Giustizia: “Battitura della speranza”… in decine di carceri si alza la protesta dei detenuti Notizie Radicali, 1 settembre 2012 La “Battitura della speranza” per la Giustizia ha avuto un grande successo. La protesta ideata da Marco Pannella è stata accolta favorevolmente da numerosi detenuti in tutta Italia. Dalle 19:30 alle 20:00 di giovedì 30 agosto è andata in scena la “rumorosa” ma pacifica manifestazione che è servita a richiamare l’attenzione sullo stato di malessere che si vive nei penitenziari di tutto il Paese, tra sovraffollamento e scarsità di risorse, ma anche sulla poca efficienza della Giustizia Italiana, ingabbiata nella lentezza dei processi. Di seguito l’aggiornamento sulle adesioni pervenute fino ad oggi ai Radicali e alcuni articoli giornalistici sulla protesta. Adesioni dei detenuti di 38 carceri: n. 1. Catania Piazza Lanza; n. 2. Alessandria San Michele; n. 3. Carcere di Biella ; n. 4. Roma Rebibbia Nuovo Complesso; n. 5. Carcere di Rimini; n. 6. Carcere di San Gimignano (Siena); n. 7. Roma Regina Coeli; n. 8. Napoli Poggioreale; n. 9. Cagliari Buoncammino; n. 10. Venezia Santa Maria Maggiore; n. 11. Milano San Vittore 5° e 6° Raggio (circa mille detenuti); n. 12. Carcere di Asti; n. 13. Carcere di Cuneo; n. 14. Carcere di Ivrea; n. 15. Carcere di Viterbo; n. 16. Carcere di Forlì; n. 17. Carcere di Trento; n. 18. Genova Marassi; n. 19. Bologna Dozza; n. 20. Carcere di Rovigo; n. 21. Carcere di Velletri; n. 22. Carcere di Caserta ; n. 23. Carcere Montacuto (An); n. 24. Carcere Camerino (Mc); n. 25. Carcere Ascoli Piceno; n. 26. Carcere di Parma; n. 27. Carcere di Cosenza; n. 28. Carcere di Salerno; n. 29 Carcere di Benevento; n. 30. Carcere Bellizzi Irpino; n. 31. Carcere di Lecce; n. 32. Carcere di Fossombrone; n. 33. Carcere di Pesaro; n. 34. Carcere di Sulmona; n. 35. Carcere di Verona; n. 36. Carcere di Oristano; n. 37. Carcere di Sassari; n. 38. Carcere di Nuoro. Catania: la protesta pacifica dei carcerati per l’indulto (La Sicilia) Rumore assordante di pentole e coperchi contro le grate delle celle per richiamare l’attenzione sulle condizioni drammatiche che sono costretti a vivere dietro le sbarre. Nella tarda sera di ieri, dopo le 23,30, i detenuti di piazza Lanza hanno effettuato questa forma di protesa per sollecitare l’indulto al Parlamento, aderendo così all’invito lanciato da Marco Pannella. Le carceri italiane, e piazza Lanza tra queste, sono sovraffollate, non consentono condizioni di vita dignitose, impediscono ogni attività lavorativa e ogni forma di rieducazione. Un’ora al giorno di protesta pacifica per richiamare l’attenzione pubblica su questo dramma sociale. Sulmona: battitura delle sbarre per protesta (www.rete5.tv) “Battitura delle sbarre” ieri nel carcere di Sulmona. Dalle 19.30 alle 20, tutti i detenuti hanno battuto scodelle e posate contro le inferriate delle celle per protestare contro “lo stato di illegalità nel quale vivono le istituzioni italiane e per chiedere l’amnistia”. I reclusi della struttura di Sulmona hanno così risposto all’invito di Marco Pannella e dei radicali italiani. Una protesta condivisa dalla Uil penitenziari: “Seppur non condividendone i mezzi, atteso che la battitura delle inferriate è un atto che cozza contro quelli che sono i parametri in tema di ordine e disciplina - afferma il vice segretario regionale Mauro Nardella - la Uil penitenziari Abruzzo plaude all’iniziativa intrapresa da Marco Pannella e diretta ancora una volta, e semmai ce ne fosse ancora bisogno, a sensibilizzare la classe politica sul tema carcere”. “La Uil Penitenziari, le carceri abruzzesi e tutti coloro i quali vi hanno a che fare, considerata la sofferenza nella quale versano gli istituti soprattutto di Teramo, Sulmona, Lanciano e Vasto - conclude Nardella - si augura che il messaggio di Pannella non cada ancora una volta nel dimenticatoio ed invita anche gli altri partiti a farsi carico della situazione per ottenere una maggior vivibilità delle carceri abruzzesi”. Teramo: per mezz’ora hanno battuto le pentole contro le inferriate delle celle (Il Centro) È questa la forma di protesta messa in atto ieri sera, dalle 19.30 alle 20, dai detenuti a Castrogno. L’iniziativa, tenuta in contemporanea con le tutte le altre carceri d’Italia, è servita ancora una volta a segnalare i problemi di vivibilità all’interno delle strutture. Sulla situazione della casa circondariale teramana è stata appena presentata un’interrogazione al governo da parte di sei parlamentari del Partito Radicale, dopo la visita fatta nella casa di pena di Castrogno il 15 agosto dalla deputata Rita Bernardini e da Marco Pannella. Alessandria: protesta in carcere, accolto l’appello dei radicali (La Stampa) Ieri sera i detenuti del carcere San Michele di Alessandria hanno protestato dalle 20 alle 20 e 40 battendo oggetti contro le sbarre. Si è trattato di una manifestazione pacifica che ha accolto l’invito di Marco Pannella a protestare affinché venga modificato l’attuale assetto carcerario: anche a San Michele infatti i detenuti sono più del doppio e contestualmente è in sofferenza l’organico della polizia penitenziaria. Spiegano Leo Beneduci segretario generale e Gerardo Romano segretario regionale Osapp (Sindacato Polizia Penitenziaria): “È un segnale importante del quale la politica deve tenere necessariamente conto. L’esame di un provvedimento di amnistia da parte del Parlamento ha rilevanza estrema non solo per far ripartire il sistema giustizia e le carceri verso le necessarie conquiste di libertà e progresso, ma anche per consentire agli oramai esigui addetti della polizia penitenziaria di svolgere con professionalità il proprio lavoro per il produttivo reinserimento sociale dei detenuti”. Rovigo: mezz’ora di mobilitazione rumorosa dietro le sbarre (Rovigo Oggi) Giovedì 30 agosto si è svolta la protesta dei detenuti della casa circondariale di via Verdi: tra le 19.30 e le 20 hanno battuto degli oggetti metallici contro le sbarre per chiedere la riforma dell’attuale assetto carcerario. Rumore di oggetti metallici che battono fragorosamente contro le sbarre. Chi è passato dalle parti della casa circondariale di Rovigo, in via Verdi, giovedì 30 agosto tra le 19.30 e le 20, ha sentito il frastuono proveniente dalle celle. Erano i detenuti che protestavano pacificamente ma rumorosamente per la riforma della giustizia. L’appello alla protesta non violenta era partito dal leader dei Radicali Marco Pannella. La “Grande battitura della speranza”, così è stata chiamata l’iniziativa che si è tenuta in tutte le carceri italiane per chiedere una riforma dell’attuale assetto carcerario. Sovraffollamento delle celle, oppressione, condizioni di vita al limite della sopportazione: i detenuti ogni giorno devono fare i conti con una situazione che diventa sempre più difficile. Come spiega Livio Ferrari, garante dei diritti delle persone private della libertà, in Italia, ci sono 207 istituti per adulti che hanno spazio per 45.566 persone ma attualmente i reclusi sono 66.648. Un dato allarmante che fa il paio con i dati sulle morti e i suicidi all’interno delle celle: se nel 2011 i morti sono stati 186 di cui 66 si sono tolti la vita, al 31 luglio 2012 i morti sono già 107 di cui 38 suicidi. Camerino: “condizioni inumane”, protestano i detenuti (www.cronachemaceratesi.it) Hanno manifestato il loro dissenso battendo sulle inferriate e appiccando anche il fuoco a lenzuola e pezzi di carta. Ieri