Giustizia: Corte Strasburgo; Italia paese con più condanne per violazione dei diritti umani Public Policy, 21 settembre 2012 Dietro, c’è solo la Turchia. L’Italia è lo Stato europeo con il maggior numero di condanne per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (istituita nel 1959, con sede a Strasburgo): oltre 2 mila sentenze della Cedu, soprattutto per irragionevole durata dei processi e per le condizioni delle nostre carceri. E il 24 settembre il Comitato dei ministri (organo decisionale del Consiglio d’Europa, nato nel 1949 e da non confondere con l’Ue), formato dai ministri degli Esteri dei 47 Paesi membri, valuterà quanto messo in atto dal Governo italiano in merito all’emergenza giustizia. Oggi a Roma i Radicali hanno diffuso, nella loro sede di via di Torre Argentina, alcuni dati sull’attuazione del cosiddetto Piano carceri del Governo, e sulla “negazione dei diritti umani” (parole del segretario radicale Mario Staderini) derivante dalle carenze del sistema giustizia italiano. Nel 2009 la Cedu ha condannato l’Italia (caso Sulejmanovic) per violazione dell’articolo 3 della Convenzione (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), in quanto un detenuto nel carcere romano di Rebibbia ha condiviso una cella di 16,20 mq con altre cinque persone. Va ricordato che le sentenze Cedu (tra i giudici c’è anche l’italiano Guido Raimondi) sono vincolanti nel senso che gli Stati firmatari si sono impegnati a darne esecuzione. Fatto sta che la massima pena potrebbe essere l’espulsione di uno Stato membro dal Consiglio: “Noi ci auguriamo - ha detto Deborah Cianfanelli, della direzione dei Radicali Italiani - che il Comitato dei ministri intervenga pesantemente sull’Italia”. Per rimuovere le cause strutturali della condanna europea, il Governo italiano ha presentato un piano d’azione, “tenendo nascosti - almeno secondo i Radicali - i veri dati, e confutando l’adeguatezza delle scelte prese”. Il Piano del Governo prevede la costruzione di 11 nuove carceri (poi ridotte a 5) e 20 padiglioni (ridotti a 17) per un totale di 11.573 posti. I lavori dovrebbero iniziare entro l’autunno del 2012, per un costo complessivo di 661 milioni di euro. Contro il sovraffollamento è prevista un’estensione del residuo di pena a 18 mesi per il passaggio ai domiciliari, e la custodia non in carcere nei casi di arresto in flagranza. Viene poi istituita la figura di un magistrato di sorveglianza per la tutela dei diritti fondamentali. Nessuna indicazione, invece, su esigenze sanitarie, lavoro e suicidi di detenuti e agenti penitenziari. Cosa dicono i Radicali: “Di nessun carcere - né dei padiglioni - sono stati avviati i lavori (salvo il disboscamento del terreno a Reggio Calabria). Tutti i progetti non sono stati ancora appaltati. Il Piano carceri non può essere risolutivo e ha tempi troppo lunghi. Finora sono stati consegnati soltanto 650 nuovi posti, altri 1.250 entro dicembre 2012 (la previsione parla di 3.800 nuovi posti a inizio 2014). Fondi disponibili: 40 milioni di euro”. Per quanto riguarda le misure alternative (argomento che procede lentamente in Commissione Giustizia alla Camera “nella pratica le scelte del Governo hanno portato a risultati minimi: flessione dal 2010 pari a sole 1.987 unità”. E sul magistrato di sorveglianza: “Il personale giudiziario - dicono i Radicali - è sottorganico e non grado di soddisfare le richieste”. Per non parlare del lavoro (“lavora solo il 20% dei detenuti, di cui solo il 3% fuori dal carcere”), la salute (“l’80% dei detenuti ha problemi di salute, uno su tre è tossicodipendente e ci sono stati 730 suicidi di detenuti dal 2000, tasso 19 volte superiore alla popolazione libera”). Il Comitato dei ministri dovrà riunirsi a breve anche per valutare la situazione complessiva della giustizia italiana, con il rischio per il nostro Paese che Strasburgo (in questo caso la Cedu) emetta a breve una sentenza pilota per “denunciare” le carenze strutturali dell’Italia. Va ricordato che la Corte ricorre alle sentenze pilota quando deve far fronte a gravi problemi strutturali di uno dei Paesi membri. Il maggior numero di condanne subite dall’Italia riguarda l’irragionevole durata dei processi. L’ultimo richiamo in tal senso è arrivato a marzo: il Comitato dei ministri aveva rilevato come il funzionamento della giustizia italiana costituisse “un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge, che risulta in una negazione dei diritti sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani, e crea una minaccia seria per l’efficacia del sistema che sottende alla stessa convenzione”. Giustizia: è ora che il Quirinale risponda all’appello per le carceri dei docenti universitari di Valter Vecellio L’Opinione delle Libertà, 21 settembre 2012 Dunque, finalmente, il presidente Giorgio Napolitano riceverà una delegazione dei cento e passa giuristi e professori universitari firmatari di un documento-appello che evidenzia e denuncia l’intollerabile situazione della giustizia in Italia, e chiede si intervenga con urgenza. E si chiede che a intervenire e agire per primo, nella sua veste di garante della legalità costituzionale costantemente violata, sia proprio Napolitano: con un messaggio alle Camere. Un appello che significativamente termina con gli interrogativi posti da Primo Levi in una sua famosa poesia: “Se non ora quando? Se non così, come?”. Tutto bene, dunque, a parte l’incredibile, e anche un po’ offensivo, ritardo con cui la delegazione viene ricevuta? (è praticamente trascorsa tutta l’estate, e d’accordo: l’agenda del presidente è fitta di impegni, ma la delegazione chiede di parlare di quella che lo stesso Napolitano definì una volta “impellente urgenza”). Tutto bene fino a un certo punto. I firmatari di quel documento-appello chiedono un intervento incisivo e pubblico, esplicito, seguendo i canoni e i binari della Costituzione, per quel che riguarda la situazione della Giustizia in Italia e la sua appendice, costituita dallo stato comatoso delle carceri. Di questo parleranno i professori Francesco Di Donato, Fulco Lanchester, Renzo Orlandi, Tullio Padovani, Marco Ruotolo, Franco Corleone, Vladimiro Zagrebelsky con Napolitano. Della delegazione doveva far parte anche la parlamentare Rita Bernardini, animatrice di mille e una iniziative proprio su giustizia e carcere. Ma il Quirinale ha detto di no a Bernardini. Perché questa esclusione? Si possono ipotizzare varie risposte; nessuna sufficientemente convincente. Come sia il presidente della Repubblica ha scelto di sciupare, ancora una volta, un’occasione per onorare la funzione che ricopre. Era il 23 giugno 2011 il presidente Napolitano scriveva una lettera a Marco Pannella: “Caro Marco, desidero rispondere alle molte questioni e sollecitazioni che hai sottoposto alla mia attenzione nel nostro recente incontro al Quirinale e nelle lettere e documentazioni che mi hai inviato nei giorni scorsi. Credo che l’Italia ti debba il giusto riconoscimento per la determinazione con la quale hai intrapreso tante battaglie per sollecitare una piena affermazione e tutela delle libertà civili e dei diritti dei cittadini… Credo che la tua azione continuerà ad essere un prezioso stimolo, suscitando come già in passato discussioni e prese di coscienza che si rivelano poi col tempo la loro fecondità e lungimiranza. Inviandoti i miei migliori auguri, ti saluto con affetto e ti prego - in nome non solo dell’antica amicizia ma dell’interesse generale - di desistere da forme estreme di protesta di cui colgo il senso di urgenza, ma che possono oggi mettere gravemente a repentaglio la tua salute e integrità fisica”. Chissà. Forse qualcuno al Quirinale avrà pensato che Rita Bernardini avrebbe