Giustizia: carceri e processi, Italia sorvegliata Ue… in vista nuovo “commissariamento”? Tm News, 20 settembre 2012 A pochi giorni dal 24 settembre, quando il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si riunirà a Strasburgo per valutare quanto fatto dall’Italia rispetto alle condizioni carcerarie dopo la sentenza Sulejmanovic della Corte europea dei diritti dell’uomo, Radicali Italiani organizza una conferenza stampa che si terrà a Roma, via di Torre Argentina n. 76. Con riferimento alla situazione della giustizia italiana e della comunità penitenziaria, saranno presentate le gravi iniziative legali assunte dai Radicali rispetto al comportamento delle istituzioni della Repubblica. Nel corso della conferenza stampa saranno confutate le documentazioni che il Governo ha presentato a sua difesa davanti al Comitato dei Ministri e le richieste avanzate formalmente dai Radicali allo stesso Comitato. Giustizia; dal Senato un primo passo verso la prevenzione della tortura di Susanna Marietti www.linkontro.info, 20 settembre 2012 Con 221 voti a favore e 21 astensioni è stata approvata al Senato la ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Opcat), entrato in vigore nel giugno 2006 al momento in cui il ventesimo Stato lo ha ratificato. Adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu nel dicembre 2002, era stato prontamente firmato dall’Italia nell’agosto successivo. Poi, più niente. In nove anni il nostro Paese non è stato in grado di approvare una banalissima legge di ratifica. Perché queste due velocità? Perché firmare non costa niente e permette facile lustro agli occhi internazionali, mentre ratificare è faticoso assai. In questo caso, infatti, il Protocollo prevede che entro un anno dalla ratifica venga messo in piedi un meccanismo nazionale indipendente di monitoraggio di tutti i luoghi di privazione della libertà personale, dalle carceri alle caserme ai Cie senza eccezioni di sorta. Inoltre, un Sottocomitato di quel Comitato Onu contro la tortura istituito dalla Convenzione cui l’Opcat è legato avrà potere di ispezione e controllo su tutti questi luoghi, fornendo alle autorità nazionali le proprie indicazioni circa le condizioni di vita interne. Oggi in Italia, per quanto riguarda le sole carceri, tentativi nel senso dell’istituzione di meccanismi indipendenti di controllo sono stati portati avanti da Comuni e Regioni, alcuni dei quali si sono dotati dei cosiddetti Garanti dei diritti dei detenuti. I quali tuttavia, in mancanza di una normativa nazionale, restano depotenziati nelle loro funzioni. Se la ratifica del Protocollo andrà finalmente in porto, l’Italia dovrà strutturare su base statale una figura quale quella del Garante, allargandone inoltre i poteri a tutti gli altri luoghi di privazione della libertà, spesso molto più a rischio di violazione dei diritti umani di quanto non siano le carceri stesse, per le quali la legge prevede una serie variegata di garanzie. La Convenzione Onu contro la tortura impone l’inserimento del reato di tortura nel codice penale degli Stati parte. Il Protocollo opzionale a tale Convenzione prevede meccanismi che rendano davvero esigibile da ciascuno il diritto a non venire torturato. Non basta scrivere nella legge che esiste il crimine di tortura affinché esso venga davvero contestato ai torturatori. Ci vogliono meccanismi indipendenti di controllo, nonché la volontà da parte della magistratura di adoperare quella fattispecie di reato. L’Italia, pur avendo firmato e ratificato la Convenzione, non ha mai inserito la tortura nel proprio codice. Ma è di pochi giorni fa l’approvazione di un testo di legge in questo senso da parte della Commissione Giustizia del Senato. Quanto al Protocollo, ancora siamo in fase di ratifica. Ed è di oggi la sua approvazione in Aula al Senato. Due segnali che vanno nella medesima direzione. Due segnali che fanno ben sperare. Prima della fine della legislatura, potremmo avere due nuove importantissime leggi. Ci sono voluti nove anni. Che la Camera non ci impieghi più di nove settimane per rendere definitiva la ratifica dell’Opcat. Giustizia: “va potenziata la messa in prova”, parere Csm su delega depenalizzazione Italia Oggi, 20 settembre 2012 Potenziare l’istituto della messa alla prova, promosso il processo agli irreperibili. È un parere positivo quello espresso dal Csm sul disegno di legge di delega al governo in materia di depenalizzazione, anche se l’applicazione delle nuove norme potrebbe trovare dei limiti a causa della mancanza di risorse e strumenti nel sistema giudiziario. Il plenum di Palazzo De Marescialli ha approvato il parere, scritto dal presidente della sesta commissione Paolo Auriemma (Unicos) a larga maggioranza, con la sola astensione dei laici del Pdl Annibale Marini, Nicolò Zanon e Bartolomeo Romano, e del laico della Lega Ettore Albertoni. Nel documento si sottolinea come “Ogni intervento legislativo diretto all’abrogazione dei reati per i quali risulti sproporzionata e inutile la sanzione penale deve salutarsi con estremo favore”, e “una riduzione delle condotte illecite penalmente rilevanti” verso cui sono dirette le linee generali del provvedimento in esame ha “inevitabili, benefici effetti sul sistema giudiziario”. Per quanto riguarda l’introduzione dell’istituto della messa alla prova, Palazzo De Marescialli rileva però che “l’ambito di applicazione è ridotto” e quindi “il positivo effetto deflattivo, processuale e carcerario, potrebbe manifestarsi in una maniera inferiore alle attesa”. Per il Csm sarebbe “auspicabile uno sforzo ulteriore da parte del legislatore” anche “con la destinazione di adeguate risorse finanziarie” in particolare per la fase della prima applicazione del lavoro di pubblica utilità. Accolta con favore, poi, la novità sui processi agli irreperibili, seppure, sul punto, permangano perplessità dal punto di vista procedurale, in particolare sul termine massimo di prescrizione che “appare troppo limitativa, sulle pene detentive non carcerarie, infine, l’organo di autogoverno della magistratura osserva che si corre “il rischio di limitare la concreta applicazione delle nuove pene detentive non carcerarie, con conseguente pratico insuccesso dell’auspicata politica di riduzione della sovrappopolazione carceraria” per il fatto che i detenuti sono prevalentemente “soggetti appartenenti alla cosiddetta marginalità sociale, rispetto ai quali risulta sovente complesso - si legge nel parere - se non addirittura impossibile rinvenire la disponibilità di un’abitazione o di un altro luogo di privata dimora idoneo ad assicurare la custodia del condannato”. “Condividiamo il parere favorevole che il Consiglio Superiore della Magistratura ha espresso sul ddl delega in materia di depenalizzazione. È giusto puntare in questa direzione e la necessità di un’ effettiva depenalizzazione è condivisa da tutta la Magistratura. Auspichiamo, quindi, che il governo tenga conto di questa presa di posizione. Non è, infatti, più pensabile che Procure e Tribunali siano congestionati da reati di lieve allarme sociale come le fattispecie che sanzionano l’ingresso in cabina elettorale con il cellulare o la guida senza patente (ma la lista sarebbe lunga)”, commenta Cosimo Maria Ferri, segretario generale di Magistratura Indipendente. Giustizia: Uil-Pa Penitenziari scrive al Dap; subito dirigenti a Trento, Torino e Rebibbia Adnkronos, 20 settembre 2012 Con una nota indirizzata al capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, e inviata per conoscenza anche al ministro della Giustizia, Paola Severino, il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, sollecita al Dap l’immediata assegnazione di Direttori effettivi presso il Nuovo Complesso di Trento, presso la Casa Circondariale di Torino e del Nuovo Complesso di Roma Rebibbia. La Uli-Pa sottolinea innanzitutto la disponibilità da tempo offerta per “accompagnare” l’amministrazione nel proposito di ampliare il