stato della detenzione e sull’esecuzione penale; nell’auspicio che questa occasione di confronto e di progettazione possa divenire prodromica ad una Conferenza nazionale sull’esecuzione penale, prevista con cadenza triennale e sinora mai convocata. Ci auguriamo pertanto che la politica affronti, coraggiosamente, questa strada, senza ulteriori rimandi. Che questa occasione per cambiare le cose non vada perduta. Le parole del Presidente sottolineano come l’urgenza della situazione delle carceri non possa ulteriormente rinviata; perché rimandare significa aggiungere altri capitoli alla sofferenza del sistema, insistere nelle tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri, così lontane dall’attuale dettato costituzionale. Una situazione che spinge frequentemente a togliersi la vita. Già nel mese di maggio il Ministro Severino aveva dichiarato l’intenzione di adottare provvedimenti di carattere strutturale in grado di far recuperare alla pena la sua reale dimensione di extrema ratio, manifestando l’impegno di sostenere nel percorso parlamentare questi provvedimenti, individuando per un rapido esame lo strumento della corsia preferenziale presso la Commissione Giustizia della Camera. Chiediamo che questo intendimento venga rapidamente concretizzato con determinazione, e che con la stessa fermezza dal governo possano scaturire risposte risolutive, in grado di affrontare tutti i temi sostanziali lasciati aperti, o addirittura peggiorati, in questi anni. *Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Giustizia: amnistia, il lavoro da fare subito di Mauro Palma Il Manifesto, 29 settembre 2012 Un nuovo pressante sollecito è venuto ieri dal Presidente Giorgio Napolitano a riportare la situazione detentiva nell’ambito di quanto la costituzione prevede circa ragione, significato e modalità delle pene. Il nuovo appello indica un’urgenza che non sembra però venir colta da molti interlocutori, anche istituzionali, nella sua dimensione. È l’urgenza del non essere attori o corresponsabili dell’offesa alla dignità di persone che, private della libertà personale, sono affidate alla responsabilità dello Stato. È l’urgenza di riportare alla legalità, cioè a quanto norme e ordinamenti prevedono, un luogo dove si dovrebbe essere rieducati al rispetto delle norme e invece si sperimenta il loro essere soltanto rassicuranti enunciazioni che non vincolano l’autorità pubblica. È l’urgenza del rispetto di convenzioni internazionali per la tutela dei diritti; atti che, una volta ratificati, vengono poi allegramente elusi. Non è però il primo appello che viene dal colle e i risultati fin qui non sono stati certo risolutivi: qualche numero in meno nelle presenze, qualche iniziativa di contenimento, qualche progetto di apertura a pene diverse, ma non c’è stata la capacità di aggredire il cuore del problema. Questo si articola nei due aspetti, quello dei meccanismi che producono carcere e precludono l’effettivo ricorso ad alternative e quello della ridefinizione di una fisionomia del complessivo sistema detentivo. Senza aggredire questi due aspetti, uno legislativo e uno amministrativo, gli sforzi, pur meritevoli, sono poca cosa se commisurati alla gravità della situazione. Ieri al Quirinale, insieme alla delegazione dei professori che in una lettera aperta avevano sollevato l’insostenibilità della situazione presente e a un rappresentante dei garanti territoriali dei detenuti, era presente anche il governo, nella figura di uno dei sottosegretari alla giustizia: si spera abbia preso nota dell’urgenza, da tutti condivisa, di un tema da affrontare con la stesso decisionismo riservato ad altre urgenze. Quando, infatti, dieci mesi fa,la situazione economica e finanziaria del Paese si era pericolosamente avvicinata a un punto di non ritorno e soprattutto la credibilità internazionale era giunta allo stadio di farsa diffusa, si determinò, proprio su azione del colle, un punto di rottura verso una soluzione tecnica che surrogasse l’immobilismo politico. Al di là delle valutazioni sulle scelte poi operate, questa fu la cifra della presa d’atto di un’urgenza. La situazione che si presenta oggi rispetto al sistema detentivo ha forti similarità con allora, seppure in un altro contesto: la situazione si è pericolosamente avvicinata alla soglia dell’insostenibilità perché si rischia di precipitare verso una condizione di non tutela di diritti elementari di vivibilità; lo sguardo internazionale è sempre più perplesso nel constatare la disinvolta inadempienza rispetto a impegni internazionali sottoscritti in tema di diritti umani. È questo spread tra democrazia affermata e democrazia agita, di cui la situazione carceraria è emblematica concretizzazione, a richiedere pari rapidità e pari strumenti di quelli adottati per un altro spread: il governo ha infatti motivato il ripetuto ricorso a decreti per varare le sue riforme con l’urgenza che la situazione richiedeva; ora agisca con analoghi strumenti per affrontare quest’altra urgenza. Per esempio intervenga sulla legge sulle droghe, almeno per quei casi che la stessa norma definisce di “lieve entità” ma che tiene insieme a comportamenti illeciti ben più gravi, nello stesso articolo, con effetti iper-penalizzanti: renda autonoma dal resto tale previsione e, trattandosi di lieve entità, ne ridefinisca la conseguente sanzione. Anche perché il governo sa bene che la normativa sulle droghe rappresenta il nucleo delle cause dell’affollamento penitenziario. Intervenga poi, sempre con strumenti rapidi, urgenti, sulla rimozione di quelle norme che ostacolano l’effettivo accesso a misure alternative al carcere a detenuti che, sebbene condannati a pene non lunghe, ne sono preclusi in base al loro essere recidivi. Non si obietti che tali provvedimenti avrebbero una dimensione politica e non tecnica: molti, forse tutti, i provvedimenti che sono stati “tecnicamente” adottati hanno una dimensione politica e spesso la dimensione politica è prevalente su quella strettamente tecnica. Il provvedimento sul lavoro ne è un chiaro esempio. Non si vede, quindi, perché non assumersi fino in fondo la responsabilità politica in questo settore sulla cui drammaticità tutti a parole concordano. Altrimenti, le parole del Presidente rischiano di aggiungersi a una sorta di coro che ormai si sente un pò ovunque e che è unito nel descrivere la gravità della situazione e del tutto dissonante nell’impegnarsi concretamente a risolverla. Proprio mentre le agenzie battevano il comunicato di Napolitano, al Senato si consumava la farsa tragica dell’ennesimo rinvio della legge per l’introduzione del reato di tortura, su cui tutti si erano dichiarati d’accordo in commissione. Un paio d’interventi di un ex vice-questore e di un ex prefetto, entrambi ora senatori, aprivano le danze del necessario approfondimento, dell’ulteriore discussione, del ritorno in commissione della legge. Il coro unanime si era così dissolto in un guazzabuglio di voci, in cui anche un illustre