colto l’occasione per ricordare quel “colgo il senso d’urgenza”. Quel “senso di urgenza”, venne condiviso e fatto proprio da oltre ventimila cittadini, e almeno ventimila detenuti. Ed è a loro che occorre rivolgersi e confidare, ora. “Perché l’Italia torni a poter essere considerata in qualche misura una democrazia”. Così parte di un appello a sostegno dell’iniziativa di Pannella: “Emblematico del patente stato di illegalità anti-democratica in cui si trova l’intera Repubblica italiana è il caso della giustizia e delle carceri, oggetto di una dura lotta nonviolenta che, accanto a Marco Pannella, Rita Bernardini e Irene Testa, ha visto impegnati e coinvolti oltre 24mila cittadini che stanno partecipando allo sciopero della fame. Insieme ai militanti radicali, l’Associazione radicale “Il Detenuto ignoto” e associazioni come “Antigone” e “Ristretti orizzonti”, oltre 19mila detenuti, 4mila loro familiari e decine di agenti, psicologi penitenziari, educatori, direttori di carcere, avvocati dell’Unione camere penali, esponenti di sindacati di polizia e volontari”. I firmatari (alcuni) di quell’appello: Giorgio Albertazzi, Giuliano Amato, Franco Battiato, Marco Bellocchio, Gianrico Carofiglio, don Luigi Ciotti, Maurizio Costanzo, Giuseppe Di Federico, Vittorio Feltri, Luigi Ferrajoli, Dario Fo, don Andrea Gallo, Fulco Lanchester, Rita Levi Montalcini, Luigi Manconi, Giacomo Marramao, don Antonio Mazzi, Luigi Morcellini, Ennio Morricone, Mario Patrono, Riccardo Pacifici, Angelo Panebianco, Franca Rame, Stefano Rodotà, Enrico Sbriglia, Adriano Sofri, Valerio Spinarelli, Gianmarco Tognazzi, Paolo Villaggio. Hanno firmato circa trecento parlamentari di tutti i gruppi: Rosy Bindi, Pierluigi Castagnetti, Anna Paola Concia, Benedetto Della Vedova, Pietro Ichino, Enrico La Loggia, Marianna Madia, Alessandra Mussolini, Leoluca Orlando, Antonio Martino, Arturo Parisi, Gaetano Pecorella, Flavia Perina, Savino Pezzotta, Adriana Poli Bortone, Stefano Stefani, Jean-Leonard Touadì, Walter Veltroni; e gli euro-parlamentari Rita Borsellino, Rosario Crocetta, Patrizia Toia; il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, una quantità di sindaci e di presidenti di province e regioni. Vale per loro (e per tutti noi, beninteso), quel “Se non ora, quando? Se non così, come?”, che chiude l’appello al presidente Napolitano dei giuristi e docenti universitari. Rita Bernardini avrebbe certamente rivolto al presidente queste due domande. Ma noi, ognuno di noi, che risposta si sente di dare? Giustizia: Consiglio Europa; processi in Italia “lenti e costosi”, servono soluzioni durevoli Notizie Radicali, 21 settembre 2012 “L’eccessiva lunghezza dei processi” è “un problema di lunga durata in Italia” che si ripercuote sull’economia nazionale. A lanciare l’ennesimo allarme è stato Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, pubblicando un rapporto basato sulle osservazioni della sua visita in Italia nel luglio scorso. Per Muiznieks è “tempo di trovare soluzioni durevoli”, che siano sostenute “da tutti i soggetti interessati”. Stime indicano che l’inefficienza della giustizia riduce il Pil dell’Italia dell’1% all’anno. “In tempo di crisi economica, questo dato dovrebbe essere un incentivo per trovare delle soluzioni atte a invertire la rotta”. Nel sommario del rapporto del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, si legge: “I. L’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari. Il Commissario è seriamente preoccupato per l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari in Italia, un annoso problema in materia di diritti umani che ha considerevoli ripercussioni negative non solo per le persone interessate e per l’economia italiana, ma anche per il sistema europeo di protezione dei diritti umani nel suo insieme, a causa della continua iscrizione di ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Commissario è consapevole della complessità di tale fenomeno, le cui cause di fondo sono riconducibili a diversi fattori che aumentano il carico di lavoro dei tribunali, a numerosi aspetti procedurali, nonché a problemi inerenti all’organizzazione degli uffici giudiziari ed al ruolo degli avvocati. Pur sentendosi incoraggiato dalla determinazione delle autorità italiane nel voler affrontare questa problematica, il Commissario fa notare che molti progetti di riforma del passato non hanno conseguito i risultati auspicati, vuoi per la loro natura frammentaria, per non aver saputo integrare un approccio fondato sul metodo scientifico, o anche perché non hanno beneficiato della piena collaborazione di tutti i soggetti interessati. La complessità e la vastità del problema in Italia sono tali da rendere necessaria una vera e propria revisione olistica del sistema giudiziario e procedurale, nonché di un cambiamento della cultura giudiziaria, attraverso un impegno concertato del Ministero della Giustizia, del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché di giudici, pubblici ministeri ed avvocati. Gli interventi legislativi, per quanto necessari, non sono sufficienti; andrebbero, perciò, accompagnati da interventi di tipo organizzativo e gestionale in relazione alle attività dei tribunali e dei giudici, conformemente alle relative linee guida della Commissione europea sull’efficienza della giustizia. Esempi esistenti, fra cui l’esperienza del Tribunale di prima istanza di Torino, dimostrano che si possono così ottenere buoni risultati, anche nell’ambito del contesto normativo attuale e senza impegni aggiuntivi in termini di risorse finanziarie o umane. Il Commissario è preoccupato per l’evidente cattivo funzionamento delle vie di ricorso previste nella normativa interna in materia di durata eccessiva dei procedimenti, e fa appello alle autorità italiane affinché siano liquidati d’urgenza i danni riconosciuti dai tribunali italiani. Sollecita, inoltre, le autorità a rivedere l’istituto del rimedio risarcitorio e ad integrarlo con un rimedio maggiormente preventivo, ad effetto acceleratore, onde evitare la presentazione di ulteriori istanze di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Giustizia: Unione delle Camere Penali; il nostro sciopero in nome dei cittadini di Giuseppe Conti (Vice Presidente Ucpi) La nuova Venezia, 21 settembre 2012 Decidere una astensione dalle udienze per cinque giorni di fila non è cosa da poco e l’Unione delle Camere Penali non lo ha fatto certo a cuor leggero, consapevole dei disagi che inevitabilmente si produrranno. Nessuna protesta per interessi corporativi e di categoria (nonostante vi sarebbero buone ragioni) ma intendiamo richiamare l’attenzione su tematiche che coinvolgono direttamente il cittadino. La necessità di procedere ad una riforma che garantisca la reale terzietà del giudice rispetto all’accusa e alla difesa utile a contenere l’esuberanza della parte pubblica, troppo spesso esondante rispetto al suo ruolo, come le più recenti cronache denunciano in modo allarmante. Un giudice finalmente libero e responsabile, garante vero dei diritti e delle garanzie che il sistema assicura al cittadino, parte debole nella contesa giudiziaria. Che può interessare al cittadino la riforma della professione forense? Interessa e come! Non solo perché l’Ordinamento è risalente al lontano 1933 ma perché un avvocato libero, adeguatamente formato e specializzato, costituirà sempre una garanzia per il cittadino coinvolto per disgrazia nel circuito giudiziario. Siamo contrari all’ingresso delle società di capitali negli studi legali, foriero di un potenziale conflitto di interessi, fatalmente destinato a compromettere l’autonomia del professionista magari costretto ad anteporre quelli della società a