Giustizia: braccio di ferro in Commissione; slitta ddl su messa a prova e misure alternative Ansa, 14 settembre 2012 L’ufficio di presidenza della commissione Giustizia della Camera ha rinviato l’approdo in Aula del provvedimento sulla messa alla prova e la detenzione domiciliare. Il provvedimento doveva andare in Aula il 24 settembre, ma non era ancora stato completato l’esame per cui si è scelto di farlo slittare. In commissione è andato, però, in scena un braccio di ferro tra Pd, Fli e Udc da una parte che chiedevano che il rinvio si concludesse con una data certa, a un mese esatto dalla precedente calendarizzazione e Pdl, Lega e Idv che non volevano vincolarlo a una data. A spuntarla sono stati questi ultimi e dunque il rinvio è per il momento senza un termine. Giustizia: i soldi per il Piano carceri ci sono… e presto saranno nelle casse del ministero Public Policy, 14 settembre 2012 I soldi per il Piano carceri ci sono, e presto saranno nelle casse del ministero di via Arenula. Lo ha assicurato il sottosegretario alla Giustizia Sabato Malinconico, rispondendo in commissione alla Camera a una richiesta di Manlio Contento (Pdl). Il deputato aveva infatti presentato, insieme al collega del Pd Mario Cavallaro, una risoluzione (approvata all’unanimità il 21 giugno) sulla questione. I due parlamentari impegnavano il Governo “a provvedere senza ritardo al trasferimento attraverso il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica; ndr) dei fondi alla disponibilità del prefetto Angelo Sinesio, commissario delegato per il superamento della situazione conseguente al sovrappopolamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale”. In particolare, dei fondi “necessari per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari”, come Torino, Catania, Pordenone e Camerino. “In merito alla richiesta presentata dall’onorevole Contento - ha precisato il sottosegretario - faccio presente che dopo l’assegnazione della somma di 122 milioni disposta dal Cipe, l’amministrazione ha richiesto e sollecitato il trasferimento dei fondi. Assicuro dunque la commissione che l’annualità 2012, pari a circa 45 milioni di euro, sarà trasferita dal ministero dell’Economia in tempi brevi nella disponibilità del ministero della Giustizia”. Giustizia: Ucpi; una settimana di sciopero, per chiedere il rispetto della Costituzione Tm News, 14 settembre 2012 “Serve coraggio. Lo devono avere il governo, il Parlamento, i cittadini, i magistrati e gli avvocati. Perché rispettare la Costituzione ormai non è più così scontato. E per questo noi chiediamo che si rifletta su alcuni argomenti che invece non sembrano proprio essere all’ordine del giorno”. Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione camere penali, non usa il fioretto: “Gli avvocati sono oggetto di una riforma frutto della ideologia della liberalizzazione. Non si può continuare così”. Dal 17 al 21 settembre l’Unione Camere Penali Italiane ha indetto uno sciopero. I motivi sono tutti illustrati da una serie di manifesti che sono stati affissi nei tribunali. Si va dalla legge sulle intercettazioni al carcere, passando per la terzietà del giudice al previsto intervento legislativo sulla professione legale. “In Italia ci sono 260mila avvocati. Basta scorrere alcune pagine internet per notare i germi di un degrado. Noi diciamo che negli studi di avvocati ci devono stare solo avvocati - ha detto ancora Spigarelli - E non soci con interessi in questa o quella impresa”. È sulle intercettazioni che però serve coraggio. “Eppure basterebbe attenersi e rispettare l’articolo 15 della Costituzione. Dicono che le comunicazioni tra i cittadini siano inviolabili - ha sottolineato Spigarelli. È possibile violarlo? Solo in alcuni casi, per brevi periodi, per alcuni reati. Ma tutto questo è teoria. La realtà dei processi dice che si fanno intercettazioni a prescindere. Per cercare i reati. La giurisprudenza dovrebbe difendere, invece, quei valori condivisi della nostra carta fondamentale. E l’errore non lo commettono i pubblici ministeri, ma i giudici che autorizzano le intercettazioni con motivazioni che spesse volte sono la copia delle richieste fatte dai pm”. Quel che serve, insomma, è una “avvocatura moderna, consapevole del ruolo fondamentale che ha”. Per questo - ha continuato Spigarelli - “speriamo che una legge di riforma arrivi in Parlamento. La specializzazione è giusta, anzi da noi richiesta, auspicata. Ma deve essere capace di rendere gli avvocati liberi, autonomi e indipendenti”. L’appello alla terzietà del giudice è allora una volta più forte. “Anche perché dal governo Berlusconi a quello Monti non mi sembra che sia cambiato moltissimo”. Il quadro di 70mila detenuti in carcere non fa essere ottimisti. “Abbiamo visitato moltissime carceri questa estate - ha spiegato Spigarelli - il panorama è indegno e ci siamo pure stancati a usare questo refrain. Lo vogliamo dire o no che ci sono sanzioni più efficaci dello sbattere in cella una persona? La Severino lo ha affermato. Poi però siamo costretti a leggere nuovo desiderio di galera di fronte a questo o quell’allarme”. Carcere sia l’extrema ratio (blogdellagiustizia.it) Dal 17 al 21 settembre l’astensione dei penalisti italiani, contro la riforma forense in discussione al parlamento, ma anche un appello forte contro le condizioni dei quasi settantamila detenuti in Italia, la metà dei quali ancora senza condanna. Un appello della Ucpi. Avvocati penalisti italiani in sciopero, per 4 giorni, dal 17 al 21 settembre. Tra le ragioni, l’opposizione alla riforma dell’ordinamento forense nelle modalità formulate dal governo, ma anche una presa di posizione forte contro la situazione delle carceri italiane. Scrive l’Unione delle Camere Penali Italiane (Ucpi): “Le condizioni in cui i quasi settantamila detenuti italiani scontano le pene sono, secondo le istituzioni Europee, contrarie alle convenzioni internazionali”. E ancora: “Quasi la metà dei detenuti italiani è costituita da persone che non hanno ancora subito una condanna definitiva ma è solo in attesa di giudizio”. Già perché poi, tra coloro in attesa di giudizio, almeno la metà viene