senatore che caldeggiava l’approvazione del provvedimento motivava la sua posizione e tranquillizzava gli oppositori dicendo che la norma era innocua perché “non potrà esserci occasione da parte della polizia per commettere nei confronti di un imputato il reato di cui stiamo discutendo (...) lo introduciamo solo per rispettare un impegno”. Amen Giustizia: amnistia, per Napolitano corsa contro il tempo di Eleonora Martini Il Manifesto, 29 settembre 2012 L’apertura del capo dello Stato Giorgio Napolitano sul ricorso ai provvedimenti di amnistia e indulto è “un richiamo importante” ma “fine a se stesso”. Il deputato Radicale Maurizio Turco coglie appieno la difficoltà del presidente della Repubblica che oggi come 14 mesi fa torna a lanciare un accorato appello su una questione che ha ormai oltrepassato la “prepotente urgenza costituzionale e civile” (parole che Napolitano pronunciò il 28 luglio 2011) scegliendo però di non usare gli strumenti in suo possesso. Il monito di Napolitano, infatti, non è un messaggio alle Camere, anche se suona come tale, come fa notare il capogruppo Udc in Commissione Giustizia, Roberto Rao. Per il presidente della Repubblica il messaggio alle camere è l’unico strumento costituzionale per costringere il Parlamento a discutere dell’illegalità del nostro sistema giudiziario, già iscritto nella black list del Consiglio d’Europa. Napolitano ha ancora due mesi per usarlo, prima che inizi il “semestre bianco”. I Radicali però - che, erroneamente a quanto riportato ieri, non hanno fatto parte della delegazione ricevuta giovedì dal capo dello Stato - nicchiano anche sulla possibilità, ventilata da Napolitano, di ripensare le regole costituzionali che impongono il consenso dei due terzi di ciascuna camera per varare le misure di clemenza. Una riforma costituzionale impegna infatti un lasso di tempo che nel mondo penitenziario si misura in numero di morti, suicidi, condanne della Corte europea... Troppo per la nostra democrazia. Il timore di non raggiungere i numeri necessari in Parlamento per approvare un provvedimento di amnistia e indulto sta diventando un pretesto alla mancata iniziativa politica e legislativa. Anche la Guardasigilli Paola Severino, dal canto suo, torna ancora a rivolgersi al Parlamento: “Sull’amnistia e l’indulto il mio pensiero non è molto lontano da quello del presidente della Repubblica, anzi”, ha detto ieri a margine del XIV congresso dell’Unione delle camere penali italiane. Il governo, spiega, “sta mettendo in piedi tutta una serie di interventi strutturali per la deflazione carceraria, che non sono solo quelli del salva carceri di gennaio, ma anche quelli delle misure alternative e del lavoro carcerario”. “Il carcere deve diventare l’extrema ratio, è chiaro”, aggiunge Severino. Solo che a decidere deve essere il Parlamento, l’unico che “può assumere” le misure “a cui faceva riferimento il presidente Napolitano” e che “richiedono una maggioranza qualificata”. “Occorre trovarla”, chiosa la ministra. “Ma perché, qualche tempo fa c’erano forse i numeri per far cadere la regione Lazio? - risponde il Radicale Turco - Il contesto politico può cambiare se solo la politica, le istituzioni e l’informazione decidessero di porre sulla giustizia la stessa attenzione che si mette sui soldi”. Il grido d’allarme di Napolitano però se non altro ieri ha convinto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata ad esprimersi esplicitamente in favore dell’amnistia, annoverata nell’ambito delle iniziative possibili come “strumento di recupero e riscatto della persona”. Un passo avanti. Anche se, prendendo ancora a prestito le parole di Maurizio Turco, “i diretti interessati dell’amnistia e dell’indulto non sono i carcerati ma la giustizia, anzi la Repubblica”. Giustizia: Severino; da Governo interventi strutturali per ridurre il sovraffollamento www.triesteallnews.it, 29 settembre 2012 “Siamo onorati di avervi qui e siamo consapevoli di quel che significa dare una corretta amministrazione della giustizia alla comunità per favorire lo sviluppo”. È stato questo il benvenuto dato dal presidente della Regione, Renzo Tondo, ai tantissimi avvocati che hanno partecipato oggi all’apertura dei lavori del XIV congresso ordinario “Il progetto dei penalisti per la giustizia”, che da questo pomeriggio a domenica ha luogo alla Stazione Marittima di Trieste. Tondo ha ricordato il protocollo firmato tra Regione e Ministero dell’Interno nel 2006 “nella convinzione che collaborare con lo Stato nel campo della Giustizia significa non solo dare certezze ai cittadini, ma anche dare alle nostre imprese e alla nostra comunità delle possibilità di sviluppo”, un accordo in base al quale ancora oggi circa una ventina di dipendenti regionali sono distaccati agli Uffici giudiziari per compensarne le carenze d’organico. “Anche per questo e perché siamo una regione virtuosa che ha ridotto il debito pubblico e con le poche risorse a disposizione sta facendo infrastrutture importanti a servizio del Paese - ha osservato il presidente -, avremmo voluto partecipare costruttivamente al processo di riforma delle circoscrizioni della geografia giudiziaria”. “Vicende come quelle del Consiglio regionale del Lazio non ci appartengono” ha continuato il presidente, invitando a tener presente che non è il caso di fare di ogni erba un fascio e che esistono Regioni come il Friuli Venezia Giulia, che vogliono far parte di un processo di ammodernamento della comunità e hanno saputo dare un contributo importante al funzionamento del Paese. “Ritengo che da questa tre giorni di lavoro possano uscire cose importanti e mi auguro ne derivi una forma costruttiva di coesione operativa” ha concluso il presidente, prendendo posizione sul tema delle intercettazioni. “Quando vedo pubblicati sui giornali gli atti dei processi prima ancora che vengano trasmessi agli avvocati, penso francamente che ci sia qualcosa che non va”, ha dichiarato Tondo. Prima del presidente del Friuli Venezia Giulia avevano parlato il presidente del Senato, Renato Schifani e il guardasigilli Paola Severino, due interventi contermini per i temi affrontati, in un contesto che ha riportato Schifani a ripercorrere i primi passi della sua carriera forense e Severino a ribadire la volontà di riprendere il lavoro d’avvocato una volta concluso il suo mandato. Schifani in particolare ha sottolineato l’urgenza dell’approvazione della legge sulla corruzione quale “passo importante per recuperare fiducia e rapporto con gli elettori” e ha definito “il concetto di giustizia e legalità un baluardo in un momento di crisi etica del Paese”, mentre Severino ha citato la legge sulla diffamazione e la nuova legge forense e auspicato di arrivare alla sua approvazione entro la legislatura. Il ministro ha anche ricordato l’impegno in atto a favore di un sistema penale rispettoso della dignità dell’individuo prima con la legge “svuota carceri”, e ora con i provvedimenti per l’edilizia penitenziaria e le misure alternative