Giustizia: cari Bersani, Renzi, Grillo ecc…. se l’amnistia no, allora cosa? di Valter Vecellio Europa, 13 settembre 2012 A inizio anno (mancano pochi mesi, ormai), come tutti gli anni, prima a Roma, poi in tutti gli altri distretti giudiziari, si apriranno gli anni giudiziari; come tutti gli anni, da anni, sarà l’occasione per un bilancio dello stato della giustizia in Italia. Come tutti gli anni, da anni, la radiografia tracciata, sarà impietosa, il quadro terrificante. Non si potrà non osservare che nei 206 istituti di (letterale) pena sono stipati oltre 66mila detenuti, quasi la metà in attesa di giudizio; almeno la metà di quel 47 per cento sconta ingiustamente una pena preventiva: la pena preventiva, di per sé è ingiusta, ma l’ingiustizia diventa ancora più atroce quando si viene infine assolti per non aver commesso il fatto… Per converso, ci verrà ricordato che un buon 85 per cento dei reati commessi risulta impunito: nel senso che non si riesce neppure a individuare il responsabile, saranno rubricati come commessi da “ignoti”. Un fenomeno talmente diffuso che spesso il cittadino, consapevole della situazione, rinuncia anche al fastidio di denunciare il furto, lo scippo. Farlo, quasi sempre si risolve in una perdita di tempo e in un contributo alla raccolta di dati per le statistiche. Se ne ricava che quel minimo di efficienza nelle galere e nei palazzi di giustizia (davvero minimo!), lo si deve al sostanziale e più generale fallimento e inefficienza in cui versa l’intero mondo della giustizia: che se per artificio accadesse un giorno che tutti i reati, o anche solo la metà, avessero un nome e cognome, in appena cinque minuti tutte le carceri e i palazzi di giustizia letteralmente esploderebbero. Per tornare alle carceri: quegli oltre 66mila detenuti, colpevoli o innocenti che siano, sono rinchiusi in carceri che ne dovrebbero contenere meno di 46mila. Il 2012 non si è ancora concluso, e già si sono censiti 40 detenuti suicidi “ufficiali”. Negli ultimi dodici anni, i suicidi in carcere sono stati 731; e una settantina tra gli agenti di polizia penitenziaria. Questa è solo la faccia più dolente del pianeta giustizia. Per quel che riguarda i tempi dei processi, la Banca mondiale colloca l’Italia al 148 posto su 183 paesi. Siamo “sotto” Vietnam, Gambia, Mongolia… A causa dell’irragionevole durata dei processi la Corte di giustizia europea ci ha condannati un’infinità di volte, e comunque l’Italia tra i paesi membri dell’Unione è il paese che ha collezionato più condanne. Gli oltre sei milioni di processi civili ci costano qualcosa come 96 miliardi di euro; secondo l’ufficio studi di Confindustria questa situazione incide per circa il 4,9 per cento del Pil. Una situazione che spaventa e allontana gli investitori stranieri, deprime quelli italiani. Per tutelare un contratto - è solo un esempio tra i tanti che si possono fare - in Italia occorrono in media 1200 giorni. In Germania, Gran Bretagna e Francia si oscilla tra i 394 e i 331 giorni. Anche con il penale non si scherza: i risarcimenti per ingiusta detenzione (e ottenerli è un supplemento di pena), costano circa 46 milioni di euro l’anno. Capitolo a parte quello delle prescrizioni: sono 165mila circa ogni anno, riguardano anche reati gravi; è un’amnistia quotidiana, silenziosa, di classe che si consuma da anni. Non è solo un’ingiustizia nei confronti del cittadino che si vede negato un diritto - quello alla giustizia - di cui ha diritto; è anche un ulteriore, gravoso, costo sociale: altri 84 milioni di euro l’anno che se ne vanno in fumo. Sentite dire qualcosa in proposito dai fieri avversari del provvedimento di amnistia, quello vero, con regole precise e studiate e varate alla luce del sole? La domanda è per Pierluigi Bersani, ma anche per Matteo Renzi, per Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, perfino Beppe Grillo: a tutti coloro che chiedono fiducia per un cambio di rotta dopo gli anni dello (s) governo berlusconesco; ma può essere estesa ai compilatori di programmi elettorali e di governo, i commentatori, editorialisti, titolari di rubrica: perché di tutto parlano e scrivono, ma su questo non una parola? E se la proposta di Marco Pannella di un provvedimento di amnistia per mettere in moto il meccanismo virtuoso che faccia scattare quel processo di riforme necessarie e urgenti, non la si ritiene giusta, adeguata, praticabile, quale altra alternativa credibile e perseguibile? Come diceva il vecchio soldato tracciando la linea: “Hic Rhodus, hic salta”. Giustizia: il “piano” procede, ma carceri nuove non se ne fanno di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 13 settembre 2012 Il prossimo 19 settembre scade il bando per la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di ampliamento di un padiglione di 400 posti presso il carcere circondariale di Rebibbia Nuovo complesso. Nove giorni prima erano scaduti i termini per analoghi padiglioni da farsi dentro le mura carcerarie di Bologna, Caltagirone e Trani. Precedentemente sono andate in gara le realizzazioni di padiglioni aggiuntivi negli istituti di Ferrara, Siracusa, Parma, Sulmona, Vicenza, Milano Opera, Trapani, Lecce e Taranto. Le gare per Napoli Poggioreale e Reggio Emilia dovrebbero essere in corso di validazione. 228 milioni di euro per 3.800 posti che probabilmente, se non insorgono nuovi intoppi, vedranno la luce non prima del 2014. In tutti questi casi si tratta di strutture che ingrandiranno carceri già esistenti andando a consumare spazi destinati ad altre finalità. Si vedrà se saranno rispettati gli standard architettonici e di civiltà imposti dalle regole penitenziarie italiane ed europee. Di carceri nuove, invece, non ne vedremo a breve e forse neanche nei tempi medio-lunghi. Rispetto all’originario piano carceri del 2010 che era evidentemente sovradimensionato in soldi e aspettative, sono rimasti in piedi i progetti di costruzione di sole quattro carceri, ovvero Torino, Catania, Pordenone e Camerino. Per tre di essi non c’è traccia di una prossima gara. Pare che manchino i soldi. Un po’ più avanti è la gara per Camerino ma comunque vi sono intoppi di bilancio. Sarà ben difficile che gli oltre 9 mila posti detentivi nuovi promessi saranno realmente a disposizione nei prossimi cinque anni. Il sovraffollamento non è contrastabile con l’edilizia penitenziaria, soprattutto in epoca di spending review. Così gli oltre 66 mila detenuti ristretti nelle 206 carceri italiane devono continuare a dividersi i 45 mila posti letto regolamentari, che tali poi non sono visto che molti reparti, pur conteggiati nelle statistiche, sono chiusi perché inagibili. Se oggi andassimo a contare i reali posti letto probabilmente essi risulterebbero meno di 40 mila. Nel frattempo oggi la Corte dei Conti si riunisce per dare le proprie valutazioni intorno al piano di edilizia penitenziaria. Dalla relazione del magistrato istruttore si evince che i problemi sono tanti. Il passato torna a pesare in modo drammatico. Per fare alcuni esempi, il nuovo carcere di Reggio Calabria, la cui costruzione è iniziata oltre un decennio addietro, pare che non sarà pronto prima del 2014-2015. Il nuovo carcere di Sassari, la cui costruzione è stata avviata nel 2005 con procedure di urgenza e il cui appalto fu affidato il lontano 22 dicembre 2005, all’ATI Anemone Srl - Igit Spa a oggi non è ancora pronto. Si legge nella relazione della Corte dei Conti che è venuto a costare oltre 87 milioni di euro con un incremento rispetto ai costi iniziali del 49%, dovuto anche ad ampliamenti in corso d’opera. Pare verrà consegnato a