assolta. Dunque, per la legge dei numeri, si può dire che nelle carceri italiane vengono tenuti “ristrette” ogni giorno, per 24 ore al giorno, circa 13-14 mila persone innocenti. Aggiunge l’Ucpi: “Le pene detentive devono costituire una extrema ratio, da applicarsi solo ai condannati per reati gravi; per molti delitti sono ben più efficaci e vantaggiose per la società, pene alternative come i lavori socialmente utili o le interdizioni a svolgere determinate attività”. Anche perché, numeri alla mano di nuovo, è ormai dimostrato il bassissimo tasso di recidiva tra coloro che, pur condannati, riescono poi ad accedere alle pene alternative, di vario grado e misura. Ebbene, anche per tutto ciò i penalisti italiani incroceranno le braccia per 4 giorni. Giustizia: passo positivo contro la tortura, ma forze politiche dovevano avere più coraggio di Mauro Palma (Ex presidente del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa) Il Manifesto, 14 settembre 2012 Anche più in là di quella che nel calcio si chiama “zona Cesarini”, la commissione giustizia del senato ha unanimemente approvato un testo per l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale e lo ha trasmesso all’aula per la discussione. La legislatura è agli sgoccioli e non sarà semplice avere l’approvazione definitiva del testo. L’impegno della commissione è tuttavia positivo. Perché il precedente governo aveva detto al Comitato dei diritti umani dell’Orni che questo reato non era una priorità. Nonostante i più di venticinque anni che ci separano da quando l’Italia ratificò la Convenzione contro la tortura impegnandosi a rispettarla in tutte le sue parti. Un impegno positivo, ancora, soprattutto a seguito di sentenze - a Genova e ad Asti per citare le recenti - che hanno certificato l’impossibilità di perseguire adeguatamente comportamenti di intenzionale e grave maltrattamento di persone private della libertà da parte di chi le aveva in custodia, riassumibili appunto in quel termine “tortura” che il nostro codice non menziona. Giudizi che conseguentemente hanno evidenziato la propria impotenza a condannare i responsabili a una pena adeguata; spesso hanno dovuto dichiarare che tutto era stato cancellato dal tempo ormai scaduto: reato prescritto. Quindi, un primo passo è compiuto: vedremo se l’attuale governo porrà questo tema in cima o in fondo all’agenda dei provvedimenti sulla giustizia, su cui molto sembra affannarsi la strampalata maggioranza che lo sostiene. Tuttavia dal testo approvato emerge qualche nota di carattere culturale su cui vale la pena soffermarsi, anche perché dopo anni di dibattito attraverso le varie legislature ci si attenderebbe un testo perfetto o quasi. E la prima osservazione è sul fatto che la configurazione del reato, la sua descrizione, non doveva essere - come invece è stata - di difficile e controversa elaborazione. La si poteva infatti riprendere dalla definizione che di tale crimine viene data dalla stessa Convenzione, che compiutamente descrive quale atto si caratterizzi come tortura e che soprattutto tipizza il reato come reato specifico commesso “da un pubblico ufficiale o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale”. La scelta del testo approvato è invece diversa: il reato è generico, può essere cioè commesso da chiunque, anche se la pena è aumentata se a commetterlo è stato “un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, nell’esercizio delle sue funzioni”. Gli effetti non sono diversi: la pena prevista dal testo approvato è adeguata sia nel caso generico (da tre a dieci anni) sia nell’aumento previsto nel caso di pubblico ufficiale (da quattro a dodici); se poi le lesioni sono gravi la pena aumenta ancora, e arriva a trent’anni in caso di morte come conseguenza non voluta e all’ergastolo se invece è cagionata dalla tortura stessa. Pene adeguate, è vero, ma l’aver voluto un reato generico e non tipizzato corrisponde alla volontà di non inserire nel codice un reato che specificatamente abbia come attori le forze di polizia, i carabinieri, la polizia penitenziaria. Qui è il nodo culturale giacché è ben chiaro a tutti che quando si parla di tortura ci si riferisce proprio a un reato compiuto nell’esercizio del potere della forza da parte di agenti dello stato, ma le forze politiche parlamentari non hanno avuto il coraggio sufficiente per affermarlo. In questo si illudono di aver fatto l’interesse delle varie forze dell’ordine; al contrario, hanno invece certificato un bisogno di immergere i comportamenti gravi e illeciti compiuti da alcuni singoli o settori, in un mare indistinto, in ciò non contribuendo agli sforzi di chi, all’interno di esse, è impegnato per una sempre maggiore trasparenza, correttezza e democrazia. Due note a margine emergono inoltre dal testo. La prima riguarda la non previsione di un fondo per il risarcimento delle vittime, al fine di aiutarle nel percorso di riabilitazione dopo una così dilaniarne esperienza: era nel testo iniziale, ma ha subito la scure delle ristrettezze finanziarie, nonostante sia noto che tale percorso richieda assistenza, aiuto e, quindi, anche sostegno economico. La seconda attiene alla più generale visione della pena: sarebbe un segno di civiltà giuridica non trovare più la parola ergastolo in una norma di nuovo conio, anche in quelle che riguardano i reati più odiosi, quale può essere la morte sotto tortura. Bastava scrivere nel testo che nel caso di morte causata da tortura si applica la pena massima prevista e lasciare così aperta la porta alla possibilità di vedere un giorno l’ergastolo bandito dal nostro ordinamento. Sono note più importanti per la nostra consapevolezza che non per la valutazione complessiva di un passo tardivo ma comunque positivamente compiuto. Ora si tratta di vedere se si è trattato solo di un passo simbolico o saprà essere concreto: nella definitiva approvazione prima, e nell’applicazione effettiva, poi. Giustizia: reato di tortura approvato in Commissione al Senato, che adesso diventi legge di Susanna Marietti www.linkontro.info, 14 settembre 2012 “Chiamiamola tortura”. Questo il nome della campagna promossa dall’associazione