alla detenzione, un processo avviato per affrontare e risolvere “la vergogna”, come aveva detto Schifani, del sovraffollamento delle carceri. “Il mio pensiero sulle misure contro questa situazione non mi pare molto lontano da quello del Presidente Napolitano” ha dichiarato il ministro della Giustizia, a proposito delle misure suggerite dal Capo dello Stato contro il sovraffollamento delle carceri: indulto e amnistia. “Il governo sta mettendo in piedi tutta una serie di interventi strutturali che non sono soltanto il “salva carceri” di gennaio ma anche quelli delle misure alternative, per esempio il lavoro carcerario. Una serie di misure che io definisco strutturali perché dovrebbero incidere stabilmente sul numero dei detenuti”. “Se il carcere diventa l’estrema ratio è evidente che in carcere ci sarà meno affollamento - ha proseguito Severino. Accanto a queste misure ve ne sono altre che il Parlamento può assumere, che richiedono però una maggioranza parlamentare qualificata e sono quelle a cui ha fatto riferimento il Presidente Napolitano. Anche queste misure possono essere attivate ma occorre trovare la maggioranza qualificata necessaria. Questo - ha concluso il ministro della Giustizia - è quello che ho sempre detto e, mi pare, in linea con quanto proposto da Napolitano”. Giustizia: Antigone; urgente intervenire sulla drammatica situazione delle carceri Radio Vaticana, 29 settembre 2012 Una situazione che non fa onore all’Italia: lo ha detto nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in riferimento allo stato delle carceri. E ha auspicato che le proposte di legge volte a incidere sulle cause della degenerazione degli istituti di pena trovino sollecita approvazione in Parlamento, a cominciare da quelle per l'introduzione di misure alternative fino a forme di amnistia o indulto. Una posizione condivisa dal ministro della Giustizia, Paola Severino che in settimana aveva presentato l’avvio di un’indagine scientifica sul rapporto carcere-recidiva. Sull’iniziativa Adriana Masotti ha sentito il parere di Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone. Un’indagine essenziale, perché serve a liberare da tutti i pregiudizi e gli stereotipi che ci sono intorno al fatto che il carcere deve essere solo vessazione, punizione cieca. Invece, noi sappiamo, sia per conoscenza empirica nel nostro lavoro di osservazione, ma anche per conoscenza scientifica -perché ci sono già delle ricerche in tal senso- che chi sconta una pena in carcere con un trattamento umano, con opportunità di educazione scolastica, di un lavoro qualificato, di partecipazione ad attività teatrali degne di questo nome, ha sicuramente un tasso di recidiva più basso. C’è un’indagine fatta in Germania già di questo tipo che lo ha dimostrato in modo inequivocabile. Chi, per esempio, ha studiato durante l’esperienza di detenzione, poi non ricommette, quasi mai, un crimine quando esce dal carcere. C’è una ricerca in questo senso fatta in Italia su chi ha avuto l’opportunità di una misura alternativa, e chi l’ha avuta durante la carcerazione. Tale ricerca mostra che nel primo caso il tasso di recidiva è tre volte più basso di chi invece si è fatto tutto il carcere dentro. E quindi ben venga una ricerca in questo senso. Lei parla di opportunità culturali, di lavoro, dentro il carcere e di misure alternative, cioè di tutti e due gli aspetti… Contano entrambi. Conta l’opportunità che si possa avere un progressivo avvicinamento al mondo esterno, perché chi è stato per esempio quattro o cinque anni in carcere senza mai avere contatti con l’esterno, si ritroverà quando esce in un mondo diverso. Figuriamoci chi è entrato in carcere prima dell’era della digitalizzazione, di internet: ora esce, non sa neanche più come cercare lavoro. Quindi piano, piano, bisogna invece, avvicinare le persone, prepararle all’uscita. E poi conta come si è i trattati dentro, perché lo Stato forte, non è lo Stato che tratta male; lo Stato che tratta nella legalità. Lo Stato forte è quello che dentro ti fa studiare, ti consente di avere un contatto religioso, di imparare un mestiere, di esercitalo e per farlo non ti sfrutta, ti tratta decentemente, ti fa fare un’esperienza di teatro… Pensiamo che oggi è candidato all’Oscar il film: “Cesare deve morire”. Conosco gli attori di quella compagnia teatrale, ed alcuni di questi oggi sono attori professionisti! Giustizia: il reo, la vittima e lo Stato… il colpevole è “universale” di Paolo Persichetti Gli Altri, 29 settembre 2012 Scrive il professor Franco Cordero nella sua Procedura Penale (Giuffrè 1991) che l’inquisito (cioè il presunto innocente fintanto che non subentra la condanna definitiva) rappresenta il cuore dell’inchiesta e del giudizio penale. La sua presenza corporea è l’oggetto fisico del processo. Egli è volentieri ritenuto la fonte stessa della prova, l’animale confessante poiché “essendo rare le effusioni spontanee, bisogna stimolarle: gli inquisitori manipolano anime. L’opera richiede un ambiente: luoghi chiusi e tempo ciclico, soggetto a lunghe stasi; presto appare diverso da com’era fuori, irriconoscibile; gli shock da tortura incidono meno del lavoro profondo. Quando sia infrollito al punto giusto, un niente lo smuove”. Il processo nient’altro è dunque che l’anticipazione della colpevolezza, anteprima della sanzione realizzata attraverso la custodia cautelare e le molteplici forme d’invasività della sfera personale, come le intercettazioni, i sequestri, le pressioni e le intimidazioni. Questa visione, per la quale il reo è una proprietà esclusiva dello Stato, strappata alla vendetta privata per essere sottoposta alla “sofferenza legale”, è messa oggi apertamente in discussione da una nuova prospettiva che sposta l’interesse dal reo alla vittima. In un volume apparso alcuni anni fa, Marco Bouchard e Giovanni Mierolov Offesa e riparazione. Per una nuova giustizia attraverso la mediazione (Bruno Mondadori, 2005), descrivevano questo nuovo protagonismo della vittima come la rivendicazione di un’autenticità che era stata espropriata dalla forza privata degli individui, sottratta al processo penale, per conferirla a una burocrazia di ceti tecnici ed esperti statali. Da qui - affermano gli autori - è scaturito il divieto assoluto di farsi giustizia da soli. Secondo questa interpretazione la civiltà giuridica dell’astrazione avrebbe allontanato la procedura penale dalla sofferenza, dalle emozioni, dai sentimenti e le affettività, per neutralizzazione e spersonalizzare la posizione della vittima a vantaggio di un intangibile risarcimento dell’equilibrio sociale infranto dal delitto. L’emergere di questa nuova visione ha rinvigorito le teorie della pena da scontare nell’afflizione e nel rimorso, legittimando l’antico desiderio di vendetta. Un tentativo di risposta a questa tendenza è venuto dalle filosofie che ricercando la conciliazione e la riparazione hanno ispirano le diverse e confuse ricette promosse dal nuovo istituto sperimentale della mediazione