novembre del 2012. Ma molte volte è stato dato in passato l’annuncio della consegna. Resta il problema del personale insufficiente a gestire i padiglioni che si apriranno. La Corte dei Conti ricorda che quasi 4 mila poliziotti, circa il 10% del personale in servizio, non lavora in carcere ma è impiegato altrove. Giustizia: dal Senato primo ok a introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale da Claudia Fusani L’Unità, 13 settembre 2012 Anche l’Italia avrà, nel suo codice penale, il reato di tortura. Mancava da sempre e più volte, soprattutto negli ultimi dieci anni, le Nazioni Unite ci hanno richiamato come inadempienti su questo punto. E troppe volte nelle motivazioni delle sentenze le ultime quelle sugli incidenti al G8 di Genova i giudici hanno osservato amaramente l’impossibilità di condanne per via dell’assenza del reato di tortura. La voragine, in termini di tutela dei diritti, sembra essere finalmente colmata. Ieri la Commissione giustizia del Senato ha approvato all’unanimità i disegni di legge sull’introduzione del reato di tortura in Italia e sullo Statuto della Corte penale internazionale. “È un passo importante spiega la senatrice Silvia Della Monica, capogruppo Pd in commissione si tratta di testi che avevamo proposto come Pd e quello sulla Cpi è già stato calendarizzato per l’aula. Potranno così finalmente essere approvate norme di civiltà e che fanno fare un notevole passo in avanti nella tutela dei diritti fondamentali al nostro Paese, che era in ritardo dopo la ratifica Onu sulla tortura”. Della Monica sottolinea come il testo, un solo articolo, persegue la tortura “sia fisica che psicologica”. Risale addirittura al 1984 la convenzione Onu che imponeva al nostro Paese l’adeguamento all’ordinamento internazionale. “Ora commenta il senatore Felice Casson anche in Italia si riconoscerà che si tratta di un delitto contro l’umanità. Il provvedimento deve andare in aula il prima possibile”. Il testo approvato ieri era in discussione in Parlamento dal 2009. La lista di disegni di leggi ad personam o di riforme epocali della giustizia l’hanno nei fatti spostato fino a oggi. Patrizio Gonnella di Antigone, l’associazione che più di tutte si batte contro la tortura, si augura che “a questo punto il Parlamento faccia presto e senza modifiche”. Lombardia: Fp-Cgil; tagli insopportabili al personale penitenziario e amministrativo www.rassegna.it, 13 settembre 2012 “Mentre in Parlamento si sta discutendo di provvedimenti che da un lato tagliano del 10% il già ridotto personale penitenziario e amministrativo, quello che si occupa del trattamento e dell’esecuzione penale esterna, dall’altro bloccano il turnover del personale di Polizia Penitenziaria, già oggi carente di 7.000 unità, nelle carceri e negli ospedali psichiatrici giudiziari si continua a morire nell’indifferenza”. Lo sottolinea in una nota la Fp Cgil della Lombardia. Domenica scorsa è toccato a un detenuto del carcere di Milano Opera, morto dopo il tentato suicidio. A Opera, a fronte dei 762 previsti, lavorano solo 583 agenti, con una popolazione carceraria di 1.259 detenuti invece che dei previsti 973. E il dato complessivo in Lombardia conferma la situazione allarmante: 4.063 agenti invece che 5.353, 9.172 detenuti invece che 5.191. Da inizio anno sono morti 112 detenuti, di cui 40 proprio per suicidio. Oltre a 7 agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita mentre erano fuori servizio. “Vogliamo continuare a denunciare i rischi e il disagio lavorativo di tante persone che, da troppo tempo ormai, operano in condizioni non più tollerabili - dichiarano Natale Minchillo, segretario Fp Cgil Lombardia, e Tatiana Cazzaniga, segretaria Fp Cgil Milano. I tagli previsti dalla revisione della spesa aumenteranno il divario tra la mancanza di personale e il sovraffollamento dei detenuti”. “L’istituto di Opera, come altri istituti di pena, soffre dei tagli irrazionali del Governo che agiscono come una scure anche sulle normali funzioni dello Stato e, in questo caso, mettono a rischio l’incolumità dei lavoratori e dei detenuti. Le nostre carceri sono sovraffollate e dovremmo avere misure alternative all’esterno. Si mostra il pugno di ferro ma ci vuole soprattutto dignità per i detenuti. Anche per questo la Fp Cgil sciopera il 28 settembre prossimo, invitando i lavoratori pubblici ad aderirvi e a partecipare alla manifestazione nazionale a Roma”. Abruzzo: Caramanico (Sel); sovraffollamento e reinserimento, ci vogliono più risorse Il Centro, 13 settembre 2012 Dal carcere di Chieti si avvia il viaggio negli istituti di pena deciso dal Consigliere regionale di Sel Franco Caramanico, che oggi ha visitato la struttura diretta dalla dottoressa Giuseppina Ruggero. “Un’esperienza che conferma quanto sia di stretta attualità il problema del sovraffollamento dei detenuti e la necessità di dare maggiore sostegno economico e finanziario ai progetti che puntano al reinserimento socio lavorativo di chi sta pagando il proprio debito con la giustizia - afferma Caramanico. Non posso che sottolineare inoltre il clima di fiducia e solidarietà che si respira in un universo come quello del carcere, tradizionalmente luogo di dolore e sofferenza, grazie agli sforzi del personale e degli agenti coordinati dal Comandante Valentino Di Bartolomeo, ai quali va tutto il mio personale ringraziamento. Degna di nota è anche la struttura di chino fisioterapia creata all’interno del carcere dare dignità alla detenzione, a dimostrazione dei tanti sforzi che ogni giorno vengono compiuti dai funzionari per dare dignità alla detenzione. Quanto alla Regione, è opportuno che vengano destinate maggiori risorse per la creazione di una rete stabile tra i soggetti che operano tra carcere e territorio, avviata già negli anni 2005-2008, necessaria per la soluzione dei tanti problemi che si riscontrano negli istituti di pena”. Umbria: assegnati 62 agenti nelle carceri di Spoleto, Terni e Orvieto, ma nessuno a Perugia di Chiara Fabrizi www.umbria24.it, 13 settembre 2012 Sono 62 i nuovi agenti che il Dap (dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) ha assegnato alle Case di reclusione di Spoleto, Terni e Orvieto. Non sarà inviato nessun rinforzo, invece, all’istituto di Capanne di cui il ministero, come aveva svelato Umbria24 un anno fa, continua ad ignorarne l’esistenza. I provvedimenti di trasferimento sarebbero stati firmati alla fine di luglio e, secondo quanto risulta, nel giro di due settimane gli agenti prenderanno servizio nei tre carceri umbri. Terni Nel dettaglio, a godere maggiormente del balsamo delle nuove assegnazioni sarà il carcere di Terni che si prepara ad accogliere 34 nuove unità a fronte di un carenza di organico che, al netto dei rinforzi in arrivo, si attestava a quota 50. Il deficit di personale, insomma, sarebbe un capitolo prossimo all’archiviazione. Eppure non è così. Già, perché nel penitenziario di Terni è stato ultimato il nuovo padiglione per il quale, carte alla mano, dovrebbero essere inviati altri 80 agenti. “Per quel che ne sappiamo - spiega Fabrizio Bonino del Sappe - il Dap non ha alcuna intenzione di inviare le unità previste, il padiglione è pronto e in qualsiasi momento potrebbe arrivare un fax in cui si annuncia il trasferimento dei detenuti e quindi l’entrata in funzione della nuova area”. Al carcere di Maiano sono, invece, attesi 18 nuovi agenti a fronte di una carenza di personale di 72 unità. In sostanza, nel super penitenziario di Spoleto le nuove assegnazioni non ripianeranno il deficit di organico all’origine delle tante criticità, aggressioni