ricorso alla cosiddetta ‘sorveglianza dinamica” in alcune strutture individuate, tra le quali “il nuovo complesso penitenziario di Trento rappresenta un avamposto importante del progettò. Il sindacato esprime poi il convincimento che la pianificazione di ricorrere a nuove forme di sorveglianza può affermarsi solo attraverso una mutata operatività, un processo di deresponsabilizzazione degli operatori di frontiera e attraverso l’assunzione diretta di responsabilità da parte dei vertici amministrativi”. In questo senso, sottolinea la lettera indirizzata al capo del Dap, gli sforzi rischiano di essere vanificati senza l’adozione di provvedimenti che garantiscano la necessaria continuità gestionale della struttura, alimentando il pericolo di compromettere alla base la validità e la credibilità del progetto stesso. A Trento, denuncia Sarno, non c’è ancora un direttore titolare ma ancora un dirigente in missione. Duque la Uil Pa ‘sollecita l’assegnazione di un dirigente effettivo alla C.c. di Trento, senza tralasciare che analoga necessità si afferma anche per la C.c. di Torino e per il Nc di Roma Rebibbia che, per la valenza e l’ampiezza delle strutture, non possono continuare ad essere gestite da dirigenti provvisori” . Lettere: risarcimenti per ingiusta detenzione, accolte soltanto un terzo delle richieste di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2012 Chi ha subito anni e anni di carcere, magari anche accusato di gravi reati per poi essere assolto con sentenza definitiva, deve poter avere il risarcimento per ingiusta detenzione come prevede la legge, ma in realtà non è così. Gli ultimi dati Eurispes e dell’Unione delle camere penali italiane parlano, evidenziano questo aspetto e parlano di una media di 2.500 domande annuali per il risarcimento da ingiusta detenzione, (nel 2011 ne sono state presentate 2.369), ma dell’accoglimento di sole ottocento delle stesse, pari a un terzo. Premettendo che chi inoltra domanda di risarcimento è una persona che è stata assolta con sentenza definitiva, diventa incredibile il rigetto di un numero così alto di domande. Il motivo è semplice: l’Italia è l’unico paese in Europa, ma credo nel mondo dove nell’Istituto della riparazione per ingiusta detenzione è stata inserita una clausola, nel comma 1 dell’articolo 314 del c.p., dove si afferma che non va concesso il risarcimento ad una persona che pur essendo stata assolta abbia con un comportamento di “dolo e colpa grave” tratto in inganno gli inquirenti. Questo concretamente vuol dire che non si valutano le sentenze assolutorie, ma si istruisce un altro processo sui comportamenti e frequentazioni delle persone assolte. Una cosa incredibile e inaccettabile per uno stato di diritto. Una norma completamente anticostituzionale. Ma purtroppo in Italia è così. Si discriminano le persone assolte e si classificano in base alle frequentazioni avute. Praticamente chi viene assolto in luoghi dove è presente la criminalità organizzata, è difficile che possa avere il risarcimento in quanto poteva frequentare pregiudicati. Chi accusato di reati di “eversione” e poi assolto se frequentava ambienti legati al movimento “antagonista” veniva e viene precluso dalla possibilità del risarcimento in quanto anche lì si accusa la persona di frequentazioni sbagliate, che possono aver tratto in inganno gli inquirenti. In tutto questo c’è una profonda ingiustizia, perché se una persona è stata assolta ha diritto al risarcimento. Praticamente con questo escamotage del “dolo e colpa grave” si è completamente depotenziato un Istituto come quello della riparazione per ingiusta detenzione che presiede alla difesa di un alto principio costituzionale che è quello della inviolabilità della libertà personale. Uno Stato che non risarcisce tutti coloro ai quali questa libertà è stata tolta ingiustamente per un mese, un anno, per dieci e più anni, non è uno Stato che garantisce i cittadini. Bisogna rimuovere questa clausola vessatoria, affinché venga rispettata la libertà degli individui. I democratici, i garantisti, tutte le persone che credono nei valori della costituzione devono alzare la voce su questa questione. Un appello al mondo dell’informazione affinché renda visibile questo problema. Lettere: a Severino il merito di aver accettato la sfida del carcere di Don Marco Pozza Il Mattino di Padova, 20 settembre 2012 Come una di loro, con in dote la convinzione espressa anzitempo da E. Mounier: “la più grande virtù politica è non perdere il senso dell’insieme”. Perché scrutando il volto del mondo e della storia dell’uomo dall’elicottero è forte il rischio di contemplare le nostre immagini e dare voce ai nostri pensieri. Che poi sono sempre quelli: “il mondo va male. Il mondo è frammentato. I giovani non sognano”. Se poi il volto da contemplare è quello striato e decomposto del carcere, allora il rischio è duplice: scambiare la giustizia con la vendetta e aggrapparsi alla grammatica del luogo comune: “il carcere è sovraffollato. La detenzione deve essere rieducativa. Il detenuto deve redimersi”. Il cristianesimo racconta l’avventura di un Dio che s’è sporcato le mani e si è inabissato dentro la storia per conoscerla a tal punto da poterla poi trasformare. Un bellissimo anticipo di quello che è il segreto di ogni rivoluzione riuscita: amare per conoscere, conoscere per migliorare, migliorare per umanizzare. Il ministro della Giustizia Severino è entrato dentro il carcere di Padova: si è seduto, ha ascoltato, per quello che ha potuto, ha parlato. Eppure, il gesto simbolico di conoscere da vicino una realtà che troppi dicono di conoscere senza aver visitato è stato troppo genuino per non riconoscerle il merito d’aver accettato la sfida di far entrare nella sua immaginazione l’uomo lasciando per un istante fuori dalla porta il reato. Un ministro “pro tempore” che ha parlato del carcere come di un luogo nel quale apprendere la consapevolezza dei problemi: visitarlo è stato per Paola Severino un’iniezione di fiducia, necessaria in un mandato politico che viaggia sempre nell’alternanza tra l’entusiasmo e la stasi. Contemplare in anteprima come il lavoro dentro le galere sia davvero una via d’uscita da uno stile di vita errato che permetta la possibilità, domattina, di far convivere assieme la sicurezza della collettività e il reinserimento sociale. Perché - come esplicò magistralmente il santo dottore Agostino - la pena vive di un duplice fine: la conservazione della società e la correzione del colpevole. A leggerla poi da un punto di vista cristiano, dovremmo avere il coraggio di far sempre memoria alla “società dei giusti” che la pena deve estirpare il peccato e non annientare il peccatore: il primo è opera dell’uomo, il secondo è opera di Dio. Una parte di detenuti l’ha accolta con i fischi e la melodia delle pentole sul ferro: non è sempre facile spiegare a chi è in fase di “trattamento all’abbrutimento” l’importanza di un gesto simbolico o di una rappresentativa a nome di tutti. Ma a chi c’era, è stato affidato il compito di essere voce tra le celle di un filo di speranza umana entrato. Qui dentro la convinzione è che non cambierà nulla: nessuno ha mai vinto le elezioni svuotando le carceri, bensì riempiendole. Ma anche in caso di mancato raccolto, da questa visita è rimasta quella parola come guadagno di una giornata di parole, immagini e pensieri: consapevolezza. Consapevolezza per la politica: perché prima di parlare trovi il coraggio di entrare dentro il vissuto di questi uomini e guardarli nel volto senza paura. Consapevolezza per la Chiesa: perché la nostra società è fondata su Uno che ha reso tutti alla pari, abbattendo la presuntuosa divisione tra buoni e cattivi. E consapevolezza per la città: perché nessun uomo è mai solo il suo errore. Il carcere visto dall’elicottero è una discarica a cielo aperto. A camminare per i suoi corridoi una certezza splende: qui dentro il cuore dell’uomo batte per gli stessi motivi che