penale. Una commissione ad hoc, che ha anche diffuso delle linee di indirizzo generali, è stata messa in piedi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Al centro di questa nuova filosofia penale vi è l’idea che occorre reintrodurre un rapporto diretto tra vittima e aggressore, aprendo la strada a nuove forme di riparazione dell’offesa che legano indissolubilmente l’aggressore al risarcimento non solo simbolico della vittima. Tuttavia non esiste piena unanimità su questo: c’è chi osserva (Vincenzo Ruggiero, “Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista”, edizioni Gruppo Abele 2011) che riorientare la criminologia verso la vittima offre “a una disciplina esausta, la possibilità di rivitalizzarsi e di conseguire legittimità politica”. In fondo - osserva sempre Ruggiero - “le vittime possono anche essere vittimizzate dalla vittimologia ufficiale. In altre parole possono diventare vittime degli stereotipi che vengono loro imposti”. Riserve sono state avanzate anche dalla commissione ministeriale, lì dove si è osservato che Fatto di riparazione richiesto al reo, “imporrebbe alla vittima di essere “oggetto”“ di gesti non richiesti o non graditi, per altro al solo vantaggio del reo, a causa degli attuali criteri utilizzati dalle magistrature di sorveglianza che premiano simili condotte, imponendo ai detenuti ipocriti gesti di contrizione esteriore privi di autenticità. “Configurando per la vittima - prosegue la nota della commissione - una ulteriore violenza subita (Giuffrida)”, per altro a molti decenni di distanza dai fatti. (Circolare del 14 giugno 2005 - Prot. n. 3601/6051). In questo modo, più che attore del nuovo dispositivo, la vittima designata come tale -non tanto la vittima in sé quanto la vittima ritenuta “meritevole” - si ritrova ad essere un oggetto passivo, con un ruolo pienamente strumentalizzato dalla nuova strategia mimetica dello Stato che facendosi schermo della sua icona martirizzata può dispiegare un nuovo paradossale diritto di punire che nulla c’entra con la giustizia ricostruttiva, evocata troppo spesso a sproposito per giustificare il nuovo istituto della mediazione penale. Quest’ultima, infatti, pone sullo steso piano vittima e aggressore ricercando soluzioni diverse dalla sanzione penale (un esempio viene dalla commissione verità e riconciliazione in Sud Africa). La singolarità italiana sta nel voler ibridare giustizia retributiva e riparativa, quest’ultima solo accessoria e non sostitutiva della prima, anzi promulgata in modo da prolungarne gli effetti. Agendo spesso come una condanna supplementare priva della legittimità di una sentenza processuale, la giustizia riparativa erogata nel corso dell’esecuzione della pena opera come un quarto grado di, giudizio, sorta di processo permanente che accompagna l’intera detenzione. Non potendo più intervenire sul reato essa sposta la sua attenzione sulla personalità del reo moltiplicando all’infinito le misure d’interdizione che si abbattono come una rappresaglia sul suo corpo. Giustizia: Alfonso Papa (Pdl); già 41 detenuti suicidi, intervengano le Camere Dire, 29 settembre 2012 “Nelle stesse ore in cui il Capo dello Stato richiama le Camere sull’emergenza del sovraffollamento carcerario, un detenuto tenta il suicidio”, è quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa dopo il tentato suicidio da parte dell’ex gip di Palmi Giancarlo Giusti recluso nel carcere di Opera e condannato a quattro anni per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. “Dall’inizio dell’anno sono morti nelle carceri italiane 118 detenuti, 41 dei quali si sono tolti la vita- continua Papa- La morte di Giusti è stata sventata in extremis grazie all’intervento della polizia penitenziaria, ma i casi di questo tipo, così come gli episodi di autolesionismo, sono all’ordine del giorno e raramente attirano l’attenzione della stampa”. “Le Camere agiscano al più presto per porre fine a una tortura legalizzata che tiene sotto scacco oltre 66mila persone in carne ed ossa - conclude Papa. Non possiamo consentire che anche solo un’altra persona perda la vita mentre è sotto la tutela dello Stato”. Giustizia: Gruppo Verdi Parlamento Europeo interroga Commissione su carceri Adnkronos, 29 settembre 2012 Il Gruppo Parlamentare dei Verdi al Parlamento Europeo ha inoltrato alla Commissione Europea una Interrogazione con richiesta di risposta scritta denunciando la gravissima ed intollerabile situazione in cui, ormai da troppo tempo, versano le carceri della Repubblica Italiana. L’atto di Sindacato Ispettivo, sollecitato dall’Ecologista Radicale Emilio Quintieri ed elaborato dallo stesso, è stato sottoscritto dai Deputati Europei dei Verdi Raul Romeva i Rueda, Rui Tavares, Eva Lichtenberger, Jean-Paul Besset, Karima Delli, Jan Philipp Albrecht e dai loro colleghi italiani Gianni Pittella e Mario Pirillo del Gruppo Parlamentare Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo ed infine dall’On. Andrea Zanoni membro del Gruppo Parlamentare Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa. “Nelle carceri d’Italia, a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti sono rinchiuse 66.271 persone detenute delle quali 24.773 straniere. Degli oltre 66.000 detenuti, 25.970 sono ancora in attesa di giudizio mentre i condannati definitivi risultano essere 38.906. Di questi detenuti 685 sono sottoposti al 41 bis, un regime detentivo speciale che gli organismi comunitari considerano, a ragione, una forma sofisticata di tortura, severamente proibita dall’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e dall’Art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. In Italia oggi oltre la metà delle persone recluse è sottoposto a custodia cautelare: si tratta di una delle percentuali più alte di tutta l’Europa che fotografa chiaramente un’anomalia tutta italiana per non parlare del sovraffollamento che ha raggiunto il 157% contro una media europea del 97%. Dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane sono morti già 117 detenuti dei quali ben 40 per suicidio. La Repubblica Italiana è stata già richiamata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e condannata migliaia di volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani; attualmente sarebbero pendenti oltre 1.000 ricorsi che, probabilmente, verranno esaminati con una sentenza pilota”. Tanto premesso, i Parlamentari Europei hanno chiesto alla Commissione Europea di sapere “se non ritenga urgente agire per assicurare il rispetto uniforme dei diritti delle persone detenute e di condizioni dignitose di vita ponendo fine ai trattamenti disumani, crudeli e degradanti posti in essere in tutte le Carceri della Repubblica Italiana e se non ritenga doveroso avviare d’ufficio ai sensi dell’Art. 258 del Tfue una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana per ripetuta violazione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea.” Come Gruppo Parlamentare dei Verdi al Parlamento Europeo - afferma