Giustizia: nessuna data certa per il ddl su depenalizzazione e misure alternative Public Policy, 19 settembre 2012 È ancora un’incognita la calendarizzazione in aula delle proposte in materia di depenalizzazione in discussione in commissione Giustizia alla Camera. Lo ha ricordato - incalzata dalla radicale Rita Bernardini - la capogruppo Pd (e relatore), Donatella Ferranti: “La calendarizzazione in assemblea non dipende dai relatori, nel corso dell’ultima riunione dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, la maggioranza ha ritenuto di non indicare una data. Come rappresentante del Pd, peraltro, avrei preferito diversamente”. Quanto all’iter in commissione, Ferranti ha poi preannunciato (“anche a nome del correlatore Enrico Costa” del Pdl) che “sarà presentata una proposta di nuovo testo da adottare come testo base”. Già questa mattina, “se possibile”. Contraria in toto a qualsiasi provvedimento riguardante depenalizzazione e misure alternative, la Lega Nord, che ha invece approfittato della presenza in commissione del sottosegretario alla Giustizia, Antonino Gullo, per chiedere delucidazioni sul Piano carceri: “È vero - ha chiesto Nicola Molteni - come affermato dal ministro Severino, che sono pronti 11 mila nuovi posti nelle carceri e ingenti risparmi, pari a circa 260 milioni di euro, possono essere reinvestiti?” “Probabilmente lei si riferisce - gli ha risposto il sottosegretario - ai 260 milioni di euro che sono stati sottratti dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica; NdR) al Piano carceri. Ciononostante, siamo riusciti a rimodulare quest’ultimo aumentando il numero di posti a regime da 9 mila a circa 11 mila”. Al dibattito è intervenuta anche la deputata Fli Angela Napoli. “Nell’ambito di questa ristrutturazione - ha chiesto a Gullo - è solamente previsto un aumento del numero dei posti a regime o anche la relativa distribuzione in specifici istituti penitenziari?”. “C’è un cronoprogramma del Piano, consultabile online - ha detto il sottosegretario. Già alla fine di questo mese, ad esempio, è prevista la consegna di parte delle strutture con i relativi posti”. Giustizia: Consiglio Superiore Magistratura; ok alla depenalizzazione, ma servono risorse Agi, 19 settembre 2012 È un parere positivo quello espresso dal Csm sul disegno di legge di delega al governo in materia di depenalizzazione, anche se l’applicazione delle nuove norme potrebbe trovare dei limiti a causa della mancanza di risorse e strumenti nel sistema giudiziario. Il plenum di Palazzo De Marescialli ha approvato il parere, scritto dal presidente della sesta commissione Paolo Auriemma (Unicos) a larga maggioranza, con la sola astensione dei laici del Pdl Annibale Marini, Nicolò Zanon e Bartolomeo Romano, e del laico della Lega Ettore Albertoni. Nel documento si sottolinea come “Ogni intervento legislativo diretto all’abrogazione dei reati per i quali risulti sproporzionata e inutile la sanzione penale deve salutarsi con estremo favore”, e “una riduzione delle condotte illecite penalmente rilevanti” verso cui sono dirette le linee generali del provvedimento in esame ha “inevitabili, benefici effetti sul sistema giudiziario”. Per quanto riguarda l’introduzione dell’istituto della messa alla prova, Palazzo De Marescialli rileva però che “l’ambito di applicazione è ridotto” e quindi “il positivo effetto deflattivo, processuale e carcerario, potrebbe manifestarsi in una maniera inferiore alle attesa”. Per il Csm sarebbe “auspicabile uno sforzo ulteriore da parte del legislatore” anche “con la destinazione di adeguate risorse finanziarie” in particolare per la fase della prima applicazione del lavoro di pubblica utilità. Accolta con favore, poi, la novità sui processi agli irreperibili, seppure, sul punto, permangano perplessità dal punto di vista procedurale, in particolare sul termine massimo di prescrizione che “appare troppo limitativa, sulle pene detentive non carcerarie, infine, l’organo di autogoverno della magistratura osserva che si corre “il rischio di limitare la concreta applicazione delle nuove pene detentive non carcerarie, con conseguente pratico insuccesso dell’auspicata politica di riduzione della sovrappopolazione carceraria” per il fatto che i detenuti sono prevalentemente “soggetti appartenenti alla cosiddetta marginalità sociale, rispetto ai quali risulta sovente complesso - si legge nel parere - se non addirittura impossibile rinvenire la disponibilità di un’abitazione o di un altro luogo di privata dimora idoneo ad assicurare la custodia del condannato”. Giustizia: Ferri (Magistratura Indipendente); bene Csm, accelerare su depenalizzazione Tm News, 19 settembre 2012 “Condividiamo il parere favorevole che il Consiglio Superiore della Magistratura ha espresso sul ddl delega in materia di depenalizzazione. È giusto puntare in questa direzione e la necessità di un’effettiva depenalizzazione è condivisa da tutta la magistratura”. Lo dichiara in una nota Cosimo Maria Ferri, segretario generale di Magistratura Indipendente. “Auspichiamo, quindi - prosegue - che il governo tenga conto di questa presa di posizione. Non è, infatti, più pensabile che Procure e Tribunali siano congestionati da reati di lieve allarme sociale come le fattispecie che sanzionano l’ingresso in cabina elettorale con il cellulare o la guida senza patente (ma la lista sarebbe lunga). In questi casi è più efficace e più economico comminare una sanzione amministrativa (ad esempio la confisca del mezzo nel caso di reati concernenti la circolazione stradale estendendola anche al conducente non proprietario del veicolo) e puntare su forme alternative di riparazione del danno come estinzione reato per le ipotesi di furto di lieve entità (come i furti all’interno dei discount). “Occorre, quindi - prosegue Ferri - accelerare il processo di depenalizzazione di alcune fattispecie per arrivare ad un testo unico che raccolga tutte le ipotesi di fattispecie penale, ponendo fine alle innumerevoli leggi. Auspichiamo che si intervenga nel più breve tempo possibile per razionalizzare l’area del penalmente rilevante e si dia ingresso a nuove fattispecie in relazione a fenomeni veramente meritevoli di sanzione sotto il profilo penale”. Magistratura indipendente inoltre segnala “che in tema di sovraffollamento carcerario occorrono, invece, strumenti più incisivi, maggiori risorse ed interventi. Altro settore sul quale ci auguriamo un intervento del legislatore è rappresentato dai processi celebrati nei confronti degli imputati irreperibili. Si assiste, infatti, quotidianamente ad uno spreco di risorse materiali e temporali per processi ‘inutilì a soggetti ‘irreperibilì che quasi sempre non saranno mai rintracciati. Sarebbe opportuno pensare a forme di sospensione del processo e della prescrizione fino a quando non si raggiunga la certezza della conoscenza del processo da parte del soggetto interessato, anche per evitare poi di dover rinnovare giudizi”. “Tutto questo, in tempo di crisi consentirebbe di razionalizzare le risorse e ridurre gli sprechi migliorando il servizio giustizia”, conclude Ferri. Giustizia: Enggist (Oms); tra detenuti epatite e Hiv 20 volte più presenti rispetto a norma Asca, 19 settembre 2012 Allarme malattie infettive nelle carceri europee, dove la prevalenza di Hiv ed epatite C “è da 10 a 20 volte superiore a quella della società esterna”. È la denuncia di Stefan Enggist, responsabile Salute e Carcere di Oms Europa che dal 26 al 28 settembre prossimi sarà a Viterbo in occasione della “Conferenza Europea 2012 sulle Malattie Infettive, le politiche di riduzione del danno ed i diritti umani in carcere”. “Nelle carceri europee - spiega - si stima vi siano circa 2 milioni di detenuti e che circa 6 milioni di persone passino ogni anno attraverso il sistema penitenziario: quanti di loro sono affetti da una malattia infettiva? Con molte malattie come l’Hiv o l’epatite C, ad esempio, la prevalenza nelle carceri è da 10 a 20 volte superiore a quella della società esterna. Ma non c’è sorveglianza continua, anzi in molti Paesi, la maggior parte dei penitenziari, proprio perché tali, sono esclusi dai sistemi nazionali di sorveglianza sanitaria. Probabilmente perché solo in pochi Paesi il Ministero della Salute è responsabile della salute anche nelle carceri. Nella maggior parte dei casi, referente è il ministero della giustizia o quello degli interni”. Eppure, sottolinea il responsabile Oms, la salute dei detenuti “dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità nelle carceri europee: quando si pensa a una prigione, automaticamente si fa riferimento a sicurezza e custodia come uniche priorità del luogo. Ma spesso, gli stessi responsabili o coloro che decidono, sono ignari del fatto che nel momento in cui uno Stato priva una persona della sua libertà, esso diventa pienamente responsabile per la salute e il benessere di quella persona. In concreto ciò significa che uno Stato ha l’obbligo di stanziare risorse al fine di garantire il diritto alla salute per tutti i prigionieri”. Ma c’è di più, afferma Enggist: “manca la consapevolezza del fatto che la salute e il benessere dei prigionieri riguardano direttamente la sanità pubblica nel suo complesso. Ad esempio in Paesi con alti tassi di tubercolosi, uno dei vettori dell’epidemia possono essere le carceri, a causa della mancanza di accurate misure di prevenzione, diagnosi e trattamento. Lo stesso vale per l’epatite o l’Hiv/Aids. E non sembra esservi sufficiente consapevolezza del fatto che in tutti i Paesi, i detenuti provengono da comunità più svantaggiate, dove si accumulano rischi per la salute (immigrazione clandestina, il consumo di alcool e droghe illecite)”. Dunque, ribadisce, “per il bene non solo di ogni singolo detenuto, ma anche per il bene della salute pubblica in generale è fondamentale che i servizi sanitari carcerari offrano almeno la stessa qualità delle cure rispetto a qualsiasi altro servizio di sanità pubblica della comunità”. “Il rispetto dei diritti umani fondamentali dei prigionieri. Rapporti fra detenuti e operatori sanitari all’insegna della riservatezza e della fiducia reciproca. Integrazione della politica sanitaria del carcere nella più complessiva politica nazionale per la Salute. E poi, servizi per le tossicodipendenze e maggiore attenzione alla malattia mentale” sono per Enggist le cinque priorità da affrontare, tenendo presenti i risultati positivi ottenuti dai numerosi interventi di riduzione del danno posti in essere negli ultimi anni: “A partire dal marzo 2009 - ricorda - 77 Paesi in tutto il mondo hanno introdotto programmi contro scambio di aghi e siringhe in comunità. Di questi, almeno 10 hanno avviato programmi di scambio di aghi nelle prigioni. Al momento, interventi di questo tipo sono stati introdotti in oltre 60 carceri in Svizzera, Germania, Armenia, Lussemburgo, Spagna, Moldavia, Iran, Romania, Portogallo e il Kirghizistan. Ovunque introdotte, queste misure hanno contribuito a più bassi tassi di infezione di HIV e di epatite e non hanno mai indotto maggiore consumo di droghe né al ferimento di personale o altri detenuti con aghi”. Giustizia: Testa (Detenuto Ignoto); offrire un lavoro ai detenuti, scatto di dignità e civiltà Radio Vaticana, 19 settembre 2012 Si torna a parlare di possibilità di lavoro per i detenuti all’interno delle carceri, anche per aiutare l’economia del Paese Italia. Ma l’attuale condizione negli istituti penitenziari lo rende impossibile. Nonostante provvedimenti come il “salva-carceri”, il numero dei detenuti è rimasto praticamente uguale, così come le loro condizioni di vita, denuncia Irene Testa, segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”, Emanuela Campanile l’ha intervistata. Il lavoro dei detenuti, se fosse applicato a dovere, renderebbe più produttivo tutto quel sistema che attualmente è soltanto anti-economico… Quello che penso è che, però, allo stato attuale sia molto difficile riuscire a far lavorare i detenuti, visto che molte