in testa, rilevate negli ultimi anni dalle sigle sindacali. Niente di più, insomma, di una boccata d’ossigeno. Meglio va, invece, al penitenziario di Orvieto che con le 10 nuove assegnazioni, a fronte di una carenza d’organico di 27 unità, si prepara a vivere una fase di discreta “tollerabilità”. Nessun agente è stato, invece, destinato al carcere perugino che, a sette anni dall’inaugurazione, continua a non risultare nei carteggi del Dap. Il ministero, documenti alla mano, è ancora convinto dell’esistenza del piccolo istituto di piazza Partigiani che di agenti in forze ne aveva appena 100, a fronte dei 350 previsti per Capanne. Trasferimenti, fondi incentivanti, straordinari sono tutti calcolati sulla base della pianta organica di piazza Partigiani, danneggiando non solo gli agenti in servizio a Capanne ma anche l’intero corpo della penitenziaria dell’Umbria. Per il segretario regionale del Sappe il caso di Capanne è “almeno clamoroso e meriterebbe un servizio su Striscia la notizia perché - spiega - non è possibile e benché mai accettabile che il Dap e il ministero continuino a fare orecchie da mercante, lasciando passare un falso in bilancio incredibile, visto che questo disastro danneggia l’Umbria intera non solo in termini di agenti, ma anche e soprattutto in termini di risorse”. Sulle nuove assegnazione, invece, Bonino afferma: “I 62 agenti sono il risultato del grande sforzo fatto dai sindacati dopo anni di mancati trasferimenti”. In due anni decine di pensionamenti Ma nessuno se la sente, come evidente, di cantare vittoria, anche perché il futuro ha contorni a dir poco incerti. “C’è da dire - continua Bonino - che il nostro è un corpo di polizia con un’età media particolarmente elevata, tanto che con la riforma del lavoro stiamo assistendo a una vera e propria corsa al pensionamento”. La paura, insomma, è che nel giro di un paio di anni ci si ritrovi a fare i conti, un pò ovunque, con un organico ridotto ai minimi termini. servizio. Monza: detenuto tenta il suicidio, un agente lo salva in extremis www.ilcittadinomb.it, 13 settembre 2012 È stato un attimo, pochi istanti per evitare il peggio. Mostrando una gran dose di prontezza e sangue freddo un agente del carcere di Monza domenica ha impedito che un detenuto si togliesse la vita impiccandosi alle grate della cella. Erano le 11 quando l’agente di Polizia penitenziaria ha riaccompagnato in cella due detenuti. Lì ad aspettarli ci sarebbe dovuto essere un giovane italiano di trent’anni. L’uomo, approfittando dell’assenza dei compagni di cella che stavano rientrando dopo l’ora d’aria in cortile, ha preso la cintura dell’accappatoio e ha deciso di porre fine nella maniera più tragica al suo disagio. Si è legato la corda intorno al collo e si è appeso alle grate in ferro della finestra. Solo un caso ha evitato che il gesto dell’uomo si compisse. Appena entrati in cella sia l’agente di Polizia sia i due detenuti hanno immediatamente soccorso l’uomo liberandolo dal cappio. È subito intervenuto il medico per visitare il detenuto che però non ha per niente apprezzato l’iniziativa di salvataggio. Ora il giovane si trova in una cella del reparto di isolamento priva di alcun oggetto che potrebbe nuocergli, come da prassi, in attesa che si chiariscano i motivi del suo gesto. “Questi episodi alla luce di un sovraffollamento in continuo incremento avvengono di frequente su tutto il territorio nazionale, passando in genere sotto silenzio fino a quando non si registra un decesso”, ha commentato Giuseppe Bolena, segretario provinciale dell’Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria. Per il collega che ha saputo con il suo intervento salvare la vita al detenuto è già stata fatta richiesta di un riconoscimento ufficiale da parte della direzione. Padova: coop sociali, con la spending review 1.500 posti a rischio Il Mattino di Padova, 13 settembre 2012 Sono a rischio minimo 1.500 posti di lavoro su 30mila, dei quali 400 occupati da persone disabili e svantaggiate in genere (disabili, detenuti, invalidi civili, tossicodipendenti, alcolisti e malati psichici). Sono tutti lavoratori delle cooperative sociali del Veneto, che stanno per essere coinvolti dalla spending rewiev che ha obbligato anche le Usl della regione a tagliare del 5% tutti i costi generali dei servizi appaltati alle coop del settore. Il grido d’allarme è stato lanciato ieri a Padova, dai vertici delle quattro più importanti associazioni in tema di cooperazione sociale. Ossia dai segretari della Compagnia delle Opere (Nicola Boscoletto), LegaCoop (Loris Cervato), ConfCooperative-Federsolidarietà (Fabrizio Panozzo) ed Agci. Il commento più duro è risultato quello di Boscoletto. “È inutile coniare tortuosi giri di parola” ha detto il dirigente della Cdo Veneto. “Le Usl, costrette dallo Stato, pretendono un vero e proprio pizzo. Come facciamo a tagliare il 5% nei nostri costi generali quando già oggi offriamo un servizio di qualità a prezzi discount? Non ci chiedono un sacrificio, ma solo una grande mortificazione. A differenza di tante altre aziende di servizi, dove, spesso, i dirigenti dilapidano capitali pubblici ingenti, già oggi nelle coop sociali lavoriamo con le massime economie di scala possibili. D’altronde non possiamo andare a tagliare gli stipendi già bassi dei nostri dipendenti, che, quasi sempre, guadagnano da mille a 500 euro al mese”. A muso duro anche Cerviato e di Panozzo. “I tagli lineari decisi dal governo Monti sono fuori da ogni logica umana” ha osservato il dirigente di Legacoop. “Tagliare il 5% nei costi generali significherebbe non garantire più la qualità dei servizi e penalizzerebbe pesantemente anche tutti i nostri lavoratori soci, che fanno parte delle categorie deboli, i quali non avrebbero più l’opportunità di inserirsi nelle attività dove oggi sono occupati”. Per questo le associazioni hanno chiesto un incontro urgente al presidente della Regione, Luca Zaia. Felice Paduano Firenze: il Cardinale Betori; sovraffollamento carceri, serve rispetto per la dignità umana www.gonews.it, 13 settembre 2012 L’arcivescovo nell’assemblea annuale del clero ha ricordato l’uccisione dei due senegalesi in piazza Dalmazia: “Vittime di un ignobile gesto razzista”. “Lo scenario della violenza, questa volta quella suicida, si è presentato a noi anche nel contesto del sovraffollamento delle carceri, e anche in questo caso non è mancato da parte della Chiesa il richiamo al rispetto della piena dignità della persona umana”. È uno dei passaggi dell’intervento dell’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, all’assemblea annuale del clero fiorentino. Un dramma, quello delle carceri, che ha toccato nell’anno passato anche Firenze, e che l’arcivescovo ha voluto ricordare subito dopo aver sottolineato, ancora una volta il dolore per l’uccisione di Modou Samb e Mor Diop, “i due senegalesi vittime di un ignobile gesto razzista”. I due extracomunitari vennero uccisi lo scorso 13 dicembre in piazza Dalmazia a Firenze da Gianluca Casseri, 50 anni, con simpatie di estrema destra, che poi si suicidò prima di essere bloccato in un parcheggio del centro dalle forze dell’ordine. Betori, davanti ai preti fiorentini riuniti per due giorni a Lecceto, ha ricordato la forte reazione della città che riaffermò anche in quell’occasione “le ragioni dell’unità e della solidarietà”. Solidarietà che secondo il cardinale, Firenze sta dimostrando, anche attraverso l’opera della Caritas, in un momento nel quale è evidente a tutti che “dietro queste problematiche e crisi sociali si annida una involuzione culturale, di