l’Ecologista Radicale Emilio Quintieri - ci impegneremo affinché la Repubblica Italiana rispetti gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea ed esegua le sentenze pronunciate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. A nulla sono servite le condanne, i richiami ed i rimproveri fatti all’Italia in questi anni per cui riteniamo che la Commissione Europea debba ufficialmente aprire una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro ingiungendogli di porre fine all’indiscriminata e reiterata violazione dei diritti umani fondamentali riconosciuti dall’Unione Europea e, in caso di inottemperanza, di adire formalmente la Corte di Giustizia del Lussemburgo. Giustizia: scrittore Bonvissuto “50% detenuti costretti a rapporti gay, anche violenti” Irispress, 29 settembre 2012 “Il carcere non è solo un sistema che, così com’è realizzato, contribuisce al degrado della persona umana e ne impedisce spesso le possibilità di recupero. Il degrado del carcere riguarda anche l’affettività delle persone. Impedendo ciò che avviene in molti carceri europei dove è possibile incontrare periodicamente le proprie mogli e compagne, di fatto le carceri siffatte costringono molti detenuti e detenute ad avere rapporti gay spesso subiti, comunque transitori, anche violenti”. La denuncia shock è del giovane scrittore Sandro Bonvissuto, ex detenuto del carcere di Regina Coeli, autore di “Dentro”, il best seller edito da Einaudi che molto crudamente ha affrontato la questione delle carceri focalizzando, tra gli altri, anche il tema dell’omosessualità costrittiva, che intervistato da Klaus Davi per il suo programma KlausCondicio su YouTube, ha parlato “di carcere azzeratore dei sentimenti”. “Non ho documenti sufficienti, però mi lancio: io penso che sia qualcosa di poco inferiore alla metà, siamo nell’ambito del 50%. Poniamo il 50%. Secondo me tra il 40 e il 50% ci siamo. E anche i rapporti occasionali, magari nulla toglie che, tornati alla vita, si possano chiudere alle spalle le porte del carcere e anche le porte di un’esperienza. Ovviamente lì grosse alternative non ce ne sono per avere dei rapporti sessuali o per avere un qualcosa che ha a che fare con la sfera sessuale.” Alla domanda di Klaus davi sul perché questa omosessualità non scelta venga taciuta da politici e istituzioni: “non fa comodo a nessuno tirarle fuori alle vittime del fenomeno, alle guardie, ai politici, alle istituzioni. Nel corso dell’intervista, parla anche della libera circolazione della droga in carcere: “il carcere, proprio per le difficoltà a cui sottopone l’individuo, lo espone senz’altro a una forma di fragilità. La possibilità di reperire gli stupefacenti è una cosa che l’istituzione non è riuscita fino a oggi a scongiurare, quindi credo che quelle siano condizioni particolarmente delicate per un detenuto, dove è possibile che, se non si è tossicodipendenti, si possa anche cominciare”. Bonvissuto si è anche rivolto al Ministro della Giustizia, Paola Severino: “mi auguro che la mia testimonianza come altre obblighi il Ministro a confrontarsi anche con questo aspetto del carcere: l’azzeramento dell’affettività, l’annichilimento del detenuto”. Liguria: Fns-Cisl; sì all’amnistia, per evitare che il sistema penitenziario imploda Ansa, 29 settembre 2012 “Le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Napolitano, rispetto alla necessità di dare una spinta ulteriore affinché nel Parlamento vengano affrontate le proposte in grado di incidere anche e soprattutto sulle cause strutturali dell’attuale degenerazione del sistema carceri, si pongono in piena sintonia rispetto a quanto la Fns Cisl ribadisce da tempo”. Sono queste le prime dichiarazione rilasciate alle agenzie stampa dal segretario generale della Federazione nazionale della sicurezza Cisl Pompeo Mannone, successivamente alle dichiarazioni fatte dal presidente Napolitano durante l’incontro tra lo stesso e i sottoscrittori di una lettera aperta sul tema dell’efficienza della giustizia e della realtà carceraria. “Anche l’ipotesi indicata dal presidente Napolitano - afferma Mario Falcone, segretario generale regionale - di prevedere straordinariamente il ricorso a provvedimenti eccezionali di clemenza, proprio per impedire che l’attuale sistema carcerario imploda e che continui a porre il nostro Paese ai livelli più bassi e mortificanti nell’ambito dei sistemi di esecuzione della pena, può risultare percorribile, ma a condizione che si creino i necessari presupposti atti a determinare un sistema di misure alternative alla detenzione, che ampliando il ricorso alla detenzione domiciliare e depenalizzando reati minori porti a considerare il ricorso alla carcerazione come ultima ipotesi. Adesso serve una vera assunzione di responsabilità da parte del Parlamento che traduca in concretezza questi moniti e che dimostri il coraggio delle proprie scelte, ristabilendo i giusti livelli detentivi costituzionalmente previsti e soprattutto migliorando le condizioni lavorative di tutti gli operatori penitenziari che subiscono sulla propria pelle le gravi inadeguatezze complessive del pianeta carceri. A tal proposito, è utile ricordare che anche la Liguria soffre purtroppo i problemi del sistema carcere nazionale: è la terza Regione d’Italia per sovraffollamento, dopo Puglia e Lombardia, con 1.845 presenze contro i 1088 posti disponibili. Circa 750 detenuti in più. Il 40% di carcerati è tossicodipendente con tutte le problematiche che ne derivano. Dei 1.845, ben 800 sono in attesa di giudizio. I poliziotti penitenziari in servizio in Liguria invece, sono 874 anziché 1.174 previsti dalle tabelle ministeriali”. Puglia: Regione e Prap firmano intesa con l’obiettivo di ridurre i suicidi in carcere Adnkronos, 29 settembre 2012 Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha firmato oggi un protocollo d’intesa con il Provveditore regionale della Amministrazione Penitenziaria Giuseppe Martone e la direttrice del Centro Giustizia Minorile per la Puglia Francesca Perrini contenente le linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale. “Credo che sia opportuno oggi sottoscrivere questo protocollo - ha detto il governatore - all’indomani delle parole forti e severe che il Capo dello Stato ha pronunciato su quella questione che sta diventando uno scandalo internazionale: la condizione dei nostri penitenziari è vergognosa. Siamo dentro un dato strutturale di sovraffollamento che di per sé è un dato che rappresenta una lesione dei diritti fondamentali delle persone detenute”. “Noi - ha spiegato Vendola - stiamo cercando di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto sul tema del carcere e dei diritti dei detenuti. In Puglia ci sono stati negli ultimi mesi quattro suicidi e un numero importante di atti di autolesionismo. Perché un detenuto si ferisce, cerca di impiccarsi, si dispera?”, si è chiesto Vendola. “Perché il carcere è diventato, come risulta dalle denunce di Amnesty International o dalle condanne