sera i detenuti della casa circondariale di Camerino hanno dato vita a una clamorosa protesta per attirare l’attenzione sulle condizioni di vita di quanti vivono nell’istituto penitenziario. Affacciati alle finestre delle celle, per oltre un’ora hanno manifestato il loro dissenso battendo sulle inferriate e appiccando anche il fuoco a lenzuola e pezzi di carta. Anche l’arcivescovo Brugnaro si è recato sul luogo per sincerarsi della situazione. I detenuti che, al grido di “amnistia e libertà”, “le bestie stanno meglio di noi”, sbattendo pentole ed oggetti metallici alle inferriate delle finestre delle loro celle, hanno voluto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni di vita all’interno del carcere. Salerno: anche a Fuorni sono state suonate le nostre campane (Notizie Radicali) Alla Casa Circondariale di Salerno i detenuti dalle 19:30 alle 20:00 di giovedì 30 agosto hanno effettuato la classica battitura sulle sbarre come chiestogli da Marco Pannella. I ristretti di Fuorni come tra tante miglia nelle carceri italiane contemporaneamente hanno fatto sentire le nostre campane, dando corpo alla lotta nonviolenta per “l’amnistia e l’indulto” , quale riforma strutturale della giustizia con la “Battitura della Speranza”. Anche alla Casa Circondariale di Arienzo (Ce), alla Casa Circondariale di Benevento e al Carcere di Bellizzi Irpino (Av) le campane della speranza nonviolenta sono state suonate all’unisono. Dichiarazione di Donato Salzano: “Le comunità penitenziarie quali nuove catacombe della cristianità, quelle comunità di sepolti vivi che con il loro esempio di credenti, danno corpo alla testimonianza, con la parole e con le preghiere, ma anche con il suono delle loro campane”. Genova: i detenuti partecipano alla “battitura della speranza” (Notizie Radicali) “Per mezz’ora al giorno, tutti i giorni dalle 19:30 alle 20:00, i detenuti del carcere di Genova Marassi si uniscono a quelli di diverse altre carceri italiane battendo le sbarre e le inferriate delle loro celle con gamelle e stoviglie di ferro. È “la battitura”, ovvero in gergo carcerario un strumento - pacifico quanto rumoroso - di denuncia. Il gesto nasce dall’antica usanza degli agenti di polizia penitenziaria di picchiare sulle sbarre delle celle per verificarne l’integrità, assume in questo caso lo scopo di richiamare l’attenzione dei passanti e della cittadinanza sulla situazione di grave sovraffollamento e le precarie condizioni di vita che questo comporta in tutte le carceri italiane. Le ultime iniziative proposte dal Governo in materia di carcere nel disegno di legge “Delega al Governo in materia di depenalizzazione” (che contiene misure volte all’incentivazione dell’uso delle misure alternative, maggiore uso delle pene non detentive e l’istituto della “messa alla prova”) indicano un’attenzione al problema, ma vengono reputate insufficienti e soprattutto si sottolinea la necessità di una risposta tempestiva e immediata. Per questo motivo il Partito Radicale ha promosso una “grande battitura della speranza”, prima iniziativa a cui ne seguiranno diverse nel corso dell’autunno, anche per sensibilizzare media e organi di informazione a una maggiore attenzione a quanto avviene nelle carceri italiane”. Giustizia: cresce la mobilitazione per cancellare l’ergastolo dal nostro codice penale di Nello Scavo Avvenire, 1 settembre 2012 Appena ieri il ministro della Giustizia Paola Severino ha ribadito ad “Avvenire” la volontà di restituire al carcere l’originario ruolo di rieducazione in vista di una piena riabilitazione del detenuto. Per tanti reclusi, però, non c’è alcuna speranza di riammissione nella comunità civile. E non importa che essi lo vogliano oppure no. Il “carcere fino alla morte” esiste. E tocca almeno un migliaio di persone. Sui loro fascicoli c’è scritto “Fine pena anno 9999”. Dai boss di primo piano di Cosa nostra alle retrovie della criminalità. Alcuni si sono autoaccusati, hanno ammesso la propria parte di responsabilità. Ma dei complici nessun nome. E non si tratta solo di efferati capiclan. Alle volte di pregiudicati sconosciuti alle cronache. Antonio M. è uno di questi. Dopo l’inchiesta pubblicata da Avvenire lo scorso 12 luglio, ha preso carta e penna e come molti altri ci ha scritto. Antonio è in carcere da quasi trent’anni. Ergastolano ostativo. Vuol dire che a lui non spettano permessi né lavoro esterno né uno sconto di pena per buona condotta. Così è stato deciso al momento della sentenza. La galera la lascerà solo da morto. Non importa che il direttore della casa di reclusione o il giudice di sorveglianza lo considerino un “detenuto modello”, anzi “un altro uomo rispetto ad allora”. Vent’anni fa s’è beccato l’ergastolo per una rapina con omicidio. Lui ha ammesso la sua parte di colpa, ha ascoltato il verdetto ma non ha coinvolto gli altri due che non sono mai stati acciuffati. “O forse si, ma per altri reati”. Trent’anni fa Antonio la pensava in un altro modo. Professava un codice d’onore che gli ha fatto accettare di venire murato vivo. E adesso? “Ammettiamo che io abbia cambiato idea, cosa dovrei fare?”. Confessare tutto, magari. “Già, ma pensate alle conseguenze: i miei figli sono cresciuti, si sono sposati e adesso hanno dei bambini. Se anche venissi ammesso al programma di protezione testimoni, tutta la mia famiglia, che con fatica è riuscita a costruirsi una vita normale, onesta, verrebbe travolta: dovrebbero anche loro cambiare identità, residenza, prospettive”. E lui quest’altro dramma non vuole farglielo vivere. Qualche giorno prima che infuriasse la polemica sul lavoro extracarcerario concesso a Renato Vallazansca (che con la sua banda si è lasciato alle spalle sei omicidi: quattro poliziotti, un medico e un impiegato di banca), un altro gruppo di ergastolani ha preso carta e penna e ha scritto al nostro giornale una lettera a più mani. Guidati da Carmelo Musumeci, finito in cella appena maggiorenne e che trent’anni dopo si è laureato in giurisprudenza senza mai allontanarsi dalla prigione, sostengono che “un Paese come l’Italia non può farsi promotore di moratorie contro la pena di morte solo per una questione di immagine civile e democratica, quando, per contro, nel proprio ordinamento giuridico vi è “normativizzata” una pena come l’ergastolo ostativo”. I firmatari sono tutti “ostativi” reclusi a Spoleto. Chiedono di cancellare dal nostro ordinamento quel “fine pena mai” per essere sostituito da un fine pena certo”. Solo in questo modo “una società civile e uno Stato di diritto - sostengono - potrebbe garantire quella seconda possibilità che ogni persona merita”. Da anni alcune associazioni di volontariato, a partire dalla Comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, si adoperano per aprire un dibattito sereno e non ideologico su un tema così controverso. Dietro le sbarre, intanto, restano rinchiuse anche le speranze di redenzione civile di tanti uomini. Condannati a marcire in cella. Talmente invisibili che neanche al Ministero della Giustizia sanno dire con esattezza quanti siano davvero gli “ostativi”. Giustizia: Renzi (Pd); so bene cosa significa “prepotente urgenza” della questione carceri Adnkronos, 1 settembre 2012 “Sollicciano, come tutte le carceri italiane, è gravemente sovraffollato, so bene cosa significhi la prepotente urgenza della questione carceri in Italia”. Lo ha detto Matteo Renzi, intervistato da Radio Radicale. “Al di là della battaglia che i radicali