strutture sono vecchissime, oppure - laddove esistono zone attrezzate per consentire ai detenuti di lavorare - restano chiuse perché non c’è il personale a disposizione. Spesso e volentieri addirittura le macchine diventano obsolete, proprio perché non vengono usate per una questione di sicurezza, perché i detenuti non possono essere spostati dalle celle, non essendoci il personale. Ci sono anche degli esempi virtuosi di carceri come, ad esempio, quello di Padova, che ha delle sale dove far svolgere attività lavorative ai carcerati e avere così un guadagno... Sì, ci sono esempi anche come il carcere di Velletri, dove è stata realizzata alcuni anni fa una vigna e i detenuti hanno prodotto un vino doc, chiamato “Fuggiasco”, che anche in termini economici ha reso moltissimo. Altro esempio a Bollate, dove sono state organizzate sfilate di moda con i vestiti creati dalle detenute. Tutti prodotti che, anche sfruttando il marchio del regime carcerario, hanno avuto un buon riscontro. Questo, purtroppo, avviene in pochissime realtà. Le prigioni sono piene di tossicodipendenti, di molti ladri accusati di piccoli furti, se fossero messi in condizione di lavorare, e magari di fornire un piccolo reddito alla famiglia, probabilmente il tasso di criminalità diminuirebbe. Il sistema carcerario italiano non funziona o deve invece essere davvero applicato? Sulla questione del lavoro sono state fatte delle buone leggi. Per esempio, la legge Smuraglia del 2000, che consentiva ai detenuti di lavorare - ma anche agli imprenditori o a coloro che volevano assumere un detenuto - di avere degli sgravi fiscali importanti al fine di agevolare questa forma di lavoro. Questa legge, però, non è stata negli anni rifinanziata. Nel caso della legge Smuraglia, si è trattato di una questione di rifinanziamento, ma anche di mancata volontà da parte di alcuni, per il fatto che, comunque, sono luoghi tutto sommato sconosciuti, dove è bene nascondere la polvere e far finta di niente. Il grido di dolore che arriva da quei posti non lo si vuole sentire, non c’è la volontà politica di modificare questo sistema. Giustizia: uso adeguato della risposta penale, una sfida di civiltà di Riccardo De Facci (Vice presidente Cnca con delega sulle droghe) Il Manifesto, 19 settembre 2012 Se il carcere è un emblema dello stato di vera democrazia di un paese, l’Italia è a rischio. Le nostre carceri mostrano gli effetti di una tendenza all’uso improprio della risposta penale e giudiziaria a molti dei problemi sociali (come l’immigrazione) o sociosanitari (la tossicodipendenza) più gravi. Questioni che, invece, una democrazia moderna deve saper affrontare con altri strumenti, per chiamarsi tale. Questa riflessione ha guidato il lavoro di critica promosso dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Forum Droghe, che si è concluso con un seminario di tre giorni sul carcere svoltosi di recente a Firenze, dopo aver coinvolto per mesi altre associazioni, esperti, operatori pubblici e del privato sociale di tutta Italia. Va ricordato, specie oggi in fase preelettorale, che le due leggi che oggi riempiono il carcere (la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle droghe) sono leggi manifesto, portato della deriva retorica e populista della politica: timidamente contrastate, se non colpevolmente rimosse, dalle forze politiche del centro sinistra. È grazie a queste due leggi che il carcere è oggi una moderna discarica sociale. Immigrati, tossicodipendenti e/o semplici consumatori di droghe con reati connessi al consumo, o semplice possesso di sostanze stupefacenti in quantità superiore alle tabelle ministeriali, sono diventati i due terzi della popolazione carceraria complessiva ( a giugno 2012 circa 67 mila unità). Quanto ai detenuti tossicodipendenti e alle opportunità di terapie alternative al carcere, tanto sbandierate dai promotori della Fini-Giovanardi, le cifre parlano da sé: sono poco più di 2 mila le persone inserite in percorsi in comunità terapeutica a fronte di quasi 10 mila detenuti che ne avrebbero il diritto, e di almeno altri 10mila che si ipotizzano con un consumo problematico e/o un abuso di sostanze stupefacenti, a cui in maniera diretta o indiretta si possono far risalire le varie forme di reato ( piccolo spaccio, difficoltà economiche, piccoli furti, alcuni atti di reazioni alle forze dell’ordine ecc.). La Fini-Giovanardi ha finito per attribuire un mandato forte di custodia e controllo anche alle comunità terapeutiche più aperte e all’insieme del sistema di intervento sociosanitario sulle dipendenze. Questa svolta punitiva ha accentuato il conflitto tra il compito primario curativo dei servizi, e la priorità di offrire percorsi alternativi al carcere: con l’obiettivo di attenuare gli effetti penalizzanti della legge, ma col rischio di accentuare l’ambiguità del mandato terapeutico correzionale. Il seminario, i cui materiali sono reperibili su www.fuoriluogo.it, ha analizzato i danni delle due leggi manifesto della destra e ha sottolineato la necessità di una radicale riforma legislativa, da un lato; dall’altro, ha approfondito il profondo mutamento del fenomeno dei consumi che impone alla politica un cambiamento di approccio, oltre la retorica moralistica e patologizzante, a meno di non voler perdere il contatto con le nuove generazioni ed i loro bisogni. Quanto ai servizi, l’obiettivo è di mettere in campo non solo buone pratiche di accoglienza per i detenuti, ma anche azioni di advocacy per un ampliamento delle alternative al carcere, in comunità, ma anche sul territorio. Come operatori sociosanitari lanciamo un appello per scrivere una pagina di civiltà. In questa fase ormai elettorale sapremo apprezzare chi saprà ascoltare. Giustizia: Ipm, la causa della rivolta dei detenuti è il peggioramento delle condizioni di vita di Susanna Marietti Il Manifesto, 19 settembre 2012 Il minor coinvolgimento del comune di Milano nella “gestione” del penitenziario ha messo in crisi il fondamentale rapporto che si era instaurato tra carcerati e istituzioni. Fino a pochi anni fa al carcere minorile di Milano le celle restavano aperte giorno e notte. I ragazzi erano liberi di muoversi nella sezione. Videogiochi a parte, pare sia stato un problema di camere chiuse per mancanza di personale a scatenare le proteste di sabato dentro il Beccaria. Probabilmente si poteva evitare. I lavori di ristrutturazione avviati alcuni anni fa hanno comportato meno ragazzi a fronte di un organico invariato. Per fortuna tutto si è risolto in qualche parolaccia e qualche oggetto bruciato. A capeggiare la piccola insurrezione, un quattordicenne da pochi giorni in carcere. Nel suo quartiere di Quarto Oggiaro pare abiti più d’uno degli altri detenuti. Ciò ha senz’altro facilitato la leadership. Ma è difficile pensare che sia l’unico motivo per cui quasi l’intero istituto lo ha seguito. È arduo non ipotizzare uno sfilacciamento nel rapporto di fiducia che legava gli adolescenti all’istituzione che li ha in carico. Certo ha giocato il minor coinvolgimento del Comune, che in passato garantiva al carcere personale educativo. La Giunta di Pisapia sta provvedendo a ripristinare interventi analoghi. Ma niente di tutto ciò è al cuore della questione. Una lite, individuale o collettiva, può avvenire ovunque. Figuriamoci in un luogo faticoso come un carcere. E figuriamoci dove sono coinvolte personalità impetuose come quelle adolescenti. Ci pare piuttosto che i fatti debbano farci riflettere più a fondo sul sistema della giustizia minorile. Un sistema che, dall’entrata in vigore del codice di procedura penale per minorenni avvenuta nel 1988, ha dimostrato una buona tenuta, resistendo alle onde dei vari allarmismi che hanno causato innumerevoli relitti nel sistema penale degli adulti. La giustizia minorile è riuscita a fare del carcere un’ipotesi residuale. Tante e sfaccettate le possibilità previste fin dal processo stesso. Pur di fronte a carenze normative - urgente è l’approvazione di un ordinamento penitenziario specifico - il sistema è improntato a una filosofia che vede nel minore una personalità in formazione di cui farsi carico sottraendola al circuito carcerario. Vari sono però i segnali di un pensiero volto a smantellare nelle fondamenta culturali questo impianto. Innanzitutto - come emerse con chiarezza dal Rapporto che Antigone rese noto nel marzo 2011 come frutto dei primi lavori del neonato Osservatorio sulle carceri minorili - il fatto che, se il sistema ha funzionato, non ha funzionato però per tutti. Se in pochi vanno in carcere sotto i 18 anni, tra questi pochi ci sono tanti stranieri, rom, giovani meridionali delle periferie urbane. Ciò inficia assai la filosofia di fondo. Mi faccio carico di te se hai buone relazioni sociali e non sei troppo povero. Cioè se puoi farti carico da solo di te stesso. Il secondo segnale da controriforma lo abbiamo visto in occasione di vari fatti di cronaca, con la pronta apertura di discussioni feroci attorno ad esempio alla necessità di abbassare l’età dell’imputabilità. E troppe sono le voci inquietanti che, anche amministrativamente, vorrebbero gestire i minori come gli adulti. E veniamo al terzo segnale. Si mina a fondo lo spirito della nostra giustizia minorile se un ragazzo viene letto come un criminale piuttosto che come un elemento cruciale della collettività che tutti abbiamo il compito di educare. E non come rieduca il carcere, ma piuttosto come educa un buon sistema scolastico pubblico e condiviso. Le parole che il magistrato avrebbe scritto a fuoco nel provvedimento di custodia cautelare del ragazzino del Beccaria sono agli antipodi di questo spirito. Parlare di lui come di qualcuno propenso per sua natura “all’attività delittuosa” e dunque un “pericolo elevatissimo e concreto per la collettività” significa tarlare in profondità il sistema ed essere disposti a vederlo sgretolarsi. Giustizia: tortura; approvato al Senato il disegno di legge di ratifica dell’Opcat Comunicato Antigone, 19 settembre 2012 Con 221 voti a favore e 21 astensioni è stata approvata al Senato la ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Opcat): adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu nel dicembre 2002, era stato prontamente firmato dall’Italia nell’agosto successivo ed entrato in vigore nel giugno 2006 (al momento in cui il ventesimo Stato lo ha ratificato). “L’Italia ha sottoscritto questo protocollo nel lontano 2003 - ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, a margine della notizia - senza mai ratificarlo. Da allora sono trascorsi 9 anni, un tempo davvero esagerato. Ora ci auguriamo che la Camera, nei tempi più brevi, proceda alla definitiva approvazione del disegno di legge di ratifica. In questo modo, finalmente, potrà essere istituito un organismo di controllo di tutti i luoghi di privazione della libertà personale, così come già tanti altri paesi democratici, in giro per l’Europa e per il mondo hanno fatto. In Italia ci sono Garanti dei detenuti nominati da Regioni, Province o Comuni che però sono, di fatto, privi di poteri effettivi per mancanza di una legge nazionale e non coprono neanche l’intero territorio nazionale. Il prossimo 25 settembre, inoltre, andrà in aula, al Senato, il disegno di legge per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale. Anche in questo caso ci auguriamo una rapida approvazione che copra l’intollerabile lacuna nel sistema dei diritti umani del nostro Paese”. L’Opcat prevede l’istituzione di un organismo sovranazionale che dialoghi con i Governi dei Paesi circa condizioni e trattamento nei luoghi di detenzione - anche di detenzioni brevi o amministrative, quali sono quelle di stranieri per identificazione ed espulsione - nonché in tutti i luoghi in cui una persona può essere privata della libertà da parte dell’autorità pubblica. Prevede, inoltre, che ogni Paese che lo ratifica istituisca un organismo indipendente con poteri di accesso in tali luoghi, in grado di monitorare la situazione con continuità