Antigone nel maggio scorso per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. Una campagna che ha superato ormai le 5.500 firme e che vede come primi firmatari Andrea Camilleri, Massimo Carlotto, Ascanio Celestini, Cristina Comencini, Erri De Luca, Luigi Ferrajoli, Rita Levi Montalcini, Elena Paciotti, Mauro Palma, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Daniele Vicari e Vladimiro Zagrebelsky. Diamo alle cose il loro nome. Chiamiamola tortura. Sì, perché fu tortura quella perpetrata nella scuola Diaz di Genova e poi nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001, così bene raccontata dal regista Vicari. E fu tortura, come ha riconosciuto nel gennaio di quest’anno lo stesso giudice impossibilitato dalla mancanza del reato a emettere la sentenza che avrebbe voluto, quella che nel carcere di Asti vide vittime di brutali violenze due detenuti. E fu tortura quella che, nella civilissima Italia, ha mandato a morte troppe persone nelle mani di uno Stato che non ha saputo custodirle. Se, come dice il filosofo Eligio Resta, il Parlamento è il luogo principe della parola, il luogo del parlare, il luogo dove la società impara a nominare le cose, allora che trasformi al più presto in legge il testo uscito ieri dalla Commissione Giustizia del Senato e chiami la tortura con il suo nome. Gli altri nomi - maltrattamenti, lesioni, abuso d’ufficio - non solo sufficienti, e oramai ne abbiamo avuto prove in abbondanza. Le parole del diritto hanno confini precisi, non possono accontentarsi dell’indeterminatezza delle lingue naturali. La tortura da introdurre nel nostro codice va definita con quanta più esattezza possibile. L’appello di Antigone chiedeva che venisse riprodotta fedelmente la definizione presente nel Trattato Onu. “Una sola norma già scritta in un atto internazionale. Per approvarla ci vuole molto poco”. Perché cambiare le parole di una norma condivisa da così tanti Paesi di tutto il mondo? Fatto sta che da mesi si discute una definizione tutta italiana. Con grande preoccupazione, prima dell’estate avevamo appreso che il Governo aveva voluto introdurre in tale definizione un paio di precisazioni. La prima correggeva il testo iniziale spiegando che, affinché di tortura si tratti, le violenze inflitte non possono limitarsi a essere violenze fisiche né a essere violenze psichiche. No. Devono essere necessariamente sia l’una cosa che l’altra, violenze psicofisiche. Che senso poteva ciò avere se non quello di sottostare a qualche pressione proveniente dalle forze dell’ordine, inspiegabilmente da sempre spaventate dall’introduzione del reato di tortura? Antigone, allarmata, aveva segnalato la faccenda al relatore Felice Casson, il quale aveva assicurato che se ne sarebbe fatto carico. Ed è stato di parola. Il testo uscito ieri dalla Commissione, grazie a un emendamento da lui presentato assieme al co-relatore Alberto Balboni, parla di sofferenze fisiche o psichiche, lasciando dunque la possibilità che si configuri il reato di tortura anche qualora ci siano solo le prime (più difficile) o solo le seconde (casi facilmente immaginabili). Con altrettanta preoccupazione Antigone aveva accolto la seconda precisazione governativa. Tali sofferenze, diceva l’emendamento del ministro Severino, affinché si possa parlare di tortura devono essere cagionate a una persona “privata della libertà personale e non in grado di ricevere aiuto”. Difficile comprenderne il senso. Come si diceva, le parole del diritto devono essere ben definite. Quando è difficile comprendere il senso di un’espressione, essa si presta a venire manipolata in direzioni non sempre virtuose. Se mi trovo in una cella e vengo picchiata da una squadretta di agenti sono o non sono in grado di ricevere aiuto? Sì, perché no? Magari non lo ricevo nei fatti, ma certo che sono in grado potenzialmente di riceverlo. Potrebbe passare da lì il direttore, o una guardia onesta, o un volontario amico campione di arti marziali. Bene. Anche su questa frase il senatore Casson è intervenuto con una correzione che non la fa più sfigurare nel codice penale di una democrazia. Anche qui la congiunzione è stata trasformata in una disgiunzione. La vittima della tortura deve essere privata della libertà oppure non in grado di ricevere aiuto. Federico Aldrovandi non era privato della libertà personale quella mattina del settembre 2005 quando fu massacrato da quattro poliziotti su un marciapiede. Certo, la frase rimane vaga e dai contorni imprecisi. Anche in questo caso in quella strada di Ferrara poteva trovarsi a passare un gruppo di amici di Federico che sgominava la banda di assassini. Potenzialmente l’aiuto si poteva ricevere. Ma se questi erano i casi che Casson intendeva ricomprendere nella definizione di tortura lasciando quella frase, lo ringraziamo di averlo fatto. Giustizia: Detenuto Ignoto; bene ok in Commissione, ma ora calendarizzare in Aula Ristretti Orizzonti, 14 settembre 2012 Dichiarazione di Irene Testa Segretario dell’associazione Il Detenuto Ignoto e membro della Direzione di radicali Italiani: “È certamente importante l’approvazione in commissione al Senato. Prevedere il reato di tortura nell’ordinamento italiano significa poter prevenire e poter punire quei comportamenti dei pubblici ufficiali che rientrerebbero nel suo ambito di applicazione. In sua assenza, invece, si applicano le norme su reati meno gravi, con pene più lievi, che possono andare prescritti, così come spesso accade. Sono passati 24 anni da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite, continuando tutt’oggi ad essere totalmente inadempiente sull’introduzione di una fattispecie di “reato di tortura” nel proprio codice penale, così come espressamente richiesto dalla Convenzione (Art. 4). L’ok della Commissione Giustizia oggi è quindi certamente un evento da salutare positivamente, ma a nulla sarà valso, anche per la legislatura corrente, in ogni caso prossima alla scadenza, se l’intento sarà quello di voler rimandare alle calende greche per farlo approvare in Aula”. Giustizia: Ucpi; su tortura un celere iter della discussione e dell’approvazione in aula Il Velino, 14 