stanno portando avanti, assieme a numerosi professori di diritto costituzionale che chiedono al Capo dello Stato di fare un messaggio alla Camere, rimane il nodo della condizione della giustizia, penale e civile. È o non è maturo il tempo di una Radicale revisione del sistema della giustizia in Italia che parta dalla giustizia civile, ancora più problematica?”, ha chiesto Renzi. “Nelle classifiche internazionali siamo al 126esimo posto dopo il Gabon, nella giustizia civile. Tra i tanti spread, oltre a quello che abbiamo imparato a conoscere, c’è anche quello sull’organizzazione dello Stato e della giustizia civile e penale. Presenteremo un pacchetto di riforme, non chiacchiere, quando ci presenteremo alle primarie. Perché noi presentiamo le cose che faremo, non è che ci metteremo il giorno dopo a litigare, a discutere, a polemizzare, per causare magari il ritorno di Berlusconi”, ha concluso. Toscana: Uil-Pa; mancano fondi e personale, il collasso nelle carceri è imminente Ansa, 1 settembre 2012 “Il collasso nelle carceri Toscane è ormai imminente! Organici del personale all’osso, fondi insufficienti e strumenti inadeguati a garantire la sicurezza non possono che accelerare la caduta verso il baratro. E non è allarmismo. Giovedì, infatti, abbiamo dovuto registrare l’ennesimo tentativo di evasione di un detenuto: alle ore 18:30 dal Pronto Soccorso di S. Giovanni di Dio “Torregalli” dove era stato inviato per accertamenti radiologici all’addome (a seguito di ingestione di lamette e che solo grazie al tempestivo intervento della Polizia Penitenziaria non ha avuto conseguenze letali) ha tentato di evadere”. Questa la denuncia di Eleuterio Grieco, Vice Coordinatore Regionale della Uil Pa Penitenziari Toscana. “La vicenda non può non riaprire riflessioni sulla gestione del carcere fiorentino e sul suo servizio sanitario. Continuiamo a chiederci e a chiedere, senza avere risposta, del perché vengono continuamente inviati detenuti in plessi ospedalieri per accertamenti, quando - sottolinea Grieco - nella struttura di Sollicciano c’è un laboratorio diagnostico per radiografie. Riteniamo sia doveroso interrogarsi se tale prassi incida inutilmente sui costi in termini globali. In presenza delle accertate carenze organiche della Polizia Penitenziaria e rispetto alle inadeguate risorse logistiche ed economiche occorrerebbe agire con maggiore oculatezza operativa e amministrativa. Noi siamo impegnati, attraverso l’interlocuzione con Enti ed Associazioni come la Regione Toscana e le varie Asl, a creare spazi attrezzati all’interno delle strutture ospedaliere - continua Grieco - sia per garantire il diritto alla salute e le cure che per tutelare la privacy nonché l’ordine e la sicurezza. Questa è una situazione che pesa dal punto di vista economico e che comporta l’aggravio dei carichi di lavoro, già insostenibili, della polizia penitenziaria. Per queste ragioni - chiude il Vice Coordinatore Regionale della Uil Penitenziari - chiederemo nei prossimi giorni un incontro specifico ed urgente sia Provveditore Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria che al Prefetto di Firenze. Sia ben chiaro che è una questione che riguarda anche la sicurezza della collettività e la necessità di salvaguardare l’ordine pubblico”. Umbria: seconda regione italiana per numero di detenuti rispetto alla popolazione www.tuttoggi.info, 1 settembre 2012 Nei 4 istituti regionali più di 1.600 detenuti. Il 22% sono tossicodipendenti. Uno dei più gravi problemi che lo Stato affronta annualmente è il sovraffollamento delle carceri. La crisi e il conseguente aumento della criminalità non ha fatto altro che acuire tale problema. La condizione delle carceri Umbre è preoccupante, e presenta nel suo piccolo un caso del tutto particolare nel panorama nazionale. A confermalo non sono solo i dati statistici che vedono nei 4 istituti regionali un numero di detenuti che supera i 1600 al 31 dicembre 2011, ma anche la voce autorevole dell’On. Walter Verini (Pd), Membro della Commissione Finanze della Camera dei Deputati che ha rilasciato pochi giorni fa ai microfoni di Radio Radicale un’intervista (ascolta qui) nella quale viene raccontata la condizione nella quale versano i detenuti del carcere di Capanne. “A Perugia c’è una situazione particolare; c’è un 75% di detenuti extracomunitari che è una media di gran lunga superiore a quella nazionale. C’è una carenza di personale e mancano i mediatori culturali. I detenuti stranieri non ricevono visite, perché hanno parenti lontani che difficilmente possono raggiungere l’Italia” afferma l’On. Verini. Le stesse osservazioni Verini le fece durante un incontro organizzato alla fine di aprile dal Dipartimento Giustizia del Pd Umbria. Nel dibattito coordinato dal Responsabile dei Dipartimenti Valerio Marinelli, intervennero diversi esponenti del partito democratico e addetti ai lavori che ogni giorno lavorano a stretto contatto con i detenuti. I numeri - Da quell’incontro emerse come ad oggi in rapporto al numero di abitanti l’Umbria presenta i più alti tassi di carcerazione in Italia raggiungendo un rapporto dello 0,73 mentre quello nazionale è fermo allo 0,6. In media ogni giorno quasi 4 persone in Umbria perdono la libertà e di questi 7 su 10 finiscono a Capanne. Ogni anno dalle 1.200 alle 1.300 persone vengono incarcerate e questo è il sintomo che il livello di ricambio è elevatissimo nel sistema carcerario umbro, e dimostra come si tratti spesso di carcerazioni lampo legate a piccoli reati. Sul totale dei detenuti solo il 20% hanno origini umbre e commettono reati sul territorio regionale. L’Umbria ha il più alto numero di detenuti per reati gravi legati alla criminalità organizzata. I problemi sanitari - Un ulteriore problema è legato alle condizioni sanitarie all’interno delle carceri regionali. Sempre durante l’incontro organizzato dal Pd intervenne Attilio Solinas, responsabile Dipartimento Sanità Pd Umbria, ricordando come “nel sistema carcerario regionale tra i detenuti non c’è solo un elevato tasso di tossicodipendenti, ma anche di individui affetti da epatite. La legge ha traferito le competenze alle istituzioni sanitarie locali ed ha fornito una autonomia e integrazione tra servizi sanitari e carcerari. I problemi legati al servizio sanitario carcerario ha creato problemi per mancanza di fondi e resistenze in alcune regioni”. Non solo sovraffollamento dunque ma anche problemi legati alla diffusione di malattie all’interno delle carceri umbre. Resta infine l’esigenza come osservato da una volontaria della Caritas che opera a stretto contatto con i detenuti, che “gli stranieri necessitano di un sostegno maggiore poiché lontani dalle proprie famiglie. Il rischio più grande è la perdita di identità dell’individuo che entra inevitabilmente nel ruolo del carcerato, e lo stesso rischio viene corso dal poliziotto giurato”. Udine: indagini in corso sul suicidio del detenuto appena trasferito da Padova Messaggero Veneto, 1 settembre 2012 Era stato lui a chiedere di essere sistemato in una cella del Reparto osservazioni. Lo aveva fatto la mattina di martedì, non appena arrivato a Udine, dove era stato trasferito dal carcere di Padova, farfugliando qualcosa a proposito dei suoi non idilliaci rapporti con le etnie straniere. Ed è lì che ha deciso di togliersi la vita: nella cella al piano terra della casa circondariale di via Spalato, alla quale era stato assegnato e che, da appena due