scapito del proprio assistito. Altro tema scottante posto alla base della protesta è costituito dalle intercettazioni e dalla necessità di una loro riforma. Nessun bavaglio all’informazione, come insinuano i detrattori della volontà riformatrice che confondono l’utilità del prezioso strumento di indagine con la illegale diffusione di materiale (per lo più semplici brogliacci di Polizia) che nulla hanno a che vedere con la ricerca della prova. Materiale ridotto a strumento di lotta politica, quando non veri e propri trampolini di lancio per la carriera politica e non, di qualche pm. Abbiamo sempre difeso e ancora oggi difendiamo la libertà di informazione ma sosteniamo che molto cambierebbe se ci fosse un giudice terzo, libero da qualsivoglia parentela con il pm, presidio ed effettivo garante della legalità. Ma non basta. Continuiamo a protestare per le condizioni di vita bestiali nelle carceri di questo Paese. Oltre il 40% dei 66 mila detenuti sta in custodia cautelare. Il lavoro, strumento formidabile di rieducazione che prepara al reinserimento e garantisce il crollo del tasso di recidiva (con tutto ciò che consegue sul piano economico e della sicurezza), è un privilegio per un’esigua minoranza dei detenuti (solo il 12-19% dei reclusi ammessi al lavoro torna a delinquere una volta scontata la pena). In luogo di incidere efficacemente sulla piaga dell’affollamento attraverso norme stringenti che limitino l’utilizzo della custodia cautelare per fatti allarmanti di eccezionale gravità, si pretende di risolvere il problema con l’edilizia penitenziaria. Altro business, tanto per cambiare. Per queste ragioni l’Avvocatura penalista protesta ancora e continuerà a farlo fino a quando non cesserà la vergogna delle carceri, afflitte dall’inarrestabile degrado che priva inutilmente l’uomo detenuto della sua dignità e, troppo spesso, della stessa vita. In galera si conta un suicidio nelle celle ogni 5 giorni. Basta tutto questo per protestare? Giustizia: la Rai, servizio pubblico, cancella un programma radiofonico sulle carceri di Davide Pelanda www.articolotre.com, 21 settembre 2012 Avrebbe dovuto servire per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’emergenza carceri italiane quello scritto da Massimo Giletti e Klaus Davi. Ma la Rai ha deciso di annullare il progetto. La trasmissione avrebbe trattato, grazie anche alla partecipazione di rappresentanti del Dap, politici e personalità della cultura italiana - spiega in una nota Melania Rizzoli deputato del Pdl - temi di grande utilità sociale e offerto così un importante contributo alla risoluzione della questione. Peccato che le priorità del servizio pubblico vadano in tutt’altra direzione”. Spazio al problema delle carceri, un tema che dovrebbe essere al centro degli interessi di ogni società civile e che invece rimane drammaticamente trascurato. Il servizio radiotelevisivo pubblico in particolare dovrebbe accendere i suoi riflettori su una realtà il cui degrado è sempre più intollerabile. Dietro quelle mura migliaia di persone, talvolta madri con figli piccoli, non si limitano a scontare la loro condanna, ma patiscono nel silenzio una pena aggiuntiva: l’umiliazione dei loro diritti di cittadini carcerati”. “È una situazione - ha ancora detto Serracchiani - che non può continuare a essere sottratta all’attenzione degli italiani: sovraffollamento, problemi igienici, inefficienza della macchina della giustizia e tempi dilatati all’infinito si traducono troppo spesso nel dramma dei suicidi, numerosi tra la popolazione carceraria ma anche tra il personale di polizia penitenziaria. Gli italiani devono sapere”. “Se è vero che la civiltà di un paese si misura dalle condizioni delle sue carceri - ha dichiarato dal Pdl Annamaria Bernini - il silenzio di cui si circondano i problemi delle strutture penitenziarie del nostro paese è davvero un pessimo segnale. Per questo ritengo che la Rai, dispensatrice naturale (ed obbligata) di servizio pubblico e di informazione su temi di interesse generale, anche sensibili e scomodi, debba fare seguire alle parole i fatti non sottraendosi alla descrizione dei drammi del pianeta carcere, di cui anche il presidente Napolitano ha più volte sottolineato la prepotente urgenza”. Giustizia: Senatori da bar… di Valentina Ascione Gli Altri, 21 settembre 2012 C’è quello che legge le pagine della cronaca al tavolino del bar e commenta: “Solo dieci anni! Ma sono pazzi questi giudici?”. C’è l’altro che risponde: “Io li sbatterei dentro e butterei la chiave” e quelli che in autobus o in fila alla posta ingannano il tempo scambiandosi opinioni su un auspicabile ricorso alla pena di morte. E infine c’è chi mette in guardia dal pericolo che gli ex galeotti rubino il lavoro alla gente per bene. Queste ultime non sono però chiacchiere da bar ma, purtroppo, preoccupazioni espresse da un senatore della Repubblica: il leghista Sergio Divina che pochi giorni fa, commentando il protocollo di intesa sottoscritto dal ministero della Giustizia con la provincia di Trento sul reinserimento sociale e lavorativo di chi esce dal carcere, ha osservato che “in momenti come questi, parlare di creare percorsi lavorativi preferenziali per detenuti, è uno schiaffo in faccia alle tante persone, giovani e non, che si stanno arrovellando per trovare un posto di lavoro e poter continuare a vivere onestamente col proprio sudore”. Il ministro Severino e il presidente della Provincia Dellai - ha aggiunto il senatore - pensassero piuttosto a un modo per far lavorare i detenuti nelle carceri che lo consentono. E a tal proposito il nostro ha perfino azzardato una proposta: perché non seguire l’esempio della Germania, dove “il lavoro nelle carceri è obbligatorio, con rare eccezioni per donne incinte e ultrasessantacinquenni, e produce effetti positivi tanto per i detenuti quanto per la comunità alla quale il detenuto costa cifre importanti e per le imprese che possono reperire manodopera a prezzi competitivi”? Nel frattempo lui, il Divina, si sarebbe già messo a lavoro su un disegno di legge che prevede sconti di pena ai reclusi che “liberamente” (e non era scontato, viste le premesse) volessero pedalare su apposite biciclette dotate di generatore elettrico in grado di produrre energia pulita a servizio delle stesse strutture carcerarie o da mettere in rete. “Solo mediante questi percorsi “rieducativi” possiamo pensare che a pena scontata i detenuti saranno nelle condizioni di reinserirsi nella società”, chiosa il senatore leghista. La verità è che nelle prigioni italiane non sarebbe necessario rendere il lavoro obbligatorio, perché se potessero i detenuti sarebbero ben contenti di rimboccarsi le maniche, invece di stare 22 ore al giorno a fissare il soffitto. Purtroppo però l’amministrazione non sa con quali soldi pagarli e dunque il lavoro diventa in molti casi un’attività svolta su base volontaria. Formazione e lavoro sono invece la strada più veloce per il reinserimento sociale e anche il miglior antidoto alla recidiva. Rendono la società più sicura. Al contrario di dichiarazioni incendiarie che rischiano di trasformare la crisi economica in conflitto sociale. Giustizia: Sappe; al Dap troppi magistrati di “Magistratura Democratica”, è anomalo Ristretti Orizzonti, 21 settembre 2012 “Abbiamo sempre sostenuto che la direzione dell’Amministrazione Penitenziaria debba essere affidata ad un magistrato. Ne resto convinto, nonostante ora mi sembra i magistrati posti a vario titolo nelle direzioni generali del Dap siano un po’ troppi, tutti peraltro accomunati dall’appartenenza o vicinanza alle correnti di sinistra delle toghe Magistratura democratica e dei Verdi”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Addirittura - continua - si vocifera in questi giorni di un prossimo avvicendamento alla Direzione generale detenuti, ora guidata da un giudice di altra appartenenza correntizia… Se così fosse, sarebbe gravissimo. È opportuno che il ministro della Giustizia Severino riveda l’organizzazione delle Direzioni generali del Dap. Anche perché più del 40 per cento dei detenuti oggi in carcere sono in attesa di un giudizio definitivo e quindi i magistrati servono nelle aule di giustizia”. “Siamo convinti - continua il segretario nazionale del Sappe - che debba essere un magistrato a guidare l’Amministrazione penitenziaria, nonostante l’attuale Capo dipartimento Giovanni Tamburino (magistrato) pensi di risolvere le criticità del sovraffollamento delle nostre prigioni con soluzioni fantasiose e pericolose. Come ad esempio le sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità che determina un depotenziamento del ruolo di sicurezza della polizia penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo la fattispecie penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale)”. Giustizia: Federazione Stampa Italiana; inaccettabile condanna Sallusti al carcere Tm News, 21 settembre 2012 “È inaccettabile che un giornalista per fare il suo lavoro e per le sue opinioni rischi la galera. Non è da Paese civile. Succede solo in Italia e questa è una delle ragioni principali per cui l’Italia è così in basso nelle graduatorie mondiali sulla libertà di stampa”. È quanto sottolinea in una nota la Federazione nazionale della Stampa italiana, secondo cui “la condanna al carcere, senza condizionale, per il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, che nei prossimi giorni sarà al vaglio della Corte di Cassazione, è mostruosa e non può essere accettata come atto di giustizia giusta, ancorché dovesse risultare coerente con il codice penale italiano”. “Il punto - prosegue il comunicato del sindacato dei giornalisti - è proprio qui: le norme sulla diffamazione e le sanzioni restrittive della libertà personale del giornalista sono retaggio di sistemi non compatibili con la democrazia, con le carte universali dei diritti umani, con la Carta dei diritti europei”. “Sicuramente - si legge ancora nella nota della Fnsi - una Corte di Giustizia internazionale competente su queste materie cancellerà questa sentenza e sanzionerà l’Italia per il danno recato, perché in caso di conferma della condanna il collega Sallusti dovrebbe intanto cominciare a scontare la pena in carcere per reato di opinione”. Per la Fnsi “è incredibile che, dopo anni di denunce e di casi eclatanti di questo tipo, persino di intervento del capo dello Stato che in una vicenda simile che colpì l’ex direttore Iannuzzi intervenne con l’atto di grazia, nulla sia stato fatto per cancellare queste norme liberticide dal nostro Codice. La Fnsi non ha mai cambiato idea su questo punto. Sostiene infatti il diritto alla libertà di informazione e le ragioni di tutti giornalisti, oggi nello specifico di Alessandro Sallusti”. “Il sindacato dei giornalisti - conclude la nota - quindi torna a sollecitare il Parlamento ad avviare riforme che liberino il nostro Paese e lo pongano allo stesso livello di civiltà giuridica delle nazioni a democrazia avanzata”. Giulietti (Art. 21): no al carcere per Sallusti “Siamo contrari al carcere per giornalisti ed editori per reati connessi all’esecizio della professione, ancor più lo siamo quando si riesumano i reati di opinione o addirittura la formula dell’omesso controllo da parte del direttore”. Lo dice in una nota il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, deputato del gruppo misto. “Siamo contro i bavagli sempre e comunque, anche quando - osserva Giulietti - sotto giudizio finiscono persone e giornali, è il caso di Alessandro Sallusti, dai quali ci separa tutto, ma proprio tutto, anche perché, in altre occasioni, diedero il loro appoggio ad ogni forma di editto bulgaro”. Ci auguriamo - dice ancora il portavoce dell’associazione per la libertà di informazione - che la notizia, riportata stamane dal Giornale trovi una argomentata risposta da parte della Cassazione che, anche di recente, ha pronunciato importanti sentenze a tutela dell’articolo 21 della Costituzione. Chiederemo, infine, al sottosegretario Peluffo di introdurre nella riforma dell’editoria, già in discussione alla Camera, l’abrogazione o la modifica di norme già contestate dalla Federazione della stampa e dall’Ordine dei giornalisti”. Giustizia: Cassazione; con Aldrovandi gli agenti furono sproporzionatamente violenti di Antonella Beccaria Il Fatto Quotidiano, 21 settembre 2012 Gli agenti agirono esercitando un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva” su Federico Aldrovandi causandone la morte. Lo si legge nelle motivazioni che la IV sezione della corte di Cassazione ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, i quattro poliziotti della questura di Ferrara che il 25 settembre 2005 intervennero in via dell’Ippodromo e che nei tre gradi di giudizio sono stati ritenuti colpevoli dell’omicidio colposo del diciottenne. Quarantatré pagine che, dopo la sentenza 36280 dello scorso 21 giugno, pongono l’ultima parola ancora mancante a un iter giudiziario i cui esiti si sono espressi sempre negli stessi termini: l’incontro di sette anni fa tra il ragazzo e gli agenti, mandati sul posto da una telefonata che avvertiva della presenza di un giovane in stato di agitazione, è degenerato fino al punto da diventare un pestaggio che non lasciò scampo a Federico. Inoltre “le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”. Già il procuratore generale Gabriele Mazzotta, nella sua requisitoria, aveva sottolineato l’efferatezza di quell’intervento, effettuato da “schegge impazzite dello Stato”. “I poliziotti”, aveva aggiunto alla vigilia del pronunciamento della Cassazione, “non avevano davanti un mostro eppure si sono avventati in quattro contro un ragazzo solo. Le condotte assunte dimostrano un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali. L’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti”. E ancora, come già scritto anche nelle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che confermavano le parole del giudice di primo grado, Francesco Caruso, venne effettuato un “tentativo di depistare le indagini” nonostante i due manganelli spaccati addosso a Federico Aldrovandi e le cinquantaquattro lezioni riscontrate sul suo corpo. Di fatto, rispetto alla pena stabilita dalla sentenza che non ha riconosciuto attenuanti, in forza dell’indulto del 2006 agli agenti erano rimasti sei mesi e alla fine dello scorso luglio era giunta la notizia che alcuni di loro avevano fatto richiesta di essere assegnati a servizi socialmente utili. Questo nonostante gli insulti rivolti via Facebook da uno di loro, Paolo Forlani, ai genitori di Federico Aldrovandi. La vicenda era accaduta qualche giorno dopo il pronunciamento della Cassazione e aveva portato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri a etichettare come “frasi vergognose” quelle state scritte sulla bacheca digitale dell’associazione Prima Difesa e ad annunciare “l’immediato avvio di un procedimento disciplinare per sanzionare l’autore del gravissimo gesto”. Infine adesso si guarda al concerto del prossimo 25 settembre nell’anniversario della morte di Federico e alla creazione di un’associazione in sua memoria che “nasce dalla volontà di proporre qualcosa di bello e costruttivo, di legare il nome di Federico alla positività e alla necessità di mettere le persone al centro di tutto”. Ma rimangono alcuni capitoli giudiziari aperti. Sono quelli della diffamazione e per uno si resta in attesa dell’udienza