settembre 2012 L’Unione Camere penali apprende “con viva soddisfazione” la notizia che la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all’unanimità un testo di legge che introduce il reato di tortura anche nel nostro ordinamento. Riservandosi di dare una “valutazione più dettagliata quando il testo sarà noto”, l’Ucpi sottolinea come l’introduzione di questo reato “non solo è un segno di civiltà, ma è una necessità perché sia sempre rispettata l’integrità del cittadino che è nelle mani dello Stato. Siamo particolarmente soddisfatti che la proposta di legge sia stata approvata all’unanimità e speriamo che questo significhi un celere iter della discussione e dell’approvazione in aula”. Come la stessa Ucpi aveva avuto modo, mesi fa, di esporre alla Commissione Diritti Umani del Senato, i penalisti confidano che il testo reso noto “licenzi una figura di reato proprio, con condotte definite e ampi termini di prescrizione”, ma l’introduzione del reato “comunque deve essere un obbiettivo da raggiungersi nel più breve tempo possibile”. L’Italia, che pure aveva recepito la convenzione Onu di quasi 25 anni fa contro la tortura, ricorda l’Ucpi, “non aveva poi mai introdotto materialmente il reato nel nostro codice. In tutti questi anni, così, molte volte si è assistito a fatti che indubbiamente avrebbero potuto essere riguardati come fatti di tortura - conclude la nota - che però non potevano trovare nelle aule di giustizia adeguata punizione proprio perché lo specifico reato non è previsto dalle nostre norme penali: si pensi al comportamento delle forze dell’ordine a Genova nel 2001 (Diaz, Bolzaneto) o anche ai numerosi episodi che proprio in questi mesi sono emersi, di trattamenti disumani (come il water boarding, che richiama alla mente Guantánamo) inflitti a detenuti, per lo più terroristi, negli anni 70, per estorcere confessioni”. Giustizia: quelle vite perdute che rinascono narrate dagli scrittori da Simonetta Fiori La Repubblica, 14 settembre 2012 I carcerati di Isili incontrano i loro biografi I racconti diventeranno un libro con Marcello Fois. Una giornata in carcere, con i detenuti e gli scrittori. Sì, detenuti e scrittori insieme, perché i primi raccontino le loro storie e gli altri le trasformino in pagine da leggere. Un’idea semplice, però è la prima volta che si realizza tra le mura di un penitenziario. È stato un carcerato a suggerirla, congedandosi da Giampaolo Cassitta, che per quindici anni ha fatto l’educatore all’Asinara. “Mi piacerebbe leggere la mia vita, narrata però da uno scrittore vero. Perché significa che una vita io l’ho vissuta, anche se ne ho smarrito il senso”. Accade a Isili, nella terra povera del Sarcidano, a un centinaio di chilometri da Cagliari. Ma non è una prigione uguale alle altre, quella di Isili. È una colonia penale agricola, entri rapinatore e ne esci giardiniere o allevatore esperto. E al posto della cocaina impari a maneggiare miele e formaggio. I cameroni non sono granché, molti i letti a castello, però la giornata si svolge all’aperto, tra boschi di lecci e terreni da semina. Nella struttura centrale ci sono il pollaio, un caseificio, la dispensa, il macello e una stanza per l’essicazione del formaggio. E ogni nazionalità - sono tantissime, una trentina - ha la sua specializzazione. I tunisini imparano a potare gli ulivi, mentre i rumeni sono bravi nella pastorizia. Anche fuori dal carcere, in Sardegna, oggi i servi pastori arrivano da Bucarest. In tanti sognano di avviare un’impresa in patria, un loro compagno brasiliano ce l’ha fatta. Qualcuno però non resiste e scappa. Anzi non torna dai permessi, oppure si fa male con la lametta. Quasi un rito, un codice ripetuto per inedia. Eccoli, sono loro. Entrano nella sala piena di luce per incontrare i loro biografi. Molto curati, il volto ben rasato, le scarpe pulite. Indossano eguali pantaloni color tabacco, il giovane Olaru li vorrebbe di taglio più aggiornato. Hanno tutti condanne sotto i quattro anni, oppure manca poco per uscire. Sorridono, si mescolano tra il pubblico, sembrano contenti. Molto emozionati. Lo sono ancora di più i narratori scelti per raccontarne le storie. Ciascun detenuto ha deciso il suo, dopo averne letto i libri e intercettato le diverse sensibilità. Gli scrittori sono Paolo Maccioni, Salvatore Bandinu, Michela Capone, Claudia Musio, Michele Pio Ledda, Nino Nonnis, il già citato Cassitta, per lo più insegnanti, magistrati, giornalisti, educatori, poeti e commediografi, conosciuti in Sardegna soprattutto per l’attenzione verso i “senza voce”. I loro ritratti andranno a comporre un libro, “Io mi racconto”, che avrà l’introduzione di Marcello Fois, una sorta di testimonial dell’esperimento. “Buongiorno a tutti” è la formula di rito televisivo con cui gli undici detenuti si presentano. “Buon giorno a tutti, sono Limbardi Pierpaolo, cagliaritano di Sant’Elia. Conosco la strada, non so se è un bene. Credo di sapere cos’è la libertà, ma qualche volta mi confondo”. “Buon giorno a tutti, sono Pilo Massimiliano, ho 43 anni, più della metà trascorsi da recluso. Tra qualche giorno avrò la libertà, ma non so che farmene”. “Buon giorno a tutti, sono Mohammadi Mohammad, vengo dall’Afghanistan e credo di avere 22 anni. Credo, perché sono scappato a sei anni e non ho mai posseduto documenti di identità”. “Buon giorno a tutti, sono Ndyae Mohamed, vengo dal Senegal, ho molto sbagliato ma solo per sopravvivenza. Ora vorrei che a raccontarmi fosse uno scrittore di storie d’amore, perché senza amore non si può vivere”. “Buon giorno a tutti, sono Borissov Gueorgui Ivanov, vengo dalla Bulgaria. Ma che senso ha dire “vengo”? Non sono qui per mia volontà”. Storie minime che s’intrecciano con la storia grande. Guerre, carestie, crollo di muri. Borissov è un quarantenne dal tratto signorile, molto disinvolto, quasi avvezzo agli usi di mondo (“Perché son qui? Nella mia valigia, alla frontiera, c’era qualcosa di più degli effetti personali”). Ha una laurea in Economia ed è figlio della nomenclatura comunista, una madre professoressa universitaria e un padre veterinario. La fine del regime significò anche la fine del privilegio. E a Borissov piacevano la bella vita, i soldi, il lusso. Anche il ventiduenne rumeno Olaru rappresenta quella parte di mondo. La sua è una storia rocambolesca che parte da Bacau e arriva a Scampia, mescola spacconeria e abbandoni, rapine e camorra. Dichiara fiero di parlare perfettamente inglese e napoletano stretto, “perché sennò come avrei fatto con i boss?”