giorni, condivideva con un altro detenuto, naturalmente italiano come lui. Sulle ragioni per le quali Alessandro Marchioro, 51 anni, originario di Padova e condannato a una pena di due anni e due mesi di reclusione per violenza sui genitori, abbia deciso di farla finita, permane e forse permarrà per sempre il mistero. Sulle tragiche modalità scelte per farlo, invece, ci sono pochi dubbi: sfilata dai pantaloni la cintura e attorcigliatasela attorno al collo a mo’ di cappio, l’ha poi legata alle sbarre della cella, è salito sullo sgabello e si è lasciato cadere. Morendo impiccato, nel buio e nel silenzio della notte. Ad accorgersi del corpo senza vita di Marchioro, alle 2.55, è stato l’agente addetto al giro della conta. Nel carcere sono in breve arrivati i sanitari del 118 e il medico legale, che non hanno potuto far altro che constatarne il decesso, i carabinieri del Nucleo radiomobile e quelli della compagnia di Udine, delegati delle indagini, e la direttrice della casa circondariale, Irene Iannucci. Costretta ad affrontare un nuovo drammatico caso, dopo quello che, meno di dieci giorni fa, aveva visto morire in maniera non meno improvvisa Matteo Hudorovich, rom di 28 anni, stroncato nella propria cella per uno scompenso cardiocircolatorio. In mattinata, poi, a varcare le porte del carcere per un ulteriore sopralluogo sono stati anche il procuratore aggiunto Raffaele Tito e il sostituto Paola De Franceschi. Entrambi decisi a far luce sulla vicenda e a chiarire, in particolare, se in relazione al decesso non vi siano state violazioni od omissioni da parte di chicchessia. Da qui, il rinvio del nulla osta per la sepoltura del cadavere. Al centro degli accertamenti in corso nell’ambito dell’indagine conoscitiva avviata sul caso dalla Procura - il fascicolo, al momento, non ipotizza alcuna ipotesi di reato, né vede iscritto alcun indagato, anche la cintura adoperata dall’uomo per impiccarsi e risultata appartenere a lui e non, come in un primo momento si era sospettato, al suo compagno di cella. L’obiettivo è verificare se si tratti di un oggetto che il detenuto poteva o meno tenere con sé. Determinante, inoltre, ai fini di una corretta ricostruzione dei fatti, il racconto che proprio il compagno renderà nelle prossime ore ai carabinieri. Dal canto suo, la direzione del carcere ha intanto provveduto a trasmettere una propria relazione sia alla stessa autorità giudiziaria, sia al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Relazione intuibilmente corta nella parte relativa a Marchioro, considerato il brevissimo tempo trascorso a Udine. “Non abbiamo avuto neppure il tempo tecnico per una valutazione sulla sua personalità - ha detto la direttrice Iannucci. Quel che sappiamo, lo abbiamo appreso dal fascicolo che ci è stato inviato dai colleghi di Padova. Si trattava di una persona con disturbi psichici, che all’ingresso aveva espressamente chiesto di non essere messo a vita comune per i suoi problemi con gli stranieri e per la quale il nostro medico aveva già richiesto una visita psichiatrica”. L’incontro avrebbe dovuto tenersi nei prossimi giorni. Stando agli accertamenti della Procura, a ogni modo, Marchioro - dapprima rinchiuso in un ospedale psichiatrico - era stato dichiarato compatibile con il regime carcerario. Quanto alla cintura, la direttrice l’ha definita “del tipo consentito” per i detenuti. A parlare di Marchioro, già diversi anni fa, era stata la stampa veneta. Originario di via Anelli, la strada divisa in due dal famoso “muro dei clandestini”, nel 1998, al culmine di una lite tra vicini di casa, aveva scoccato un dardo della propria balestra contro un nigeriano. L’episodio gli era costato una denuncia per tentato omicidio chiusa con il patteggiamento di una pena di un anno e mezzo di reclusione. Poi, negli anni a seguire, le violenze erano continuate in famiglia, contro i genitori. Processato e condannato, Marchioro era entrato in carcere lo scorso gennaio e avrebbe finito di scontare la pena nel 2014. Non più a Padova, però, bensì a Udine, dove era stato appena trasferito, per ragioni di sovraffollamento. Sassari: iniziato nel 2005, il nuovo carcere non è ancora pronto… apertura rinviata al 2013 di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 1 settembre 2012 “Il carcere di Bancali potrebbe aprire solo la prossima primavera, non ad ottobre come era stato annunciato”. Alla fine della visita a San Sebastiano di una delegazione di consiglieri provinciali, il parlamentare Guido Melis (Pd) conferma il sospetto che il penitenziario di via Roma non sarà abbandonato tanto presto. “Non ho avuto riscontri ufficiali - chiarisce Melis, assieme al vicepresidente del Consiglio di Palazzo Sciuti, Alba Canu (Pd) - ma ci sarebbero problemi e ritardi a causa di procedure amministrative come i collaudi”. In attesa della risposta del provveditorato regionale alle opere pubbliche, emanazione del ministero delle Infrastrutture cui appartiene il cantiere di Bancali, la delegazione di dieci consiglieri della commissione Sanità “chiederà di visitare la struttura, per verificare lo stato dei lavori”, annuncia Grazia Onida (Mpa). Durante l’ispezione del penitenziario fino alla rotonda, accompagnati dal comandante della Polizia penitenziaria Sandra Cabras, i consiglieri hanno appreso che tra i 130 reclusi ci sono anche ben quattro bambini in fasce. Uno ha pochissimi giorni: alla mamma detenuta è stato dato giusto il tempo di partorire, per poi tornare dentro quando il neonato aveva soli tre o quattro giorni. Altri camminano appena (per stare in carcere con la madre non possono avere più di tre anni). Ma tutti e otto, madri e figli, sono costretti a vivere nel “nido”, una grande cella con qualche gioco. “È ovvio che si pone anche un problema di privacy”, ha rilevato uno dei consiglieri. Fino a tre giorni fa, le madri recluse erano cinque, prima che il tribunale del Riesame accogliesse l’istanza di arresti domiciliari per una giovanissima Rom di Alghero, incinta e con un bimbo piccolo, accusata di furto aggravato. Non è chiaro quali siano le imputazioni per le detenute rimaste dentro, ma contro tutte loro ci sarebbero” gravi indizi di colpevolezza”, l’unica condizione processuale per la quale una madre, con figlio minore di 3 anni, deve restare in cella. In totale, sono 16 le donne detenute, e la Penitenziaria deve fare i conti con carenze d’organico che nella sezione femminile sono esasperate. Ma l’obiettivo della visita della commissione Sanità era in realtà un altro. L’iniziativa, partita da una proposta del portavoce del centrodestra in Consiglio, Mariano Mameli, punta a creare un raccordo tra Provincia e carcere, in modo da progettare assieme il futuro dei detenuti, una volta liberi. Anche per questo gli esponenti politici hanno avuto un lungo colloquio con il direttore dell’istituto, Francesco D’Anselmo, e con la responsabile dell’area trattamentale, Maria Paola Soru. “Vogliamo gettare le basi per aprire un confronto, magari per creare un progetto che riguardi la formazione dei detenuti, per avviarli al lavoro”, spiega Alba Canu. Mentre il presidente della commissione Sanità, Mario Pala, si è informato sul nuovo corso della sanità penitenziaria, la cui competenza è passata dal ministero della Giustizia alla Regione, che l’ha affidata alle Asl. “Vogliamo capire come verranno applicate le linee guida emanate lo scorso aprile”, spiega Pala (Pd), consapevole della delicatezza dell’argomento, in