che ci sarà a Mantova il prossimo 2 ottobre. Imputati Patrizia Moretti, madre di Federico, e i giornalisti Marco Zavagli di Estense.com (è anche collaboratore del fattoquotidiano.it), Paolo Boldrini e Daniele Predieri (entrambi della Nuova Ferrara) mentre parte lesa è il pubblico ministero Mariaemanuela Guerra, la prima che indagò sull’omicidio del giovane. Si tratta dello stesso magistrato che a fine agosto ha visto archiviare dal gip di Ancona Alberto Pallucchini un procedimento analogo contro due funzionari della questura di Ferrara, accusati di averne leso l’onorabilità professionale quando formularono dubbi sulle modalità con cui Guerra indagò ai tempi del processo di primo grado. Per un terzo era stato chiesto un supplemento d’indagine. Sardegna: carceri al collasso, dossier di Mauro Pili (Pdl) al ministro Severino Agi, 21 settembre 2012 “La situazione delle carceri della Sardegna è al collasso”. L’ha ribadito il deputato del Pdl Mauro Pili che assieme al collega Bruno Murgia stamattina ha visitato il penitenziario di Buoncammino a Cagliari, dove sono presenti 550 detenuti (tra i quali 26 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 260 e di una ritenuta “tollerabile” di 380. Al sovraffollamento - ha aggiunto Pili che ha inviato un dossier sulle carceri sarde al ministro della Giustizia Paola Severino - si aggiungono pesanti carenze d’organico, che superano il 30%. “Le nuove carceri sarde restano chiuse e le vecchie scoppiano senza agenti”, ha denunciato Pili, assieme ai segretari regionale e provinciale dell’Ugl polizia penitenziaria, Salvatore Argiolas, e Alessandro Cara. “Dei 450 agenti necessari promessi dal ministro nel maggio scorso forse ne arriveranno meno della metà. A Cagliari, Sassari e Nuoro la situazione è esplosiva: la notte è disponibile un solo agente. A Buoncammino in un braccio con 240 detenuti ci sono solo tre agenti per tutta la giornata. L’organico dovrebbe essere di 267, ce ne sono 209”. Ad Alghero lavorano 63 agenti su un organico di 92. A Mamone 95 su 127, a Nuoro 154 su 212, a Sassari 144 su 212. “Tutto il personale è sottoposto a turni massacranti e senza la possibilità di usufruire di una regolare gestione di riposi e ferie”, spiegano Pili e i sindacalisti dell’Ugl, che lamentano anche pessime, se non “assenti”, relazioni sindacali con l’amministrazione penitenziaria, peggiorate dal giugno 2011 con l’arrivo del nuovo provveditore. Secondo Pili, mancano oltre 300 agenti nelle vecchie carceri e almeno 500 con l’apertura dell nuove, carenze che potrebbero essere colmate con il rientro nell’isola degli agenti sardi assegnati a carceri del resto d’Italia. In una conferenza stampa davanti al carcere di Cagliari subito dopo la visita, la quinta compiuta negli istituti sardi negli ultimi mesi, Pili ha anche lanciato l’allarme sulla gestione della sanità penitenziaria, segnalando “una crescita esponenziale del fenomeno della Tbc a causa della modifica della popolazione carcerarie”. “Bisogna evitare i rischi di una bomba sanitaria”, ha detto il deputato del Pdl, che ha poi denunciato, assieme al medico Antonello Zanza, la mancata definizione del ruolo dei medici penitenziari. “Appare indispensabile un’azione urgente per garantire l’azione dei medici penitenziari”, ha detto Pili, “che hanno maturato un’esperienza non sostituibile su patologie e casistiche tipiche dell’ambiente penitenziario. Occorre predisporre un ruolo ad esaurimento per queste figure”, ha ricordato, in riferimento anche a una pronuncia in tal senso del Consiglio regionale dell’ottobre 2010, “e avviare un percorso formativo specialistico di alta formazione che consenta di mettere a frutto l’esperienza maturata dagli operatori penitenziari”. “Con il dossier inviato oggi al ministro Severino”, ha concluso Pili, in riferimento a un documento che raccoglie tutte le interpellanze e interrogazioni presentate dal deputato del Pdl sul problema delle carceri in Sardegna, “chiediamo un immediato intervento per affrontare questioni urgenti che, altrimenti, rischiano di mettere in ginocchio l’intero sistema carcerario sardo”. Lombardia: Tribunale di Sorveglianza; carceri sovraffollate e con pochi agenti Asca, 21 settembre 2012 Sovraffollamento (oltre la metà rispetto al limite di tollerabilità) e carenza di agenti di polizia penitenziaria (circa il 25% in meno). Sono i principali problemi che affliggono il mondo carcerario della Lombardia secondo il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, Pasquale Nobile de Santis, ascoltato questa mattina dalla Commissione Speciale sul sistema carcerario. "Rispetto a Roma e Napoli - ha affermato de Santis - abbiamo pochi magistrati a fronte di un numero maggiore di detenuti definitivi. Tanto per fare un esempio: a Milano ci sono 15 magistrati per oltre 4000 detenuti definitivi mentre a Napoli 19 su 3312 e Roma 17 per circa 2000 carcerati". De Santis ha spiegato che sono ben utilizzate le misure alternative, a partire dall'affidamento ai servizi sociali (il 40,3% a Milano rispetto al 23% e al 15% di Roma e Napoli) e ha assicurato che il tempo medio di fissazione dell'udienza, attorno ai tre mesi, e' un termine fisiologico e ragionevole. Il giudice ha anche sottolineato che le misure alternative procurano benefici anche rispetto alla percentuale di recidiva: il carcere e' attorno al 68,5% e l'affidamento, decisamente piu' basso, il 18. Flessione invece si registra sull'affidamento terapeutico, a causa dell'inadeguatezza delle strutture presenti sul territorio. Ascoltati in commissione anche la Cgil Lombardia e la Presidente dell'Associazione bambini senza gabbia, Lia Sacerdote, che ha riferito come ogni anno circa 30 mila bambini entrino nelle carceri milanesi per visitare parenti e genitori. Sicilia: indagine su 13 dipendenti assenteisti all’Ufficio del Garante regionale dei detenuti Adnkronos, 21 settembre 2012 Tredici dipendenti assenteisti dell’Ufficio del “Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale” sono stati scoperti a Palermo dai finanzieri del Comando provinciale del capoluogo siciliano al termine di indagini dirette e coordinate dalla locale Procura. Grazie alle immagini riprese dalle telecamere nascoste in prossimità degli ingressi dell’ufficio e ad appostamenti, pedinamenti e servizi di osservazione, i militari del gruppo Tutela spesa pubblica del Nucleo di polizia tributaria hanno monitorato per oltre un mese alcuni dipendenti che, durante l’orario di servizio, erano soliti assentarsi dal proprio posto di lavoro per recarsi, spesso in gruppo, presso bar e negozi, anche per diverse ore nell’arco della stessa giornata. Alcuni dei dipendenti “osservati” non si presentavano affatto in ufficio pur risultando presenti, altri impiegavano anche 2 ore per la pausa pranzo (a fronte dei 30 minuti previsti) o addirittura non rientravano affatto in ufficio, altri ancora hanno maturato oltre 20 ore di assenza nell’arco di una sola settimana. Successivamente, i finanzieri hanno perquisito l’ufficio del Garante rinvenendo e sequestrando i “fogli di presenza” giornalieri compilati e sottoscritti dai dipendenti che erano risultati assentarsi ripetutamente dal proprio posto di lavoro. È stata così rilevata la non rispondenza degli orari riportati sui “fogli presenza” con quelli effettivamente svolti nell’arco delle giornate oggetto di video-riprese e pedinamenti. Il danno subito dall’Erario a causa delle ore di servizio retribuite ma non prestate è stimabile, orientativamente, in 250mila euro. Le indagini proseguono per fare luce anche su altri aspetti relativi alle modalità di gestione e funzionamento complessivo dell’ufficio. Fleres: perquisizione sede dopo mio esposto (Agi) “L’indagine che