che subiamo presso la Corte di Giustizia Europea, un luogo disumano e barbarico”. Una delle ragioni principali, secondo Vendola, è il sovraffollamento. “Un carcere disumano - ha continuato - è una fabbrica di violenza e di insicurezza, un carcere che rispetta e che offre la possibilità a un detenuto di formarsi per poter un giorno reinserirsi nella società è un carcere che rappresenta un punto di equilibrio e di armonia sociale. Noi ci battiamo contro l’assuefazione a questo scivolamento del circuito penitenziario italiano verso una condizione di ordinaria barbarie”. Vendola ha poi sottolineato il dato pugliese, secondo cui la Puglia ha la più alta percentuale di sovraffollamento pari al 188%. “Non so se negli anni passati - ha evidenziato Vendola - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, o il Ministero della Giustizia hanno pensato di fare un regalo alla Puglia riempiendo in forma particolarmente intensa le carceri pugliesi, fatto sta che nella nostra regione abbiamo la percentuale più alta di sovraffollamento”. “Il sovraffollamento carcerario - ha commentato l’assessore alla Salute Ettore Attolini - e i casi suicidari e autolesivi dei detenuti sono due fenomeni che hanno una notevole correlazione. Credo sia necessario, quindi, esercitare un’intensa attività di controllo e di monitoraggio che poniamo in essere attraverso la firma di questo Protocollo”. Opera (Mi): giudice in cella dopo la condanna per mafia tenta il suicidio, è in coma Corriere della Sera, 29 settembre 2012 Ha tentato il suicidio nel carcere milanese di Opera il giudice Giancarlo Giusti, ex gip del tribunale di Palmi (Reggio Calabria). Il magistrato, ricoverato in rianimazione, si trova in coma farmacologico. Il tentativo di suicidio è arrivato il giorno dopo la condanna di Giusti a 4 anni di reclusione, con l’accusa di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. Secondo l’accusa, il giudice, sospeso dal Csm dopo l’arresto nel marzo scorso, sarebbe stato corrotto dalla cosca dei Lampada con escort e soggiorni di lusso. La sentenza è stata emessa dal Gup di Milano Alessandra Simion, che ha condannato altre tre persone, tra cui l’avvocato Vincenzo Minasi a 4 anni e 4 mesi. Secondo, l’accusa Giusti avrebbe usufruito di nove soggiorni gratuiti presso l’hotel Brun di Milano nel 2008 e nel 2009, per un controvalore di circa 27 mila euro, e anche di prestazioni sessuali con prostitute. Giusti aveva “l’ossessione per il sesso” e per “divertimenti”, affari, conoscenze utili, aveva scritto il gip Giuseppe Gennari nell’ordinanza di custodia cautelare a suo carico. Molti particolari erano emersi dall’agenda informatica sequestrata allo stesso magistrato. Questo diario descriveva la “bella vita” che il giudice conduceva durante le sue trasferte a Milano, spesato da un clan della ‘ndrangheta, “fra donne, amore, vino e affari”. Giusti aveva nominato come difensore di fiducia la sua ex moglie, Teresa Puntillo, avvocato del foro di Palmi. Stazionarie condizioni giudice Giancarlo Giusti Sono stazionarie, questa mattina, le condizioni del giudice Giancarlo Giusti che ieri, dopo essere stato condannato nel capoluogo lombardo per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa perché accusato di essere “a libro paga” della ‘ndrangheta, ha tentato il suicidio nel carcere milanese di Opera. Il magistrato, che ha cercato di impiccarsi utilizzando il cordino per sostenere i pantaloni ed è stato salvato dalla polizia penitenziaria, è in prognosi riservata nel reparto rianimazione dell’ospedale San Paolo e - a quanto si è appreso - è sottoposto ai protocolli terapeutici del caso. È in osservazione anche per i possibili danni da anossia, la mancanza di ossigeno al cervello, che saranno valutati con il passare dei giorni. Giusti era in una cella singola e soffriva di uno stato depressivo. Ha lasciato un biglietto in cella in cui parla di delusione subita dalla giustizia e di abbandono da parte della famiglia. Trieste: “cella in piazza”, iniziativa Unione Camere Penali contro sovraffollamento Ansa, 29 settembre 2012 Una cella ricostruita a grandezza naturale nel cuore di Trieste e all’esterno i numeri impietosi del sovraffollamento (oltre 66 mila detenuti per 45 mila posti disponibili) e delle morti in carcere: 117 dall’inizio dell’anno, di cui 40 casi suicidio. Così gli avvocati dell’Unione delle Camere penali, da ieri riuniti a congresso nel capoluogo friulano, richiamano l’attenzione sulle drammatiche condizioni di vita dei detenuti. Un’emergenza contro la quale sono impegnati da tempo in prima linea, da ultimo anche con l’adesione allo sciopero della fame organizzato qualche tempo fa dal leader dei Radicali Marco Pannella, e con un giro di visite nei penitenziari italiani. Realizzata dai detenuti del carcere Montorio di Verona, la cella ha quattro brande, ma come spesso accade, nei fatti può arrivare ad ospitare anche 9 detenuti, la maggioranza dei quali vi trascorre dentro quasi l’intera giornata, 20 ore su 24. Sì perché, come spiega un volantino affisso all’esterno, solo il 20% dei detenuti lavora e in molti carceri non ci sono attività sportive e ricreative. All’interno della cella si vedono le mensole fatte con pacchetti di sigarette, come accade nella realtà di ogni giorno. Il visitatore entra nella cella e viene accolto da una registrazione di voci e suoni che danno l’idea, con un velo di ironia, di cosa sia la vita in carcere, anche con l’intento di far percepire il detenuto “uno di noi”, una persona che sta pagando il suo debito e che poi deve essere riaccolta nella comunità. Torino: sanità in carcere, 5mila euro l’anno il costo per ogni detenuto Cronaca Qui, 29 settembre 2012 Duecento visite specialistiche al giorno, altre 200 se si considerano anche quelle “generiche”. E poi sei medici dirigenti, 25 medici di guardia, una trentina di specialisti e una quarantina di infermieri. Cifre importanti, che fanno del presidio sanitario del carcere Lorusso e Cutugno un esempio di garanzia del diritto alla salute per chi è privato della libertà e che per questo, spiega il direttore del Dipartimento Tutela della Salute dell’Asl To2 Roberto Testi, “per il momento non ha subito tagli”. Profondo conoscitore della questione carcere grazie ad un’esperienza decennale, dallo scorso mese di luglio Testi sta cercando di razionalizzare le risorse a disposizione. Di capire dove e come tagliare, per rendere il servizio “più efficiente mantenendo l’efficacia attuale”. Ogni anno, emerge da una prima stima, per garantire la salute dei detenuti nell’istituto torinese vengono spesi circa “otto milioni di euro”. Una goccia nel mare, se si considera il totale della spesa sanitaria nella regione. Ma comunque troppo, in tempi di spending review. “L’investimento di risorse così importanti per la tutela della salute dei detenuti - spiega Testi - è giustificato dal fatto che chi viene privato della libertà non può scegliere dove curarsi e quindi lo Stato ha il dovere di assicurare il miglior