un carcere che ospita molte persone con problemi psicologici, depressi, tossicodipendenti. La gran parte dei 130 detenuti (quasi un minimo storico, rispetto ai 220 della scorsa primavera) è costituita da poveri, disagiati, “criminali” per la dipendenza da droghe. Per percepirlo, sono bastate due ore dietro le sbarre ai consiglieri Canu, Pala, Mameli, Onida, Paolo Bussu (Pd), Ennio Ballarini (Pdl), Antonio Canu (Udc), Franco Sanna (Idv), Giuseppe Marras (Idv) e Toni Faedda (vicepresidente del Consiglio, Pdl). “Rispetto alle condizioni dei detenuti, ovviamente critiche anche a causa della struttura, abbiamo notato che il carcere riflette l’impoverimento del territorio”, ha raccontato Mameli. “Prima i familiari portavano ai detenuti molto più cibo, più biancheria e altri beni. Oggi non è più così. E non fa altro che alimentare traffici interni”. Agrigento: lavori di pubblica utilità; la pena di cinque detenuti scontata con il Comune La Sicilia, 1 settembre 2012 Anche per l’anno in corso cinque persone che hanno avuto problemi con la giustizia potranno scontare la loro condanna svolgendo lavori di pubblica utilità per conto del comune. L’accordo è stato rinnovato dal sindaco di Canicattì Vincenzo Corbo e dal Presidente del Tribunale di Agrigento il dottor Luigi D’Angelo. In particolare la convenzione prevede che il comune di Canicattì possa consentire a cinque condannati alla pena del lavoro di pubblica utilità prestino presso l’ente dei lavori come ad esempio la manutenzione del verde pubblico e dell’arredo urbano, la pulizia di immobili di proprietà comunale. L’attività che sarà svolta dai cinque soggetti non sarà retribuita ed inoltre coloro i quali espiano la pena dovranno sottostare alle decisioni dei dirigenti che assegneranno loro compiti e mansioni. Durante lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità il comune dovrà assicurare il rispetto delle norme previste dalla legge e le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei condannati accertando inoltre che l’attività da loro svolta sia in perfetta regola con quanto previsto dalle legge. Il comune non dovrà inoltre elargire ai condannati che stanno in questo modo scontando la loro pena, nessuna retribuzione mentre potrà decidere di farli sottoporre a delle visite mediche così come avviene per tutti i dipendenti dell’ente regolarmente in servizio. Cagliari: al carcere minorile di Quartucciu, tunisino 19enne aggredisce agente Agi, 1 settembre 2012 Un agente penitenziario del carcere minorile di Quartucciu (Cagliari) è stato aggredito stamane da un detenuto tunisino diciannovenne, mentre cercava di convincere un altro ragazzo a lasciare l’Istituto per essere trasferito. L’agente, impegnato col giovane che opponeva resistenza, è stato aggredito alle spalle dal tunisino, che gli ha poi sferrato diversi pugni prima che i colleghi riuscissero a immobilizzarlo. L’agente è stato medicato al pronto soccorso con due punti di sutura al labbro. I medici gli hanno assegnato otto giorni di cura. L’aggressore, che avrebbe agito premeditatamente per vendicarsi di alcune denunce fatte nei suoi confronti dalla guardia, è stato messo in una stanza singola e lascerà a breve Quartucciu. Bologna: all’Ipm del Pratello ispezione a sorpresa del capo della giustizia minorile La Repubblica, 1 settembre 2012 Blitz a sorpresa al “Pratello”, senza preavviso, della dottoressa Caterina Chinnici, neo dirigente del Dipartimento per la giustizia minorile. La responsabile nazionale di istituti e centri per under 18 - figlia del giudice istruttore Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983 - mercoledì pomeriggio si è presentata nel carcere minorile travolto dagli scandali e dalle inchieste, proprio mentre le agenzie battevano la notizia della conclusione della tranche di indagini sui detenuti maneschi e violenti. Ha fatto un giro. Ha parlato con il nuovo direttore, Alfonso Paggiarino, e con il personale di turno. E ha lasciato un’impressione più che positiva. “Il Pratello - aveva detto tre settimane fa, preannunciando una presa di contatto diretta con la situazione bolognese - è una delle nostre priorità. Stiamo seguendo l’evolversi delle inchieste penali, raccordandoci con il ministero della Giustizia. Valuteremo se e quali altri provvedimenti prendere, dopo le determinazioni adottate nei mesi scorsi: la sostituzione di direttore, comandante e dirigente del centro giustizia minorile. Non c’è da recuperare solo l’immagine dell’istituto. C’è da evidenziare la validità degli interventi che si fanno, positivi”. Restano però anche le criticità, evidenziate nell’ultimo rapporto dell’Ausl. La mensa, ristrutturata con lunghissimi lavori, ancora non è stata attivata e manca l’infermeria. La palestra non ha le docce. Il tetto è stato danneggiato dal terremoto e, per motivi di sicurezza, il piano sottostante è stato dichiarato inagibile. Sotto le finestre si accumulano i rifiuti lanciati dai detenuti, il cortile interno è ingombro di attrezzature e materiali di risulta. Lucca: “(In)giustizia è fatta”, un corso per conoscere la realtà delle carceri Il Tirreno, 1 settembre 2012 Il gruppo volontari carcere in collaborazione con l’amministrazione di palazzo Orsetti anche per quest’anno propone un corso di formazione, finanziato dal Cesvot, con il contributo della Provincia, e in collaborazione molte realtà del privato sociale del territorio e amministrazioni pubbliche. Il corso, dal titolo “(In)giustizia è fatta” fornisce un ampio vademecum per orientarsi nell’area penale e prenderà il via l’8 settembre per concludersi il 13 ottobre. Il corso nasce con l’obiettivo di fornire ai volontari gli strumenti operativi per comprendere il complesso sistema della realtà carceraria. Rappresenta parte di un progetto di educazione alla legalità che l’associazione gruppo volontari carcere sta portando avanti anche negli istituti superiori. Il corso è rivolto a tutte le cittadine ed i cittadini a vario titolo interessati alla materia, e che intendano approfondire le tematiche in questione per diffonderle nella realtà locale e diventare a loro volta volontari. È l’occasione formativa ideale per avvicinarsi al mondo del carcere e all’area penale. Il corso è gratuito e per iscriversi basta scaricare il form di adesione collegandosi alla pagina di Internet www.espressionidalcarcere.blogspot.com o richiedendolo via mail a gruppovolontaricarcere@gmail.com. È anche possibile rivolgersi alla sede dell’associazione presso la struttura d’accoglienza Casa San Francesco 19 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, oppure chiamare al 3491067623 o inviare un fax al 1786003376. Le lezioni in aula si terranno nell’aula didattica della cooperativa sociale Giovani e Comunità, a Pieve San Paolo in via Immagine dell’Osso 12. Verona: torna il “Banco editoriale” per donare libri ai detenuti L’Arena, 1 settembre 2012 Torna a Verona dal 19 al 21 ottobre prossimo per la seconda edizione il Banco Editoriale, che l’anno scorso ha portato in regalo un migliaio di libri ai detenuti del carcere di Montorio e agli ospiti delle case famiglia del Don Calabria. “Dopo la bella esperienza del 2011, che ha sorpreso noi organizzatori - afferma Lorenzo Fazzini, ideatore dell’iniziativa - quest’anno il Banco Editoriale tornerà nelle librerie della città per offrire un’occasione di solidarietà culturale, ovvero la possibilità di regalare un libro ai carcerati e ad altre persone in