ha portato alla perquisizione della sede dell’Ufficio del Garante dei detenuti scaturisce da un esposto che io stesso ho presentato nella primavera del 2011, a causa delle ripetute inadempienze gestionali riscontrate nell’ufficio”. Lo afferma Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, dopo la denuncia per assenteismo di tredici dipendenti dell’ufficio, sorpresi dalla Guardia di finanza al bar o a fare shopping durante l’orario di lavoro. Palermo: scoperti 13 dipendenti assenteisti all’Ufficio del Garante detenuti Buscemi: da Fleres nessuna lezione di moralità (comunicato stampa) Dichiarazione dell’Avv. Lino Buscemi, dirigente dell’ufficio di Palermo del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti: “Sulla vicenda del presunto assenteismo registratosi nell’ufficio di Palermo del Garante, ci difenderemo, adeguatamente, nelle sedi opportune. Quella che francamente è inaccettabile è la dichiarazione del Sen. Salvo Fleres, molto vicino al ben noto Senatore Dell’Utri, che si erge a “vittima” e a pubblico censore, usando espressioni false e di una gravità inaudita con lo scopo di allontanare da sé sospetti e giudizi sul suo negativo operato. Ricordo all’opinione pubblica che il Garante Fleres, da quando (fine 2006) è stato nominato (con decreto del Presidente della Regione di allora On. Totò Cuffaro) ha percepito euro 425.000 (diconsi quattrocentoventicinquemila!) di indennità quale compenso per avere brillato per “presenza” nelle sedi istituzionali di Palermo e Catania e nelle 28 carceri siciliane. Altro che assenteismo! La sua attività di Garante è stata talmente “positiva” che proprio il governo regionale presieduto dall’On. Lombardo aveva deciso (nel disegno di legge c.d. “finanziaria” anno 2012 esitato dalla Giunta) nientemeno che la soppressione della figura, appunto, del Garante dei diritti dei detenuti. La norma governativa, poi, non ha retto in Aula e in sostituzione è stata approvata una proposta che ha ridotto a “titolo gratuito” il già ben retribuito incarico del Sen. Fleres (lo stesso, come riferiscono i mass-media, oltre a percepire la lauta indennità di parlamentare della Repubblica mentre svolgeva le funzioni di Garante percepiva anche il lauto vitalizio di ex Parlamentare regionale. Privilegio, su decisione del Consiglio di Presidenza dell’ARS, ora rinviato a quando il Fleres sarà effettivamente in quiescenza). Si precisa, infine, che riguardo al compenso del Garante per il 2011 (in tutto 99.000 euro!) l’ufficio è ancora in attesa della formale lettera di rinuncia da parte del Sen. Fleres, in quanto lo stesso si è limitato, malgrado pubbliche dichiarazioni di segno opposto, a chiedere soltanto la “sospensione” del pagamento delle sue “spettanze”. Anch’io ho più volte rappresentato l’anomala situazione di un Garante che da più di sei anni pretende di assolvere il suo mandato da Roma (da un ufficio del Senato) o dalla sua segreteria politica personale catanese. Purtroppo sono rimasto inascoltato. Il tempo sarà galantuomo e la giustizia trionferà. Con buona pace di chi con toni trionfalistici gode nello sporcare l’immagine di persone perbene che hanno fatto della legalità e del dovere il loro scopo di vita. Al di là di quello che pensa, speculandoci sopra, il Sen. Fleres che si permette il lusso di dare lezioni di moralità”. Marche: Sappe; deludente incontro col Dap, in carceri regionali manca personale Ansa, 21 settembre 2012 Un incontro “assolutamente deludente”: così il segretario regionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe Aldo Di Giacomo, dopo il colloquio avuto oggi ad Ancona con il vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano sulla situazione delle carceri delle Marche. Pagano, riferisce il sindacalista, ha confermato che il carcere di Barcaglione di Ancona ospiterà a breve 100 detenuti, destinati a diventare 180 entro dicembre. Ma la dotazione di personale di custodia - 50 agenti subito, che a dicembre diventeranno 96 a fine anno - “sguarnirà di personale le altre strutture carcerarie della regione, vanificando l’effetto della recente assegnazione di 36 nuovi agenti”. Il Dap, afferma Di Giacomo, introduce il concetto di “sorveglianza dinamica dei detenuti, ma non si rende conto del significato di questa scelta: meno agenti di custodia contro un aumento di reclusi vuol dire un incremento certo di eventi critici, a partire dai suicidi in cella e dagli atti di autolesionismo”. Il Sappe annuncia manifestazioni di protesta eclatanti, a partire da un sit-in davanti al Barcaglione. Napoli: protesta dei detenuti di Poggioreale, tre giorni senza cibo e aria per il ddl carceri Ansa, 21 settembre 2012 I detenuti di Poggioreale rinunciano al vitto e alle due ore d’aria giornaliere. Alla protesta, che inizierà il 21 e si concluderà il 23 settembre, offrono la loro solidarietà anche la Camera Penale di Napoli e “Il Carcere Possibile Onlus”. L’azione scelta dai detenuti ha l’obiettivo di sollecitare il Parlamento ad approvare il disegno di legge sulle misure alternative al carcere. L’Aula avrebbe dovuto discutere il pacchetto di norme messe a punto dal ministro Severino proprio in questi giorni, ma la commissione giustizia non ha ancora terminato l’esame del provvedimento, quindi tutto è saltato a data da destinarsi. Da qui la decisione dei carcerati di Poggioreale di rifiutare cibo e aria proprio quando ci sarebbe dovuto essere il via libera del disegno di legge, atteso durante tutta l’estate. Di questa situazione si fa portavoce anche la Camera penale partenopea, che, insieme alle Camere penali dell’Unione italiana, dal 15 marzo scorso ha esposto uno striscione di 5 metri con la scritta “Fate presto” per sensibilizzare sulla mortalità in carcere, secondo i dati diffusi, in cella muore un detenuto ogni due giorni. “Dopo una torrida estate, trascorsa tra inutili e illegittime sofferenze, i detenuti sono stati abbandonati ancora una volta al loro tragico destino da uno Stato che punisce chi ha commesso un reato (e anche chi “presunto innocente” è ancora solo imputato o addirittura indagato) e allo stesso tempo manifesta la sua macroscopica impotenza a esercitare il suo potere nel rispetto della Legge” si legge in una nota della Camera penale di Napoli. Palermo: carcere Pagliarelli, feriti da un detenuto tre agenti della polizia penitenziaria Ansa, 21 settembre 2012 Tre agenti di polizia penitenziaria del carcere di Pagliarelli sono stati feriti da un detenuto di origine marocchina. Imputato per tentato omicidio e lesioni gravi, era appena giunto nella struttura accompagnato da una scorta del Nucleo Traduzioni. Il detenuto si è scagliato contro gli agenti non appena gli sono state tolte le manette. Lo ha reso noto il vice segretario del sindacato di polizia. Gli agenti sono stati accompagnati con urgenza in ospedale in attesa di cure mediche. Hanno riportato un trauma al braccio, una frattura alla spalla e una ferita alla tempia. Nicotra ha sottolineato la “drammaticità delle carceri e delle condizioni in cui opera il personale di Polizia Penitenziaria”. “In Sicilia - ha aggiunto - ci sono circa 800 poliziotti in meno e le tensioni sono in continuo aumento se si pensa che soltanto sei poliziotti hanno portato quattro detenuti e se questo fosse accaduto per strada ci sarebbero stati altri fatti più gravi”. Reggio Calabria: detenuto tenta suicidio, salvato da agente penitenziario Ansa, 21 settembre 2012 Un detenuto nel carcere di Reggio Calabria ha tentato il suicidio inalando il gas della bomboletta utilizzata per cucinare e riscaldare cibi e bevande. Lo hanno reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Damiano Bellucci, segretario nazionale. L’uomo ha infilato la testa in un