fanno battere il cuore dell’uomo fuori. Ci piace pensare che, seppur visitato in maniera parziale, sia questa l’immagine lasciata al ministro. Perché il vero sovraffollamento è il concentrato di disperazione prima che di delinquenza. E qui la sfida è tutt’altro che persa. Sicilia: il Garante dei detenuti; nelle carceri aumentano tentati suicidi e aggressioni Adnkronos, 20 settembre 2012 “Ormai quotidianamente all’interno delle carceri si registrano momenti di tensione e di disagio: tentati suicidi, aggressioni al personale di Polizia Penitenziaria, risse tra detenuti. Questo è il risultato del quasi assoluto disinteresse del governo verso una realtà che necessita di azioni immediate e concrete”. È quanto denuncia Salvo Fleres, il garante del diritto dei detenuti della Regione siciliana. “I fatti accaduti recentemente presso il carcere di Ragusa, sono il simbolo di questo abbandono. A ciò si deve aggiungere la carenza di disponibilità economiche che, inevitabilmente, incide sulla gestione del quotidiano all’interno delle singole strutture, come nel recentissimo caso accaduto ad Augusta dove l’assenza di carburante non ha consentito il ricovero di un recluso - dice. Questo stato di cose non può proseguire oltre. Le direzioni, il personale di Polizia Penitenziaria ed il personale del comparto ministeri non possono occuparsi quotidianamente di una gestione emergenziale mirante, quindi, alla risoluzione del singolo problema. Tutto questo, naturalmente, va a discapito dei reclusi, già provati da un sovraffollamento divenuto patologico”. E aggiunge: “I detenuti hanno ben compreso questo stato di cose e, sovvertendo tutti i luoghi comuni, tra reclusi e personale di Polizia Penitenziaria si registrano forme di solidarietà impensabili in passato. È auspicabile che i provvedimenti annunciati dal ministro della giustizia in merito alle ipotesi di pene alternative siano realmente applicabili e non facciano la fine delle due leggi svuota carceri che non hanno sortito gli effetti desiderati”. Napoli: protesta dei detenuti di Poggioreale, la solidarietà della Camera Penale Comunicato stampa, 20 settembre 2012 La Camera Penale di Napoli e “Il Carcere Possibile Onlus” esprimono solidarietà ai detenuti della Casa Circondariale di Poggioreale che dal 21 al 23 settembre attueranno una protesta pacifica, silenziosa e non violenta, astenendosi dal prendere il vitto e rinunciando alle uniche due ore d’aria giornaliere, per sollecitare il Parlamento ad approvare il disegno di legge sulle misure alternative al carcere. Nei predetti giorni doveva esserci la discussione in aula della riforma. I detenuti intendevano, con il loro gesto, sollecitare una rapida decisione, ma sono stati ancora una volta illusi e delusi. L’approdo in aula, infatti, è stato rinviato a data da destinarsi perché la Commissione Giustizia non aveva ancora completato l’esame del provvedimento. Dal 15 marzo u.s. è partita dalla Camera Penale di Napoli, con il coinvolgimento di altre Camere Penali e dell’Unione Camere Penali Italiane, l’iniziativa “Fate Presto” con uno striscione di 5 metri che indica il numero impressionante di morti in carcere. Uno ogni due giorni. Ma i politici non sono interessati a ripristinare la legalità, mentre continuano a visitare gli Istituti Penitenziari promettendo un rapido cambiamento. Dopo una torrida estate, trascorsa tra inutili e illegittime sofferenze, i detenuti sono stati abbandonati ancora una volta al loro tragico destino da uno Stato che punisce chi ha commesso un reato (e anche chi “presunto innocente” è ancora solo imputato o addirittura indagato) e allo stesso tempo manifesta la sua macroscopica impotenza a esercitare il suo potere nel rispetto della Legge. Avv. Domenico Ciruzzi, Pres. Camera Penale di Napoli Avv. Riccardo Polidoro, Pres. “Il Carcere Possibile” Milano: intervista a Enrico Marcora (Udc); il Sel vuole tenere San Vittore al centro città di Fabio Massa Affari Italiani, 20 settembre 2012 Enrico Marcora, consigliere regionale dell’Udc, in un’intervista ad Affaritaliani.it accende un faro su una delle questioni urbanistiche più scottanti per la città: il futuro di Expo e la cittadella della Giustizia. “Sel Milano ha detto che non vuole spostare San Vittore perché ritiene che così le condizioni dei detenuti sono nel cuore della città, sotto gli occhi di tutti. Invece di pensare a migliorare la situazione di un carcere che a volte non ha neppure l’acqua - spiega Marcora - si trincerano dietro queste posizioni ideologiche. È ora di aprire una riflessione sul dopo Expo, pensando davvero a una cittadella della giustizia in quella locazione. In più, in questi tempi di crisi si potrebbero anche aprire studi di avvocati a prezzi agevolati...” Consigliere Marcora, lei è arrabbiato. Perché? Il consiglio regionale ha approvato una mozione nella quale si impegna a realizzare nelle aree di Expo dopo le Esposizioni la famosa cittadella della giustizia. Questa è una cosa estremamente positiva, visto che si razionalizzano le strutture. Ci sarebbe un nuovo palazzo di Giustizia e un nuovo carcere di San Vittore. In quella zona è già costruito il carcere di Bollate, quindi creeremmo una grande realtà che ha delle economicità di gestione e di organizzazione assolutamente invitanti. Tutto bello: perché è arrabbiato? Perché nel momento in cui c’è la possibilità di creare questa cittadella, si levano voci ideologiche. L’assessore De Cesaris in tempi non sospetti ha detto che il Palazzo di Giustizia verrà riqualificato, insieme alla zona... Sono scelte che non condivido. Così come non condivido che Sel voglia mantenere i detenuti in un carcere fatiscente come quello di San Vittore. Ma ci rendiamo conto che in occasione della commissione congiunta Comune di Milano-Regione Lombardia, la capogruppo di Sel a Palazzo Marino ha detto che l’amministrazione non ha nessuna intenzione di spostare il carcere di San Vittore. E perché? La sua motivazione era che il carcere deve stare al centro della città in modo che i cittadini vedano il disagio che esiste all’interno della struttura. Obiettivamente ritengo che la cosa migliore non sia lasciarlo dov’è e com’è, ma migliorarlo. Ma ci rendiamo che spesso e volentieri a San Vittore non c’è l’acqua nelle celle? Ma vorrei dire un’altra cosa. Prego. Anche il Palazzo di Giustizia ha bisogno di ristrutturazione. Perché non trasferirlo? Tra l’altro la creazione di una cittadella della giustizia permetterebbe la costruzione di uffici per avvocati a prezzi agevolati. In una situazione di crisi come questa non è cosa da poco. Imperia: detenuto ottiene trasferimento alle Vallette di Torino per curare grave malattia Asca, 20 settembre 2012 È stato trasferito alle Vallette di Torino, dove potrà essere curato per la sua gravissima forma di meningoencefalite virale, Fabio Pulina, il 36enne sardo che era detenuto ad Imperia, dopo il furto di un paio di jeans. L’uomo, che era stato condannato a 8 mesi di reclusione, è stato aiutato nel trasferimento dai due compagni di cella e da anche dall’ex direttore del carcere di Imperia, Nicolò Mangraviti. Ora Pulina verrà sottoposto ad una serie di terapie e, una volta scontata la pena, potrà trascorrere gli ultimi mesi di vita insieme alla famiglia, con la quale ha riallacciato i rapporti. Civitavecchia (Rm): oggi un focus sulle prospettive dell’organizzazione sanitaria in carcere www.romatoday.it, 20 settembre 2012 Lo ha organizzato la Asl Roma F. Evento particolarmente significativo sia per la presenza nella città di Civitavecchia di due Istituti Carcerari. Si parlerà di organizzazione della sanità in ambito penitenziario nel Convegno dal titolo “Istituzione Penitenziaria: stato dell’arte e prospettive alla luce dell’applicazione del Dpcm 1 Aprile 2008”, organizzato per oggi, con ingresso libero, e inizio alle 9, presso la sala convegni dell’Autorità Portuale di Civitavecchia. Si tratterà di un evento particolarmente significativo, spiegano dalla