situazioni di disagio. Siamo infatti convinti che la cultura - in questo caso un libro - romanzo, saggio, poesia, possa essere un luogo di riscatto personale e intellettuale. Ogni libro apre un mondo nuovo, che può essere occasione di rinascita e svago anche per chi è in condizioni difficili e dolorose”. Classici, poesie, favole: tutti i cittadini, lettori e non lettori, potranno recarsi nei giorni indicati in una delle nove librerie di Verona che aderiscono all’iniziativa per acquistare e regalare “il libro che ha cambiato” la loro vita e destinarlo in beneficenza a persone che non possono permetterselo. Le librerie veronesi Gheduzzi, Ghelfi e Barbato, Pagina 12, le due Paoline presenti in città, Bocù, Libreria Editrice Salesiana, Fede & Cultura e Gulliver Travelbooks vedranno all’opera gli oltre 100 giovani volontari del Banco Editoriale. Saranno ragazze e ragazzi delle scuole superiori che hanno deciso di aderire al progetto sostenuti dai loro insegnanti. Adeguatamente preparati, i volontari aiuteranno i partecipanti a scegliere il loro libro per destinarlo in beneficenza. Il Banco Editoriale, con la collaborazione del Garante dei Diritti delle persone private della libertà, Margherita Forestan, il patrocinio e il contributo del Comune di Verona, vuole sensibilizzare la società alla diffusione della cultura, soprattutto in contesti disagiati. “Siamo certi che anche quest’anno Verona e i veronesi risponderanno con solidarietà per regalare il “loro” libro a quanti vorrebbero nutrirsi di quella cultura che esalta l’umano di ciascuno” afferma ancora Fazzini. L’intera manifestazione poggia sull’impegno volontario di quanti la realizzano e non ha alcun scopo di lucro. Per maggiori informazioni consultare il sito www.bancoeditoriale.org. Volterra (Si): scuola in carcere, nel nuovo anno ci sono otto classi Il Tirreno, 1 settembre 2012 Si è parzialmente scongiurata la drastica riduzione delle classi del carcere volterrano, che avrebbero dovuto dimezzarsi, passando da dieci a cinque, nell’anno scolastico che comincerà fra poco. Il taglio ci sarà ma le classi attive saranno comunque otto. “I risultati conseguiti in termini di diplomati, i percorsi universitari intrapresi dopo il diploma, il numero rilevante di richieste d’iscrizione dalle strutture carcerarie, gli apprezzamenti che arrivano da più parti e il sostegno della direzione del carcere ci induce a non considerare accettabile un ridimensionamento”, aveva detto il sindaco Marco Buselli. A causa dei tagli, già qualche settimana sembrava che fra i banchi del carcere, con gli accorpamenti forzosi in vista, sarebbe stato assai difficile proseguire con una normale attività didattica. Ma adesso qualcosa si è finalmente mosso: saranno infatti otto, e non cinque, le classi superstiti per il corso geometri dell’Itcg Niccolini. “Si è trattato di un ripensamento positivo”, entra nel merito Alessandro Togoli, insegnante e responsabile della sezione geometri. “Siamo riusciti a riguadagnare due classi a luglio e un’altra pochi giorni fa. Senza questa difficile opera di mediazione, le difficoltà ci avrebbero sicuramente impedito di assicurare agli studenti del carcere lezioni adeguate. Così come stanno le cose al momento, invece, anche se dobbiamo ripensare leggermente la didattica, riusciremo a spuntarla grazie all’insegnamento modulare: gli insegnanti stabiliranno cioè dei moduli didattici a cui attenersi”. In più, la quarta e la quinta sezione saranno insieme dodici ore a settimana, durante le lezioni di italiano, storia e topografia. “Ringrazio l’assessore provinciale all’istruzione Miriam Celoni per l’impegno e l’interesse che ha dimostrato sulla vicenda, recandosi anche a Roma a perorare la nostra causa presso il Ministero”. Per quanto riguarda la situazione generale delle scuole in Valdicecina, la stessa Celoni tranquillizza. “Fattori di criticità non ce ne sono”, spiega l’assessore. “E oltretutto abbiamo ancora tempo fino ai primi di settembre per il monitoraggio generale. Per ciò che concerne invece la vicenda del carcere, lì si scontrano due esigenze differenti: quella del ministero dell’Istruzione, che impone certi parametri per le classi; e quella degli standard di sicurezza che si impongono ai carcerati. Bisogna risolvere quindi il problema alla radice, a un livello alto. Abbiamo comunque avviato un tavolo di concertazione fra Provincia, direttrice del carcere e Comune. A breve consegneremo anche i diplomi ai detenuti”. Cinema: e Pinuccio va a Venezia col matrimonio “alla barese” Corriere della Sera, 1 settembre 2012 La sceneggiatura dei detenuti. Giannone: in scena compaiono le loro storie. Un ricevimento “alla barese” può essere qualcosa di memorabile. Un caleidoscopio di invidie e malelingue in libera uscita, terreno fertile per criticoni e pettegole imbellettate. Il matrimonio rappresenta l’apice nella scala delle situazioni imbarazzanti, “l’espressione massima della ipocrisia della famiglia italiana”. Il cortometraggio “La Sala”, che sarà presentato al festival di Venezia il 7 settembre nella sezione Orizzonti, ha trasposto in immagini una sceneggiatura scritta e pensata dai detenuti della Casa Circondariale di Bari, che, alla domanda di Alessio Giannone, “qual è la situazione in cui vi sentite bloccati?”, hanno risposto inaspettatamente: il matrimonio. “È il giorno in cui bisogna sembrare tutti felici - spiega il regista barese - sorridere anche al parente che non hai mai sopportato o essere gentile con l’usuraio che viene a riscuotere il debito. Qualcuno mi ha raccontato che lo sposo aveva già invitato al proprio matrimonio l’amante”. I detenuti hanno snocciolato gli aneddoti durante un laboratorio di scrittura creativa sotto la guida di Giannone (noto anche come il Pinuccio delle telefonate satiriche ai politici): “Tutto nasce dai racconti di 8-9 uomini che mi hanno parlato delle proprie esperienze personali - racconta - la massima soddisfazione per loro è vedere realizzato qualcosa che non parli del carcere e della condizione che stanno vivendo e leggere il proprio nome tra gli sceneggiatori”. La Sala è frutto di un’ampia sinergia tra istituzioni: “Ho trovato subito la disponibilità a produrre il progetto da parte dell’Agenzia per la lotta non repressiva del Comune di Bari, in seguito si è aggiunta Apulia Film Commission nella gestione dei fondi e la cooperativa Get per la produzione esecutiva”. “È la prima volta - ha detto soddisfatto il sindaco di Bari Michele Emiliano presentando la pellicola - che un progetto prodotto da un Comune approda alla vetrina più importante del cinema italiano”. “Sono molto felice - continua Giannone - che l’idea sia piaciuta ai selezionatori di Venezia, quando l’ho saputo non ci credevo. Difficilmente un prodotto di questo tipo, nato come progetto sociale, ottiene un tale riscontro culturale”. Niente detenuti-attori però, diversamente da quanto accade in tante pellicole recenti: “Non credo nelle operazioni di quel genere. Non volevo che il pubblico guardasse gli interpreti e pensasse alle loro vite dietro le sbarre”. Il cibo è naturalmente uno dei protagonisti del pranzo messo in scena, a cominciare dal sottotitolo del film, Un applauso alla spigola. “Il padre della sposa (Nicola Valenzano) è il buono della situazione”, ingenuamente si preoccupa solo che la figlia sia felice e di pagare i conti, mentre intorno a lui va in scena il teatrino, un valzer di amanti, debiti, invidie e gelosie. “Saremo in trenta a Venezia il 7, prima del mio film viene presentato un corto con Depardieu. Sono curioso di vedere come reagirà quando vedrà uno degli invitati che mette gli scampi in una busta per il cane!”