sacchetto di plastica, stretto con un laccio, ed ha iniziato ad inalare il gas. Il detenuto è stato salvato da un agente della polizia penitenziaria. Cagliari: Sdr; detenuto spagnolo attende estradizione da oltre un anno Ristretti Orizzonti, 21 settembre 2012 Un detenuto spagnolo, con condanna definitiva per traffico di droga, attende da oltre un anno l’estradizione per scontare il residuo di pena nelle carceri del suo Paese. Ristretto a Buoncammino dal febbraio del 2010, dopo essere stato arrestato a Porto Torres dalla Guardia di Finanza e trasferito subito a San Sebastiano dov’è rimasto per circa due settimane, Josè Cruz Chavez ha denunciato alla Presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme” il mancato rispetto, senza alcuna motivazione, del suo diritto a star vicino alla famiglia. La richiesta avanzata il 2 settembre del 2011 dall’avv. Federica Maccedda al Ministero della Giustizia è ancora in attesa di risposta. “È incomprensibile che con il sovraffollamento delle carceri si continui a prolungare - sottolinea Caligaris - la detenzione in Italia di cittadini stranieri che hanno richiesto l’estradizione. Il caso di Jose Cruz Chavez non è isolato. L’Associazione ha, infatti, ricevuto segnalazioni da altri detenuti degli Istituti di Cagliari, Alghero e Iglesias che condividono una condizione analoga. La situazione appare irrazionale se si considera che per alleggerire il numero di cittadini privati della libertà è stata perfino emanato un apposito decreto”. “La vicenda di Josè Cruz Chavez assume - afferma ancora la Presidente di Sdr - aspetti paradossali in quanto il Consolato spagnolo, in una lettera all’interessato, attribuisce il mancato accoglimento della richiesta a “ritardi della burocrazia italiana” escludendo qualsiasi atteggiamento negativo delle autorità iberiche. Favorevoli all’estradizione si sono pronunciati anche il Magistrato di Sorveglianza ed il Direttore del carcere. Non solo il Console Onorario di Cagliari rispondendo al Console Generale della Spagna Eduardo de Laiglesia del Rosal lo ha informato di una lettera inviata alle autorità italiane per protestare per la lentezza della burocrazia nella estradizione dei detenuti stranieri anche quando le autorità dei relativi Paesi non fanno opposizione. “A questo punto - conclude Caligaris - non si comprendono le ragioni dell’assenza di risposte, non solo a Josè Cruz Chavez ma a tutti i cittadini stranieri che richiedono di espiare la pena nei Paesi di origine come previsto dai trattati internazionali”. Campobasso: carcere invaso dai topi, agente regala veleno alla direzione Ansa, 21 settembre 2012 Invasione di topi nel carcere di Campobasso: a rischio agenti e detenuti: ed un agente regala alla direzione il veleno per fronteggiare l’emergenza. La denuncia è del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa dei Baschi Azzurri, che chiede al Capo del Dap Giovanni Tamburino una immediata bonifica e derattizzazione dell’istituto. “Il rischio di infezione è alto” denuncia il segretario generale Sappe Donato Capece. “La salubrità dei luoghi di lavoro dei poliziotti e di ogni altra area del carcere, comprese le celle, dovrebbe essere il punto di partenza per avere un carcere più civile. Avere topi e ratti in quello di Campobasso è una vergogna. Come è una vergogna accumulare immondizia per giorni e giorni. Per questo chiedo immediati interventi all’Amministrazione Penitenziaria”. Brescia: mostra fotografica “Donne invisibili”, con le detenute di Verziano di Pia Grazioli www.ecodellevalli.it, 21 settembre 2012 In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2012 l’associazione culturale “La Fucina Animata” presenta con il Comune di Sarezzo e la Comunità montana della Valtrompia la mostra fotografica “Donne invisibili” che si terrà da domenica 23 settembre a domenica 14 ottobre al Museo I Magli. La mostra, realizzata con il patrocinio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, con la direzione della Casa di Reclusione femminile di Verziano, è frutto di un progetto realizzato presso il carcere promosso dalla sig.ra Rosetta Zampedrini con la fotografa Carla Cinelli, la direttrice di Canton Mombello Maria Grazia Bregoli e la direttrice di Verziano Francesca Paola Lucrezi che hanno permesso l’iniziativa. “Mi ha attratto l’idea di conoscere, attraverso immagini fotografiche, donne che rimangono invisibili alla società; donne recluse nelle carceri. Chi sono, come vivono? Una donna detenuta esiste per la società solo come persona esecrabile, da condannare. E così sono entrata nel Carcere di Reclusione di Verziano - commenta Rosetta Zampedrini - e ho scattato immagini che portavano il mio punto di vista, la mia percezione di quello che vedevo, ma ho realizzato che le donne che stavo fotografando rimanevano mute, ancora una volta restavano invisibili ed è per questo che ho proposto a loro di diventare fotografe di sé stesse attraverso una macchina fotografica usa e getta. Solo in questo modo era possibile far sentire la loro voce al di fuori, renderle visibili, presenze concrete, vive. L’accoglienza alla mia proposta è stata immediata, ho avuto la sensazione che stessero aspettando questo momento per gridare a tutti che esistono, che ci sono, che sono figlie di questo mondo. Già all’inizio del lavoro sapevano con certezza cosa avrebbero fotografato e, soprattutto, perché lo avrebbero fotografato e così è stato. L’elaborazione si è snodata per alcune settimane e il risultato sono immagini scattate con immediatezza, senza pensare all’estetica e alla tecnica, ma scattate con l’urgenza di comunicare emozioni e sensazioni che appartengono a tutti. È stato un lavoro umanamente ricco e forte, siamo state coinvolte in una ricerca dell’altro per poterlo conoscere e meglio comprendere”. La mostra è, quindi, un lavoro di decostruzione dell’immagine della “reclusa”. Comprende due sezioni: una realizzata dalla fotografa Rosetta Zampedrini, composta da una ventina di immagini in bianco e nero, e una di oltre cinquanta immagini a colori, realizzata da sei detenute del carcere, con il supporto di Carla Cinelli. Con questo progetto si è voluto dar voce alle donne detenute che, attraverso la fotografia, hanno voluto esprimere il loro essere donna, anche in un ambiente particolare e di grande sofferenza qual è il carcere. Le detenute hanno fotografato, con la guida delle due fotografe, utilizzando fotocamere usa e getta a pellicola; strumenti semplici ed elementari che non hanno inficiato la creatività emozionale. Il progetto continua con una raccolta di materiale di prima necessità per le detenute del Carcere di Verziano. Per tutta la durata della mostra, durante gli orari di apertura (ogni domenica dalle 14 alle 18), l’associazione culturale “La Fucina Animata” raccoglierà prodotti per l’igiene personale (sapone, detergenti, carta igienica, assorbenti, dentifricio, spazzolini da denti, salviette) e per la pulizia degli spazi (detersivi, stracci e strofinacci, etc…) da donare alla Casa di Reclusione di Verziano. La mostra verrà inaugurata domenica 23 settembre alle ore 17 al Museo I Magli in via Valgobbia 19, con un aperitivo per il pubblico. L’ingresso gratuito. La mostra aperta nel periodo tutte le domeniche dalle 14 alle 18. In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio (30 settembre) sarà possibile visitare gratuitamente la mostra. Nelle giornate del 7 e 14 ottobre la visita avverrà previo pagamento del biglietto d’ingresso al museo (3 euro intero, 2 euro ridotto). L’ingresso è gratuito per i residenti dei Comuni che aderiscono al Sistema Museale della Valtrompia. Sono previste inoltre altre iniziative: domenica 30 settembre dalle 15 alle 16,30 con “Al di