fronte alla quale c’é bisogno di interventi tesi a far crescere la consapevolezza delle ricchezze delle nostre radici e a dare slancio a una progettualità per il futuro”. Oristano: il nuovo carcere non apre, ancora lavori in corso per l’impiantistica La Nuova Sardegna, 13 settembre 2012 Potrebbe slittare ai primi di novembre l’apertura del nuovo carcere di Massama, prevista dal Dipartimento generale per la fine di settembre. Un ulteriore ritardo dovuto, pare, ai lavori di ultimazione dell’impiantistica e dei servizi della nuova struttura. Dal ministero delle Infrastrutture, intanto, è stato confermato che il passaggio delle consegne con il ministero della Giustizia è stato fissato per il prossimo 21 settembre. Mancano quindi appena nove giorni. L’altra certezza è il contingente dei nuovi agenti, ottanta in tutto, già disponibili e assegnati quindi al nuovo carcere di Massama. Particolare questo più che indispensabile per poter aprire la nuova struttura. Le voci di nuovi e possibili ritardi si sono però susseguite anche in queste ultime settimane, quando si è scoperto che non erano stati effettuati tutti i collaudi previsti dal protocollo. Dopo l’allaccio dell’energia elettrica e del collegamento fognario erano ripresi, anche se molto a rilento, i lavori di ultimazione dei servizi, degli impianti e del complesso sistema di sicurezza di tutta la struttura. Mancano le conferme ufficiali ma questi mesi di ritardo rispetto alle tabelle previste dal Ministero sarebbero da ricercare soprattutto sui soliti problemi di natura economica. Le imprese che stanno ultimando i lavori, non avrebbero infatti ricevuto le ultime somme relative ai vari stati di avanzamento dei cantieri di cui si sono occupate. Come per il nuovo carcere di Uta, anche a Massama le aziende appaltatrici hanno avuto ripercussioni per i gravi ritardi del Ministero delle infrastrutture, che non sempre ha pagato in maniera puntuale. Molte aziende, soprattutto tra i fornitori di materiale, hanno rischiato seriamente di fallire per colpa del cronico ritardo dei pagamenti. Ufficiosamente viene comunque confermato che i servizi e gli impianti dovrebbero essere ultimati entro un mese. Successivamente dovrebbero scattare i controlli e i relativi collaudi di natura sanitaria, tecnica e amministrativa, indispensabili per ottenere poi la certificazione dell’apertura della nuova struttura. Nei mesi scorsi la Direzione del carcere di Oristano aveva avviato i primi trasferimenti degli arredi e delle attrezzature indispensabili alla sistemazione delle celle, degli uffici e degli alloggi per il personale. Nonostante le pressioni romane, quindi l’apertura del carcere di Massama è slittato ancora. Era stato il ministro, Paola Severino, a sollecitare l’ultimazione delle nuove strutture indispensabili per alloggiare gran parte dei detenuti che oggi affollano le strutture di Cagliari e di Sassari. Il nuovo carcere di Oristano dovrebbe, in questa fase, ospitare circa duecento detenuti. Un centinaio dovrebbe essere composto da quelli ospitati attualmente nella vecchia Casa circondariale di piazza Manno. Gli altri proverranno da altre carceri, nelle quali l’affollamento è diventato qualcosa di insostenibile. Resta solo da vedere quando tutto ciò sarà possibile. Milano: Commissioni comunale e regionale sulle carceri, domani prima seduta congiunta www.omnimilano.it, 13 settembre 2012 Confrontarsi sulle tematiche di reciproca competenza con particolare attenzione al lavoro nelle carceri e ai fini del reinserimento, individuando forme di collaborazioni tra Consigli Comunale e Regionale. Su questi temi, e in generale sulla situazione del sistema carcerario - di giorno in giorno sempre più difficile - si riuniranno venerdì 14 settembre, per la prima volta congiuntamente, la Commissione Speciale sul sistema carcerario di Regione Lombardia (Presidente Stefano Carugo, Pdl) e la Sottocommissione del Comune di Milano (Presidente Lamberto Bertolè, Pd). L’incontro, al quale parteciperanno tra gli altri anche il Vicepresidente della Commissione regionale Fabio Pizzul e la Segretaria Chiara Cremonesi (SeL), si terrà alle 11.30 nella Sala Commissioni a Palazzo Marino (Piazza Scala 2). Diversi i temi all’ordine del giorno, tra cui la firma di un documento da sottoporre a entrambi i Consigli al fine anche di impegnare il Governo a uno stanziamento per la ristrutturazione del carcere di San Vittore, attualmente in condizioni strutturali critiche, e l’avvio di iniziative volte favorire lo scambio tra enti locali di “buone pratiche” già attive su alcuni territori. Trento: il ministro Severino e il presidente Dellai siglano intesa su reinserimento detenuti Asca, 13 settembre 2012 Il Ministro della Giustizia, Paola Severino, ed il Presidente Lorenzo Dellai, in rappresentanza della Provincia autonoma di Trento e la Regione autonoma del Trentino Alto-Adige, hanno sottoscritto questa mattina, presso la Sala Livatino del ministero, un protocollo d’intesa sul trattamento e reinserimento sociale di detenuti, di soggetti in esecuzione penale esterna, di minori entrati nel circuito penale e per l’attuazione di percorsi di mediazione e ricomposizione dei conflitti. Obiettivo dell’intesa è la realizzazione di un quadro organico di iniziative di reinserimento sociale e lavorativo, valorizzando anche le opportunità offerte dalla nuova struttura carceraria di Spini di Gardolo, a Trento. “Considero la convenzione stipulata oggi così importante da indurmi a venire presto Trento - afferma il ministro Severino - per visitare una struttura moderna che già si avvale di modelli innovativi”. Ministero della Giustizia, Provincia autonoma di Trento e Regione autonoma del Trentino Aldo Adige non sono nuovi a forme di collaborazione avendo anche ultimamente, nel gennaio del 2011, sottoscritto un accordo con il quale la Regione si è impegnata a contribuire alla funzionalità degli uffici giudiziari del distretto con interventi di supporto tecnico, logistico e organizzativo. L’intesa firmata oggi - informa una nota del ministero - sostituisce un precedente protocollo del 1993, aggiornandone le attività sia in tema di formazione e reinserimento dei detenuti, sia in tema di trattamenti alternativi alla detenzione stessa, sia adoperandosi anche con altre forme di assistenza, dedicate alle famiglie dei detenuti, alle vittime dei delitti commessi ed ai minori che siano entrati in circuiti penali. Per le attività che di volta in volta saranno di competenza dell’Amministrazione penitenziaria o della Giustizia minorile la Regione mette a disposizione, senza alcun costo per il ministero, il proprio Centro di mediazione istituito per curare, nel corso del procedimento penale minorile dell’esecuzione della pena all’interno dell’istituto di detenzione o nel corso dell’esecuzione penale esterna, lo sviluppo di attività in favore delle vittime dei reati e della comunità e la costruzione di progetti riparatori. Una Commissione tecnica mista, istituita ad hoc, seguirà l’attuazione degli accordi assunti. Il protocollo avrà durata quinquennale. Divina (Ln): reinserire detenuti? facciamoli pedalare “In momenti come questi, parlare di creare percorsi lavorativi preferenziali per detenuti, è uno schiaffo in faccia alle tante persone, giovani e non, che si stanno arrovellando per trovare un posto di lavoro e poter continuare a vivere onestamente col proprio sudore. Meglio farebbero il presidente Dellai e la Ministra Severino, a pensare a come far lavorare i detenuti in carcere, almeno dove le strutture, come Trento, lo consentono”. Questa la reazione della Lega