. E Pinuccio resta a casa? “Stavolta sarà Alessio ad andare al festival, non so se lui verrà a vedere se conosce qualcuno della giuria”. Mondo: i marò e altri 3mila italiani detenuti all’estero… 2mila sono in attesa di processo di Valentina Parasecolo Il Messaggero, 1 settembre 2012 Durante il Meeting dell’amicizia di Rimini il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ha ribadito che i due marò italiani detenuti in India torneranno a casa rapidamente. Eppure non solo i soli connazionali a vivere una situazione simile. All’estero ci sono circa 3.000 italiani detenuti, di questi poco più di 2.200 si trovano nelle carceri europee, con in testa la Germania dove se ne trovano più di 1.000. Il restante dei nostri connazionali vive nelle carceri di diversi angoli del mondo: dall’Asia agli Stati Uniti, dall’Africa al Sud America. “Il dato più allarmante - spiegano Fabio Polese e Federico Cenci, autori del libro “Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero”, ed. Eclettica - è che, secondo la Farnesina, circa 2.000 detenuti devono essere ancora processati e solo una trentina sono in attesa di essere trasferiti in Italia per scontare la pena nei nostri penitenziari”. Una condizione che, nei casi che riguardano le persone già condannate, dovrebbe essere garantita dalla Convenzione di Strasburgo. Talvolta è difficile fornire una pur vaga idea sul processo perché le notizie trasmesse dalle autorità locali sono poche e generiche. “Sentiamo comunque di poter affermare, alla luce degli indizi raccolti, che alcune vicende corrispondono ad evidenti ingiustizie”, raccontano i due autori. Un esempio è il caso di Carlo Parlanti, quarantottenne manager informatico di Montecatini detenuto in una prigione californiana e recentemente liberato dopo aver scontato l’85 per cento della sua pena. Parlanti era stato arrestato nel 2004 all’aeroporto di Dusseldorf, in Germania, con l’accusa di aver picchiato e violentato l’ex compagna Rebecca McKay White negli Stati Uniti. Dopo quasi un anno era stato estradato in California, dove era stato condannato a 9 anni di reclusione, scontati quasi interamente nel carcere di massima sicurezza di Avenal. L’associazione no profit “Prigionieri del silenzio” che si occupa di italiani detenuti all’estero, ha parlato di “grossi errori”. Di certo il suo caso ha destato molte perplessità a cominciare dal fatto che le trascrizioni processuali palesavano l’assenza di prove attendibili. Poi ci sono le storie di Fernando Nardini, detenuto ingiustamente per due anni nelle carceri thailandesi con l’accusa di concorso in omicidio, e di Enrico Forti, condannato all’ergastolo per omicidio negli Stati Uniti (la giuria ha motivato: “La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l’istigatore del delitto”). Accanto alla loro vicenda, e a quella di tanti altri, c’è la tragedia di Mariano Pasqualin, un giovane di Vicenza arrestato per traffico di stupefacenti a Santo Domingo. Pochi giorni dopo il suo arresto è morto in circostanze sospette in una galera del posto. “Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare in Italia la salma al fine di procedere con un’autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità di Santo Domingo hanno arbitrariamente deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri”, raccontano Polese e Cenci. Nel silenzio di media e istituzioni italiane, la sorella Ornella ha provato a scoprire la verità contro ambiguità e insabbiamenti. I suoi racconti, come quelli di tanti familiari e amici che lottano perché le storie dei loro cari ottengano almeno attenzione, c’è il dolore ma anche la forza di chi non accetta la resa. Francia: governo rinuncia a piano di ampliamento delle carceri, meglio misure alternative Asca, 1 settembre 2012 Carcere solo quando è necessario, per il resto largo uso delle misure alternative alla detenzione. È la linea del governo Hollande, interpretata dal ministro della Giustizia Christiane Toubira: un’inversione di tendenza rispetto all’era Sarkozy e alla sua politica di inasprimento delle pene. Il vecchio governo voleva varare un piano di edilizia carceraria per 80 mila posti nelle galere contro i 57 mila attuali (per 67 mila detenuti). Invece, si volta pagina. La Toubira ha organizzato per il prossimo 18 settembre una “conference de consensus” con gli esperti del settore per capire qual è il modo più efficace di applicare le pene alternative e scongiurare le recidive. Svizzera: si chiama Thorberg ed è stata soprannominata “l’Alcatraz svizzera”… Affari Italiani, 1 settembre 2012 Si chiama Thorberg ed è stata soprannominata “l’Alcatraz svizzera” perché sorge su una scogliera inaccessibile che domina il comune di Krauchthal, nel cantone bernese. Il carcere ospita 180 detenuti provenienti da 40 Paesi, non sono piccoli ladri ma criminali incarcerati per reati gravi, considerati una vera e propria minaccia per la popolazione. Per la prima volta, Thorberg aperto le sue porte al regista Dieter Fahrer che sta girando il mondo da anni documentando le condizioni di vita nelle carceri dei diversi Paesi. Fahrer ha girato dei cortometraggi della lunghezza di 5-8 minuti che ritraggono 7 giovani detenuti di età compresa tra i 28 e i 45 anni e tracciano il percorso delle loro vite fatte di eccessi e di violenza, fino all’isolamento del carcere, dove vivono in celle di poco più di 8 metri quadrati. Il documentario uscirà a settembre nelle sale cinematografiche. Slovacchia: allo studio “bracciali elettronici”, per alleggerire le carceri sovraffollate Agi, 1 settembre 2012 Il Ministro della Giustizia slovacco Tomas Borec ha firmato lunedì con il suo collega ceco Pavel Blazek, insieme ai responsabili del sistema carcerario slovacco e ceco, un accordo bilaterale di cooperazione in materia di carceri e personale penitenziario. Il protocollo, che avrà validità tre anni, si occupa di aree di azione quali lo scambio di informazioni sui rispettivi organi carcerari, l’esperienza legislativa, scambi per periodi di tirocinio e ricreativi per le guardie carcerarie. La prima novità derivata dall’accordo è l’avvio di un progetto pilota delle autorità slovacche, che ripercorre un esempio già testato in Repubblica Ceca, dove 25 carcerati sono tenuti sotto controllo con bracciali elettronici, un sistema che permette di tagliare le spese per la loro custodia. Il ministro Borec vuole introdurre il sistema anche in Slovacchia per i condannati per reati minori, anche se ad oggi non ha idea di come poter finanziare tale progetto. Sia in Slovacchia che in Repubblica Ceca è molto forte il problema delle carceri sovraffollate. Le spese per un prigioniero in Slovacchia ammontano a circa 36 euro al giorno. Le spese che l’autorità carceraria ceca sostiene per i 25 detenuti del sistema pilota ammontano ad appena 6,60 euro giornaliere. Slovenia; nell’era del web i carcerati “evadono” con Facebook di Mauro Manzin Il Piccolo, 1 settembre 2012 Vecchio pizzino addio. Adesso anche i carcerati si sono adeguati alla società globale del web. E così in Slovenia alcuni galeotti sono riusciti addirittura a creare un proprio profilo su Facebook con tanto di chat. Inutile sottolineare che tale “pratica” è assolutamente proibita, ma tant’è. Il caso più eclatante è