fuori”, nuovi spazi per sperimentare con il colore, un laboratorio artistico per bambini fra 5 e 11 anni. Attraverso l’utilizzo di trasparenze e giochi di colore, i bambini trasformeranno fotografie di ambienti chiusi in paesaggi liberi e aperti. L’attività è gratuita con iscrizione obbligatoria entro le 12 di venerdì 28 settembre (tel. 030.8337495). Domenica 14 ottobre alle 17 il Finissage della mostra con un aperitivo/dibattito con le fotografe. L’ingresso è libero. Per informazioni e prenotazioni si può contattare il Sistema Museale allo 030.8337495. Pesaro: Premio giornalistico Valerio Volpini alla direttrice di “Ristretti Orizzonti” di Davide Pelanda www.articolotre.com, 21 settembre 2012 Il 5 ottobre prossimo nell’ambito del convegno “Penna Libera Tutti: giornalismo in carcere” che si svolgerà presso il teatro della Casa Circondariale di Villa Fastiggi a Pesaro, Ornella Favero, direttrice di “Ristretti Orizzonti” notiziario quotidiano dal carcere di Padova, riceverà il Premio giornalistico Valerio Volpini, giunto quest’anno all’ottava edizione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere moderne, Lingua e letteratura russa, Ornella Favero nel 1998 ha dato vita, insieme a un gruppo di detenuti, alla rivista “Ristretti Orizzonti”, realizzata nella Casa di Reclusione di Padova; nel 1999 ha fondato una redazione nell’Istituto Penale Femminile della Giudecca. La rivista nel tempo è diventata in Italia una fra le più qualificate ed autorevoli sui temi del carcere e del disagio sociale legato alla carcerazione. Dal 2001 esiste anche il sito internet www.ristretti.it. Già nel 2009 alla testata guidata dalla Favero il Comune di Ovada, assieme al Centro Pace “Rachel Corrie”, all’Associazione Articolo 21, alla trasmissione radiofonica Fahrenheit (Rai Radio 3) e con il sostegno della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria e della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, hanno voluto assegnare alla testata padovana il premio Testimone di Pace-sezione informazione. Sempre il 5 ottobre verrà anche presentato il primo numero del nuovo mensile di informazione “Penna Libera Tutti” realizzato dai detenuti del carcere pesarese. Tra gli ospiti che prenderanno parte all’evento ci saranno la direttrice della Casa Circondariale di Villa Fastiggi, Claudia Clementi, il direttore de “Il Nuovo Amico”, Italo Tanoni, Garante per i diritti dei Detenuti delle Marche, Luca Bartolucci, presidente del Consiglio Provinciale di Pesaro e Urbino, Luca Ceriscioli sindaco di Pesaro, Attilio Visconti prefetto della Provincia di Pesaro e Urbino. Prevista anche la partecipazione dei tre vescovi della Metropolia di Pesaro-Fano-Urbino mons. Piero Coccia, mons. Armando Trasarti e mons. Giovanni Tani. Rimini: domani conferenza stampa di Alfonso Papa e Lele Mora su emergenza carceri Agenparl, 21 settembre 2012 Sabato 22 settembre il deputato del Pdl Alfonso Papa e l’agente dei vip Lele Mora terranno una conferenza stampa a partire dalle ore 12.30 presso la sala congressi dell’Hotel Continental a Rimini (viale Vespucci, 40). L’iniziativa è promossa dal “Comitato per la prepotente urgenza” presieduto dall’onorevole Papa, che ha raccolto il sostegno di numerose associazioni laiche e cattoliche impegnate a favore dei detenuti, tra cui Papillon e la Comunità Papa Giovanni XXIII. “Chi come me e Lele ha vissuto una lunga ed estenuante esperienza di carcerazione preventiva ha il dovere di denunciarne la degenerazione che lascia invece indifferenti politici e magistrati”, è quanto dichiara il deputato Papa. “In Italia il carcere senza condanna è diventata la consueta anticipazione della pena nei confronti di presunti non colpevoli - continua Papa - e, in molti casi, un mezzo per estorcere confessioni. È ora di dire basta a una tortura di Stato che tiene sotto sequestro il 43 percento dei detenuti italiani”. “A Rimini - conclude Papa - faremo conoscere le iniziative che intendiamo mettere in campo per alleviare il dramma di chi subisce una costante istigazione al suicidio ad opera di uno Stato fuorilegge”. “400 giorni di carcere, perlopiù preventivo, ti cambiano per sempre”, dichiara Lele Mora. “Se la mia esperienza e le mie sofferenze potranno aiutare concretamente le migliaia di detenuti senza nome e senza voce, allora saranno valse a qualcosa”. Varese: i giocatori della squadra di calcio del premiano i detenuti dei Miogni www.varesenews.it, 21 settembre 2012 Ai Miogni sono tanti i tifosi del Varese 1910. Insospettabilmente competenti: per aiutarli, quest’anno i premi sono stati beni alimentari consegnati da testimoni speciali: i giocatori del Varese Calcio. Si può tornare bambini anche dietro le sbarre. è successo ai detenuti del carcere varesino dei Miogni, che giovedì 20 settembre sono stati premiati per la partecipazione ai tornei estivi di calcio a cinque e ping pong organizzati all’interno della casa circondariale dal comitato provinciale della Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti. Walter Bressan, Raffaele Pucino e Fabrizio Grillo, accompagnati dal team manager Silvio Papini e dall’addetto stampa Michele Marocco, hanno consegnato ai vincitori un pacco di prodotti alimentari e alcuni portachiavi. “Abbiamo optato per premiare chi si è impegnato di più con beni difficili da procurarsi in carcere, ma comunque utili - ha spiegato la responsabile Uisp per i progetti in carcere, Alessandra Pessina - per i detenuti è difficile mangiare qualcosa di diverso da quanto offerto dalla mensa del carcere”. Perché per molti di loro un passatempo che aiuta a sopportare la vita dietro le sbarre è cucinare. Riescono a fare anche pizze e torte, ma procurarsi i prodotti necessari, con le famiglie fuori in difficoltà economiche sempre più evidenti, è davvero difficile. Ed ecco che un dono gradito diventa speciale, se a portarlo sono alcuni giocatori della squadra locale di calcio, promessa della serie B molto seguita dai detenuti. “Hanno dimostrato un vero e proprio attaccamento ai colori biancorossi” ha raccontato all’uscita Michele Marocco. I giocatori sono stati letteralmente sommersi da domande competenti, fatte da tifosi attenti ed aggiornati, che hanno sorpreso per primi Bressan, Pucino e Grillo. È il terzo anno di collaborazione tra Varese 1910 e Uisp per le premiazioni dei tornei estivi. Un momento importante di legame con il territorio, che aiuta ad abbattere quello che, secondo Pessina, è il “muro di paura che spesso circonda il carcere”. Georgia: sevizie su detenuto, dopo ministro giustizia si dimette anche quello degli interni Adnkronos, 21 settembre 2012 Il ministro dell’Interno georgiano, Bacho Akhalalia, ha rassegnato le dimissioni, ultimo di una serie di alti esponenti politici a lasciare dopo la diffusione di un video che ritrae ufficiali di polizia e guardie pestare un sospetto in un carcere di Tblisi. Il ministro, nell’annunciare la decisione, si è detto “scosso”, ed ha detto di volersi assumere “la responsabilità politica e morale” per il presunto abuso. Il video aveva già provocato le dimissioni del ministro per gli Affari Legali, Khatuna Karmakhelidze, e la rimozione dal suo incarico del suo vice, David Chakua. L’episodio era stato oggetto di condanna anche del presidente Mikhail Saakashvili che aveva promesso che i colpevoli sarebbero stati perseguiti legalmente. “Tutti coloro che hanno organizzato questo, e coloro che hanno consentito che accadesse, meritano la punizione più severa”, aveva detto. Il successore ad interim di Akhalalia ha chiamato alla calma anche in vista delle elezioni parlamentari in programma per il primo ottobre. Nei giorni scorsi ci sono state dimostrazioni in varie città del paese contro la polizia.