Asl, sia per la presenza nella città di Civitavecchia di due istituti carcerari, sia per l’elevato spessore dei relatori inseriti nel programma. “Il contesto normativo di settore per anni ha rappresentato l’unica fonte di riferimento in cui operare per garantire il trasferimento delle attività sanitarie penitenziarie alle Aziende Sanitarie Locali - si legge nella nota della Asl Roma F. A circa 10 anni dal decreto legislativo 22 giugno 1999, numero 230 di riordino della medicina penitenziaria, emanato in attuazione dell’articolo 5 della legge delega numero 419/1998 è stato promulgato il Dcpm 1 aprile 2008, che trasferiva le risorse finanziarie, le attrezzature e i beni strumentali, nonché i rapporti di lavoro riguardanti la sanità penitenziaria, dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento di Giustizia minorile del Ministero di Grazia e Giustizia, alle Aziende Sanitarie locali del Ssn nei cui territori erano ubicati gli istituti penitenziari. Per meglio sostenere le Aziende sanitarie nel passaggio di competenza, venivano, inoltre, emanate dalla Conferenza Stato Regioni le linee di indirizzo per il trasferimento dei rapporti di lavoro nel Ssn del personale sanitario operante in materia di sanità penitenziaria, soggette ad applicazione in sede regionale in coerenza con l’assetto organizzativo per la erogazione della funzione trasferite, comunicate alle Asl della Regione Lazio con specifica circolare del 24 giugno 2009”. E alla luce “delle norme vigenti”, gli organizzatori del convegno “hanno inteso evidenziare le varie tematiche nell’ambito organizzativo assistenziale legate alla vita carceraria, prendendo ad esempio la realtà della Asl Roma F su cui insistono 2 sedi carcerarie, evidenziandone punti di forza ma anche le problematiche che, già poste sul tavolo delle trattative, dovranno essere affrontate e risolte con la collaborazione di tutti gli enti preposti. Gli interventi che si susseguiranno, attraverso l’importante e variegato panel di relatori, forniranno quegli elementi di riflessione e di studio necessari alla comprensione del fenomeno, alla puntuale analisi della situazione carceraria in Regione Lazio, alla valutazione e messa in campo di modelli di riferimento clinico assistenziali e organizzativi, atti al miglioramento delle condizioni sanitarie nelle carceri nel nostro Paese. La condivisione delle stesse in ambito locale - conclude la nota - attraverso un tavolo permanente di lavoro già operativo presso la Asl Roma F, certamente evidenziano la volontà di piena condivisione sia delle strategie che dei modelli di riferimento adottabili”. Lucca: il carcere è a rischio crolli, trasferimento previsto per altri 30 detenuti La Nazione, 20 settembre 2012 Una situazione difficile che ha fatto scattare la protesta a cui si aggiunge quella delle guardie penitenziarie che vedono ogni giorno peggiorare anche le loro condizioni di lavoro. Che il S.Giorgio non fosse in “buona salute” non è certo una novità, ma in questi giorni è perfino intervenuta una ditta che ha accertato lo stato di pericolo per un solaio, così la prima sezione è stata di fatto dichiarata inagibile ed è stato richiesto lo sfollamento dei detenuti presenti. E che questa storia non sia da prendere tanto sottogamba lo si evince anche da un documento ufficiale del sindacato “Sappe”, protocollato a firma del segretario generale nazionale Donato Capece, indirizzato al vicecapo del dipartimento penitenziario, alla direzione generale e al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, con il quale si evidenziano i gravi rischi a cui sono sottoposti personale e detenuti. “È stato autorizzato - si legge nel documento - lo sfollamento di 60 detenuti, di cui 30 già trasferiti in ambito regionale, mentre gli altri 30 sembrerebbero bloccati per cavilli burocratici, pur essendoci una situazione emergenziale di pericolo”. Secondo il “Sappe”, quindi, nella sezione “pericolante”, anche se messa in sicurezza, restano ancora 36 detenuti per i quali non sembra trovarsi posto. “Per fronteggiare l’emergenza, la direzione del carcere - si legge ancora nel documento - ha dovuto spostare i detenuti nuovi nel reparto semiliberi dove oggi ci sono 3 diverse tipologie: semiliberi, quelli che possono lavorare all’esterno (art. 21) e criminali comuni, con la conseguenza di affollare un piccolo reparto che è dovuto passare dalla sorveglianza dinamica a quella di 24 ore su tre turni”. I 36 detenuti remasti nel reparto protestano perché temono di essere spostati in altre strutture, lontane e fuori regione, vista la carenza cronica di spazi che attanaglia il sistema carcerario, tanto che per qualcuno si è parlato di finire in Sicilia, senza sicurezza dei tempi di rientro. Questo potrebbe voler dire, per chi ha famiglia, non vederla per un certo periodo di tempo, o chiedere a parenti e amici uno sforzo notevole, in termini di tempo e economico per venire a far loro visita. Per tutti questi motivi il “Sappe” ha chiesto alla direzione nazionale interventi urgenti per ripristinare le minime condizioni di sicurezza. Roma: nel carcere di Velletri 20 detenuti tornano a frequentare 1° anno superiori Agenparl, 20 settembre 2012 La campanella dell’anno scolastico 2012/2013 è suonata anche per i detenuti studenti della Casa Circondariale di Velletri. Nei giorni scorsi, infatti, sono cominciate le lezioni per i venti reclusi iscritti al primo anno dell’istituto superiore agrario Antonio Cederna di Velletri. La notizia è stata data dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, “l’avvio delle lezioni è una vittoria della Direzione e dei vertici dell’istituto superiore che, con il sottoscritto, sono riusciti ad evitare la soppressione della classe, prevista dalle direttive del ministero. La presenza di una scuola agraria è indispensabile vista la consolidata attività agricola, per certi versi all’avanguardia, portata avanti da anni nel carcere anche con la produzione di prodotti vinicoli approdati con successo sul mercato”. In parallelo alla scuola superiore, all’interno del carcere è iniziata anche la scuola media, con 14 iscritti, e il corso di alfabetizzazione per detenuti stranieri (presenti in percentuale del 35%), in collaborazione con il Centro territoriale di Velletri. Il corso in agraria del carcere di Velletri, con specializzazione in agroalimentare e agroindustria, è organizzato su base quinquennale. Il primo giorno di scuola è servito per spiegare agli studenti le materie insegnate e gli sbocchi professionali possibili al termine degli studi. Tra gli iscritti, c’è anche un laureato in ingegneria Chimica e studenti già in possesso di istruzione superiore. Le lezioni sono state organizzate per garantire la continuità dell’insegnamento ai reclusi cui, per passare l’anno, sarà richiesta la presenza al 75% delle lezioni. A loro disposizione una palestra per l’educazione fisica, un laboratorio informatico ed uno per le lezioni pratiche di chimica e fisica. Nel carcere di Velletri sono presenti 572 detenuti sorvegliati da soli 193 agenti di polizia penitenziaria e 4 educatori. In prospettiva è prevista l’apertura del quarto piano della nuova sezione che porterà la capienza ad oltre 650 detenuti. Il carcere veliterno è stato, inoltre, individuato come sede della sezione di osservazione psichiatrica, che disporrà di 8 posti letto. “Il carcere di Velletri - ha detto il Garante dei detenuti - soffre delle criticità comuni a tutti gli istituti: sovraffollamento, strutture fatiscenti, carenze di finanziamenti, agenti e personale di supporto con gravi carenze di organico. Anche per questo sono convinto che l’istruzione e la cultura siano elementi fondamentali per non far sentire questi ragazzi abbandonati al loro destino e per far crescere una cultura della legalità. Frequentare la scuola in carcere non significa solo conseguire un titolo, ma contribuire alla crescita e al futuro reinserimento sociale dei detenuti”. Imperia: detenuto “evade” dai domiciliari, assolto perché rimasto bloccato nel traffico Agi, 20 settembre 2012 È rincasato con cinquanta minuti di ritardo per colpa del traffico, così un 56enne di Bordighera, detenuto agli arresti domiciliari, con l’unica possibilità di assentarsi da casa per motivi di lavoro, dalle 8 alle 17, è stato assolto dall’accusa di evasione. I carabinieri lo hanno arrestato ieri sera. Alle 17, l’orario in cui avrebbe dovuto trovarsi già in casa, secondo le prescrizioni del magistrato di sorveglianza, lui non c’era ancora. È arrivato, a casa alle 17.50 e così per lui sono scattate le manette. Processato stamani per direttissima, il giudice monocratico Edoardo Bracco, lo ha assolto perché il fatto non sussiste. Il detenuto, infatti, ha dimostrato che il ritardo non era dovuto alla volontà di evadere ma al fatto di essere rimasto imbottigliato nel traffico, durante il tragitto da Ventimiglia, luogo in cui lavora, a casa. Venezia: sabato dibattito sulle carceri agli impianti sportivi di Sacca S. Biagio Sacca Fisola www.veneziatoday.it, 20 settembre 2012 La giornata di sabato 22 settembre 2012, avrà inizio alle 10.00 agli impianti sportivi di Sacca San Biagio a Sacca Fisola con una tavola rotonda sulla situazione all’interno delle carceri che l’attuale crisi economica ha reso ancora più drammatica. L’incontro è organizzato dalla Cooperativa sociale “Il Cerchio” in occasione dei festeggiamenti per i 15 anni di impegno e lavoro a sostegno delle attività produttive all’interno delle carceri della città. Tra i relatori: Felice Casson, membro della Commissione Giustizia del Senato; Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Partito Democratico; Giovanni Pavarin, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia; Remo Sernagiotto, assessore alle Politiche Sociali della Regione Veneto; Sandro Simionato, vicesindaco e assessore alle Politiche Sociali del Comune di Venezia; Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento Penitenziario. Parteciperanno inoltre: Gabriella Straffi, direttore della Casa di reclusione Donne della Giudecca, Immacolata Mannarella, direttore della Casa Circondariale Santa Maria Maggiore; Chiara Ghetti, direttore dell’Uepe di Venezia, Treviso e Belluno; Angela Venezia direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento del Prap del Veneto, Friuli e Trentino; Ornella Favero, direttore della rivista penitenziaria “Ristretti Orizzonti” e Maria Teresa Menotto, presidente dell’Associazione di volontariato “Il Granello di senape”. Coordinano il dibattito Alda Vanzan e Roberta de Rossi rispettivamente giornaliste de “Il Gazzettino” e de “La Nuova Venezia”. Alle 18.00 il dibattito si sposterà in campo San Simeon Profeta dove si svolgerà l’evento glamour, la sfilata “Donne ristrette: quando creare un abito aiuta a ricostruire una vita”. Sulla passerella, allestita a fianco dell’albergo Cà Nigra Lagoon Resort di Stefania Stea, consigliera dell’Associazione veneziana albergatori, sfileranno le modelle che indosseranno gli abiti disegnati e creati con passione, estro e dedizione dalle detenute che lavorano nella sartoria del carcere femminile della Giudecca. Il messaggio è chiaro: esaltare l’attività e l’impresa femminile delle donne “ristrette” e far comprendere al mondo “esterno” la loro voglia di riscattarsi e di reinserirsi all’interno della società. Gli abiti, realizzati dalla sartoria della Casa di reclusione “Donne della Giudecca” sono stati realizzati utilizzando tessuti della ditta Rubelli che collabora con la Cooperativa “Il Cerchio” fin dalla nascita nel 1997. I capi presentati fanno parte della nuova collezione autunno-inverno 2012-2013 ispirata alla moda degli anni Cinquanta. Il progetto è finanziato dalla Regione Veneto. La Cooperativa ha inoltre realizzato un catalogo, con le foto della “Casa di reclusione donne della Giudecca” contenente i disegni realizzati dall’artista Walter Davanzo e la testimonianza del critico d’arte Philp Daverio. “Abbiamo collaborato con entusiasmo a questa iniziativa - spiega Stefania Stea, titolare del Cà Nigra Lagoon Resort e consigliera dell’Associazione veneziana albergatori tra gli sponsor dell’iniziativa - L’obiettivo della sfilata e dell’intera giornata è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del lavoro per le detenute, non soltanto come elemento di riscatto economico, ma anche d’integrazione sociale. La sfilata punta i riflettori sui modelli e i capi realizzati da queste donne detenute e non è un caso che abbiamo scelto come location proprio campo San Simeon Profeta. Ci troviamo in una delle zone più belle di Venezia, eppure il sestiere di Santa Croce, dopo l’apertura del ponte di Calatrava, soffre per la mancanza di passaggio di turisti. Ecco perché l’Associazione veneziana albergatori, sensibile ai temi riguardati la città, ha offerto il suo sostegno per un’iniziativa finalizzata ad animare questa zona di Venezia sia dai turisti che dai residenti”. Saranno presenti alla serata: Remo Sernagiotto, assessore alle Politiche Sociali della Regione Veneto, Sandro Simionato, vicesindaco e assessore alle Politiche Sociali del Comune di Venezia, Maria Laura Faccini Castaldini, presidente dell’Istituto provinciale Santa Maria della Pietà, Francesca Cappelli, presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di Commercio di Venezia, Alberto Capuzzo, direttore di Venezi@opportunità della Camera di Commercio di Venezia; Yvonne Pugliese, gallerista, Luigino Rossi, presidente dell’Accademia delle Belle Arti, Enrico Ladisa, Sales&Marketing manager di Hard Rock Cafè, Stefania Stea, general manager dell’Hotel Cà Nigra Lagoon Resort e rappresentante del Consiglio di amministrazione dell’Associazione veneziana albergatori, Monica Modolo, responsabile amministrazione e vendite della ditta Rubelli, Claudia Fornasier, caporedattore della redazione di Venezia-Mestre del Corriere del Veneto. Dopo la sfilata il Cà Nigra Lagoon Resort ospiterà un cocktail privato, riservato a circa 200 invitati. La sfilata è aperta al pubblico. Per informazioni 0412771127. Bolzano: Homeless Band, domenica prossima concerto in carcere Alto Adige, 20 settembre 2012 La musica, domenica prossima, 23 settembre, entra nel carcere di Bolzano. A portarla, è la Homeless Band, il gruppo più numerosa dell’Alto Adige con ben 14 elementi sul palco. I musicisti, pur avendo tra i 18 e i 25 anni, hanno ormai accumulato una certa esperienza. Il nucleo della Homless Band si è formato all’Istituto Musicale Vivaldi di Bolzano con il nome di Sax Friends circa 11 anni fa, con 5 sassofoni a cui si è aggiunta una sezione ritmica composta da basso, batteria, piano e voci. Inizialmente la band suonava cover dei Blues Brothers, poi il repertorio si è ampliato con classici firmati dalla casa discografica Motown. La Homeless Band ha partecipato a manifestazioni a livello nazionale e internazionale come il Festival biennale delle Giovani Orchestre Europee, due volte nel 2004 in Danimarca e Svezia e nel 2006 In Ungheria. Recentemente ha vinto il Festival Stasera Mi Butto a Egna con la cover di Proud Mary. Quanto all’iniziativa del Comune di Bolzano di portare la musica all’interno del carcere, ci sono già due precedenti, ovvero Andrea Maffei e lo scorso anno Ago & Friends. “Siamo molto orgogliosi di essere stati chiamati a fare questo concerto, dopo due tra i nomi più grossi e importanti della scena musicale bolzanina. - dice Alberto Mattei, contralto e sax. - Suoniamo ovviamente gratis, ma siamo contenti sia di portare un po’ di allegria dentro a quelle mura, che anche di vivere un’esperienza decisamente particolare”. Immaginiamo che nessuno di voi sia mai entrato in un carcere. Cosa vi aspettate? Tutti ci chiediamo come sarà e come sarà il nostro pubblico. Sappiamo che il concerto si terrà nel cortile interno del carcere, durante l’ora d’aria, e che ad assistere saranno i detenuti migliori. Da parte nostra, vogliamo fargli passare un’ora