trattamento possibile”. Il carcere, inoltre, “è un ambiente in cui vivono persone che generalmente hanno problemi di salute, con patologie varie e un’altissima incidenza di tossicodipendenza”. Per questo, “deve anche esserci una presenza maggiore rispetto al resto del territorio”. Reggio Emilia; Cgil; missiva che vieta proteste pacifiche atto gravissimo, già rimossa Dire, 29 settembre 2012 Vietata d’ora in poi qualsiasi “forma di protesta anche se pacifica” nel carcere di Reggio Emilia. Lo denuncia in un comunicato Enzo la Forgia, segretario provinciale di Fp Cgil, spiegando che la comunicazione è stata esposta “nella bacheca degli istituti penitenziari di Reggio Emilia”. Tale “missiva, risalente al 3 settembre e spedita per posta da alcuni detenuti al conduttore della trasmissione Radio Carcere, risulta già essere stata rimossa, e come Fp Cgil vorremmo credere che tale episodio sia ascrivibile semplicemente ad una cattiva comunicazione piuttosto che ad un atteggiamento autoritativo perché, se così non fosse, saremmo in presenza di un gravissimo atto intimidatorio”, prosegue la Forgia. “A fronte delle precarie condizioni del sistema carcerario che si ripercuotono quotidianamente sia nei confronti dei detenuti che nei confronti della Polizia Penitenziaria, non ci si può limitare a impedire forme pacifiche di protesta considerandolo l’unico modo per garantire la tutela e la sicurezza dei detenuti-internati e dei propri dipendenti”. Anche perché, insiste la Cgil, “la negazione di una protesta pacifica è la negazione al diritto di espressione di un disagio che, negli istituti penitenziari italiani, è oggettivamente reale”. Dunque, “ci si dovrebbe interrogare sul perché nasce una protesta e su come intervenire per migliorare delle condizioni che, sempre di più, diventano inumane sia per i detenuti sia per chi, in nome e per conto dello Stato, è chiamato a sorvegliarli”, conclude la Forgia. Oristano: Pdl; Ministro riferisca a Commissione diritti civili su trasferimento detenuti Adnkronos, 29 settembre 2012 “Sono veramente amareggiato di come ancora una volta viene considerata la nostra Sardegna. Mi riferisco alla situazione del carcere di Massama, ad Oristano dove lo Stato vuol trasferire i peggiori criminali del Paese”. Lo afferma Edoardo Tocco (Pdl), consigliere regionale della Sardegna e componente della Commissione diritti civili dell’assemblea sarda, in merito al trasferimento annunciato di 70 detenuti “mafiosi e camorristi” nel carcere di Oristano entro il 10 ottobre. Tocco ha chiesto al Presidente della Commissione diritti civili, Salvatore Amadu (Pdl), di convocare con urgenza il parlamentino e se necessario andare a Roma, al Ministero della Giustizia, per chiedere spiegazioni al ministro Paola Severino. “Non capisco quale sia la logica di queste scelte del Ministero. Se qualcuno pensa che la Sardegna sia il luogo adatto per evitare fughe o qualsiasi altro tentativo di evasione da parte di costoro si sbaglia di grosso”, dice Tocco. “Non può pensare di non essere al sicuro nella propria terra - prosegue Tocco, oppure dobbiamo essere trasformati in una Cayenna o in una Alcatraz italiana? Porterò in commissione diritti civili l’argomento, convocheremo le autorità, per conoscere nel merito e nella sostanza le decisioni del Ministero e del perché di questo scandalo”. “È ora di mobilitare chi di dovere e non nasconderci. Serve anche la mobilitazione di tutti i parlamentari sardi, affinché - conclude Tocco - si adoperino per tutelare la nostra gente e la nostra sicurezza. Se non fanno questo a Roma non ci fanno niente”. Reggio Calabria: Sappe; carcere Laureana chiuderà per mancanza personale? Ansa, 29 settembre 2012 Il carcere di Laureana di Borrello, nel reggino, è destinato a chiudere. Lo sostiene il sindacato Sappe. La struttura a custodia attenuata, potrebbe chiudere in via temporanea per far fronte alla carenza di personale. Lo hanno reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. “Abbiamo appena appreso - hanno sostenuto - che l’amministrazione penitenziaria ha deciso di chiudere il carcere di Laureana di Borrello, una struttura a custodia attenuata, fortemente voluta dall’allora provveditore Paolo Quattrone. Sembrerebbe che la chiusura sia temporanea, per far fronte alla carenza di personale, soprattutto in istituti come Reggio Calabria, dove spesso saltano i processi, perché la polizia penitenziaria non riesce a tradurre i detenuti in udienza. Ma come spesso accade non c’è niente di più definitivo delle cose temporanee. Per il momento non entriamo nel merito dell’opportunità di chiudere o meno tale struttura, ma contestiamo il metodo adoperato dall’amministrazione che, ancora una volta, mortifica le relazioni sindacali. Infatti, il tutto sta avvenendo in barba ad ogni regola che vorrebbe almeno un consulto con le organizzazioni di categoria, anche per capire quale sarà l’impiego del personale di polizia penitenziaria”. “Non si comprende, per esempio - hanno concluso i sindacalisti - perché l’amministrazione non fa rientrare in Calabria il personale distaccato in altre sedi, spesso per ragioni che sfuggono ad ogni elementare regola di trasparenza e buon andamento amministrativo”. Nucera (Pdl): chiusura carcere Laureana scelta inaudita “La chiusura, seppure temporanea, ma indefinita, del carcere di Laureana di Borrello (Rc) è assolutamente inaudita e ingiustificata a fronte della situazione in cui versano le strutture carcerarie della Calabria, sovraffollate e con poco personale”. È quanto afferma il Segretario Questore del Consiglio regionale della Calabria, Giovanni Nucera, alla notizia della decisione dell’Amministrazione penitenziaria di chiudere il carcere di Laureana di Borrello, uno degli istituti di reclusione sperimentali definito all’avanguardia a livello europeo. “Non conosco ancora le motivazioni ed i termini di tale decisione - commenta Nucera - ma a prima vista esse risultano incomprensibili se il solo motivo è quello di destinare personale della Polizia Penitenziaria in altre carceri della Provincia di Reggio Calabria, dove la carenza di personale sta letteralmente bloccando l’attività dei tribunali, con udienze di processi a imputati detenuti, rinviate sine die”. “È una soluzione - argomenta Nucera - che creerà maggiori problemi di quelli che si intendono risolvere. Perché, lo svuotamento, anche se di una piccola struttura carceraria, non farà altro che aggravare la situazione e i problemi di affollamento che attanagliano tutte le carceri calabresi. L’Amministrazione penitenziaria farebbe meglio a concentrare la sua attenzione sul nuovo carcere di massima sicurezza di Arghillà, per l’utilizzo del quale servono ormai interventi marginali che potrebbero essere completati in pochi mesi, e non nel 2014 come previsto”. “Ma l’aspetto più importante e deplorevole di questa decisione è lo smantellamento di un percorso di recupero e di rieducazione dei detenuti più giovani che aveva fatto del carcere di Laureana di Borrello un