ed evidenziare eventuali criticità, ancor prima che queste possano evolvere negativamente. A oggi l’Opcat è stato già ratificato da 63 Stati di vari continenti: tra essi 30 sono europei. Tortura: Della Monica, tutelati diritti umani nel nostro paese “Con la ratifica della Convenzione Onu sulla tortura si fa un importante passo avanti in Italia nella tutela dei diritti umani e, in particolare, nella prevenzione della tortura negli istituti di pena, nei Cie , nelle camere di sicurezza e negli ospedali psichiatrici”. Lo ha dichiarato in aula la senatrice Silvia Della Monica, capogruppo Pd in commissione Giustizia. “Contemporaneamente la commissione Giustizia del Senato ha licenziato il testo che istituisce nel nostro Paese il reato di tortura che diventa così un crimine contro l’umanità - aggiunge. Ora occorre intervenire sul sistema penitenziario dove le attuale condizioni di vita inumane, sia per i detenuti che per il personale di custodia, devono spingere ad approvare rapidamente norme alternative alla detenzione”. Giustizia: carceri-amnistia, il Quirinale precisa i motivi dell’esclusione di Rita Bernardini Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2012 In riferimento all’articolo “Emergenza Carceri. Napolitano convoca tutti. Tranne i Radicali”, vorrei chiedere: chi esclude chi? Il Presidente della Repubblica ha semplicemente accolto la richiesta, avanzatagli dal prof. Andrea Pugiotto, di ricevere una delegazione dei docenti universitari e dei Garanti dei diritti dei detenuti firmatari di un appello sui temi della efficienza della giustizia e della drammatica realtà carceraria. Parteciperanno all’incontro tutte le personalità accademiche indicate dal professor Pugiotto, quale che sia la loro appartenenza politica. È vero che nell’elenco iniziale figurava anche l’onorevole Rita Bernardini, ma è anche vero che questa sarebbe stata l’unica presenza rappresentativa di un partito - il Partito radicale - in quell’incontro. Di qui l’esigenza di non alterarne la natura, dovendosi altrimenti allargare l’udienza a rappresentati di tutte le forze politico-parlamentari. Il Presidente sarà ben lieto di accogliere richieste d’incontro sul tema anche da parte di singoli partiti, e in particolare dal Partito Radicale. Pasquale Cascella Direttore dell’Ufficio Stampa e comunicazione della Presidenza della Repubblica Giustizia: il boss Antonino Mandalà contro il carcere duro “è un regime di tortura” di Giuseppe Pipitone Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2012 Il fondatore e presidente di uno dei primi club di Forza Italia in Sicilia, già condannato in appello a otto anni di carcere per associazione mafiosa, scrive sul suo blog: “Il 41 bis è un vulnus alla democrazia”. Ingroia risponde: “Strumento utile”. Lumia: “Altro che cancellare, va potenziato”. Il 41 bis? “Non c’è dubbio che è un regime di tortura e che la sua applicazione è un vulnus del nostro sistema giudiziario”. Parola di Nino Mandalà, fondatore e presidente di uno dei primi club di Forza Italia in Sicilia, già condannato in appello a otto anni di carcere per associazione mafiosa. Mandalà, che gli inquirenti considerano boss di spicco di Villabate, è infatti tornato a scrivere sul suo blog, aperto due anni fa e poi “congelato” nel dicembre scorso dopo la sentenza di secondo grado, che gli aveva inferto otto anni di reclusione salvandolo però dall’arresto immediato. In attesa della pronuncia della Corte di Cassazione, che potrebbe questa volta riaprirgli le porte del carcere, quello che a Villabate tutti chiamano “l’avvocato” per la sua laurea in legge è tornato a lanciare i suoi messaggi in rete. Questa volta l’argomento del post datato 13 settembre 2012 è un tema molto caro a Cosa Nostra: il 41 bis, il regime di carcere duro per detenuti mafiosi. “Mi rivolgo innanzitutto ai parenti delle vittime di mafia - è l’incipit del post di Mandalà - di essi condivido lo sdegno e comprendo l’ira, ad essi, se la Cassazione deciderà in via definitiva che sono mafioso, seppure estraneo alle loro sofferenze ma colpevole dell’identità inflittami, chiederò perdono”. Poi il presunto boss inizia a parlare del carcere duro. Con una premessa: “A ciascuno il suo, ai colpevoli l’espiazione della pena, ai giusti la pretesa del rispetto dei fondamentali diritti umani” Per Mandalà infatti “il rigore dell’espiazione non deve essere frainteso e confuso con la tortura, l’espiazione deve procedere senza sconti ma avendo riguardo per la dignità del colpevole e dei suoi familiari”. Quindi l’ex esponente di Forza Italia cita la condizione di suo figlio Nicola, uno dei vivandieri di fiducia di Bernardo Provenzano, condannato all’ergastolo per mafia. “Dal mio non invidiabile osservatorio percepisco che mio figlio non è più quello di sette anni fa e constato lo smarrimento di mio nipote costretto a sottoporsi al martirio del colloquio mensile col padre, il vuoto del suo sguardo”. E dopo aver citato “la lezione dei Beccaria, dei Montesquieu, dei Locke”, Mandalà si spinge anche a fare un appello contro il 41 bis, chiamando in rassegna “uomini come il Capo dello Stato, campioni del pensiero liberale che hanno a cuore la tutela dell’individuo come Ostellino, luminari della scienza che hanno sostenuto la capacità dell’uomo di cambiare e di avere diritto ad una seconda opportunità come Veronesi, combattivi difensori dei diritti umani come Pannella, Della Vedova e Manconi, portatori di una concezione giuridica rigorosamente garantista come Pisapia e Ferrajoli, giornalisti intellettualmente onesti come Panza, Polito, Battista e carismatici come Scalfari”. Quindi le note da giurista. “Ad essi ricordo che l’Assemblea generale delle Nazioni unite con la risoluzione 39/46 del 1987 ha approvato una Convenzione contro la tortura e ha obbligato gli stati contraenti ad adottare una serie di provvedimenti in sintonia con la convenzione approvata”. Una nota dura quella di Mandalà, primo condannato per fatti di mafia a gestire un blog, che riporta d’attualità il dibattito sul carcere duro, che i pm di Palermo considerano uno degli oggetti principati della trattativa a colpi di strage tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato. “Non so quanto quanto possa valere il post di Mandalà, quel che è certo è che il regime di 41 bis è stato riconosciuto più volte dalla Corte Costituzionale come trattamento penitenziario utile a combattere Cosa Nostra”, è il commento del procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Più allarmato invece la reazione del senatore Beppe Lumia, componente della commissione parlamentare antimafia: “La nuova generazione di Cosa nostra sta nell’organizzazione, si arricchisce, accumula potere, uccide con ferocia e spietatezza, come nel caso di Nicola Mandalà ed Ezio Fontana (sodale di Mandalà, ndr), ma quando conosce il 41 bis si scopre garantista, fa voli pindarici su Beccaria e Montesquieu. Altro che cancellarlo, il 41 bis va potenziato: è stato un errore, infatti, chiudere le carceri di massima sicurezza di Pianosa e l’Asinara”. La replica di Lumia: i boss la smettano, il 41 bis va potenziato Dopo il post pubblicato da Nino Mandalà, interviene Giuseppe Lumia, che critica il garantismo di convenienza e rilancia: “È stato un errore chiudere le carceri di massima sicurezza di Pianosa e L’Asinara”. “Questa nuova generazione di Cosa nostra sta nell’organizzazione, si arricchisce, accumula potere, uccide con ferocia e spietatezza, come nel caso di Nicola Mandalà ed Ezio Fontana, ma quando conosce il 41 bis si scopre garantista, fa voli pindarici su Beccaria e Montensquieu”. Lo dice il senatore del Pd Giuseppe Lumia, membro della commissione nazionale antimafia, in merito all’intervento del boss Nino Mandalà contro il regime di carcere duro, pubblicato sul suo blog. “Altro che cancellarlo - aggiunge - semmai va potenziato. È stato un errore, infatti, chiudere le carceri di massima sicurezza di Pianosa e L’Asinara. I boss mafiosi devono smetterla di usare argomenti pretestuosi come la lesione dei diritti umani, piuttosto facciano i conti con la giustizia fino in fondo: o scelgano di stare dalla parte dell’organizzazione mafiosa, subendo così il rigore dello Stato; oppure scelgano la collaborazione. È questa l’unica alternativa possibile. Altre strade non ce ne sono. Cancellare il 41 bis sarebbe solo una sconfitta per lo Stato e per i cittadini”. Giustizia: trattativa Stato-mafia, il governo per ora non è “parte civile” di Liana Milella La Repubblica, 19 settembre 2012 È scontro tra Di Pietro e il governo sull’inchiesta Stato-mafia. Volano parole pesanti. Il leader Idv accusa l’esecutivo di “favoreggiamento personale” per non essersi ancora costituito parte civile nel processo sulla trattativa. Palazzo Chigi, il sottosegretario ai Rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, replica che “c’è ancora tempo”, “gli atti non sono ancora arrivati, ma ci sono solo notizie giornalistiche” e comunque “non c’è alcuna preclusione” a non farlo. A Montecitorio, dove Malaschini risponde a una mozione di Di Pietro, il clima si scalda. Per una coincidenza, l’indagine siciliana era già rimbalzata a Roma di prima mattina per via della richiesta del pm Nino Di Matteo, durante l’udienza del processo Mori-Obinu per favoreggiamento a Cosa nostra, di acquisire una delle ben note intercettazioni tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, l’ex consigliere giuridico di Napolitano scomparso il 26 luglio. Conversazione del 25 novembre 2011, in cui i due parlano della nomina di Francesco Di Maggio alla vice direzione delle carceri. Telefonata utile per chiarire la questione dei mafiosi detenuti cui non fu rinnovato il regime del 41bis. Di Matteo vuole acquisire pure due telefonate dell’ex capitano Giuseppe De Donno, una a Marcello Dell’Utri, per congratularsi della decisione della Cassazione sul suo processo e l’altra con Mori sulla trattativa. Ma a incuriosire la politica è soprattutto la prima richiesta, il colloquio Mancino-D’Ambrosio, per il legame con il Quirinale, in particolare alla vigilia della prima camera di consiglio della Consulta sul ricorso del Colle contro Palermo in cui il sì all’ammissibilità è scontato. Sull’onda di questo rinnovato allarme ecco che matura la dura contrapposizione tra Di Pietro e Malaschini. Il primo sollecita il governo a costituirsi immediatamente parte civile. Il secondo replica che il governo non ha deciso solo perché non è ancora in possesso delle carte processuali. “Nessuna preclusione” a farlo, anche se l’atto dovesse superare l’udienza preliminare che parte il 29 ottobre. Malaschini parla “di aspetti e scelte di natura prettamente tecnica” impossibili senza gli atti. Di Pietro s’infuria, se il governo non dovesse costituirsi “questo potrebbe chiamarsi reato di favoreggiamento personale”. Vede nel governo “reticenza, ignoranza tecnica, un volersi lavare pilatescamente le mani”. Afferma che le carte sono in rete e “basta un clic per leggerle”. Accusa palazzo Chigi “d’incompetenza e incapacità, se non addirittura di contiguità con le persone chiamate a rispondere di questa vicenda”. Per concludere: “L’esecutivo si mette contro la giustizia per favorire le persone che rappresentano lo Stato in quel processo”. Da Palermo, ad “assolvere” il governo, è proprio il procuratore Francesco Messineo che vede solo “un fatto oggettivo” perché “se non conoscono gli atti non possono procedere alla costituzione di parte civile”. Aggiunge Francesco Del Bene, uno dei pm del processo, che “il governo, non avendo gli atti, non può nemmeno analizzare la questione”. Lui non vede “nulla di strano” solo un ritardo nella notifica del gip. La politica si divide. Il Pd, con Laura Garavini, è due volte contro Di Pietro: “Insinua ad arte il dubbio che il governo non è interessato a trovare la verità” e ignora il lavoro della commissione Antimafia “dopo averla abbandonata. I finiani Granata, Lo Presti e Di Biagio invitano il governo a costituirsi parte civile ad horas. Giustizia: la