quello che si è verificato nel carcere di Capodistria e denunciato dal quotidiano Dnevnik. Autori dell’evasione virtuale alcuni carcerati sicuramente non di secondo piano, anzi. Secondo indiscrezioni il “giochetto” è riuscito a Anes Selman, in carcere perché coinvolto nel traffico internazionale di droga e di armi recentemente sgominato dalla polizia slovena dopo anni di lavoro investigativo. Ma anche a Gašper Lindner, capo di un’organizzazione criminale dedita al furto di automobili che venivano poi smontate e rivendute a pezzi, e a Uroš Lož condannato per aver rapito a Mekinje vicino a Kamnik una bambina di 15 mesi per chiedere un riscatto di 20mila euro ai genitori. Un altro caso eclatante è avvenuto nel carcere di Doba, dove un gruppo di carcerati è riuscito a riversare su You Tube un filmato dal titolo “I ragazzacci di Doba” in cui si esibiscono in un brano musicale hip hop nel quale il cantante narra di come sia onesto nella vita vivere disonestamente. Ogni componente del gruppo poi si presenta con nome e cognome, recitando dei versi poetici in cui si descrive il motivo per cui si è ritrovato con le manette ai polsi. È un sestetto. Il nome più “altisonante” è quello di Elvis Livadi di Lubiana, il quale cinque anni fa ha ucciso a colpi di macete un ventottenne di Maribor all’uscita di una discoteca. In carcere deve scontare 16 anni di reclusione. Lui, nel video, spiega di essere finito in carcere per aver ucciso un tifoso di una squadra avversaria del suo club del cuore e, dall’espressione che assume, sembra essere molto soddisfatto di ciò. Del fatto si sta ora occupando la magistratura, che ha aperto un’inchiesta in quanto si sospetta che il galeotto sia stato aiutato da amici o parenti a creare la macabra messa in scena. Il carcere di Capodistria non è nuovo a exploit di questo genere. Lo scorso anno la polizia penitenziaria del capoluogo del Litorale sloveno ha scoperto un cuoco del carcere che ha contrabbandato all’interno dell’istituto di pena cellulari e smartphone. Stavolta però gli agenti sembrano brancolare nel buio. Le autorità carcerarie slovene si giustificano affermando che “non è possibile garantire la sicurezza totale all’interno degli istituti di pena”. Quel che appare assodato, nel caso Capodistria, è che gli agenti penitenziari si sono accorti qualche settimana fa dell’evasione via web. Per questo motivo hanno immediatamente ispezionato alcune celle trovando, si dice, in quella di Gašper Lindner una chiavetta Usb, un modem per l’accesso istantaneo a Internet e addirittura un pc portatile. Probabilmente è stata ispezionata anche la cella di Željko Grgi, che con sentenza ancora non definitiva è stato condannato a cinque anni di carcere per tentato omicidio. Anche la sua foto è apparsa su Facebook, ma all’interno della cella sembra non sia stato trovato nulla di compromettente. Ma quel che più fa discutere è il fatto che i colpevoli dell’evasione sul web sono stati puniti in modo molto lieve. Infuriato il leader sindacale degli addetti al sistema carcerario sloveno, Franzišek Verk, il quale giudica scandaloso che questi fatti possano essere avvenuti all’interno delle patrie galere. È assolutamente inaccettabile, ha dichiarato, che i carcerati possano così sfacciatamente, e in spregio delle sanzioni conseguenti, comunicare via Internet con il mondo esterno. “Mi aspetto - ha concluso - che il responsabile nazionale del sistema carcerario sloveno Dušan Valentin ponga fine a questi vergognosi incidenti”. Sbriglia: da noi molto difficile che accadano cose del genere Che cosa accadrebbe in Italia se i carcerati a cui viene applicato il regime penitenziario della legge 41 bis, ossia i mafiosi, riuscissero a connettersi a Internet? Secondo il Provveditore regionale delle carceri di Piemonte e Valle d’Aosta ed ex direttore dell’Istituto di pena del Coroneo a Trieste, Enrico Sbriglia, è un’ipotesi assolutamente irrealizzabile “visto - spiega - il contesto ambientale in cui sono rinchiusi, dove i controlli sono importanti e rilevanti”. In Italia l’accesso al web è assolutamente proibito ai carcerati. Ma non a tutti. “Ci sono cooperative di carcerati - spiega Sbriglia - che svolgono i servizi di “call center”, ad esempio per la prenotazione di prestazioni sanitarie specialistiche, ma tutto avviene sotto il massimo controllo e poi coloro ai quali è concesso di far parte di queste società, che forniscono servizi, sono individui a bassissimo indice di pericolosità e che godono della fiducia delle strutture carcerarie”. Sbriglia si sente di assicurare che il sistema carcerario italiano è in grado di garantire il massimo controllo sui detenuti e che episodi, come quelli rilevati nella vicina Slovenia, è assai difficile che possano registrarsi anche nei nostri istituti di pena. “Garantisco la massima professionalità degli agenti che costituiscono il corpo di polizia penitenziaria - afferma - e credo che da noi non si corra questo rischio. Certo il singolo caso potrebbe anche accadere, visto che nascondere uno smartphone non è certo impresa impossibile, ma ritengo che l’azione repressiva sarebbe quanto mai pronta”. Dunque sembra molto difficile che nelle carceri italiane si possa verificare il “caso Capodistria”. La guardia resta comunque molto alta soprattutto nei confronti dei galeotti considerati più pericolosi o che si sono macchiati di reati molto gravi. Non parliamo poi delle persone sottoposte al regime del 41 bis. Qui, sembra di capire, l’accesso a Internet potrebbe essere possibile solo con gravi connivenze con le strutture carcerarie. Siria: regime libera 225 detenuti, non erano accusati di delitti di sangue Agi, 1 settembre 2012 Il regime siriano di Bashar al-Assad ha liberato 225 persone arrestate nell’area di Damasco e che non erano accusate di delitti di sangue. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa siriana Sana spiegando che i fermati erano tutti implicati “nei recenti avvenimenti”, un chiaro riferimento alle proteste contro il governo. Non è la prima volta dall’inizio delle proteste che il regime rilascia centinaia di prigionieri, ma per le Ong nelle sue carceri restano migliaia di oppositori. Stati Uniti: in carcere studiava legge, la fondazione di Bill Gates gli paga la Law School Adnkronos 1 settembre 2012 Condannato per rapinato cinque banche, ha scontato la sua pena in carcere, dove si è appassionato allo studio della legge al punto da scrivere un ricorso, poi accolto, alla Corte Suprema. Ora Shon Hopwood, dopo nove anni e mezzo di carcere, si è iscritto alla facoltà di legge dell’Università di Washington grazie a una borsa di studio ottenuta dalla fondazione di Bill e Melinda Gates. Nel suo recente libro di memorie dal titolo “Law Man”, Hopwood ripercorre la sua storia da quando, all’età di 23 anni, era finito in carcere a causa delle sue rapine. “Nonostante fossi spaventato”, racconta Hopwood nella sua autobiografia, “sapevo che sarei riuscito a sopravvivere”. Durante la sua “permanenza” dietro le sbarre, il neo-studente universitario ha iniziato ad appassionarsi al diritto, grazie al suo lavoro presso la biblioteca del penitenziario. Hopwood si è così fatto portavoce delle istanze del suo compagno di cella, attirando così l’attenzione della Corte Suprema, che ha accolto le sue argomentazioni. Hopwood proseguirà i suoi studi grazie alla borsa di studio ricevuta dalla Fondazione Bill and Melinda Gates, da sempre impegnata nel campo dell’istruzione.