Nord, all’accordo tra la Provincia di Trento e il Ministero della Giustizia per il reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti, affidata al senatore Sergio Divina. Divina ricorda che in Germania, “il lavoro nelle carceri è obbligatorio, con rare eccezioni per donne incinte ed ultrasessantacinquenni, e produce effetti positivi tanto per i detenuti quanto per la comunità alla quale il detenuto costa cifre importanti (in Italia più o meno 500 al giorno) e per le imprese che possono reperire manodopera a prezzi competitivi”. A questo proposito il parlamentare della Lega dice che sta predisponendo un ddl “che ricalca esattamente il modello tedesco, e prevede provocatoriamente la possibilità di avere sconti di pena, ai detenuti che liberamente volessero pedalare su apposite biciclette dotate di generatore elettrico in grado di produrre energia pulita a servizio delle strutture carcerarie o da mettere addirittura in rete. Solo mediante questi percorsi rieducativi possiamo pensare che - conclude il senatore trentino - a pena scontata, i detenuti saranno nelle condizioni di reinserirsi nella società”. Imperia: il direttore del carcere Nicolò Mangraviti va in pensione e si racconta da Francesco Li Noce www.puntoimperia.it, 13 settembre 2012 Dopo trentatré anni di carriera, sette dei quali trascorsi a Imperia, va in pensione il direttore del carcere Nicolò Mangraviti. Punto Imperia e il settimanale La Riviera, in edicola da giovedì 13 settembre, l’hanno incontrato facendosi raccontare qualche aneddoto sul proprio passato all’interno delle carceri italiane a nord e a sud. Quando è arrivato a Imperia? “Sono arrivato a Imperia alla fine del 1999. Ho lavorato qui per circa due anni e nel 2002, complice la mia nomina a dirigente, sono stato trasferito al carcere di Vigevano dove ho trascorso sei anni, fino al 2008”. Durante quell’esperienza ha incontrato Alberto Stasi, all’epoca accusato dell’omicidio di Garlasco. Che impressione le ha fatto? “Sì, Stasi è stato una decina di giorni a Vigevano prima di essere trasferito. Mi ha dato l’impressione di essere una persona molto colpita soprattutto dal fatto di trovarsi in una situazione del genere. Sembrava essere in un qualcosa più grande di lui, ma era lucido e sereno, deciso a dimostrare la propria innocenza”. Precedentemente all’esperienza di Vigevano, nel ‘94 è stato direttore del carcere di Padova. Ha incontrato Felice Maniero, boss della mala del Brenta? “Ho incontrato Maniero una sola volta. Abbiamo scambiato solamente qualche battuta; io lo osservavo sapendo che si trattava di una persona pericolosa di cui bisognava stare attenti”. Torniamo all’ultima esperienza. Chi occupa principalmente le celle del carcere imperiese? “A Imperia ci sono mediamente 110 detenuti. Per lo più stranieri che entrano in carcere per spaccio”. Anche qui ci sono i detenuti illustri. Pensiamo a Caltagirone. L’ha trovato molto cambiato al suo ritorno in carcere? “Effettivamente mi è sembrato cambiato e provato, ma se l’autorità giudiziaria ha ritenuto che debba stare in carcere vuol dire che ci sono esigenze cautelari che conosce solo la magistratura. È cambiato anche il suo rapporto con gli altri detenuti. All’inizio era chiuso, ora invece è decisamente più aperto al confronto, tanto che si è dedicato ad attività come quella di bibliotecario”. A questo proposito, di recente qualcuno ha dichiarato che il sistema di carcerazione preventiva in Italia è spesso abusato. Lei come la pensa? “Credo che il carcere preventivo rappresenti una necessità. Si avverte molto da parte dei detenuti perché ci sono diversi gradi di giudizio. Penso però che fino alla sentenza di primo grado, il nostro ordinamento sia molto garantista. È da considerare anche che la carcerazione preventiva influisce sul sovraffollamento degli istituti”. Cosa ne pensa della visita in carcere a Caltagirone da parte dell’ex ministro Claudio Scajola, co-indagato, insieme all’imprenditore romano per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta? “Della visita di Scajola posso solo dire che rientra nelle sue prerogative di parlamentare. È venuto a conoscenza del fatto che Caltagirone era provato. È stato un attestato di vicinanza umana”. Scajola ha dichiarato di non essersi limitato alla sola visita a Caltagirone, ma di aver preso visione della condizione degli altri detenuti. Era mai successo? “Durante il periodo in cui sono stato direttore a Imperia non era mai successo. Credo che il parlamentare alle volte in qualche modo debba assumere posizione scomode. Lui si assume la responsabilità di quello che fa. La visita si è svolta nel pieno rispetto delle norme penitenziarie”. Lei è stato direttore di carceri al nord e al sud. Ci sono grosse differenze tra una realtà e l’altra? “Tra nord e sud il contesto ambientale è molto diverso. A sud si avverte, anche fuori dal carcere, di lavorare in un ambiente difficile. Anche la polizia penitenziaria e lo stesso direttore del carcere possono correre grossi rischi. Qui in esterno si fa vita tranquilla, ma nelle sezioni si rischia anche al nord. Nelle grosse città ovviamente la gestione è più difficile. A Imperia il problema si avverte meno perché il personale è riuscito a far capire al detenuto che se si comporta bene la cosa conviene anche a lui. C’è rapporto di rispetto”. E in generale, come sono le condizioni delle carceri italiane? “Diciamo che per un periodo si è cercato di rendere il carcere adeguato a quelle che sono le esigenze di recupero e reinserimento dei detenuti. Di fronte a tanti sforzi delle istituzioni penitenziarie però certe situazioni non sono state risorte”. Cosa fa un ex detenuto appena uscito dal carcere? La società gli volta le spalle? “Quando si esce bisogna vedere cosa si può trovare all’esterno. Noi facciamo dei corsi di formazione per insegnare ai detenuti un lavoro. Collaboriamo anche con aziende pronte ad assumere i detenuti per uno stage che ovviamente però non può durare per sempre”. Cosa farà adesso? “Adesso mi sto rilassando ma mi guardo attorno. Vediamo cosa offrono Imperia e dintorni. Mi piacerebbe, questo sì, svolgere ancora impegni legati al sociale”. Imperia: Sappe; visita al carcere del Segretario generale aggiunto Roberto Martinelli www.riviera24.it, 13 settembre 2012 “La Liguria è la Regione d’Italia nella quale sono detenute complessivamente oltre 1.840 persone nei 7 penitenziari regionali che hanno complessivamente una capienza regolamentare di poco superiore ai mille posti letto. Ad Imperia, in particolare, dove i posti letto regolamentari sono 69, i detenuti presenti a fine agosto erano in realtà 116 . Ed il Reparto di Polizia conta circa 25 agenti in meno rispetto all’organico previsto. La mia presenza nel carcere di Imperia vuole dunque essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi quotidiani delle colleghe e dei colleghi in servizio nella struttura detentiva imperiese”. Lo dichiara è Roberto Martinelli, Segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria -, oggi in visita agli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Imperia. “Anche ad Imperia, come nelle altre carceri liguri che ho visitato in questi giorni, abbiamo un Personale di Polizia altamente specializzato che con professionalità, competenza e soprattutto umanità lavora nelle sovraffollate sezioni detentive, nonostante una cronica carenza di Agenti. Poliziotti nonostante tutto sereni e consapevoli dell’importanza del ruolo istituzionale e sociale loro affidato. Certo, fino ad oggi la drammatica situazione determinata dal sovraffollamento