realtà carceraria in Italia… e a Verona di Marta dal Corso Il Referendum, 19 settembre 2012 La nostra è una società avanzata: progredita nella tecnologia e nella cultura, dotata di un sistema politico democratico, protettrice dei diritti individuali e sociali acquisiti nel corso degli anni. La nostra è quella società che, a causa dell’etnocentrismo caratteristico del mondo occidentale, crediamo e professiamo come migliore, più equa e giusta rispetto alle diverse culture antropologiche. Eppure, nonostante le convinzioni che la storia ci ha perpetuato, esistono in Italia, alcuni temi particolarmente delicati, che una volta conosciuti ci interrogano sulla reale democraticità del nostro Paese. Uno di questi argomenti è il carcere. Al di là delle sensibilità individuali che ogni cittadino crea dalla sua esperienza quotidiana, i dati statistici, dati quindi oggettivi e imparziali, possono essere un interessante stimolo per farci delle domande, per chiederci quale tipo di società politica e culturale vogliamo essere. Il carcere che cos’è? Il carcere, inteso come luogo per scontare la pena, viene visto dalla società contemporanea come un dato naturale: chi commette un reato deve passare un certo periodo della sua vita, rinchiuso dentro uno spazio istituzionale per espiare la propria colpa. Questa concezione ha in realtà una storia piuttosto recente. Il carcere è divenuto tale solo quando lo sconto della pena per il reo è stato inteso come privazione della libertà personale e non come somma di denaro da pagare o come sofferenza fisica da subire tramite l’esilio, la gogna o la morte. È solo verso il 1600 che queste pene vengono sostituite con il concetto di carcere e successivamente, grazie alla corrente illuminista, si sono compiuti i primi passi verso l’umanizzazione della pena. Le carceri italiane attualmente sono 206 e si differenziano in case circondariali e case penali. La casa circondariale è il luogo in cui vengono rinchiusi coloro in attesa di giudizio o chi è stato ritenuto colpevole e deve scontare un pena corta. Mentre invece la casa penale è il luogo in cui i detenuti devono espiare pene medio lunghe. Nel nostro Paese le strutture carcerarie sono state istituite per ospitare 45.742 persone eppure nel 2012 i detenuti totali sono 66.632. La popolazione che abita il carcere è costituita per un 63% da italiani e per un 37% da stranieri, un dato che sembra essere in controtendenza rispetto alle notizie che quotidianamente assimiliamo. È opportuno, però, contestualizzare queste cifre con due informazioni ulteriori, una demografica e l’altra sociale. Infatti, sebbene i detenuti stranieri siano presenti in numero inferiore nelle carceri, la popolazione immigrata sul totale degli abitanti in Italia si attesta nel 2010 solo al 7,5% e di questi il 37 risiede in carcere. Inoltre in otto anni il numero dei detenuti italiani è aumentato del 10% mentre quello degli stranieri è aumentato del 50%. I reati commessi con maggiore frequenza sono atti contro il patrimonio ed i beni materiali. I furti sono in assoluto i reati più commessi. Seguiti da rapine, da utilizzo e traffico di sostanze stupefacenti, dalle violenze sessuali e dagli omicidi. Nella città di Verona esiste una casa circondariale che è conosciuta come il Carcere di Montorio. Questa struttura è divisa in 5 sezioni costruita per ospitare circa 400 persone. Attualmente però vi risiedono almeno 1.000 detenuti, più del doppio rispetto alla capienza dell’istituto. In celle di dimensioni 3×4 vivono 4 persone. Lo spazio è strettissimo, si fa a turno per stare in piedi. Tutto è all’interno della cella: letti, tavolo, sedie, cucinino, doccia e water. Poche ore al giorno vengono dedicate ai colloqui con i familiari, con l’avvocato, con i volontari. Poche sono anche le attività ludico-formative organizzate dal volontariato locale, cosicché l’attività principale praticata dai detenuti diviene l’ozio che svilisce l’uomo ed innesta meccanismi di svalutazione della persona. Il tempo passato in carcere deteriora psicologicamente i detenuti tanto che l’80% dei farmaci somministrati sono psicofarmaci. In queste condizioni psico-sociali difficili aumentano anno dopo anno i tassi di suicidio e di autolesionismo. A partire dall’inizio dell’anno si sono uccise già 65 persone in Italia. Il carcere, dalle alte cariche dello Stato, viene considerato la discarica sociale. Gli ultimi restano ultimi. Nel costo di 113 euro giornalieri per detenuto, lo Stato deve coprire sia le spese per il carcerato che la manutenzione dell’edificio, pagare gli stipendi del personale e ogni altra attività inerente alla struttura. Il progetto di rieducazione del detenuto manca in ogni forma: sia nella soddisfazione di bisogni primari, la scarsità di fondi fa si che manchi carta igienica, detergenti, prodotti per l’igiene intima per cui volontari intervengono come tamponi sociali, sia nella riabilitazione del detenuto. Mancano figure professionali che si occupino dei carcerati. A Montorio oltre ai 1000 detenuti sono presenti 370 poliziotti, 2 psicologi e 4 educatori i quali dovrebbero redigere un’osservazione scientifica sui detenuti. Ci si potrebbe chiedere quanto scientifica possa essere un’osservazione, se 4 educatori devono occuparsi di 1.000 persone. Eppure questi resoconti sono fondamentali poiché attraverso di essi, il magistrato di sorveglianza sceglie se indirizzare il detenuto a misure alternative di pena come l’affidamento, la semilibertà, gli arresti domiciliari, lavori di pubblica utilità, la libertà vigilata. Come si diceva inizialmente, sebbene ogni cittadino possa avere un pensiero proprio su questo tema, ci sono dati che obiettivamente dimostrano quanto questo sistema di carcerazione sia inefficiente. Il primo dato fa riferimento ad una lentezza del processo giudiziario tale per cui il 44% dei detenuti attende di essere giudicato, di sentirsi dire se è colpevole o innocente. Il secondo dato è il tasso di recidività. Il 65-70% dei detenuti scarcerati dopo la loro pena tornano in carcere, mentre tra coloro che sono affidati alle misure alternative questa percentuale scende al 25%. D’altronde i mass media hanno un potere tale per cui se in una situazione di libertà vigilata un detenuto compie un reato abissano i dati reali e aizzano la paura popolare. Eppure solo il 7% delle misure alternative viene revocato poiché il 93% dei detenuti rispettano la misura affidatagli. Quel che emerge è che coloro che si trovano in condizioni sociali deplorevoli sono inclini maggiormente a compiere reati, per lo più connessi a riempire vuoti economici. Quali misure adottare affinché la società possa essere sana, solidale, giusta? E quale funzione vogliamo abbia il carcere? Non possiamo chiudere gli occhi di fronte ai dati citati. Il sistema inefficace attuale spinge alla recidività, mentre le misure alternative sarebbero non solo vantaggiose economicamente ma anche ai fini della sicurezza sociale. Fino ad ora l’interesse del cittadino era che il colpevole scontasse completamente la sua pena, in luoghi distanti dalla città, nei “lebbrosari” del XXI secolo come li definisce fra Beppe. Ebbene queste misure si sono rivelate inadatte. In questo caso, prima di attendere una risposta politica, dovremmo capire chi vogliamo essere, ripartendo quindi dal terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione che recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Giustizia: Alfonso Papa (Pdl); dalla Rai troppo silenzio sulle carceri di Dimitri Buffa L’Opinione, 19 settembre 2012 L’antefatto. Giletti e Klaus Davi tempo fa hanno presentato una splendida proposta per Radio Rai: fare un programma su giustizia e carceri. Oltre ai Radicali, anche Alfonso Papa se ne è fatto patrocinatore politico. Qualche giorno fa Radio Rai pubblica però il nuovo palinsesto e la proposta su giustizia e carceri si constata cestinata. Al suo posto c’è un programma con Lorella Cuccarini. L’Opinione ha pertanto intervistato proprio il deputato Pdl che fin da quando è uscita la notizia ha usato termini duri e sarcastici: “A guardare il palinsesto di Radio Rai fresco di pubblicazione si direbbe che ad essere sacrificati dalla radio del cosiddetto servizio pubblico siano ancora una volta la giustizia e le carceri”. Che cosa è successo? Una proposta sul tavolo c’era, ma è stata bocciata. Evidentemente al di là dei proclami di buone intenzioni ai vertici della maggiore azienda culturale pubblica non interessa a sufficienza garantire informazione sulla principale stortura istituzionale italiana, vale a dire la giustizia. Risponderanno che è una questione di audience. Siamo sicuri che nove milioni di procedimenti pendenti, centottantamila prescrizioni annuali, 40 suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno non siano problemi sentiti dalla maggioranza dei cittadini? Non so, me lo dica lei. Il punto non è l’audience: noi abbiamo una sostanziale carenza di informazione su quello che riguarda le tematiche carcerarie. Per esempio l’altro giorno c’era un ottimo articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere, che parlava del lavoro e del recupero per i carcerati, che dimostra come investendo su ciò si possa persino fare economia da spending review. Ma nessuno sta a sentire anche perché il servizio pubblico radio televisivo pagato con il canone di tutti i cittadini fa scelte che sono scorciatoie temporanee per accalappiare qualche radio ascoltatore in più e lascia bellamente scoperte altre importantissime notizie. Un pubblico educato alla sensibilità civile potrebbe anche costituire un’audience alternativa, specie in radio. E lei cosa propone? Come “Comitato per la prepotente urgenza” (le parole pronunciate da Napolitano in un convegno organizzato il 28 luglio di un anno fa al Senato proprio sull’emergenza carceri, parole cui poi non seguì alcun fatto, n.d.r.) presenteremo una serie di iniziative e proposte concrete di lavoro per i detenuti, come quella di associare la grande distribuzione alla vendita dei prodotti da loro realizzati in carcere, compresa una linea di agro biologico, e poi denunciare come la carenza di investimenti statali nel settore recupero e lavoro per i detenuti e anche gli ex tali si risolve in una gravissima violazione costituzionale. Noi stiamo di fatto in questi giorni svilendo il significato della pena. Poi c’è la vexata quaestio della “pena assimilabile a una tortura” Esattamente in questi giorni si sta ratificando in Senato la convenzione europea sulla tortura, dopodiché, anche se non abbiamo mai introdotto il relativo reato nel nostro ordinamento, dobbiamo aspettarci una raffica di condanne dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento che infliggiamo a tutti i nostri detenuti. Rispetto a questo, il dovere di un organo pubblico di informazione come la Rai comprende anche il discorso del carcere. Per noi quindi il problema non è la polemica sul programma “bocciato” a Giletti e su quello “promosso” della Cuccarini. Ci limitiamo a constatare che la carenza informativa in materia persiste e che sembra non importare niente a nessuno a viale Mazzini e dintorni. L’ex magistrato Luigi Bobbio, attuale esponente napoletano del Pdl, non crede più all’articolo 27 della Costituzione e propone di cambiarlo in senso afflittivo per il detenuto, però l’articolo di Ferrarella faceva rimarcare che il recupero dei detenuti è anche conveniente economicamente allo stato. Lei che ne pensa? Con me si sfonda una porta aperta: recuperare quasi 68 mila detenuti per lo stato potrebbe equivalere a più di un punto di prodotto interno lordo e credo che Bobbio abbia detto quelle cose come una provocazione. Il concetto comunque è che si deve investire anche sui detenuti che vogliano emendarsi. Napolitano nei prossimi giorni riceverà quei giuristi che hanno firmato il famoso manifesto del professor Fuggetta sul ritorno alla legalità nell’intero pianeta giustizia. Non sarà però ricevuta la deputata Rita Bernardini che pure di quel manifesto è stata insieme