. La violenza della guerra afghana riecheggia nel racconto di Mohammad. Era solo un bambino quando vide la sua famiglia morire, e la mamma che urla “scappa, scappa nel bosco”. La loro colpa più grande? Essere nati nella parte sbagliata del mondo. Non fa che ripeterlo Valeria Pitzalis, la straordinaria educatrice che vigila sulle loro vite. “Santa Valeria” la chiamano, ne sono tutti innamorati ma hanno il pudore di non dirlo. Ora l’attesa è per il libro che scaturirà dalle loro storie, pubblicato da Arkadia con la collaborazione dell’associazione culturale Il Colle Verde. Ciascun racconto sarà rivisto dal biografato, che rileggendosi scoprirà di avere una vita, alle spalle. E forse un’altra ancora da vivere. Lettere: noi detenuti del carcere di Poggioreale… in condizioni disumane Roma, 14 settembre 2012 Egregio direttore, abbiamo inviato questa lettera al Presidente della Camera Gianfranco Fini e agli onorevoli deputati e ad altre autorità. “Noi detenuti del padiglione Avellino ormai chiamati i Gandhiani a nome di tutta la Casa circondariale di Poggioreale, nell’occasione che il 20 settembre il ministro della giustizia Paola Severino presenterà il Pacchetto Giustizia e noi dal giorno 20 al giorno 23 attueremo una protesta pacifica, silenziosa, civile e non violenta, astenendoci dal prendere il vitto dell’amministrazione e dalle attività di quelle due ore d’aria, autoconsegnandoci nelle nostre celle, astenendoci con rammarico e tormento anche di andare in chiesa, ma Dio è con noi poiché lo portiamo sempre nei nostri cuori ed esso non ci abbandonerà mai perché l’inumanità che stiamo subendo sono le azioni più gravi, più criminose, perché condotte su persone inermi e impossibilitati a muoversi ma noi non ci rassegneremo (Giovanni Paolo II). Facendo appello all’umana sensibilizzazione delle autorità chiediamo che si muovano con il necessario coraggio ad approvare provvedimenti concreti e non attraverso semplici e patitavi tamponi fatti di rinvii, la situazione nelle carceri italiani è drammatica sono polveriere. Specie in questi casermoni come Poggioreale, quasi tremila detenuti dove siamo ammassati in 15 e anche 18 in angustie celle, ove la carenza di igiene è totale e le malattie infettive come l’epatite “C” che ha colpito il 60% della popolazione detenuta e l’altro 40% è colpito da altre patologie veneree in continua proliferazione; mancano le cose primarie come la sanità che non ti elargisce medicinali idonei alle tue patologie, le visite specialistiche sono un miraggio le strutture educative lavorative, culturali e di risocializzazione sono un utopia. Il 70% è in attesa di giudizio; siamo chiusi 22 ore su 24 nelle celle. Le nostre famiglie per un’ora di colloquio vengono sottoposti a calvari estenuanti, e non basterebbe un banale foglio per elencare i disagi a cui siamo sottoposti ma noi non siamo animali nati in cattività. Noi siamo esseri umani, uomini e donne nati liberi e figli dello stesso Dio. Abbiamo sbagliato e dobbiamo pagare, sì ma dignitosamente e non che ci vengano negati e calpestati i diritti di essere umani, e ora di dire basta con questa ghettizzazione inumana, l’emergenza sovraffollamento e la problematica della violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Noi tutti uniti rilanciamo la richiesta per un’amnistia, indulto e pene alternative che quest’ultime siano legge e non facoltative”. I detenuti del padiglione Avellino, unitamente a tutta Poggioreale Lombardia: emergenza carceri, oggi a Milano seduta congiunta Comune-Regione Redattore Sociale, 14 settembre 2012 Tre i temi all’ordine del giorno: l’inserimento lavorativo a fine pena, gli alloggi per chi lavora nel carcere e per chi ha concluso il periodo di reclusione e la presa in cura socio-sanitaria. Ipotesi spostamento per San Vittore. Non era mai successo che comune e regione si riunissero in seduta comune per affrontare il tema carceri. Tre i temi all’ordine del giorno: l’inserimento lavorativo a fine pena, gli alloggi per chi lavora nel carcere e per chi ha concluso il periodo di reclusione e la presa in cura socio-sanitaria. Il dato di partenza è che la situazione delle infrastrutture sono disastrose. Più che ragionare sul sovraffollamento, un problema strutturale a livello nazionale. Si prevede un incontro delle autorità consiliari a San Vittore, “per sensibilizzare e attirare l’attenzione sulle carceri milanesi”, afferma Andrea Fanzago, consigliere comunale Pd. Il punto più critico riguarda il futuro di San Vittore. Sul piatto due opzioni: spostarlo in una cittadella della giustizia dopo Expo oppure lasciarlo nell’area dei bastioni. A sostenere la prima ipotesi il consigliere regionale Marcora (Udc), preoccupato “dall’idea che il luogo ospiti il prossimo stadio dell’Inter”. Contrarie Chiara Cremonesi e Patrizia Quartieri secondo cui questo sarebbe un modo per nascondere il carcere alla città. Durante la commissione congiunta è intervenuto anche Fabio Pizzul, vicepresidente della Commissione regionale che ha annunciato per il 6 ottobre un convegno sul tema sport e carcere. Lombardia: chiusura degli Opg; nella regione non ci sono strutture per il reinserimento Redattore Sociale, 14 settembre 2012 Sono circa 140 le persone che rischiano “l’ergastolo bianco”, non avendo l’opportunità di uscire in libertà vigilata: colpa di una rete d’infrastrutture inadeguata. “Non ci sono le strutture per il reinserimento delle persone ristrette all’interno degli Opg”. Lo dice Francesca Valenzi del provveditorato regionale del Ministero della Giustizia, intervenuta a margine della Commissione congiunta sulla situazione delle prigioni milanesi, oggi a Palazzo Marino. Sono circa 140 le persone che rischiano l’”ergastolo bianco”, non avendo l’opportunità di uscire in libertà vigilata: colpa