è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria”, prosegue. “Il carcere imperiese è da tempo alla ribalta della cronaca per la presenza di un detenuto famoso, che viene visitato regolarmente da parlamentari ed ex ministri che poi fanno poco o nulla per migliorare le condizioni di tutti gli altri ristretti e degli stessi Agenti di Polizia Penitenziaria. I detenuti che lavorano, ad esempio, sono una percentuale irrisoria, e ciò alimenta l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni che nel recente passato hanno visto alcuni detenuti scontrarsi nella sala socialità del carcere. Condizioni, sovraffollamento e carenza di poliziotti, che si ripercuotono negativamente sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate e soprattutto di coloro che in quelle sezioni detentive svolge un duro, difficile e delicato lavorato, come quello svolto dai poliziotti penitenziari.” “L’auspicio del Sappe” conclude Martinelli “è che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri “terribilmente sovraffollate” e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso ed un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio e tutti i detenuti in attività lavorative, anche in carcere. Oltre alla non più rinviabile espulsione dei detenuti stranieri condannati per fare scontare loro la pena nelle prigioni del Paese di provenienza”. Foggia: Osapp; sovraffollamento e tentativi di suicidio, situazione al limite Gazzetta del Mezzogiorno, 13 settembre 2012 720 ospiti contro i 371 che potrebbe ospitare. Dieci tentativi di suicidio, un suicidio e cinque aggressioni. Sono i numeri fatti registrare dal 1° gennaio scorso dal carcere di Foggia: una situazione emergenziale che dura da diverso tempo e che l’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria che domani terrà, all’interno dell’istituto di pena foggiano, l’assise generale provinciale del sindacato alla presenza del vice generale nazionale Domenico Mastrulli. Ad evidenziare lo stato di crisi del carcere foggiano ci sono i numeri, naturalmente in negativo: 5 episodi di ingerimento sostanze nocive; 12 colluttazioni; 41 episodi di autolesionismo, 68 ricoveri urgenti in ospedale di cui 31 subito rientrati nel penitenziario; 10 tentativi di suicidio e un suicidio consumato. I circa 310 poliziotti del penitenziario dauno sarebbero comunque sotto organico di almeno 80 unità. Foggia è un penitenziario che potrebbe ospitare regolarmente solo 371 detenuti di cui 21 donne mentre ad oggi la conta sarebbe di 720 reclusi di cui 40 donne. Servono rinforzi nelle carceri della Daunia anche se come Regione la Puglia potrebbe ospitare solo 2.459 detenuti mentre ne contiene 4.315 detenuti di cui 216 donne. La polizia penitenziaria in Puglia è pari a 2.404 unità amministrate ne servirebbero almeno altre 600 unità. Lecce: bibite ai detenuti in cambio del voto, nei guai medico candidato a elezioni comunali Gazzetta del Mezzogiorno, 13 settembre 2012 Bibite fresche ai detenuti in cambio di voti elettorali. Un comportamento tutt’altro che ligio al dovere, che ha fatto finire nei guai Silverio Bosco, 59 anni, medico della Asl in servizio nel carcere di Borgo San Nicola. Nei giorni scorsi il sostituto procuratore Carmen Ruggiero ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel quale lo ritiene responsabile di voto di scambio. Nell’inchiesta, però, spunta anche il nome di Giuseppina Podo, 56 anni, di Lecce, accusata di favoreggiamento nei confronti di Bosco. L’inchiesta è partita in seguito ad una segnalazione di un agente di polizia penitenziaria, che il 5 maggio scorso avrebbe assistito alla “propaganda” fatta da Bosco fra i bracci dell’istituto penitenziario leccese. Il professionista, infatti, era candidato alle scorse competizioni elettorali del 6 e 7 maggio scorso nelle fila dell’Udc, come consigliere comunale. Forse, arrivato alla stretta finale della campagna elettorale, il medico avrà pensato ad un escamotage per raggranellare gli ultimi voti, visto che per legge 24 ore prima dell’apertura dei seggi non si può più fare propaganda. Bosco, invece, avrebbe deciso di farla ugualmente, lontano da occhi indiscreti. Secondo l’accusa, approfittando del suo ruolo come medico del carcere, Bosco avrebbe consegnato lattine di bibite fresche a tre detenuti, fornendo loro anche materiale elettorale come volantini e biglietti. Il tutto, però, sarebbe avvenuto sotto gli occhi di un agente di polizia penitenziaria, il quale avrebbe poi segnalato il fatto alla procura. L’agente, in realtà, in passato sarebbe stato “avvertito” proprio dalla Podo, che accompagnava Bosco durante le visite, del comportamento del medico. Un volta convocata davanti ai carabinieri, però, la donna ha negato di aver mai riferito una simile circostanza all’agente, aggiungendo di non aver mai assistito alla propaganda di Bosco. Ma gli inquirenti non le hanno creduto. Gli indagati sono assistiti dagli avvocato i Vincenzo Carbone e Cristiano Solinas. Isili (Nu): progetto “Adotta una storia”, i detenuti si raccontano agli scrittori La Nuova Sardegna, 13 settembre 2012 Da un po’ di tempo ormai la casa di reclusione di Isili è al centro di interessanti progetti che riguardano i detenuti. Con grande spazio alla letteratura. L’anno scorso una serie di incontri con scrittori stranieri che vivono nel nostro Paese e hanno scelto l’italiano per narrare: Abdelmalek Smari, Mihai Mircea Butcovan, Pap Khouma e Amara Lakhous. Adesso un nuovo progetto che porta all’interno della colonia penale undici autori, tutti sardi, con il compito di raccontare le storie di alcuni detenuti. Un progetto quello di “Adotta una storia - che coinvolge l’associazione Il Colle Verde, Arkadia Editore, il presidio del libro Carpe Liber della casa di reclusione di Isili, il marchio Galeghiotto del progetto Colonia - innovativo nel suo genere. Per la prima volta in un carcere italiano i reclusi avranno a disposizione le penne degli scrittori per raccontare e raccontarsi. La squadra di autori è formata da: Giampaolo Cassitta, Paolo Maccioni, Gianni Zanata, Nino Nonnis, Michela Capone, Claudio Musio, Savina Dolores Massa, Bruno Furcas, Salvatore Bandinu, Anthony Muroni, Michele Pio Ledda. Tutti hanno accettato con entusiasmo di partecipare al progetto e la sfida di raccontare le vite degli altri. Oggi passeranno la giornata in carcere, ascolteranno ognuno la storia di un detenuto e poi proveranno a trasferirla su carta. “Un’idea che avevamo da tempo - sottolinea Giampaolo Cassitta, in prima fila in questo progetto - Raccontare le storie di chi in qualche modo le porta con sé, ingabbiate. Abbiamo fatto un primo passo a giugno, portando i nostri libri in carcere. In base alla lettura i detenuti hanno scelto lo scrittore a cui affidare la propria storia. E oggi gli autori scopriranno con chi dovranno confrontarsi”. La casa di reclusione di Isili si trasformerà in una piccola agorà, con il detenuto e il “suo” scrittore che si conosceranno, passeggeranno insieme, pranzeranno nella stessa tavola (con i prodotti della colonia stessa), parleranno della storia che poi verrà scolpita nelle parole che formeranno il racconto. “L’insieme delle storie formerà poi un libro unico - spiega Cassitta - e con i proventi i detenuti adotteranno un bambino, uno dei loro figli, che potrà acquistare libri, continuare a studiare”. Un motivo in più per guardare con attenzione all’idea che si vuole portare avanti nella casa di reclusione di Isili. Dopo l’intensa giornata di oggi a contatto con i detenuti, gli scrittori coinvolti nel progetto avranno una decina di giorni di tempo per scrivere il racconto, quelle