a Marco Pannella una delle promotrici. Lei crede a una ripicca del Quirinale per le continue critiche di Pannella al Capo dello stato, invitato più volte a fare un messaggio alle Camere sul sistema giudiziario italiano e a pronunciarsi sull’amnistia? Non voglio credere alla ripicca, non sarebbe da Capo dello stato e non sarebbe neanche da galantuomini come Napolitano. Che peraltro anche io ho criticato quando ha parlato di “condizioni mancanti” per l’amnistia, che pure lui, con quel messaggio alle Camere, che invece non c’è stato, poteva contribuire a creare. Agli amici radicali faccio un invito: uniamo le nostre proposte di legge sulla riforma della carcerazione preventiva e poi al Quirinale ci andremo tutti insieme e non credo che Napolitano non vorrà riceverci. Lettere: gli ergastolani scrivono al ministro “dateci la possibilità di fare volontariato” di Aldo Comello Il Mattino di Padova, 19 settembre 2012 Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo che sconta al Due Palazzi con Gaetano Fiandaca e Agostino Lentini, ha inviato una lettera aperta al direttore che poi è diventata un appello al ministro Paola Severino. Musumeci chiama il carcere l’Assassino dei Sogni. Se il fine della pena è mai, la possibilità di redenzione, di emergere di nuovo alla vita è pari a zero e quindi che cosa sognare? Quali luci in fondo al tunnel? Solo un cammino nelle tenebre di assoluta disperazione. Nel carcere penale di via Due Palazzi, 200 degli 800 detenuti lavorano. Ma dei reclusi sottoposti ad alta sorveglianza, 28 di cui 22 ergastolani, svolgono attività lavorative solo 2 e a rotazione. Dignità e speranza. Eppure proprio nel regolamento carcerario di Padova c’è scritto che solo il lavoro può dare dignità e speranza a chi sopravvive entro ristretti orizzonti. E poi c’è la Costituzione che prevede all’articolo 27 che le pene devono tendere alla rieducazione e la legge sancisce anche che la pena dell’ergastolo è scontata con l’obbligo del lavoro. Eppure tra la normativa lungimirante e la realtà c’è un abisso incolmabile, due mondi lontani, quello della civiltà del diritto e quello della realtà carceraria. Ieri il portavoce degli uomini ombra del ghetto del carcere di Padova, costretti in una prigione dentro la prigione, è stato ascoltato dal ministro Severino. Lei ha fatto emergere una parola: “consapevolezza”, consapevolezza per la politica, perché prima di parlare trovi il coraggio di entrare dentro il vissuto di questi uomini e guardarli in faccia senza paura, perché i crimini non esauriscono la persona, resta sempre una parte capace di riscatto. “Signor ministro, pensa che i condannati all’ergastolo abbiano diritto ad un carcere uguale per tutti e quindi ad accedere alla possibilità di lavorare e trovare legami di relazione con il volontariato, oppure l’ergastolo è un matrimonio del condannato con la galera, indissolubile finché morte non li separi?”. Le misure ministeriali. Il ministro Severino ha risposto che sta già prendendo le misure necessarie per provvedere. Tra l’altro, nella maggior parte dei casi l’ergastolo equivale a trent’anni di carcere, quindi la speranza c’è, magari lontana e ci si può arrivare passando attraverso la terapia del lavoro che non conviene solo al detenuto, ma anche alla società a cui si dovrebbe restituire una persona nuova, capace di cooperare alla crescita e al progresso. Carmelo Musumeci e i suoi compagni chiedono di essere considerati parte integrante della società, persone normali, seppure ergastolani, esseri umani, seppur reclusi, individui sui quali iniziare ad investire (dopo 20 anni e più di pena), un inizio di credibilità. “Ci sarebbe così finalmente preclusa la possibilità di divenire automi, essere inghiottiti dall’inutilità e dal tedio, mineralizzati in un circolo vizioso disumanizzante”. Don Marco Pozza. Il ministro Severino, osserva il cappellano del carcere, don Marco Pozza, è entrata nel carcere di Padova, si è seduta, ha ascoltato, per quello che ha potuto ha parlato, ha teso la mano all’uomo, lasciando, per un istante, fuori dalla porta il reato. Non ha visto il carcere dall’elicottero, ha camminato nei sui corridoi, ha guardato dentro le celle, ha sentito il grido dei gabbiani che mangiano i resti di cibo lanciati dalle finestre, ma ha visto anche il miracolo del lavoro messo in moto dalle cooperative, l’attività del volontariato, l’atteggiamento collaborativo del Comune e dell’Università. Napoli: Sappe; polizia penitenziaria senza mezzi, a rischio il trasporto dei detenuti Il Mattino, 19 settembre 2012 “C’è il serio e fondato rischio che dal prossimo ottobre la polizia penitenziaria non sia più in grado di assicurare il servizio istituzionale del trasporto dei detenuti (le cosiddette traduzioni)”: a lanciare l’allarme è il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, in una nota a firma del segretario Donato Capece. “Già oggi sono saltate diverse udienze in vari tribunali, presso magistrature di sorveglianza e visite ambulatoriali programmate da tempo - denuncia Capece. Abbiamo in tutta Italia centinaia di automezzi del corpo (più di 80 nel solo carcere di Napoli Secondigliano) fermi, in attesa di riparazioni che non possono essere eseguite perché mancano i soldi, tanto che è lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a comunicarlo ufficialmente nelle note di risposta alle lettere delle Direzioni delle carceri che chiedono, appunto, fondi per le riparazioni”. Non solo, prosegue il segretario del Sappe: “Tanti mezzi hanno oltre 300, 400 e persino 500mila chilometri e persino procedure obbligatorie di sicurezza come i periodici collaudi non vengono osservate proprio perché non ci sono soldi. È una situazione catastrofica”. Capece sottolinea infine “l’incoerenza” dell’amministrazione penitenziaria che aveva nel 2007 istituito un gruppo di lavoro presso il ministero della Giustizia per la rivisitazione delle modalità organizzative dei Nuclei traduzioni e piantonamenti: “Il gruppo di lavoro nasceva proprio dalla necessità di riscrivere le modalità operative del personale alla luce delle esperienze concrete e quotidiane dei poliziotti dei Nuclei, ma l’amministrazione lo ha boicottato fin da subito visto che ha convocato solamente due o tre riunioni e poi l’ha improvvisamente sciolto senza ragione alcuna”. Augusta (Sr): Osapp; manca carburante, “salta” l’intervento chirurgico per un detenuto Ansa, 19 settembre 2012 Manca il carburante per l’auto per il trasferimento in ospedale: è il motivo per cui è saltato l’intervento a tibia e perone a un detenuto del carcere di Augusta, nel Siracusano. Lo rende noto Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp, denunciando “la grande difficoltà di andare avanti in questo difficile momento”. “Non può essere tutta colpa della spending review - aggiunge il sindacalista - è necessario rivedere l’assegnazione dei fondi a livello nazionale. A Roma continuano alcuni privilegi e qui in Sicilia non si riesce a garantire nemmeno un controllo medico. È un fatto molto grave che un detenuto al quale è stato programmato un intervento chirurgico sia costretto a rinunciare all’operazione perché manca la benzina per le auto delle traduzioni”. “Da quando si è insediato questo nuovo gruppo dirigente al dipartimento - sostiene il vice segretario generale dell’Osapp - il corpo sta perdendo numerose attività frutto della conquista di anni di lotta sindacale. Per questa ragione chiederemo al vice capo del Dap con la delega al personale quali siano le cause che determinano queste disfunzioni e cosa sta facendo per evitare che perdurino”. Ragusa: un tentato suicidio e due aggressioni, dietro le sbarre disagio e violenza La Sicilia, 19 settembre 2012 Tensione altissima al carcere di Ragusa. Tre episodi come quelli che si sono verificati nel giro di pochissimi giorni inducono quanto prima ad una seria riflessione sugli organici che operano all’interno del penitenziario. Che riescono a malapena ad assicurare l’ordinaria amministrazione. Prima un tentato suicidio scongiurato da una guardia carceraria, poi un detenuto che si è scagliato contro uno degli agenti, fino all’ultimo episodio di lunedì che ha visto due detenuti stranieri provocarsi vistose ferite per l’impossibilità di potere lavorare all’interno della struttura. “Purtroppo - denuncia il segretario regionale del Sappe (il sindacato autonomo Polizia penitenziaria) Calogero Navarra - il sovraffollamento la fa da padrone e, contemporaneamente, ci ritroviamo sempre con meno personale. Abbiamo diverse persone anziane che vanno in quiescenza, e di conseguenza vanno a ridursi sempre di più i controlli sull’utenza”. E se i controlli sono sempre di meno, ancora minore è il tempo che le stesse guardie carcerarie possono dedicare ai detenuti nei tantissimi momenti di sconforto. “Il nostro lavoro - evidenzia Navarra - non è soltanto un’attività di controllo e di sicurezza, ma anche di conforto e dialogo nei confronti degli utenti. Non capita raramente che i detenuti abbiano momenti di smarrimento e depressione. In questi casi basta anche un po’ di dialogo con l’agente addetto alla vigilanza. Ma purtroppo tutto questo oggi viene pure meno, l’agente non ha il tempo di dialogare e questo è un altro fattore importante. I professionisti, come gli psicologi, sono sempre meno presenti perché ci sono sempre meno soldi, e dunque diventa quasi normale che accadano episodi come quelli che si sono verificati al carcere di Ragusa. Fino a qualche anno fa i detenuti potevano lavorare anche sei ore al giorno, ora non più di tre. Ed ovviamente stiamo parlando soltanto di quello che vivono i detenuti e non delle problematiche che è costretto ad affrontare lo stesso personale di Polizia penitenziaria che è sottodimensionato di circa il 50%. Basti pensare che gli agenti sono una cinquantina quando fino a 5-6 anni fa erano più di 100”. Una delle soluzioni prospettate dai sindacati è la chiusura del carcere di Modica, che permetterebbe di utilizzare al meglio il personale. Sono 35 gli agenti di Polizia penitenziaria che operano all’interno del carcere di Piano del Gesù. “Si tratta - conclude Navarra - di una struttura quasi a gestione familiare che quando sarà smantellata, perché ormai si va in questa direzione, permetterà certamente una migliore razionalizzazione del personale, dal momento che tutti gli agenti potranno operare nella struttura di Ragusa. Ovviamente non sarebbe la soluzione a tutti i problemi, ma sarebbe già un primo passo importante”. Poi ci sarebbero da rivedere le condizioni di una struttura, quella di contrada Pendente, ormai inadeguata che è carente di servizi importanti. Ma in questo senso occorrerà effettuare dei sopralluoghi specifici che possano meglio mettere in luce le eventuali anomalie esistenti. Una cosa è certa. E cioè che gli episodi verificatisi di recente mettono in evidenza la necessità di intervenire in tempi rapidi. Cagliari: Sdr; figlio disabile nonnina 79 anni esce da Buoncammino, va ai domiciliari Ristretti Orizzonti, 19 settembre 2012 Era stato arrestato con l’accusa di aver tentato di rubare un motocarro e aveva patteggiato 4 mesi di detenzione finendo nella Casa Circondariale di Buoncammino dov’è rinchiusa l’anziana madre a cui è particolarmente legato. Le sue condizioni di salute però sono incompatibili con la detenzione e il Magistrato di Sorveglianza dott. Paolo Cossu, accogliendo l’istanza del legale Stefano Piras, lo ha assegnato ai domiciliari. Ha lasciato quindi il carcere di Buoncammino Casimiro Floris, figlio disabile di Stefania Malu, 79 anni. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha appreso della volontà dell’uomo, in attesa che anche la madre faccia ritorno a casa, di accettare un ricovero in un ospedale. I disturbi che lo affliggono non gli consentono di poter badare completamente a se stesso e la sorella che si occupa di lui ha purtroppo un’altra grave situazione relativa alla salute del marito. “Casimiro Floris - afferma Caligaris - ha accolto con soddisfazione il provvedimento del Magistrato e ha ringraziato tutti per l’interessamento ma non dimentica l’anziana madre. “Vado via ma il mio pensiero resta qui. Non posso accettare che mia mamma resti dentro una cella di Buoncammino”. Madre e figlio si erano incontrati nel corso di alcuni colloqui nella Casa Circondariale. La donna, che deve convivere con una serie di patologie sulle quali pesa l’età avanzata, aveva tratto giovamento dalla vicinanza del figlio”. La nonnina di Buoncammino, classe 1933, è tornata dietro le sbarre dopo due anni di domiciliari in quanto le sue condizioni di salute sono risultate discrete alla visita di controllo di un perito del Tribunale. Stefania Malu, che deve scontare una pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008, chiede di poter andare nuovamente a casa per accudire il figlio Casimiro. Grosseto: firmata convenzione, detenuti al lavoro per il Comune di Massa Marittima Il Tirreno, 19 settembre 2012 È arrivata la firma sulla convenzione tra l’amministrazione di Massa Marittima e il carcere cittadino, volta a dare il via a dei programmi per il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Un percorso avviato già quattro anni fa, dovuto anche al costante aumento delle persone accolte nella struttura massetana, che oggi si aggira attorno alle 40 unità. Nonostante il maggior afflusso di detenuti, comunque, la direzione carceraria ha sempre mantenuto la stessa direzione della sua bussola, ovvero la vocazione di favorire progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei carcerati, rafforzando anche le collaborazioni esterne e contando sull’appoggio delle istituzioni. In questi anni, del resto, la direzione del carcere ed il Comune di Massa Marittima hanno collaborato per la realizzazione di vari progetti, favoriti dall’apporto di alcune realtà, associative ed imprenditoriali, della zona. Ma oggi la volontà di entrambe è quella di compiere un altro passo avanti, incentivando percorsi di riflessione sulle condotte devianti nonché di riscatto e rivalutazione sociale. L’intento, insomma, è quello di perseguire fini di sicurezza sociale, recuperando coloro che aspirano a riprendere una vita socialmente valida e proficua. E per rendere tutta la cittadinanza partecipe della novità, i contenuti e gli indirizzi della convenzione saranno presentati giovedì alle 17.30 nella sala consigliare di via Norma Parenti. Bologna: Ipm Pratello; il nuovo direttore chiede più risorse all’amministrazione comunale Dire, 19 settembre 2012 Ad Alfonso Paggiarino, nuovo direttore del carcere minorile del Pratello di Bologna, sono bastati due mesi per capire cosa serve all’Istituto: più soldi. Infatti, Paggiarino, insediato a luglio, oggi pomeriggio ha ricevuto in visita i consiglieri comunali di Bologna, durante un’udienza conoscitiva all’interno del carcere, e dopo averli accolti calorosamente, a consegnato loro alcune richieste: “Sono contento di avervi qua - spiega alla delegazione di Palazzo D’Accursio, in una sorta di sala riunioni - ma è importante che oltre la vostra presenza e le vostre visite, l’amministrazione dia anche una mano sotto il profilo delle risorse”. Perché “al Pratello le iniziative che coinvolgono i ragazzi detenuti sono tante, alcune molto importanti e conosciute in tutta Italia, come quella del Teatro, ma per poterle portare avanti servono i fondi”, che evidentemente secondo il direttore scarseggiano. Paggiarino viene da Treviso e, come ricorda, ha sempre lavorato con i minori. Là “lascio il paradiso - racconta - ma qui non ho trovato l’inferno, anzi, la struttura funziona”. Tuttavia, per farla funzionare meglio “occorrono investimenti”. Queste risorse, tra l’altro, potrebbero sopperire ad alcune criticità che segnala anche il consigliere del Pd Francesco Errani. Quali? “C’è il rischio - spiega - che le attività rieducative che si svolgono dentro il carcere non abbiano un seguito una volta che i ragazzi escono dalla struttura”. Ovvero, “bisogna accompagnare i giovani detenuti in un percorso formativo anche una volta che detenuti non lo sono più”. Un altro problema, secondo Errani, è “la mancanza di un protocollo d’intesa tra Regione e Ausl, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria” all’interno delle mura del Pratello. Protocollo che sarebbe stato firmato “da più o meno tutte le Regioni, tranne la nostra”. Già, perché il carcere “è di competenza regionale e non comunale”, continua, “anche se l’amministrazione comunale non si deve esentare dal fare la sua parte”. In questo senso, il consigliere del Pd risponde alle richieste del direttore Paggiarino: “Il Comune finanzia alcune attività all’interno del carcere, ma le risorse sono quelle che sono, in questo momento”. La visita al Pratello ha suscitato diverse reazioni tra i consiglieri comunali. La leghista Lucia Borgonzoni, ad esempio, su Facebook scrive: “Struttura troppo grande per 22 ragazzi, a fronte di 37 agenti. Poi devo pure sentirmi dire che i musulmani all’interno (stranieri 19, italiani tre) sono pretenziosi sul cibo, sicuro lo sono stati con le tv, visto che in stanza hanno il plasma”. Mentre il democratico Francesco Critelli è meno critico nei confronti dei detenuti e sottolinea, sulla scia del direttore Paggiarino, che “ciò che preoccupa è la continua diminuzione di risorse disponibili, per una struttura che invece avrebbe bisogno di manutenzione, nuove attività e spazi comuni oggi non disponibili come un giardino con delle panchine”. Comunque, l’iniziativa di Errani, ovvero “sensibilizzare la politica e il Consiglio comunale verso i temi costituzionali della rieducazione all’interno delle carceri”, sembra avere sortito qualche effetto. E dopo la visita al Pratello, Errani anticipa di averne richiesta una anche alla Dozza e al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Bologna, che però “ancora non sappiamo quando saranno organizzate”. Nel frattempo, Errani conclude sottolineando quanto “il carcere minorile sia una risorsa per tutta la città, e come tale deve essere trattato”. Avezzano: al via progetto Or.F.eO, per inserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro www.marsicalive.it, 19 settembre 2012 Sarà presentato domani alle 11 nella sala rossa del Crab in via Sandro Pertini 106 il progetto: Or.F.eO. Orientamento, formazione e occupazione, che accompagna detenuti ed ex detenuti nel percorso di inserimento socio lavorativo. L’iniziativa, promossa dall’associazione temporanea di scopo “Or.F.eO” con capofila formAbruzzo, partner ATS: Associazione ARA Confesercenti Federazione Provinciale dell’Aquila, ALI - Agenzia per il Lavoro S.p.A., filiale di Avezzano, Associazione Onlus - Socialità e Integrazione, Associazione Onlus - Liberi per Liberare, Sintab srl, ha l’obiettivo di realizzare un percorso formativo che permetta al detenuto di acquisire una qualifica immediatamente spendibile sul mercato del lavoro fornendo servizi d’orientamento e accompagnamento finalizzati al reinserimento lavorativo. Il progetto Or.F.eO. è articolato su due macro aree: l’Intervento A, che prevede dei corsi di formazione interni alla Casa di Pena di Avezzano e l’Intervento B tutto incentrato sull’esperienza lavorativa. Domani mattina i partner del progetto e i rappresentanti istituzionali presenteranno l’iniziativa e spiegheranno le varie fasi lavorative. Interverranno ai lavori Gianni Di Pangrazio, sindaco di Avezzano, Antonio Del Corvo, presidente Provincia dell’Aquila, Lorenzo Berardinetti, presidente Gal Terre Aquilane, Angelo Pierleoni, presidente FormAbruzzo, e Mario Silla, direttore casa circondariale di Avezzano. La presentazione tecnica sarà affidata a Guido Pisegna, direttore FormAbruzzo. Foggia “Montiamoci la testa”, 20 detenute partecipano corso formazione per parrucchiere Ristretti Orizzonti, 19 settembre 2012 Il “pianeta carcere” è uno dei temi che maggiormente segna il dibattito politico e culturale nel nostro paese, soprattutto per la preoccupante situazione di sovraffollamento che presentano gli istituti penitenziari e per le inadeguate offerte di reinserimento sociale nei confronti di chi è condannato a una pena detentiva. Al riguardo, si delinea sempre più chiaramente come la richiesta di maggiore sicurezza sociale da parte di rilevanti settori della società civile sia strettamente connessa a una maggiore efficacia dei percorsi di inclusione sociale di chi delinque. Così come, per favorire le politiche d’integrazione sociale dei condannati è necessario che le istituzioni ed il mondo delle imprese incrementino il proprio impegno nella ricerca di maggiori opportunità d’inclusione lavorativa per i soggetti in esecuzione penale. Nel solco di tale auspicato impegno, nel territorio della Capitanata si è realizzata un’innovativa iniziativa progettuale, finalizzata ad estendere le opportunità occupazionali delle detenute della Casa Circondariale di Foggia. In un proficuo clima di collaborazione, la dr.ssa Angela Intini, direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Foggia, la dr.ssa Maria Affatato, direttore della Casa Circondariale di Foggia, il signor Ferdinando Del Vecchio di professione parrucchiere per signore, con esperienza pluriennale nel settore e la casa cosmesi della L’Oreal, hanno organizzato un corso di formazione professionale per parrucchiere per circa 20 detenute che ha avuto inizio il 17 settembre 2012, al termine del quale le corsiste conseguiranno un attestato spendibile per un possibile inserimento lavorativo. Va segnalato, che tale meritevole iniziativa si è potuta realizzare grazie alla sensibilità ed allo spirito solidaristico non soltanto del sig Del Vecchio che ha messo a disposizione le proprie competenze professionali, nonché la disponibilità a livello personale, ma anche grazie ai dirigenti della casa cosmesi della L’Oreal, in particolare il dott. Falconi, che hanno reso possibile dal punto di vista economico la realizzazione del percorso formativo, fornendo il materiale necessario, assegnando anche ad ogni corsista un kit completo... perché “Montiamoci la testa” siamo donne! Genova: “moralmente indegno”, il Prefetto revoca la patente all’ex spacciatore di Graziano Cetara Secolo XIX, 19 settembre 2012 Ci sono condanne che non si scontano mai fino in fondo. E che ti inseguono. Diventano una seconda carta d’identità e viaggiano con te. Il carcere, quando è un tribunale a sentenziare, dovrebbe essere una parentesi più o meno lunga prima del riscatto, della riabilitazione. Dovrebbe. Per il codice della strada, invece, la pena non basta. Ora a Genova, in base a una legge introdotta due anni fa ma rimasta di fatto inapplicata in attesa di modifiche e aggiornamenti mai arrivati, il giudizio si estende alla sfera morale della persona. Proprio così. E una condanna per questioni di droga diventa un marchio di indegnità, inaffidabilità (anche se controlli e analisi negli anni hanno dimostrato il contrario) capace di farti revocare la patente. Matteo G., 41 anni, rappresentante di commercio di Arenzano, chiede di restare coperto dall’anonimato per non aggiungere un altro danno alla “beffa appena incassata”: per i prossimi tre anni potrà spostarsi solo a piedi o accompagnato. Lo ha deciso il prefetto. Ha sbagliato, Matteo G., finendo nelle maglie di una organizzazione di spacciatori di cocaina nell’ormai lontano 2006. Ha pagato un primo conto, con una condanna a tre anni e mezzo. E si è sottoposto a ogni genere di test e analisi, dal sangue ai capelli, passando ogni controllo. La giustizia però non si è fermata e quando ormai la sua vita si era stabilizzata sulla retta via, con una moglie e una figlia in arrivo tra qualche mese e un lavoro come rappresentante di gioielli ormai avviato, è arrivata la mazzata: sei indegno, gli dice in sostanza il provvedimento, quindi non puoi guidare fino a nuovo ordine. È successo alla fine del mese scorso e il provvedimento è stato notificato quando Matteo e la famiglia si trovavano in vacanza in Trentino. In campeggio. L’ufficiale giudiziario incaricato dalla