piacevole, in cui si divertono e magari non pensano a tutti i loro problemi o al tempo che gli rimane da passare lì dentro. La scaletta di questo particolare concerto sarà quella classica, o opterete per alcune varianti? Faremo soprattutto pezzi allegri, divertenti, nel nostro genere, ovvero r&b, soul, funk, disco dance, Aretha Franklin, Stevie Wonder, James Brown, Wilson Picket, e disco anni 80 di artisti come Donna Summer e Sister Sledge. Ma non credo che i detenuti possano ballare. E poi faremo i pezzi dei Blues Brothers, che sono il nostro cavallo di battaglia. Tra questi c’è anche, guarda caso Jail House Rock, un vecchio pezzo dei Elvis Presley che i Blues Brothers cantano nel film omonimo, proprio nelle scene girate nella galera, e tutti i detenuti si mettono a ballare sui tavoli. E, tra tutti questi nomi, anche quello di Lucio Dalla, che solitamente non fate. La direttrice del carcere, Anna Rita Nuzzaci, ama molto Lucio Dalla, e ci ha chiesto di inserire qualche sua canzone. Ne suoneremo un paio, arrangiate in modo molto soft, con tastiere e voci. Le nostre cantanti le stanno provando in questi giorni. Due ragazze nel carcere. Sono, un po’ imbarazzate? No, loro non hanno problemi. Certo che Nancy Travaglini e Vittoria Guarda sono entrambe molto carine, speriamo che non creino scompiglio. Quali problemi concreti avete dovuto affrontare o dovrete affrontare per suonare in un carcere? C’è da seguire tutto l’iter burocratico, con permessi, documenti anche per far entrare la macchina del service. E poi ci saranno le perquisizioni a tutti noi e ai nostri strumenti. Insomma è tutto abbastanza complicato. E dopo il carcere? Tanti concerti, e non solo in Alto Adige. Venerdì 28 settembre 2012 suoniamo al Papa Joès di Bolzano e sabato 6 ottobre 2012 al Black Box di Laives. Poi, grazie alla Vittoria al festival Stasera Mi Butto di Egna parteciperemo anche al Tour Music Fest. Immigrazione: Ue; verso più umane condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo www.marketpress.info, 20 settembre 2012 Limitare i motivi di detenzione, le condizioni di detenzione, accesso più rapido e migliore al mercato del lavoro e la valutazione precoce di eventuali esigenze mediche o psicologiche sono tra i miglioramenti alle attuali norme dell’Ue in materia di accoglienza e trattamento dei richiedenti asilo approvato il Mercoledì dalla libertà civili. Il progetto di legge prevede una serie di norme per la ricezione e il trattamento dei richiedenti asilo, per quanto riguarda in particolare i motivi di detenzione, le condizioni di detenzione, la detenzione di persone vulnerabili, l’accesso al mercato del lavoro e l’identificazione dei bisogni speciali. Il progetto di legge, che è stato concordato con il Consiglio provvisorio, modifica la direttiva attuale che risale al 2003. “Dopo quattro anni di negoziati abbiamo raggiunto un accordo con il Consiglio. Richiedenti asilo solo essere detenuti per un numero limitato di motivi e delle condizioni minime sarà garantita in centri di accoglienza. Libertà civili deputati della commissione hanno visto i richiedenti asilo detenuti nelle carceri dell’Ue nel condizioni che non dovrebbero essere replicati”, ha commentato il relatore, Antonio Masip Hidalgo (S & D, Es), dopo il voto in commissione. Detenzione motivi - In base al testo approvato, il richiedente asilo può essere trattenuto per i seguenti motivi: per controllare il suo / la sua identità; per verificare gli elementi del suo / la sua domanda di protezione internazionale; di decidere sulla sua / il suo diritto di entrare nel territorio dello Stato membro; per proteggere la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico; per preparare la sua / il suo ritorno al suo paese d’origine, se lo Stato membro “può giustificare in base a criteri obiettivi (...) che ci sono fondati motivi per ritenere che egli fa della domanda di protezione internazionale, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio”; nel contesto di un trasferimento in un altro Stato membro, sotto il “Dublino II” regolamento sulla responsabilità per i richiedenti asilo. La direttiva del 2003 non include alcun motivo di detenzione, in tal modo lasciando aperto all’interpretazione degli Stati membri. Condizioni di detenzione - Come regola generale, il trattenimento dovrebbe avvenire in appositi centri di trattenimento. Tuttavia, se uno Stato membro non possa ospitare in uno di questi centri e ha l’obbligo di mettere il richiedente asilo in una prigione, lui / lei dovrebbe essere tenuti separati dai detenuti ordinari e di avere accesso a spazi all’aria aperta. Il richiedente asilo dovrebbe essere fornito di informazioni che illustrino i loro diritti e obblighi in una lingua a loro comprensibile “o ragionevolmente si suppone a capire”. Detenzione di persone vulnerabili - In base al testo approvato, i minori non poteva essere detenuto come ultima risorsa. Sarebbe per il più breve periodo e tutti gli sforzi dovrebbero essere fatti per liberare loro e metterli in più centri idonei. I minori non accompagnati sarebbe solo detenuto “in circostanze eccezionali” e non potevano essere tenuti in carcere. Essi dovrebbero beneficiare di un alloggio in centri con personale e strutture adeguate alle loro esigenze. Essi dovrebbero anche essere tenuti separati dagli adulti. L’accesso al mercato del lavoro - I richiedenti asilo devono avere accesso al mercato del lavoro di uno Stato membro entro e non oltre nove mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. Attualmente, un richiedente asilo può accedere al mercato nazionale del lavoro un anno dopo la presentazione della domanda. Anche se, come sottolineato dalla Commissione nella sua relazione del 2008 sull’applicazione della direttiva attuale, “ulteriori limitazioni imposte ai richiedenti asilo che sono già stato concesso l’accesso al mercato del lavoro, come ad esempio la necessità di un permesso di lavoro, potrebbe notevolmente ostacolare tale accesso in pratica”. Gli Stati membri dovrebbero valutare se un richiedente asilo ha bisogno di una particolare attenzione, come l’assistenza medica o psicologica. In base alle norme concordate, tale valutazione deve avvenire “entro un ragionevole periodo di tempo” dopo la domanda è presentata e nei paesi Ue devono garantire che tali particolari esigenze, siano adeguatamente trattate. I prossimi passi - Il progetto di direttiva è stato sostenuto con 45 voti favorevoli, 9 contrari e 4 astensioni. Gli Stati membri dovranno ora approvare il testo concordato, che sarebbe poi tornare al Parlamento. Il testo finale dovrebbe essere votata in Aula prima della fine dell’anno. Una volta adottata, i paesi dell’Ue avranno due anni per recepire le nuove norme nel diritto nazionale. La direttiva sulle condizioni di accoglienza è uno dei cinque atti che costituiscono la spina dorsale del sistema europeo comune di asilo (Ceas). Georgia: Consiglio Ue “scioccato” da torture su carcerati; Ombudsman nominato ministro Tm News, 20 settembre 2012 Il Consiglio d’Europa si è detto “scioccato” dopo la diffusione dei video che testimoniano torture nei confronti di detenuti di una prigione della capitale georgiana Tbilisi e ha detto di “sperare” che i responsabili di queste “atrocità” vengano puniti. “Sono stato scioccato e sconvolto scoprendo” le immagini, sottolinea in un comunicato il presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Jean Claude Mignon, a proposito della vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro dell’Amministrazione penitenziaria georgiana Khatouna Kalmakhelidze. “Tali atrocità, intollerabili, sono accadute in un Stato membro del Consiglio d’Europa. Il presidente Mikheil Saakashvili ha annunciato al sua intenzione di sanzionare i responsabili. Spero che tutti coloro che, a tutti i livelli, abbiano avuto una responsabilità di qualsiasi genere in questa vicenda deplorevole siano identificati e puniti secondo la legge” ha aggiunto