storie che poi formeranno la raccolta antologica che verrà pubblicata dalla casa editrice Arkadia entro il prossimo Natale. Agli undici autori citati va inoltre aggiunto Marcello Fois che avrà il compito di scrivere la prefazione. “Ma non solo - aggiunge Giampaolo Cassitta - perché i detenuti non entreranno nel libro soltanto come protagonisti delle storie scritte dai diversi autori. Dopo aver letto il racconto finito dovranno scrivere la prefazione e la postfazione delle opere”. Il detenuto insomma diventa anche il primo critico in questo interessante progetto. Storie minime, minimaliste, di un universo dimenticato e tutto da scoprire. La penna, la sensibilità degli scrittori gli strumenti per entrarci e farlo conoscere. Castrovillari (Cs): le detenute protestano battendo le sbarre, nostri figli stanno male Asca, 13 settembre 2012 Le detenute della sezione femminile dell’istituto penitenziario di Castrovillari (Cs) stanno protestando, battendo le gavette alle finestre ogni sera alle 19.30, per il sovraffollamento del carcere e la situazione in cui anche i figli sono costretti a vivere, per le carenze igieniche e le scarse cure mediche. In una lettera pubblicata oggi sul Quotidiano della Calabria, fatta uscire dall’istituto tramite i parenti, le donne descrivono quella che definiscono “condizione disumana”. “In queste celle viviamo male - scrivono - tre detenuti al posto di due; le docce fuori dalle celle e per di più solo tre volte a settimana. Ci sono detenute operate che stanno male, sebbene abbiano un piccolo residuo di pena. Detenute con patologie gravi e persino con perizie dei tribunali che parlano di “incompatibilità carceraria”; eppure vivono in questo posto, in questo inferno”. Poi parlano dei bambini. “Qui vivono madri con bambini piccoli; bambini che fanno la galera. Per loro è uno shock. Come usciranno questi bambini da qui?”. Messina: Uil-Pa denuncia; detenuta ricoverata in ospedale sorvegliata da agenti maschi La Sicilia, 13 settembre 2012 Nuovo episodio di violazione dei diritti dei detenuti e delle guardie penitenziarie, che hanno manifestato in Prefettura e annunciato una nuova mobilitazione. “Per una reclusa piantonata nel reparto detenuti del Papardo non è stata prevista la figura dell’agente di polizia penitenziaria femminile e, quindi, in presenza di altri detenuti dovevano vigilarla i poliziotti”. A denunciare l’episodio la Uil penitenziari e il responsabile carcere della camera penale, l’avvocato Domenico André. “I diritti della detenuta sono stati non violati, ma oserei dire calpestati - sottolinea Andrè - la stessa è stata obbligata a vivere per due giorni, osservata notte e giorno da uomini, in un ambiente come quello ospedaliero in cui per forza di cose una donna è più vulnerabile. Il carico di lavoro esorbitante e la carenza di organico della casa circondariale - conclude - non si può tradurre in violazione dei diritti fondamentali dei detenuti”. “Il personale - scrive la Uil - opera in condizioni disumane e sotto organico, nonostante ciò continua a svolgere il proprio lavoro con abnegazione, alto senso del dovere e professionalità, stanco e demoralizzato”. Libri: “Le urla dal silenzio”, libro degli ergastolani ostativi e dei condannati a pene lunghe di Eleonora Martini Le Monde Diplomatique, 13 settembre 2012 “Dentro” per sempre “Chi è stato cattivo una volta deve essere cattivo per sempre, dove andremmo a finire se i criminali capissero i loro sbagli?”. Ci ha provato, Gerti Gjenerali, detenuto albanese condannato al “fine pena mai”, a non pensare, a dimenticare quella sua strana vita germogliata all’ombra di un regime comunista che annebbia e disturba la psiche, e congelata infine, dopo un viaggio in nave verso il “paese di Bengodi”, in un regime democratico che lo ha condannato a una pena di morte al rallentatore. Ci ha provato, ma poi “l’esigenza di analizzare la situazione è prevalsa” e la riflessione che quindi ne è scaturita regala una visione davvero interessante, a prescindere dalla sua condizione di recluso. La sua è una delle voci dei carcerati a vita raccolte nel volume “Le urla dal silenzio”, il libro degli ergastolani ostativi e dei condannati a lunghe pene curato dall’Associazione Fuori dall’Ombra, con prefazione di don Andrea Gallo, edito dai tipi di AlcionEdizioni (maggio 2012, 11 euro). L’ergastolo ostativo è l’ergastolo senza benefici, integrale, una “pena di spirito medioevale, l’ergastolo del mito nero, del certificato penale su cui è scritto 31/12/9999”. Una vita senza scopo (e senza lavoro), in attesa di invecchiare e morire. È la “vendetta di una giustizia ingiusta”. Il libro raccoglie alcuni tra i migliori testi apparsi sul blog urladalsilenzio.wordpress.com in quasi tre anni di esistenza, unitamente a qualche disegno. “Non si tratta di una collezione di testi in chiave pietista - scrive Alfredo Cosco, uno dei curatori del volume, neanche di un bollettino sui problemi del carcere. La riflessione sulla realtà del carcere, specie di “certi carceri” e di “certi modi di viverlo, il carcere”, sarà inevitabile dopo la lettura. Ma non è un pamphlet programmatico, o un libro dossier. È un libro che ha anima, carico di vita e di volti. Che brucia tra le mani quando lo prendi”. Ed è proprio così. Libri: “Perché l’antiproibizionismo è logico”… droga, inutile vietare di Eleonora Martini Le Monde Diplomatique, 13 settembre 2012 Il 29 per cento dei detenuti nei carceri italiani è tossicodipendente (dati del Dipartimento antidroga) mentre il 33,15% sconta una pena prevista nella legge Fini-Giovanardi (dati del Viminale). Negli Stati unti la percentuale dei carcerati per violazione delle leggi anti droga sale al 55%. Il fallimento della politica proibizionista e puramente repressiva della War on drugs concepita da Nixon ed esportata allegramente in Italia, dunque, è sotto gli occhi di tutti, e il suo destino di annichilimento in Europa ma anche negli Usa di Obama sembrerebbe essere ormai segnato. Eppure i tentativi di rianimazione non mancano, basti pensare ai recenti incontri tra il nostro capo dipartimento Giovanni Serpelloni e Gil Kerlikovskie, direttore Ondcp (Office for National Drug Control Policies) statunitense per rilanciare una cooperazione internazionale nella “lotta alla droga”. Ma se si vuole capire “Perché l’antiproibizionismo è logico” (e morale) vale la pena leggere il libro di Persio Tincani, pubblicato dalla Sironi editore (aprile 2012, 18 euro). Un volume che “smonta le argomentazioni proibizioniste e ne smaschera un paternalismo e un moralismo difficilmente compatibili con una democrazia liberale”, affrontando la questione dal punto di vista della filosofia, del diritto e delle libertà individuali. L’autore, che insegna Filosofia del diritto all’università di Bergamo, svela il moralismo “mosso da un illogico desiderio di controllo sociale” su cui si fondano gli argomenti proibizionisti. Anche se - non va dimenticato - la “guerra alla droga” è soprattutto un mezzo di arricchimento delle narcomafie. Libri: “Psichiatria mia bella”, oltre la soglia del disagio psichico di Eleonora Martini Le Monde Diplomatique, 13 settembre 2012 Tra il 6 e il 10 per cento dei reclusi nei carceri italiani è affetto da malattie psichiatriche, esclusa la depressione, che viene considerata a parte nella statistica del ministero della Giustizia. Negli ospedali psichiatrici giudiziari in via di chiusura ci sono circa 1.400 internati. Ma questi dati descrivono solo la punta dell’iceberg, la condizione di quei malati psichici che hanno oltrepassato la soglia del legale. Gli altri sono ancora “alla