di una rete d’infrastrutture inadeguata. In totale sono ancora 239 le persone che si trovano nell’Opg di Castiglione delle Stiviere. La mancanza di posti è un problema che affligge non solo chi deve essere reinserito dagli ospedali psichiatrici giudiziari. I dati del provveditorato, infatti, non confortano. Sempre secondo quanto riporta la dottoressa Valenzi, il flusso di detenuti verso la sola San Vittore è di 5mila all’anno, di cui la maggior parte resta in carcere solo per pochi giorni. Una richiesta di posti troppo alta per le capacità del territorio di Milano. Per sgravare l’area, prosegue Valenzi, sono in progetto altri tre padiglioni a Cremona, Pavia e Voghera per un totale di 800 posti. Difficilmente, però, confida, saranno sufficienti a risolvere il problema sovraffollamento, in particolare di San Vittore. In chiusura dei lavori, il presidente della Commissione regionale Stefano Carugo (Pdl) ha annunciato la strada che verrà intrapresa per migliorare il reinserimento in libertà vigilata dei detenuti regionali: “Serve una legge - dichiara - per costringere le aziende controllate da Comune e Regione per favorire l’ingresso degli ex detenuti”. Il modello da raggiungere, conclude Carugo, è il carcere di Madrid dove su 2mila detenuti ce ne sono 1.800 che lavorano. Sicilia: Osapp; Polizia penitenziaria di scorta a magistrati sostituita da altre forze polizia Adnkronos, 14 settembre 2012 “Da lunedì prossimo, la Polizia Penitenziaria da anni impiegata nel delicato compito delle scorte al fine di assicurare la sicurezza personale del Procuratore Generale di Catania Gianni Tinebra e del Procuratore Aggiunto di Messina Sebastiano Ardita sarà sostituito da altrettanti appartenenti alle Forze di Polizia”. È la denuncia di Mimmo Nicotra, Vice Segretario Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria. “Questo provvedimento danneggia sicuramente l’immagine di tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria che con competenza e professionalità nel corso di questi ultimi 10 anni ha assicurato tale delicato compito - dice - Sarebbe stato auspicabile che trattandosi di figure importanti ed in prima linea nella Magistratura Siciliana, ed essendo appunto sempre inquadrate nell’ambito del Ministero della Giustizia, che i Poliziotti Penitenziaria sino ad oggi incaricati del servizio di tutela e scorta avrebbero proseguito tale delicato incarico”. “Inoltre - conclude il sindacalista dell’Osapp - al fine di recuperare personale di Polizia Penitenziaria sarebbe più opportuno attingere a tutti i - Palazzi del potere - della Repubblica dove sono impiegate moltissime unità del Corpo invece che distogliere una decina di unità che hanno assicurato la sicurezza personale di chi ancora oggi ed in prima linea combatte la più grossa piaga di tutti i tempi qual è la mafia”. Cagliari: Sdr; anche il figlio disabile in carcere a Buoncammino con la madre 79 anni Ristretti Orizzonti, 14 settembre 2012 È stato arrestato per il tentato furto di un motocarro e ha patteggiato 4 mesi di detenzione per poter stare con l’anziana madre a Buoncammino. È il paradossale esito dell’assurda vicenda che ha per protagonista Stefania Malu, 79 anni, e il figlio Casimiro Floris, 52 anni, disabile. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha appreso dell’arrivo inaspettato nella Casa Circondariale cagliaritana dell’uomo, affetto da gravi patologie ma deciso a tornare a casa con l’anziana madre anche perché la sorella che si occupava di lui ha purtroppo un’altra grave situazione relativa alla salute del marito. “Madre e figlio - afferma Caligaris - si sono incontrati e hanno potuto effettuare un colloquio in carcere. Anche se ciò può apparire incredibile la vicinanza del figlio ha tranquillizzato la donna a cui la lontananza e l’impossibilità di vederlo creava disagio e ansia. Si tratta di una situazione che deve però essere risolta in quanto le condizioni di salute di Casimiro Floris sono incompatibili con la detenzione. L’uomo, difeso dall’avv. Stefano Piras, ha peraltro presentato istanza per ottenere i domiciliari”. La nonnina di Buoncammino, classe 1933, è tornata dietro le sbarre dopo due anni di domiciliari in quanto le sue condizioni di salute sono risultate discrete alla visita di controllo di un perito del Tribunale. Stefania Malu, che deve scontare una pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008, chiede di poter andare nuovamente a casa per accudire il figlio Casimiro totalmente inabile. Affetta da numerosi disturbi tra cui cardiopatia ipertensiva, aneurisma dell’aorta addominale, ipercolesterolemia e steatosi epatica, dichiarata incompatibile nel 2009, quando aveva ottenuto per le condizioni di salute il differimento pena, è in attesa del pronunciamento del Capo dello Stato in seguito alla domanda di Grazia presentata dal suo legale Stefano Piras. La speranza è che le condizioni fisiche della donna, l’età avanzata, la situazione in cui si trova il figlio e la distanza nel tempo del reato commesso, permettano un atto umanitario. Marsala (Tp): Uil e Ugl; manifestazioni di piazza contro l’imminente chiusura del carcere www.marsalace.it, 14 settembre 2012 “Senza ombra di smentita quest’iniziativa dell’Amministrazione penitenziaria è la prova dell’arroganza e della presunzione di poter agire senza regole e, soprattutto, uno sfregio ai tanti poliziotti penitenziari ed operatori di Marsala che si vedranno costretti con la forza a presentare un’istanza di trasferimento dove conviene all’amministrazione stessa”. Sono parole chiare e dure quelle del Coordinatore regionale della Uilpa Penitenziari, Gioacchino Veneziano che insieme al segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Francesco D’Antoni, hanno commentato la comunicazione del direttore della Casa Circondariale di Marsala, Paolo Malato, il quale, su ordine del provveditore della Regione Sicilia, Maurizio Veneziano, sembra stia pressando i lavoratori a presentare domanda di trasferimento, perché entro lunedì dovrà consegnare al dipartimento di Roma tutta la documentazione al direttore generale del personale, Vita Turrini. “Dobbiamo informare l’opinione