esempio di livello europeo, con il quale si è data a tanti detenuti l’opportunità di un riscatto personale e sociale e una prospettiva concreta di lavoro. Una iniziativa che come ha più volte sottolineato l’Amministrazione centrale, offre non solo efficaci possibilità di recupero, ma si propone ambiziosamente di modificare il percorso perverso che vedeva fin qui tanti giovani “obbligati” a soccombere alla malavita”. “Appare paradossale, poi - prosegue Nucera - che per dar vita ai progetti di recupero e rieducazione siano state spese ingenti risorse che hanno riguardato anche la struttura carceraria di Laureana di Borrello, dove sono stati allestiti laboratori di ceramica, falegnameria, e floro-vivaistici, facendone una delle meglio attrezzate del Paese”. “Quel che più preoccupa - aggiunge Giovanni Nucera - è che non è stato compreso il valore ed il significato di una struttura carceraria che andava oltre il semplice mandato di espiazione della pena, e si poneva, invece, come occasione di riscatto per tanti giovani in un territorio altamente intriso di cultura mafiosa”. “Condivido, dunque, e mi impegno fin da ora - annuncia il Segretario Questore del Consiglio regionale - a sostenere, le prese di posizione che il Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria ha subito manifestato per una decisione assunta d’imperio, senza alcuna preventiva consultazione col territorio, e senza alcun accordo sul futuro utilizzo ed impiego del personale dislocato nel carcere di Laureana di Borrello”. “Non è questa la soluzione migliore - conclude Nucera - per risolvere le carenze di servizio che stanno condizionando, lo svolgimento dei processi presso i Tribunali della provincia, il lavoro di centinaia di agenti della Polizia Penitenziaria e la vita degli stessi detenuti all’interno delle nostre carceri. L’emergenza carceri non può essere affidata alla emotività ad alla suggestione del momento, ma come più volte ho sostenuto in diverse interrogazioni, occorre che l’Amministrazione centrale agisca all’interno di un progetto organico di riorganizzazione che sia coerente con i principi della Costituzione, ponendo al centro del proprio agire l’uomo e la sua dignità, sia esso detenuto o un operatore carcerario”. Napoli: Osapp denuncia aggressione agenti nel carcere di Poggioreale Ansa, 29 settembre 2012 “Ennesima aggressione ieri alle ore 15 presso il padiglione Napoli del carcere di Poggioreale che invece dei 150 detenuti regolamentari ne contiene 415”. A darne notizia è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria) Leo Beneduci. “Durante le operazioni di conta ordinaria delle ore 15, senza apparente motivo - riferisce il segretario Osapp - un detenuto di origine africana ha aggredito tre assistenti di Polizia Penitenziaria che hanno riportato contusioni dichiarate guaribili in sette giorni”. “Non sarebbe - secondo il sindacalista - un episodio di particolare gravità ma di quelli che costituiscono il corollario della quotidiana vita carceraria ma questo carcere fatto di morti suicidi e violenza quotidiani non è più sopportabile. “Il ministro della Giustizia il Governo e il Parlamento - conclude Beneduci - prendano atto della responsabilità che si assumono nel non fare alcunché per allievare la sofferenza dei 100mila donne e uomini che vivono e lavorano nell’inferno quotidiano delle carceri italiane”. Reggio Calabria: Sappe; agente aggredito da detenuto, urgono provvedimenti Adnkronos, 29 settembre 2012 Il Sappe denuncia un’aggressione a un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Reggio Calabria. “Questa volta - affermano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto e Damiano Bellucci, segretario nazionale Sappe - l’aggressione è avvenuta nell’ospedale di Reggio Calabria, dove il detenuto era sorvegliato da un agente della polizia penitenziaria che dopo l’aggressione ha dovuto fare ricorso alle cure mediche. La prognosi è di tre giorni”. “È davvero intollerabile - proseguono - che quotidianamente il personale di polizia penitenziaria debba subire le aggressioni di delinquenti che meritano solo di rimanere in carcere. Sono tantissime le aggressioni e gli eventi critici, oltre cinquemila, che ogni anno si verificano in carcere. A queste persone dovrebbe essere precluso ogni beneficio, altro che indulto e amnistia. Visto che non hanno rispetto neanche della polizia penitenziaria, immaginiamo cosa sarebbero capaci di fare fuori dal carcere. Chiediamo che vengano assunti formali provvedimenti disciplinari nel caso specifico, oltre all’eventuale denuncia all’autorità giudiziaria”. Radio: torna il Gr dei detenuti, lo curano redazioni di Rebibbia e Bollate Ansa, 29 settembre 2012 Dopo la pausa estiva torna domani su Radio Popolare il Giornale radio dei detenuti. Unica esperienza in Italia di gr dal carcere. Nell’ambito della trasmissione “Jailhouse rock”, ovvero “Suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni” in onda dalle 21, le redazioni dei reclusi del carcere di Rebibbia a Roma e Bollate a Milano preparano e conducono un notiziario in piena autonomia e senza censure. La trasmissione, ideata e condotta da Susanna Marietti e Patrizio Gonnella, dedica poi uno spazio alla storia di un musicista finito dietro le sbarre. La puntata di domani racconta delle Pussy Riot, il gruppo rinchiuso in un carcere russo per avere cantato una preghiera punk in una chiesa ortodossa. Ospiti fissi della trasmissione sono: Carmelo Cantone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Toscana che commenta le notizie penitenziarie e calcistiche della settimana, don Sandro Spriano, cappellano a Rebibbia che parla di Vangelo e giustizia e Mirko Mazzali, avvocato. Ospite speciale della prima puntata Freak Antony, leader degli Skiantos, gruppo storico del rock demenziale. Stati Uniti: condannato a morte esce di prigione, scagionato da prova dna Tm News, 29 settembre 2012 Un condannato a morte in Louisiana è uscito ieri di prigione dopo che la sua innocenza è stata accertata dalla prova del Dna, quindici anni dopo le accuse mosse nei suoi confronti. L’uomo era ritenuto colpevole di avere abusato e ucciso la sua giovane cugina. Damon Thibodeaux, 38 anni, “è uscito dal penitenziario dello Stato della Louisiana intorno alle 12.30 locali”, ha confermato la responsabile della comunicazione del carcere, Pam Laborde. Thibodeaux è il diciottesimo condannato a morte negli Stati Uniti ad essere scagionato dalla prova del Dna (il primo fu Kirk Bloodsworth nel 1993), il 300esimo tra i detenuti negli Usa. Iraq: 47 condannati a morte di Al Qaida tra evasi dal carcere di Tikrit Ansa, 29 settembre 2012 Vi sono 47 miliziani di Al Qaida condannati a morte tra i 102 detenuti evasi giovedì sera dal carcere Tasfirat di Tikrit grazie ad un assalto lanciato da un commando di insorti, che hanno fatto anche esplodere due autobombe. Lo ha detto oggi il ministero dell’Interno di Baghdad, denunciando “complicità” di cui i prigionieri hanno potuto godere tra le guardie.