Mignon. Una catena televisiva d’opposizione georgiana, TV9, ha diffuso martedì sera un video che mostra un detenuto della prigione numero 8 di Tbilisi, mezzo nudo, mentre piange e chiede pietà prima di esseer apparentemente violentato con un bastone. Il presidente Saakashvili ha subito annunciato una “tolleranza zero” e ordinato il dispiegamento della polizia nelle carceri dell’ex repubblica sovietica del Caucaso meridionale, che va al voto per le politiche il 1 ottobre. Il governo ha annunciato che 15 funzionari del servizio penitenziario sono già stati arrestati, sottolineando che le violenze hanno rappresentato una crimine “premeditato”. Ombudsman diritti umani nominato ministro Il presidente georgiano ha nominato l’ombudsman per i diritti umani della ex repubblica sovietica ministro dell’Amministrazione penitenziaria, dopo le dimissioni del predecessore a seguito dello scandalo nato da un video che mostra torture sui detenuti in una prigione di Tbilisi. “Giorgi Tugushi è stato un critico molto acceso dal regime penitenziario e io nomino il critico più severo del sistema alla sua guida” ha detto il presidente Mikheil Saakashvili in diretta televisiva, mentre lo scandalo delle torture scuote il Paese caucasico che tra dieci giorni vota per le politiche. “La mia priorità è una completa revisione del sistema” ha detto Tugushi. Intanto per il secondo giorno consecutivo la gente è scesa in piazza a Tbilisi e a Batumi, sul Mar nero, per protestare. Un migliaio di persone, in maggioranza giovani, hanno dato vita a una rumorosa marcia per le vie della capitale Tbilisi fino al palazzo presidenziale e alla procura, indossando magliette dell’opposizione o portando cartelloni con la scritta “non torturare” e “non tollerare, indaga”, evidente allusione alla promessa del presidente di seguire la linea “zero tolleranza” nei confronti dei responsabili. Manifestazione anche nella città portuale di Batumi, capitale dell’Agiaria, una repubblica autonoma nel sud-ovest del Paese. Un video trasmesso martedì sera da una tv d’opposizione mostra un detenuto mezzo nudo che piange e implora pietà prima di essere violentato, apparentemente con un bastone. Altre immagini mostrano guardie carcerarie che tirano calci a un detenuto. Il presidente Saakashvili ha subito annunciato “tolleranza zero” e ordinato il dispiegamento della polizia nelle carceri del Paese, che va al voto per le politiche il 1 ottobre. Il governo ha annunciato che 15 funzionari del servizio penitenziario sono già stati arrestati, sottolineando che le violenze hanno rappresentato una crimine “premeditato”. Iran: 9 impiccati a Orumieh e Shahrud, ritenuti colpevoli di traffico di droga Aki, 20 settembre 2012 Sono stati impiccati stamattina nel carcere centrale di Orumieh, nell’Iran nord-occidentale, sei uomini di etnia curda, di cui tre condannanti a morte per reati politici. Lo riferisce il sito Iran Press News, spiegando che gli altri tre sono stati riconosciuti colpevoli dal Tribunale della Rivoluzione di Orumieh di traffico di droga. Al momento si conoscono solo i nominativi di due degli impiccati, Hashem Jahanghiri e Iraj Deylami. Secondo quanto riferisce l’agenzia Mehr, altri tre uomini sono stati impiccati questa mattina per traffico di droga a Shahrud, nell’Iran nord-orientale. I siti attivi nel settore dei diritti umani scrivono che negli ultimi due anni sono state impiccate in Iran oltre mille persone. A partire dalla rivoluzione del 1979 e dalla nascita della Repubblica Islamica, in Iran vige il diritto penale islamico sciita, che prevede la pena capitale per una serie di reati, tra i quali il traffico di droga. Gambia: clima teso, moratoria pena di morte di Elena Intra La Stampa, 20 settembre 2012 A seguito di un’ampia protesta a livello globale, il presidente del Gambia ha sospeso l’esecuzione dei detenuti del braccio della morte. Ad agosto quest’ultimo aveva dichiarato di voler “ripulire” il braccio della morte, applicando la pena di morte ai detenuti al suo interno: da allora nove sono stati giustiziati, mentre altri 37 rimangono ancora in attesa del loro destino. Queste sono state le prime esecuzioni in 27 anni, e secondo i gruppi a sostegno dei diritti umani, si è trattato per lo più di prigionieri politici. La pena di morte era stata infatti abolita sotto la guida di Dawda Jawara, ma è stata ripristinato poco dopo che Jammeh ha preso il potere nel 1994. In una dichiarazione rilasciata a inizio settimana, Yahya Jammeh ha definito la decisione una risposta ai “numerosi appelli” arrivati sia a livello nazionale che dall’estero, ma ha allo stesso tempo avvertito che il blocco potrebbe essere solo temporaneo. “Cosa succederà dopo dipenderà dalla velocità di declino della criminalità violenta, nel qual caso la moratoria sarà a tempo indeterminato, o dall’aumento del tasso di criminalità, nel qual caso invece la moratoria verrà rimossa automaticamente”, si legge nel comunicato citato da Reuters. Alle esecuzioni si erano opposti l’Unione africana e diversi gruppi per i diritti umani. Il Benin, che attualmente detiene la presidenza dell’Unione africana, ha inviato il suo ministro degli esteri in Gambia per premere Jammeh a bloccare le esecuzioni. Lo scorso venerdì invece, un gruppo di opposizione politica del Gambia ha riferito alla BBC che aveva intenzione di creare nel giro di poco tempo un governo in esilio nel vicino Senegal. Il leader, lo sceicco Sidia Bayo ha spiegato di essere stato spinto a creare il nuovo gruppo proprio dopo la recente esecuzione di alcuni condannati a morte. Lo scopo del Consiglio nazionale di transizione della Gambia (Cntg) è quello di vedere la fine della dittatura del presidente Yahya Jammeh, ha detto Bayo. Nell’ultimo mese, le reazioni alla decisione del Presidente del Gambia di applicare la pena di morte hanno ricevuto contestazioni non solo a livello di organizzazioni nazionali ed internazionali, ma anche da parte di gambiani che risiedono all’estero. Tra questi, Idrissa (nome fittizio), gambiano residente in Olanda, racconta ad All Africa la sua esperienza con il governo di Jammeh quando qualche anno prima stava tornando a casa dal funerale di suo padre: “Dodici o tredici persone mi hanno afferrato e picchiato senza sosta. Erano conosciuti come la brigata degli stupefacenti. Uno di loro mi puntava una pistola alla testa e ha detto agli altri: uccidiamolo e seppelliamolo nel cortile di casa, ma il capo gli rispose: Non fargli niente! Legalo e basta!” Dopo averlo portato alla stazione di polizia, un ufficiale gli mise davanti un sacchetto di hashish dicendo:”Abbiamo trovato questo nella tua auto”. “Sono stato incastrato”, spiega Idrissa, il quale poi è stato messo in prigione rimanendo diversi giorni senza acqua e cibo. “O ti rinchiudono per undici anni o si paga una multa,” gli disse uno dei detenuti, “Ho risposto che non volevo passare undici anni in carcere per qualcosa che non avevo fatto. L’intera saga mi è costata 8.000 euro”, aggiunge sarcastico il ragazzo. “Il Gambia è governato da un regime totalitario. La polizia è corrotta, i telefoni sono sotto controllo e gli internet cafè sono monitorati “, continua Idrissa. Quando i gambiani parlano del loro presidente, gli affibbiano decine di soprannomi diversi. “Abbiamo nomi speciali per lui, come Lamin Banjul. Siamo molto attenti nelle nostre conversazioni. Alcuni lo chiamano Papy, come per il proprio papà, mentre altri lo chiamano Tony”. Il Presidente Yahya Jammeh, salito al potere nel 1994 dopo un colpo di stato, è accusato di intimidazioni contro l’opposizione e di brogli elettorali. “L’intera popolazione del Gambia ne paga le conseguenze. Nemmeno gli espatriati sono felici della situazione. Qui io sono libero di dire quello che voglio. Sono libero di parlare con chiunque ho voglia. Questo è ciò che desidero anche per le persone che vivono laggiù” conclude il giovane. Messico: crisi nelle carceri, anche qui lo zampino de Los Zetas di Luca