ricerca delle cure che Basaglia sognava”, come recita il sottotitolo del libro “Psichiatria mia bella” scritto dal basagliano Renzo De Stefani in collaborazione col giornalista Jacopo Tomasi (Ed. Erickson; 2012, 14 euro). Dopo aver ripercorso i passi di “una psichiatria in cammino” dal 1978 al 2012, e aver raccontato le esperienze positive del Servizio di salute mentale di Trento (più unico che raro), l’autore si spinge fino a redigere una proposta di legge, “sorridente e colorata”, come la definisce De Stefani, “figlia” della 180. Vanno certamente apprezzati nella così chiamata “legge 181” alcuni passaggi che delineano una soluzione possibile alle problematiche oggi più evidenti dell’applicazione delle norme vigenti. Come ad esempio l’alto peso specifico che ha “la fiducia e la speranza” di utenti e familiari (articolo 2), il cui tasso “riscontrato almeno una vota all’anno” contribuisce a “determinare la parte variabile del salario degli operatori”. Ma non solo: si sottolinea l’importanza della condivisione di saperi tra utenti, familiari e esperti, e soprattutto viene rimesso in discussione il ruolo statico e attendista dello psichiatra, chiuso nel suo ambulatorio in attesa che il malato faccia il primo passo e decida di chiedere aiuto. Metodi e risorse per aiutare le famiglie sono in primo piano, come anche il problema dell’abitare (per i tanti, sempre più, che oggi, a differenza degli anni ‘70, non hanno una famiglia su cui contare), del lavoro e della socialità. Un libro non solo per esperti, ma per tutti coloro “che vogliano conoscere l’altra faccia - colorata e sorridente - del mondo della salute mentale”. Unione Europea: rendition e detenzioni segrete Cia, il Parlamento europeo chiede la verità di Riccardo Noury Corriere della Sera, 13 settembre 2012 L’11 settembre il Parlamento europeo ha adottato (con 568 sì, 34 no e 77 astensioni) un nuovo rapporto sul ruolo avuto dall’Europa nelle multiple violazioni dei diritti umani, torture e sparizioni incluse, avvenute nel contesto del programma Cia di rendition e detenzioni segrete di persone sospettate di terrorismo. Una data significativa, in cui dopo aver ricordato le vittime delle Torri gemelle, il massimo organo rappresentativo dell’Unione europea ha ribadito il dissenso rispetto alle politiche della “guerra al terrore” lanciata dal presidente Bush all’indomani dell’11 settembre 2001. L’amplissima maggioranza con cui è stato approvato il rapporto è un segnale incoraggiante, ma rimane molto da fare. Nessuno stato membro dell’Unione europea, infatti, ha svolto indagini approfondite e complessive sul ruolo avuto nei programmi della Cia. L’Italia ha un merito: l’indagine sul caso di Abu Omar (l’imam sequestrato a Milano nel febbraio 2003), con le condanne confermate anche in appello, rappresenta finora, nonostante il segreto di stato posto dai due precedenti governi, il più avanzato tentativo di fare chiarezza e giustizia su un caso di rendition. Il rapporto adottato dal Parlamento europeo s’incentra su tre paesi noti o sospettati per aver ospitato centri segreti di detenzione della Cia: Lituania, Polonia e Romania. Ne abbiamo parlato, in passato, in questo blog. Nonostante negli ultimi giorni l’associazione Reprieve abbia rivelato nuove informazioni su voli delle rendition in arrivo e in partenza dalla Lituania, le autorità di questo paese continuano a rifiutare l’apertura di un’indagine penale su due centri segreti di detenzione della Cia operanti nel 2002 e nel 2004. In Polonia, l’inchiesta in corso ha fatto piccoli passi avanti ma il procuratore si rifiuta di fornire informazioni adeguate. La Romania smentisce qualsiasi coinvolgimento nei programmi della Cia, compresa la presenza di un centro segreto di detenzione, sulla cui esistenza non intende indagare nonostante siano emerse prove credibili. Informazioni emerse dai registri aerei e da altre fonti nel 2011 e 2012 implicano anche Danimarca e Finlandia, i cui governi però non intendono indagare. Nel luglio di quest’anno, nell’ambito dell’Esame periodico universale delle Nazioni Unite, la Finlandia ha respinto una raccomandazione in cui le si chiedeva di indagare approfonditamente sul suo ruolo nelle rendition, processare le persone coinvolte e risarcire le vittime. Intanto, a Guantánamo (scalo finale di molti voli delle rendition) è morto un altro detenuto, Adnan Latif. Era detenuto da 10 anni e mezzo senza accusa né processo. Nel luglio 2010, un giudice federale aveva stabilito che la detenzione di Adnan Latif era illegittima e che egli doveva essere rilasciato. L’amministrazione Obama aveva fatto ricorso e una corte d’appello le aveva dato ragione. È il quarto detenuto deceduto da quando è entrato in carica il presidente Obama, che aveva annunciato di chiudere il centro di detenzione entro un anno dal suo insediamento. E invece è ancora aperto, nel suo dodicesimo anno di attività, con 167 persone dentro. Stati Uniti: Amnesty; chiudete Guantanamo, la prigione della morte Ansa, 13 settembre 2012 L’11 settembre le autorità militari statunitensi hanno reso nota la morte, avvenuta tre giorni prima, di Adban Farhan Abdul Latif, cittadino yemenita, detenuto a Guantánamo da 10 anni e mezzo senza accusa né processo. Si è trattato del nono prigioniero morto nel centro di detenzione aperto dagli Usa nel gennaio 2002: sei di essi si sono suicidati. Amnesty International ha sollecitato le autorità statunitensi ad aprire un’inchiesta approfondita, indipendente e guidata da personale civile sulle circostanze della morte di Adnan Latif, a renderne note le conclusioni e a conservare i risultati dell’autopsia. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto alle autorità statunitensi di risolvere la situazione dei 167 uomini ancora detenuti a Guantánamo e di chiudere il centro di detenzione una volta per tutte. Adnan Latif era stato arrestato nel dicembre 2001 dalla polizia del Pakistan lungo il confine afgano, consegnato alle forze militari Usa e trasferito a Guantánamo il 17 gennaio 2002. Secondo il suo avvocato, ha trascorso la maggior parte dei dieci anni e mezzo di prigionia in isolamento. Aveva tentato il suicidio numerose volte. Nel luglio 2010, un giudice federale aveva stabilito che la detenzione di Adnan Latif era illegittima e che egli doveva essere rilasciato. L’amministrazione Obama aveva fatto ricorso e una corte d’appello le aveva dato ragione. Nel maggio 2012, aveva intrapreso uno sciopero della fame che, secondo le autorità militari statunitensi, era cessato all’inizio di giugno. Amnesty International ritiene che le famiglie dei detenuti morti a Guantánamo debbano avere accesso a un rimedio giudiziario per le violazioni dei diritti umani subite dai loro congiunti, tra cui detenzione arbitraria, tortura e pene e trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Gabon: 33 persone condannate a 1 anno e mezzo per aver manifestato contro il presidente Agi, 13 settembre 2012 Un tribunale del Gabon ha condannato a un anno e mezzo di prigione 33 persone che avevano manifestato il 15 agosto scorso per chiedere le dimissioni del presidente Ali Bongo. La manifestazione era stata organizzata dal National Union (Un), partito di opposizione guidato da Andrè Mba Obame e sciolto dopo le elezioni del 2010, vinte da Bongo. La decisione dello scioglimento era arrivata perché Obame si rifiutava di riconoscere Bongo come presidente. Secondo l’Onu il 15 agosto, una ragazza asmatica è morta durante la manifestazione, a causa dei gas lacrimogeni. Le autorità hanno sempre dichiarato che la giovane è deceduta per cause naturali.