prefettura di Genova non ha sentito ragioni. E ha raggiunto il camping per farsi consegnare la licenza di guida. Risultato? Marito e moglie incinta sono rimasti a piedi. Ma quel che è peggio, avvertono gli avvocati del commerciante (Carlo Contu per gli aspetti penali, e Maurizio Porretti e Stefano Mascini per quelli civili) è che senza la possibilità di guidare Matteo non può neanche tenersi il lavoro. Lascia stare che, risolto il problema della vacanza conclusa con un inatteso viaggio in treno, il rappresentante abbia deciso di tenere segreto il suo impiccio e di dotarsi di un autista personale per non perdere il lavoro. Il problema ora è combattere contro un marchio di infamia che dice di non meritare. E lo afferma esibendo le carte a sostegno della sua buona condotta. Il primo dei punti fermi è rappresentato dai tempi. L’inchiesta per spaccio risale a un periodo nel quale Matteo non aveva ancora la patente, Siamo nel 2006. L’allora trentaseienne patteggia una pena a tre anni e mezzo che, tra custodia cautelare e arresti domiciliari, sfocia ben presto nell’affidamento in prova: il test con il quale si concludono quasi sempre certe pene per le quali il ritorno in libertà non rappresenti un rischio enorme per la società. Matteo supera l’esame e la sua pena viene scontata ed estinta. A questo punto decide di rifarsi una vita. Prende moglie e patente. E siamo nel 2010. La sua esistenza cambia rotta. Si sottopone a ogni genere di test per dimostrare a tutti che ha tagliato con la droga e con l’ambiente marcio tutto attorno. Gli alambicchi della Asl confermano puntualmente la sua buona fede e il suo stato di salute. E il segno del riscatto. Ma il passato ritorna. Lo fa nei modi più beffardi, a volte. E nel caso di Matteo lo fa rinfacciandogli degli episodi minori relativi agli stessi fatti per cui era stato condannato e poi incarcerato. Briciole giudiziarie di un’inchiesta che doveva essersi esaurita e invece ancora aveva in servo delle sorprese. Al rappresentante viene presentato un conto da nove mesi di reclusione da scontare. Sono fatti che risalgono a quando ancora non aveva la patente e che nulla potevano aggiungere o togliere alla sua moralità: si può essere più o meno indegni se si spaccia dieci volte oppure dodici? Per il prefetto di Genova sì. E sulla base della legge nel frattempo entrata in vigore, Matteo riceve la revoca della patente. Con i suoi avvocati presenta un ricorso al giudice di pace, tentando la strada più breve tra quelle consentite. Ed è di ieri la decisione di sospendere temporaneamente il provvedimento del prefetto. Matteo potrà continuare a guidare fino al 29 novembre. Quando un altro giudice sarà chiamato a decidere sulla sua moralità. Solo a quel punto questa storia giudiziaria potrà arrivare al punto. E solo allora Matteo saprà quante condanne ancora dovrà scontare prima di provare a rifarsi una vita. Milano: il Prefetto; l’aumento della criminalità? tra gli effetti collaterali della crisi Di Andrea Galli Corriere della Sera, 19 settembre 2012 Il tempo d’una gestazione e quant’è già cambiata Milano. A dicembre il questore Alessandro Marangoni, nell’incontro con la stampa per salutare il 2011 e pensare all’anno nuovo, diceva che un conto è l’ordine pubblico contro i violenti da stadio e i rivoltosi di una manifestazione; ben altra cosa è trovarsi in faccia a un licenziato padre di famiglia che cerca di assaltare la sua ex azienda. Adesso il prefetto Gian Valerio Lombardi, a margine di un colloquio sul tema della sicurezza nei giorni dell’agguato di via Muratori, dice questo: “In città preoccupano e non vorrei fossero sottovalutati gli effetti collaterali della crisi nel lavoro”. Un esempio di effetto collaterale è l’imbuto “nel quale cade un imprenditore a corto di denaro che non riceve finanziamenti dalle banche e insiste nella ricerca di soldi attraverso i canali ufficiali, entrando in un mondo dalle mille variabili impazzite e dalle conseguenze imprevedibili”. Lombardi non menziona il termine “usurai”: in una Milano dove mafie diverse trovano facile ospitalità e si mischiano, non esistono più categorie specifiche neppure nella criminalità. Le associazioni anti-racket sono piene di storie nate dai prestiti del vicino di ballatoio che sapeva delle difficoltà economiche; e ugualmente nel quartiere Corvetto la ‘ndrangheta aveva arruolato impiegati di istituti di credito che segnalavano clienti bisognosi. Certo poi non è una esclusiva questione delinquenziale. Il prefetto menziona Cassina dè Pecchi, paese dell’hinterland, distretto dell’alta tecnologia e dell’informatica. A colpi di cassintegrazione il distretto è stato frantumato. Centinaia di posti di lavoro perduti. “Un’altra situazione che spaventa è il progressivo abbandono da parte degli stranieri delle sedi che da produttive si trasformano in sedi di rappresentanza”. Restano gli edifici, i tanti edifici svuotati. Da affittare. Come a Cassina de Pecchi. Forse non ci sono legami tra gli episodi di martedì e lo spaventoso aumento cittadino del venti per cento dei reati predatori, scippi e borseggi della malavita di strada improvvisata, nullafacente, affamata. E certo è lodevole il rafforzamento della vigilanza della Prefettura negli appalti dei lavori pubblici che ha portato all’estromissione di cento aziende in odore di mafia. Però in Prefettura arrivano e si amplificano i racconti dal fronte delle cooperative di facchini e magazzinieri. Spiegano i sindacati: “Anche all’interno del medesimo appalto c’è un vorticoso giro di cooperative. Nascono, muoiono, rinascono, cambiano nome. E questo perché? Perché il vortice rende impossibile qualsiasi controllo sindacale e rende il sistema permeabile a qualsiasi forma di illegalità”. Sono le stesse cooperative che indicano al clandestino che vuole un impiego dove andare per fabbricarsi il falso permesso di soggiorno. La pratica è diffusa e antica: se è in leggero calo è semplicemente perché nelle cooperative aumentano gli italiani. Pesaro: il Premio giornalistico Valerio Volpini sarà assegnato quest’anno a Ornella Favero Il Messaggero, 19 settembre 2012 Il Premio giornalistico Valerio Volpini sarà assegnato quest’anno a Ornella Favero, direttrice di “Ristretti Orizzonti”. Il riconoscimento, giunto ormai alla sua ottava edizione, sarà consegnato venerdì 5 ottobre alle 10 durante il convegno annuale del settimanale interdiocesano “Il Nuovo Amico”, al teatro della Casa circondariale di Villa Fastiggi. La sede non è casuale, dal momento che il titolo dell’edizione 2012 è “Penna libera tutti: giornalismo in carcere”. Nel corso della cerimonia di premiazione, verrà anche presentato “Penna libera tutti”, il nuovo mensile d’informazione realizzato dai detenuti del carcere di Villa Fastiggi, che verrà distribuito come inserto de “Il Nuovo Amico”. Saranno gli stessi componenti della redazione del carcere a illustrare i contenuti e le finalità del progetto. Il convegno è aperto a tutti, ma per poter accedere al teatro della Casa circondariale, occorre comunicare alla redazione del settimanale interdiocesano il proprio nominativo entro il 20 settembre telefonando al 339.6563657 oppure inviando una e-mail a info@ilnuovoamico.it specificando nome, cognome, luogo e data di nascita. All’incontro saranno presenti la direttrice della Casa circondariale, Claudia Clementi, il direttore de “Il Nuovo Amico”, Raffaele Mazzoli, il garante per i diritti dei detenuti delle Marche, Italo Tanoni, il presidente del consiglio provinciale, Luca Bartolucci, il sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli, il prefetto Attilio Visconti e i tre vescovi di Pesaro, Fano e Urbino, rispettivamente monsignor Piero Coccia, Armando Trasarti e Giovanni Tani. Ferrara: “Libri dietro le sbarre”, da domani si torna a discutere di carcere e pena www.telestense.it, 19 settembre 2012 A Ferrara si torna a discutere di carcere e di detenzione: giovedì 20 settembre alle 17 30, presso la libreria Ibs Bookshop di Palazzo San Crispino, si svolgerà il primo di cinque incontri dal titolo “Nuovi Libri dietro le sbarre”, promossi dal Dottorato di diritto costituzionale dell’Università di Ferrara. Ne sarà protagonista, con il libro “Il perdono responsabile”, l’ex pm milanese Gherardo Colombo: al centro del dibattito, le pene alternative al carcere. Anche quest’anno, l’anima di questi momenti di riflessione sarà il professor Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale del nostro ateneo. I cicli di incontri promossi l’anno scorso e quest’anno dal professor Pugiotto (con la collaborazione, tra gli altri dei garanti regionale e provinciale dei diritti dei detenuti) fanno i conti con questi temi: il carcere, le pene detentive, intese come sintomi della civiltà non solo giuridica di un Paese. Lo scorso luglio, il professor Pugiotto è stato il primo firmatario di un documento - sottoscritto da 131 giuristi italiani - rivolto al Capo dello Stato, perché portasse con rapidità davanti alle Camere un problema da troppo a tempo irrisolto del nostro Paese: il sovraffollamento delle carceri, le condizioni spesso inaccettabili della detenzione in Italia. Problemi con cui fa i conti anche le nostra città. Nel 2011 libri dietro le sbarre si occupò di ergastolo, pena di morte, suicidi in carcere. Quest’anno i temi saranno altrettanto complessi e controversi: il 41 bis, cioè il regime di carcere duro; l’edilizia penitenziaria; gli ospedali psichiatrici giudiziari; le pene alternative al carcere. Tra gli appuntamenti è previsto anche una rappresentazione teatrale, il 5 ottobre alle 17 30: Horacio Czertok e Monsef Aissa presentano “Il Mio vicino”, racconti, storie dialoghi tra un attore e un cittadino tunisino detenuto. Televisione: domani “Cominciamo Bene” (Rai 3) ancora in diretta da Rebibbia Agi, 19 settembre 2012 Cominciamo Bene, in onda giovedì 20 settembre alle 10.30 su Rai 3 propone la seconda delle due puntate trasmesse eccezionalmente dalla casa circondariale maschile del nuovo complesso di Rebibbia di Roma, uno dei più grandi istituti di pena del nostro Paese. Giovanni Anversa e Arianna Ciampoli dal teatro di Rebibbia con Marco e Alessandro, due detenuti, Nichi Vendola governatore della Puglia, Marco Staderini segretario Radicali Italiani e Mario Pepe del Gruppo Misto, parleranno di lavoro, di crisi e di tagli, e del perché per molte persone detenute il lavoro è un obiettivo primario. I disoccupati reali in Italia sono circa quattro milioni. Se non c’è lavoro per chi ha la fedina penale pulita, che speranza c’è per chi esce dal carcere? Si parlerà del lavoro in carcere. Si aggiungeranno agli ospiti Luigi Pagano, vice capo del Dap; Luciana Delle Donne di Made in Carcere; Giampolo Cassitta di Galeghiotto, Andrea Vecci del Consorzio Gino Mattarelli, tutte imprese che hanno investito sul lavoro dei detenuti e Carmen Bertolazzi dell’Associazione Ora D’Aria che promuove il lavoro all’interno del Carcere. Ma secondo i dati più recenti solo il 20% dei detenuti è impegnato in un’attività lavorativa. Cosa si può fare per migliorare la situazione? La detenzione mette a dura prova qualsiasi tipo di rapporto affettivo. Come vive queste difficoltà chi è dentro e chi è fuori dal carcere ad aspettare? Se ne parlerà con Marco, Alessandro, Antony e Enrico detenuti, Don Sandro Spriano da 22 anni cappellano a Rebibbia e Gaetano Di Vaio e Barbara Cupisti, documentaristi. Immigrazione: fughe dai Cie, sono 733 gli irregolari “evasi” dai Centri nel 2012 Adnkronos, 19 settembre 2012 È fuga dai tredici Centri di identificazione ed espulsione distribuiti sul territorio nazionale. “Alla data dell’8 settembre scorso, vi sono trattenuti 907 stranieri irregolari, di cui 805 uomini e 102 donne”, fa sapere “Narcomafie”, mensile di informazione e analisi del Gruppo Abele, secondo cui nel 2012 “le rivolte e le proteste, talvolta culminate anche con gravi episodi di violenza nei Cie, si sono susseguite con maggiore frequenza rispetto al 2011, anno in cui, pure, erano stati numerosi i momenti di tensione”. “Nel 