Pistone Corriere della Sera, 20 settembre 2012 La grande fuga di lunedì dei 132 detenuti del carcere di Piedras Negras, nello stato di Coahuila, nel nordest del Messico, è la seconda fuga di massa degna di nota nella storia recente del paese. E, per molti, l’ennesimo segnale di come la guerra contro e tra cartelli del narcotraffico si combatta anche nelle carceri. Negli ultimi sei anni, più di 700 detenuti sono scappati di prigione. Molti di questi appartengono al crimine organizzato. La maggior parte delle fughe ha avuto luogo in zone controllate da Los Zetas, il cartello più sanguinario del paese. Los Zetas nascono come organizzazione paramilitare fondata negli anni novanta dall’allora leader del cartello del Golfo Osiel Cárdenas -attualmente incarcerato negli Stati Uniti- e formata da ex soldati e disertori del corpo speciale Grupo Aeromóvil de Fuerzas Especiales (Gafe) dell’esercito messicano. Negli anni il gruppo è diventato sempre più autonomo fino a quando nel 2010 ha rotto l’intesa con quelli del Golfo. Storica base de Los Zetas è la città di Monterrey, nello stato settentrionale di Nuevo León. I centri penitenziari hanno un livello di sicurezza estremamente basso. Los Zetas lo sa, e ne approfitta. Per il cartello di Monterrey è più conveniente far evadere i propri uomini che addestrarne di nuovi. I rischi sono minimi. Tra i detenuti ci sono dei veri e propri soldati, che danno una grande mano dall’interno delle mura. Il procuratore di Coahuila, Homero Ramos Gloria, ha riconosciuto che un buon numero dei fuggitivi di Piedras Negras sono affiliati de Los Zetas. Ricardo Barajas, alias “El Bocinas”, uno dei leader Los Zetas e presunto mandante del massacro di Cadereyta avvenuto in maggio nello stato di Nuevo León -49 corpi mutilati per un regolamento di conti, era scappato mesi prima dalla prigione di Apodaca, sempre in Nuevo León, insieme ad altri 29 detenuti. Per realizzare la fuga, i Los Zetas avevano ucciso 44 prigionieri del rivale Cartello del Golfo. “El Bocinas” è stato catturato in agosto dall’esercito. In questo stato si è verificato il più alto numero di fughe di massa di detenuti, e questo perché è un territorio particolarmente ambito dalle organizzazioni criminali. Il mercato della droga è in crescita e non è possibile rinunciare alla manodopera qualificata. Le carceri messicane rappresentano un grave problema di sicurezza. Secondo un recente studio della Comisión de Derechos Humanos del Distrito Federal (Cdhdf), i penitenziari di Città del Messico sono sotto il costante controllo dei detenuti, che hanno formato una sorta di “autogoverno”. La Comisión Nacional de Derechos Humanos (Cndh) sostiene che un simile scenario è riscontrabile in almeno metà delle carceri del paese, soprattutto in quelle ubicate nelle zone disputate tra i cartelli. In alcuni casi le prigioni diventano rifugi per criminali. Un esempio è quello di Humberto Ramírez Bañuelos, alias “La Rana”, uno degli ex leader del Cartello di Tijuana, consegnatosi alle autorità per scappare ad una sentenza di morte emessa dagli altri capi dell’organizzazione. Oppure Joaquín Guzmán Loera, “El Chapo”, boss del Cartello di Sinaloa, che ha vissuto in agiatezza nel carcere di massima sicurezza di Puente Grande, nello stato di Jalisco, nell’ovest del paese. Non appena saputo della possibilità di essere estradato negli Stati Uniti, ha deciso di scappare. Di recente un centinaio di affiliati ai grandi cartelli della droga sono stati rinchiusi in carceri di massima sicurezza. Ma molti, troppi, spiegano i funzionari della Secretaría de Seguridad Pública (SSP), rimangono in strutture a bassa sicurezza. Messico: maxievasione dalla porta principale del carcere, personale carcere sotto inchiesta Ansa, 20 settembre 2012 La maxi evasione di 131 prigionieri da un carcere nel nord del Messico, che sarebbe stata organizzata dalla narcobanda dei Los Zetas, è stata portata a termine con la complicità attiva del personale dello stabilimento, includendo il suo direttore, che è attualmente sotto inchiesta insieme ad altri 14 funzionari, informano i media locali. Homero Ramos, della procura di Coahuila (nord del paese), dove si trova il carcere di Piedras Negras, ha detto che oltre ai prigionieri che sono fuggiti attraverso un tunnel scavato sotto l’officina di falegnameria, altri “sono usciti dalla porta principale”, grazie alla “collusione” del personale, precisando che 16 funzionari penitenziari, fra i quali si trova lo stesso direttore, sono attualmente sotto inchiesta. Ramos ha spiegato che si sono appresi maggiori dettagli sulla maxievasione dopo che tre dei prigionieri scappati sono stati catturati ieri, e in base alla loro testimonianza si è capito che “non è stato usato solo il tunnel che abbiamo ritrovato, anzi forse il tunnel era stato scavato con altri fini” e che probabilmente gli evasi non sono usciti dal carcere tutti insieme: “è possibile che siano usciti in momenti diversi, non necessariamente nella data e l’ora dichiarate dai funzionari”. Due dei prigionieri catturati dopo la fuga erano membri dei Los Zetas e al momento del loro arresto, meno di 24 ore dopo l’evasione “erano già equipaggiati con veicoli, armi lunghe, oltre 8 mila cariche di munizione, giubbotti antiproiettile e un lanciagranate”, ha sottolineato il procuratore. Birmania: Amnesty; positivo rilascio 514 prigionieri, ma non dimenticare detenzioni arbitrarie Tm News, 20 settembre 2012 La decisione presa dal governo di Myanmar il 17 settembre 2012 di rilasciare altri 514 prigionieri, inclusi i prigionieri di coscienza, è un positivo passo avanti verso la fine della detenzione arbitraria nel paese. Lo afferma Amnesty International in un comunicato. L’organizzazione internazionale ritiene che vi siano ancora persone detenute in modo arbitrario e che è essenziale che non siano dimenticate. Rinnoviamo il nostro appello al governo affinché stabilisca con urgenza un meccanismo - con l’assistenza delle Nazioni Unite e la partecipazione della società civile - di revisione dei casi di tutti i prigionieri al fine di determinare il vero motivo del loro arresto. Tra i rilasciati del 17 settembre ci sono alcuni cittadini stranieri e almeno 90 prigionieri politici, incluso Khin Kyi, detto anche Zin Min Aung, che Amnesty International ha riconosciuto come prigioniero di coscienza. Khin Kyi è un membro della Generation Wave, condannato nel 2008 a 15 anni di carcere per attività politiche non violente. È probabile che il numero dei prigionieri politici il cui rilascio è stato confermato cresca nei prossimi giorni e nel corso delle prossime settimane. L’amnistia presidenziale è stata concessa ai sensi dell’articolo 204(a) della costituzione e dell’articolo 401(1) del codice di procedura penale, secondo una forma di libertà condizionale che permette alle autorità di arrestare di nuovo le persone, senza un mandato, affinché scontino il resto della pena qualora le autorità ritengano che queste non abbiano rispettato le condizioni del loro rilascio. Nelle amnistie passate e recenti alcuni prigionieri sono stati scarcerati a condizione di non impegnarsi più in attività politiche. Il governo deve assicurare che tutti i prigionieri rilasciati possano esercitare pienamente i loro diritti, inclusi quelli alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione. A tutti coloro che sono stati detenuti solo per le loro attività non violente deve essere, inoltre, garantita la libertà di movimento nel paese e all’estero. Altresì fondamentale che la commissione nazionale per i diritti umani di Myanmar apra indagini i tempestive, efficaci, indipendenti e imparziali, sulle accuse di tortura o altri maltrattamenti denunciati dai rilasciati. Quanti siano sospettati di aver commesso torture e altre violazioni dei diritti umani dovrebbero essere perseguiti secondo procedure in linea agli standard internazionali per un equo processo. Le vittime e i sopravvissuti devono essere risarciti.