pubblica, la classe politica e le istituzioni - incalzano i rappresentanti di Uil e Ugl - che oggi in Sicilia la gestione delle carceri sta diventando autoritaria ed il rischio concreto è quello di fare esplodere una situazione già ampiamente compromessa a causa del sovraffollamento, della carenza di mezzi, della mancanza di personale e di risorse economiche, per questo non comprendiamo l’atteggiamento provocatorio del provveditore, ragion per cui auspichiamo a un intervento del Ministro di Giustizia, Paola Severino, affinché sappia che, rispetto a quanto la stessa aveva dichiarato, ovvero che non vi erano nei piani del governo risparmi di spesa per le carceri, a Marsala si sta operando in direzione opposta. Quest’iniziativa di soppressione del carcere lilibetano - affermano - è un’ingiustizia totale perché, sulle 206 carceri presenti in Italia, quello di Marsala e l’unico che verrà chiuso, quindi la Provincia di Trapani e la Sicilia pagherà un prezzo altissimo di una scelta scellerata”. Secondo Veneziano e D’Antoni, i politici e le istituzioni devono intervenire per la salvaguardia del territorio marsalese; gli effetti del concetto di risparmio della cosiddetta “spending review” attuata dal Governo non deve ricadere sui lavoratori marsalesi. “Se proprio di risparmio dobbiamo parlare - hanno detto i due appartenenti ai sindacati - bisogna iniziare dall’alto, tagliando inutili mezzi in dotazione”. Sempre secondo Veneziano e D’Antoni puntualizzano i dati del risparmio con la soppressione del carcere di piazza Castello, consegnati al Ministro Severino e al capo del Dap, Tamburino, non sono reali, in quanto la gravità del sovraffollamento in Provincia appesantirà (e non alleggerirà) il lavoro nelle carceri di Trapani, di Castelvetrano e di Favignana, decretando un aumento dell’attività di spostamento dei detenuti, dei magistrati e delle forze di polizia. “L’operazione di chiusura del carcere di Marsala nasce da un decreto del lontano 2001, oggi rispolverato solo per rimpolpare gli organici delle altre carceri del territorio - concludono D’antoni e Veneziano - quindi imponendo ai lavoratori di presentare istanza in quelle sedi e calpestando ogni volontà e proposta di confronto con le organizzazioni sindacali. Noi dell’Ugl e della Uil non permetteremo nessun atto d’imperio; ci faremo promotori di una fiaccolata invitando tutti quelli a cui sta a cuore un presidio di sicurezza come il carcere di Marsala”. Torino: Sappe; detenuto lancia scrivania contro agente Agi, 14 settembre 2012 Nella tarda mattinata di oggi, un detenuto palestinese del carcere di Torino ha dato improvvisamente in escandescenza e ha improvvisamente aggredito un agente di polizia penitenziaria, contro il quale ha scagliato una scrivania. Lo denuncia il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che riferisce di “una situazione di alta tensione, l’ennesima, rispetto alla quale è stato necessario l’intervento di altro personale di polizia dell’Istituto per riportare la calma nel reparto detentivo. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra - dice Donato Capece, segretario generale del Sappe - chiaramente la sistematicità quasi quotidiana con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nel penitenziario torinese Lo Russo Cotugno”. “Vogliamo - prosegue - per prima cosa esprimere la nostra solidarietà al collega che è stato improvvisamente e violentemente colpito ma che ha comunque contenuto l’aggressività del detenuto palestinese, soggetto con una personalità complessa, impedendo che la situazione potesse ulteriormente degenerare. L’aggressione, improvvisa e proditoria, è l’ennesima ai danni di appartenenti alla polizia penitenziaria di Torino”. Per il sindacato Sappe “è davvero troppo. Dove sono le istituzioni? Cosa pensano di fare per tutelare gli agenti di Polizia penitenziario di Torino? Di cos’altro hanno bisogno per intervenire? Per ora - conclude - ci sembra che le autorità amministrative ma anche quelle politiche si fanno scudo della drammatica situazione penitenziaria attraverso il senso di responsabilità del Corpo di polizia penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia”. Ragusa: Sappe; detenuto aggredisce agente penitenziario, tensione oltre il limite Ansa, 14 settembre 2012 Ancora aggressioni nelle carceri siciliane. Un detenuto del penitenziario di contrada Pendente, a Ragusa, ha aggredito un agente di Polizia penitenziaria, contro il quale ha scagliato anche un ventilatore, creando così una situazione di grande tensione che ha reso necessario l’intervento di altro personale per riportare la calma nel reparto detentivo. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra chiaramente la sistematicità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nel penitenziario di Ragusa”, dice Donato Capece, segretario generale del Sappe. Quello delle carceri sovraffollate e con forti carenze dell’organico della Polizia penitenziaria è una questione che si trascina da anni e si aggrava sempre più. Mamone (Nu): detenuto evade nelle campagne ma viene catturato poco dopo Ansa, 14 settembre 2012 È evaso dalla Casa di reclusione di Mamone, ma le ricerche della polizia penitenziaria dello stesso Istituto hanno permesso di ritrovarlo poco dopo. Chistian Carbonell Silveira, sud americano, detenuto per spaccio di sostanze stupefacenti, è riuscito ad eludere i controlli ed è scappato nelle campagne intorno al carcere all’aperto, nascondendosi nella fitta boscaglia. Il comandante Eraclio Seda ha disposto la ricerca dell’uomo predisponendo una vasta perlustrazione di tutto il territorio circostante e diversi posti di blocco. È stato anche grazie all’attività di intelligence che l’evaso è stato catturato e riportato in cella. I complimenti agli agenti di Mamone sono arrivati dal Direttore del penitenziario Gianfranco Pala e dallo stesso Seda. Salerno: dall’Arcivescovo Moretti messaggi di speranza a chi soffre in carcere La Città di Salerno, 14 settembre 2012 Il braccio di San Matteo ha portato un messaggio di fede e speranza presso la casa circondariale di Fuorni, ieri mattina, in occasione dell’apertura dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono della nostra città. “San Matteo che ha cambiato la sua vita è portatore di un linguaggio di speranza - ha osservato l’arcivescovo di Salerno - Campagna - Acerno, monsignor Luigi Moretti. La testimonianza del Vangelo riflette la possibilità di una vita nuova: la misericordia di Dio è più grande degli errori dell’uomo e con il Braccio di San Matteo portiamo questo messaggio di vicinanza agli ultimi, a chi è nella sofferenza. Come scritto nel Vangelo del patrono: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio”. Non è un caso che la prima celebrazione di quest’anno, dedicata dell’apostolo protettore della città, si sia tenuta presso il carcere di Salerno che, nonostante gli sforzi e l’impegno del cappellano don Rosario Petrone e dei volontari, non risparmia, ad oggi, gravi disagi per i detenuti. Frequenti, infatti, i casi di tentato suicidio e di autolesionismo che si verificano all’interno della casa circondariale che, evidentemente, non ha raggiunto i livelli di umanizzazione necessari per il recupero di chi sta già scontando la pena. “L’umanizzazione della pena all’interno del carcere viene spesso fraintesa - ha osservato il cappellano della casa circondariale, don Rosario Petrone - Non si considera, purtroppo, che, senza di essa, si genera un incontrollabile odio. La missione dobbiamo portarla avanti tutti: le istituzioni, la polizia penitenziaria. Purtroppo si può cadere nella presunzione di concentrarsi sul far pagare la pena a chi ha sbagliato, dimenticando che quest’ultimo, deve sì scontare i suoi errori, ma senza essere umiliato”. Secondo don Rosario, quindi, è necessaria una nuova idea di recupero che punti al reinserimento sociale: “Gli ultimi in carcere sono coloro che non riescono a sostenere le spese per un avvocato, i tossicodipendenti che rappresentano un’alta percentuale dei reclusi, gli stranieri: è a loro innanzitutto che bisogna rivolgere l’opera di misericordia”. Oggi, alle ore 20, intanto, proseguono i festeggiamenti per il santo patrono con il tradizionale omaggio floreale dinanzi alla Porta Nova di piazza Flavio Gioia, quale segno di appartenenza della città all’apostolo Matteo. Dopo la celebrazione della Parola ed una breve riflessione dell’arcivescovo, i vigili del fuoco adageranno la corona vicino alla statua di San Matteo. Lodi: ultima serata per la musica in carcere, con il corpo bandistico “Orsomando” Il Cittadino, 14 settembre 2012 Per i detenuti della casa circondariale di Lodi sarà l’ultima serata da trascorrere in cortile fino alla prossima estate; per i lodigiani sarà l’ultima occasione della stagione per confrontarsi con una realtà ricca e difficile come quella del carcere. Si chiude sabato sera il ciclo di concerti aperti al pubblico organizzati dalla direzione dell’istituto di via Cagnola, dedicato quest’anno alla musica delle formazione bandistiche: alle ore 20.30 (ma è meglio arrivare un po’ prima), sul palco allestito nel cortile dei passeggi dell’istituto di via Cagnola salirà il corpo bandistico “Giovanni Orsomando” di Casalpusterlengo, diretto dal maestro Franco Bassanini. “Una musica molto gioiosa, folklorisitica, davvero coinvolgente - anticipa la direttrice Stefania Mussio - eseguita da persone appassionate che, aderendo alla nostra iniziativa, hanno dimostrato di voler partecipare attivamente al progetto rieducativo che ormai da tre anni si rinnova a Lodi”. Fondato in collaborazione con l’amministrazione comunale nel 1982 e attivo sulle scene dal 1984, il corpo di Casalpusterlengo è intitolato a Giovanni Orsomanno, grande personaggio del mondo bandistico del Novecento. I quarantacinque elementi della formazione lodigiana hanno un’età che spazia dai dieci agli ottanta anni e molti hanno frequentato o frequentano i conservatori di Milano e Piacenza. Una padronanza tecnica che ha permesso alla banda di esibirsi con successo in numerose occasioni, durante sfilate, cortei e altre manifestazioni organizzate sul territorio. Lo scorso anno ha ricevuto una visita illustre: quella di Nino Mameli, pronipote del celebre Goffredo, che in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha recapitato al maestro Bassanini il plauso del Presidente della Repubblica. E sarà proprio l’inno nazionale ad aprire la serata di sabato, che proseguirà con Yellow Submarine dei Beatles, II re leone, Titanic, L’ultimo dei Mohicani e altre celebri colonne sonore. Stati Uniti: a Guantánamo non si tortura più... si muore di Lorenzo Moore Rinascita, 14 settembre 2012 A Guantánamo, il tribale carcere militare Usa posto nel lembo di Cuba che “ospita” la maggiore base della Us Navy nell’Atlantico del nord, i detenuti - presunti terroristi, arrestati e incarcerati senza praticamente alcun diritto di tutela legale - muoiono. Di morte naturale, perché suicidi o perché uccisi. Nessuno lo sa. Il Detenuto Ignoto X “DIX” - chiamiamolo così: il carcere-gulag è infatti esentato da ogni dovere di identificazione di chi lì viene trattenuto, anche se senza indizi o prove, come legislazione antiterrorismo post 11 settembre vuole nei democratici Stati Uniti - è morto sabato. La notizia del decesso è filtrata lunedì. Il portavoce del carcere ha annunciato un’autopsia. DIX era sottoposto al regime di carcere duro - neanche a dirlo: molto più duro, mettiamo, del nostro 41bis, perché punito per aver gettato un mix di escrementi e cibo contro una guardia carceraria e, toh, è stato trovato cadavere al controllo mattutino delle celle di isolamento. Non si conosce la sua nazionalità, né sono stati resi noti i capi di accusa ai quali doveva rispondere. Dalle stringate dichiarazioni di un portavoce sembra fosse accusato di “cospirazione”. È il nono caso conosciuto di morte a Guantánamo. Due detenuti, è vero sono defunti per cause naturali. E gli altri sette? E poi: Guantánamo non era quel carcere militare in cui praticava la tortura che Obama aveva promesso di chiudere entro e non oltre i primi 180 giorni di presidenza in caso di elezione? Quattro anni dopo anche quella promessa si è risolta in fumo, con buona pace dei democratici, dei veltroniani e dei pacifisti di casa nostra.