2011 - si legge sul sito di Narcomafie - su 7.735 migranti (6.832 uomini e 903 donne) transitati nei Cie, solo la metà (3.880) sono stati effettivamente rimpatriati nei paesi di origine. Nel 2010, la percentuale di trattenuti/rimpatriati era stata del 48%. È aumentato, peraltro, il numero dei migranti che si sono allontanati arbitrariamente dai Cie: 787 nel 2011 contro i 321 dell’anno prima”. E “quest’anno (secondo dati del Dipartimento della Pubblica Sicurezza-Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, non ancora definitivi alla data dell’8 settembre), su 5.642 stranieri transitati nei Cie, sono stati ben 733 quelli che arbitrariamente hanno deciso di andarsene (nottetempo)”. A questo numero, sottolinea il mensile, “vanno aggiunte le persone dimesse per la scadenza dei termini di trattenimento (277), quelle nei cui confronti il giudice di pace non ha convalidato il provvedimento amministrativo di accompagnamento (687) e quelle dimesse per vari motivi (895). Insomma un totale di ben 2.592 persone”. Alcune settimane fa, a Trapani, fa rilevare il mensile del Gruppo Abele, nel nuovo complesso di contrada Milo, una trentina di migranti sono riusciti a fuggire e altri, pochi giorni dopo, hanno tentato una rivolta e la fuga, al grido di “Libertà, libertà”. “Lo stesso grido lanciato dai tunisini trattenuti nel Centro di prima accoglienza di Pozzallo, che ai primi di settembre si sono rivoltati scontrandosi con le forze di polizia (cinque agenti e carabinieri rimasti feriti)”. Per Narcomafie, le “denunce sulle pessime condizioni in cui si trovano gli stranieri nei centri vanno avanti da anni senza che la classe politica abbia mai avuto il coraggio di affrontare seriamente i problemi connessi alle condizioni socio sanitarie di tali strutture, alle modalità di gestione, al rispetto dei diritti degli immigrati”. “Continuiamo la nostra battaglia - spiega Manuela Mareso, direttore di Narcomafie - con la campagna Lasciateci Entrare, promossa con l’obiettivo di avere accesso a queste vere e proprie carceri ingiustificate. Ad oggi - denuncia - non riusciamo ad avere le documentazione necessaria per recarci nei Cie e verificare le reali condizioni in cui si trovano reclusi gli immigrati”. “Non ha senso - rimarca Mareso - che in queste strutture vengano detenute per lungo tempo persone che non hanno compiuto alcun reato. La clandestinità, infatti, è uno stato di fatto, non un reato”. Inoltre “è stato documentato da diversi giornalisti che nei Cie finiscono persone che vivevano e lavoravano regolarmente nel nostro paese da anni e ora, a causa della crisi, hanno perso l’impiego: se fermati, finiscono lì dentro. È una totale mancanza di umanità, perché queste persone dietro le sbarre non hanno diritti civili”. “Questa fotografia non corrisponde alla realtà”, è la replica alla denuncia di Narcomafie che arriva da fonti qualificate della Polizia. “Alle persone ospitate nei Cie - spiegano - viene assicurata ogni assistenza: dalla possibilità di esprimere la propria fede religiosa, al vitto servito secondo le indicazioni del loro credo. Agli immigrati irregolari diamo anche le sigarette. Anzi - si rimarca - alcune delle cosiddette rivolte scoppiate nei Centri, sono state causate proprio dai ritardi nella distribuzione delle sigarette. Ma soprattutto - tengono a precisare le stesse fonti - non si tratta di luoghi di detenzione. Gli spazi abitabili sono più che soddisfacenti e le persone che vi sono ospitate sono costantemente assistite da medici e strutture”. Perciò “basta polemiche: i nostri Cie sono all’avanguardia nell’Unione europea, e non sono centri detentivi”, aggiungono le fonti qualificate della Polizia. Quanto a coloro che hanno perso il lavoro e, “soggetti alla norma comunitaria, se non hanno fatto rientro nei loro paesi nei tempi previsti diventano clandestini. Non sono reclusi nei Cie ma in attesa di essere rimpatriati, d’intesa con le loro autorità consolari”. C’è di più. “Gli immigrati irregolari - fanno notare le stesse fonti - possono tranquillamente comunicare con l’esterno, anche con cellulari o cabine telefoniche che abbiamo messo a loro disposizione, insieme alle schede per poter chiamare”. Infine, sulla questione dei permessi ai cronisti per visitare i Cie, le fonti di Polizia ricordano che “l’autorizzazione all’ingresso viene decisa a livello locale dal prefetto su cui insiste il Centro di identificazione. Ed è legato anche a motivi di ordine pubblico, alla garanzia della sicurezza e al rispetto della privacy di queste persone”. Georgia: ministro della giustizia si dimette per scandalo torture in carcere Tm News, 19 settembre 2012 Il ministro della Giustizia georgiano Khatuna Kalmakhelidze ha rassegnato oggi le sue dimissioni in seguito alla diffusione di immagini che mostrano torture e uno stupro in carcere. Un video è stato diffuso ieri sera dalla televisione dell’opposizione TV9, in una fase molto calda della politica georgiana, a pochi giorni dalle elezioni previste per il primo ottobre. Mostrano, tra l’altro, un prigioniero mezzo nudo in un carcere di Tbilisi picchiato selvaggiamente e stuprato con un bastone. “Quello che è accaduto nel penitenziario numero 8 è orrendo e io ho presentato le mie dimissioni al primo ministro”, ha comunicato il ministro in un commento. Il presidente Mikhail Saakashvili ha affermato, in un comunicato, che la Georgia “non tollererà tali comportamenti” nelle sue prigioni o in qualsiasi altro posto. “Non abbiamo superato anni di impunità e illegalità per permettere ad alcune persone, che siano provenienti dal mondo criminale o, peggio, dal sistema carcerario, di commettere crimini come quelli”, ha aggiunto il capo dello stato. Il presidente ha assicurato che i colpevoli sono già stati arrestati. Il ministero degli Interni, dal canto suo, ha dichiarato che l’incidente è stato creato ad arte da provocatori prezzolati. Gli aguzzini, è la tesi del ministero, sono agenti carcerari che hanno “esercitato il trattamento inumano contro prigionieri e fatto videoregistrazioni in base a un piano preciso”. Migliaia protestano contro abusi su detenuti Un video che mostra gli abusi contro i detenuti in un carcere di Tbilisi, in Georgia, ha provocato una serie di proteste violente nella capitale, a due settimane dalle elezioni presidenziali. Le manifestazioni di protesta sono esplose ieri sera e sono proseguite anche oggi per le strade principali della capitale dopo che la trasmissione del video sulle reti tv pro-opposizione. Le immagini mostrano detenuti mentre vengono torturati e violentati. Lo stesso presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha detto che si impegnerà per punire i responsabili delle violenze nel carcere. I manifestanti chiedono le dimissioni dei ministri chiave. Il governo ha detto che il video è stato registrato dalle guardie carcerarie che sono state corrotti da “persone politicamente motivate”. Il pubblico ministero ha fatto sapere che 10 persone sono state arrestate, comprese il direttore della prigione di Tblisi, due deputati e un certo numero di secondini. Il ministro responsabile per le Carceri ha detto che darà le dimissioni. Turchia: torturate dalla polizia due musiciste della formazione folk Grup Yorum Asca, 19 settembre 2012 Due musiciste della band Grup Yorum, storica formazione folk di sinistra della Turchia, sono state torturate con lo scopo di mettere fine alla loro carriera. Secondo quanto riferito da un loro avvocato, Sema Altin, violinista, e Ezgi Dilan Balci, cantante, sono state arrestate venerdì a Istanbul, insieme ad altre 25 persone che stavano reclamando la restituzione del corpo di un attentatore suicida che l’11 settembre si era fatto esplodere davanti a una stazione di polizia nella capitale, uccidendo un agente. L’attentato era stato rivendicato dal Fronte Rivoluzionario per la liberazione del popolo (Dhkp-C), che Stati Uniti e Unione Europea considerano un gruppo terrorista. Le due donne “sono state torturate fin dal momento del loro arresto”, ha detto all’AFP l’avvocato Taylan Tanay. “Le hanno gettate a terra e le hanno picchiate selvaggiamente”. Entrambe sono state liberate ieri sera in attesa del processo e il loro legale ha presentato una denuncia contro la polizia. Fondato nel 1985, il Grup Yorum è famoso in Turchia e all’estero per le sue canzoni rivoluzionarie. Ispirati dai cileni Inti Illimani e politicamente appartenenti all’area socialista internazionalista, non è la prima volta che i loro membri subiscono la repressione dello Stato turco, con il sequestro dei loro dischi e il divieto di tenere concerti. Afghanistan: 70% donne in carcere fuggite da violenza in famiglia e matrimoni forzati Ansa, 19 settembre 2012 Il 70% delle donne che si trovano nelle carceri dell’Afghanistan sono state arrestate con l’accusa di essere fuggite da casa, nonostante che questo comportamento non rappresenta un reato per la legge afghana. Lo ha reso noto la presidentessa della Commissione parlamentare per i Diritti umani e i Problemi delle donne, Fawzia Koufi. “Siamo di fronte ad un fenomeno abnorme - ha detto la parlamentare secondo il quotidiano online Khaama Press - perché le donne vengono incriminate per adulterio al momento in cui abbandonano le loro case”. Se il governo non ha una legge specifica per questi casi, ha aggiunto, “allora dovrebbe rivolgersi a noi parlamentari per modificare la normativa esistente ed impedire fraintendimenti e cattivo uso dei codici da parte della polizia e delle procure”. Da parte sua la ministra afghana per i Problemi delle Donne, Husn Banu Ghazanfar, ha ammesso la gravità del problema, spiegando che la fuga da casa di ragazze e mogli è dovuta “a matrimoni forzati, differenza di età fra i coniugi, violenza domestica, minacce di divorzio e molte altre ragioni”. Il ministro della Giustizia afghano, Habibullah Ghalib, ha confermato che “il semplice fatto di fuggire da casa non è punibile in base alle leggi nazionali” e che “è necessario adottare urgentemente una apposita legislazione per sanare l’attuale situazione”. Stati Uniti: pena di morte rinviata per obesità, il detenuto Ronald Post pesa oltre 215 kg Ansa, 19 settembre 2012 Ronald Post è un detenuto nel braccio della morte dell’Ohio, reo di aver ucciso trent’anni fa una donna durante una rapina. Ma i suoi legali hanno chiesto la sospensione della pena di morte, prevista per il prossimo 16 gennaio, perché il loro assistito pesa intorno ai 215 kg, il che costituisce “un rischio sostanziale che ogni tentativo di ucciderlo con un’iniezione letale provochi una grave sofferenza fisica e psicologica per il condannato, con un’esecuzione lunga e difficile”. Negli Usa non è la prima volta che viene chiesta una sospensione della pena per obesità, poiché il peso eccessivo può trasformare l’esecuzione in un’autentica tortura. Ma il figlio della vittima ha scritto al Morning Journal una lettera in cui invitava a uccidere al più presto il detenuto. Egitto: cristiano copto picchiato in carcere per aver “caricato” sul web film blasfemo Agi, 19 settembre 2012 Alcune Ong egiziane hanno denunciato l’arresto e le percosse subite in carcere dal cristiano-copto Albert Saber, accusato dai vicini di aver “caricato” sulla rete spezzoni del film islamofobo “L’innocenza dei musulmani”, realizzato negli Usa, che ha innescato un’ondata di violenza anti-americana ed occidentale in tutto l’Islam. Saber, 27 anni laureato in Informatica, è stato arrestato la scorsa settimana. I vicini lo hanno accusato anche di aver iniziato a girare un film in cui avrebbe irriso tutte le religioni. Al momento si trova in stato di detenzione preventiva mentre sono in corso le indagini. La madre di Saber, Kariman Ghali, ha respinto le accuse rivolte al figlio e ha rivelato di essere stata lei a chiamare la polizia quando “alcuni teppisti hanno iniziato a colpire”, il ragazzo nella casa del povero quartiere di Marak, “accusandolo di aver insultato l’Islam”: “Ho chiamato gli agenti ma invece di proteggerci lo hanno portato via”.